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Da
thefielder.net Le
banche possono fallire? Di A. Benetton February 6, 2013 | Last Update
11:05 INTRODUZIONE Il caso Monte dei
Paschi di Siena ci ripresenta, ancora una volta, la questione dei salvataggi
delle banche – e, più in generale, delle grandi imprese in crisi – e dell’uso
dei soldi pubblici per salvare soggetti di diritto privato, che tuttavia
hanno un enorme potere per influenzare nel loro interesse le scelte della
politica. La domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: “Mi è utile che una parte delle tasse che
pago sia destinata a salvare uno specifico soggetto privato?” Alcune
precisazioni lessicali. Ho usato utile al posto di giusto
perché intendo proprio escludere qualsiasi valutazione di ordine morale del
tipo “è giusto che un poveraccio aiuti una banca” perché la risposta mi pare
chiara e netta, ma viene appunto di solito negata come motivazioni di ordine
utilitaristico. Inoltre, ho anteposto mi per rendere chiaro il
soggetto dell’utilità, cioè il cittadino medio che non ha un conto presso la
banca, né alcun altro interesse particolare economico o di adesione politica
riguardo alla medesima. In questa situazione si trova chi scrive e la grande
maggioranza degli italiani. La Banca Monte
dei Paschi di Siena è senza dubbio un soggetto privato, non tanto per la
natura dei proprietari o per come ne sono nominati i vertici. Ciò che
definisce la natura privata di quest’azienda è il fatto che la stessa non
vende un bene/servizio pubblico. Infatti, non sussistono le due
caratteristiche che insieme definiscono tale tipologia di beni/servizi: - non c’è
‘assenza di rivalità nel consumo’: il consumo di un
bene pubblico da parte di un individuo non implica l’impossibilità per un
altro individuo di consumarlo - non c’è ‘non
escludibilità nel consumo’: una volta che il bene
pubblico è prodotto, è difficile o impossibile impedirne la fruizione da
parte di consumatori. Le aziende che
non producono beni pubblici in qualsiasi ottica non socialista o
corporativistica devono essere private anche a livello di proprietà e in
concorrenza tra loro, ma sappiamo che in Italia la politica è sempre
interessata a creare nuove opportunità di gestire denaro e costruire
clientele. Questo è ancora più vero nel settore bancario, dove al posto di
vendere direttamente ai privati, si è preferito, grazie alla “riforma”
Ciampi-Amato dirottare la privatizzazione e dare la maggioranza delle azioni
di ciascuna banca a ottantanove fondazioni (definite mostro giuridico dallo
stesso Amato) che fanno capo direttamente alla politica. Sulle pagine di The Fielder
abbiamo già fatto un resoconto preciso di come la banca è arrivata a questo
punto. Riepiloghiamo in breve. Nella trimestrale di fine settembre 2012
l’azienda ha un capitale sociale pari a circa 7,5 miliardi di euro, un
patrimonio netto di circa 10 miliardi di euro, perdite per 1,6 miliardi di
euro e una capitalizzazione di borsa pari a 2,85 miliardi di euro. In
seguito, è venuta alla luce l’emersione del falso in bilancio legato ai
derivati e la procura indaga per una mazzetta da 2 miliardi di euro che
lascia intendere le proporzioni dei buchi non contabilizzati. E’ molto
plausibile che parte delle attività siano state cartolarizzate per ottenere
liquidità. Inoltre, contabilizzati, esistono impieghi in sofferenza per 17
miliardi che difficilmente saranno recuperati, scarseggia la liquidità per
garantire l’operatività minima e questo spiega il ricorso ai Monti Bond che,
di fatto, sono un primo salvataggio. Nessun compratore privato è interessato
perché la banca è un buco nero ad
un passo dall’insolvenza. Di che dimensioni sia il buco non lo sapremo finché
la magistratura e le autorità di vigilanza non risolveranno tutti gli aspetti
della vicenda, e questo è un fatto da
tenere bene a mente nel corso del ragionamento che andremo a spiegare. Con questa
realtà, qualunque siano state le cause, dobbiamo confrontarci per rispondere
