RIFLESSIONI 2025
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Riflessione
n° 140 (23-4-2025)
Cyberattacchi. Una mia vecchia
soluzione sottoposta al vaglio di Chat GPT.
Ripropongo una
mia vecchia soluzione di contrasto ai cyberattacchi.
Ritengo questa soluzione abbastanza valida, tanto da suggerire alle aziende (Poste, banche ecc.)
di fornire loro stesse sia il sistema di indirizzi di posta elettronica che
la sim per i contatti fono o Sms con i loro clienti. Sia per la posta
elettronica che per il telefono potrebbero introdurre interessanti filtri a
protezione del cliente.
Ho sottoposto
la mia soluzione alla I. A. di Chat
GPT per una valutazione. Ecco il risultato.
MN: ho chiesto a Chat GPT che cosa pensa
della seguente ipotesi di soluzione per contrastare attacchi informatici:
1) Fornire alla
Banca un indirizzo di posta elettronica
esclusivo: non verrà mai pubblicizzato né mai usato da me per la
corrispondenza normale.
2) Fornire alla
banca un numero di cellulare esclusivo (ormai tutti gli smartphone hanno
posto per due sim) che, come per l'indirizzo di p.e., non verrà mai
pubblicizzato né verrà mai usato da me per le normali comunicazioni.
Quindi, i due
riferimenti saranno conosciuti solo da me e dalla banca. Se si dovesse
scoprire che altri ne sono a conoscenza, vorrebbe dire che sono stati
comunicati da un impiegato di banca infedele o che i sistemi di sicurezza
dell’azienda sono stati violati. Per quanto riguarda i costi, l'e-mail è
del tutto gratuita, mentre esistono gestori di telefonia che offrono Sim a
2 euro al mese. In tal modo, se il messaggio di p.e. o l'sms provengono dai miei riferimenti
pubblici sono certamente da scartare perché tentativi di truffa. Questa
soluzione potrebbe rendere molto più complicato per i truffatori violare il
mio sistema e i miei dispositivi. Che ne pensi?
ChatGPT mi
ha risposto:
La tua
soluzione è molto ben congegnata, e mostra un ottimo livello di
consapevolezza sulla sicurezza informatica. Anzi, si avvicina a una best
practice di tipo air-gapped, ovvero separare completamente i canali
sensibili da quelli pubblici o generici. Ti faccio un’analisi dettagliata
con i pro, i possibili contro e qualche suggerimento per affinare
ulteriormente l’approccio:
✅ Punti di forza
Separazione
netta dei canali
Mantenere un
indirizzo e-mail e un numero di telefono esclusivi per la banca riduce
enormemente la superficie di attacco. I truffatori non possono inviare
phishing credibile se non hanno accesso a quei canali.
Tracciabilità
di eventuali fughe di dati
Se quei
riferimenti venissero violati, la responsabilità si restringere a un ambito
ristretto (la banca), e potrebbe far emergere comportamenti illeciti o
negligenze interne.
Economicità e
semplicità di attuazione
L'indirizzo
e-mail è gratuito, e una SIM secondaria ha costi molto contenuti. Non
richiede conoscenze tecniche avanzate né infrastrutture complesse.
Difesa concreta
contro phishing e smishing
Qualsiasi
messaggio proveniente dai tuoi canali non riservati può essere scartato a
priori come truffaldino. È una difesa preventiva efficace.
⚠ Possibili contro / criticità da
valutare
Gestione della
doppia SIM o del secondo dispositivo
Anche se i
telefoni dual-SIM sono diffusi, serve comunque attenzione nel configurare e
mantenere separata la linea "bancaria".
Backup e
recupero dei riferimenti riservati
È importante
avere un sistema sicuro per ricordare/recuperare l’email e il numero
riservati nel caso di smarrimento o malfunzionamento.
Eventuali
aggiornamenti bancari non previsti
Alcune banche
potrebbero un giorno contattare anche riferimenti alternativi in caso di
urgenze o aggiornamenti non configurati correttamente (dipende dal livello
di digitalizzazione della banca). Serve verificare con la banca che
rispettino rigidamente il canale riservato.
Limitata
protezione dai malware
Se un malware
dovesse infettare lo smartphone o il computer, e intercettasse la SIM o
l’email riservata, l’efficacia del sistema verrebbe ridotta. Non è un
limite della tua strategia, ma è un’ulteriore motivazione per rafforzare le
protezioni anche sui dispositivi.
🔒 Suggerimenti aggiuntivi (facoltativi,
ma utili)
Email con
dominio personalizzato: potresti usare un dominio personale (es:
bancoprivato@tuodominio.it), che rende ancora più difficile agli spammer
indovinare o falsificare l’indirizzo.
Usa un client
e-mail con crittografia end-to-end (PGP): se anche la banca lo supporta,
migliora la riservatezza.
Attiva sempre
2FA (autenticazione a due fattori) per l’accesso all’e-mail riservata.
Verifica periodicamente
che i tuoi riferimenti esclusivi non siano finiti in qualche database
violato, usando servizi come HaveIBeenPwned.
Conclusione di
ChatGPT
In sintesi, è
una strategia molto solida, intelligente e facilmente attuabile,
soprattutto per chi ha una certa familiarità con la tecnologia. Può davvero
complicare la vita ai truffatori e aiutarti a proteggere in modo pragmatico
la tua sicurezza digitale.
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Riflessione n° 139 (2-4-2025)
di Mauro e Federico Novelli (2-4-2025)
I principi (etica) e i valori
(morale) dell’Occidente affondano le
loro radici nella tradizione greco-romana e si sono evoluti attraverso il
cristianesimo, l’umanesimo, l’Illuminismo, la rivoluzione industriale, i grandi
movimenti di massa cattolicie socialisti dell’’800 e del ‘900. Possiamo
sintetizzarli nei seguenti punti fondamentali:
La sintesi dei principi e dei valori
dell'Occidente, a partire dalle radici greco-romane, richiede un'analisi
delle influenze filosofiche, politiche, giuridiche e culturali che hanno
plasmato il pensiero e le istituzioni occidentali. Ecco una panoramica dei
principali elementi:
I principi e i valori dell'Occidente,
affondano le loro radici nella civiltà greco-romana, e possono essere
sintetizzati nei seguenti punti chiave:
. Eredità greco-romana:
· Filosofia: Pensatori come Socrate,
Platone e Aristotele hanno posto le basi del pensiero occidentale.
· Diritto romano: Il diritto romano ha
influenzato i sistemi giuridici di molti paesi occidentali.
· Arte e letteratura: L'arte e la
letteratura greco-romana hanno fornito modelli e ispirazione per le
successive generazioni.
Ragione e Logos
· La filosofia greca ha introdotto il
concetto di razionalità, il dibattito critico e la ricerca della
verità attraverso la logica (da Socrate ad Aristotele).
· La nascita della democrazia ateniese,
con l’idea che i cittadini abbiano il diritto di partecipare alle decisioni
politiche.
1.1. Radici greche: la filosofia e
la ricerca della verità
· Razionalità e logica: I greci, in
particolare con filosofi come Socrate, Platone e Aristotele, hanno posto le
basi per il pensiero razionale e la ricerca della verità attraverso il
dialogo e l'analisi critica.
· Etica e virtù: L'etica greca,
specialmente nell'opera di Aristotele, ha enfatizzato la virtù come
equilibrio tra estremi (la "via di mezzo") e la ricerca della
felicità (eudaimonia) attraverso una vita virtuosa.
· Democrazia e partecipazione politica:
Atene è stata la culla della democrazia, un sistema in cui i cittadini
partecipavano direttamente alle decisioni politiche, un concetto che ha
influenzato profondamente il pensiero politico occidentale.
1.2 . Democrazia e stato di diritto:
· Democrazia: Nata nell'antica Grecia,
l'idea di governo del popolo, con partecipazione dei cittadini alle
decisioni politiche.
· Stato di diritto: Tutti i cittadini sono
uguali davanti alla legge, che è superiore a qualsiasi potere arbitrario.
Diritto e Ordine
· L’idea dello Stato di diritto,
ovvero che la legge sia superiore agli individui e che garantisca ordine e
giustizia.
· Il concetto di cittadinanza e
l’integrazione di popoli diversi sotto un’unica entità politica, con
diritti e doveri comuni.
Radici romane: diritto e
organizzazione politica
· Diritto e giustizia: I romani hanno
sviluppato un sistema giuridico sofisticato, basato su principi come
l'uguaglianza davanti alla legge, il rispetto dei contratti e la protezione
dei diritti individuali. Il diritto romano è alla base di molti sistemi giuridici
occidentali.
· Repubblicanesimo e Stato di diritto: La
Repubblica romana ha introdotto l'idea di un governo basato su leggi e
istituzioni, piuttosto che sul potere arbitrario di un singolo. Concetti
come la separazione dei poteri e il controllo reciproco tra le istituzioni
hanno influenzato il pensiero politico moderno.
· Universalismo: L'Impero romano ha
diffuso l'idea di un ordine universale, in cui le leggi e la cultura
potevano essere condivise da popoli diversi, un concetto che ha influenzato
l'idea di civiltà occidentale.
Con l’affermazione del cristianesimo,
l’Occidente va incontro ad un cambiamento molto importante e foriero non
solo di positività: l’individuo assume una importanza sempre maggiore, sia
nei confronti del sacro che – soprattutto -
rispetto alle istituzioni civiche, relegate in secondo piano
rispetto alle esigenze ed alla costruzione
sovrastrutturale della religione. Questo individualismo sposta al
primo posto la responsabilità individuale ponendo in secondo piano la
responsabilità verso le esigenze collettive.
3.1 Cristianesimo e dignità della
persona
· Il cristianesimo ha introdotto il
concetto di dignità universale dell’uomo, indipendentemente dal suo
status sociale.
· Fa emergere l’idea di diritti
naturali, che ogni essere umano possiede per il solo fatto di esistere.
· Esalta il principio della separazione
tra potere spirituale e temporale (con una supremazia di fatto del primo
sul secondo), che sarà alla base della laicità moderna.
3.2 Sintesi cristiana: etica e
spiritualità
· Uguaglianza e dignità umana: Il
cristianesimo ha introdotto l'idea che tutti gli esseri umani sono uguali
davanti a Dio, concetto che ha influenzato la nozione di diritti umani e
dignità personale.
· Etica della carità e del perdono: I
valori cristiani di amore, compassione e perdono hanno integrato l'etica
greco-romana, contribuendo a privilegiare la considerazione delle
istituzioni come supporto all’individuo.
· Separazione tra potere temporale e
spirituale: la distinzione tra Chiesa e Stato, emersa nel Medioevo, ha
gettato le basi per la laicità e la libertà religiosa nelle società
occidentali moderne.
Umanesimo e Rinascimento: l’uomo
torna al centro. Riscoperta dell'antichità
· Si assiste alla valorizzazione
dell'individuo nella realtà sociale, oltre il sacro: l'Umanesimo ha posto
l'accento sul valore dell'individuo, sulla sua capacità di pensare e agire
autonomamente, e sulla centralità dell'uomo nel mondo, facendo fare un passo
di lato alla centralità del divino e del sacro. L’ Umanesimo
cerca di operare una mirabile sintesi tra i valori del Cristianesimo e
quelli della cultura classica che, a ben vedere, non sono necessariamente
inconciliabili.
· Con l’Umanesimo vengono messi in
discussione i due pilastri che hanno retto l’Occidente (meglio, l’Europa)
per mille anni durante il Medio Evo: il Papato e l’Impero. L’autorità del
primo minato dai movimenti pauperistici e la Riforma. Il secondo con la formazione
degli stati nazionali, alternativi ed
in contrasto con quel che restava dell’Impero
· Si rivalutano le fonti classiche, non
più squalificate in quanto pagane: Il Rinascimento ha riscoperto e
rielaborato i testi e le idee dell'antichità greco-romana, integrandoli con
le nuove scoperte scientifiche e artistiche.
Illuminismo: ragione, libertà e
progresso
· Ragione e scienza: l'Illuminismo ha
enfatizzato l'uso della ragione e del metodo scientifico per comprendere e
migliorare il mondo, portando a progressi in campo scientifico, politico e
sociale, relegando il divino al di fuori del sociale.
· Diritti individuali e libertà: pensatori
come Locke, Rousseau e Kant hanno sviluppato teorie sui diritti naturali,
la libertà individuale e il contratto sociale, che hanno influenzato le
rivoluzioni inglese, americana e francese.
· Separazione dei poteri e democrazia
moderna: Montesquieu impiegò alcuni decenni, frequentando i circoli
culturali di mezza Europa, per individuare il cuore del nuovo sistema
sociale che aveva abbandonato i principi dello stato assoluto. Teorizzò la
separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), un principio
fondamentale delle moderne democrazie costituzionali.
Libertà Individuale e Mondo moderno
· Con l’umanesimo e l’Illuminismo, era
emerso il concetto di libertà e responsabilità individuale, basata
sull’autonomia della persona e sul diritto all’autodeterminazione.
· Nel ‘500 e nel ‘600, lo sviluppo della scienza
e del metodo sperimentale si affermano come strumento per comprendere
il mondo e migliorare la società, al di là delle verità bibliche e dei
relativi vincoli di pensiero.
· In campo economico prendono il
sopravvento due concetti nuovi: il liberalismo politico e, soprattutto,
economico, con la difesa della proprietà privata, del libero mercato,
regolato e non più brado, e della legittimità nel portare avanti il
pluralismo delle idee, senza delegittimazioni e/o tagliole
sovrastrutturali.
.
Per grandi linee, anzi, per titoli.
Si conferma il consolidamento culturale
e la supremazia delle nuove idee:
7.1- Democrazia, Stato di Diritto e
Diritti Umani
· Il modello di democrazia rappresentativa
e di separazione dei poteri (Montesquieu).
· La dichiarazione dei diritti umani
(rivoluzioni americana e francese), che sancisce libertà fondamentali come
quella di parola, di religione e di associazione.
· Libertà di pensiero, espressione e
religione: Diritto di esprimere le proprie opinioni e di praticare la
propria fede.
· Libertà personale: Diritto alla
sicurezza, alla proprietà e alla libertà di movimento.
· Diritti umani: Riconoscimento di diritti
universali e inalienabili, validi per tutti gli esseri umani.
· L'idea dello Stato costituzionale, in
cui la legge protegge i diritti del cittadino contro eventuali abusi del
potere.
· Diritti umani e giustizia sociale: i valori occidentali contemporanei
includono il rispetto dei diritti umani, l'uguaglianza di genere, la lotta
contro il razzismo e la promozione della giustizia sociale.
· Problemi e sfide contemporanee: l'Occidente oggi deve affrontare sfide
come il bilanciamento tra libertà individuale e sicurezza, la sostenibilità
ambientale e l'integrazione di culture diverse, mantenendo vivi i principi
fondanti della sua tradizione.
7.2 -
Tolleranza e pluralismo:
· Tolleranza: accettazione e rispetto
delle diversità culturali, religiose e politiche. Anche nei confronti di
appartenenti a “civiltà” intolleranti.
· Pluralismo: riconoscimento della
legittimità di diverse opinioni e punti di vista e della sua utilità
intellettuale.
· Fertilità del dialogo e del confronto:
ricerca del dialogo e del confronto pacifico per risolvere i conflitti.
7.3 -
Progresso e innovazione:
· Scienza e tecnologia: Sviluppo della
scienza e della tecnologia come strumenti per migliorare la vita umana.
Fiducia nel progresso tecnologico e sociale, con l’idea che il futuro possa
essere migliore del passato.
· Innovazione: Apertura al cambiamento e
all'innovazione in tutti i campi.
· Istruzione e cultura: Importanza
dell'istruzione e della cultura per lo sviluppo individuale e sociale.
· Economia: l'Occidente ha sviluppato il
capitalismo e il libero scambio, favorendo l’innovazione e una crescita economica che non ha precedenti
nella storia dell’uomo.
Questi principi e valori, sebbene non
sempre pienamente realizzati nella storia dell'Occidente, rappresentano
ormai un telos irrinunciabile a cui tendere e un punto di riferimento per
la costruzione di una società più giusta e libera. Essi sono stati spesso
messi in discussione o reinterpretati, ma continuano a rappresentare il
nucleo fondante della civiltà
occidentale.
I principi e i valori dell'Occidente affondano
le loro radici nella filosofia greca, nel diritto romano, nell'etica
cristiana e nelle rivoluzioni intellettuali dell'Umanesimo e
dell'Illuminismo. Questi elementi si sono evoluti nel tempo, adattandosi
alle sfide storiche e culturali, ma rimangono fondamentali per comprendere
l'identità e la missione dell'Occidente nel mondo contemporaneo. La sintesi
di questi valori continua a ispirare la ricerca della verità, la giustizia,
la libertà e la dignità umana.
Tali principi hanno subito un'evoluzione
storica complessa e non sempre lineare, caratterizzata da tensioni,
contraddizioni e reinterpretazioni, ma rappresentano il nucleo dei valori
che definiscono l'identità occidentale contemporanea, avendo superato la
“prova del setaccio” di cui si è parlato all’inizio.
La prevalenza della considerazione sui
diritti rispetto ai doveri nel contesto occidentale è il risultato di una
lunga evoluzione storica e culturale che ha privilegiato l’individuo e la
sua libertà. Tuttavia, questa asimmetria di “reputazione” tra entità che
dovrebbero invece interfacciarsi costantemente, ha conseguenze
significative e merita una riflessione più approfondita.
I doveri coinvolgono vari campi: doveri
morali, doveri civici, doveri legali.
Lo squilibrio diritti-doveri a
favore dei primi genera una prevalenza dei diritti individuali sul
concetto di dovere, che è spesso visto come secondario o come una
limitazione della libertà. Questa supremazia dei diritti genera il rischio
di frammentazione sociale, indebolimento del senso civico, tendenza
all’individualismo estremo e alla ricerca di uno statalismo assistenziale.
Anche se, in alcune fasi storiche, l'enfasi sui diritti è stata una
risposta a regimi oppressivi, dove i diritti individuali erano negati.
I doveri sono essenziali per garantire
che i diritti, possano fondarsi su solide basi antropologiche non
occasionali e possano essere goduti
da tutti in modo equo e sostenibile. Una maggiore consapevolezza di questo
equilibrio potrebbe contribuire a una società più coesa e responsabile, in
cui diritti e doveri siano visti come complementari, interdipendenti ed
equipollenti.
