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PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 2-4-2008 Ripubblicato il 9-7-2013 |
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I SISTEMI
ELETTORALI COMPARAZIONE
DEI SISTEMI VIGENTI IN ITALIA,
FRANCIA, GERMANIA, SPAGNA Aprile 2008 INDICE 1. Introduzione: il
concetto di elezione e gli standards internazionali fondamentali 2. Il sistema elettorale
italiano nella sua evoluzione dall’ unità ad oggi 2.1 Il sistema
elettorale nel periodo statutario (1861-1945 circa) 2.2 Il sistema
elettorale nel periodo repubblicano 2.2.1 La legge elettorale del 2005 2.2.2 Il voto degli italiani all’ estero 3. Considerazioni
conclusive sulla legge 270 del 2005 4. Il sistema elettorale
francese 5. Il sistema elettorale
tedesco 6. Il sistema elettorale
spagnolo 1. Introduzione: il
concetto di elezione e gli standards internazionali fondamentali
Il termine “elezione” indica il
metodo seguito, negli attuali regimi democratici, per la preposizione ad un
ufficio; in particolare l’ elezione è la modalità attraverso la quale vengono
scelti i membri delle istituzioni rappresentative. L’ elezione, dunque, è l’
elemento di base dei regimi democratici. Questo fatto spiega perché la
materia in esame costituisca un settore molto regolamentato sia dagli
ordinamenti nazionali, sia dall’ ordinamento internazionale. A questo
proposito esistono strumenti normativi del diritto internazionale che
stabiliscono standards
fondamentali per la disciplina delle elezioni. Tra questi ricordiamo, ad
esempio, Anche il Protocollo addizionale
del 20 marzo 1952 alla Convenzione europea dei diritti dell’ uomo del 1950
prevede “libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da
assicurare la libera espressione dell’ opinione del popolo”. Il Consiglio d’ Europa ha
costituito L’ OSCE (Organizzazione per la
sicurezza e la cooperazione in Europa) produce dei veri manuali per l’
organizzazione di elezioni corrette. 2. Il sistema elettorale
italiano nella sua evoluzione dall’ unità ad oggi
2.1 Il
sistema elettorale nel periodo statutario (1861-1945 circa)
Quando il 17 marzo 1861 fu proclamato
il Regno d’ Italia, tra i tanti problemi che si posero, ci fu anche quello di
organizzare la nuova rappresentanza parlamentare nello Stato unitario. Come
era avvenuto per La riforma elettorale successiva
si ebbe nel 1882; la nuova legge riconosceva il diritto di voto ai cittadini
maschi che avessero compiuto 21 anni ed avessero superato l’ esame finale del
corso elementare obbligatorio o dimostrassero di saper leggere e scrivere. Il
requisito del censo poteva ancora operare come alternativa a quello dell’
istruzione, ma veniva abbassato alla metà rispetto a quello previsto nel
1861: per votare occorreva pagare 20 lire annue di tasse. La riforma elettorale del 1882 fu
varata dal governo di Agostino Depretis, leader
della Sinistra, al potere dal 1876. Il suffragio fu ulteriormente
allargato durante il quarto Ministero Giolitti (1911-1914) con l’
approvazione della legge 30 giugno 1912, n. 665. Sebbene si creda che detta
legge abbia stabilito il suffragio universale maschile, in realtà non è
proprio così; infatti il diritto di voto venne sì riconosciuto ad un maggior
numero di categorie di cittadini, ma non a tutti. La legge del 1912
riconosceva, infatti, il diritto di
voto ai cittadini maschi con almeno 30 anni di età; gli analfabeti di età
compresa tra 21 e 30 anni avrebbero potuto votare, purché avessero
determinati requisiti di capacità e di censo. Inoltre avrebbero avuto diritto
di voto anche i cittadini maschi di età compresa tra 21 e 30 anni che
avessero prestato servizio militare per un determinato periodo. Un’ ulteriore svolta si ebbe dopo
la prima guerra mondiale. Il 16 dicembre 1918 fu votata la legge n. 1985 che
estendeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto
il 21° anno di età e, a prescindere dall’ età, a tutti i cittadini che
avessero prestato servizio nell’ esercito mobilitato. Dall’ evoluzione del suffragio va
distinto il progressivo mutamento del sistema elettorale. A questo proposito la legge
elettorale del Regno di Sardegna, estesa all’ Italia intera dal 1861,
introdusse il collegio uninominale maggioritario per quasi sessanta anni.
Infatti, nel 1919, fu stabilito un sistema elettorale proporzionale (legge 15
agosto 1919, n. 1401). Dal 1922 il regime fascista
realizzò, progressivamente, un sistema elettorale improntato su criteri
diversi da un’ equa rappresentanza democratica. La legge 18 novembre 1923, n.
2444 (c.d. legge Acerbo), sanciva che il partito che avesse conquistato
almeno il 25% dei voti avrebbe ottenuto addirittura 2/3 dei seggi[1].
Il restante 1/3 sarebbe stato suddiviso tra le varie liste di opposizione. La
legge Acerbo del 1923 si iscriveva perfettamente nel programma del regime
fascista, che voleva stravolgere le basi di uno stato liberale ormai afasico
e agonizzante. Infatti l’ abnorme premio di maggioranza sancito dalla nuova
normativa aveva il chiaro obiettivo di rafforzare fino a renderla padrona
della Camera elettiva la maggioranza fascista[2].
Lo stravolgimento del sistema
elettorale conobbe un ulteriore “salto di qualità” con la legge 17 maggio
1928, n. 1019, la quale sanciva che la scelta dei candidati alle elezioni
doveva essere operata dai rappresentanti delle associazioni di categoria;
essi avrebbero proceduto compilando una lista di candidati successivamente
approvata dal Gran Consiglio del Fascismo; ai cittadini non restava che approvare
o disapprovare in blocco con un “sì” o un “no” la lista. Infine, con la legge 19 gennaio
1939 n. 129, 2.2 Il
sistema elettorale nel periodo repubblicano
Nel 1945 il diritto di voto fu esteso anche
alle donne e così il suffragio divenne davvero universale; per quanto
riguarda il sistema elettorale si stabilì, in continuità con la scelta
espressa nel 1919, la rappresentanza proporzionale, che caratterizzò il
sistema fino alla riforma del 1993. Le norme costituzionali in materia elettorale
sono contenute nel 1° titolo della seconda parte, dedicato al Parlamento. L’
art. 56 sancisce che L’ art. 57 riguarda l’ elezione
del Senato e statuisce che quest’ ultimo è eletto a base regionale, ma sono
previsti 6 seggi da assegnare alla circoscrizione Estero. C’ è da ricordare
che la seconda Camera non è completamente elettiva; i Senatori elettivi sono
315[5],
6 dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna regione può avere un
numero di Senatori inferiore a 7; il Molise ne ha 2 e L’ art. 58 stabilisce che sono
eleggibili a Senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno d’
età. Per quanto concerne invece l’ elettorato attivo, possono partecipare
alle elezioni del Senato (con suffragio universale e diretto), gli elettori
che hanno superato il venticinquesimo anno d’ età. Come si può facilmente
notare, Altre disposizioni in materia
elettorale sono presenti all’ art. 60, comma 1, il quale sancisce che le 2
Camere sono elette per 5 anni e all’ art. 61, comma 1 che sancisce che l’
elezione delle nuove Camere avviene entro 70 giorni dalla scadenza delle
precedenti. Passiamo ora ad esaminare le
legislazioni elettorali che si sono succedute negli ultimi decenni. Il 18 aprile 1993 si svolse un referendum abrogativo che ebbe esito
positivo (83% di “sì”). Furono così abrogate alcune disposizioni della legge
elettorale del Senato (legge n. 29 del 1948). La disciplina che ne scaturì
trasformò il sistema da sostanzialmente proporzionale a sostanzialmente
maggioritario. Benché il referendum riguardasse solo il sistema del Senato, per motivi di
opportunità e di omogeneità anche quello della Camera fu trasformato in
maggioritario con correttivo proporzionale. Il sistema elettorale
maggioritario[6]
del 1993 era basato su più strumenti normativi; per quanto riguarda il Senato
si faceva riferimento a: ·
Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533; per ·
D.P.R. 30 marzo 1957 e successive modificazioni,
così come coordinato con la legge 4 agosto 1993, n. 277 e con il Decreto
legislativo 20 dicembre 1993, n. 534. Prima dello svolgimento delle
elezioni dovevano essere effettuate alcune operazioni preliminari. Il procedimento elettorale
iniziava con il decreto del Presidente della Repubblica che indiceva le
elezioni. Successivamente venivano scelti i candidati e presentate le
candidature. La presentazione delle candidature e la loro pubblicazione
apriva la campagna elettorale, che durava fino al giorno precedente la
votazione. Per quanto riguarda il sistema
elettorale del Senato, in base alla normativa del 1993, su 315 seggi elettivi[7],
238 erano assegnati con metodo maggioritario secondo un procedimento che
attribuiva il seggio al candidato che avesse conquistato la maggioranza anche
relativa dei voti, nell’ ambito di ciascun collegio. I restanti 77 seggi
venivano attribuiti con metodo proporzionale secondo la seguente procedura:
si determinava la cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati collegati;
in base all’ art. 17 del decreto legislativo n. 533 del 1993, tale cifra era
data dalla somma dei voti validi ottenuti dai candidati presenti nei collegi
uninominali con il medesimo contrassegno, sottratto il numero dei voti validi
ottenuti già utilizzati per l’ elezione di un candidato nel collegio
uninominale (con sistema maggioritario). La cifra elettorale era poi
suddivisa, attraverso il metodo di Hondt per 1, 2,
3, 4, 5… fino al raggiungimento del numero di seggi da assegnare[8].
