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PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 6-11-2015 |
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Il PuntO
n° 324 Importante sentenza della Consulta (n° 216 del 2015). Chi ha vecchie
lire può ancora cambiarle in euro. Incostituzionale la requisizione imposta
dal Salva Italia di Monti. Il testo della sentenza. Di Mauro Novelli 6-11-2015 Annullata dalla Corte Costituzionale la norma
(art. 26) del Salva Italia di Mario Monti (201/2011) che anticipava al 6 dicembre
2011 il termine ultimo per poter cambiare vecchie lire in euro, quando la
legge del 2002 (introdotta per gestire l’introduzione dell’euro) fissava al
28 febbraio 2012 il termine dell’esercizio del diritto al cambio delle vecchie
lire in euro. Si legge in sentenza: […] Il fatto che, al momento dell’entrata in vigore
della disposizione censurata, fossero già trascorsi nove anni e nove mesi
circa dalla cessazione del corso legale della lira non è idoneo a
giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella
perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non
avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote
in lire possedute. Il lungo tempo trascorso senza alcuna modifica
dell’assetto normativo regolatore del rapporto rende anzi ancora più evidente
il carattere certamente consolidato della posizione giuridica dei possessori
di banconote in lire e della loro legittima aspettativa a convertirle in euro
entro il termine che sarebbe venuto a scadenza il 28 febbraio 2012 e tanto
più censurabile l’improvviso intervento del legislatore su di esso. […] Ecco il testo della sentenza della
Corte Costituzionale. SENTENZA N. 216 ANNO 2015 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici :
Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA,
Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA,
Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
22 dicembre 2011, n. 214, promosso dal Tribunale ordinario di Milano –
sezione specializzata in materia di impresa, nel procedimento vertente tra
M.M. ed altri e la Banca d’Italia ed altro, con ordinanza del 28 aprile 2014,
iscritta al n. 19 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2015. Visto l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 7
ottobre 2015 il Giudice relatore Daria de Pretis. Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 28 aprile 2014, il
Tribunale ordinario di Milano – sezione specializzata in materia di impresa,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, secondo il quale
«In deroga alle disposizioni di cui all’articolo 3, commi 1 ed 1-bis, della
legge 7 aprile 1997, n. 96, e all’articolo 52-ter, commi 1 ed 1-bis, del
decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, le banconote, i biglietti e le
monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con
decorrenza immediata ed il relativo controvalore è versato all’entrata del
bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei
titoli di Stato». La questione è sorta nel corso di un
giudizio promosso da M.M. ed altri, che hanno chiesto la condanna della Banca
d’Italia al pagamento del controvalore delle banconote in lire in loro
possesso, pari alla somma complessiva di 27.543,67 euro, oltre al
risarcimento dei danni, affermando di avere inutilmente tentato di convertire
le banconote in euro presso varie filiali della Banca d’Italia, ma che le
loro richieste sono state respinte in quanto presentate dopo l’entrata in
vigore dell’art. 26 del decreto-legge n. 201 del 2011, che ha disposto
l’immediata estinzione del diritto di convertire banconote, biglietti e
monete in lire ancora in circolazione. Al giudizio partecipa anche il Ministero
dell’economia e delle finanze, chiamato in causa dalla Banca d’Italia. 1.1.– Il giudice a quo – che ha
rigettato, con sentenza non definitiva, l’eccezione di difetto di
giurisdizione del giudice ordinario e di difetto di legittimazione passiva
della Banca d’Italia – espone che gli attori presentarono le banconote per la
conversione dopo il 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore del d.l. n. 201 del 2011, che coincide con quella della sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ma prima del 28 febbraio 2012, data
in cui sarebbe scaduto l’originario termine di prescrizione previsto
dall’art. 3, comma 1-bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96 (Norme in materia
di circolazione monetaria). A suo avviso, la questione è rilevante, perché
l’applicazione della norma denunciata è il presupposto necessario per la
decisione della causa, che dovrebbe essere definita con una sentenza di
rigetto delle domande, qualora la norma non fosse dichiarata
incostituzionale, in quanto il rifiuto della conversione sarebbe, in tale
caso, legittimo. Quanto alla non manifesta infondatezza,
la norma violerebbe, in primo luogo, gli artt. 3 e 97 della Costituzione, per
contrasto con il principio di affidamento e di certezza del diritto, perché
avrebbe disposto una vera e propria estinzione, «con decorrenza immediata»,
del diritto di convertire in euro le banconote, i biglietti e le monete in
lire ancora in circolazione, anticipando di poco meno di tre mesi la scadenza
del termine di prescrizione originariamente fissata al 28 febbraio 2012. Ne
conseguirebbe l’evidente frustrazione del credito vantato dai possessori di
lire nei confronti della Banca d’Italia. Il rimettente richiama la giurisprudenza
costituzionale sull’illegittimità delle leggi retroattive extrapenali,
quando esse trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni
sostanziali fondate su leggi precedenti, e sostiene che il medesimo principio
è applicabile anche nel caso concreto, in quanto la norma denunciata, pur non
