|
PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 9-4-2013 |
|
|||
DOCUMENTI CORRELATI |
|
||||
|
|||||
|
|||||
09/04/2013
La Stampa Semplicismo, malattia italiana
Mario Deaglio Il trascinarsi della crisi
politica e l’aggravarsi della crisi economica sembrano andare di pari passo
con la banalizzazione delle posizioni sull’economia: un numero sempre
maggiore di persone pensa infatti che la crisi si possa risolvere con
facilità. La convinzione che tutto sia facile è una grave malattia che si
potrebbe definire «semplicismo». I semplicisti - in questa categoria bisogna
purtroppo includere anche buona parte della classe politica - pensano che per
invertire la congiuntura negativa, far ripartire la crescita, risanare le
finanze pubbliche sia sufficiente qualche piccolo provvedimento da scegliere
a piacere tra i seguenti (tutti lodevoli di per sé): ridurre le imposte,
colpire gli evasori fiscali, pagare i debiti delle amministrazioni pubbliche
verso le imprese, ridurre i costi della politica. Il semplicista
ritiene che, se si adottasse la misura, o una delle misure, da lui preferita,
il meccanismo economico italiano si rimetterebbe in moto, come per incanto, e
l’economia rifiorirebbe. Le ricette miracolose
dei semplicisti vengono spesso espresse in messaggi di «twitter»
da 140 caratteri; così che tutti gli italiani dotati di computer le possano
leggere in un minuto e commentare al bar nel tempo necessario a prendere il
caffè. Tutto ciò non sarebbe un gran male se tracce sempre più consistenti di
semplicismo si possono rilevare sui siti e nei blog delle forze politiche,
nei discorsi dei leader, negli abbozzi di programma dei partiti che cercano,
con scarso successo finora, di dar vita a un nuovo governo. Le cose, purtroppo, non
sono semplici in alcun Paese del mondo; meno che mai il semplicismo può
funzionare in Italia, un Paese in cui, anche per la sua intricata struttura
sociale, geografica e produttiva, l’economia è una macchina al tempo stesso
molto complicata e molto delicata. Eppure l’idea che siano necessarie
medicine economiche complesse e ben calibrate, che sono efficaci soltanto in
tempi lunghi, non viene neppure presa in considerazione dai
semplicisti. Il semplicismo comporta
due effetti collaterali piuttosto seri. Il primo è la convinzione che i
problemi, in realtà, non esistono, sono soltanto il risultato di montature
mediatiche, oppure che sono comunque lievi, complicati dalla cattiva volontà
dei politici. La crisi? Non c’è, guardate ai ristoranti sempre pieni, disse
non più tardi di due anni fa l’allora presidente del Consiglio, (trascurando,
tra l’altro, che al ristorante la gente, per spendere meno, riduceva il
numero delle portate). Chi ricorda la ventennale mancanza di crescita
dell’Italia, sintomo di declino del Paese, viene spesso guardato con
sospetto, fino a poco tempo lo si definiva «sfascista» e gli si rimproverava
di credere troppo alle statistiche e di non vedere i successi mondiali del
calcio e del «made in Italy». Il secondo effetto
collaterale consiste nel credere che le soluzioni semplici possano meglio
essere adottate da un leader che prenda in mano la situazione, forse un
riflesso del mussoliniano «uomo della Provvidenza». In tempi brevissimi
questo leader potrebbe uscire dall’euro, tagliare gli sprechi, vendere beni
pubblici. Ci si dimentica che all’euro l’Italia è legata da un trattato
internazionale; che tagliare gli sprechi significa in ogni caso tagliare
posti di lavoro e che occorre contemporaneamente incrementare direttamente le
spese produttive se si vogliono evitare effetti recessivi; e che la vendita
di beni pubblici deve seguire, nella stragrande maggioranza dei casi, una
disperante procedura giuridica che può durare diversi anni. Un particolare caso
di semplicismo riguarda il recente provvedimento del governo sul pagamento
dei debiti alle aziende fornitrici. E’ un’illusione che questi denari – che
lo Stato, tra l’altro, metterà a disposizione degli enti debitori solo con il
contagocce – possano da soli far ripartire l’economia. Le imprese alle quali
saranno accreditati, infatti, vedranno con molta soddisfazione alleggerirsi
il colore rosso nei loro conti bancari, alcune emetteranno un sospiro di
allievo per essere così riuscite a evitare il fallimento; passerà però come
minimo un po’ di tempo perché si mettano a pensare a nuovi investimenti. Le
banche creditrici, dal canto loro, saranno liete del rientro dei clienti da
posizioni difficili, spesso incagliate, ma solo molto lentamente questa minor
difficoltà si tradurrà nella volontà di correre nuovi rischi prestando ad
altre imprese. Per usare le parole di un portavoce del commissario Olli Rehn, che ieri ha
commentato il provvedimento italiano, «accelerare il pagamento dei debiti non
è una bacchetta magica». E si potrebbe aggiungere che sarebbe ora che gli
italiani smettessero di credere che le bacchette magiche esistono. In realtà ciò che
esiste è un Paese seriamente malato che ha di fronte a sé cure incerte e di
lunga durata, un «long, hard, slog», ossia una
«sfacchinata lunga e dura», come disse Winston Churchill in un discorso
durante la Seconda guerra mondiale che Margaret Thatcher riprese
frequentemente nel presentare agli inglesi la sua ricetta di risanamento
economico. Probabilmente non abbiamo oggi in Italia alcun bisogno delle
ricette thatcheriane, ma la lunghezza e la durezza del percorso dovrebbero
essere ricordate dai politici agli italiani; molti dei quali continuano a
ritenere che il loro futuro economico, grazie a semplici provvedimenti, sia
una piacevole gita fuori porta. |
|||||