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PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 10-3-2013 |
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Da http://noisefromamerika.org/articolo/negazionisti-euro10-3-2013 I negazionisti dell'Euro
Molti
lettori ci hanno chiesto di occuparci delle argomentazioni “negazioniste”
riguardo all’Euro. “Negazioniste” nel senso che negano quelli che alla
maggior parte degli osservatori economici paiono fatti incontrovertibili: che
i) l’entrata nell’Euro è stata in principio cosa buona per il nostro paese, e
che ii) uscire adesso sarebbe una follia. Cercheremo di districarci tra
argomentazioni, per fare un po' d'ordine, così da poter valutare le loro
conclusioni. Non
ci siamo mai occupati delle argomentazioni “negazioniste” riguardo
all’Euro direttamente, perché il tempo è per tutti risorsa scarsa e
scegliamo i nostrl temi forse con un certo snobismo
intellettuale: non possiamo né dobbiamo commentare tutto ciò che si
sente in giro. E non vi è alcun dubbio che in molti casi quelle dei
"negazionisti" sono stupidaggini. A leggere in una intervista o sentire in TV
(dove è spesso invitato) tal Paolo Barnard argomentare che "L'euro
e la Ue […sono…] un grande inganno per mettere gli Stati nazionali in
mano alle Banche"; che “l’unione
monetaria europea […è…] un programma di spoliazione dei beni comuni a
favore delle elite con la sottomissione totale
degli Stati attraverso la sottrazione della moneta”; onestamente
non viene proprio voglia di commentare. Anzi il cervello corre alla felice
gioventù milanese, ai tempi in cui attorno al Castello (Sforzesco) spesso si
incontrava quel simpatico signore che tirava un carrello pieno di cartelli che denunciavano “ci uccidono con
l’onda” (per chi non lo sapesse, non tutti sono vissuti a Milano negli anni
80, è il clero, naturalmente, a ucciderci con l'onda). Se
poi si cercano argomentazioni più tecniche invece che politiche in Paolo
Barnard si trovano (nella stessa intervista) o ulteriori capriole
complottiste, tipo: “La
Bce non ha limiti tecnici nella creazione della moneta Euro, ma non lo vuole
fare. È una scelta politica per favorire l’operazione di spoliazione e
impoverimento di molti Stati europei e banchettare attraverso le
speculazioni.” oppure
frasi senza significato alcuno come la seguente: “Il cittadino deve capire che in una qualsiasi nazione moderna solo
due entità possono creare il bene finanziario, la moneta: lo Stato e le
banche. Se attraverso un disegno ideologico-economico tu arrivi a ottenere la
cancellazione del potere dello Stato, e ad emettere e gestire il denaro, cosa
rimane? Solo le banche. Ed esse diventano, di fatto, lo Stato. Questo è
quanto è successo con l’Unione Europea, […] Il più grande attentato alle
Costituzioni degli Stati mai fatto. Ma
di questi tempi non si può far a meno di commentare su questi temi. Il 25%
circa degli italiani che sono andati alle urne ha votato un partito Il cui
fondatore, Beppe Grillo, non è alieno da una certa predisposizione alla
teoria del complotto (per non parlare del deputato assurto all’onore della cronoca per le dichiarazioni sul governo americano dedito
ad impiantare micro-chip sottocutanei nei propri cittadini per poterli
controllare). Ma soprattutto, al di là degli aspetti folkloristici di alcune
posizioni di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle, quel che ci importa è che
gli attacchi all’Euro da parte del Movimento, così come la richiesta di un
fantomatico e ad oggi incostituzionale referendum sull’uscita dall’Euro,
siano purtroppo diventati temi all’odine del giorno. Invece
di discutere Paolo Barnard o Loretta Napoleoni (che ha posizioni solo
leggermente più articolate, ma che poi lamenterebbe che sono maschio,
violento, e stupratore come ha fatto su twitter
dopo un suo interscambio televisivo con Michele Boldrin nel corso della
campagna elettorale) – davvero non ne ho lo stomaco – discuterò delle
posizioni di Alberto Bagnai. Mi pare infatti che Bagnai sia in questo momento
il leader intellettuale di quelli che ho chiamato “negazionisti”. I suoi
argomenti sono articolati in modo coerente ed intelleggibile