alla domanda iniziale. Dobbiamo interrogarci su quali possibilità abbiamo a
disposizione, ed esplorarle per verificarne la fattibilità. In verità, non
sono molte. La prima ipotesi,
che per comodità d’ora in poi chiameremo soluzione 1, è liquidare MPS e
valorizzarla a pezzi per cercare di coprire almeno parzialmente i debiti. La
soluzione 2 è creare una nuova società (newco)
– nella quale i privati mettono i capitali – che rileva in blocco il business
della precedente, e lasciare i debiti in una bad
company da liquidare. La ultima, soluzione 3, è mantenere in vita la
stessa società ricapitalizzandola (con denaro pubblico e quindi dei
contribuenti, come poi vedremo), con prospettive simili di breve periodo, e
diverse di medio periodo, che analizzeremo. DUE POSSIBILI SOLUZIONI Per il Testo
Unico Bancario (TUB) gli istituti di credito non sono ammessi all’istituto
del fallimento. La procedura concorsuale alternativa è la liquidazione
coatta, che inizia come un atto unilaterale della Banca d’Italia, a
prescindere che si abbia di fronte lo stato d’insolvenza. Si opera in questo
modo quando la crisi ha assunto caratteri d’irreversibilità – come per
esempio era accaduto al Banco Ambrosiano – con l’esito che in breve tempo la
società originale cessa di esistere. La finalità della liquidazione coatta
amministrativa è evitare che la
liquidazione dell’impresa possa influire sul settore/sistema dove questa
agisce. Quel che è certo,
in questo scenario, è che già nei numeri del buco a oggi gli azionisti
perdono tutto il valore del pacchetto azionario MPS da loro posseduto.
Inoltre, secondo l’importo del buco, potrebbero subire perdite anche
totalitarie gli obbligazionisti MPS, i creditori chirografari – tra cui le
altre banche che hanno erogato credito alla medesima – e per ultimi i
creditori prededucibili. Può, cioè, subire perdite solo chi esplicitamente ha
scelto di prendersi dei rischi interagendo con la banca a vario titolo. I 6 milioni di
correntisti, in ogni caso, non hanno nulla da temere da questi esiti.
Infatti, il saldo del conto corrente e dei conti deposito, fino a 100.000
euro, è garantito dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) che
copre i crediti vantati dai clienti delle banche in liquidazione. Per la
parte, sempre fino a 100.000 euro, che il FITD non riuscisse a coprire esiste
poi una seconda garanzia, quella dello Stato, introdotta da Tremonti nel
2011. Ci sono le nostre tasse future a proteggerli. Solo in ultima istanza,
se dovesse scattare la garanzia statale, pagheranno quindi anche i
contribuenti. Anche i titoli in dossier sono salvi perché non sono di
proprietà della banca, ma sono “beni di terzi in deposito” e sono iscritti al
di fuori del bilancio dell’istituto. Rimangono fuori dalla copertura i pronti
contro termine e le obbligazioni della banca stessa. La differenza tra
la soluzione 1 e la 2 per i clienti è che nella prima ci sarebbe
un impatto avvertibile nella routine quotidiano, assente nel secondo caso.
Nell’ipotesi 1 la banca cessa di funzionare e i cittadini si trovano nella
condizione di dover aprire un nuovo conto corrente se già non ne possiedono
uno presso un’altra banca, segnalarlo al FITD e ricevere sull’altro conto il
saldo del loro vecchio conto MPS limitato al massimo di 100 mila euro. Tale
operazione deve essere completata in un massimo di legge di venti giorni,
periodo che può essere considerevolmente ridotto con un’adeguata
pianificazione e attraverso un prestito ponte dello stesso Tesoro. Nella
soluzione 2, invece, il vecchio conto sarebbe trasferito in automatico presso
la nuova banca senza interruzioni operative, con il congelamento degli
importi che dovessero sforare la quota di 100.000 euro garantita in attesa
della liquidazione della bad company.
La soluzione 1 è fastidiosa per i correntisti, ma ricorda loro la verità
incisa nell’articolo 1834 del codice civile: depositare denaro su un conto
corrente, fruibile come “moneta elettronica”, è prestare denaro alla banca.