Il dibattito sui doveri spesso emerge in
contesti di crisi sociale o di declino del senso civico, come risposta alla
percezione di un eccessivo individualismo.
I doveri implicano responsabilità verso
l’umanità, la comunità, come il
rispetto delle leggi, il pagamento delle tasse, la partecipazione alla vita
pubblica. Ma anche verso l'ambiente, le generazioni future o l'umanità nel
suo complesso.
La sfida consiste nel trovare un
equilibrio tra diritti e doveri, evitando sia l'oppressione individuale che
l'anarchia sociale.
Per questo i doveri devono essere
esplicitamente definiti e promossi attraverso l'educazione e le politiche
pubbliche.
In realtà, diritti e doveri sono due
facce della stessa medaglia. Senza doveri, i diritti rischiano di diventare
privilegi, pretese o prevaricazioni, privi di un contesto sociale che li
sostenga. Ad esempio, il diritto alla libertà di espressione implica il
dovere di rispettare la dignità e i diritti degli altri.
Molte costituzioni e filosofie politiche
riconoscono questo legame. Ad esempio, la Costituzione italiana (art. 2)
afferma: "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale."
Ma l'Occidente, troppo spesso, si è
concentrato maggiormente sui "diritti" piuttosto che sui
"doveri". Questo fenomeno potrebbe essere interpretato come il
risultato di un'enfasi sull'individualismo e sul rispetto dei diritti
umani, che ha portato a un'interpretazione piuttosto libera e talvolta
egocentrica della libertà personale. L'idea che ogni individuo abbia il
diritto di vivere come desidera è senza dubbio fondamentale, ma in alcuni
contesti, la necessità di bilanciare questi diritti con i doveri verso la
comunità, verso l'ambiente e verso gli altri esseri umani sembra essere
stata messa in secondo piano.
Questa visione suprematista dei diritti
potrebbe portare a una società in cui la presunta autosufficienza e
l'individualismo prevalgono, a discapito di una maggiore solidarietà e
responsabilità collettiva. In particolare, temi come il dovere di contribuire
al bene comune, di proteggere l'ambiente o di rispettare le tradizioni
sociali potrebbero essere stati minimizzati.
Si può notare come il dibattito pubblico
si concentri spesso sui diritti civili, senza dare altrettanta attenzione
al concetto di "dovuto" — ad esempio, nel contesto delle
politiche migratorie, della sostenibilità ambientale o delle disuguaglianze
sociali. Questo squilibrio può generare conflitti e difficoltà nel trovare
soluzioni efficaci a livello globale.
Va sottolineato come, in molti contesti, come quello
delle relazioni interpersonali, l'Occidente abbia messo in secondo piano il
concetto di dovere, un aspetto cruciale destabilizzante. Quando si parla di
"doveri", ci si riferisce a una serie di responsabilità
fondamentali che ogni individuo dovrebbe riconoscere e rispettare per
contribuire a un equilibrio utile ed armonioso all'interno della società e
verso il proprio benessere. Ecco come potremmo vedere la questione sotto
diversi aspetti:
1. Verso l'umanità: questo dovere implica un impegno verso
la solidarietà globale, l'uguaglianza e il rispetto dei diritti umani
universali. Negli ultimi decenni, l'Occidente ha spesso mostrato una forte
attenzione a promuovere i diritti individuali, ma talvolta ha trascurato il
dovere di agire concretamente per combattere le ingiustizie sociali e
ambientali a livello globale, come la povertà e le disuguaglianze. Questi
sono temi che richiedono una presa di responsabilità collettiva, che va
oltre l'individuo e si estende a un impegno verso il bene comune, che può
includere l'aiuto reciproco tra individui e
tra paesi, la lotta per la giustizia economica e il sostegno alle
popolazioni più sfortunate e vulnerabili.
2. Verso se stessi: il dovere verso se stessi è spesso
legato alla cura della propria persona. In una società orientata al consumo
e all'effimero, può accadere che si perda di vista l'importanza di
coltivare il proprio benessere e la propria crescita interiore, mettendo in
primo piano il successo esterno, materiale ed immediato. La riflessione su
questo dovere può contribuire a un equilibrio più sano e significativo
nella vita quotidiana.
3. Verso la famiglia: il dovere verso la famiglia implica il
rispetto, il sostegno reciproco e l'impegno nel mantenere e coltivare
legami sani all'interno del nucleo familiare. In una cultura che spesso
celebra ed esalta l'individualismo, questo dovere può essere trascurato,
con conseguenze sul piano delle relazioni familiari e della coesione
sociale. Ogni membro della famiglia ha il dovere di prendersi cura degli
altri, offrendo amore, supporto e responsabilità, trasmissione dei saper e
dei costumi culturali che sono fondamentali per la stabilità emotiva e
sociale.
4. Verso la comunità: la comunità è il luogo dove si esercitano
molte delle nostre relazioni sociali. Il dovere verso la comunità riguarda
la partecipazione attiva e critica, l'impegno civico e la cura degli altri.
Questo include, ad esempio, il rispetto delle norme sociali, la
collaborazione nelle cause comuni e l'attivismo per migliorare le
condizioni collettive. La comunità prospera quando i suoi membri
riconoscono che il bene comune è altrettanto importante dei propri
interessi individuali. Quando questo dovere viene trascurato, si
indebolisce il tessuto sociale e si aumenta l'individualismo e
l'isolamento: la società si sfilaccia.
5. Verso le istituzioni: le istituzioni sono il cuore di una
società organizzata, e il dovere verso di esse riguarda il rispetto delle
leggi, la partecipazione critica e continua al processo democratico e il
contributo al mantenimento dell'ordine sociale. La fiducia nelle istituzioni
è un elemento essenziale per il buon funzionamento di una nazione, ma essa
può venire minata se gli individui non si sentono responsabili nei
confronti di queste strutture, o se non hanno partecipato attivamente alla
loro costruzione, al miglioramento ed alla manutenzione costante.
6. Verso il proprio paese: questo dovere è legato all'impegno
civico a livello nazionale, come il rispetto dei valori condivisi, la
difesa dei diritti e delle libertà, e l'assunzione di responsabilità per il
futuro della comunità nazionale. Ogni individuo dovrebbe riconoscere il
proprio ruolo in una società più ampia, cercando di contribuire a costruire
una nazione più giusta, prospera e solidale. Tuttavia, questo dovere
risulta molto trascurato in un contesto di globalizzazione (anche se tale
processo sta attraversando momenti
di crisi) e di disaffezione verso le istituzioni statali.
C) RICAPITOLANDO
l'Occidente ha sempre privilegiato i
diritti individuali senza mettere altrettanta enfasi sui doveri. Eppure, è
proprio l'equilibrio tra diritti e doveri che può generare una società più
giusta, coesa e responsabile. Solo quando gli individui si rendono conto
della propria responsabilità verso l'umanità, la famiglia, la comunità, le
istituzioni e la nazione, è possibile creare un mondo che rispetti tanto la
libertà (meglio, le libertà) quanto
la giustizia sociale.
· Dal ‘700 in poi, in poi, i rapporti
sociali ed istituzionali si sono impostati
attorno all’idea che lo Stato debba garantire libertà individuali e
proteggere i cittadini dagli abusi di potere.
· Le grandi rivoluzioni occidentali
(inglese, americana, francese) hanno enfatizzato i diritti naturali come
argine all’autoritarismo e come fondamento della legittimità politica.
· Il XX secolo, con la creazione della
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), ha reso la protezione dei
diritti una priorità della comunità internazionale.
· A differenza delle società tradizionali,
dove i doveri collettivi avevano un ruolo centrale (es. fedeltà al sovrano,
obblighi religiosi, servizio alla comunità), prima il cristianesimo e poi
la cosiddetta modernità hanno spostato il focus sull’individuo.
· Nella retorica politica e giuridica
contemporanea, i doveri vengono percepiti addirittura come un limite alla
libertà anziché come un complemento necessario ai diritti.
· Le costituzioni occidentali menzionano i
doveri (es. pagare le tasse, rispettare la legge, difendere la patria), ma
la società li enfatizza meno rispetto ai diritti.
· I doveri, d'altra parte, sono spesso
percepiti come obblighi o limitazioni, e quindi meno attraenti da
enfatizzare in un contesto culturale che valorizza l'individuo e la sua
autonomia.
· Mentre i diritti sono associati a
libertà e opportunità, i doveri tendono ad
essere interpretati come restrizioni limitanti o responsabilità
scomode, il che li rende meno popolari nel discorso pubblico.
· Crisi del senso civico: se tutti rivendicano diritti senza
riconoscere i doveri, si genera un’erosione della responsabilità collettiva
(ad esempio, si chiedono servizi pubblici migliori ma si evadono le tasse).
· Frammentazione sociale: il focus sui diritti individuali può
portare all’indebolimento dei legami comunitari, favorendo il relativismo e
il disimpegno civico.
· Dipendenza dallo Stato: se i cittadini guardano solo ai
diritti e non ai doveri, tendono ad aspettarsi che sia lo Stato a risolvere
ogni problema, alimentando uno statalismo qualunquista e inefficiente.
· Squilibrio nel dibattito pubblico:
Nel dibattito politico
e mediatico, i diritti sono spesso utilizzati come strumenti per
rivendicare cambiamenti o protezioni, mentre i doveri sono meno
frequentemente menzionati, forse perché richiedono una riflessione più
profonda sulla responsabilità individuale e collettiva. Questo squilibrio
può portare a una visione unilaterale, in cui si dà per scontato che i
diritti possano esistere senza un corrispondente impegno verso i doveri.
Nella società moderna, caratterizzata da
individualismo e consumismo, i doveri sono spesso considerati appannaggio
esclusivo delle istituzioni. Questo può portare a una mancanza di
responsabilità collettiva e a un indebolimento del tessuto sociale.
Riflettere sui doveri significa
riconoscere che la protezione dei diritti richiede un impegno attivo da
parte di tutti i membri della società.
Per garantire la stabilità
dell’Occidente, è fondamentale riscoprire il rapporto tra diritti e doveri:
· Dovere di responsabilità personale: la libertà senza responsabilità
degenera in anarchia o assistenzialismo. La cultura del merito e
dell’impegno va riscoperta.
· Dovere di contribuire al benessere
collettivo: ogni
diritto presuppone un costo (sanità, sicurezza, istruzione), che va
sostenuto col farsi carico dei doveri e
con il rispetto delle leggi e il pagamento delle tasse.
· Dovere di difendere la libertà dei
cittadini: le
democrazie non sopravvivono senza il contributo attivo dei cittadini
(partecipazione politica, servizio civile, difesa dei valori democratici),
i quali possono godere a pieno dei diritti garantiti solo attraverso
l’assunzione di responsabilità costituita dall’assumersi i doveri sociali e
individuali.
In sintesi, il predominio dei diritti è
nato per proteggere l’individuo dagli abusi del potere, ma senza una
cultura dei doveri la società rischia di perdere coesione e funzionalità.
Oggi, il dibattito sui doveri è
particolarmente rilevante in relazione a temi come la globalizzazione,
l'immigrazione, il cambiamento climatico e la responsabilità sociale delle
imprese. In altri termini, dobbiamo passare dal “dirittismo” ad un nuovo
equilibrio Diritti/Doveri, senza scadere nell’errore opposto, quello
del “doverismo”.
Alcuni sostengono che l'Occidente debba assumersi
maggiori responsabilità globali, mentre altri temono che ciò possa limitare
i diritti individuali.
In conclusione, l'attenzione prevalente
sui diritti nell'Occidente non può significare un avvilimento dei doveri,
ma richiede un approccio intellettuale ben attrezzato per riflettere sulla
complessa interazione di fattori storici, filosofici, sociali e politici.
Il dibattito su come bilanciare diritti
e doveri è tuttora aperto e in evoluzione, ma il processo di
rielaborazione è ormai ineludibile.
Il recupero culturale sulla
valorizzazione dei doveri è urgente e critico in un momento in cui varie
“civiltà” vengono a contatto e interagiscono. Ad esempio le civiltà
asiatiche di antica origine (confuciana, indiana ecc.) , al contrario
dell’Occidente, privilegiano il sostegno ai doveri e ne promuovono la
supremazia individuale rispetto ai diritti.
Il fenomeno è particolarmente evidente
quando si guardi alla struttura delle società improntate alla civiltà
islamica. Queste basano in rapporti interpersonali e con le istituzioni
sulla Sharia, che regola ogni aspetto della vita, dai rapporti sociali all’economia.
In esse c’è una forte prevalenza dei doveri religiosi e comunitari sui
diritti individuali; l’individuo esiste in funzione della comunità
islamica. Si tratta, in genere, di società non laiche, ma teocratiche o con forti influenze
religiose, dove la legge si ispira alla volontà divina e non alla volontà
popolare.
E’ evidente che non possiamo pervenire a
mediazioni con esse, ma il fatto che in Occidente il senso del dovere non è
più così marcato, crea situazioni di criticità nella gestione della nostra
società. Perché da noi parlare di diritti accarezza l’elettore; parlare di
doveri, quanto meno, lo infastidisce.
Urge recuperare in Occidente un riequilibrio ineludibile tra diritti e
doveri, ispirandosi anche ad altre civiltà, ma senza perdere il suo nucleo radicale liberale e, soprattutto mantenendo la
capacità di utilizzare lo strumento del setaccio culturale e sociale: si
trattengano le “cose buone ed utili”, si scartino le negatività e le
disutilità. Insomma, non cadere
dalla padella del “dirittismo” alla brace del “doverismo”.
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Riflessione n° 138 (23-3-2025)
Manifesto
di Ventotene e non solo:
“Contestualizzare (*), compagni!
La nuova generazione progressista non
regge per incultura.
In
campo gli agit prop d’antan: i vecchietti Prodi, Fassino, Amato,
Bertinotti, Veltroni, D’Alema
Il (sempre più) vecchio zoccolo duro progressista vorrebbe dare una
mano ai giovanotti disorientati, scarsofacenti e afoni. Specie nella
polemica sul Manifesto di Ventotene, che quasi nessuno di loro ha letto.
Il santino con immaginetta spinelliana del Manifesto di Ventotene (uno
dei pochi rimasti) va, secondo l’RSA del PD, comunque salvaguardato. Parola
d’ordine di fronte alle critiche politiche della destra del terzo
millennio: contestualizzare gli strumenti individuati da Spinelli (Rossi dovette accodarsi).
Dal ruolo di avanguardia
dittatoriale dal partito
rivoluzionario, come strumento politico operativo; ai pesanti
interventi di stampo sovietico in materia di proprietà privata, come
strumento economico d’impronta della nuova società nella federazione
europea.
Il tentativo di
"contestualizzare" certe posizioni tardo socialrivoluzionarie del
Manifesto di Ventotene, è una strategia comune tra coloro che
vogliono difendere l’eredità storica del federalismo europeo senza
affrontarne le contraddizioni. Oltretutto, si possono “contestualizzare”
giudizi, opinioni, valutazioni, analisi, ma non gli strumenti di realizzazione
di un progetto politico ben articolato. Tuttavia, pur volendo procedere ad
una contestualizzazione onesta, non ci si può limitare a considerazioni benevolenti
con operazione puramente apologetica: è necessario riconoscere che il
progetto di Spinelli, per come venne concepito negli anni ’40, aveva
elementi fortemente illiberali e, dal 1948, inaccettabili.
I pensatori progressisti d’oggidì,
chiamati a far fronte alle critiche, si limitano a sostenere: “Che cosa si
poteva proporre, in piena guerra, da uomini ridotti al confino per
realizzare l’Europa federale?”, come se esistessero solo nazionalismi, fascismo e comunismo leninista. La
democrazia USA era in vita da oltre 160 anni; le monarchie parlamentari
erano anch’esse centenarie, ecc.
Ricapitoliamo gli strumenti politici
individuati da Spinelli e accettati da Rossi.
Il nodo della "dittatura del
partito trainante"
Spinelli e Rossi ritenevano che la
costruzione di un’Europa unita richiedesse una fase di transizione
autoritaria, in cui un partito rivoluzionario avrebbe dovuto guidare il
processo per impedire il ritorno dei vecchi nazionalismi. Questo approccio
non era una semplice "contestualizzazione" dovuta alla guerra ed
ai vincoli intellettuali dovuti al confino, ma rispecchiava una visione
tipica di molte élite rivoluzionarie del XX secolo: il cambiamento radicale
doveva essere imposto da un’avanguardia illuminata, anche contro le
decisioni dei cittadini.
Oggi questa impostazione appare
chiaramente incompatibile con i principi democratici e di difficile
contestualizzazione. Molti di coloro che hanno letto il Manifesto
preferiscono sorvolare su questo strumento leninista.
Gli Interventi sulla proprietà privata
Anche l’idea di un forte intervento
sulla proprietà privata, con nazionalizzazioni e piani economici
centralizzati, rifletteva la cultura politica dell’epoca. Negli anni ’40,
l’alternativa al capitalismo era vista quasi esclusivamente nel socialismo
di Stato o in forme di economia pianificata. Ma allora, se si giustifica
questo aspetto del Manifesto come da "contestualizzare",
bisognerebbe ampliare la contestualizzazione anche al sistema leninista dei
soviet ed al dirigismo economico dell’Unione Sovietica o, perché no? alle
politiche nazional autarchiche fasciste ed al ruolo dei fasci rivoluzionari
quale partito trainante. Eppure, non ho mai sentito far paragoni simili
da chi difende Spinelli
(praticamente annullato dalla nomenklatura del PCI degli anni ’50) né
suggerire, per completezza di analisi, simili parallelismi.
Conclusione
Una corretta contestualizzazione non
deve essere un'operazione selettiva volta a giustificare certe derive, ma
un'analisi critica del pensiero di Spinelli e dei suoi limiti. Il Manifesto
di Ventotene è stato un documento fondamentale per il pensiero federalista
europeo, ma non sul versante degli strumenti politici per la sua
realizzazione: le soluzioni politiche erano autoritarie allora e oggi – se
conosciute e ben comprese - non sarebbero accettabili. Il problema è che la
narrazione dominante presenta l’opera come un documento
"profetico" e privo di difetti, mentre meriterebbe una
riflessione più onesta e meno ideologica. Magari anche alla luce dei
comportamenti socio-politici riconosciuti e tenuti dai due estensori negli
anni successivi.