Alla fine si ottenevano tanti quozienti quante erano le divisioni effettuate
per ciascun gruppo. Tali quozienti erano posti in ordine decrescente formando
una graduatoria; i seggi da assegnare erano suddivisi tra i vari gruppi e ovviamente
i gruppi che avevano i quozienti più alti ottenevano un maggior numero di
seggi. All’ interno dei vari gruppi di candidati i seggi venivano attribuiti
al candidato che avesse conseguito la più alta cifra individuale. Il sistema elettorale della Camera
era simile a quello del Senato; su 630 seggi da assegnare, 475 venivano
assegnati ai candidati che ottenevano il maggior numero di voti nei collegi
uninominali (metodo maggioritario) e 155 attraverso il cosiddetto scorporo proporzionale. L’ elettore aveva
a disposizione due schede: con una eleggeva il candidato nel collegio
uninominale (maggioritario), mentre con l’ altra votava una lista
(proporzionale); per quanto riguarda la quota di seggi assegnata con il
metodo dello scorporo, la legge del 1993 prevedeva che potessero partecipare
solamente le liste che avessero ottenuto almeno il 4% dei voti su scala
nazionale (clausola di sbarramento). Il meccanismo dello scorporo era
estremamente complicato ed era stabilito dall’ art. 77 del D.P.R. n. 361 del 1957,
come modificato dalla legge del 1993.
Ne descriviamo le fasi principali. Prima di tutto, l’ Ufficio centrale
circoscrizionale determinava la cifra elettorale circoscrizionale di ogni
lista, data dal numero di voti ottenuto dalla lista nelle singole sezioni
della circoscrizione a cui era sottratto, per ogni collegio in cui era stato
eletto un candidato collegato alla lista medesima un numero pari ai voti
ottenuti dal candidato immediatamente successivo per cifra di suffragi più
uno, e comunque non inferiore al 25%,
a meno che il candidato eletto abbia conseguito una quota di suffragi
inferiore al 25%. Dopo questa prima fase, in base
all’ art. 83 del D.P.R. del 1957, come modificato dalla legge del 1993, si
determinava la cifra elettorale nazionale delle varie liste prendendo a base
la somma delle cifre elettorali di ogni circoscrizione; svolta questa
operazione si procedeva alla ripartizione dei seggi tra le varie liste e poi
alla distribuzione dei seggi così assegnati nelle varie circoscrizioni. Infine, in base all’ art. 84,
vengono proclamati eletti, nei limiti dei seggi ai quali ha diritto ciascuna
lista, i candidati compresi nelle liste secondo l’ ordine di
presentazione. 2.2.1 La legge elettorale del 2005
Il sistema prevalentemente
maggioritario introdotto a seguito dei risultati del referendum del 1993 è stato sostituito con una velocità a dir
poco sorprendente alla fine del 2005 dalla maggioranza di centro-destra. Tra
il settembre ed il dicembre 2005 il progetto di legge elettorale fu approvato.
La legge 21 dicembre 2005, n. Prima di tutto dobbiamo
sottolineare il fatto che il nuovo sistema elettorale è fondato su liste di candidati. Non esistono più
collegi uninominali se non in alcuni casi che vedremo. Il sistema è, dunque,
prevalentemente proporzionale. L’ art. 1 della legge è molto
consistente e modifica il meccanismo d’ elezione della Camera dei Deputati. A
tal fine esso prescrive numerose
correzioni al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361,
ossia il Testo Unico delle leggi recanti norme per l’ elezione della Camera
dei Deputati. In particolare esso stabilisce
che il nuovo art. 1 del suddetto D.P.R. debba sancire l’ elezione a suffragio
universale con voto eguale, diretto, libero e segreto. Il voto è attribuito a
liste di candidati concorrenti. L’ art. 1 della legge stabilisce
poi modifiche dell’ art. 4 del D.P.R. n. 361 del 1957. Il nuovo art. 4
prevede che il voto costituisce un dovere civico; inoltre è prescritto che
ogni elettore disponga di un voto per la scelta della lista, attraverso una
sola scheda recante i contrassegni delle varie liste concorrenti. E’ aggiunto, sempre attraverso l’
art. 1 della legge, un art. 14 bis secondo
il quale i partiti ed i gruppi politici possono effettuare il collegamento in
una coalizione delle liste da essi rispettivamente presentate. Inoltre i
partiti o i gruppi politici che si candidano a governare devono depositare,
contestualmente al contrassegno, anche il programma elettorale in cui
dichiarano il nome ed il cognome della persona da loro indicata come unico
capo della coalizione. Restano ferme, in ogni caso, le prerogative del
Presidente della Repubblica di cui all’ art. 92, comma 2, della Costituzione.
Con riferimento alla presentazione
delle candidature, l’ art. 19 modificato dalla legge del 2005 mantiene un
unico limite: l’ impossibilità di presentare la candidatura alla Camera ed al
Senato. Ricordiamo che, in modo più saggio, il legislatore del 1993 aveva
posto maggiori limitazioni: infatti l’ art. 18 del D.P.R. del 1957, come
modificato dalla legge 277 del 1993, prevedeva che il candidato non potesse
presentarsi in più di un collegio
uninominale; l’ art. 19, come modificato dalla stessa legge stabiliva che il
candidato non potesse presentarsi in più di tre circoscrizioni con una medesima lista. Attualmente, invece,
con l’ unico limite che abbiamo in precedenza indicato, si attenuano molto i
legami tra il candidato ed il suo territorio e, dunque, il candidato risulta
essere meno responsabilizzato nei confronti del suo elettorato. Altra novità
non positiva è rappresentata dalla modifica dell’ art. 18 bis del D.P.R. del 1957. Il nuovo
articolo prevede, al comma 2, che non è necessaria alcuna sottoscrizione
per la presentazione di partiti e gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere
all’ inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei
comizi elettorali. Parimenti non è
necessaria alcuna sottoscrizione per la presentazione di partiti o gruppi
politici che hanno effettuato dichiarazioni di collegamento con almeno due
partiti o gruppi politici in precedenza menzionati (ossia quelli che sono già
costituiti in gruppo parlamentare nei due rami del Parlamento all’ inizio
della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi
elettorali) e che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle
ultime elezioni del Parlamento Europeo con lo stesso contrassegno depositato
ai sensi dell’ art. 14 del D.P.R. del 1957[9].
Questa disposizione tende a
cristallizzare l’ agone politico-parlamentare in quanto avvantaggia i partiti
già presenti nelle assemblee. Per quanto riguarda poi il
meccanismo di assegnazione dei seggi, l’ art. 1 della legge del 2005 apporta
modifiche all’ art. 77 del D.P.R. n. 361 del 30 marzo 1957. Il nuovo art. 77
sancisce che l’ Ufficio centrale circoscrizionale determina la cifra
elettorale circoscrizionale di ogni lista, che è data dalla somma dei voti
ottenuti dalla lista in ciascuna sezione della circoscrizione elettorale.
