Il Sole 24 Ore 20-1-2013
Le sette criticità per l'economia Usa
di Allen Sinai*
* L'articolo
di Allen Sinai è uno stralcio del suo intervento contenuto nel numero di Aspenia in edicola
Allen Sinai è
chief economist e
presidente di decision Economics,
Inc., New York, Londra, Boston.
Quale futuro si
prospetta per l'economia degli Stati Uniti e per quella globale,
inevitabilmente influenzata da quella americana? Con ogni probabilità, ci
aspetta una crescita relativamente lenta, in linea con la dinamica
evidenziata dall'inizio della ripresa nel giugno 2009. Tuttavia, se le cose
funzionano ragionevolmente bene, il 2013 dovrebbe essere un anno migliore del
2012, e il 2014 migliore del 2013.
Uno scenario per
il 2013-2014. Nel 2012 l'economia statunitense è stata deludente: la crescita
del Pil in termini reali è stata appena dell'1,7%
circa e il tasso di disoccupazione è rimasto su livelli elevati, a fronte di
una netta diminuzione della dinamica dei ricavi e degli utili. Il disavanzo
federale è rimasto su livelli insostenibili, accompagnato da un aumento del
debito pubblico in percentuale del Pil.
Secondo lo
scenario "Basic prospect" o baseline,
elaborato da Decision Economics,
la crescita economica in termini reali dovrebbe aggirarsi nel 2013 attorno al
2-2,5%; entro fine anno il tasso di disoccupazione dovrebbe calare
gradualmente al di sotto del 7,5%, l'inflazione aggirarsi attorno al 2%-3%, e
l'aumento degli utili aziendali al 7% circa, dopo un andamento
complessivamente piatto nella seconda metà del 2012.
La Federal Reserve offrirà sostegno all'economia
con la sua nuova politica di allentamento quantitativo a tempo indeterminato
(open-ended quantitative easing:
tassi a breve termine vicini allo zero durante tutto l'anno) e accrescendo lo
stato patrimoniale per contenere i tassi a lungo termine.
Con l'Europa che
dopo aver toccato il fondo comincia a risalire, con il rafforzamento della
crescita in Cina e in Asia (escluso il Giappone) e il miglioramento della
congiuntura negli Stati Uniti, l'economia globale dovrebbe crescere più
velocemente nel 2013, con una crescita di almeno il 2,5%, passando dalla
quasi recessione del 2012 (con un tasso appena sopra al 2%) a una espansione
sostenuta. Per il 2014, l'attesa è che l'economia globale cresca del 3% o
oltre.
Secondo
un'analisi più pessimistica, gli Stati Uniti potrebbero entrare in recessione
se il cosiddetto "fiscal cliff" – una
contrazione draconiana nella politica fiscale di 7.500 miliardi su dieci anni
– colpisse l'economia senza correttivi. Nel caso intermedio di un fiscal cliff annacquato, la situazione sarebbe comunque peggiore
del Basic Prospect: riuscirebbe a trascinare
l'economia statunitense verso il basso, e il 2013 sarebbe come il 2012 o
peggio.
Soprattutto nel 2013, l'andamento dell'economia americana avrà un'influenza
decisiva su quello dell'economia mondiale. Il probabile miglioramento della
Cina – che diventerà una forza positiva anziché negativa nell'economia
mondiale – potrebbe essere bilanciato da un peggioramento dell'Europa, con
ulteriori effetti negativi sull'economia globale e degli Stati Uniti. Il modo
in cui Washington gestirà i propri problemi di bilancio sarà di cruciale
importanza, considerato che gli Stati Uniti affrontano un problema
macroeconomico senza precedenti: come gestire una crescita economica debole e
una disoccupazione elevata a fronte di un livello insostenibile del disavanzo
federale e del rapporto debito/pil?
