PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 18-1-2013 |
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L'economia
sociale di mercato (ESdM) di Michele
Boldrin (economista).
Bullshit, e mi spiego. Cercherò di fare due cose in questo
articolo. 1.Descrivere in poche parole l’idea teorica che sta dietro alla EsdM, evidenziando che la contrapposizione teorica fra ESdM e liberalismo “classico” o laissez-faire è spuria e
retorica, nel senso che voler contrapporre una “teoria” all’altra sulla base
dell’idea, falsa, che una vuole un mercato regolato mentre l’altra lo
vorrebbe sregolato, è esercizio pernicioso che nasconde altre intenzioni. 2.
Evidenziare che la forma concreta in cui la ESdM
viene oggi proposta in Italia suggerisce che le “altre intenzioni” sono
semplici da riconoscersi: la classe politica desidera utilizzare la foglia di
fico offerta dalla “S” in ESdM per accaparrare
maggior potere per sé e per quei gruppi economico-sociali che le sono
maggiormente vicini a discapito - come potrebbe essere altrimenti? – del
resto dei cittadini. Qual è il principio
di fondo dell'Ordoliberalismo? È abbastanza semplice.
Il principio di fondo è che i "mercati perfettamente liberi" non
esistono e che, le rare volte che i mercati si auto-organizzano danno luogo a
strutture fragili ed esposte a molti rischi, primo fra tutti la manipolazione
da parte d'alcuni dei partecipanti, la concentrazione del potere nelle mani
di pochi (ossia, il passaggio da concorrenza a monopolio o oligopolio), la
creazione di cartelli e sindacati d'un tipo o dell'altro, l'acquisizione di
posizioni di "rendita", e così via. Insomma: lasciati completamente
a se stessi i "mercati" tendono a degenerare e a perdere la
capacità di essere quello strumento di benessere sociale e di progresso
economico che altrimenti sono. Questa posizione teorica - apparentemente, ma
a mio avviso non realmente - contrasta con una visione che molti classificano
come liberalismo laissez-faire o liberalismo classico, secondo cui i mercati
si auto-organizzano e gli individui lasciati completamente a se stessi, con
al più l'ausilio d'uno stato minimo, riescono a fare benissimo i propri
interessi. La distinzione è
francamente di lana caprina DOC. Anche nella posizione che viene chiamata
"classica", pur riconoscendo che i mercati possano sorgere
spontaneamente e auto-oganizzarsi, è chiaro che
essi danno poi luogo a istituzioni, norme, e pratiche socialmente accettate e
frequentemente codificate in leggi e regolamenti. La distinzione, dunque
teoricamente, viene a sparire: i mercati puri, che vivono da soli senza che
nessuna entità "esterna" li organizzi e controlli, non esistono se non
per puro e scarsamente duraturo, caso. Stabilito questo fatto ne segue che i
mercati occorre organizzarli "dal di fuori" e che le
"istituzioni" (intese sia come apparati dello stato che come gruppi
sociali organizzati, ma anche come norme socialmente condivise e regole
abitudinarie di transazione) devono giocare un ruolo cruciale nel mantenere
viva l'economia di mercato e nel far sì che il suo operare s'avvicini il più
possibile all'ideale teorico dei mercati concorrenziali. Insomma: perché i
mercati e la concorrenza funzionino occorre organizzare e regolare i primi e
proteggere la seconda. Arriviamo qui a un
punto chiave dell'intera discussione: quella cosa che in queste diatribe un
po' troppo astratte si chiama "stato" o quell'altra che viene detta
"società", in che consistono e di che cosa son fatte? Mi spiego: i
mercati sono composti da agglomerati di individui, organizzati più o meno
formalmente in aziende, imprese, associazioni, cooperative. Questi individui
perseguono il proprio benessere. Lo stato, non quello astratto ma quello che
sta a Roma, ad Ancona, Napoli o Milano, è anch’esso composto dello stesso
materiale: individui che, avendo scelto una certa professione, cercano di
ricavare dalla medesima quanti più benefici possibile. Il regolatore statale,
insomma, non è né meglio né peggio dell’agente privato. Entrambi perseguono
obiettivi egoistici di massimizzazione dei propri interessi. In un caso e
nell’altro la chiave del problema consiste nel disegnare e mantenere in piedi
delle “istituzioni” che garantiscano e ripristino la concorrenza e la
contestabilità, sempre e comunque. Il problema non è, quindi, statisti versus
mercatisti, ma concorrenza versus monopolio,
nell’ambito economico come in quello politico. Se la questione si pone in
questa luce, allora si scopre che l’insistenza sulla lettera ‘S’ in
contrapposizione alla ‘M’ è, molto spesso, puro trucco retorico per aggirare
il pubblico facendo esso credere che quanto si compie per favorire interessi
particolari e ben definiti sia, invece, nell’interesse di tutti. Mario Monti,
sostenitore (in tempi non sospetti) di un'applicazione al caso italiano dei
principi base dell'ESdM, dichiarava qualche anno fa