Il proprio denaro diventa di proprietà della banca. Per capire la
differenza tra le due ipotesi riguardo gli aspetti “dietro le quinte” bisogna
capire bene le interazioni con il resto del sistema bancario. Due sono i
meccanismi che potrebbero accendere potenzialmente altri problemi aggravando
il livello sistemico del crack MPS. Il primo meccanismo è l’effetto sul mercato interbancario,
ha una portata europea/globale e si verifica sia nella soluzione 1 sia nella
2.Sul mercato interbancario le banche in eccesso di liquidità offrono il capitale
alle banche con scarsità di liquidità. Attraverso questo mercato aperto le
banche possono gestire le proprie esigenze di tesoreria in modo rapido,
profittevole e a basso costo, ottimizzando i flussi del sistema bancario in
senso generale. Come ogni banca
in crisi e con scarsa liquidità, Monte dei Paschi ha più debiti di crediti
sul mercato interbancario. I debiti verso il mercato interbancario di MPS a
bilancio sono di circa 44 miliardi di euro di cui ben 29 miliardi di euro
sono esposizioni verso la BCE dovuta alla partecipazione alle due aste
triennali LTRO. La liquidazione di MPS molto probabilmente cancellerebbe la
liquidità prestata e creerebbe una passività nei bilanci delle banche
creditrici, mentre molto minore dovrebbe essere l’effetto generato sulla loro
liquidità poiché chi ha prestato ne aveva già in eccesso. Usare i dati di
bilancio che riportano 15 miliardi di euro ottenuti sul mercato aperto per
stimare la consistenza dei medesimi a oggi, lo riconosco, è approssimativo,
ma possiamo ragionevolmente supporre che attualmente non superino i 25
miliardi di euro.Ebbene, tale importo appare enorme
a noi comuni mortali, ma è marginalmente rilevante se spalmato per quota sui
bilanci delle grandi banche estere che avendo liquidità disponibile l’hanno
prestata a MPS, specie considerando che il tasso dei prestiti era 500 punti
base sopra l’Euribor e quindi i finanziatori sapevano che c’era un rischio e
se lo facevano pagare. Il secondo sono proprio le garanzie del FITD e
ha una portata inizialmente italiana e scatta solo nella prima ipotesi. Il
fondo consiste in un accantonamento contabile, un patto di solidarietà fra istituti di credito, che
s’impegnano a intervenire uno in soccorso dell’altro, nelle misure stabilite,
mentre non vi sono reali accantonamenti di denaro o titoli messi a
disposizione di un soggetto gestore del fondo. Tale
accantonamento è pari allo 0,4% dei fondi rimborsabili (conti corrente, conti
di deposito, assegni circolari e certificati di deposito nominativi) di tutti
gli istituti di credito che, fonte FITD, sono per pari a 459 miliardi di euro
per un totale di circa 1,8 miliardi di euro di garanzie già contabilizzate
nei bilanci delle banche italiane. Qualsiasi cifra superiore si tradurrebbe
in perdite a bilancio per il resto del sistema bancario. Il FITD chiede,
infatti, ex post alle banche aderenti le somme per risarcire i correntisti. La raccolta MPS
ammonta a 193 miliardi di euro. Non sono tutti depositi. Solo i conti
correnti e i depositi vincolati sono tutelati dalle garanzie interbancarie e
statali e ammontano a 58 + 5 miliardi di euro. Ora, prima di leggere la
prossima frase fate un respiro e non allarmatevi. Ipotizzando che le banche
italiane dovessero coprire per intero la garanzia, dovrebbero dunque sborsare
nel giro di 20 giorni 63 miliardi di euro mettendo a contabilità perdite per
circa 61 miliardi di euro. Per fortuna non sarà così, perché a strettissimo
giro la loro raccolta sarebbe aumentata di una cifra equivalente per via
dell’arrivo sui loro conti dei fondi garantiti degli ex clienti MPS. Tramite
un prestito ponte del Tesoro al FITD come anticipo sui versamenti delle banche,
potrebbe essere garantita la piena liquidità delle banche durante tutto il
processo. Si può immaginare che tale prestito sia reso possibile da
un’emissione straordinaria di BOT a tre mesi che rimane comunque una via
molto migliore dell’esito della soluzione 3 dove una somma analoga diventa
debito pubblico di medio – lungo periodo da finanziare sul mercato. Il FITD rimane,
comunque, un meccanismo perverso che punisce le banche virtuose che pagano
per i fallimenti dei concorrenti. E che crea un’esposizione, e quindi un
rischio, per le banche spesso sottovalutato e non coperto da adeguata
capitalizzazione. Andrebbe riformato, sostituendolo con la stipulazione di
una polizza da parte del correntista presso una società assicurativa che non
abbia alcuna relazione con la banca stessa e con l’abolizione di qualsiasi
garanzia statale e interbancaria. E’ bene, quindi,
sgombrare il campo da equivoci. In caso di
liquidazione, non ci sarebbe
nessun fallimento a catena come paventato nel continuo mantra di parti
interessate che si faccia il salvataggio o come ripetuto nella vulgata comune
da persone spaventate dal suddetto mantra. Il Monte dei
Paschi di Siena non è una delle
cosiddette “too big too fail”, non ha le dimensioni di una Lehmann & Brothers ma soprattutto non ha l’esposizione sul mercato interbancario per esserlo.