avendo efficacia retroattiva, incide con effetti immediati su situazioni
sostanziali di analoga natura. Richiama, altresì, l’orientamento di questa
Corte secondo il quale il legislatore gode di ampia discrezionalità in
materia di fissazione del termine di prescrizione, con l’unico limite
dell’eventuale irragionevolezza qualora il termine venga determinato in modo
tale da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto a cui
si riferisce. L’irragionevolezza sarebbe resa ancora più evidente dalla
previsione del versamento del «controvalore» delle banconote, dei biglietti e
delle monete in lire non convertiti «all’entrata del bilancio dello Stato per
essere riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato», perché
in questo modo, ad avviso del rimettente, il legislatore ha inteso favorire i
possessori dei titoli di Stato, rafforzando la garanzia dei loro crediti a
discapito dei possessori di lire, mediante una scelta preferenziale tra
diverse categorie di creditori dello Stato, priva di alcuna giustificazione. 1.2.– La norma denunciata
contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale
alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva
con legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto realizzerebbe, di fatto, una sorta
di espropriazione ai danni dei possessori delle banconote in lire, della
quale beneficiano in prima battuta lo Stato, mediante il trasferimento del
relativo controvalore al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, e in
ultima analisi i possessori dei titoli del debito pubblico, i quali vedono
così rafforzata la garanzia dei loro crediti. Il rimettente richiama l’orientamento
della Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), secondo il quale è
considerato «bene», ai fini dell’applicazione della norma convenzionale
indicata, anche un profitto futuro, se il guadagno è stato acquisito o è
stato oggetto di un credito esigibile, sicché l’eventuale interesse generale
sotteso alla scelta legislativa non sarebbe sufficiente, nel caso concreto, a
legittimare l’espropriazione disposta dalla norma denunciata. 2.– Con atto depositato il 24 marzo 2015
si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso
chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o, in subordine,
infondata. L’intervenuto eccepisce, in via
preliminare, l’inammissibilità della questione per aberratio
ictus, in quanto il rimettente ha sollevato l’incidente di costituzionalità
con riguardo all’articolo 26 di un inesistente decreto-legge 6 dicembre 2011,
n. “121”, convertito da una, del pari inesistente, legge 22 dicembre 2011, n.
“201”, mentre la modifica del diritto di convertire in euro le banconote in
lire è stata introdotta dall’articolo 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011,
n. “201”, come modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n.
“214”. Nel merito, osserva che la norma
denunciata non è retroattiva, al contrario di quanto sembrerebbe ritenere il
giudice a quo, perché è destinata a operare dal giorno successivo a quello di
pubblicazione del d.l. n. 201 del 2011 nella
Gazzetta Ufficiale. Osserva, altresì, che la norma non lede l’affidamento dei
cittadini nella sicurezza dei rapporti giuridici, dovendosi considerare il
lungo periodo di tempo durante il quale i possessori di banconote e di monete
in lire hanno potuto convertirle in euro, precisamente dal 28 febbraio 2002
(data di cessazione del doppio regime di circolazione della lira e dell’euro)
fino al 6 dicembre 2011, sicché la scelta del legislatore di anticipare di
circa tre mesi la scadenza del termine per la conversione, fissata
originariamente al 28 febbraio 2012, non può essere considerata né
irragionevole né arbitraria. Secondo l’intervenuto, inoltre, la norma non ha
determinato alcun ingiustificato privilegio di una categoria di creditori
dello Stato rispetto a un’altra, in quanto manca qualsiasi elemento da cui
desumere che il controvalore riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei
titoli di Stato, quale effetto della norma denunciata, sia stato impiegato
per estinguere titoli del debito pubblico scaduti in data prossima
all’entrata in vigore del d.l. n. 201 del 2011. Nemmeno sarebbe fondato il secondo
profilo di illegittimità sollevato dal rimettente. Secondo la difesa dello
Stato, la norma incide sul possesso di una moneta che non ha più corso legale
dal 28 febbraio 2002 e si è limitata, come già detto, ad anticipare
l’estinzione del diritto di chiederne la conversione di poco meno di tre mesi
rispetto alla scadenza del termine decennale di prescrizione, decorrente
dalla cessazione del corso legale della lira. Di conseguenza, il legislatore
avrebbe operato una scelta giustificata e non sproporzionata, intervenendo in
una situazione che faceva presumere il disinteresse dei possessori delle
residue banconote o monete in lire alla loro conversione in euro, anche per
la probabile esiguità del relativo controvalore. Considerato in diritto 1.– Il Tribunale ordinario di Milano –
sezione specializzata in materia di impresa, dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
22 dicembre 2011, n. 214, secondo il quale «In deroga alle disposizioni di
cui all’articolo 3, commi 1 ed 1-bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96, e
all’articolo 52-ter, commi 1 ed 1-bis, del decreto legislativo 24 giugno
1998, n. 213, le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in
circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata ed
il relativo controvalore è versato all’entrata del bilancio dello Stato per
essere riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato». Tale norma contrasterebbe con gli artt.