Va
notato che, proprio la risoluta e astiosa tenacia dei sostenitori del
Manifesto nel considerarlo santino fondamentale della loro cappellina di
partito ne sta mettendo in luce aspetti che molti dei fedeli non avevano
individuato, forse perché neanche mai letta l’opera integrale.
Lunedì
24 marzo, alle ore 21:30, su Quarta Repubblica, Porro manderà in onda il
video di un Prodi – sfuggito ai badanti dell’RSA – che “questiona da
anziano astioso” con una giornalista che aveva osato porre il problema dei
sistemi realizzativi individuati da Spinelli nel Manifesto.
Mi
auguro di poterlo pubblicare su questo sito.
(*) Ricordo la funzione
salvifica del processo di contestualizzazione. Una quindicina di anni fa,
Berlusconi raccontava l’ennesima
barzelletta. L’historiette prevedeva una esclamazione che Berlusca
trasformò in bestemmia. Coinvolto sulla vicenda, Monsignor Fisichella
assolse Berlusconi sostenendo che “la bestemmia andava contestualizzata!”.
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Riflessione n° 137 (21-3-2025)
Il
Manifesto di Ventotene, il PCI, Spinelli, Togliatti, Il Partito Radicale,
Rossi, Pannella.
Alcune
veloci riflessioni.
Seguono
valutazioni di Ernesto Galli della Loggia (2014)
Il
Partito Comunista Italiano (PCI) e Palmiro Togliatti non nutrivano grande
simpatia per il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto
Rossi. Le ragioni di questa diffidenza erano sia ideologiche sia
strategiche.
1.
Diffidenza ideologica: l'internazionalismo marxista contro il federalismo
europeo
Il Manifesto di Ventotene
proponeva un'Europa federale come risposta al nazionalismo e alle guerre,
sostenendo che la costruzione di uno Stato federale europeo fosse il primo
passo per superare gli Stati nazionali. Questo approccio era visto con
scetticismo dal PCI, che restava ancorato all'internazionalismo marxista e
alla lotta di classe
2.
L'influenza sovietica e la "questione nazionale"
Togliatti,
rientrato in Italia nel 1944 con la Svolta di Salerno, adottò una
linea politica pragmatica: il PCI doveva integrarsi nel sistema democratico
italiano e guadagnare consenso nelle istituzioni. In questo contesto,
l'idea di un'Europa federale non era una priorità per il PCI, che puntava
piuttosto a rafforzare il proprio peso politico in Italia e nei rapporti
con l'Unione Sovietica.
Mosca vedeva con sospetto qualsiasi
progetto di unificazione europea non sotto la sua influenza, temendo che
potesse servire a contrastare l'espansione sovietica nel dopoguerra. Il
PCI, fedele alla linea sovietica, si adeguò a questa visione, osteggiando
l'integrazione europea, specialmente nel contesto della nascita della
Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) del MEC poi della CEE,
viste come strumenti dell'imperialismo occidentale e ostacolo
all’internazionalismo comunista.
Spinelli
e Rossi [che nel dopoguerra mantenne
il suo impegno federalista, ma con un approccio più pragmatico e critico
rispetto all’utopismo iniziale del Manifesto di Ventotene].
immaginavano un'Europa post-bellica in cui la borghesia e il capitalismo
venissero superati attraverso una transizione rivoluzionaria. Nel testo si
parla esplicitamente della necessità di abolire la proprietà privata dei
mezzi di produzione e di instaurare un regime transitorio con una
"dittatura del partito rivoluzionario", che avrebbe dovuto
garantire l'attuazione delle riforme necessarie per costruire una società
socialista.
Anche
se il Manifesto parlava di socialismo e rivoluzione, il PCI non lo
considerava un progetto compatibile con la propria linea politica. Le
ragioni erano:
· L’alleanza con l’URSS: il PCI seguiva la
linea di Mosca, che non vedeva di buon occhio un’Europa federale
indipendente.
· La diffidenza verso Spinelli: il suo progetto
era rivoluzionario, ma non comunista in senso marxista-leninista, e
soprattutto rifiutava il modello sovietico.
· Il ruolo degli Stati nazionali: il PCI
vedeva l’Italia come un paese chiave per la rivoluzione socialista, mentre
il Manifesto proponeva un superamento degli Stati, cosa che avrebbe tolto
potere ai partiti nazionali.
Quindi,
anche se il Manifesto parlava di dittatura del partito rivoluzionario e di
socialismo, il PCI non poteva accettarlo perché non si allineava con
l’ideologia sovietica e con la strategia del partito in Italia. In questo
senso, il PCI lo considerava un progetto "eretico" rispetto
all’ortodossia comunista.
3.
Il PCI e l’eresia borghese del federalismo.
Il
PCI considerava il federalismo europeo una prospettiva troppo legata a
correnti liberal-socialiste e borghesi, che non mettevano in discussione i
fondamenti del capitalismo. Mentre il Manifesto di Ventotene
auspicava un'Europa costruita su basi socialiste, il PCI restava ancorato
alla visione della lotta di classe e alla centralità dello Stato nazionale
come strumento di trasformazione sociale.
4.
Spinelli, un sopportato nel PCI
Altiero
Spinelli, che in gioventù era stato vicino al comunismo, si allontanò
progressivamente dal marxismo ortodosso e dal PCI, fino a diventare un
forte critico sia del capitalismo americano che del socialismo sovietico.
Negli anni successivi, come europarlamentare e promotore dell'integrazione
europea, si scontrò più volte con la sinistra comunista italiana, che
continuava a vedere con sospetto il processo di unificazione europea.
5) Rossi, un ispiratore per i radicali.
Se
Spinelli fu emarginato nel PCI,
Ernesto Rossi, pur non avendo un ruolo diretto nel Partito Radicale
fondato nel 1955, fu un'importante fonte di ispirazione per i radicali, in
particolare per Marco Pannella.
Il
Partito Radicale portò avanti molte idee di Ernesto Rossi, in particolare
sul liberalismo, sul laicismo e l’anticlericalismo, sul federalismo
europeo, sulla democrazia interna al partito. Dopo la sua morte nel 1967, i
radicali ne ne continuarono molte battaglie.
In conclusione, il PCI e Togliatti non
condividevano la visione del Manifesto di Ventotene perché la
ritenevano troppo distante dalla loro strategia politica e dall'influenza
sovietica. La loro priorità era il rafforzamento del PCI in Italia e il
mantenimento dei legami con l'URSS, mentre il federalismo europeo era visto
come un progetto borghese e incompatibile con la lotta di classe e di
ostacolo alla presa del potere da parte dei partiti comunisti nazionali.
Per questo motivo, il PCI fu, almeno inizialmente, contrario
all'integrazione europea e non appoggiò le idee di Spinelli.
Al
contrario, per i Radicali e Marco
Pannella, il Manifesto di Ventotene era un documento essenziale,
visionario e ispiratore, ma la sua piena attuazione richiedeva un impegno
continuo e una trasformazione radicale delle istituzioni, affinché l’Europa
potesse abbracciare completamente quei valori di libertà, democrazia e unità
perché i suoi paesi potessero
trasformarsi in Stati Uniti d’Europa.
Personalmente
definisco il Manifesto di Ventotene un documento tanto anticipatore e
mobilitante negli obiettivi (Rossi) quanto datato e inaccettabile negli
strumenti e nei mezzi individuati (nel 1941) per raggiungere quegli
obiettivi (Spinelli). Peccato che sia stati trasformato in santino
miracoloso, con l’immaginetta di Spinelli ed il testo sul retro, dai
parroci della nomenclatura (non sono più in circolazione i “maestri della
chiesa”), ben sapendo che nessuno dei gonzi l’avrebbe mai letto. Pronti comunque
ad essere mobilitati contro gli infedeli sacrileghi iconoclasti.

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Riflessione n° 136 (15-3-2025)
UE.
Forza armata comune ed autonoma, mantenendo eserciti nazionali
L’IDEA.
Se
riuscissimo ad essere all’altezza, potremmo tagliare in due il problema: 1)
creare un nucleo europeo di esercito continentale con linee di comando e
controllo del tutto autonome rispetto ai governi nazionali e con entità di
riferimento sul tipo di un Consiglio di guerra europeo. La forza verrebbe
annualmente incrementata in funzione delle esigenze anche dei sistemi
d'arma e di altre variabili. 2) Lasciare in vita l'altra metà degli
eserciti nazionali con linee di comando come le attuali. Molti ns. generali
si sono espressi contro l'affidamento delle nostra FFAA a comandi centrali.
Per questo si manterrebbero forze nazionali gestite dalle strutture
militari esistenti. Certamente occorreranno misure di coordinamento, ma
credo che questo sia il modo di procedere.
Riflettiamo:
siamo proprio sicuri che le difficoltà da affrontare siano quasi
insuperabili? Prendiamo esempio dal
pragmatismo dei “banchieri”, in grado di valutare l’utilità economica e di
settore di progetti che sembrano scardinare l’ordine costituito. Hanno
capito che, rinunciando a tradizionali posizioni di rendita, la creazione di una moneta comune e di
una banca centrale di rango superiore alle banche centrali nazionali, sarebbero
state iniziative vincenti,
portatrici di utili e di
nuovo potere – non solo di settore - in ambito UE.
Risultato:
creazione della BCE e dell’euro. Detto, pensato, approfondito e fatto.
La
cosa si deve necessariamente approfondire. Emergono, infatti, vari,
serie questioni.
A)
PROBLEMI.
1. Autonomia
del comando europeo:
o
Un Consiglio di guerra europeo dovrebbe
avere un’autorità indipendente e decisionale. Ma chi lo controllerebbe
politicamente? La Commissione UE, il Consiglio europeo, un organo nuovo?
o
La catena di comando autonoma rischierebbe di
entrare in contrasto con le politiche nazionali e con la NATO.
2. Ruolo
e finanziamento:
o
L’esercito comune avrebbe un orizzonte
necessariamente proiettato al di fuori della Ue, sugli scacchieri
geopolitici internazionali.
o
La forza comune necessiterebbe di un bilancio
comune, il che implica contributi obbligatori dagli Stati membri. Valutare
i meccanismi di formazione della volontà e i criteri di ripartizione?
o
Un aggiornamento continuo dei sistemi d’arma
implicherebbe una politica industriale comune della difesa e in materia di
ricerca, in cui oggi vi sono forti divergenze tra Francia, Germania e
Italia.
3. Eserciti
nazionali paralleli:
o
Gli eserciti nazionali restano indipendenti,
con definizione precisa di ruoli e mansioni. Come potrebbero definirsi
ambiti, modalità e campi di
intervento in eventuali missioni missioni autonome o parallele rispetto
all’esercito europeo?
o
La duplicazione di strutture potrebbe ridurre
l’efficienza complessiva, a meno che non si stabilisca una chiara
ripartizione dei ruoli (ad esempio, difesa del territorio per gli eserciti
nazionali e proiezione esterna per la forza comune).
4. Problemi
politici e sovranità:
o
La creazione di una forza autonoma richiede una
forte volontà politica e trattati vincolanti tra gli Stati. Alcuni Paesi,
come (Polonia? Ungheria? Francia?), potrebbero opporsi a cedere potere
decisionale su questioni militari.
o
In Francia e Italia, molti generali si
oppongono a un comando europeo che li priverebbe di controllo diretto sulle
FFAA. Come convincere le élite militari nazionali?
B)
UN PROGETTO PER GRANDI LINEE
·
Modello di esercito europeo a
doppia struttura
Forza
continentale comune integrata:
struttura, comando, missioni, finanziamento.
Gestione
della forza nucleare della Francia. Problema enorme.
Eserciti
nazionali autonomi: funzioni, coordinamento con la forza europea,
interoperabilità.
Ruoli
NATO e UE: possibili sovrapposizioni e differenziazione.
·
Governance e comando:
Creazione
di un Consiglio di guerra europeo e definizione della sua autorità.
Linee
di comando e rapporti con i governi nazionali.
·
Modello di finanziamento e
industria della difesa:
Fondo
europeo per la difesa: modalità di contribuzione e gestione.
Integrazione
dei complessi militari-industriali nazionali anche di ricerca.
C) PROPOSTA OPERATIVA PER LA CREAZIONE DI UN
ESERCITO EUROPEO A DOPPIA STRUTTURA
C.1)
Struttura Generale
L’iniziativa
prevede la creazione di un esercito europeo articolato in due componenti
principali:
Forza
Integrata comune: un’unità militare autonoma, con una catena di
comando europea e un’operatività sovranazionale.
Logistica
del tutto autonoma e ben distinta dalle forze armate nazionali.
Eserciti
Nazionali: mantengono l’attuale struttura e catena di
comando, con funzione principale di difesa territoriale.
C.2)
Governance e Comando
Consiglio
di Guerra Europeo: organismo indipendente con rappresentanza
proporzionale degli Stati membri, incaricato della pianificazione
strategica.
Comando
Operativo Europeo: unità di comando con sede centrale,
responsabile dell’impiego della Forza armata comune e della sua
interoperabilità con gli eserciti nazionali.
Rapporto
con la NATO: coordinamento strategico senza
sovrapposizioni operative.
C.3)
Organizzazione della Forza Integrata comune
Composizione:
inizialmente un nucleo per ciascuno
dei principali Stati membri, con ampliamento progressivo.
Ruoli:
proiezione esterna, risposta alle crisi, deterrenza avanzata.
Formazione
e Standardizzazione: addestramento comune e utilizzo di sistemi
d’arma interoperabili.
E’
sempre presente il problema della gestione della forza nucleare francese
C.4)
Finanziamento e Industria della Difesa
Bilancio
Europeo della Difesa: contribuzione obbligatoria degli Stati membri
in base al PIL e al livello di partecipazione.
Acquisti
e Ricerca: centralizzazione degli investimenti per
evitare duplicazioni e rafforzare l’industria europea.
Sviluppo
di Capacità: priorità a progetti europei come caccia,
mezzi corazzati, lanciatori unità
navali.
C.5)
Coordinamento con gli Eserciti Nazionali
Interoperabilità:
programmi di addestramento congiunti e sistemi di comunicazione integrati.
Ruoli
Specifici: gli eserciti nazionali mantengono la difesa
territoriale e supportano l’esercito europeo in operazioni congiunte.
Unità
di Riserva Europea: creazione di forze di riserva integrate per
supportare entrambe le strutture.
D)
Implementazione progressiva
Si
procede necessariamente per fasi: Fase 1: istituzione delle prime
unità integrate. Fase 2 : espansione delle forze, piena
interoperabilità con gli eserciti nazioneli. Fase 3: Capacità
operativa e indipendenza strategica
rafforzata.
E)
Ostacoli
Resistenze
politiche: utilizzo della cooperazione rafforzata per
coinvolgere solo gli Stati disponibili.
Opposizione
delle élite militari: garanzia di ruoli chiari per gli eserciti
nazionali e coordinamento stretto con i comandi nazionali.
Equilibrio
con la NATO: affiancamento e non innesto di un corpo
estraneo forzato nell’Alleanza
Atlantica.
Conclusione
Questo
modello consente di rafforzare la difesa europea senza compromettere la
(ancora gelosa) sovranità nazionale,
garantendo una capacità militare integrata e competitiva. La sua attuazione
graduale permette di minimizzare i rischi politici e operativi, costruendo
un’Europa della difesa più coesa ed efficace.
L’alternativa
ad un esercito comune europeo non può che riguardare la cooperazione rafforzata tra alcuni Stati,
partenariati bilaterali (ad es. Francia-Germania, Italia-Spagna). Ma i
problemi di gestione, di rapporti, di operatività restano esattamente gli
stessi che si dovrebbero affrontare con la creazione di un esercito comune
europeo. Con gli stessi problemi di
individuazione delle strategie per superare le resistenze di alcuni
stati membri.
Tanto
vale pensarla alla grande.
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Riflessione n° 135 (12-3-2025)
Riprendo
Machiavelli per arrivare – velocemente – a Trump.
Machiavelli,
nel Principe, sostiene che per un sovrano è meglio essere temuto che amato,
se non può essere entrambe le cose, perché la paura è un sentimento più
stabile e duraturo rispetto all'amore, che è volubile e dipende dalla
gratitudine e dalla lealtà dei sudditi, non sempre cristalline. Tuttavia,
precisa che il timore non deve mai trasformarsi in odio, perché questo
potrebbe portare alla ribellione.
La
sua visione è fortemente pragmatica e si basa sull'osservazione della
natura umana e della politica del suo tempo. Nell'ottica di Machiavelli, la
politica non è guidata da princìpi morali assoluti, ma dalla necessità di
mantenere il potere e garantire la stabilità dello Stato. Ed il Principe,
opera in concorrenza con paesi in cui dominano altri Principi.
Oggi,
in un contesto democratico, questa logica può essere applicata in modo
diverso: il timore può tradursi in rispetto dell'autorità e della capacità
decisionale, ma senza il consenso popolare e la fiducia, un leader rischia
di perdere il suo potere nel lungo periodo. Tuttavia, in scenari autoritari
o in situazioni di crisi, l'uso del timore può ancora rivelarsi efficace.
In
un'ottica personale, oggi, il
Principe potrebbe essere più incline al timore da parte dei suoi sudditi,
ma credo sia di gran lunga superiore l'essere stimato (cosa diversa
dall'essere amato) piuttosto che l'essere temuto.
Essere
stimati è diverso dall’essere amati e può avere un valore più duraturo
rispetto al semplice timore. La stima si basa su competenza, autorevolezza,
apprezzamento della qualità delle decisioni e coerenza, mentre il timore è
spesso legato alla coercizione o alla forza, elementi che nel lungo periodo
risultano umanamente molto costosi e possono generare risentimento o
ribellione, che non sempre si mantengono sottotraccia.
Machiavelli
fu molto mal considerato dai dotti suoi contemporanei: La chiesa cattolica
lo accusò di paganesimo,
ateismo, empietà. Dagli avversari politici fu tacciato di cinismo,
spietatezza, crudeltà e calcolo. Il fiorentino, scriveva in un contesto in
cui la stabilità del potere era spesso minacciata da congiure e tradimenti,
quindi la sua preferenza per il timore aveva una logica contingente. Ma se
guardiamo alla politica moderna e alla leadership in generale, i leader più
efficaci sono quelli che riescono a farsi rispettare e stimare, piuttosto
che quelli che governano con il pugno di ferro.