L’unica situazione per cui può diventare un disastro sistemico è se gli
organi preposti a gestire la situazione non si coordinano tra loro per
differenze di visione o se sono inabilitati a farlo: se Banca d’Italia si
concentra esclusivamente nel difendersi dalle accuse, peraltro fondate, di
non avere esercitato un controllo preventivo adeguato oppure se l’Italia non
riesce ad avere un governo che comprende la situazione ed è capace di agire. E’ bene sgombrare
il campo dalle paure irrazionali: la
liquidazione coatta si può fare, il tutto sta a vedere se è utile farla o
meno e, se è utile farla, bisognerà poi individuare come farla in
maniera ottimale. QUALE SOLUZIONE PREFERIRE? Prima di passare
a valutare la soluzione 3, chiediamoci: dobbiamo preferire la soluzione 1 o
la 2? Entrambe sono soluzioni che puniscono il moral hazard, mandano
un chiaro messaggio ai dirigenti di tutte le società private italiane. In
particolar modo a quelli delle banche, che pensano di essere rimasti ai tempi
del fascismo quando erano intoccabili perché “d’interesse strategico
nazionale”, che rimane comunque per molti politici un evergreen delle supercazzole. Tale messaggio è: “Lo stato non vi salva
le chiappe. MAI. Non agite come degli scommettitori perché non c’è alcun
bancomat con cui prelevare dalle tasche dei contribuenti”. Se si vuole
fermare il crollo di questo paese e rimetterlo sulla giusta strada è bene che
imprenditori, banchieri ma più in generale tutti abbiano ben chiaro il concetto di responsabilità. Chi sbaglia paga. Entrambe sono,
dunque, soluzioni che tutelano i contribuenti e il loro diritto a non pagare
il rischio che altri hanno sottoscritto. La soluzione 1
mette sul mercato gli ex depositi MPS dando la possibilità alle banche più
concorrenziali di guadagnare quote di mercato della raccolta rispetto a
quelle meno dinamiche. Lascia ai clienti la scelta presso quale banca
rivolgersi e stimola la concorrenza, mentre nella soluzione 2 ci sarebbe
un’ulteriore scelta da parte della politica rispetto a quale cordata privata
vendere le attività con potenziali mazzette e inciuci. La soluzione 2
darebbe continuità all’istituto preservando i posti di lavoro dei dipendenti.
Buona parte della popolazione italiana considera questo un punto fondamentale
e una strada da perseguire, ma il crack MPS non è una situazione normale,
dove pure ci sarebbe da discutere tra liberali e socialdemocratici. Infatti,
la cultura aziendale di questa banca è pervasa di clientelismo parapolitico.