3, 97, 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione
all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il
4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. La questione è sorta nel corso di un
giudizio in cui gli attori hanno chiesto la condanna della Banca d’Italia al
pagamento del controvalore delle banconote in lire in loro possesso, oltre al
risarcimento dei danni, affermando di avere inutilmente tentato di convertire
le banconote in euro presso varie filiali della Banca d’Italia, ma che le loro
richieste sono state respinte in quanto presentate dopo l’entrata in vigore
dell’art. 26 del d.l. n. 201 del 2011. 2.– L’intervenuto Presidente del
Consiglio dei ministri ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità
della questione per aberratio ictus. L’eccezione è infondata. È vero che, come rileva l’intervenuto,
il rimettente indica la norma censurata facendo riferimento all’art. 26 di un
inesistente d.l. 6 dicembre 2011, n. “121”,
convertito da una, del pari inesistente, legge 22 dicembre 2011, n. “201”,
mentre la modifica del diritto di convertire in euro le banconote in lire è
stata introdotta dall’art. 26 del d.l. 6 dicembre
2011, n. “201”, come modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011,
n. “214”. Dall’ordinanza di rimessione si desume
facilmente, tuttavia, che la norma impugnata è effettivamente l’art. 26 del d.l. n. 201 del 2011 – così come modificato dalla legge
di conversione n. 214 del 2014 –, del quale è riportato il testo con
esattezza, sicché è evidente che l’erronea indicazione del numero progressivo
sia del d.l. che della legge di conversione
costituisce un mero lapsus calami, privo di rilevanza ai fini del giudizio di
ammissibilità della questione. Secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte, infatti, «l’indicazione inaccurata o erronea (si tratti di
lapsus calami o di vero errore) delle disposizioni di legge impugnate è
irrilevante quando i termini della questione risultino tuttavia con
sufficiente chiarezza (ord. n. 54 del 1965; sentt. nn. 47 del 1962, 40 del
1983, 212 del 1985)» (sentenza n. 142 del 1993), sicché si deve escludere che
«l’erronea indicazione della norma censurata ridondi in vizio dell’ordinanza
quando dal contesto della motivazione sia agevolmente individuabile la norma
effettivamente impugnata dal rimettente» (sentenze n. 154 del 2006 e n. 224
del 2004). 3.– Il rimettente espone che gli attori
nel processo principale hanno chiesto di convertire le banconote dopo
l’entrata in vigore del d.l. n. 201 del 2011, ma
prima della scadenza del termine ordinario di prescrizione del 28 febbraio
2012. L’applicazione della norma denunciata
costituisce un presupposto necessario per la risoluzione della controversia,
in quanto, per un verso, il rifiuto frapposto dalla Banca d’Italia alla
conversione delle banconote si fonda sulla loro prescrizione immediata e, per
altro verso, il diritto fatto valere dagli attori nel processo principale si
fonda sulla tempestività della loro richiesta di conversione delle banconote
secondo le regole generali, alle quali la norma denunciata deroga. Ad avviso del rimettente, la norma
contrasta, in primo luogo, con gli artt. 3 e 97 Cost.,
sotto i profili della lesione dell’affidamento nella sicurezza giuridica,
dell’irragionevolezza e dell’ingiustificata preferenza accordata ai
possessori di titoli del debito pubblico, perché avrebbe disposto, in via
anticipata rispetto alla scadenza dell’originario termine di prescrizione,
fissata al 28 febbraio 2012, una vera e propria estinzione immediata del
diritto di convertire in euro le banconote, i biglietti e le monete in lire
ancora in circolazione. La norma contrasterebbe, in secondo
luogo, con gli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, Cost.,
quest’ultimo in riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU,
in quanto realizzerebbe, di fatto, una sorta di espropriazione ai danni dei
possessori delle banconote in lire, della quale beneficiano in prima battuta
lo Stato, mediante il trasferimento del relativo controvalore al Fondo per
l’ammortamento dei titoli di Stato, e in ultima analisi i possessori dei
titoli del debito pubblico, che vedono così rafforzata la garanzia dei loro
crediti. 4.– La questione è fondata, in relazione
alla censurata violazione dell’art. 3 Cost. 4.1.– Con l’introduzione dell’euro,