Tale cifra deve successivamente, sempre ad opera dell’ Ufficio
circoscrizionale, essere comunicata, a mezzo di estratto del verbale, all’
Ufficio centrale nazionale. L’ Ufficio circoscrizionale deve poi comunicare,
per i fini di cui all’ art. 83, comma 1, n. 3 del D.P.R. del 1957 (che
vedremo più avanti), il totale dei voti validi della circoscrizione. L’ art. 83, come modificato dall’
art. 1 della legge del 2005, sancisce che l’ Ufficio centrale nazionale
determina, desumendola dagli estratti dei verbali degli uffici
circoscrizionali, la cifra elettorale nazionale di ogni lista, che è data
dalla somma delle cifre circoscrizionali. Successivamente stabilisce la cifra
elettorale nazionale di ciascuna coalizione di liste collegate, la quale è data
dalla somma delle cifre elettorali nazionali delle liste che compongono la
coalizione; stabilisce, inoltre, la cifra nazionale delle liste non collegate
ed individua la coalizione o la lista non collegata che ha conseguito il
maggior numero di suffragi validi espressi. Sono previste delle soglie di
sbarramento sia per le liste che per le coalizioni. Infatti il numero 3 del
comma 1 del nuovo art. 83, prevede che l’ Ufficio nazionale individui, al
fine dell’ assegnazione dei seggi, le coalizioni di liste che abbiano
conseguito sul piano nazionale almeno il 10% dei voti validi espressi e che
contengano almeno una lista con un minimo di voti, a livello nazionale, pari
al 2%. In alternativa al criterio del 2% le coalizioni possono anche
contenere una lista rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute,
presentata esclusivamente in una delle circoscrizioni che fanno parte di
regioni che, per statuto speciale, tutelano espressamente tali minoranze;
detta lista deve aver conseguito, però, almeno il 20% dei voti validi
espressi nella circoscrizione. L’ Ufficio centrale nazionale
deve poi provvedere ad individuare le liste non collegate che abbiano
ottenuto, a livello nazionale, almeno il 4% dei voti validi espressi; ciò
sempre ai fini dell’ assegnazione dei seggi. In alternativa al criterio del
4%, le liste non collegate possono essere ammesse al riparto dei seggi anche
qualora siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, siano
presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni
che, per statuto speciale, tutelano dette minoranze e abbiano conseguito
almeno il 20% dei voti validi espressi nella circoscrizione. L’ Ufficio centrale nazionale
provvede anche ad individuare le liste delle coalizioni che, sebbene non
abbiano conseguito il 2% dei voti validi espressi sul piano nazionale,
tuttavia hanno ottenuto, a livello nazionale, almeno il 4% dei voti validi
espressi ovvero siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute
e siano presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in
regioni che, per statuto speciale, tutelano dette minoranze; tali liste
devono avere ottenuto almeno il 20% dei voti validi espressi nella
circoscrizione. Esaurito questo procedimento di
individuazione delle liste e delle coalizioni, l’ Ufficio centrale nazionale
prosegue nell’ assegnazione, alle sole liste e coalizioni che soddisfano i
criteri ora menzionati, dei seggi in base alle cifre elettorali nazionali di
ciascuna lista e coalizione (Cfr. l’ art. 1, comma 12 legge 270/2005 nella
parte in cui modifica l’ art. 83, comma 1, n. 4 del D.P.R. n. 361 del 1957). Il nuovo art. 83 prevede, al
numero 5, che l’ Ufficio centrale nazionale verifichi se la coalizione o la
lista che ha conseguito il maggior numero di voti validi espressi abbia
ottenuto almeno 340 seggi. Individua, poi, nell’ ambito di ciascuna
coalizione, le liste che hanno acquisito almeno il 2% dei voti validi
espressi e le liste rappresentative di minoranze linguistiche in precedenza
menzionate che hanno conquistato almeno il 20% dei suffragi validi espressi
nell’ ambito della circoscrizione. Individua anche, tra quelle che non hanno
ottenuto sul piano nazionale almeno il 2% dei voti validi espressi, la lista
ha acquisito la cifra elettorale nazionale maggiore (n. 6 del nuovo art. 83
del D.P.R. n. 361 del 1957). Se la verifica di cui al n. Vediamo ora cosa accade nel caso
in cui la coalizione o la lista che ha conquistato il maggior numero di
suffragi validi espressi non consegua almeno 340 seggi. In questo caso scatta
il premio di maggioranza. In base al comma 2 del nuovo art. 83 del D.P.R. n.
361 del 1957, l’ Ufficio centrale nazionale assegna comunque 340 seggi alla
lista o alla coalizione che ha ottenuto il maggior numero di voti validi
espressi. Bisogna, tuttavia, tenere presente che sia i 12 seggi della
circoscrizione Estero, sia il seggio della Valle d’ Aosta sono esclusi dal
collegamento in coalizione, ai fini
dell’ assegnazione del premio di maggioranza. Per ciascuna coalizione di liste
l’ Ufficio centrale nazionale provvede a ripartire i seggi rimanenti tra le altre
coalizioni e liste di cui al comma 1, n. 3 del nuovo art. 83[10]. Infine, in base al comma 4 dell’
art. 83 modificato, l’ Ufficio centrale nazionale procede, per ciascuna
coalizione, alla suddivisione dei seggi ad essa spettanti tra le varie liste
che la compongono, purché queste siano ammesse al riparto. Si nota, dall’ analisi di questa
normativa di modifica del D.P.R. n. 361 del 1957, che il sistema elettorale
della Camera (ma, come vedremo, anche quello del Senato) è stato notevolmente
trasformato, anche se tale profondo mutamento sembra non aver intaccato l’
assetto bipolare. Tuttavia il problema più serio determinato da questa legge
elettorale, quello su cui si concentrano i giudizi più negativi, è posto dal
nuovo sistema di elezione del Senato, come vedremo. Un cenno, a conclusione di questo
discorso sul sistema d’ elezione dei membri della Camera, merita la diversa
soluzione che, rispetto alla precedente normativa (1993), è data al problema
dei seggi vacanti. In base alla legislazione del 1993, se alla Camera dei
Deputati un seggio diveniva vacante si potevano avere due diverse soluzioni:
nel caso in cui il seggio vacante fosse quello assegnato al candidato in un
collegio uninominale si procedeva ad una elezione suppletiva; nel caso di
assegnazione con correttivo proporzionale il seggio era attribuito a colui
che, nell’ ambito della medesima circoscrizione, seguiva immediatamente l’
ultimo degli eletti nella lista. Oggi, in base all’ art. 1, comma
14, della legge n. 270 del 2005, l’ art. 86 del D.P.R. n. 361 del 1957 è
stato modificato; in base a tale correzione il seggio che, alla Camera dei
Deputati, si renda vacante per qualsiasi causa è assegnato al candidato che
segue, nella medesima circoscrizione, l’ ultimo degli eletti nella lista. Se
una lista ha già esaurito tutti i suoi candidati, allora si procede in base a
quanto stabilito dal nuovo art. 84, commi 2, 3, e 4[11]. Un elemento di diversità nel sistema è dato
dal fatto che se il seggio vacante è quello della circoscrizione Valle d’
Aosta si deve procedere ad elezione suppletiva. Terminato l’ esame della
procedura d’ elezione e assegnazione dei seggi alla Camera dei Deputati
passiamo ora ad esaminare cosa avviene al Senato. Anche qui scompare il
collegio uninominale ed il sistema è basato su liste e coalizioni di liste. La disciplina è data dall’ art. 4
della legge n. 270 del 2005. Il comma 1 determina la modificazione dell’ art.
1 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo Unico delle leggi
recanti norme per l’ elezione del Senato della Repubblica). Il nuovo art. 1, comma 1,
stabilisce che il Senato è eletto su base regionale[12]. Il comma 2 sancisce che l’
assegnazione dei seggi tra liste concorrenti avviene con metodo proporzionale
ed eventuale assegnazione di un premio di coalizione regionale. Anche qui ci sono, però, delle differenze che
riguardano L’ assegnazione dei seggi avviene
attraverso una procedura simile a quella che abbiano visto per L’ art. 16 modificato stabilisce
una procedura per l’ individuazione delle varie cifre elettorali, al fine
dell’ attribuzione dei seggi. Tale procedura è simile a quella prevista per
l’ assegnazione dei seggi alla Camera dei Deputati. Il procedimento inizia con l’
individuazione, ad opera dell’ Ufficio elettorale circoscrizionale
(regionale, in quanto la circoscrizione è la regione), delle cifre
circoscrizionali delle varie liste. Esse sono date dalla somma dei voti
conquistati da ciascuna lista nelle singole sezioni elettorali della
circoscrizione. In seguito è determinata la cifra circoscrizionale delle
coalizioni, data dalla somma delle cifre delle varie liste che le costituiscono.