Non m’interessa qui dibattere sul colore politico di tale clientelismo, nella
maggior parte delle altre banche/fondazioni vi è un fenomeno identico anche
di altri colori. Quello che m’interessa evidenziare, e che è sotto gli occhi
di chiunque sia in grado di leggere l’elenco degli affidamenti in sofferenza
e dei mutui non rimborsati, è che ce
ne sono centinaia destinati a dirigenti e quadri di partito, senza
garanzie. Chissà quanti saranno quelli erogati agli amici di tali dirigenti
che difficilmente possiamo identificare. Oltre al buco, MPS ha già ben 17
miliardi di sofferenze, ma ci sarebbe da operare un nuovo screening completo
alla luce dei fatti che stanno emergendo. Per arrivare a questo punto vuol
dire che si è sviluppato un sistema in cui c’era un atteggiamento di ostinato
silenzio atto a non denunciare infrazioni o reati più o meno gravi di cui si
veniva direttamente o indirettamente a conoscenza, portato avanti da persone
assunte in funzione esclusiva dell’appartenenza politica che ha mandato avanti
senza fiatare pratiche truffaldine. Va poi osservato che spesso gli stipendi
erogati sfuggono alla logica della produttività, dirigenti e dipendenti erano
indicati dalla forza politica di riferimento e a norma dello statuto di tale
forza, essi ritornavano alla stessa una certa percentuale dello stipendio
come “donazione volontaria”. Con questo non
voglio dire che tra i dipendenti non ci siano tante persone oneste e assunte
per la loro bravura sul lavoro ma non sono di certo queste che devono temere
perché sono altamente qualificate e grazie all’espansione della raccolta
presso altre banche, ivi troveranno lavoro. La soluzione 1 rimane quindi
preferibile anche su questo versante perché ristabilisce con forza il principio meritocratico. E va ricordato
che in ogni caso interverrebbe la cassa integrazione guadagni speciale per
dodici mesi a dare un reddito ai 30.400 dipendenti pari al massimo a 1.000
euro lordi per ciascuno circa 365 milioni di euro complessivi. Un costo sulle
tasche dei contribuenti che pesa sulla soluzione 1, ma come vedremo un’inezia
rispetto a quanto dovrebbero sborsare nella soluzione 3. Nella soluzione
2, la cordata di privati che si assume l’onere di gestire la nuova società
avrebbe davanti ad una strada impervia per estirpare la cosa più difficile da cambiare in un’azienda: le mentalità e le
abitudini sbagliate delle persone, quando non anche a lasciare a casa
bancari inadatti al ruolo magari difesi dai sindacati dello stesso colore
politico come se fossero vittime. Farebbero fatica a impedire che la banca in
loro possesso continui a essere abusata da dirigenti che devono oliare mille
situazioni sul territorio a favore della loro parte politica o che devono
disinnescare con denaro facile il conflitto sociale, anche se l’azienda che
ha richiesto credito non è più in grado di stare sul mercato. E’ facile che
una cordata accetti questa ipotesi masochistica solo per collusione con la
politica – scambio di favori – esattamente come è avvenuto per Alitalia,
favorendo il crony capitalism all’italiana.
La soluzione 1 è autenticamente pro-market mentre la 2 è una soluzione
pro-business. In ultimo, a chi
lamenta la fine di un pezzo di storia d’Italia causato dalla soluzione 1,
posso solo fare notare che Pompei continua a rimanere un pezzo di storia,
anche se non è usata più per abitarci. Una banca ha senso che operi solo se è
utile come banca, stando sul mercato e generando utili. Se deve essere luogo di
nostalgie è meglio trasformarla in un museo della banca. UNA TERZA SOLUZIONE Veniamo, ora,
alla terza soluzione, che è l’unica opzione presente nel dibattito
pre-elettorale. La sentirete
chiamare nei modi più disparati bailout,
salvataggio, aiuto, sostegno, non lasciarla fallire, nazionalizzazione,
salvaguardia degli azionisti, tutela dei lavoratori. Sempre della stessa cosa
si tratta, anche se le varie forze politiche hanno priorità diverse,
consapevolezza differente rispetto al merito di cosa stanno parlando e
diverse impostazioni sulle prospettive di lungo periodo per la stessa. La caratteristica
comune, il minimo comun denominatore di
questo genere di proposte è quello
della continuità societaria. Sarebbe quindi sempre la stessa Banca
Monte Paschi di Siena S.p.A. ricapitalizzata a continuare a operare. Mai
nessun privato oserebbe acquistare o capitalizzare MPS a breve proprio perché
sono in corso indagini della magistratura su falso in bilancio e una pletora
di altre accuse penalmente rilevanti agli ex manager della società. Non
conoscendo le dimensioni del buco è impossibile per i privati fare qualsiasi
assunto di capitali necessari e stimare di conseguenza il ritorno
dall’investimento. In sintesi, la
politica lascia la crisi evolvere cianciando in pubblico del solito nulla e
attende, a metà tra inettitudine e calcolo politico, la prossima crisi di
liquidità di MPS bruciando in questo modo sia il sollievo dato dall’ultimo
acquisto statale di bond MPS per 3,9 miliardi di euro sia il tempo necessario
per organizzare la soluzione 1 o 2. Da questo punto di vista il trasformarsi
del governo da “tecnico” a impegnato nella campagna elettorale è stata una
cosa pessima, è stato già perso del tempo e forse questo fatto ha portato sia
l’esecutivo sia Banca d’Italia a minimizzare finché possibile il crack MPS
per ragioni elettoralistiche. Al posto di agire proattivamente, la politica
reagirà sull’orlo del baratro e questo di fronte ad un potenziale evento
sistemico già lascia capire la sua totale irresponsabilità. Solo a quel
punto, sull’onda della giusta preoccupazione dei cittadini, ecco che il
governo di turno si presenterà come la soluzione del caso Monte paschi, anche
se in realtà la politica è stata
proprio la causa del crack. Magari dicendo che nel “breve tempo” a
disposizione hanno fatto del loro meglio ! Questa soluzione,
attraverso l’uso del denaro pubblico, fa entrare nell’equazione un nuovo
protagonista, il contribuente,
che pur non avendo alcun ruolo nel crack MPS sarà in caso di salvataggio il
Pantalone che pagherà completamente gli errori di tutte le parti in causa.