avvenuta il 1° gennaio 1999, si aprì un periodo transitorio, durato sino al
31 dicembre 2001, nel quale le monete metalliche e le banconote in lire
continuavano a costituire il solo mezzo di pagamento in numerario, anche
quando il debito fosse espresso in euro. Il 1° gennaio 2002, cessato il periodo
transitorio, iniziò la circolazione delle banconote in euro e delle monete
metalliche in euro e in cent. Le banconote e le monete in lire continuarono
ad avere corso legale per un periodo di due mesi, sino al 28 febbraio 2002,
ex art. 155, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2001). Da tale data, terminata la fase di doppia circolazione,
iniziò a decorrere il termine di prescrizione delle lire ancora circolanti. L’art. 3, comma 1, della legge 7 aprile
1997, n. 96 (Norme in materia di circolazione monetaria), dispone che «Le
banconote ed i biglietti a debito dello Stato si prescrivono a favore
dell’Erario decorsi dieci anni dalla data di cessazione del corso legale».
L’art. 87, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2003), ha aggiunto all’art. 3 della legge n. 96 del 1997 un comma 1-bis,
secondo cui «Le banconote in lire possono essere convertite in euro presso le
filiali della Banca d’Italia non oltre il 28 febbraio 2012». L’art. 52-ter, comma 1, del decreto
legislativo 24 giugno 1998, n. 213 (Disposizioni per l’introduzione dell’EURO
nell’ordinamento nazionale, a norma dell’articolo 1, comma 1, della L. 17
dicembre 1997, n. 433), prevede che «Le monete metalliche si prescrivono a
favore dell’erario decorsi dieci anni dalla data di cessazione del corso
legale». L’art. 87, comma 2, della legge n. 289 del 2002 ha aggiunto un comma
1-bis anche all’art. 52-ter del decreto legislativo n. 213 del 1998, secondo
cui «Le monete in lire possono essere convertite in euro presso le filiali
della Banca d’Italia non oltre il 28 febbraio 2012». Per effetto della cessazione del corso
legale della lira, quindi, il diritto di convertire in euro le banconote e le
monete metalliche in lire poteva essere esercitato fino alla scadenza del
termine decennale di prescrizione stabilito, in via generale, a favore
dell’erario, e cioè fino al 28 febbraio 2012. In questo quadro si è inserito l’art. 26
del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, il
quale, al dichiarato fine di ridurre il debito pubblico (la disposizione è
contenuta nel Capo V del decreto, intitolato «Misure per la riduzione del
debito pubblico») e in deroga alle norme sopra richiamate, ha disposto la
prescrizione anticipata, con effetto immediato, delle lire ancora in
circolazione, e ha stabilito, altresì, che il relativo controvalore fosse
versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo
per l’ammortamento dei titoli di Stato. 4.2.– Come questa Corte ha più volte
affermato, il valore del legittimo affidamento, il quale trova copertura
costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che
il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso
sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici «anche se
l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti», ma esige
che ciò avvenga alla condizione «che tali disposizioni non trasmodino in un
regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali
fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza
giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto»
(sentenze n. 56 del 2015, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009). Solo in
presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, dunque,
ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici che esigano
interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, ma
sempre nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli
obiettivi di interesse pubblico perseguiti, è consentito alla legge di
intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente
definiti (ex plurimis, sentenza n. 56 del 2015). Non è dubitabile che il quadro normativo
preesistente alla disposizione denunciata di incostituzionalità, come
descritto in precedenza, fosse tale da far sorgere nei possessori di
banconote in lire la ragionevole fiducia nel mantenimento del termine fino
alla sua prevista scadenza decennale, come disposto, sia dalla norma sulla
prescrizione delle banconote cessate dal corso legale (art. 3, comma 1, della
legge n. 96 del 1997), sia dalla norma che prevede il diritto di convertire
le banconote in euro presso le filiali della Banca d’Italia (art. 3, comma