IL BASIC PROSPECT E LE SUE IPOTESI DI FONDO. Secondo i nostri calcoli, lo scenario baseline per
le economie statunitense e globale nel 2013-2014 prevede, dopo i rischi di
recessione globale nel 2012, una più solida espansione, lievemente più forte
e diffusa rispetto agli anni recenti, trainata dai consumi (circa il 70% del pil in termini reali) e dall'edilizia residenziale (circa
il 3% dell'economia). Su questa prospettiva pesano però un gran numero di
"se" ovvero di "macro rischi" che potrebbero ostacolare,
interrompere o comunque modificare lo scenario e le sue probabilità.
Una solida ripresa del settore privato, trainata dai consumi e dalle
costruzioni, sarà difficile da bloccare e dovrebbe offrire un sostegno
sufficiente a proseguire l'espansione. Tuttavia, la velocità della crescita e
i rapporti dell'economia statunitense con il resto del mondo dipenderanno in
misura considerevole dalle misure di politica fiscale e monetaria adottate da
Washington, insieme ovviamente ai provvedimenti presi altrove.
Negli Stati Uniti, i fondamentali che sottendono la spesa in consumi e
l'edilizia abitativa sono molto più favorevoli rispetto agli ultimi anni,
anche se le prospettive per la spesa non sono minimamente comparabili a
quelle di un tempo. La crescita dei consumi in termini reali si collocherà al
2,1% nel 2013, con un esile miglioramento rispetto all'1,9% del 2012.
L'andamento in termini reali dell'edilizia residenziale – trainata da una più
vigorosa dinamica delle vendite di abitazioni e dell'avvio di nuove
costruzioni (housing starts)
– dovrebbe crescere di quasi il 10,5%. Più deboli saranno probabilmente le
esportazioni nette, che rifletteranno il protrarsi della debolezza economica
dell'Europa e l'aumento della domanda statunitense di importazioni. La dinamica
della crescita migliorerà in Asia, sotto l'egida della Cina, con l'eccezione
del Giappone (tuttora in difficoltà e che dovrà probabilmente ricorrere a
massicce misure di stimolo monetario e fiscale).
Il tasso di disoccupazione americano dovrebbe calare gradualmente, chiudendo
l'anno poco al di sotto del 7,5%, con un miglioramento di circa mezzo punto
percentuale rispetto al quarto trimestre del 2012. L'inflazione, misurata dall'indice
dei prezzi al consumo cpi-u, resterà relativamente
stabile, salendo tuttavia lievemente al 2-3%. I tassi di interesse
probabilmente resteranno contenuti grazie alle misure espansive attuate dalla
Federal Reserve, con l'espansione del suo stato patrimoniale.
È previsto, negli utili operativi delle S&P500, un incremento del 6,5%
rispetto al 2012, grazie all'effetto di fattori quali la riduzione dei costi
(in particolare del lavoro), l'innovazione, l'uso di nuovi strumenti di it e software nella produzione, il rialzo dei prezzi e
quindi dei ricavi, e la ripresa dell'economia globale. Il mercato azionario
potrebbe registrare una nuova serie di rialzi arrivando a crescere di circa
il 7%, quarto trimestre su quarto trimestre.
L'uragano Sandy, che ha devastato la costa orientale
degli Stati Uniti tra fine ottobre e inizio novembre, e il protrarsi della
siccità hanno colpito l'economia statunitense, ma si trasformeranno poi in un
fattore di crescita di circa 200 miliardi su base annua nel primo semestre
del 2013, grazie alla ricostruzione, alle spese rinviate dal quarto trimestre
e agli indennizzi assicurativi ad aziende e individui.
Per capire la situazione attuale possiamo pensare all'economia americana come
a un'astronave lanciata in un'orbita dalla traiettoria abbastanza alta –
soprattutto grazie alle misure di allentamento quantitativo della Federal Reserve (qe1 e qe2 nel 2009 e nel 2010) e al Recovery and Reinvestment Act del 2009 – ma comunque inferiore a quella desiderata.
Per restare nella metafora, nello spazio vagano meteoriti che potrebbero
colpire l'astronave e spingerla fuori rotta: il rischio del fiscal cliff e delle crisi europea e dell'eurozona. È probabile
che la Federal Reserve continui a dare gas con il
nuovo open-ended quantitative easing
fino a che l'astronave non raggiungerà un'altitudine sostenibile (crescita
economica reale più elevata e tasso di disoccupazione inferiore).