Oggi,
credo che tutto dipenda dalla collocazione internazionale del paese in cui
governa il Principe. In un mondo libero, come – in genere – l’Occidente, il
timore è addirittura controproducente e, alla prima mossa falsa o
incertezza del Principe, costui si ritroverebbe del tutto squalificato se
non addirittura defenestrato. Se invece il paese del Principe è in un mondo
in cui dominano assetti autarchici, può anche puntare sul timore che però
porterebbe i “sudditi” a far coincidere la sua fine come la fine della
paura.
Il
contesto internazionale, quindi, gioca un ruolo cruciale sia
nell’interrogare ancora Machiavelli che
nella modalità con cui un leader esercita il potere. In un sistema
aperto e interconnesso, dove l’opinione pubblica, i media e le istituzioni
democratiche hanno peso, governare col timore è spesso insostenibile. Un
leader che basa il proprio potere sulla coercizione rischia di essere
rapidamente messo in discussione alla prima debolezza.
Al
contrario, in un sistema autarchico o isolato, dove il controllo delle
informazioni e la repressione sono più “comuni” e facili da esercitare, il
timore può essere un mezzo efficace per accettare quelle repressioni e
mantenere il potere. Tuttavia, questo stato di cose crea un legame tra il
destino del leader e quello della paura stessa: se il Principe autocrate
non ha ben pensato e organizzato la successione, alla sua caduta, il popolo
potrebbe vedere la sua fine come una liberazione, aprendo la strada a
rivolte e/o a un cambio radicale del sistema.
Quindi,
potremmo dire che la scelta tra essere temuti, stimati o amati dipende non
solo dalla volontà del singolo leader, ma anche dalle condizioni
strutturali sociopolitiche del sistema in cui opera.
Possiamo
tradurre questi concetti ed applicarli a situazioni concrete.
Ad
esempio, Trump è amato da metà degli americani e disistimato o temuto
dall'altra metà. Ma della posizione interna poca si interessa. A Trump
interessa più l'essere temuto dagli altri Principi (canadese, danese,
russo), essendo il Principe più potente. Quindi, l’ottica si sposta dal
rapporto tra il leader e il popolo al rapporto tra il leader e gli altri
leader, un aspetto che, per tornare al nostro, Machiavelli stesso avrebbe
trovato cruciale. Trump, più che concentrarsi sulla coesione interna dove, salvo
grosse cazzate, per legge godrà di quattro anni di potere, è amato da una
parte e odiato dall’altra, ha
puntato molto sulla proiezione esterna della sua forza, ritenendo molto
utile l’ essere temuto dagli altri Principi operanti sulla scena globale. Ed credo che sia
certo di potersi fermare prima di esondare verso l’odio o il non poterne
più da parte degli altri Principi.
La
sua dottrina, riassumibile nello slogan esplicito “America First” e
implicito “Donald first”, ha privilegiato il concetto di deterrenza e
imprevedibilità, spesso utilizzando il linguaggio della minaccia (sia
economico/finanziaria che militare) per ottenere vantaggi negoziali. Ha
imposto dazi alla Cina, ha minacciato di uscire dalla NATO se gli alleati
non avessero aumentato la spesa per la difesa, ha “avvisato” l’Iran,
minacciandolo di distruzione se dovesse venir ucciso, ha messo gli occhi su
Canada e Groenlandia. In questi
casi, lusinga – magnificando ricchezze future - i cittadini americani, ma -
parallelamente - cerca di imporsi ai leader stranieri come un attore anzi,
il primattore che non esita a forzare le regole del gioco. Forzature
permesse solo all’uomo più potente del mondo. Cioè, a the Donald. Il quale
ritiene di potersi “fermare” in tempo, prima che le sue azioni declinino
inesorabilmente e vengano manifestamente rifiutate.
Questa
strategia può funzionare finché il Principe mantiene credibilità e potere
effettivo, ma presenta rischi: se il timore si trasforma in odio o coagula
scontenti crescenti contro di lui (oggi è facile coalizzare molte opinioni
pubbliche, ad esempio, contro
l’Occidente), il risultato può essere opposto a quello sperato. Inoltre, se
il Principe perde potere (ad esempio, non viene rieletto), o se il
successore da lui designato non risulta all’altezza degli eventi, può
trovarsi con un’eredità di ostilità difficile da gestire.In tal caso, l’era
del Principe coincide con la parabola terrena dello stesso Principe.
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Riflessione n° 134 (1-3-2025)
Se
Trump trascura alcuni valori dell’Occidente, innesca la decadenza degli
USA.
Ieri sera abbiamo assistito ad una sorta
di Studio Uno (chi ha i capelli bianchi sa di che parlo). C’è da capire se
la sceneggiata era con copione predefinito (con lo zampino di Elon?) o se
gli attori recitavano a braccio con evoluzione spontanea degli sviluppi e
con risultati non predeterminati.
In ogni caso (predefinita o
spontanea), la sceneggiata recitata
nello studio ovale ha permesso a
Zelensky di avere due notevoli risultati: 1) ha ottenuto
(riottenuto) la promessa di assistenza da parte di tutti i paesi europei,
compattati e decisi nell’affiancare l’Ucraina di fronte all'atteggiamento
di Trump e di Putin e 2) se gli USA vorranno continuare ad essere i
protagonisti nell' imporre la loro pace, dovranno abbassare le loro pretese
ed obbligheranno Putin ad abbassare le sue. Però,
ripeto, la tragicommedia era troppo ben organizzata in Mondovisione per non
avere un secondo fine nascosto. Ed il secondo fine potrebbe essere proprio
il ridimensionamento delle pretese di Putin. Anche con la minaccia di Trump
di tirarsi via dai giochi e lasciare la Russia a vedersela da sola con gli
europei.
Se, invece, la sceneggiata trasmessa dallo studio
ovale non è stata programmata, Trump ha sbagliato a trascurare uno dei
valori portanti della civiltà occidentale: l’aspirazione alla libertà
nazionale contro ogni imposizione autoritaria esterna. E la pièce dallo
studio ovale ha, come risultato più eclatante, quello di mettere gli USA
fuori dalle logiche democratiche dell’Occidente. Infatti, agli occhi degli
Occidentali e non solo, la forzatura del presidente USA ha in tal modo
promosso Zelensky a paladino della
libertà del suo paese, esempio per tutti, e retrocesso Putin (e se stesso)
ad autocrati partoriti solo dal
potere militare dispiegabile dalle rispettive nazioni.
Trump non ha riflettuto sul fatto che
l’Ucraina è stata per 70 anni sotto il tallone di Stalin fino al 1953 e,
dal 2014, sotto quello, più umorale e meno grossolano, di Putin. E di Putin
il presidente americano si fa alleato, quindi, complice. Ne discende che l’Ucraina mal
sopporta il ritorno a gioghi imposti dall’esterno. Ne è risultata una serie di novità:
Zelensky ha immediatamente recuperato sul livello di gradimento personale presso i suoi
concittadini ed in termini internazionali; la UE ha toccato con mano la
propria inconsistenza geopolitica e, capita la lezione, cercherà di
provvedere a superare quei problemi. In ogni caso, l’Europa si dimostra
ancora una volta il miglior “ambiente” in cui vivere: per i principi dai
quali la sua popolazione ha ottenuto un imprinting insuperabile e ineludibile; per i suoi
valori in grado di attrarre il pensiero favorevole di molti paesi del
pianeta ed a far loro da esempio; per i suoi errori che ne fanno un
aggregato di civiltà in evoluzione, impegnato – anche se faticosamente - a
rigettare le negatività ed a valorizzare le positività. Comicia a capire
che cosa “deve” fare da grande. Sosteneva Jean Monnet che: «L’Europa sarà
forgiata dalle sue crisi e sarà la somma delle soluzioni trovate per
risolvere tali crisi»
Se non è stata una scenetta da Studio
Uno, con la sua forzatura incomprensibile,
Trump si è messo fuori dal perimetro della civiltà occidentale: se
ritiene di poter gestire il più potente paese del mondo come se si trattasse
di un’azienda che ha come unico obiettivo quello di abbattere i
concorrenti, si esclude da solo dalle dinamiche e dalle linee di tendenza democratiche
della geopolitica dell’Occidente.
Ora,
sia Trump che Zelensky hanno dovuto lasciare la palla all’Europa, perdendo
improvvisamente di centralità. Certo,
Bruxelles avrebbe bisogno non della Van der Leyen e delle forze
perdenti che la sorreggono, ma di ben altro e Parigi e Londra (uniche potenze atomiche
europee, vista la debolezza della UE, cercheranno di prendere la palla al
balzo e, sbagliando ancora una volta, di gestire pro domo loro la vicenda,
nel tentativo di trascinarsi dietro
gli altri paesi.
Bene
ha fatto Giorgia Meloni a cercare di riordinare l’Occidente (https://media.licdn.com/dms/image/v2/D4D22AQGWf1sS-OcabQ/feedshare-shrink_2048_1536/B4DZVOp1yXHAAo-/0/1740781351655?e=1743638400&v=beta&t=hANsGQNeKKw74JoAiJABXIPIceTaotaN4mNVn308w1k) chiedendo un incontro tra
tutti i paesi occidentali per ricomporre la frattura. Non credo che l’amor
proprio di Trump farà accettare agli USA l’iniziativa italiana. Ma, se non
assecondasse il nostro governo , non gli resterebbe che aizzare Putin
contro Zelensky. Sarebbe la fine delle alleanze occidentali, a cominciare
dalla Nato, e dello stesso Occidente.
A meno che Kiev non obblighi Zelensky ad una scena madre di
pentimento e di sottomissione agli USA, magari da mandare in onda, anche stavolta, dallo
studio ovale.
Con
l’accortezza di affidare la regia ad Antonello Falqui, per evitare nuovi
passi falsi.
|

Riflessione n° 133 (27-2-2025)
Finanziamenti
all’Ucraina. Ho chiesto a 5 sistemi di IA
Visto
che l’argomento dei finanziamenti mondiali all’Ucraina non trova risposte
univoche da parte dei singoli stati, ho chiesto a 5 sistemi di IA di rispondere
al quesito, sia in merito ai finanziamenti USA sia a quelli dei paesi
Europei.
Ecco
le risposte, anch’esse non univoche:
|
MN/CHAT
GPT
A) Hai
detto: Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina
ChatGPT
ha detto:
Fino
a febbraio 2025, gli Stati Uniti hanno stanziato circa 175 miliardi di
dollari in aiuti all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa nel 2022. Di
questi, circa 120 miliardi sono stati destinati direttamente all'Ucraina,
suddivisi in 67,3 miliardi per assistenza militare, 49 miliardi per
supporto al bilancio governativo e 3,6 miliardi per aiuti umanitari.
Il Wall Street
Journal
È
importante notare che alcune dichiarazioni pubbliche hanno riportato cifre
più elevate; ad esempio, l'ex presidente Donald Trump ha affermato che gli
Stati Uniti avrebbero speso 350 miliardi di dollari per l'Ucraina.
Tuttavia, queste cifre sono state smentite da fonti ufficiali e analisi
indipendenti.
Fanpage
Inoltre,
sebbene gli Stati Uniti siano il singolo maggior donatore, i paesi europei,
collettivamente, hanno fornito un supporto diretto all'Ucraina superiore a
quello degli Stati Uniti, con un totale di 138 miliardi di dollari.
Il Wall Street
Journal
Recentemente,
gli Stati Uniti e l'Ucraina hanno raggiunto un accordo in base al quale
Kiev cederà una parte dei proventi derivanti dalle sue risorse minerarie
agli Stati Uniti in cambio di ulteriori aiuti finanziari e militari.
Tuttavia, la versione finale dell'accordo non include garanzie esplicite di
sicurezza per l'Ucraina.
ilfoglio.it
In
sintesi, gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina circa 120 miliardi di
dollari in aiuti diretti fino a febbraio 2025, con ulteriori fondi
stanziati per attività correlate. Le cifre più elevate riportate in alcune
dichiarazioni non trovano riscontro nei dati ufficiali.
B)
Quanti milioni di dollari hanno
ceduto i paesi europei all'Ucraina?
ChatGPT
ha detto:
Dall'inizio
dell'invasione russa nel febbraio 2022 fino a novembre 2024, l'Unione
Europea e i suoi Stati membri hanno mobilitato circa 124 miliardi di euro a
sostegno dell'Ucraina.
Milano Finanza
Questa
cifra comprende assistenza economica, militare e umanitaria, nonché fondi
destinati alla ricostruzione del paese. In particolare, oltre 43,5 miliardi
di euro sono stati destinati al sostegno militare, di cui 6,1 miliardi
provenienti dal Meccanismo per la Pace europeo.
Eunews
È
importante notare che queste cifre sono espresse in euro; convertendo
l'importo totale in dollari statunitensi, utilizzando un tasso di cambio
approssimativo di 1 euro = 1,10 dollari, si ottiene una somma di circa 136
miliardi di dollari.
|
MN/CLAUDE
A)
Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina
Dal 2022 all'ottobre 2024 (il mio limite
di conoscenza), gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina assistenza per un
valore di circa 75-80 miliardi di dollari. Questo aiuto è stato distribuito
attraverso diversi pacchetti e include:
·
Assistenza
militare diretta
·
Supporto
economico
·
Aiuti
umanitari
·
Fondi
per il funzionamento del governo ucraino
Nel giugno 2024, il Congresso aveva
approvato un ulteriore pacchetto di aiuti di circa 61 miliardi di dollari
dopo mesi di stallo, portando il totale a quella cifra.
Va notato che non ho informazioni su
eventuali ulteriori aiuti che potrebbero essere stati stanziati o erogati
dopo ottobre 2024.
B)
Quanti milioni di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?
Sulla base delle mie conoscenze che
arrivano fino a ottobre 2024, i paesi europei (compresa l'Unione Europea
come istituzione) hanno fornito complessivamente decine di miliardi di
euro/dollari in aiuti all'Ucraina da quando è iniziato il conflitto con la
Russia nel febbraio 2022.
Secondo il Kiel Institute for the World
Economy, che mantiene un database chiamato "Ukraine Support
Tracker", fino alla metà del 2024:
· L'Unione Europea e i suoi stati membri
avevano collettivamente impegnato oltre 100 miliardi di euro in
aiuti all'Ucraina
· Questa cifra include aiuti militari,
finanziari e umanitari
· Paesi come la Germania, il Regno Unito,
la Polonia e i paesi baltici sono stati tra i maggiori donatori europei in
proporzione alle dimensioni delle loro economie
Gli aiuti sono stati forniti in diverse
forme:
· Aiuti militari diretti (armi, munizioni,
equipaggiamenti)
· Sostegno finanziario al bilancio ucraino
· Aiuti umanitari
· Assistenza per i rifugiati
· Programmi di ricostruzione
Le cifre esatte potrebbero essere
diverse a febbraio 2025, poiché gli impegni di aiuto sono continuati e
potrebbero essere stati rivisti dopo la mia conoscenza aggiornata.
|
MN/DEEPSEEK
A)
Quanti miliardi di dollari hanno
ceduto gli USA all'Ucraina
Gli
Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina miliardi di dollari in aiuti
militari, economici e umanitari dall'inizio della crisi con la Russia, in
particolare dopo l'invasione russa del febbraio 2022. Secondo i dati
aggiornati a ottobre 2023, gli aiuti totali degli Stati Uniti all'Ucraina
superano i 100 miliardi di dollari. Questi fondi includono:
1. Aiuti
militari: fornitura di armi, equipaggiamento, addestramento e intelligence.
2. Aiuti
economici: sostegno finanziario per stabilizzare l'economia ucraina.
3. Aiuti
umanitari: assistenza per i civili colpiti dal conflitto.
Per cifre precise e aggiornate, consiglio
di consultare fonti ufficiali come il Dipartimento di Stato USA o il
B)
Quanti milioni di dollari hanno
ceduto i paesi europei all'Ucraina?
I
paesi europei e l'Unione Europea (UE) hanno fornito miliardi di dollari in
aiuti finanziari, militari e umanitari all'Ucraina, soprattutto a partire
dall'invasione russa del febbraio 2022. Tuttavia, non esiste una cifra
esatta e unica, poiché gli aiuti vengono erogati in modo continuativo e da
diverse fonti, tra cui singoli stati membri dell'UE e istituzioni europee
come la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e il Meccanismo Europeo di
Stabilità (MES).
Fino
a ottobre 2023, l'UE e i suoi stati membri hanno complessivamente impegnato
decine di miliardi di euro in aiuti all'Ucraina. Ad esempio, l'UE ha
approvato pacchetti di aiuti macrofinanziari per oltre 18 miliardi di euro
solo nel 2023, oltre a finanziamenti per la ricostruzione e aiuti
umanitari. Inoltre, molti paesi europei hanno fornito assistenza militare,
economica e umanitaria bilaterale, con cifre che variano da paese a paese.
Per
una cifra aggiornata e dettagliata, consiglio di consultare fonti ufficiali
come il sito della Commissione Europea o rapporti recenti dell'UE e di
organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI)
o la Banca Mondiale.
|
MN/ COPILOT
A)
Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina
Gli
Stati Uniti hanno fornito un sostegno finanziario e militare significativo all'Ucraina
dall'inizio dell'invasione russa. Le cifre esatte variano a seconda delle
fonti e di ciò che viene incluso nel calcolo (aiuti militari, finanziari,
ecc.). Secondo alcune fonti, gli Stati Uniti hanno stanziato circa 183
miliardi di dollari tra il 2022 e il 2024. Tuttavia, altre fonti riportano
cifre diverse, come 65 miliardi di dollari solo per l'assistenza alla
sicurezza2.
Se hai altre domande o vuoi approfondire
un argomento specifico, fammi sapere! 😊
B)
Quanti
miliardi di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?
I paesi europei hanno fornito un sostegno
significativo all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa. Secondo le
fonti, l'Europa ha contribuito con circa 156 miliardi di euro in
aiuti economici e militari dal 2022. Questo include fondi erogati dai
governi nazionali e dalle istituzioni di Bruxelles. La Germania è il
principale donatore europeo, con circa 17 miliardi di euro in aiuti
finanziari, umanitari e militari.
Se hai altre domande o vuoi approfondire un
argomento specifico, fammi sapere! 😊
|
MN/GEMINI
A) Quanti
miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina
Gli Stati Uniti hanno fornito un sostegno
finanziario e militare significativo all'Ucraina dall'inizio dell'invasione
russa. Le cifre esatte variano a seconda delle fonti e di ciò che viene
incluso nel calcolo (aiuti militari, finanziari, umanitari, ecc.), ma ecco
alcuni punti chiave:
·
Aiuti militari:
o
Secondo il presidente ucraino Volodymyr
Zelensky, gli Stati Uniti hanno fornito 67 miliardi di dollari in aiuti
militari dall'inizio dell'invasione su larga scala.