L’ Ufficio provvede poi ad
individuare le coalizioni che abbiano ottenuto, a livello regionale, almeno
il 20% dei voti validi espressi e che contengano una lista con un minimo del
3% dei suffragi validi espressi ottenuti sul piano regionale. Determina
successivamente le liste non collegate che hanno conseguito, sul piano
regionale, almeno l’ 8% dei suffragi validi espressi e le liste che, pur
essendo presenti in coalizioni che non hanno superato il 20% dei voti sul
piano regionale, hanno acquisito, a livello regionale, l’ 8%. L’ art. 17 del decreto
legislativo n. 533 del 1993, come modificato dal comma 8 dell’ art. 4 della
legge 270 del 2005, prevede che l’ Ufficio elettorale regionale proceda ad
una assegnazione provvisoria dei seggi tra le coalizioni e le liste di cui
all’ art. 16; ciò in base alla cifra circoscrizionale da esse conseguita. L’ Ufficio regionale provvede poi
a verificare se la coalizione o la singola lista che ha ottenuto il maggior
numero di voti validi nell’ ambito della circoscrizione abbia conseguito il
55% dei seggi spettanti alla regione, con arrotondamento all’ unità
superiore. In caso di esito positivo procede ad una ripartizione dei seggi
tra le varie liste che costituiscono le coalizioni, tenendo presente lo
“sbarramento” del 3% che opera a livello circoscrizionale[13].
Se, al contrario, l’ esito della
verifica fosse negativo, l’ Ufficio regionale assegnerebbe comunque, alla
coalizione o alla singola lista che ha ottenuto il maggior numero di suffragi
validi espressi, il numero di seggi necessario a raggiungere il 55% dei seggi
spettanti alla regione, con arrotondamento all’ unità superiore. E’ questo il
tanto discusso premio di maggioranza regionale. I seggi rimanenti sono
distribuiti tra le altre coalizioni o liste. Nel caso di vacanza di seggi non
si procede più ad elezioni suppletive, ma subentra, nell’ ambito della stessa
circoscrizione, il candidato che segue immediatamente l’ ultimo degli eletti
nell’ ordine della lista (nuovo art. 19, comma 1, del decreto legislativo n.
533 del 1993, modificato dall’ art. 4, comma 10 della legge n. 270 del 2005).
Un elemento di confusione e di
disomogeneità è rappresentato dal diverso criterio di elezione ed
assegnazione dei seggi per quanto riguarda Un’ ulteriore anomalia riguarda l’
elezione dei due Senatori spettanti al Molise. Infatti l’ art. 4, comma 9,
della legge 270 del 2005 inserisce un articolo 17 bis al decreto legislativo 533 del 1993, il quale prevede che per
l’ attribuzione dei seggi spettanti al Molise si deve procedere in base all’
art. 17, commi 1 e 3, mentre non si applicano le disposizioni di cui ai commi
2, 4, 5 e 6. Ciò significa che l’ elezione dei Senatori del Molise avviene senza premio di maggioranza. Fra le norme significative,
soprattutto perché gravide di conseguenze non positive, è degno di nota l’
art. 9 della legge del 2005. Esso contiene una norma in base alla quale gli
scrutatori sono nominati e non più sorteggiati dalle Commissioni
elettorali comunali. Ciò rappresenta una vera involuzione sia dal punto di vista meramente temporale (la nomina
era prevista fino al 1989), sia, molto più significativamente, dal punto di
vista della “bontà” della norma; infatti appare più sensato e anche più
“democratico” sorteggiare piuttosto
che nominare gli scrutatori; e ciò
in quanto le nomine potrebbero essere “pilotate” dai partiti. Tali
perplessità sono fondate se si considera che dopo le elezioni politiche del
2006 c’ è stata notevole difficoltà per la proclamazione dei risultati,
legata anche alle polemiche sul computo delle schede. Terminato l’ esame delle norme
più significative, occorre menzionare altri strumenti normativi importanti
che costituiscono la struttura del sistema elettorale. Parliamo del decreto legge 3
gennaio 2006, n. 1. La prima riflessione riguarda i tempi di conversione del
decreto stesso; se si pensa che spesso i decreti legge vengono convertiti
quasi al 60° giorno dopo la loro emanazione, sorprende la inusuale rapidità
con cui questo decreto è stato convertito: la conversione è avvenuta, il 27
gennaio, poco più di 3 settimane dopo. Ritroviamo la stessa rapidità che
abbiamo visto per l’ approvazione della legge 270 (solo da settembre a
dicembre). Ciò, a mio avviso, non fa che radicare ancora di più la
convinzione che l’ intento della maggioranza di centro-destra fosse quello di
creare una legge che ridimensionasse la vittoria degli avversari e creasse
difficoltà al nuovo esecutivo. Tutti fattori, questi, che avrebbero (e, nei
fatti, hanno) notevolmente danneggiato il paese. Svolta questa considerazione
preliminare, vediamo il contenuto della legge 27 gennaio 2006, n. 22. Alcune
novità introdotte dalla legge sono positive. Ad esempio ricordiamo fra queste
la possibilità, per coloro che dipendono da apparecchiature elettromedicali,
di votare a domicilio. I cittadini che sono temporaneamente all’ estero
impegnati in missioni internazionali, che sono dipendenti dello stato o
professori universitari che si trovano all’ estero per motivi di servizio
possono esprimere il loro voto nella circoscrizione estero. Negativa, a mio
avviso, è la nuova normativa prevista dalla legge 22 del 2.2.2 Il voto degli italiani all’ estero
Il 17 gennaio 2000 fu varata una
legge costituzionale (n. 1) che ha riformato l’ art. 48 della Costituzione
inserendo in esso una disposizione significativa che prevede che gli italiani
residenti all’ estero possano esprimere il loro voto: “La legge stabilisce
requisiti e modalità per l’ esercizio del diritto di voto dei cittadini
residenti all’ estero e ne assicura l’ effettività. A tal fine è istituita una
circoscrizione Estero per l’ elezione delle Camere (…)”. Conseguentemente a
questa riforma, il 23 gennaio 2001 un’ altra legge costituzionale (la n. 1)
ha provveduto a modificare gli articoli 56 e 57 della Costituzione inserendo
in essi le disposizioni riguardanti i seggi da attribuire alla circoscrizione
Estero nelle due Camere. Abbiamo già avuto modo di vedere, analizzando i due
articoli in questione, che essi sanciscono che i seggi per ·
Europa; ·
America meridionale; ·
America settentrionale e centrale; ·
Africa, Asia, Oceania e Antartide. Per ogni ripartizione sono eletti
un Deputato ed un Senatore; i rimanenti seggi sono suddivisi tra le
ripartizioni in proporzione del numero di cittadini italiani che vi
risiedono, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. In base all’ art. 7 è istituito,
presso Con l’ art. 11 inizia la parte
della legge che stabilisce le norme per la procedura di votazione e di
assegnazione dei seggi. Il comma 1 prevede che l’ assegnazione dei seggi tra
le varie liste avviene in ragione proporzionale per ciascuna ripartizione. Il
comma 3 prevede che gli elettori possano esprimere due voti di preferenza
nelle ripartizioni a cui sono assegnati due o più Deputati o Senatori ed un
solo voto di preferenza nelle altre. E’ questo l’ unico caso in cui, con il
vigente sistema elettorale, l’ elettore può esprimere preferenze. L’ art. 15 statuisce che l’
Ufficio centrale per la circoscrizione Estero determina la cifra elettorale
di ciascuna lista per ogni ripartizione; tale cifra è data dalla somma dei
voti validi ottenuti nell’ ambito della ripartizione. Successivamente l’
Ufficio individua la cifra elettorale del singolo candidato, data dalla somma
dei suffragi ottenuti dal candidato nell’ ambito della ripartizione. Attraverso
un procedimento simile a quello previsto per l’ assegnazione dei seggi alle
liste nelle circoscrizioni nazionali, i seggi vengono suddivisi tra le varie
liste e, a seguire, tra i vari candidati, in base alle cifre individuali. In base all’ art. 16, il seggio
che si renda vacante è assegnato, nell’ ambito della stessa ripartizione, al
candidato che nella lista segue immediatamente l’ ultimo degli eletti nella
graduatoria delle cifre individuali e, in assenza di questi, nella lista. La legge n. 459 del 2001
stabilisce anche norme per la procedura di voto. L’ art. 1, comma 2 prevede
che i cittadini residenti all’ estero votino per corrispondenza o, in
alternativa (comma 3), in Italia. Le polemiche che seguirono le
elezioni politiche del 2006 riguardarono anche il voto degli italiani all’
estero. Può essere giusto che anche coloro che risiedono e vivono fuori dall’
Italia concorrano alle scelte politiche che riguardano la loro nazione di
origine, ma è chiaro che, poiché il loro voto si esprime per corrispondenza,
esso è più soggetto ad eventuali manipolazioni e meno garantito. Inoltre c’ è
difficoltà nello stabilire chi siano gli italiani all’ estero; questo
interrogativo, che potrebbe apparire banale, in realtà non è di poco conto. A
questo proposito ricordiamo che fin dalla legge n. 555 del 13 giugno 1912, l’
ordinamento italiano ha sempre avuto favore per lo jus sanguinis[15].