Nel contesto delle modeste prospettive di crescita per gli Stati Uniti e le
altre economie avanzate a seguito della crisi finanziaria e di quella
dell'eurozona nel 2011-2012, lo scenario tracciato dal Basic Prospect non è così male, soprattutto se si esclude dai
calcoli l'uragano Sandy, la siccità e il fiscal cliff.
A questo punto, per sostenere queste prospettive relativamente ottimistiche,
Washington dovrà concentrarsi sulla ricerca di una soluzione a più lungo
termine ai livelli insostenibili del deficit federale e del debito sovrano
degli Stati Uniti.
Sette i rischi del Basic prospect.
1. IL FISCAL CLIFF. Il fiscal cliff è il
principale rischio a breve termine per le prospettive economiche statunitensi
e globali nel 2013. Ma di cosa si tratta esattamente? Il termine è stato
coniato dal governatore della Federal Reserve Bernanke in un intervento del febbraio scorso1 e fa
riferimento al combinarsi della scadenza di sgravi fiscali contenuti nella
normativa e della serie di tagli lineari decisi dal congresso nel 2011 per
"incentivare" il raggiungimento di un accordo sullo smisurato
deficit federale e il crescente rapporto debito pubblico/pil.
Nel 2011 – nonostante le raccomandazioni molto
simili formulate dalla Commissione bipartisan sul deficit Bowles-Simpson
e dalla Task Force Domenici-Rivlin sulla gestione
del deficit e del debito – il congresso e il presidente non sono riusciti a
raggiungere un accordo2. Dopo un periodo di stallo, le discussioni sono
proseguite con una serie di incontri segreti tra lo speaker della camera John
Boehner e Obama. Ma neanche questo è bastato per
trovare una soluzione.
Per costringere il congresso e il presidente a
raggiungere un accordo, nel 2011 è stata approvata una legge che introduce
tagli lineari e automatici alle spese del governo federale a partire dal
2013, che sarebbero equamente divisi fra difesa e altri settori per circa
1.200 miliardi di dollari in dieci anni. Sempre nel 2011, sono stati
legiferati altri tagli per 900 miliardi di dollari, in un aspro scontro tra
congresso e presidente che è servito, nell'immediato, a consentire l'aumento
del tetto del debito pubblico federale.
La legge prevede inoltre la scadenza a fine 2012 di
una serie di sgravi fiscali, i quali insieme ad aumenti delle aliquote e
altre imposte, dovevano portare nelle casse dell'erario circa 5.000 miliardi
di dollari nei prossimi dieci anni. Gli sgravi includono: i tagli alle
imposte su reddito, plusvalenze e dividendi introdotti da Bush nel 2001 e
2003; un credito d'imposta sui contributi previdenziali di natura temporanea,
introdotto nel 2010 per il 2011 e nuovamente nel 2011 per il 2012, a favore
di tutti i lavoratori dipendenti; l'imposta minima alternativa e altri
crediti d'imposta. Infine, sono previsti aumenti fiscali per le famiglie ad
alto reddito (da 250.000 dollari in su) per contribuire a finanziare l'Affordable Care Act, anche
detto Obamacare. Fra questi, figura un aumento di
3,8 punti percentuali sulle plusvalenze.
Il fiscal cliff, dunque, si riferisce a un taglio
drastico dei conti pubblici di 500+ miliardi nel 2013 (divisi in 335 miliardi
di aumento delle imposte e 165 miliardi di minori spese), accompagnato da
netti decrementi della crescita economica in termini reali.
Certo, quella contrazione della politica fiscale rappresenterebbe senza
dubbio un passo importante verso la soluzione del problema del debito sovrano
americano, o almeno la dilazione della resa dei conti, considerato che negli
Stati Uniti il rapporto debito/pil è superiore al
100% e continua a crescere. Nel contempo, tuttavia, ucciderebbe sul nascere
la ripresa americana, producendo una recessione non solo negli Stati Uniti ma
anche nel resto del mondo, accompagnata da ingenti perdite di attività
economica.