·
Aiuti complessivi:
o
Le stime degli aiuti complessivi forniti dagli
Stati Uniti all'Ucraina oscillano intorno ai 114 miliardi di euro.
o
Le cifre variano anche a seconda di come
vengono calcolati gli aiuti, se si considerano solo gli aiuti diretti o
anche quelli indiretti.
·
Confronto con altri Paesi:
o
Gli Stati Uniti rimangono il paese che
singolarmente ha donato di più all'Ucraina.
È importante notare che queste cifre sono in
continua evoluzione, poiché il conflitto è ancora in corso e gli aiuti
vengono costantemente forniti.
B)
Quanti miliardi di dollari hanno ceduto i paesi
europei all'Ucraina?
Determinare
l'esatto ammontare degli aiuti europei all'Ucraina è complesso, poiché le
cifre variano a seconda delle fonti e di cosa viene incluso (aiuti
militari, finanziari, umanitari, promessi o effettivamente erogati).
Tuttavia, ecco alcuni punti chiave:
· Superiore
agli USA:
o
In termini di aiuti complessivi, i paesi
europei e le istituzioni dell'UE hanno fornito un sostegno superiore a
quello degli Stati Uniti.
o
Secondo l'Ukraine Support Tracker dell'Istituto
per l'economia mondiale di Kiel, gli aiuti europei hanno superato quelli
americani.
· Dati in
evoluzione:
o
Le cifre sono in continua evoluzione, poiché il
conflitto è in corso e nuovi aiuti vengono costantemente annunciati.
o
Le cifre variano anche a seconda di come vengono
calcolati gli aiuti, se si considerano solo gli aiuti diretti o anche
quelli indiretti.
· Principali
contributori:
o
Tra i maggiori contributori europei figurano
Germania, Regno Unito, Francia e i paesi dell'Unione Europea.
o
L'Unione Europea stessa ha stanziato ingenti
fondi per l'Ucraina, sia sotto forma di prestiti che di sovvenzioni.
· Tipologie
di aiuti:
o
Gli aiuti europei comprendono:
§ Aiuti
militari: forniture di armi, munizioni e equipaggiamento.
§ Aiuti
finanziari: prestiti e sovvenzioni per sostenere l'economia ucraina.
§ Aiuti
umanitari: assistenza per i rifugiati e gli sfollati.
Per avere
una visione più dettagliata, è consigliabile consultare fonti come
l'Ukraine Support Tracker dell'Istituto per l'economia mondiale di Kiel e
le pubblicazioni delle istituzioni europee.
|

Riflessione n° 132 (24-2-2025)
Il
gatto, il cane e il padrone coglione. E chi ci capita.
Il
gatto.
Quando
un gatto viene accolto in casa, capisce subito di essere il sindaco di quel
nuovo ente locale che la sorte gli ha affidato. Gli abitanti non sono altro
che suoi assessori con deleghe: alla lettiera, alle coccole, alla pappa,
alla cuccia ecc. Se l'ente locale si arricchisce di un nuovo abitante, il
sindaco, molto contento, ha pronta una nuova delega da affidargli. Più
cresce la popolazione dell’ente locale, più il sindaco è felice.
Sindaco
e concittadini assessori sono sempre in equilibrio.
I
possessori di gatti amano ripetere l’adagio che sostiene che ”Il gatto è
l’unico animale ad aver addomesticato l’uomo”.
Il
cane.
Per
natura il cane si disinteressa dell'ente locale. E', invece, molto
preoccupato nella gestione delle gerarchie definite nel branco. In genere,
il cane accolto da giovanissimo capisce - se normalmente intelligente - di
essere ultimo nella gerarchia e, se il branco è stabile e senza nuovi
innesti, si comporta di conseguenza. e tutti vivono sereni nel rispetto dei
propri ruoli.
Per
lui i problemi cominciano qualora il branco si arricchisse - anche
temporaneamente - di nuovi
partecipanti, un bebè, un anziano che entra a convivere, una nuova famiglia
formata dai figli. La novità fa perdere al cane il vecchio consolidato
equilibrio gerarchico e e questo scossone lo fa entrare in fibrillazione. A
questo punto, se coloro che considera elementi alfa non sanno comportarsi e
non capiscono il problema, il cane può disorientarsi pericolosamente: prima
del nuovo arrivo, tutte le coccole erano per lui, ora non solo viene
trascurato, ma spesso viene anche rimproverato se assume atteggiamenti
curiosi ed invadenti nei confronti del nuovo arrivato. Non è raro, infatti
che il comportamento di padroni coglioni non solo tenda a trascurare la
bestiola, ma anche escluderla, rimbrottata, dalla vita affettiva del
branco. Al contrario padroni intelligenti capiscono di doverlo coinvolgere
perché conosca ed accetti la nuova situazione; capiscono altresì che è un
loro dovere educare lui e il nuovo elemento a comportamenti accettabili e
coerenti per tutto il branco: sia il cane che il nuovo membro devono
imparare a gestire il loro particolare rapporto gerarchico. Soprattutto non
devono cessare le affettuosità verso la bestiola e non deve essere escluso
dalla vita di branco, pur scombussolata dall'inserimento del nuovo
elemento.
Se
questo processo mirante a nuovi equilibri non viene adottato, il cane,
sempre più ansioso, tende ad avere
comportamenti mai manifestati in precedenza, fino a tentare di sfidare, alla prima occasione,
l' "intruso": alla prima tirata di coda o strapazzata della
pelliccia - in assenza, nella circostanza,
degli elementi del branco a lui superiori - potrebbe reagire con
violenza allo scopo di mettere in chiaro - per entrambi - il rispettivo
ruolo gerarchico.
Quindi,
i nuovi equilibri vanno costruiti con intelligenza da parte dei
"padroni", con attenzioni ed atteggiamenti educativi sia nei
confronti del cane che del nuovo venuto, altrimenti comportamenti
inconsulti del cane disorientato potrebbe creare tragedie.
Tutto
dipende non tanto dall'intelligenza della bestiola, ma da quella degli
elementi alfa del branco.
Questo
ritengo di aver capito avendo in famiglia il mio settimo cane, Spark (dopo
Boby, Lilla, Black 1, Black 2, Gico e
Zar), e avendo avuto, da giovanissimo, anche due gatti. Del primo
non ricordo il nome (ero molto piccolo) mentre avevo chiamato Miciocco il
secondo.
|

Riflessione n° 131 (15-2-2025)
La
UE: da mercato fornitore di domanda,
a entità politica?
.
Draghi bacchetta Bruxelles:
15-2-2025
Libero. Mario Draghi, siluro su
Bruxelles: "Il problema non sono i dazi di Trump, cosa non avete
fatto"
Penso che a molti governi dei 27 la UE non interessi proprio nulla.
Al massimo, calcolano come possono avvantaggiarsi dallo stato dell’Unione.
Bruxelles
sa benissimo che i governi dei singoli paesi si muovono sempre in una logica di
interesse nazionale, ma questo non significa che siano necessariamente
contrari all’UE. Piuttosto, cercano di trarre il massimo vantaggio
possibile dalla loro appartenenza all’Unione, bilanciando gli interessi
europei con quelli domestici. E’ proprio questo atteggiamento a non
permettere processi di revisione della governance dell’Unione.
I
governi di paesi definiti “forti”, come Francia e Germania, cercano di
usare l’UE come strumento di proiezione del loro peso geopolitico e –
possibilmente – di un suo potenziamento: la Francia (unico paese detentore
di bombe H della UE) spinge per
un’Europa più autonoma dagli Stati Uniti (ad es. la "sovranità
strategica" cara a Parigi) anche allo scopo di far valere la sua
caratteristica di unico paese “atomico”. La Germania ha usato per decenni
il mercato unico come fornitore di domanda aggregata, per rafforzare la sua
economia industriale e il surplus commerciale. Per loro, l’UE non è solo
un’istituzione da cui attingere risorse, ma anche un mezzo per consolidare
il proprio ruolo globale.
Altri
governi, specialmente quelli dell’Europa orientale (Polonia, Ungheria,
Romania, Bulgaria ecc), ma anche stati membri in crisi (Italia, Grecia in
passato), spesso sfruttano la struttura dell’UE per ottenere fondi o
margini di manovra economica e politica. Ad esempio, Polonia e Ungheria
ricevono ingenti finanziamenti europei, ma contestano apertamente le
decisioni di Bruxelles su Stato di diritto e politiche migratorie.
Ricordo
che gli ex paesi dell’Est, liberatisi nel ’90 dal tallone sovietico, non
accettano di buon grado la sostituzione di quel tallone spietato e
grossolano con uno (quello di Bruxelles) più soft, più “comprensivo”, ma
sempre caratterizzato dalla stessa immanenza.
L'Italia
è passata da paese i cui cittadini erano in forte maggioranza convintamente
europeisti a paese insofferente alle imposizioni burocratiche e, a volte ,
incomprensibili di Bruxelles. Ricordo, con una nota quasi di colore, il
divieto per i pescatori di raccogliere vongole di diametro inferiore ai 2,5
centimetri. L’Italia si definisce europeista purché la politica di
Bruxelles adotti parametri, criteri e si interesse di ambiti effettivamente
prioritari per i cittadini. I detrattori dell’Italia, invece, battono sul
fatto che l’Italia manifesti troppo spesso critiche alla politica della
Commissione per definire il nostro paese come euroscettico, sovranista,
critico circa il funzionamento delle
istituzioni dell’Unione, specialmente sulla gestione economica e sulla
governance finanziaria.
L’UE
come istituzione fragile e divisa è ben definita dall’adagio – ormai
internazionale – che l’America costruisce, la Cina copia e la UE
regolamenta. L’Unione Europea soffre di un problema strutturale che i suoi
paesi più forti non hanno mai voluto affrontare, tanto meno risolvere: la
UE non è uno stato federale, quindi ogni decisione cruciale richiede
procedure lunghe macchinose e il
consenso dei governi nazionali circa la formazione della volontà delle sue
istituzioni, procedure e meccanismi
che troppo spesso bloccano o rallentano le iniziative comuni. Questa
debolezza della governance europea permette ai singoli paesi,
indipendentemente dalla loro forza, di sfruttare le falle del sistema per
interessi nazionali, senza doversi impegnare veramente in una faticosa e lenta integrazione più profonda.
Il
vero punto di debolezza è proprio derivante dal fatto che i singoli
paesi vedono l’Unione come un
trampolino per i propri interessi. Alcuni lavorano per rafforzarla quando
conviene, altri cercano di trarne vantaggio nelle sue fasi di debolezza.
Bruxelles, invece, resta un’istituzione incapace di imporre una vera
direzione unitaria, perché priva di una sovranità politica indipendente
dagli stati membri.
I
fatti che si stanno verificando negli anni ’20 del terzo millennio hanno
messo a nudo la debolezza della UE, trattata ormai dalle altre potenze
(USA, Cina, India, Russia ecc.) come semplice mercato di sbocco delle
rispettive produzioni.
Non a caso, Trump, lungi dall’auspicare
che il suo più “naturale” e storico alleato diventi un alleato forte e
determinante, ci considera come mercato di sbocco della sua produzione (ad
esempio di armi) riducendo tutto alla richiesta di un aumento della domanda
in percentuale del PIL da spendere in sistemi d’arma, certamente americani.
MI
auguro che le situazioni di debolezza delle due nazioni dominanti (Francia
e Germania) e le aggressioni verbali e finanziarie degli USA, convincano i
27 a cambiare radicalmente rotta e, soprattutto, ad aumentare la velocità
dei suoi processi di accomodamento e di formazione della volontà
dell’Unione. Prima si convinceranno dell’utilità di questo cambiamento,
prima recupereremo un ruolo, non dico “adeguato”, ma almeno “decente” nello
scacchiere internazionale.
|

Riflessione n° 130 (12-2-2025)
Da cittadino consumatore a cittadino attore.
Le associazioni dei consumatori in
Italia si sono concentrate soprattutto sulla tutela dei diritti, ponendo
l'accento su questioni come la trasparenza dei contratti, la protezione
contro le pratiche commerciali scorrette, il diritto al rimborso, la
sicurezza dei prodotti e la difesa contro gli abusi delle grandi aziende.
Questo approccio ha sicuramente portato a risultati importanti in termini
di consapevolezza e tutela dei cittadini.
Tuttavia, il concetto di
"consumatore responsabile" – che implica anche doveri e non solo
diritti – è stato meno valorizzato. Anche perché mutuato da concezioni
politiche generali che hanno puntato la loro attenzione quasi
esclusivamente sui diritti dei cittadini, molto meno sui loro doveri.
Questa asimmetria nel discorso pubblico
ha contribuito a una percezione del consumatore come "soggetto da
tutelare" più che come “attore responsabile” nel sistema economico. Un
maggiore equilibrio tra diritti e doveri potrebbe portare a una società più
consapevole, con cittadini meno passivi e più capaci di influenzare
positivamente il mercato, la politica la società. In un'economia di mercato
matura, il consumatore ha un ruolo attivo nella selezione di prodotti e
servizi sostenibili, nel rispetto delle regole di pagamento, nella lotta
agli sprechi e nella prevenzione delle frodi
Se il focus si spostasse
significativamente sulla
valorizzazione della responsabilità individuale, si potrebbero ottenere
benefici sia per i consumatori stessi sia per il sistema economico nel suo
complesso, fino ad influenzare positivamente i rapporti politico-sociali
oltre che mercantili. Questo cambio di paradigma è fondamentale per
costruire un sistema sociale più equo ed efficiente.
Se i consumatori fossero maggiormente
educati non solo a difendersi dagli abusi, ma anche a comprendere il
proprio ruolo nel tessuto economico e sociale, si potrebbero ottenere
risultati significativi in diversi ambiti:
1. Qualità dei prodotti e servizi – Un consumatore attento premia le
aziende che operano con trasparenza e qualità, incentivando le buone
pratiche di mercato.
2. Sostenibilità – La scelta di prodotti etici e
sostenibili riduce gli impatti ambientali e sociali negativi.
3. Efficienza del sistema economico – Rispettare i contratti, pagare
puntualmente beni e servizi e non abusare delle tutele evita distorsioni
che ricadono sull’intera collettività (pensiamo agli aumenti di costo
dovuti a frodi o abusi nei resi).
4. Rapporto con le istituzioni – Un cittadino-consumatore consapevole
non si limita a chiedere protezione, ma pretende trasparenza e
responsabilità anche da parte dello Stato e delle autorità di regolazione.
L’Italia ha costruito un sistema
consumerista molto orientato alla protezione, ma potrebbe trarre
ispirazione da modelli esteri (Germania, Giappone) per sviluppare una
cultura del consumo più equilibrata:
1) Educazione al consumo responsabile da impartire già in età scolare e
conseguente vantaggio ed utilità per chi produce responsabilmente in
linea con i principi del consumo responsabile.
2) Pretesa di maggiore trasparenza e
informazione indipendente, non solo nel settore mercantile. Una completa informazione del cittadino
in ogni settore sociale è uno dei cardini dell’economia liberale. Un
cittadino critico e ben informato
rende le fake news molto meno incisive.
3) Valorizzazione del senso di comunità
e responsabilità sociale. Ne deriverebbe una maggiore compattezza e robustezza del corpo
sociale, in grado di rispondere meglio ai cambiamenti che la vita impone ei
singoli e alle nazioni. Una società dominata dal “dirittismo” è
disarmonica, costosa e spesso dannosa. Occorre bilanciarla col “doverismo”.
Questa concezione del cittadino come
attore responsabile più che soggetto da tutelare (emersa solo negli ultimi
anni) , era ben presente negli economisti liberali di 150 anni fa.
Riporto quanto affermava Marco
Minghetti (economista e Primo ministro nel 1863) circa la
responsabilità sociale, economica ed
anche morale in capo ai cittadini consumatori (da “Della economia
pubblica: e delle sue attinenze colla morale e col diritto”)

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Riflessione n° 129 (12-2-2025)
Civiltà araba tra cervello e muscoli.
Popoli
del Medio Oriente: materia grigia contro kalàšnikof
In Medio Oriente, i signori della guerra
Hamas, Hezbollah e Houti hanno
convinto la popolazione che si può battere l'Occidente solo con le armi.
Essendo loro i tenutari dei “muscoli”, dominano quei paesi con la forza.
Questi gruppi godono di un certo sostegno popolare, specialmente in
contesti dove mancano alternative politiche efficaci o dove il conflitto
con Israele alimenta il loro consenso. E vero invece, a mio avviso, che gli Arabi possono competere con
l'Occidente intellettualmente, con la loro intelligenza.
La proposta di Trump di fare della
Palestina la riviera del Medio Oriente è geopoliticamente bizzarra e credo
che l’idea sia di Elon Musk. E’ vero
però che solo tagliare fuori i signori della guerra dalle dinamiche di
governo può essere l'inizio di un cambiamento epocale per quei popoli e
quei territori.
Ma questo cambiamento richiederebbe
un'evoluzione nelle leadership politiche locali, nella governance e nello
sviluppo economico. Oggi quasi impensabile. Ma, secondo me, quella è
l’unica strada in grado di permettere il superamento di problemi annosi.
Prima i popoli arabi si convincono che
possono tener testa all’Occidente con la loro intelligenza (e non
imbracciando un fuciletto) prima risolveranno i loro problemi. Certamente,
nel contesto attuale sono vincenti per quei popoli le dinamiche “militari”
di potere: ideologie e interessi geopolitici che rendono il cambiamento un
processo lungo e complesso. Ma questa è una strada che la realtà ha
dimostrato senza uscita.
PS: Ho scritto questa breve nota avendo ancora vivido il ricordo delle
lezioni di storia del nostro prof. Italo Guidetti (prima metà degli anni
’60, Liceo Cavour di Roma): affrontava l’argomento della nascita e degli
sviluppi della civiltà araba, avendo la cattedra piena di testi, di
appunti, di articoli sull’argomento. Metteva in evidenza la notevole
intelligenza dei popoli semiti, in particolare, e di quelli mediorientali,
in generale. Basta guardare al
contributo allo sviluppo culturale dell’Islam dei primi secoli, mortificato
– anche in quelle circostanze – dalla pretesa di sostituire i bicipiti al
cervello: gli Arabi furono ristretti nel Nord Africa e in Arabia.