Tale principio prevale anche nella legge 5 febbraio 1992, n. 91. La preferenza per lo jus sanguinis
fa sì che possano essere riconosciuti come cittadini italiani anche coloro
che discendono in linea retta da cittadini italiani, anche se hanno sempre
vissuto all’ estero. Non solo, ma tali individui possono anche cumulare due
cittadinanze (Italia più Stato di residenza). Si comprende facilmente come le
persone ora menzionate potrebbero non avere più alcun legame (magari neppure
linguistico) con l’ Italia e potrebbero non avere alcun interesse a
riallacciare tale legame. Stando così le cose non appare equo che esse
abbiano la possibilità di incidere sulle scelte politiche italiane. 3. Considerazioni
conclusive sulla legge 270 del 2005
Complessivamente non si può dare
un giudizio positivo sulla legge elettorale del 2005. Del resto gli stessi
esponenti del centro-destra, che nel dicembre 2005 approvarono così
velocemente la legge, riconoscono oggi la necessità e l’ urgenza di riformare
il sistema; sicché oggi, all’ inizio del 2008, la riforma elettorale è in
primo piano nell’ agenda politica e ci si aspetta che lo sia sempre di più
dopo che Il problema principale posto
dall’ attuale legge elettorale è dato dal meccanismo di elezione del Senato;
si ritiene che l’ attuale situazione di stallo che si verifica nella seconda
Camera, derivante dal fatto che la maggioranza è estremamente esigua, sia il
frutto del premio di maggioranza assegnato non su base nazionale, bensì
regione per regione. Ora, poiché in base alla Costituzione (art. 94) il
Governo deve avere la fiducia delle due Camere, è chiaro che anche il Senato
può “fare crisi”. Con una situazione così confusa ed incerta nella Camera
alta l’ esecutivo è sempre soggetto a possibili crisi, soprattutto se si tiene
conto del fatto che le coalizioni sono estremamente eterogenee e frammentate.
Concentriamo l’ attenzione sul fatto che la legge del 2005 opera in un regime
di bicameralismo perfetto (come si
è detto ora anche il Senato “fa le crisi”): dal momento che essa non assicura
che la coalizione (o la lista) vincente alla Camera sia vincente anche al
Senato, si può facilmente comprendere che l’ eventualità in questione generi
una situazione di paralisi e di ingovernabilità. Una situazione simile si è
verificata proprio nelle elezioni politiche del 2006: infatti, grazie al
premio di maggioranza nazionale alla Camera il centro-sinistra ha un’ ampia
maggioranza, ma a causa del premio di maggioranza regionale, al Senato si è
creata una situazione di quasi parità che rende spesso decisivo il voto dei 6
Senatori eletti all’ estero e dei Senatori a vita. Altro elemento negativo che
questa legge porta con sé è costituito dalle liste bloccate; ciò implica che
l’ elettore non può esprimere preferenze, ma solo votare per un partito
apponendo un segno sul simbolo. In tal modo vengono eletti, progressivamente,
coloro che sono nei primi posti nella lista. Questa disposizione dà grande
forza ai partiti (che porranno nei primi posti della lista le personalità più
docili e obbedienti) e ridimensiona di molto la possibilità di scelta degli
elettori. Inoltre la lista bloccata deresponsabilizza molto i candidati nei
confronti dei loro elettori; ai candidati basterà avere una buona disciplina
di partito. Altra norma fortemente partitocratica
è quella in base alla quale non è richiesta alcuna sottoscrizione per quei
partiti o gruppi politici che sono già costituiti in gruppi parlamentari in
entrambi i rami del Parlamento all’ inizio della legislatura in corso al
momento della convocazione dei comizi. Abbiamo poi visto che non è necessaria
alcuna sottoscrizione per quei partiti o gruppi che si collegano a quelli ora
menzionati e che abbiamo conseguito almeno un seggio al Parlamento Europeo
nelle ultime elezioni con il medesimo contrassegno. Come già osservato,
questa disposizione avvantaggia i partiti già stabilmente presenti nell’
agone politico-parlamentare e crea, invece, difficoltà alle nuove forze. Negativa è anche la norma che
prevede la nomina in luogo del sorteggio degli scrutatori, di cui
abbiamo già trattato. Ancora, tra gli elementi negativi
della legge 270 del 2005 ricordiamo il notevole svilimento del legame tra
territorio e candidati, al quale corrisponde un rafforzamento tra candidati e
partiti. Tutto ciò deriva sia dalle liste bloccate, sia dall’ eliminazione
dei collegi uninominali[16].
Anche il fatto che la legge preveda la possibilità di candidarsi in più
circoscrizioni (anche in tutte!) e che l’ unico limite posto alle candidature
sia quello dell’ impossibilità di presentarsi in entrambe le Camere è un
difetto grave. Ancora, torniamo sul fatto che i
seggi della circoscrizione Estero e quello della Valle d’ Aosta sono esclusi
dal collegamento in coalizione ai fini dell’ assegnazione del premio: ciò
determina una disparità tra gli elettori inaccettabile. Infine, se da una parte il premio
di maggioranza previsto dalla legge può incentivare una razionalizzazione del
sistema partitico attraverso l’ aggregazione delle liste in coalizioni, dall’
altro, il sistema proporzionale, benché siano presenti soglie di sbarramento,
incoraggia al contrario la proliferazione dei partiti e la frammentazione
dell’ agone politico-parlamentare. In conclusione, non bisogna
commettere l’ errore di credere che la legge elettorale del 2005 sia all’ origine
di tutti i mali, in quanto molte delle deficienze del nostro sistema politico
sono già insite e connaturate in esso e nella frammentarietà della società
italiana. La legge del 2005 non fa che acuire tali difetti. 4. Il sistema elettorale
francese
L’ attuale regime costituzionale
presente in Francia è basato sulla Costituzione del 1958, che ha dato origine
alla Quinta Repubblica. La forma di governo che la
vigente costituzione dà all’ ordinamento francese è quella cosiddetta
“semipresidenziale”. In realtà tale forma di governo potrebbe essere
considerata una specie molto particolare di forma di governo parlamentare, in
cui il presidente della Repubblica assume una posizione di preminenza nell’
ordinamento. Per comprendere la particolarità e l’ originalità della forma di
governo francese dobbiamo analizzare la posizione dell’ esecutivo nella
Costituzione del 1958. Ebbene l’ esecutivo non appare emanazione del
Parlamento, ma piuttosto del Presidente della Repubblica, che presiede il
Consiglio dei Ministri e nomina il Primo Ministro (e mette anche fine alle
sue funzioni qualora il governo si dimetta) e, su proposta di questo, i
Ministri (cfr. gli artt. 8 e 9 della Costituzione del 1958). A fronte di ciò,
però, non dobbiamo dimenticare che il governo deve avere la fiducia dell’
Assemblea Nazionale (non anche del Senato). A proposito della fiducia,
dobbiamo tenere presente che l’ art. 49 della Costituzione non parla
esplicitamente di fiducia, ma stabilisce che il Primo Ministro, su
deliberazione del Consiglio dei Ministri, impegna la sua responsabilità sul
suo programma o su una dichiarazione di politica generale. L’ Assemblea
Nazionale mette in causa la responsabilità del Governo con una mozione di
sfiducia. Dunque si parla esplicitamente solo della sfiducia; è solo quest’
ultima ad essere oggetto di una mozione votata dall’ Assemblea, mentre la
fiducia si presume. Questa disciplina del rapporto fiduciario
Governo-Parlamento contribuisce a snellire e a rendere più efficiente il
sistema. A tutto ciò dobbiamo aggiungere
che, in base alla riforma costituzionale del 6 novembre 1962, il Presidente
della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto; ciò costituisce
un ulteriore elemento di forza del Capo dello Stato in Francia. Dunque la forma di governo
francese, così come stabilita dalla Costituzione del 1958 può considerarsi un
ibrido a metà strada tra la forma parlamentare e quella presidenziale[17].