e quindi si prestano ad una analisi come quella cui mi accingo. Non
ho dubbio che Bagnai abbia espresso le sue posizioni in modo più esteso nel
tempo e nello spazio di quanto io non possa conoscere. Mi soffermo quindi
essenzialmente su due suoi articoli, che nel suo blog, Goofynomics, egli ha la
generosità di indicare ai lettori come letture fondamentali per comprendere
il suo pensiero (ce ne sarebbe un terzo, ma mi pare di riuscire a
comprendere a sufficienza dai primi due e quindi mi son fermato lì; lui me ne
vorrà senz’altro ma spero non i lettori, che sfido a leggersi per bene tutto
il primo articolo, con tanto di commenti e ricommenti
dell'autore a se stesso). C’è
una favola fondamentale alla base di tutte queste posizioni “negazioniste”
sull’Euro (e la posizione di Bagnai non fa eccezione). La favola è quella
delle capacità taumaturgiche della moneta. L’idea che se solo potessimo fare
quello che vogliamo con la moneta (stamparla, svalutarla,…, farla colorare ai
bambini) potremmo evitarci le fatiche reali, quelle fatiche che ci eviteremmo
volentieri – cose come alzarci la mattina per andare a lavorare, scavare
nelle miniere, risparmiare, ripagare I debiti, … e così via. Purtroppo non è
così. Fabio Scacciavillani, con intuizione geniale,
l’ha chiamata la "favola della moneta filosofale”. Proviamo
ad articolare allora la posizione di Bagnai sull'Euro, nei suoi elementi
fondamentali, perché i suoi due articoli seguono vari percorsi, dall'analisi
economica a quella politica, dall'analisi dei costi e vantaggi dell'Euro per
l'Italia ad una visione generale dell'economia internazionale, come
disciplina e pratica. Leggendolo, è facile finire a seguirlo in voli
pindarici di vario tipo. Cerchiamo invece di scendere al sodo, a costo di
semplificare, che poi non fa mai male. Per Bagnai l'Euro è la
"coronazione del progetto imperialistico della Germania" e allo
stesso tempo, per l'Italia, uno "strumento della lotta di classe
anti-sindacale". Spieghiamo.
Il progetto imperialistico della Germania consisterebbe nell’imporre,
attraverso l’Euro, una serie di "svalutazioni competitive" a
proprio favore all’interno dell’Eurozona (proprio cosi dice: "il
problema dell'Euro è dato dalle svalutazioni competitive...ma della Germania,
non dell'Italia!"), e quindi ad avvantaggiarsi di una "domanda
drogata" a nostre spese (dell'Italia e degli altri paesi del Sud Europa). La
lotta di classe anti-sindacale consiste invece in una forma di
controllo dei salari: nell’utilizzare il vincolo esterno, la
competizione con la Germania ad esempio, per costringere I lavoratori alla
moderazione salariale. Ma
le due affermazioni, l'imperialismo tedesco e la lotta anti-sindacale, sono
in contraddizione logica. La Germania e l'Italia hanno la stessa valuta,
l'Euro. Questo è il punto di partenza. Quindi il progetto imperialistico
tedesco, le svalutazioni competitive, richiede un differenziale
inflazionistico, una maggiore inflazione in Italia (e negli altri domini
coloniali) rispetto alla Germania (con la moneta unica la Germania non può
svalutare in senso proprio la valuta rispetto all'Italia). Ma tale
differenziale inflazionistico, in una area valutaria comune come l’Eurozona,
non può essere il risultato di diverse politiche monetarie. Può avvenire
essenzialmente solo se I salari in Italia crescono più che in Germania (anche
l’energia ha la sua importanza ma Bagnai se ne scorda e quindi facciamolo
pure noi). Questo Bagnai (non dove parla della lotta di classe,
naturalmente), lo ammette nei suoi articoli. Ma allora delle due l'una, o il
"progetto imperialistico della Germania" richiede che i salariati
italiani non siano affatto condizionati dal vincolo esterno; perché se lo
sono, l'imperialismo della Germania si scontra contro la moneta unica a
parità di inflazione. Oppure, no, i salari italiani crescono e così
l'inflazione,... ma allora è la lotta di classe, il controllo dei salari, che
va a sbattere. A meno che...a meno che il mondo non si sia mosso al
contrario di come Bagnai sostiene. E allora ecco che tutto si tiene. i)
L'imperialismo tedesco non è che maggiore competitività economica. Non ha