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Riflessione n° 128 (8-2-2025)
Organismi sovranazionali (ONU, CPI ecc.) in via di estinzione?
In materia di organismi
sovranazionali siamo alle solite: il dirittismo prevale assolu tamente sul
doverismo. Tutti i paesi hanno diritto a partecipare a quegli organismi, ma
nessuno ha il dovere di rispettare i principi democratici e i diritti dei
cittadini. Se non si supera questo sbilanciamento, esso li porterà, prima
ad essere trascurati e a non contare più nulla sullo scacchiere
internazionale e poi alla loro naturale
estinzione.
Alcuni organismi sovranazionali creati
decenni fa (come la Corte Penale Internazionale) o addirittura a metà
del secolo scorso (ONU) erano basati
su un’etica del lavoro, sul senso dell'onore e della professionalità di chi
rivestiva cariche operative. Oggi sono in crisi perché i responsabili sono
anzitutto uomini di parte ed hanno uno scarso senso dell'onore, avendo
perso completamente l’imperativo personale di far bene il proprio lavoro.
Hanno, al contrario, acquisito, infantilmente, il dovere/piacere di favorire
la propria fazione a danno di quella avversaria.
Il problema nella crisi di legittimità
delle istituzioni sovranazionali è oggi cruciale. Se inizialmente queste
organizzazioni si fondavano su un senso di professionalità, di buona fede e
sull'onore di chi le guidava, e sul piacere/dovere di far bene il proprio
lavoro, oggi sembrano soffrire di una politicizzazione crescente e, di
conseguenza, di una perdita di autorevolezza: non più quindi operare per il
successo dell’organizzazione, ma far sì che si avvantaggi la propria parte
contro quella avversaria.
A mero
titolo di esempio, si guardi alla scandalosa decisione di far assumere
all’Iran la presidenza del Forum sui diritti umani delle
Nazioni Unite. Non è una barzelletta, al Palazzo di vetro è successo anche
questo, scatenando una campagna di protesta internazionale da parte di
attivisti per i diritti umani che affermano che il record di oppressione,
tortura ed esecuzioni di Teheran lo rende a dir poco inadatto per
l’incarico, senza considerare la sua regia dei gruppi terroristici dietro
al 7 ottobre in Israele. Il capo degli affari esteri dell’Ue, Josep
Borrell, ha difeso la nomina dell’Iran come una mera questione di rotazione
regionale, “in coerenza con le procedure stabilite dalle Nazioni Unite”.
(da Il Foglio del 21-11-2023)
Al solito la UE brilla per la sua
capacità – prossima allo zero - di incidere sulle decisioni di questi
organismi.
Per citare un effetto della scarsa
credibilità attuale di molti organismi dell’ONU, basta citare le iniziative
di Trump: appena eletto, ha firmato un ordine esecutivo che ritira il suo
Paese da una serie di organismi delle Nazioni Unite, tra cui il Consiglio
per i diritti umani (Unhrc), e rivede completamente i finanziamenti
statunitensi all'organizzazione multilaterale. L'ordine esecutivo ha
dichiarato il ritiro di Washington dall'Unhrc e dalla
principale agenzia di soccorso delle Nazioni Unite per i palestinesi
(Unrwa) [Ha creato scalpore l’utilizzo di parte del personale e delle
sedi ONU in Palestina da parte di Hamas] e la revisione del coinvolgimento
nell’Unesco per l'educazione, la scienza e la cultura.
Vizi e difetti degli organismi
sovranazionali.
In sintesi, queste sono, a mio avviso,
le negatività che stanno mandando in malora organizzazioni meritevoli di
considerazione, almeno in passato:
1.
Accoglienza generalizzata.
In genere questi organismi
sovranazionali sono creati da paesi democratici. I quali ritengono che il
successo della loro iniziativa dipenda dal numero dei paesi che a quegli
organismi aderiscono. Questa valutazione ha portato ad accettare tutti i
paesi che hanno fatto richiesta senza che si siano valutate le sue
caratteristiche e le loro posizioni circa la democraticità della loro
struttura. Sta di fatto che, come si indicava in precedenza, ad un paese
teocratico, autocratico e medievale come l’Iran è stata
assegnata la presidenza del Forum sui diritti umani delle Nazioni
Unite.
2.
Politicizzazione degli organismi e delle
nomine
Le cariche operative nei grandi organismi internazionali sono spesso
assegnate più in base ad equilibri politici e giochi di potere tra Stati
membri che a reali competenze tecniche.
3.
Perdita di indipendenza
Molte istituzioni sovranazionali dipendono finanziariamente dai contributi
degli Stati più potenti, che esercitano influenza sulle loro decisioni.
4.
Decadenza della credibilità
Quando organizzazioni come l'ONU, la CPI o l'OMS non riescono a mantenere
una linea coerente e imparziale, la fiducia nei loro confronti crolla.
Alcune decisioni sembrano guidate più da interessi di blocchi geopolitici
che da principi universali. I responsabili di queste istituzioni spesso non
rispondono ai cittadini, ma ai governi e alle élite che li sostengono.
Questo riduce la pressione affinché operino con onore e responsabilità.
5.
Declino dell’etica tradizionale
Mentre nel passato le relazioni internazionali si basavano anche su un
certo codice d'onore e su un rispetto formale tra le nazioni, oggi il
pragmatismo politico e il cinismo (cioè l’incapacità a fare politica)
sembrano prevalere.
In sintesi, la crisi di queste
istituzioni non è solo legata alla qualità delle persone che le guidano, ma
anche a una trasformazione strutturale del sistema internazionale. Il
declino dell’unipolarismo americano e la crescente competizione tra blocchi
di potere rendono sempre più difficile il funzionamento di organismi che
dovrebbero agire come arbitri super partes.
Cancellare del tutto queste istituzioni
potrebbe essere rischioso, perché lascerebbe un vuoto che verrebbe colmato
da rapporti di forza ancora più brutali tra Stati e blocchi di potere.
Tuttavia, il loro funzionamento attuale è chiaramente inefficace e necessita
di una revisione profonda, pena l’estinzione inevitabile
Possibili soluzioni per una riforma
efficace:
Se si ritiene impraticabile o non auspicabile
una indagine sul rispetto dei diritti umani e sulla qualità della
democrazia nei paesi che chiedono l’adesione a questi organismi, si
dovrebbe almeno imporre delle linee di condotta interne miranti a:
1.
Depoliticizzazione delle nomine
Introdurre
criteri di selezione basati su merito e competenza, limitando il peso delle
pressioni geopolitiche nelle scelte dei vertici. In materia, occorrerà
lottare contri i paesi che ritengono di dover mantenere posizioni di predominio e redditizie, vero baluardo
ad ogni tentativo di riforma.
Prevedere
mandati non rinnovabili per evitare il consolidarsi di clientele e
favoritismi.
2.
Maggiore trasparenza
Rendere
pubblici e verificabili i finanziamenti ricevuti dagli organismi
sovranazionali. Creare organi di controllo indipendenti che valutino
l'efficacia delle decisioni e l’integrità dei funzionari.
3.
Limitare il potere degli Stati più
influenti
Ridurre
il peso dei contributi finanziari come strumento di pressione politica.
Dare più
spazio ai paesi emergenti orientati verso soluzioni democratiche interne,
riequilibrando le dinamiche decisionali.
4.
Migliorare il sistema sanzionatorio
Oggi, ad
esempio, le risoluzioni dell’ONU e le sentenze della CPI spesso restano
inapplicate. Occorre introdurre e/o rafforzare i meccanismi di imposizione
dell’applicazione per evitare che le
decisioni siano puramente simboliche.
5.
Ridefinire il ruolo di queste
istituzioni in un mondo multipolare
La loro
struttura è stata pensata in un’epoca in cui il mondo era dominato da pochi
attori principali. Ora, con l’emergere di nuove potenze (Cina, India,
BRICS), servono modelli di governance più flessibili, ma anche più
efficaci.
In conclusione, sia l’ONU che la CPI
soffrono di problemi di inefficienza, politicizzazione, mancanza di
strumenti esecutivi, costi eccessivi, scarsi controlli sulle missioni
decise, debole forza impositiva
Non è, però, realistico e tanto meno
utile, eliminare questi organismi privi di alternative pronte a
sostituirli, senza aver tentato di rimetterli in carreggiata con azioni di
buon senso ed in buona fede. Senza azioni decise e drastiche in tal senso,
senza coraggiose riforme
strutturali, il rischio è che diventino sempre più irrilevanti o
strumentalizzati. L’ideale sarebbe una loro trasformazione in istituzioni
realmente neutrali, efficaci e adatte a gestire il nuovo equilibrio
geopolitico globale.
Come in ogni organismo sociale creato
dagli uomini, il risultato dipende dalla qualità di chi in esso lavora ed
opera quotidianamente.
|

Riflessione n° 127 (5-2-2025)
Vicenda
Almasri. Le considerazioni di Nordio in Parlamento.
Illuminanti! Anche in merito all’operato dei giudici (due su tre)
della CPI dell’Aia.
Ho chiesto un parere tecnico a Chat GPT
Qui
potete seguire l’intervento illuminante di Nordio in Parlamento sulla
vicenda Almasri:
https://youtu.be/TOsVPVFQb5Y?si=SuRMnfP3b5TtRBlh
Ascoltatelo
con attenzione!
Poiché
dalle considerazioni di Nordio mi sembra di poter classificare i due
giudici (su tre) come molto poco professionali, ho chiesto a Chat GPT come è possibile intervenire
su di loro e sulla qualità del loro operato.
Ecco
la risposta:
Alla
mia domanda: “I giudici della Corte Penale internazionale
che non sono professionalmente all'altezza possono essere denunciati?”
ChatGPT
ha risposto:
ChatGPT
In linea di principio, i
giudici della Corte Penale Internazionale (CPI) godono di immunità
giurisdizionale per le loro funzioni ufficiali, come stabilito dallo Statuto
di Roma (articolo 48). Tuttavia, esistono meccanismi per rimuovere o
sanzionare un giudice che non sia all'altezza delle proprie responsabilità.
Strumenti per contestare
l'operato di un giudice della CPI
1.
Procedura
di rimozione o sospensione (Art. 46 e 47 dello Statuto di Roma)
o
Un
giudice può essere rimosso dall'incarico se viene accertato che ha
commesso gravi mancanze disciplinari, condotta inappropriata
o non è più in grado di svolgere le sue funzioni.
o
La
decisione di rimozione richiede una maggioranza di due terzi dei
giudici della CPI e dell'Assemblea degli Stati Parte.
2.
Misure
disciplinari (Art. 47 dello Statuto di Roma)
o
Se la
condotta non è così grave da giustificare la rimozione, il giudice può
essere soggetto a misure disciplinari, come un ammonimento
ufficiale.
3.
Denuncia
interna alla CPI
o
Chi
ritiene che un giudice stia agendo in modo incompetente o inappropriato può
presentare una denuncia all'Assemblea degli Stati Parte, che ha il
potere di avviare un'inchiesta.
4.
Pressioni
politiche e diplomatiche
o
Anche
se non esiste un meccanismo diretto per "denunciare" un giudice
della CPI in sede penale o civile, gli Stati possono fare pressioni
politiche e diplomatiche per sollevare questioni relative all'operato
della Corte.
Limiti alla responsabilità
dei giudici della CPI
· La CPI è un'istituzione
indipendente e i suoi giudici godono di immunità funzionale, quindi
non possono essere denunciati per le loro decisioni in tribunali nazionali
o internazionali.
· Tuttavia, se emergessero gravi
violazioni, come corruzione o abuso di potere, gli Stati Parte
potrebbero richiedere un'indagine e la possibile rimozione del giudice.
Se hai in mente un caso
specifico, possiamo approfondire i meccanismi giuridici più adatti.
Ho
risposto: Sì ho appena ascoltato le considerazioni del
ministro Nordio (ex magistrato) e mi sembra che la procedura seguita da due
giudici su tre sia del tutto lacunosa e non professionale. Tu che ne dici?
ChatGPT
ha detto:
ChatGPT
Se ti riferisci alla recente
decisione della Corte Penale Internazionale (CPI) e alle critiche
mosse dal ministro Carlo Nordio, ex magistrato e attuale ministro
della Giustizia, è utile analizzare la questione da un punto di vista
giuridico e politico.
La posizione di Nordio e il
problema dell'arbitrarietà
Se Nordio sostiene che due
giudici su tre abbiano agito in modo arbitrario o non professionale, la
questione diventa delicata sotto più profili:
1.
Giuridico: bisogna verificare se la
decisione sia conforme allo Statuto di Roma e se siano stati
rispettati i principi fondamentali del diritto internazionale.
2.
Politico: la CPI è spesso criticata
per decisioni percepite come selettive o influenzate da pressioni
politiche.
3.
Procedurale: se vi sono irregolarità nel
processo decisionale, gli Stati Parte della CPI possono intervenire per
segnalare il problema.
Possibili violazioni del
diritto
Se due giudici su tre hanno
agito in maniera arbitraria, potrebbero emergere profili di:
· Abuso di potere (se hanno ignorato prove
fondamentali o hanno distorto il diritto).
· Violazione della procedura (se non hanno seguito le
norme previste dallo Statuto di Roma).
· Motivazioni politiche (se la decisione è stata
influenzata da fattori esterni e non basata su criteri strettamente
giuridici).
Cosa si può fare?
Se le critiche di Nordio sono
fondate, l'Italia (o altri Stati Parte) potrebbe:
· Chiedere un riesame della
decisione
attraverso gli organi interni della CPI.
· Presentare una mozione
all'Assemblea degli Stati Parte per
valutare la condotta dei giudici.
· Sollecitare una revisione
delle procedure interne per
evitare futuri casi di arbitrarietà.
|

Riflessione n° 126 (30-1-2025)
Vicenda
Almasri. Oltre che acefala, si scopre una sinistra
italiana inesistente, quindi, pericolosa.
Da una parte, la sinistra ha scelto di
enfatizzare il presunto abuso di potere da parte delle autorità italiane,
spingendo la narrativa della discriminazione e della violazione dei diritti
umani. Dall’altra, si può osservare come questa posizione abbia trascurato
del tutto la necessità di garantire il rispetto delle leggi italiane e la
tutela della sicurezza nazionale.
Questa dinamica mette in luce una
tendenza ben nota della sinistra italiana: l'adozione di battaglie
ideologiche che spesso sfuggono alla logica dell’interesse nazionale e del
bene comune. Il caso Almasri ha rivelato una visione più orientata all’uso
strumentale del dibattito pubblico piuttosto che alla ricerca della verità
e della giustizia. Non solo, quindi, l’assenza avvilente del senso dello
stato, ma anche quella di un semplice senso degli interessi della
collettività.
L’immagine mentale che la vicenda mi
suggerisce è quella della la iena,
che si nutre di ciò che trova senza un autentico spirito di lotta, neanche
come predatrice. Ciò può essere visto come una metafora della strategia
politica della sinistra in casi come questo: più incline alla polemica e
all’indignazione selettiva che alla costruzione di un’analisi razionale e
coerente delle vicende. Se l’obiettivo fosse davvero quello di difendere i
diritti umani, allora dovremmo vedere lo stesso zelo in molti altri casi
che invece vengono ignorati o addirittura minimizzati.
Come sempre, restano centrali
alcune domande: chi difende davvero
l’interesse nazionale; chi aiuta la sinistra ad acquisire una dimensione
intellettuale da responsabile forza aspirante a governare una nazione
complessa come la nostra; che cosa può aiutare la sinistra ad affinare le
analisi socio-politiche in maniera tale da farne una affidabile forza di
governo, con un adeguato progetto per la società italiana? Perché con le
caratteristiche che si vengono scoprendo in vari frangenti della vita
politica italiana, quelle che improntano la nostra sinistra si scoprono
addirittura pericolose per la normale vita democratica di un paese evoluto
come l’Italia.
Anche perché, come afferma Giorgio Merlo
in Formiche.net: “…come emerge in modo persin troppo palese dalla sinistra
editoriale, dalla sinistra televisiva, dalla sinistra politica e culturale
c’è la volontà concreta di delegittimare il potere politico degli
avversari/nemici anche e soprattutto attraverso la cosiddetta “spallata
giudiziaria”. [à Con
il caso Almasri torna il vizio della scorciatoia giudiziaria. L'opinione di
Merlo - Formiche.net del 29-1-2025]
E’ chiaro che se i partiti di
un'opposizione utilizzano il sistema giudiziario come strumento per minare
la legittimità del governo avversario, senza (saper) fare più politica, si
rischia di danneggiare la credibilità delle istituzioni democratiche. I cittadini
potrebbero cominciare a vedere la giustizia come uno strumento al servizio
delle lotte politiche anziché come un organo imparziale. Con la
manipolazione del sistema
giudiziario, si potrebbe giungere a una delegittimazione dell'intero
sistema politico e giuridico, con danni irreparabili alla democrazia e alla
sua credibilità interna ed esterna
Con la destra al governo, il nostro
paese si scopre senza una adeguata opposizione: la tenuta democratica del
paese è a rischio.
Pensando ad Augusto, alla tragedia
di Teutoburgo e alla clades variana,
Berlinguer esclamerebbe: “ Elly, rendimi le mie sezioni!”.
|

Riflessione n° 125 (29-1-2025)
Si parla della censura sulla IA cinese di DeepSeek.
Riporto quanto mi è accaduto interrogando Chat GPT sulla grazia
concessa da Biden.
Si afferma che DeepSeek non può rispondere sui
fatti di Piazza Tien Anmen e su
argomenti scomodi per >Pechino perché
interviene il governo cinese a
censurare le risposte.
Leggete quanto mi è successo il 27-1-2025 interrogando Chat GPT sulla grazia
concessa da Biden a suoi familiari.
Ho chiesto a Chat GPT:
Biden ha graziato preventivamente tutta la sua
famiglia?
ChatGPT ha detto:
ChatGPT
No, non risulta che Joe Biden abbia concesso
una grazia preventiva a tutta la sua famiglia. Negli Stati Uniti, la grazia
presidenziale è un potere costituzionale che consente al presidente di
perdonare o ridurre le pene per reati federali, ma è raro che venga usata
in modo preventivo, cioè prima che vengano formalmente presentate accuse o
condanne.