Dal punto di vista del contribuente il tutto si tradurrà o in nuove tasse sui
contribuenti o nell’incapacità di ridurre le tasse a fronte di tagli alla
spesa pubblica, secondo la parte politica al governo. Quanto denaro
dovrà sborsare il contribuente per MPS? Tutto quello che sarà necessario! Qualsiasi sozzeria contabile verrà fuori dai
conti di MPS sarà a suo carico a
causa della continuità societaria. Secondo una mia stima prudente
(sperando che oltre ad Alexandria e Santorini non ci siano altre magagne)
stiamo parlando di circa 30 miliardi di euro. Ci vorranno anni prima che sia
fatta chiarezza e uno o probabilmente più salvataggi se saltano fuori altri
buchi. Nel frattempo MPS vivrà una stagione d’incertezza che ne condizionerà
l’operatività.vAscoltare insulsi paragoni tra
questa peculiare realtà italiana e gli altri casi al mondo (l’ultimo SNS Reaal) dove sono stati fatti salvataggi o
nazionalizzazioni suona veramente fastidioso come lo stridio di chi si
aggrappa con le unghie sui vetri. Nel nostro caso sarebbe necessario operare
una netta separazione tra la gestione e la cultura aziendale passata di cui
MPS è solo l’esempio più clamoroso e il sistema bancario del futuro, isolando
e liquidando le prime. Un gesto non solo utile in pratica a tutte le parti
coinvolte ma ancora più utile perché simbolico verso chi potrebbe replicare
certi comportamenti. E’ chiaro che
forze politiche diverse hanno approcci su come procedere basati sulla loro
particolare utilità. Chi già controllava la banca, o è un suo alleato minore,
vorrebbe semplicemente offrire liquidità alla stessa via bond a lunghissimo
termine in modo da spalmare su 30 anni il disastro, permettendo alle
clientele attuali di rimanere in essere e in previsione di mantenerle.
D’altronde solo per la sottopolitica stiamo
parlando di un Gruppo che è composto di 34 società controllate totalmente,
due consolidate proporzionalmente e quasi 60 partecipate, che fanno alcune
centinaia di poltrone disponibili. Viceversa, forze
politiche che non hanno la possibilità di divenire maggioritarie nelle
istituzioni senesi che controllano la fondazione propongono di nazionalizzare
in via permanente la stessa spostando il controllo nei palazzi della politica
romana. Magari con argomentazioni del tipo “se il pubblico ci deve mettere
dei soldi che almeno ne acquisti la proprietà”, come se fosse una cosa da
menti astute acquistare per miliardi qualcosa che ha più debiti che
patrimonio e che l’ultimo anno ha registrato perdite consistenti.
Dimenticandosi che persino in Cina Popolare la proprietà statale delle banche
è una soluzione che non è più utilizzata perché le stesse sono state negli
anni scorsi privatizzate, vendute ai cittadini attraverso il modello delle
public company. Come la ICBC al primo posto a livello globale in
termini di capitalizzazione o come la Agricultural Bank of China quinta nella stessa classifica e più grande
IPO avvenuta al mondo. Rimane poi chi
invece vorrebbe nazionalizzare a tempo per privatizzare dopo avere risanato.
Credo soffrano di dissonanza cognitiva per incoerenza logica; dopo avere
detto per mesi che gli italiani hanno bisogno finalmente di sentirsi dire la
verità, li troviamo ad avvallare la tesi “Too Big Too Fail”.