2. LA CRISI DELL'EUROZONA. Un secondo importante macro rischio
riguarda la recessione in atto in Europa che interessa l'85% del pil dei paesi ue, che
rappresentano a loro volta una grossa parte del pil
globale.
La recessione – iniziata nell'eurozona, partendo dall'Irlanda per poi passare
alla Grecia e al Portogallo – si è diffusa a causa degli stretti rapporti
commerciali che uniscono i paesi europei, delle misure di austerità fiscale
(sia imposte che volontarie), della netta decelerazione delle economie cinese
e asiatiche, e della performance deludente dell'economia statunitense.
La debolezza interna ed esterna all'Europa danneggia
le esportazioni. La fragilità della situazione finanziaria ha indotto alcuni
paesi a chiedere aiuti finanziari, che sono stati accompagnati da misure
pesanti, essenzialmente di austerità. Ciò ha indebolito ulteriormente
l'economia dell'eurozona. La congiuntura sfavorevole si è quindi
intensificata ed estesa ad altri paesi, alimentata da vari fattori: la crisi
finanziaria europea (legata al debito sovrano di economie in difficoltà reali
o potenziali), la svalutazione delle attività nei bilanci bancari, la stretta
creditizia e la necessità di procedere a salvataggi per diversi paesi. La
politica monetaria della Banca centrale europea (bce),
pur animata da buone intenzioni, era ed è focalizzata solo sulla crisi e non
riesce a offrire lo stimolo monetario di cui l'Europa intera ha bisogno:
tassi di riferimento più bassi per indebolire l'euro, credito al sistema
bancario e, soprattutto, espansione dello stato patrimoniale della bce stessa, con un impegno a mantenere tale espansione
fino a un miglioramento sensibile delle economie europee.
Sul versante fiscale, ha prevalso una politica di contrazione e austerità. Le
condizioni associate ai prestiti sono state particolarmente punitive, come
sempre accade in queste situazioni. Sul versante politico, l'incapacità di
definire una risposta ha peggiorato la situazione europea, con lunghi ritardi
nel riconoscimento della crisi, nella formulazione delle politiche, nella
loro attuazione. In sostanza, pur essendo poco pesante in termini di pil a prezzi costanti, la diffusa e lunga recessione
europea rappresenta un pericolo significativo per l'economia statunitense e
quella globale.
In ultima analisi, un'economia in recessione tocca il fondo e comincia a
risalire quando si verificano spostamenti della dinamica economica che
innescano la ripresa.
Poiché mancano le politiche macroeconomiche in grado di facilitare
un'inversione di tendenza, la crisi europea continuerà probabilmente a
protrarsi, e sarà più profonda di quanto sarebbe stata con una risposta
diversa.
Il relativo indebolimento dell'economia cinese ha depresso i flussi
commerciali nel paese e in tutta l'Asia, mentre il calo della domanda
dell'Europa e dell'Asia ha ridotto le esportazioni americane. In termini
reali, la crescita delle esportazioni statunitensi ha toccato un nuovo record
nel secondo trimestre del 2012, ma è poi scesa all'1,6%, su base annua, da
oltre il 6% di un anno fa. Anche la dinamica delle importazioni americane ha
segnato un rallentamento. L'indebolimento dei flussi commerciali statunitensi
riflette quello dell'economia globale, e ha inciso negativamente su numerose
imprese nel settore finanziario, commerciale o delle transazioni.
Il "rischio Europa" per l'economia
mondiale è quello di un ulteriore deceleramento
della dinamica della domanda interna, che trasmetterebbe un ulteriore impulso
negativo alle economie di Cina, Asia e Giappone, in particolare sul terreno
delle esportazioni. Nel complesso, gli impulsi negativi sulle esportazioni derivanti
da Europa e Asia ridurrebbero le esportazioni degli Stati Uniti, indebolendo
il settore industriale e limitando la creazione di posti di lavoro, con
conseguente riduzione della spesa per consumi, ovvero del pilastro della
crescita nel nostro Basic Prospect.