Questo breve excursus sull’ ordinamento della Quinta Repubblica è necessario
per comprendere ed analizzare meglio il sistema elettorale francese, dal
momento che la forma di Governo e la formula elettorale sono due elementi
fondamentali e legati tra loro; da essi dipende l’ efficienza di un sistema
politico. Per quanto riguarda più
specificamente la formula elettorale dobbiamo tenere conto del fatto che
siamo in presenza di un ordinamento in cui il Presidente della repubblica
viene eletto direttamente dal corpo
elettorale. La formula con cui viene scelto il Capo dello Stato è quella
della majority[18]:
ciò significa che il candidato deve
conseguire la maggioranza assoluta (50% + 1 dei voti validi). Se questa
percentuale non viene raggiunta al primo turno si procede ad un secondo turno
(ballottaggio) al quale partecipano i 2 candidati meglio piazzati al primo
turno. Tale formula elettorale
maggioritaria a doppio turno è utilizzata anche per l’ elezione dei membri
dell’ Assemblea Nazionale[19].
Inizialmente, effettuato il primo turno elettorale, i candidati potevano
passare al secondo qualora avessero conseguito, all’ interno del collegio,
almeno il 5% dei voti validi. Successivamente, nel 1966, la soglia fu
innalzata al 10%; questa percentuale però veniva calcolata non più in base ai
voti validi, bensì in base al numero degli aventi diritto al voto. Nel 1978 ci
fu un ulteriore innalzamento della soglia al 12,5% degli aventi diritto al
voto. Analogamente
a quanto avviene per l’ elezione del Presidente della Repubblica, anche nel
caso delle elezioni dell’ Assemblea Nazionale è utilizzata la formula della majority.
Quindi, se un candidato non riesce a raggiungere il 50% +1 dei voti validi a
primo turno, si procede ad un ballottaggio al quale sono però ammessi
soltanto coloro che hanno conseguito, al primo turno, un numero di suffragi
pari 12,5% degli aventi diritto al voto. Nel caso in cui nessuno, o soltanto
un candidato abbia raggiunto la soglia del 12,5%, si possono presentare al
secondo turno i 2 meglio piazzati. Questo sistema nettamente
maggioritario presente in Francia è fortemente selettivo e relega ai margini
dell’ agone politico i due partiti cosiddetti “antisistema”, ossia il partito
comunista a sinistra e il Front National a destra. Si ha così una convergenza
al centro che premia le componenti più moderate. Una conferma della bontà del
sistema maggioritario a doppio turno è data sia dalla notevole stabilità dei
governi della Quinta Repubblica, sia dalla penalizzazione dei partiti
estremisti. Si pensi, a questo proposito, che quando nel 1986 ci fu la breve
“parentesi” proporzionale, più di 30 deputati del Front National poterono
entrare nell’ Assemblea Nazionale. Se poi si considera che nel
periodo della Quarta Repubblica, ossia dal 1946 al Quanto
alla possibilità di “importare” in Italia il sistema elettorale francese, se
da una parte potrebbe essere positivo realizzarla in quanto si renderebbero
più solidi i nostri esecutivi, dall’ altra bisognerebbe fare i conti con le
scontate resistenze e con i veti dei piccoli partiti, che difficilmente
accetterebbero soglie di sbarramento alte e maggioranze assolute necessarie
per conseguire l’ elezione e la visibilità in Parlamento. 5. Il sistema elettorale
tedesco
Appare
difficile definire in modo univoco e preciso il sistema elettorale vigente in
Germania. Esso potrebbe essere definito come sistema misto, data la presenza in esso di elementi maggioritari e
proporzionali. Tuttavia, come vedremo, la formula elettorale tedesca andrebbe
considerata come prevalentemente
proporzionale. Preliminarmente
occorre dire che il Parlamento tedesco è costituito da due Camere: il Bundestag ed il
Bundesrat. Il primo rappresenta il popolo nella
sua totalità ed è eletto a suffragio universale e diretto, mentre il secondo
è l’ organo rappresentativo dei vari Länder in cui è suddiviso il territorio tedesco; esso non è
un organo elettivo, in quanto i suoi membri sono nominati e revocati dai
governi dei Länder (cfr. artt. 38 e 51 della Grundgesetz tedesca del 1949). Per
quanto riguarda i rapporti Governo-Parlamento, secondo l’ art. 63 della Legge
Fondamentale, il Cancelliere Federale è eletto dal solo Bundestag su proposta del Presidente Federale. Secondo l’ art. 67 il Bundestag può
esprimere la sfiducia al Cancelliere solo se elegge un nuovo Cancelliere
(sfiducia costruttiva); altrimenti il Presidente federale può sciogliere il Bundestag (cfr.
art. 68). La
formula elettorale per l’ istituzione rappresentativa, prevede che, su 598
seggi da assegnare nell’ ambito del solo Bundestag, 299 sono attribuiti
con il metodo maggioritario della plurality[20] in altrettanti collegi uninominali. I
restanti 299 sono invece aggiudicati con metodo proporzionale. Per
operare la sua scelta, l’ elettore tedesco ha a disposizione una sola scheda
sulla quale effettua, però, due votazioni
distinte. Con il 1° voto viene scelto il candidato nel collegio uninominale
con il metodo maggioritario. Con il 2° voto l’ elettore esprime un voto di lista (su una lista bloccata).
L’ elemento fondamentale di questo doppio voto è la prevalenza del voto di
lista (proporzionale) su quello effettuato per scegliere il candidato nel
collegio uninominale. E’ il 2° voto, infatti, a determinare quanti sono i
seggi da assegnare a ciascun partito (indipendentemente dagli eletti nei
collegi uninominali). Il 1° voto stabilisce, invece, quali candidati
risultano eletti nell’ ambito di ogni lista. In sostanza la scelta
proporzionale decide tutto. Un
elemento basilare di cui occorre tener conto è la soglia di sbarramento:
solamente le liste che superano il 5% dei voti a livello nazionale ottengono
seggi nel Bundestag.
Alternativamente a questo criterio selettivo ne opera un altro: può ottenere
seggi anche il partito che consegue almeno 3 vittorie in altrettanti collegi
uninominali. E’
importante tenere presente che, nel caso in cui un partito abbia ottenuto più
seggi nei collegi uninominali di quanti gli spettano con il conteggio
proporzionale, può conservarli: sono i cosiddetti “mandati in eccesso”.
Questa particolarità del sistema elettorale tedesco fa sì che il numero dei
deputati al Bundestag
sia variabile. La
formula elettorale ora descritta può essere definita come una proporzionale
“personalizzata”: proporzionale in quanto, come già detto, i seggi spettanti
a ciascun partito vengono assegnati su base proporzionale; personalizzata in
quanto con il 1° voto l’ elettore sceglie un candidato nel collegio
uninominale. 6. Il sistema elettorale
spagnolo
Il
sistema elettorale vigente in Spagna presenta caratteristiche molto
interessanti. E’
proporzionale, ma è in grado di produrre effetti molto maggioritari. La
formula elettorale spagnola attuale risale al 1975, anno in cui morì il
dittatore Franco e fu ristabilita la democrazia. La
Costituzione del 1978 prevede un Parlamento bicamerale, le Cortes, ossia il Congresso dei
deputati ed il Senato. In base all’ art. 68 della Costituzione il Congresso
ha un numero di deputati variabile tra 300 e 400, eletti a suffragio
universale e diretto. La circoscrizione elettorale coincide con la provincia.
Le popolazioni di Ceuta e Melilla[21]
sono rappresentate da un deputato ciascuna. Secondo
quanto stabilito dall’ art. 69, il Senato è la Camera di rappresentanza
territoriale. Per ogni provincia sono eletti 4 senatori a suffragio
universale e diretto. Ceuta e Melilla hanno 2 senatori ciascuna; le comunità
autonome designano un senatore ciascuna, più un altro senatore per ogni
milione di abitanti. I rappresentanti delle Comunità Autonome al Senato non
sono eletti a suffragio universale e diretto, bensì sono designati dalle
Assemblee legislative delle Comunità stesse, o dall’ organo collegiale
supremo in mancanza di esse. Il
rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento coinvolge solo il Congresso dei
deputati, e non anche il Senato (cfr. artt. 99, 108, 112, 113, 114). Si
è affermato in precedenza che la formula elettorale spagnola è una
proporzionale che però ha effetti notevolmente maggioritari. Tali effetti
sono determinati da alcuni importanti fattori, ossia: · L’
esistenza di circoscrizioni di dimensioni assai ridotte, coincidenti con le
50 province spagnole; · La
soglia legale di sbarramento al 3%; · La
conversione dei voti in seggi operata attraverso il metodo d’ Hondt. I
deputati del Congresso sono 350: in media ogni circoscrizione ne ha 7. Ciò fa
sì che lo sbarramento per accedere al Congresso sia di fatto piuttosto
difficile da superare. La soglia legale del 3% che opera a livello
circoscrizionale risulta essere, nei fatti,
ben più alta nelle circoscrizioni più piccole: il 3% è effettivo solo
nelle due grandi circoscrizioni di Madrid e Barcellona. A ciò aggiungiamo che
il divisore d’ Hondt determina effetti piuttosto
maggioritari. Come abbiamo già avuto modo di vedere, infatti, il metodo del
divisore d’ Hondt prevede che il numero dei voti di
ogni lista sia successivamente diviso per 1, 2, 3, 4, 5… fino al raggiungimento
della cifra dei seggi da attribuire. In tal modo si hanno tanti quozienti
quante sono le divisioni così effettuate per ciascuna lista. I quozienti
derivanti da tali divisioni vengono poi posti in graduatoria ed i seggi
vengono assegnati alle liste che hanno ottenuto i quozienti più alti.