Bullshit si dice in America! La soluzione da
loro proposta è perfettamente in linea con tutte le “soluzioni” all’italiana,
si rattoppa il buco e si spera che la prossima volta andrà meglio senza
modificare nulla nel paese in termini di cultura, di processi e di meccanismi
che pure rappresentano un costo enorme per la società italiana anche se non
quantificabile in termini economici. Perché come al solito si lascia alla
magistratura l’eventuale punizione dei capri espiatori e si ignorano, com’è
già accaduto nel 1994, gli incentivi/disincentivi per evitare determinati
comportamenti di quadri, dipendenti, azionisti, responsabili delle autorità
di sorveglianza che sapevano, ma a cui faceva comodo non dire e che invece
sono salvati a spese di chi non è responsabile. In questo consiste il vero moral hazard ! Dal punto di
vista pratico non esiste alcuna possibilità di vendere in due anni l’azienda
ad un prezzo maggiore al costo dei salvataggi effettuati. Essendoci poi una
sequenza temporale di eventi necessari all’attuazione dell’approccio
proposto, si troverà ampio consenso per la nazionalizzazione, salvo poi
vederlo evaporare quando si tratterà di privatizzare e togliere ai politici
la gestione della banca, anzi si formerà un consenso contrario che annullerà
qualsiasi trattativa precedente. Diceva Milton Friedman “Niente è così
permanente come un programma provvisorio del governo”. Inoltre, non che
voglia insegnare a muoversi in politica, ma anche ponendo che questa sia
davvero una soluzione da perseguire, per governare in coalizione sarà
necessaria una mediazione, e sarebbe stato tanto più importante per ottenere
il proprio risultato partire da una posizione ferma in cui si “accentua” il
punto di partenza. Se nei Paesi
Bassi o nel Regno Unito la nazionalizzazione può essere vista dai più come
una scelta comoda e pratica per evitare la crisi sistemica, in Italia vuol
dire fare esattamente la scelta sbagliata cioè incoraggiare l’intreccio tra
politica e banche che invece deve essere sciolto come il nodo di Gordio. Prima di arrivare
alle conclusioni di questo focus è importante capire la vera natura del
rischio sistemico. Di questo e delle cause della crisi ne avevo parlato in
questo articolo a
cui vi rimando. Qui accenno solo brevemente al fatto che il rischio sistemico
collegato alle banche è solo un gradino di una piramide e che da questa è
meglio scendere che salire. Il rischio non nasce sistemico, nasce atomizzato
nelle singole scelte di ciascun agente economico. Tassi troppo bassi da parte
delle banche centrali hanno drogato i mercati di debito. In questa situazione
un rallentamento dell’economia ha generato l’insolvenza di persone ed aziende
che si è scaricata come ovvio nel sistema bancario, concentrando il rischio.
Il TARP, la cosiddetta “soluzione” con cui nel 2008 è stato impedito il
crollo del sistema finanziario occidentale è stata niente altro che spostare
il rischio dalle banche al debito sovrano guadagnando tempo fino al maturare
della prossima crisi. Quindi sono intervenute le banche centrali a salvare i
governi e il rischio si è trasferito nelle valute e oggi siamo alla guerra
delle valute, i cui esiti potranno dare luogo a rigurgiti protezionisti. Ogni
volta che si fa un salvataggio il rischio si concentra e diventa sempre più
ingestibile e sempre più pericoloso. Non esiste il modo di salvarci da scelte
che sono state già compiute nel passato, le conseguenze vanno affrontate e
non rimandate dando il calcio al barattolo. La soluzione è consentire il deleverage del debito quando non è ancora concentrato e
abbiamo visto che il caso MPS consente di farlo. Scegliere altrimenti è un
azzardo ingiustificabile. CONCLUSIONE Tra le 3
soluzioni possibili che abbiamo affrontato, la più utile per il cittadino
medio che non ha interessi è la numero 1. Sia per considerazioni di carattere
economico sia perché in prospettiva vivrebbe in una società più sana nella
quale non si paga per errori altrui, in cui il rischio di fallimento
sistemico è ridotto e in cui il merito personale è valorizzato. La risposta alla
domanda iniziale “Mi è utile che una parte delle tasse che pago sia destinata
a salvare uno specifico soggetto privato?” a mio parere è quindi NO deciso e credo che sia
importante che i cittadini che condividono questa posizione lo facciano
sapere ai politici e ai media italiani, perché non c’è nessun altro, oltre a
loro, che condivide con questo interesse. |
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