3. IL FATTORE CINA. Una delle ipotesi favorevoli nel nostro scenario è
la Cina. La crescita economica cinese è scesa da quasi il 12% su base annua
al 7,5% nel 2011-2012: ma questo calo di quasi cinque punti percentuali è
stato perseguito deliberatamente, con l'adozione di politiche macroeconomiche
restrittive.
Quella manovra – finalizzata a favorire la transizione da un'economia in
"spumeggiante" espansione (con inflazione al 6-7%) a un'economia
con un target di inflazione al 2% – ha trasmesso un considerevole impulso
negativo alla crescita in tutta l'Asia ed è sicuramente all'origine
dell'indebolimento delle esportazioni tedesche. L'obiettivo cinese di
rallentare la crescita ha avuto un effetto domino in tutta l'economia
mondiale, soprattutto attraverso i flussi commerciali. La decelerazione della
crescita in Cina, Asia e poi in Europa ha ovviamente avuto un impatto sulle
esportazioni degli Stati Uniti, che a sua volta si è trasmesso in tutto il
Nord America e nell'economia mondiale, contribuendo a rallentare le attività.
Tuttavia, Pechino sembra ormai aver conseguito il suo obiettivo, pilotando
l'economia verso un "atterraggio morbido". Per impedire ulteriori
rallentamenti, Pechino ha adottato misure monetarie e fiscali di stimolo. Le
dinamiche interne del ciclo economico cinese, insieme agli stimoli
macroeconomici e alla transizione a una nuova leadership politica,
produrranno probabilmente un aumento della crescita nei prossimi anni e ciò a
sua volta avrà un impatto favorevole sulle esportazioni asiatiche, stimolando
le economie del resto del mondo.
4. LA DEBOLEZZA DEGLI UTILI. Un altro "macro rischio" è
rappresentato dal netto calo dei ricavi e degli utili registrato dalle
imprese statunitensi negli ultimi trimestri. Se consideriamo le imprese
nell'S&P500 come un campione dell'economia del paese, gli ultimi dati
aggregati relativi al terzo trimestre 2012 evidenziano una crescita dei
ricavi su base annua del 2% scarso. Gli utili operativi nelle S&P500
hanno evidenziato una dinamica sostanzialmente piatta su base annua nel
secondo e terzo trimestre, rispettivamente con un calo dello 0,1% e un
aumento dello 0,1%; per un confronto, nel 2011 ricavi e utili erano cresciuti
a tassi attorno al 10%. I margini di profitto sono rimasti vicino al 10% in tutto
il periodo, beneficiando di un miglioramento della gestione dei costi,
dell'aumento della produttività e della sostituzione del lavoro con capitale.
Nei cicli economici
statunitensi è capitato spesso che il calo della crescita di ricavi e utili
aziendali abbia anticipato una recessione. Di fronte a una percepita
riduzione permanente di vendite e utili, infatti, le aziende tendono a
ridurre le assunzioni, gli investimenti, la produzione e le scorte. A volte
le imprese arrivano a tali decisioni con un certo ritardo. Ma nei cicli
economici recenti, le imprese dell'S&P500 non hanno esitato a rispondere
al calo del fatturato e degli utili con una rapida riduzione delle spese in
conto capitale e delle assunzioni.
Il dubbio riguarda le previsioni di rinnovata crescita di ricavi e
redditività nel 2013. Una ripresa della spesa per consumi e un rafforzamento
dell'economia statunitense – accompagnati da un'inversione della tendenza al
calo dell'Europa e da una accelerazione della crescita economica cinese –
produrrebbero un aumento dei ricavi e degli utili delle società statunitensi
e un'accelerazione della crescita degli utili nel secondo trimestre del 2013.
Ma questa ipotesi resta molto dubbia.
5. LA POLITICA MONETARIA DELLA FED: UNA PROSPETTIVA POSITIVA. Se la Federal
Reserve mantiene il suo orientamento espansivo e
riduce ulteriormente i tassi, il mercato del lavoro e il tasso di
disoccupazione americani dovrebbero migliorare in modo significativo.