in un'intervista al Sole 24 ore (accesso a pagamento, ma ripresa anche qui): Quando promuovevo in
Italia l'economia sociale di mercato negli anni 80, e mi chiedevo perché
Ludwig Erhard avesse avuto successo in Germania con
gli stessi principi che invece Luigi Einaudi non era riuscito a far prevalere
in Italia, andare verso l'economia sociale di mercato era per l'Italia una
sfida. Quel modello di stampo tedesco stava diventando – [...] - la
costituzione economica europea. Includeva aspetti antitetici al pensiero e
alla prassi dell'Italia di allora: stabilità monetaria, banca centrale
indipendente, disciplina di bilancio, mercato aperto e concorrenziale. Certo,
c'era anche il "sociale", ma perseguito ordinatamente, con un
sistema fiscale redistributivo; non disordinatamente, con prezzi politici e
altre interferenze dello Stato nel mercato. Per l'Italia, andare verso
l'economia sociale di mercato voleva dire andare verso la disciplina e verso
l'Europa. Questo fondamentale processo, lentamente, ebbe luogo. Oggi, il
richiamo all'economia sociale di mercato, in particolare in Italia, dà a
volte l'impressione di essere pronunciato con un'ispirazione opposta. Si è un
po' insofferenti verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio
pubblico o da quelle del mercato, e allora si "rivendica", in
contrapposizione alla prova non buona data di recente dal modello americano
(ecco un'altra "conseguenza economica del Signor Bush"), la
legittimità, anzi la necessità, di maggiori dosi di socialità e di
discrezionalità politica. Difficile dissentire,
se non per due affermazioni che sono probabilmente sfuggite all'altrimenti
cauto Mario Monti. Infatti, credo anzitutto che vi sia da dubitare (anche
alla luce delle recenti calamità in cui molte banche nord-europee, tedesche
in particolare, sono riuscite ad infilarsi) che le regole classiche dell'Ordoliberalismo siano davvero riuscite a diventare la
"costituzione economica europea". Ma tralasciamo questa
affermazione che richiederebbe una trattazione propria conducendoci
inevitabilmente fuori tema. Facciamo invece attenzione al punto in cui Monti
suggerisce che tale insieme di regole sia stato accettato in Italia;
accettazione che, io ritengo, non abbia invece avuto luogo. È vero,
attraverso una serie di provvedimenti d'emergenza, salassi fiscali e
rocambolesche modificazioni dei criteri d’ammissione, l'Italia è entrata nell'Euro
e la sua politica monetaria viene oggi decisa, graziaddio, a Francoforte.
Punto, e basta. Le liberalizzazioni, invece, non ci sono state: ci sono state
delle (scarsissime) privatizzazioni, che sono un'altra cosa e che sono
consistite (fatte salve pochissime eccezioni) nella trasformazione di
monopoli pubblici in monopoli privati. I mercati chiave dell'economia
italiana (bancario, assicurativo, dei trasporti, delle telecomunicazioni,
della televisione, dei servizi professionali, ...) non sono né competitivi né
liberalizzati. Sono "socialmente" regolati e manipolati
dall'intervento dello stato e di una miriade di gruppi d’interesse e
sindacati, Alitalia docet. L’idea che lo stato
debba intervenire e regolare i fenomeni economici implica da sempre, in Italia,
significati e azioni contrari al mercato concorrenziale. Implica sempre molto
poco mercato e anche molto poco sociale, mentre implica molto stato o,
meglio, gruppi d’interesse nel medesimo annidati. La particolare forma di ESdM introdotta in Italia a partire dagli anni '50, è
andata radicandosi ed estendendosi sempre di più, degenerando
progressivamente nelle forme di consociativismo, pan-sindacalismo e
compenetrazione intima fra monopoli privati e potere politico, di cui il
resto del paese è vittima. L’ESdM
in Italia c’è già, è quello che da cinquant’anni abbiamo ed ha prodotto i
risultati sotto gli occhi di tutti. È plateale che abbia fatto danno al paese
e che vada riformata e probabilmente rivoluzionata. Insistere sulla lettera S
invece che sulla lettera M è solo un trucco retorico per mantenere lo status
quo e, se possibile, peggiorarlo come i provvedimenti di tutti i recenti
governi (quello presieduto da Mario Monti incluso) provano. Ecco a cosa
servono, concretamente, le fanfare ideologiche che oggi ascoltiamo suonare,
dalla Vetta d’Italia all’isola di Pantelleria, in supporto all’economia
sociale di mercato. Ed ecco perché la cosidetta
"Agenda Monti", che a tale ideologia e pratica esplicitamente si
ispira, è dannosa per il paese: perché intende mantenerlo sul sentiero del
declino in cui la versione italiana dell'ESdM l'ha
avviato da tempo, pur dichiarando retoricamente che vuole cambiare tutto. Ma
siccome non dice come e che cosa intenda concretamente cambiare tutto fa
ritenere che si tratti del solito gattopardismo che, come ben sappiamo, non
intende cambiare niente. |
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