1-bis, della legge n. 96 del 1997, introdotto dall’art. 87 della legge n. 289
del 2002). Il fatto che, al momento dell’entrata in
vigore della disposizione censurata, fossero già trascorsi nove anni e nove
mesi circa dalla cessazione del corso legale della lira non è idoneo a
giustificare il sacrificio della posizione di coloro che, confidando nella
perdurante pendenza del termine originariamente fissato dalla legge, non
avevano ancora esercitato il diritto di conversione in euro delle banconote
in lire possedute. Il lungo tempo trascorso senza alcuna modifica
dell’assetto normativo regolatore del rapporto rende anzi ancora più evidente
il carattere certamente consolidato della posizione giuridica dei possessori
di banconote in lire e della loro legittima aspettativa a convertirle in euro
entro il termine che sarebbe venuto a scadenza il 28 febbraio 2012 e tanto
più censurabile l’improvviso intervento del legislatore su di esso. Proprio con riguardo alla fissazione del
termine di prescrizione dei singoli diritti, questa Corte ha costantemente
affermato che «il legislatore gode di ampia discrezionalità, con l’unico
limite dell’eventuale irragionevolezza, qualora “esso venga determinato in
modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si
riferisce, e di conseguenza inoperante la tutela voluta accordare al cittadino
leso” (ex plurimis, ordinanze n. 16 del 2006 e n.
153 del 2000)» (sentenza n. 234 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 10
del 1970). Nemmeno la sopravvenienza dell’interesse
dello Stato alla riduzione del debito pubblico, alla cui tutela è diretto
l’intervento legislativo nell’ambito del quale si colloca anche la norma
denunciata, può costituire adeguata giustificazione di un intervento così
radicale in danno ai possessori della vecchia valuta, ai quali era stato
concesso un termine di ragionevole durata per convertirla nella nuova. Se
l’obiettivo di ridurre il debito può giustificare scelte anche assai onerose
e, sempre nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, la
compressione di situazioni giuridiche rispetto alle quali opera un legittimo
affidamento, esso non può essere perseguito senza una equilibrata valutazione
comparativa degli interessi in gioco e, in particolare, non può essere
raggiunto trascurando completamente gli interessi dei privati, con i quali va
invece ragionevolmente contemperato. Nel caso in esame non risulta operato
alcun bilanciamento fra l’interesse pubblico perseguito dal legislatore e il
grave sacrificio imposto ai possessori di banconote in lire, dal momento che
l’incisione con effetto immediato delle posizioni consolidate di questi
ultimi appare radicale e irreversibile, nel senso che la disposizione non
lascia alcun termine residuo, fosse anche minimo, per la conversione. Né,
d’altro canto, lo scopo perseguito imponeva un tale integrale sacrificio,
visto che, come si poteva prevedere fin dall’approvazione della norma, per la
maggior parte delle banconote in lire corrispondenti al controvalore versato
all’entrata del bilancio dello Stato non sarebbe stata chiesta la
conversione. La lesione dell’affidamento risulta
tanto più grave e intollerabile in quanto la norma censurata, sebbene si
presenti formalmente diretta a ridurre il termine di prescrizione in corso,
in realtà estingue ex abrupto il diritto a cui si riferisce, senza lasciare
alcun residuo margine temporale per il suo esercizio, sia pure ridotto
rispetto al termine originario decennale e della cui durata si potesse in
ipotesi valutare la ragionevolezza. 5.– Va pertanto dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 26 del d.l.
n. 201 del 2011, come convertito, per violazione dei principi di tutela
dell’affidamento e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Rimangono assorbiti gli altri profili
sollevati, con riferimento agli artt. 97, 42, terzo comma, e 117, primo
comma, Cost., in relazione all’art. 1 del
Protocollo addizionale alla CEDU. Per Questi
Motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26 del decreto-legge 6
dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 7 ottobre 2015. F.to: Alessandro CRISCUOLO, Presidente Daria de PRETIS, Redattore Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2015. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella Paola MELATTI |
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