nulla a che fare con le svalutazioni competitive (né con l'Euro o con
la moneta filosofale) ma si fonda invece sugli incrementi della
produttività tedesca degli ultimi 15 anni; roba molto reale, che si ottiene
innovando e organizzando meglio la produzione. ii)
I salari in Italia sono cresciuti in termini reali dando in parte luogo al
differenziale inflazionistico con la Germania. Soprattutto in
Italia i salari sono cresciuti più della produttività (che sono 10 anni che
non cresce punto). Altro che Euro strumento della lotta di classe. In Germania
i salari sono cresciuti meno della produttività - ma occhio a compatire
i poveri operai tedeschi, che oggi hanno salari reali del 15% superiori
a quelli degli italiani. La produttività, la produttività; è il motore unico,
non la moneta. E
allora: allora la questione economica in Italia e in Europa non è monetaria
ma reale. Alla base di tutto, c'è la Per
l'Italia l'entrata nell'Euro aveva una funzione principale, esplicita nel
dibattito economico del tempo: legare i mercati finanziari europei e rompere
la reputazione della Lira come moneta dalla svalutazione sempre pronta. In
questo senso l'Euro è stato un enorme successo. Il fatto che Bagnai e
compagni se ne scordino sempre denota poca coerenza intellettuale, denota
propaganda economica a senso unico. Si può discutere su quale sia la reale
entità del risparmio di interessi che l'Italia ha accumulato dal 1996. La
figura sotto fornisce un'idea del crollo dello spread dal 1996 al 2011 in
Italia (il calo dei tassi in Germania è ininfluente ai fini del calcolo dei
risparmio). È importante iniziare dal 1996 a fare i conti perché i
mercati finanziari anticipano tutto, nel bene o nel male e quindi è chiaro
che gli effetti dell'entrata dell'Euro sui tassi inziano
ben prima dell'entrata nell'Euro. Se facessimo dichiarare al governo, quando
l'avremo, che l'Italia uscirà dall'Euro nel 2016, vedremmo un aumento dei
tassi immediatamente all'annuncio, non nel 2016. Speriamo non succeda. Alla
fine i conti bisogna farli bene, e vari dettagli vanno ben definiti. Ma una
stima cauta di questi risparmi ci porta a circa 500-600 miliardi di Euro dal
1996 al 2011. Roba grossa. Il fatto che questi risparmi siano stati mangiati,
distri-buiti, bruciati, usati per
"drogare" l'economia italiana è un altro discorso. Anche qui, nulla
di monetario: un paese con istituzioni corrotte e con una economia pubblica
incredibilmente inefficiente fa anche queste cose. Tutto reale, moneta e
tassi di cambio non hanno nulla a che vedere con l'occasione persa dal paese
di sfruttare questi risparmi.
Naturalmente
Bagnai non spiega cosa sia la teoria delle Aree Valutarie Ottimali.
Magari qualche lettore si è pure impressionato, leggendo il "riferimento
alla dottrina". Ora, però, pur senza entrare nei dettagli, vale la pena
di spiegare cos'è questa teoria delle Aree Valutarie Ottimali, per far capire
al lettore che c'entra poco o nulla con la crisi dell'Euro. L'analisi
tradizionale di aree valutarie comuni ne considera costi e benefici in un
contesto relativamente statico (non poteva che essere così, Mundell scriveva all'inizio degli anni '60 e ragionava
con modelli keynesiani classici). In questo contesto, ai vantaggi ovvi in
termini di semplificazione e sviluppo del commercio, riduzione del rischio di
cambio, etc., si devono associare altresì i costi, soprattutto quelli dovuti
al mancato aggiustamento di shock asimmetrici attraverso il meccanismo del
cambio. Per shock asimmetrici si intendono shock alla domanda o all'offerta
che colpiscono un paese più di un altro e che quindi variazioni del cambio
aiuterebbero a sostenere limitando i costi di aggiustamento. Un crollo della
domanda di mozzarella di bufala sarebbe meno dannoso per l'economia campana
se, mentre il mondo si rende conto di cosa perde, o nel corso
dell'aggiustamento verso altri processi produttivi (se il crollo della
domanda non dovesse risultare temporaneo), l'economia campana potesse
svalutare la propria moneta rispetto a quella lombarda. In un'area valutaria
comune, della Lira o dell'Euro, questo non è possibile e comporta dei costi.