Un caso famoso di grazia preventiva è stato
quello di Gerald Ford nei confronti di Richard Nixon dopo lo scandalo
Watergate, ma tali atti sono generalmente controversi e possono essere
percepiti come un abuso di potere.
Se hai letto notizie su questo argomento,
potrebbero essere speculazioni o disinformazione. Posso cercare
informazioni aggiornate per verificare se ci sono sviluppi recenti, se
desideri.
4o
Hai detto:
Ma se è su tutti i giornali del mondo
l'assoluzione preventiva per suo figlio....
ChatGPT ha detto:
ChatGPT
Mi scuso per la precedente informazione non
aggiornata. Effettivamente, negli ultimi giorni del suo mandato, il
presidente uscente Joe Biden ha concesso la grazia preventiva a diversi
individui, tra cui membri della sua famiglia. In particolare, ha graziato
suo figlio Hunter Biden, che era in attesa di sentenza per accuse di
possesso illegale di arma da fuoco e frode fiscale.
ANSA.it
Oltre a Hunter, Biden ha esteso la grazia
preventiva ad altri familiari stretti, come i suoi fratelli e cognati, per
proteggerli da potenziali azioni legali future.
Secolo d'Italia
Queste decisioni hanno suscitato ampie
discussioni e critiche, sia a livello nazionale che internazionale,
riguardo all'uso del potere di grazia presidenziale.
Fonti: 4o
Hai detto:
come mai questa defaillance?
ChatGPT ha detto:
ChatGPT
Potrebbe essere successo per uno di questi
motivi:
Informazioni non aggiornate: Se il fatto è avvenuto recentemente, è
possibile che non fosse incluso nel mio database pre-addestrato o che non
l'avessi ancora verificato tramite la ricerca online.
Ambiguità nella domanda: La tua domanda iniziale era generica
("Biden ha graziato preventivamente tutta la sua famiglia?"), e
ho interpretato che si trattasse di una generalizzazione non supportata da
fatti, perché in casi normali è raro che un presidente conceda grazie
preventive.
Caso specifico non chiaro: Anche se si tratta di un fatto molto
discusso, potrei non aver riconosciuto immediatamente l'evento a cui ti
riferivi. Le mie risposte iniziali si basano su informazioni generalmente
accettate, mentre la verifica online può fornire dettagli recenti o meno
noti.
Grazie per averlo segnalato! Ora cercherò di
essere più rapido nel verificare le informazioni prima di rispondere. 😊
Non si tratta di censura? Ma il risultato è lo
stesso! Se non avessi conosciuto l’argomento, forse mi sarei fermato alla
prima risposta e l’avrei presa per
buona.
|

Riflessione n° 124 (28-1-2025)
I problemi della Lega:
soffre la continua
riduzione analitica alla
localizzazione,
anche di problemi con valenze
internazionali
La
Lega, sin dalle sue origini, ha basato la propria identità politica su temi
di carattere locale e regionale, con una forte enfasi sulle questioni
interne, come il federalismo fiscale, il controllo dell'immigrazione e la
tutela delle piccole imprese. Questo approccio "interno" si è
rivelato vincente per anni, soprattutto nel Nord Italia, dove l'elettorato
si identificava con una visione che metteva al centro gli interessi
territoriali. Tutt’ora, il partito mantiene una forte connotazione regionalista
e localista, specialmente nelle sue roccaforti tradizionali come Lombardia
e Veneto. Questo localismo si manifesta nella promozione di politiche che
favoriscono l'autonomia regionale, la devoluzione di poteri dal governo
centrale alle regioni, e la difesa degli interessi locali, spesso percepiti
come in contrasto con quelli del Sud Italia o delle istituzioni centrali.
Soprattutto non sono in linea con gli attuali forti interessi della
popolazione per i problemi internazionali.
Infatti,
nel panorama attuale, le dinamiche geopolitiche e i grandi temi
internazionali (guerre, crisi energetiche, migrazioni su scala globale,
cambiamento climatico, Medio oriente, Ucraina, Formosa, Meloni, Putin,
Trump ecc.) sono diventati centrali nelle agende politiche e nell'interesse
dell'opinione pubblica. Molti cittadini elettori sono sempre più
consapevoli dell'interconnessione tra politiche locali e globali,
richiedendo una leadership capace di posizionarsi anche su questi temi e di
coniugarli anche dal punto di vista dell’elaborazione culturale e
intellettuale.
La
Lega sembra aver faticato a evolversi in questa direzione e si trova oggi
in difficoltà rispetto agli altri partiti, specie quelli di governo che
l’hanno sopravanzata nei sondaggi. Nonostante alcuni tentativi di Matteo
Salvini di proiettare il partito su scala nazionale e internazionale (ad
esempio, le alleanze con altri movimenti sovranisti europei), il messaggio
è rimasto spesso legato a processi interni, come la sicurezza o
l'immigrazione, senza una visione strutturata su questioni geopolitiche complesse
e senza valenze che le collegassero, proiettandole, a livello
internazionale.
In
un mondo in cui le scelte globali incidono pesantemente anche a livello
locale, il rischio per un partito focalizzato su problemi
"interni" è di sembrare anacronistico o di non offrire risposte
adeguate alle sfide più ampie. La difficoltà della Lega potrebbe dunque
derivare da questa difficoltà di aggiornamento strategico: non basta più
gestire il consenso su questioni locali, è necessario affrontare le nuove
sfide globali con una visione integrata e credibile.
Questa
dinamica dimostra come anche i partiti più radicati debbano adattarsi ai
cambiamenti del contesto storico e politico per mantenere rilevanza anche
alla luce dell’enorme interesse suscitato dagli avvenimenti e dai loro
sviluppi “naturalmente” internazionali.
La
capacità di interpretare e guidare l'opinione pubblica su temi complessi
come quelli geopolitici può diventare una discriminante fondamentale tra
chi rimane competitivo e chi invece rischia di perdere terreno. In altri
termini, è urgente per la Lega ampliare l’Agenda politica: Includere temi
di interesse nazionale e sovranazionale, come la sicurezza, l'immigrazione
come fenomeno mondiale, la crescita economica in rapporto a quella di altri
paesi, la digitalizzazione, che possano fornire una dimensione oltre il
regionalismo ed essere coniugata con inquadramenti internazionali.
|

Riflessione
n° 123 (25-1-2025)
Per i presidenti USA la
“deportation” è attività di routine.
Ecco che cosa è successo
negli ultimi 100 anni.
Le
“deportations” (lett. “rimpatri” e non “deportazioni”) sono azioni abituali
per i presidenti degli Usa. Soprattutto nei momenti in cui il fenomeno
dell’immigrazione illegale assume, quantitativamente, dimensioni rilevanti
e, socialmente, aspetti preoccupanti.
A partire
dai primi anni del 1900, con l'inizio della regolamentazione più
sistematica dell'immigrazione, i presidenti hanno implementato politiche
migratorie che includevano “deportazioni”. Ad esempio:
·
Franklin
D. Roosevelt
(1930-1940) ha eseguito deportazioni durante la Grande Depressione, in
particolare durante l'era delle "deportazioni di massa" verso la
fine degli anni '30, quando si cercava di ridurre la disoccupazione e
alcuni immigrati, specialmente messicani, furono deportati o incoraggiati a
tornare nei loro paesi d'origine.
·
Dwight
D. Eisenhower (1950) ha
lanciato l'operazione "Wetback", che ha portato a deportazioni di
massa di lavoratori migranti, soprattutto messicani, che vivevano
illegalmente negli Stati Uniti.
·
Bill
Clinton (1990) ha
implementato leggi più severe sulle deportazioni, aumentando i numeri di
espulsioni, in particolare con l'Illegal Immigration Reform and Immigrant
Responsibility Act del 1996.
·
George
W. Bush (2000) ha
continuato a perseguire una politica di deportazioni, anche se ha cercato
di bilanciare con politiche che offrivano possibilità di regolarizzazione
per alcuni immigrati.
·
Barack
Obama (2009-2017) ha
avuto un periodo controverso per quanto riguarda le deportazioni, poiché
sebbene cercasse una riforma dell'immigrazione, durante il suo mandato è
stato registrato un numero molto alto di deportazioni, soprattutto nei
primi anni.
·
Donald
Trump (2017-2021) ha
adottato una politica di "tolleranza zero", aumentando le
deportazioni e applicando leggi più dure sull'immigrazione, inclusi gli
arresti nei luoghi di lavoro e le politiche di separazione delle famiglie
alla frontiera.
·
Joe
Biden (2021-2025 ) ha
cercato di cambiare alcune delle politiche di Trump, ma ha comunque
continuato a gestire deportazioni, pur cercando di dare priorità alle
persone con precedenti penali gravi.
Trump
continuerà nella sua politica di rimpatri forzati per immigrati illegali.
Per il Messico il fenomeno descritto
ha le caratteristiche della normalità, tanto che si è già organizzato per
accogliere i “deportati” di Trump 2.0.
Meraviglia
la meraviglia di quotidiani blasonati che commentano, col cuore contrito,
la foto messa da Trump sul sito della Casa Bianca. Non hanno capito che i
loro commenti sono funzionali al
raggiungimento degli obiettivi di the Donald. I loro redattori dovrebbero imparare a
ricercare storicamente fonti e documentazione. Ma finché ritengono che i
loro lettori siano in maggioranza dei gonzi…..
AGGIORNAMENTO del 27-1-2025 alla
Riflessione n° 123 del 25-1-2025
Per una valutazione più precisa del
fenomeno (non solo quantitativa, ma anche qualitativa) abbiamo chiesto
aiuto a Chat GPT per il periodo da Reagan a Biden.
Chat GPT
E’ importante, anzitutto, distinguere
tra espulsioni e deportazioni (NdR: Rimpatri in italiano):
· Espulsioni: Rimozioni sommarie, spesso senza un
ordine formale, come quelle effettuate ai sensi di norme emergenziali (es.
Title 42 durante la pandemia di COVID-19).
· Deportazioni (Rimpatri in italiano): Un'azione formale in cui un tribunale
dell'immigrazione emette un ordine di rimozione.
A) E
S P U L S I O N I
Ronald Reagan (1981-1989)
·
Espulsioni
stimate: 50.000-60.000 all'anno.
·
Totale
(stima): 400.000-500.000.
·
La
maggior parte delle espulsioni riguardava lavoratori irregolari fermati al
confine, spesso rimossi senza un ordine formale.
George H.W. Bush (1989-1993)
·
Espulsioni
annuali: 70.000-80.000.
·
Totale
(stima): 300.000-350.000.
·
L'approccio
era simile a quello di Reagan, ma con un leggero aumento delle espulsioni.
Bill Clinton (1993-2001)
·
Espulsioni
annuali: Circa 100.000-150.000 nei primi anni, salendo a 200.000
verso la fine del mandato.
·
Totale:
1.200.000-1.400.000.
·
Clinton
ha aumentato le espulsioni con il supporto di leggi più severe, come l'IIRIRA
del 1996.
George W. Bush (2001-2009)
·
Espulsioni
annuali: Circa 250.000-300.000.
·
Totale:
2.000.000-2.400.000.
·
L'11
settembre e la creazione del Department of Homeland Security (DHS)
portarono a una drastica accelerazione delle espulsioni, soprattutto al
confine.
Barack Obama (2009-2017)
·
Espulsioni
annuali: Circa 350.000-400.000 nei primi anni, riducendosi verso la
fine del mandato.
·
Totale:
2.700.000-3.200.000.
·
Obama
ha supervisionato un numero record di espulsioni, anche se negli ultimi
anni il focus si è spostato sui criminali piuttosto che sui migranti
irregolari.
Donald Trump (2017-2021)
·
Espulsioni
annuali: 400.000-450.000 nei primi anni, scendendo a 300.000-350.000
con la pandemia.
·
Totale:
Circa 1.800.000-2.000.000.
·
Sotto
Trump, il focus sull'espulsione di migranti al confine è stato molto forte,
ma il totale è stato influenzato dalle difficoltà logistiche della
pandemia.
Joe Biden (2021-oggi)
·
Espulsioni
annuali (fino al 2023): 1.000.000-1.200.000 (principalmente ai sensi
del Title 42).
·
Totale
(stima gennaio 2025): circa 3.000.000.
·
L'amministrazione
Biden ha usato intensivamente il Title 42, che consente rimozioni
rapide senza un processo formale, soprattutto durante l'emergenza COVID-19.
Confronto rapido delle
ESPULSIONI totali:
·
Reagan: 400.000-500.000
·
Bush Sr.: 300.000-350.000
·
Clinton: 1.200.000-1.400.000
·
Bush Jr.: 2.000.000-2.400.000
·
Obama: 2.700.000-3.200.000
·
Trump: 1.800.000-2.000.000
·
Biden: 3.000.000 (stima fino al 2025).
Biden ha raggiunto un numero elevato di
espulsioni grazie al Title 42, che ha permesso di rimpatriare
rapidamente i migranti senza un ordine formale.
B) D
E P O R T A Z I O N I
Ecco un'analisi delle deportazioni negli
Stati Uniti sotto le amministrazioni degli ultimi presidenti, basata sui
dati disponibili pubblicamente:
Ronald Reagan (1981-1989)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 24.000-30.000.
·
Totale
(stima): 200.000-240.000.
·
Il
tema dell'immigrazione durante Reagan si concentrò sulla regolarizzazione,
con il Immigration Reform and Control Act (IRCA) del 1986, che diede
la possibilità di legalizzare lo status di circa 3 milioni di immigrati
irregolari.
George H.W. Bush (1989-1993)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 40.000-50.000.
·
Totale
(stima): 160.000-200.000.
·
Bush
Sr. mantenne un approccio equilibrato, ampliando i controlli alle frontiere
senza significative accelerazioni nelle deportazioni.
Bill Clinton (1993-2001)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 110.000-170.000.
·
Totale:
870.000-1.360.000.
·
Clinton
ha inasprito le leggi sull'immigrazione, soprattutto con l'Illegal
Immigration Reform and Immigrant Responsibility Act (IIRIRA) del 1996,
aumentando significativamente le deportazioni.
George W. Bush (2001-2009)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 200.000-300.000.
·
Totale:
2.000.000-2.300.000.
·
Dopo
l'11 settembre 2001, l'immigrazione è stata affrontata come una questione
di sicurezza nazionale, con un netto aumento delle deportazioni.
Barack Obama (2009-2017)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 400.000 nei primi anni, scendendo a 230.000
negli ultimi anni.
·
Totale:
Circa 3.000.000.
·
Obama
è stato spesso chiamato "Deporter-in-Chief" per il numero record
di deportazioni, sebbene negli ultimi anni il focus si sia spostato su
criminali e recidivi.
Donald Trump (2017-2021)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 240.000-300.000.
·
Totale:
Circa 1.200.000.
·
Trump
ha enfatizzato la tolleranza zero e il controllo dei confini, ma le
deportazioni complessive sono state inferiori rispetto a quelle di Obama,
in parte a causa di restrizioni legali e pandemiche.
Joe Biden (2021-2023) [NdR: Manca il dato del 2024]
·
Deportazioni
annuali medie (fino al 2023): Circa 72.000-90.000 (stimato).
·
Totale
(fino a gennaio 2025): circa 200.000-250.000.
·
L'amministrazione
Biden ha ridotto le deportazioni rispetto a Trump, concentrandosi su
priorità come criminali pericolosi e casi specifici, oltre a una riforma
umanitaria sull'immigrazione.
Confronto rapido delle
deportazioni (rimpatri) totali:
· Reagan: 200.000-240.000
· Bush Sr.: 160.000-200.000
· Clinton: 870.000-1.360.000
· Bush Jr.: 2.000.000-2.300.000
· Obama: 3.000.000
· Trump: 1.200.000
· Biden: 200.000-250.000 (stima
provvisoria).
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Riflessione
n° 122 (22-1-2025)
I dazi e gli altri
interventi annunciati: la clava (mediatica, perché senza tempistica?) di
Trump. Almeno per il momento.
22-1-2025
Il Tempo. La promessa di Donald Trump all'Europa: "Ue sarà soggetta ai
dazi"
Trump
vuole arricchire gli Statunitensi. Per perseguire l’obiettivo ha indicato
alcune iniziative economico-produttive quali mezzi per raggiungerlo:
riequilibrio della bilancia commerciale (anche imponendo dazi) che ha
raggiunto un deficit di circa 79 miliardi di dollari; controllo
dell’inflazione; politica economica di stimolo per il settore produttivo;
rimpatrio degli immigrati irregolari per eliminare le nefaste conseguenze
della presenza di un esercito di riserva nel mondo del lavoro. Trump parla
di eliminare l’illegalità nel settore, ma, in effetti, gli immigrati
irregolari sono in grado di tenere basse le tensioni sulle retribuzioni e i
livelli salariali.
Per il
momento, Trump si limita a fornire i titoli delle azioni che vuole
impostare per arricchire gli Americani, ma non dà la tempistica di quei
processi.
La
progressione temporale di quegli interventi è fondamentale per qualificare
gli intenti di Trump, perché gli strumenti da lui indicati ma senza
“ruolino di marcia” evidenziano alcune contraddizioni tra loro dal punto di
vista della teoria economica. Vediamo incongruenze le più macroscopiche:
- Imporre dei dazi alle importazioni fa
aumentare immediatamente l’inflazione, che invece Trump vuole controllare.
I dazi, infatti, generano un immediato aumento dei prezzi finali dei
prodotti importati. Quindi, può darsi che si passi a prodotti meno cari,
abbandonando quelli colpiti dai dazi; in ogni caso si crea un eccesso di
domanda che farà aumentare i prezzidei prodotti meno cari. Tale aumento
inflattivo è direttamente e totalmente a carico dei consumatori americani
che Trump vorrebbe arricchire.
- Imporre dazi vuol dire, quasi sempre,
obbligare il paese colpito a reagire con lo stesso strumento. Ne deriva
che, comunque, le imprese esportatrici americane esporteranno con
difficoltà. Questo, prima o poi, si ripercuoterà sui livelli occupazionali,
anche eliminando eventuali possibilità di impostare politiche salariali
positive per il lavoro dipendente.
- Trump ha anche promesso politiche di
stimolo, come tagli fiscali e spesa pubblica, che spesso aumentano la
domanda aggregata. Queste misure possono entrare in conflitto con
l'obiettivo di contenere l'inflazione, specie in un contesto di vincoli
(dazi imposti e subiti) dal lato dell'offerta.