Una nuova versione delle misure di allentamento quantitativo lanciate nel
settembre 2012 prevede provvedimenti aperti che manterranno i tassi di
interesse a breve termine sostanzialmente pari allo zero per tutto il tempo
necessario a far scendere il tasso di disoccupazione, portandolo il più
vicino possibile al livello di piena occupazione.
La Fed ha segnalato di essere pronta ad acquistare titoli al fine di
mantenere "condizioni finanziarie" favorevoli all'economia e al
mercato del lavoro. Tali condizioni finanziarie comprendono il livello e la
struttura dei tassi di interesse, il dollaro, il mercato azionario, e
qualsiasi altro effetto derivato dalle misure assunte dalla Federal Reserve sui prezzi di queste e altre attività.
Il fatto che questa politica sia a durata indeterminata è una novità. È
probabile che la Fed colleghi ulteriori misure di allentamento a variabili
economiche quali il tasso di disoccupazione e di inflazione, anziché, come in
precedenza, a una data specifica. Con gli attuali "obiettivi" di
piena occupazione e stabilità dei prezzi, questa politica monetaria espansiva
sembra destinata a durare a lungo.
Le indagini realizzate dalla Fed e altri istituti indicano che l'allentamento
quantitativo ha effettivamente ottenuto una riduzione dei tassi di interesse,
un deprezzamento del dollaro e un rialzo dei prezzi delle azioni; fattori
che, a loro volta, hanno contribuito a produrre una ripresa ormai molto
evidente, oltre che un'espansione dell'edilizia residenziale e un sostanziale
miglioramento della posizione finanziaria delle famiglie. Quest'ultimo è un prerequisito
fondamentale per aumentare la spesa per consumi.
Avendo praticamente garantito che i tassi di
interesse a breve termine resteranno vicini allo zero almeno fino al 2015,
l'allentamento quantitativo "aperto" promette un lungo periodo di
tassi abbastanza bassi anche a lungo termine. Un basso livello dei tassi
rende una valuta meno attraente di altre con tassi di interesse più alti, o
che si prevede aumentino, e la cosa è di sostegno alle quotazioni delle
azioni. I tassi a lungo termine influiscono sul costo del capitale per le
imprese, gli hurdle rates
e gli investimenti. Infine, il livello dei tassi a lungo termine, in
particolare sui mutui, influisce sull'edilizia, sui prezzi delle case e sulla
ricchezza delle famiglie. Quest'ultimo fattore contribuisce – sia pure
scontando un ritardo – alla spesa per consumi e di riflesso sostiene
l'economia nazionale e mondiale.
6. IL DEBITO SOVRANO DEGLI STATI UNITI. Il principale problema di
policy è come accelerare la crescita dell'economia e ridurre la disoccupazione
senza accrescere il deficit federale (o, formulato diversamente, come ridurre
il deficit di bilancio e l'aumento del debito sul pil
mantenendo una crescita economica ragionevole).
Una politica monetaria espansiva può offrire lo stimolo necessario, ma anche
in questo caso ci sono lunghi ritardi fra la riduzione dei tassi e il
manifestarsi di un miglioamento nell'economia. Sarà
sicuramente indispensabile adottare un qualche piano per ridurre i nostri
insostenibili deficit e la crescita del debito sul pil,
ma un eccessivo rigore fiscale sarebbe controproducente. Troppo poco rigore
(per esempio con riduzioni del deficit pari a 1.000-2.000 miliardi sui
prossimi 10 anni) rischia invece di lasciare che il debito pubblico lordo
cresca più rapidamente del pil nominale, aumentando
così il rapporto tra quel debito e il pil. La sfida
per gli Stati Uniti sta nel trovare la giusta combinazione di tagli alle
spese e aumenti delle imposte.
Oggi si tende a ritenere che il rischio del debito sovrano per l'economia
statunitense sia contenuto. Nondimeno, la mancanza di misure sufficientemente
incisive nel 2013 potrebbe produrre un declassamento del rating sul debito
sovrano degli Stati Uniti, gettando i mercati finanziari statunitensi nel
caos e danneggiando lo scenario del Basic Prospect.