L'idea è che questi shock non sono prevedibili, capitano a paesi diversi, in
modo casuale, una volta qui e una là. È cruciale che siano imprevedibili e
che capitino una volta qui e una la, altrimenti se gli shock colpiscono
sempre un paese solo in modo prevedibile, non sono shock, il cambio nulla può,
è il paese ad avere problemi economici strutturali da risolvere. Non che in
questo caso un'area valutaria sia cosa buona, ma è problema di secondo
ordine, la questione di prim'ordine sono i problemi strutturali. È
chiaro quindi che questa versione della teoria delle Aree Valutarie, che
richiede che due economie siano relativamente poco soggette a shock
asimmetrici prima di classificare come ottimale un'area valutaria che le
unisca, è abbastanza irrilevante rispetto alla crisi. Nessuno shock
asimmetrico tra Italia e Germania sta alla base della crisi. Nessun crollo
per la domanda di auto il cui nome inizia per F e finisce per T. È che Audi e
Mercedes fanno auto di miglior qualità a prezzi (per unità di qualità) più
bassi. Più
recentemente gli economisti che studiano l'economia internazionale si sono
occupati di aree valutarie ottimali in un contesto più dinamico (ma non è
questa teoria delle Aree Valutarie Ottimali cui Bagnai fa riferimento,
naturalmente), dove la questione fondamentale diventa la reputazione della
politica monetaria e la convergenza tra politiche fiscali. L'idea qui è che
una Banca Centrale Comune credibilmente indipendente dal ciclo fiscale
potrebbe garantire ridotti tassi di inflazione attesi e reali anche a quei
paesi che precedentemente alla creazione dell'Area Valutaria avessero scarsa
reputazione; questo però richiede vincoli credibili di convergenza fiscale
perché, tolta la valvola di sfogo della svalutazione, un paese la cui
posizione finanziaria divergesse in modo stabile finirebbe per perdere
credito internazionale e ingenerare aspettative di default. Come
abbiamo visto questa analisi si è dimostrata corretta. La politica monetaria
comune ha funzionato - riducendo i differenziali inflazionistici e
soprattutto azzerando gli spread nell'Eurozona. La convergenza della politica
fiscale, alla creazione dell'Eurozona era stata demandata agli accordi di
Maastricht che richiedevano la soddisfazioni di alcuni parametri fiscali.
Questo meccanismo è fallito. La questione prevedibilità è quindi
riconducibile a questo punto: era prevedibile che Maastricht fallisse, che i
meccanismi di convergenza messi in piedi dall'Eurozona sarebbero stati
aggirati e rimasti inattuati da Grecia e Italia ma anche da Francia e
Germania? Era prevedibile che l'Italia avrebbe gettato i risparmi
derivanti dall'azzeramento degli spread sul finanziamento pubblico nel
calderone della spesa pubblica improduttiva, divergendo quindi dai parametri
e impedendo alla propria economia quel riaggiustamento, quelle riforme, che
invece hanno permesso alla Germania gli incrementi di produttività che
abbiamo osservato? Era prevedibile che la Grecia truccasse addirittura i
conti pubblici per far credere che essi soddisfacessero i parametri di
Maastricht? La
risposta a queste questioni è soggettiva, a mio parere. E vi è senz'altro chi
lo aveva previsto. Ma il punto è che queste sono le questioni. Affermare che
sulla base della teoria delle Aree Valutarie Ottimali a fine anni '90 fosse
ovvio che l'Euro fosse destinato a fallire è abbastanza ridicolo. Questo
Bagnai lo sa bene ed infatti, oltre a minimizzare i guadagni in termini di
risparmi di interesse dovuti alla politica monetaria comune, tende a dare per
scontato che la convergenza fiscale fosse impossibile perche'
essa avrebbe richiesto trasferimenti da Nord a Sud improponibili
politicamente: Quelli