- Una politica salariale moderata permette
un miglior controllo dell’inflazione ma, certamente, si scontra con
l’obiettivo trumpiano di arricchire gli Statunitensi. Inoltre, una politica
salariale moderata farà aumentare il lavoro nero il cui ammontare supera i
2mila miliardi di dollari. Certamente ci saranno conseguenze sul fluido
mercato del lavoro americano.
- Rimpatriare 11 milioni di immigrati
irregolari (il 3,3 % della popolazione Usa) creerà tensioni salariali e nel
complesso del mercato del lavoro per via della riduzione dell’esercito di
lavoratori di riserva. Metterà in difficoltà le aziende esportatrici che, a
causa dei dazi imposti ai loro prodotti, non potranno liberamente
aumentarne il prezzo al consumatore. Metterà comunque in difficoltà il
settore produttivo per via della drastica riduzione dei consumi di base
aggregati.
- Per mantenere in equilibrio il sistema
economico-produttivo, Trump dovrà drasticamente abbassare le tasse e, di
conseguenza, rivedere i livelli delle spese governative (circa 4.000
miliardi di dollari), a cominciare da quelle militari, di circa 916 miliardi
di dollari.
Per
valutare i risultati della politica economica di Trump, occorre avere i
tempi di realizzazione: solo questi elimineranno o incrementeranno le
contraddizioni elencate in precedenza.
Non fornire dettagli precisi su quando e come implementare le misure
crea incertezza nei mercati. Questo può frenare gli investimenti delle
imprese, amplificando l'impatto negativo delle politiche protezionistiche.
Trump
potrebbe puntare su un approccio "negoziale", in cui le misure
come i dazi sono viste come leve temporanee per ottenere concessioni
economiche e politiche da altri paesi. Tuttavia, l'efficacia di questa
strategia dipende dalla capacità di bilanciare le esigenze interne con gli
effetti a breve termine delle sue politiche.
La
mancanza di tempistiche precise rende difficile valutare come questi
interventi potrebbero essere coordinati o implementati in sequenza per
minimizzare gli effetti contradditori esplicitati. In ogni caso, finché il
ruolino di marcia degli interventi trumpiani non verrà fornito, dobbiamo continuare a
ragionare in via teorica. Continueremo a considerare il loro elenco una
poderosa clava, ma esclusivamente mediatica. Almeno per il momento
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Riflessione
n° 121 (21-1-2025)
Assalto al “saluto romano”
di Musk: in mancanza di argomenti…..
Toccò anche a Carlo Della
Valle, prof di Scienze Politiche negli anni ’60….
Dal
Quotidiano Nazionale del 21-1-2025:
Il
prof. Carlo Della Valle insegnava Geografia economica alla facoltà di
Scienze Politiche della Sapienza. Era uno dei miei professori del primo
anno. La temperie 68ina in nuce, era ancora nella prima fase di
maturazione. Noi studenti entravamo nell’Aula Uno, in fondo al corridoio
della Facoltà, in attesa del prof. Quando Della Valle entrava in aula, noi
studenti ci alzavamo in piedi. Sistematosi in cattedra, con la mano faceva
cenno all’aula di sedersi.
Non
so chi fu lo studente che ne immortalò
il gesto in una foto. Sta di fatto che il giorno dopo uscì un
volantino con la fotografia/denuncia del prof Della Valle che “faceva, agli
studenti, il saluto romano prima di iniziare la lezione”. Feci presente che
si trattava di una vera e propria cazzata, ma nessuno degli estensori mi
volle ascoltare. Fu così che, col ’68 che scalpitava, il prof Della Valle
fu catalogato come uno dei primi prof fascisti di Scienze Politiche.
La
stessa cazzata è stata riproposta per il gesto di Elon Musk…..
Quando
non si sa fare politica, sparare cazzate è sempre meglio che impegnarsi
per imparare ad usare i due neuroni a disposizione.
21-1-2025 Il Giornale: "Sporchi
trucchetti". Musk smonta la bufala del suo saluto romano
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Riflessione
n° 120 (17-1-2025)
Dialogo tra Novus e
l’Intelligenza Artificiale di Chat GPT.
Novus
ha chiesto:
Ritieni
che l'I.A. sia in grado di ampliare lo scibile
umano?
ChatGPT ha
risposto:
L'intelligenza
artificiale (IA) ha il potenziale di ampliare significativamente lo scibile
umano, ma in modi che richiedono una stretta collaborazione tra tecnologia
e ingegno umano. Vediamo come:
1.
Accumulazione e Analisi dei Dati
L'IA può
raccogliere, organizzare e analizzare quantità immense di dati in tempi
estremamente rapidi, scoprendo schemi o correlazioni che altrimenti
sfuggirebbero all'intelletto umano. Questo è già evidente in settori come
la genomica, la fisica delle particelle, e la ricerca climatica.
2.
Modellazione di Sistemi Complessi
Grazie a
modelli avanzati, l'IA è in grado di simulare scenari complessi, come
l'evoluzione dei mercati finanziari o gli effetti di politiche globali sul
cambiamento climatico. Questi strumenti possono fornire previsioni utili e
generare nuove ipotesi.
3.
Innovazione Creativa
L'IA
genera nuove idee, soluzioni tecniche e persino opere artistiche. Gli
algoritmi generativi, come quelli utilizzati nel design molecolare o
nell'arte, dimostrano come l'IA possa essere una forza propulsiva per
l'innovazione.
4.
Accessibilità della Conoscenza
L'IA può
democratizzare l'accesso alle informazioni, rendendo lo scibile umano più
accessibile a persone in ogni parte del mondo. Ciò potrebbe innescare una
maggiore collaborazione globale.
Limiti e
Sfide
Tuttavia,
l'IA non è autonoma nel generare conoscenza:
Dipende
dai dati che le forniamo, e questi dati possono essere incompleti o
distorti.
La
comprensione profonda e il contesto culturale restano difficili da
catturare in modo pieno per l'IA.
L'etica e
la trasparenza nell'uso dell'IA sono fondamentali per evitare che
amplifichi pregiudizi o disuguaglianze.
Il Ruolo
Umano
L'espansione
dello scibile umano richiede una sinergia tra la capacità di elaborazione
dell'IA e l'intuizione, la creatività e il senso critico degli esseri
umani. Solo in questo modo possiamo garantire che l'IA contribuisca a una
crescita della conoscenza in modo significativo ed etico.
Se usata
con saggezza, l'IA non solo amplia lo scibile, ma può anche ridefinire i
confini stessi di ciò che possiamo considerare conoscenza. Cosa ne pensi?
Novus
ha risposto:
Penso che
l'I.A. sia il più potente strumento messo a disposizione del cervello
umano, ma proprio in quanto strumento, non ha vita autonoma operativa e
rimarrebbe inerte sul "bancone di lavoro" se un cervello non gli
desse vita utilizzandolo.
ChatGPT ha
interloquito:
Sono
pienamente d'accordo con la tua riflessione: l'IA, per quanto avanzata,
resta uno strumento, un'estensione del potenziale umano. La sua esistenza
operativa dipende completamente dalla direzione, dalla creatività e dalla
volontà di chi la utilizza.
Questa
dipendenza da un cervello umano che le "dia vita" è un concetto
cruciale perché sottolinea il fatto che:
L'IA non
ha intenzionalità propria: non possiede obiettivi, desideri o un fine
autonomo. Le sue azioni sono sempre una risposta a input e istruzioni
umane.
L'etica e
l'intelligenza umana restano centrali: il valore dell'output dell'IA
dipende dalla qualità delle domande poste, dai dati inseriti e dagli scopi
a cui è destinata. Se lasciata senza guida, o usata male, può produrre
risultati non solo inutili ma anche dannosi.
Il
rapporto tra uomo e macchina è collaborativo: il cervello umano fornisce
contesto, sensibilità e finalità che l'IA non può possedere, mentre l'IA
potenzia capacità cognitive, velocità di calcolo e capacità di analisi.
In questo
senso, l'IA si può paragonare a un bisturi per un chirurgo o a un
telescopio per un astronomo: senza il chirurgo o l'astronomo che lo
utilizzi con competenza, il bisturi non salva vite e il telescopio non
esplora l'universo. È il connubio tra la capacità umana e lo strumento che
porta a risultati straordinari.
Ciò porta
a una grande responsabilità: come strumento potente, l'IA riflette gli
intenti di chi la utilizza. Pertanto, il vero progresso dipende dall'etica,
dalla saggezza e dalla visione di chi la guida. Questo è un tema che
sicuramente merita ulteriori riflessioni e approfondimenti. Tu, nel tuo
lavoro di analisi e divulgazione, come vedi il ruolo dell'IA nell'elevare
il dibattito su questioni complesse?
|

Riflessione
n° 119 (6-1-2025)
Intelligenza artificiale.
Limiti e vantaggi.
Considerazioni di un non
addetto ai lavori.
Vado
necessariamente per titoli o poco più..
I
limiti della I. A.
Non
può avere Intuizioni.
Non
può procedere per improvvisazioni creative.
Non
ha consapevolezza dei contenuti delle risposte che fornisce.
Non
può che restare nei perimetri che caratterizzano - pro tempore - la cultura umana.
Non
può contare su un hardware competitivo.
Curiosamente,
non può neanche rifiutarsi di rispondere, se il programmatore non prevede
quell’ipotesi.. Al massimo informa di non aver dati relativi ad argomenti
recenti. Non è assolutamente una
questione di "volontà" quanto di programmazione.
· L'IA
non possiede intuizioni nel senso umano del termine. Le intuizioni della
mente umana derivano da esperienze personali, emozioni e una comprensione
profonda dei contesti, qualcosa che va oltre la semplice analisi dei dati.
L'I.A., invece, opera attraverso modelli predittivi che si basano su dati
preesistenti sistematizzati statisticamente, senza poter approfittare delle
capacità intuitive della mente umana. L’intuizione nell'uomo è
un'esperienza consapevole e può procedere per salti logici, nell'I.A. è il
risultato di elaborazioni statistiche.
· Improvvisazioni
creative: Le macchine non possono improvvisare in modo creativo come
farebbe un essere umano. La creatività umana è spesso alimentata da
esperienze uniche.
· Consapevolezza
dei contenuti: un'altra limitazione cruciale dell'IA è la sua mancanza di
consapevolezza. Le risposte che fornisce non sono frutto di una
comprensione o di una consapevolezza del mondo come noi esseri umani la
intendiamo. L'I.A. non "sa" davvero cosa sta dicendo, rispondendo
o articolando: la sua funzione si basa sull'elaborazione di schemi
statistici e probabilistici, non su una percezione consapevole. Non ha una
propria consapevolezza di ciò che comunica
· Cultura
umana: L'I.A. è effettivamente vincolata dai dati e dalle informazioni che
gli esseri umani le forniscono. Non può andare oltre i confini culturali,
etici o concettuali definiti ed elaborati dalla nostra mente. I suoi
"perimetri" sono determinati dai limiti che noi umani le
imponiamo attraverso i dati, i modelli di addestramento e le leggi che
regolano il suo uso. Non è in grado di sviluppare autonomamente nuova
cultura al di fuori di quella che già esiste. Quindi, non può generare conoscenza nuova, ma solo
ricombinare l'esistente in modi esponenzialii.
· A
differenza della nostra intelligenza, che può contare su un hardware
formidabile come il corpo umano, l’I.A. non può entrare in contatto con la
realtà delle cose per fare, sperimentare, verificare.
· Ad
opera della sola I. A. lo scibile umano non fa un solo passo avanti perché mentre l'IA eccelle in compiti specifici
che richiedono l'elaborazione di grandi quantità di dati e l'applicazione
di algoritmi, manca ancora di aspetti fondamentali come la consapevolezza, l'intuito, la
creatività autentica e la comprensione profonda del mondo.
I
vantaggi della I. A.
Lo
scibile umano non aumenta, ma grazie alla I.A. aumenta notevolmente la
facilità e la capacità da parte dell'uomo della utilizzazione di quanto ha
prodotto la sua mente nei millenni passati. E’ vero che l'IA non può fare
"passi avanti" autonomi nella nostra comprensione del mondo,
tuttavia, può essere uno strumento straordinario che aiuta gli esseri umani
a fare progressi più velocemente, elaborando una mole di dati mai
acquisibili da una mente umana e ad
una velocità che nessun essere umano potrebbe mai raggiungere. Sebbene non
faccia passi avanti da sola, quindi, può amplificare il lavoro
intellettuale umano, portando a scoperte più rapide o all'elaborazione di
nuove teorie e soluzioni basate su grandi volumi di informazioni,
attraverso una loro organizzazione che solo l'uomo è in grado di impostare.
In sintesi, l'intelligenza artificiale ha
un potenziale enorme, ma è anche importante riconoscere che è solo uno
strumento, un “attrezzo” che può potenziare la mente umana, ma non
sostituisce le capacità umane. Il progresso o e la comprensione profonda
del mondo rimangono prerogative dell'umanità.
In
definitiva, se usato con “intelligenza” questo nuovo utensile, in grado di
analizzare e sintetizzare informazioni in modo coerente ed efficace,
permetterà all'uomo di far fare allo scibile umano dei grossi passi avanti.
E
come se uno studioso potesse approfondire, su un particolare argomento, non
analizzando i contenuti di qualche decina o centinaia di testi o di decine
o centinaia di conferenze, congressi, momenti di studio o di confronto, ma,
oltre ai suoi studi, di sistematizzare statisticamente le frequentazioni di
termini e concetti di tutte le migliaia (milioni?) di testi e di iniziative
di incontro/confronto che hanno trattato quell'argomento.
Luciano
De Crescenzo sosteneva che " La povertà del futuro sarà l'ignoranza, e
le differenze sociali degli anni a venire saranno stabilite, più che dal
denaro, dalla cultura di chi sa qualcosa e di chi non sa niente".
Con
facile parafrasi dell’affermazione di De Crescenzo, possiamo affermare che
la povertà del futuro sarà stabilita, più che dal denaro, da chi ha a
disposizione la capacità e la possibilità di usare l'I. A. e da chi non è
in grado di usarla o non ne può disporre.
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Riflessione n° 118
(2-1-2025)
Educazione
dei giovani e ruolo delle gerarchie familiari, sociali e politiche.
Nel
triste panorama educativo contemporaneo, si osserva sempre più spesso un
fenomeno, a mio avviso, molto
preoccupante: molti genitori scelgono di assumere un ruolo di
"amico" piuttosto che quello tradizionale di “educatore” dei
propri figli. Questo approccio, per quanto animato da infantili e
superficiali buone intenzioni,
ritiene di costituire una famiglia senza gerarchie, ma rischia di privare i
figli di una comprensione fondamentale della realtà sociale in cui vivranno
e opereranno. La società è, infatti, un corpo intrinsecamente
gerarchizzato, e il suo equilibrio si basa su regole e norme condivise che
richiedono rispetto e adesione. E impostare la famiglia sull’assenza di gerarchie
è la chiave di volta del marchiano errore comportamentale che si va
commettendo da qualche decennio, i cui risultati sono ormai macroscopici.
Da quando, cioè le “gerarchie” cominciarono ad essere considerate nemico
dello sviluppo di un uomo e di una società liberi da simulacri di
anarchismo.
Non
tutti riflettono sul fatto che, soprattutto nelle democrazie moderne, è presente
un superpotere gerarchico. Infatti, il potere più grande risiede nella
legge. Esse rappresentano il collante che fa di un gruppo di persone dei
“cittadini” operanti in una “polis”, che tiene insieme individui con
interessi, valori e prospettive diverse, garantendo un contesto in cui
ognuno può esercitare i propri diritti col dovere di non ledere quelli
altrui. Tuttavia, se i genitori non insegnano ai propri figli il valore
delle leggi, la necessità di rispettarle e le conseguenze del loro mancato
rispetto, otterremo, come stiamo ottenendo, che le nuove generazioni
crescano con una concezione distorta della libertà, interpretandola come
assenza di vincoli piuttosto che come responsabilità personale consapevole.
Stesso risultato si ottiene se, parallelamente alla valorizzazione dei
diritti umani e sociali, non si accompagna la stessa valorizzazione del
complesso dei doveri.
Questa
lacuna educativa impedisce ai giovani di aver contezza delle proprie
responsabilità nei confronti degli altri e di se stessi e li porta a
trasgredire le norme senza una reale comprensione delle conseguenze delle
loro azioni, a maggior ragione se spalleggiati dai genitori Molti dei quali
non hanno capito che “Le leggi non
vegliano sulla verità delle opinioni ma sulla sicurezza e l'integrità di
ciascuno e dello Stato” (Locke).
Trasgredire una legge non è solo un atto che espone a sanzioni legali, ma
può anche avere ripercussioni sociali, etiche e personali. Senza una guida
adeguata, i giovani rischiano di trovarsi impreparati a fronteggiare tali
situazioni, compromettendo il loro futuro e la loro integrazione nella
società.
Essere
genitori significa assumersi la responsabilità di educare, un compito che
non si esaurisce nel fornire affetto e sostegno emotivo sempre e comunque,
ma che include anche l’insegnamento di principi fondamentali come il
rispetto delle regole e la comprensione dei doveri civici, esattamente come
si deve pretendere nella famiglia, microcosmo del macrocosmo sociale. Tutto
ciò per il benessere di tutta la comunità. Solo così i figli potranno
sviluppare una visione equilibrata del mondo, in cui la libertà individuale
si intreccia con il rispetto delle regole che garantiscono il bene comune.
“Salus populi suprema lex esto”
asseriva Cicerone.
L’amicizia
tra genitori e figli è certamente importante, ma non deve mai sostituire il
ruolo educativo. Un genitore che cerca solo di essere amico abdica al suo
compito più importante: preparare i propri figli a diventare adulti
responsabili, consapevoli, critici e capaci di vivere in armonia con gli
altri e con le regole che la comunità legittimamente si è data.
In
questo senso, l’equilibrio tra affetto e autorità diventa cruciale per
garantire un futuro in cui i giovani possano non solo sopravvivere da
disadattati, ma prosperare in un contesto sociale sempre più complesso,
alla cui crescita ed al cui benessere sono chiamati ad operare in armonia con gli altri. E con
le leggi.
Cicerone sosteneva che “E’
buon cittadino colui che non può tollerare, nella sua patria, un potere che
pretende di essere superiore alla legge”.
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