7. I FATTORI GEOPOLITICI. Un ulteriore rischio per il nostro scenario
proviene dalla possibilità di un conflitto in Medio Oriente e dalle
tumultuose istanze di cambiamento nella regione. La possibilità di un
conflitto tra Israele e Palestina e/o tra Israele e Iran, e quella di uno
scontro sul programma nucleare iraniano rappresentano un rischio geopolitico
che continua a pesare sulle prospettive degli Stati Uniti.
L'aumento dei prezzi del petrolio che seguirebbe
certamente l'avvio di una guerra produrrebbe un'impennata dei costi
energetici e il rincaro di una vasta gamma di beni e servizi, ponendo un
freno alla crescita dei consumi, delle imprese e dell'economia e causando un
aumento quanto meno transitorio dell'inflazione.
La spinta recessiva di un rincaro del petrolio dovuto a una crisi in Medio
Oriente è una legittima causa di timore. Negli ultimi anni, troviamo un solo
esempio di impennata incontrollata dei prezzi del greggio che abbia
contribuito a un rallentamento negli Stati Uniti: nel 2007-2009. In quel
periodo, tuttavia, si stavano verificando altri terremoti economici e
finanziari, e l'impatto del petrolio ha solo aggravato una situazione già
debole in partenza.
WASHINGTON AL CENTRO. Oggi più che mai in passato, Washington ha un
ruolo cruciale non solo per l'andamento dell'economia statunitense nel 2013 e
oltre, ma anche, in una certa misura, per l'economia globale. Se tutto
procede secondo le nostre previsioni, le prospettive globali e per gli Stati
Uniti nel 2013 sembrano ragionevolmente positive rispetto agli ultimi anni:
la crescita economica in termini reali sarà probabilmente più vigorosa e se i
consumatori americani sosterranno la ripresa, il miglioramento interesserà
anche l'economia globale. Se ci sarà una ripresa del mercato immobiliare, se
l'economia europea inizierà una risalita, e se la Cina si riprenderà, dando
fiato anche alle altre economie asiatiche, l'intera economia mondiale
crescerà e l'attività economica sarà più vigorosa.
Tuttavia, su questo scenario pesano dei "se" significativi.
Bisognerà che si verifichi una serie di condizioni favorevoli perché
l'economia americana e quella globale registrino un'espansione sostenibile,
ad un ritmo più sostenuto che nel 2011 e 2012.
Al centro di tutti questi macro rischi si colloca comunque Washington: è
giunta l'ora di risolvere i problemi di tassazione e spesa del governo
federale nel quadro di un piano per ridurre il deficit federale e la crescita
del debito sul pil, evitando nel contempo di
provocare un calo significativo della crescita economica degli Stati Uniti.
Si tratta chiaramente di un'impresa difficile ma che deve essere formulata,
almeno a grandi linee, in termini di obiettivi e traguardi.
Purtroppo, va constatato che le prestazioni dei leader politici nella
gestione della politica economica non sono state brillanti in questi tempi di
crisi.
Negli Stati Uniti, dietro il dibattito e le divisioni politiche, vi è un
vecchio scontro tra filosofie e obiettivi diversi, collegati a differenti
priorità sociali. Il presidente Obama, i leader democratici e i politici
orientati a sinistra vogliono aumentare le imposte, soprattutto sui redditi
più elevati, e contenere i tagli alla spesa, in particolare quella per i
programmi sociali che offrono sostegno al reddito di molti americani,
aumentando gli investimenti in infrastrutture e istruzione. I repubblicani e
i cittadini di centro-destra, invece, vogliono riportare sotto controllo la
spesa del governo federale (in particolare quella per prestazioni
assistenziali, che oggi è vicina al 25% dell'economia) e utilizzare i fondi
risparmiati per stimolare la crescita attraverso la riforma fiscale. Il loro
obiettivo è ridurre, o comunque tenere costanti, le aliquote fiscali per
tutti, ampliando la base imponibile.
Il modo in cui Washington risolverà questi problemi per conto del popolo
americano, a breve e lungo termine, è l'incognita più grande.
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