che vogliono una Bce come la Fed americana forse non sanno che negli Stati
Uniti il bilancio federale compensa con trasferimenti una proporzione attorno
al 30% degli shock negativi subiti da Stati dell'Unione. Questo e' il risultato degli studi compiuti non dai soliti
ex-sindacalisti, ex-sociologi, ex-portieri di serie B che in questi giorni
pontificano sull'Euro, ma da studiosi di riconosciuto spicco internazionale
come Bayoumi e Masson o
Sala-i-Martin e Sachs [...] In questo caso, e solo in questo caso, la
politica monetaria centralizzata funziona. Si chiama integrazione fiscale. E
voi ce la vedete la Germania ad agire in tal senso, compensando gli shock dei
Pigs con i soldi che ha accumulato grazie alla loro
domanda? No, ovviamente. Quindi anche la Bce modello Fed non puo' funzionare. Chiavatevelo in testa: non puo'. L'unica Bce buona e'
quella morta. Al
di la' dell'iperbole esagerata e ripetuta, Bagnai
confonde shocks con disavanzi permanenti e dimentica che la politica fiscale
USA e' in larga parte federale, ed in particolare
che gli stati non si possono indebitare (le citta' si', e quando New York e'
fallita a fine anni '70, lo stato federale si e'
ben guardato dall'intervenire; e il Daily News,
riferendo al presidente Gerald Ford, titolo':
"Ford to City: Drop Dead"). Richiedere
che la Germania compensi non shocks ma disavanzi permanenti di stati che
hanno il potere di indebitarsi liberamente (e che lo farebbero molto di piu' di quanto gia' non lo
facciano se la Germania compensasse) e'
assolutamente pretestuoso. L'integrazione fiscale doveva avvenire attraverso
i criteri di Maastricht. Ma
stando così le cose, senza crescita di produttività passata né prevista
futura e avendo bruciato i risparmi dell'azzeramento degli spread, non
potremmo comunque oggi uscire dall'Euro e svalutare? Bagnai risponderebbe di
sì. In vari punti nei suoi articoli argomenta che la svalutazione del 1992
non ha avuto nessun effetto catastrofico, né una spirale inflazionistica né
terremoti e maremoti. Il che è vero, ma anche qui, non si può avere la botte
piena e la moglie ubriaca: senza inflazione, la svalutazione ha un effetto
sui salari reali e in generale sul potere d'acquisto degli italiani. Ed è
stato senz'altro così. Quando gli italiani lamentano che 15 anni fa stavano
meglio, una buona parte è proprio questa, hanno pagato la svalutazione in
termini di potere d'acquisto. In compenso, la svalutazione ha ritardato la
necessaria riconversione industriale del paese generando domanda dal'estero, questa sì "drogata" per alcuni
anni. Insomma, i danni della svalutazione sono un po' sottili, ma a ben
guardare sotto gli occhi di tutti. Oggi, poi, integrato com'è il sistema
finanziario internazionale la svalutazione avrebbe con ogni probabilità
effetti molti più drammatici in termini di fuga dei capitali all'estero e di
quelli esteri dall'Italia. Bagnai è uno di quelli che indica il default
dell'Argentina (perché default e svalutazione sono operazioni molto simili dal
punto di vista dei mercati finanziari internazionali) come esempio che queste
cose si fanno a costi bassi, che i mercati dimenticano presto. Ovviamente non
ha idea di cosa sta succedendo in Argentina in questo momento. Io fossi in
lui toglierei i riferimenti all'Argentina dai suoi articoli che rischia una
figuraccia molto presto, quando la situazione economica di quel paese sarà
scoperchiata. Per
non parlar del fatto che l'uscita dell'Italia dall'Euro metterebbe in
gravissimo pericolo la sopravvivenza stessa dell'euro e la stabilità del
sistema bancario mondiale, col rischio di una crisi finanziaria
internazionale potenzialmente devastante. Ma a noi che importa? |
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