Rispetto ad altri divisori, come ad esempio il Saint-Laguë,
il divisore d’ Hondt, prevede cifre meno
distanziate tra loro: 1, 2, 3, 4, 5… Il Saint-Laguë,
invece, prevede un maggiore divario tra i divisori successivi: 1, 3, 5, 7, 9…
Sulla base di ciò si può empiricamente verificare che il metodo d’ Hondt permette di assegnare più seggi ai partiti che
riescono a conseguire un alto numero di voti, ossia i partiti più grandi. Da
ultimo, occorre tenere conto del fatto che le liste sono bloccate. Tale
caratteristica potrebbe essere considerata negativa in quanto priverebbe l’
elettore della libertà di scelta del candidato. Tuttavia occorre riflettere
sul fatto che in quasi tutte le democrazie occidentali non c’ è possibilità
di esprimere preferenze. Il
sistema spagnolo ora descritto consente un’ alta rappresentazione ai partiti
più forti (il Partito socialista e il Partito popolare), una sottorappresentazione delle forze più estreme (a destra
come a sinistra) e una buona rappresentazione per le forze regionali, tanto
radicate nella compagine politico-partitica spagnola. 7. Conclusioni
Dopo
aver analizzato la legislazione elettorale vigente in alcuni importanti stati
dell’ U.E. possiamo svolgere alcune considerazioni in merito alla possibilità
di riformare il sistema elettorale italiano, prendendo ad esempio la
normativa degli altri paesi. Prima
di tutto occorre sottolineare il fatto che non esiste un sistema che sia l’ optimum; ciò in quanto la formula
elettorale non costituisce l’ unica variabile in grado di influire sulla
stabilità politico-istituzionale. Esistono anche altri fattori in gioco,
diversi da paese a paese: tipo di società, struttura dei partiti, forma di
governo, elementi culturali, sistema economico… Insomma, prendendo spunto dal
pensiero di Montesquieu, possiamo dire che le leggi esprimono e sono la
risultante di quello che è lo “spirito generale” di un popolo. Ora, questo
discorso vale anche per le leggi elettorali: esse variano da stato a stato; ogni
popolo cerca di scegliere quella che può meglio garantire un governo stabile
e rappresentativo. Un sistema elettorale valido per un paese può non esserlo
per un altro, proprio per la molteplicità dei fattori in gioco e, nello
stesso tempo, non esiste quello che potremmo chiamare “il migliore sistema
elettorale”. Svolta
questa importante considerazione preliminare, si può cercare di capire quale
legislazione elettorale è più adatta al nostro ordinamento. In
linea di massima si può dire, innanzitutto, che le formule maggioritarie
riducono la frammentazione ed assicurano una maggiore stabilità, mentre
quelle proporzionali garantiscono una maggiore rappresentatività, ma nello
stesso tempo incentivano la frammentazione, soprattutto in una società non
omogenea. Tuttavia
i sistemi elettorali non possono essere classificati solo in base alla
dicotomia maggioritario-proporzionale. Esistono, infatti, formule che
potremmo chiamare “miste” o “corrette”, con la compresenza di elementi
maggioritari e proporzionalistici. E’
possibile anche suddividere le normative elettorali in base al grado di
libertà di scelta che concedono all’ elettore; a questo proposito è
interessante fare riferimento alla classificazione suggerita da Domenico
Fisichella[22]:
in base a tale classificazione i sistemi possono essere ad alta attitudine
manipolativa, come quello maggioritario vigente in Gran Bretagna, basato
sulla plurality,
oppure a bassa attitudine
manipolativa. L’ esempio in tal senso è fornito dai sistemi proporzionali a
collegi plurinominali, che prevedono poi il recupero dei resti in sede di
collegio unico nazionale. Se la formula ha un’ alta attitudine manipolativa
vuol dire che è in grado di influenzare e di vincolare la scelta dell’
elettore; se invece l’ attitudine manipolativa è bassa, l’ elettore ha una
maggiore libertà di scelta. Nonostante
queste catalogazioni siano utili per comprendere meglio le legislazioni
elettorali e per individuare quella che più si addice al nostro ordinamento,
bisogna sempre tenere ben presente la molteplicità di fattori che influiscono
sulla stabilità dei governi. Tendenzialmente, una società eterogenea e
complessa potrebbe essere meglio rappresentata nelle istituzioni parlamentari
attraverso l’ adozione di un sistema elettorale proporzionale, mentre un
corpo sociale più omogeneo e pragmatico potrebbe preferire un sistema
maggioritario. Il
problema centrale che deve essere risolto è quello derivante dalla necessità
di coniugare l’ elemento della rappresentatività con quello della stabilità. Per
comprendere quale sia la formula più adeguata bisogna innanzitutto dire che
se da una parte è vero che la legislazione elettorale dovrebbe adattarsi al
tipo di società, d’ altra parte è anche vero che la normativa elettorale
potrebbe influire sull’ assetto sociale. Ora, la società italiana attuale (ma
credo non solo quella italiana) è eterogenea e molto complessa e perciò si
potrebbe pensare che una formula proporzionale sia la più adatta a
rappresentarne le varie e diversificate componenti. Tuttavia c’ è anche un
urgente bisogno di stabilità dei governi, essendo l’ instabilità una
caratteristica endemica dell’ Italia repubblicana. La svolta maggioritaria
del 1993, arrivata in seguito ai risultati di un referendum abrogativo,
testimonia proprio la volontà, da parte dei cittadini italiani, di avere un
sistema politico stabile ed efficiente. La normativa che è derivata dall’
esito del referendum del 1993 e che abbiamo in precedenza analizzato
ha introdotto così una formula maggioritaria con correttivo proporzionale e
soglia di sbarramento al 4%, tentando di conciliare la stabilità con la
rappresentatività. Tuttavia tale sistema non sembra aver sortito i risultati
sperati dal punto di vista della stabilità. La
legge 21 dicembre 2005, n. 270 fu approvata con notevole rapidità dalla sola
maggioranza di centro-destra con intenti difensivi e in modo necessariamente
affrettato e poco ponderato. Con tale legge, nonostante i correttivi
maggioritari (premi di maggioranza e soglie di sbarramento), l’ instabilità e
la frammentazione sembrano, almeno finora, aver avuto la meglio. All’ inizio
del 2008 si sono esperiti tentativi per modificare ancora la normativa, ma la
caduta del Governo Prodi, l’ impossibilità di varare un governo “di scopo”
che provvedesse a riformare il sistema elettorale e la necessità di procedere
a nuove elezioni politiche hanno messo “in ghiaccio” le prospettive di
riforma. Peraltro, non si può non notare che, vigente la legge del 2005, la
nascita del Partito Democratico e la decisione di questa forza politica di
correre sostanzialmente sola alle prossime elezioni, ha prodotto uno
sconvolgimento notevole all’ interno dell’ agone politico; sicché oggi l’
offerta politica appare molto diversa rispetto al bipolarismo “coatto” e
muscolare che ha dominato finora. Ciò rende evidente che quando il sistema è
cambiato nel 2005, l’ agone politico è rimasto sostanzialmente identico
mentre oggi, a legislazione elettorale costante, la compagine politica è
stata rivoluzionata. Ciò costituisce un’ ulteriore conferma del fatto che non
è solo la normativa elettorale che influisce sull’ assetto politico, ma
esiste una molteplicità di fattori in gioco. Nonostante
il “congelamento” della riforma elettorale, si dovrà, dopo le elezioni,
riprendere il dibattito, anche perché nel maggio 2009 l’ attuale legge
elettorale sarà sottoposta a referendum
abrogativo. I
sistemi analizzati hanno tutti elementi positivi e potrebbero essere presi ad
esempio. Di certo una formula elettorale proporzionale sarebbe migliore ai
fini di una più corretta rappresentanza, data la complessità della nostra
società. Tuttavia è urgente la necessità di garantire la stabilità dei
governi e dunque sarebbe opportuno introdurre elementi correttivi, come gli
sbarramenti. A questo proposito sia il sistema tedesco, sia quello spagnolo
costituiscono dei validi esempi “importabili” in Italia. Prima
della crisi di governo intervenuta nel gennaio 2008, le forze politiche si
stavano accordando sulla possibilità di elaborare una riforma basata su un
sistema simile a quello tedesco, con ovvie rielaborazioni: si tratta della
cosiddetta “bozza Bianco”, presentata dal presidente della Commissione Affari
Costituzionali del Senato, Enzo Bianco, il 15 gennaio 2008. Tale testo
prevede modifiche alla legislazione elettorale dei due rami del Parlamento.
Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, il progetto del senatore Bianco
prevede che, ad esclusione delle regioni Trentino-Alto Adige e Valle d’ Aosta
e della circoscrizione Estero, i seggi siano assegnati con metodo proporzionale
in ciascuna circoscrizione. Metà dei seggi attribuiti a ciascuna
circoscrizione sono assegnati in altrettanti collegi uninominali, con
arrotondamento per difetto. Il seggio è attribuito al candidato che consegue
la maggioranza dei voti. I seggi che restano sono assegnati a liste
circoscrizionali di candidati previa deduzione di quelli già aggiudicati nei
collegi uninominali a candidati alle stesse collegati. E’ prevista una soglia
di sbarramento al 5% a livello nazionale, o al 7% da raggiungersi in almeno 5
circoscrizioni. Con
riferimento alle candidature, è possibile presentarsi in un solo collegio
uninominale, ma un candidato potrà essere presente in due diverse liste
circoscrizionali. E’ prevista un clausola di salvaguardia per le minoranze
linguistiche. Per
quanto riguarda il Senato, l’ assegnazione dei seggi avviene con metodo
proporzionale sulla base di collegi uninominali. Restano, però, ferme, le
speciali discipline previste per Valle d’ Aosta, Trentino-Alto Adige, Molise.
La soglia di sbarramento opera a livello regionale ed è pari al 5%. E’
importante sottolineare che vi è l’ obbligo
per le forze politiche di dichiarare, prima del voto, l’ alleanza di
riferimento, il candidato premier
ed il relativo programma che intendono sostenere. Il voto è unico, a differenza di quanto avviene
in Germania dove, come abbiamo visto, è previsto un doppio voto. Infine, i
seggi sono assegnati a livello nazionale
sulla base della somma dei vari risultati ottenuti a livello
circoscrizionale. Come
si può facilmente notare, questa formula elettorale è abbastanza simile a
quella vigente in Germania e tenta di coniugare i due elementi fondamentali
della giusta rappresentanza da una parte e della stabilità dall’ altra.
Infatti il metodo proporzionale assicura una migliore rappresentatività in
una società complessa e frammentata, mentre la stabilità e l’ omogeneità
della compagine politica possono essere garantite da alcuni correttivi
introdotti nel progetto: soglie di sbarramento, collegi uninominali con
metodo maggioritario, obbligo di dichiarare prima del voto l’ alleanza
di riferimento, il candidato premier ed il programma che si intende
sostenere. Tuttavia,
a mio avviso, anche il sistema spagnolo presenta elementi interessanti per
una possibile “importazione” in Italia. Come abbiamo visto, questa formula è
proporzionale e dunque garantirebbe una buona rappresentanza. Però sappiamo
anche che essa produce effetti piuttosto maggioritari grazie alle esigue
dimensioni delle circoscrizioni, alla soglia di sbarramento ed all’ utilizzo
del divisore d’ Hondt. Gli effetti maggioritari si
traducono, come abbiamo notato, nella penalizzazione dei partiti estremi e
nel vantaggio accordato, invece ai due partiti più grandi. E tale situazione
è stata confermata anche dalle ultime elezioni svoltesi in Spagna il 9 marzo
2008. Così anche la normativa elettorale spagnola presenta caratteristiche
interessanti per l’ ordinamento italiano, il quale è affetto da una cronica
ed esasperata frammentazione partitica. Tale caratteristica risulta essere
piuttosto dannosa perché oltre a portare alla paralisi il sistema politico,
fa sì che partiti molto piccoli e spesso estremi tengano in scacco un intero
Governo. Infine,
a mio avviso, non ci si potrà limitare a riformare il sistema elettorale, ma
occorrerà anche procedere ad una modifica della Costituzione volta a snellire
il rapporto fiduciario Parlamento-Governo; ciò potrebbe avvenire mediante una
riforma che preveda che solo la Camera dei Deputati esprima la fiducia al
Governo. Del resto ciò avviene in molti stati democratici, ed in particolare
negli stati di cui abbiamo analizzato i sistemi elettorali. FONTI BIBLIOGRAFICHE
In particolare si è fatto
riferimento al cap. III scritto da Carlo Fusaro ed al cap. IV scritto da
Giovanni Tarli Barbieri;
Siti Internet consultati
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[1] Ci si riferisce ai seggi della Camera dei Deputati. Infatti quando si parla di sistemi elettorali nell’ età statutaria non si deve dimenticare che lo Statuto Albertino stabiliva che il Senato fosse composto di membri non elettivi, bensì nominati dal Sovrano a vita.
[2] L’ obiettivo fu pienamente raggiunto nelle elezioni del 6 aprile 1924, nelle quali il partito fascista ottenne il 65% dei voti e più di 3/4 dei seggi.
[3] All’ origine non era così. Infatti il numero di 630 fu stabilito dalla legge costituzionale n. 2 del 9 febbraio 1963.
[4] Ai 630 Deputati vanno sottratti i 12 eletti nella circoscrizione Estero.
[5] All’ origine il numero dei Senatori, come quello dei Deputati, variava a seconda della popolazione. Sono intervenute riforme costituzionali che hanno portato il numero dei Senatori elettivi a 315.
[6] Sarebbe più corretto parlare di sistema misto, visto il correttivo proporzionale.
[7] Si ricorda che la seconda Camera non è completamente elettiva, ma composta anche di Senatori di diritto e a vita (cfr art. 59 della Costituzione).
[8] Ad esempio, se i seggi da assegnare fossero 3, si dividerebbe la cifra elettorale per 1, per 2 e per 3.
[9] Il contrassegno con cui i partiti o gruppi intendono distinguersi deve essere depositato presso il Ministero dell’ Interno.
[10] Si tratta delle coalizioni e delle liste che abbiamo in precedenza menzionato, ossia quelle che soddisfano le condizioni per essere ammesse alla ripartizione dei seggi.
[11] Questi 3 commi dell’ art. 84 stabiliscono un complicato procedimento in base al quale l’ Ufficio centrale nazionale provvede ad assegnare i seggi spettanti alle liste anche nel caso in cui queste abbiano esaurito i candidati presentati in una circoscrizione.
[12] Per quanto riguarda l’ elezione del Senato, le circoscrizioni coincidono con le regioni.
[13] Evidentemente nel caso in cui una lista non abbia conseguito almeno il 3% dei voti validi espressi a livello circoscrizionale essa non partecipa alla ripartizione dei seggi.
[14] Il volume è a cura di R. D’ Alimonte e A. Chiaramonte, edito da “Il Mulino”, 2007.
[15] Letteralmente “diritto del sangue”. Questa espressione contiene in sé il principio in base al quale la cittadinanza che l’ individuo acquista è quella dei propri genitori.
[16] Il collegio uninominale creava un rapporto più forte tra candidato e territorio (il collegio, appunto) e responsabilizzava il candidato nei confronti dell’ elettorato del collegio.
[17] In realtà la presenza del rapporto fiduciario induce a propendere per la forma parlamentare.
[18]
Questa formula differisce dalla plurality, che era il sistema con cui venivano eletti i
candidati nei collegi uninominali in Italia prima della riforma elettorale del
[19] In Francia il Senato è eletto a suffragio indiretto.
[20] In base a questo metodo, il seggio è assegnato al candidato che ottiene la maggioranza relativa dei suffragi. La plurality è il sistema con cui venivano assegnati i seggi nei collegi uninominali nella formula elettorale italiana del 1993. E’ previsto un solo turno, a differenza della majority francese.
[21] Sono i due territori esterni della Spagna. Si trovano sulla costa settentrionale del Marocco.
[22] D. Fisichella, Elezioni (sistemi elettorali), in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Milano Giuffré, 1965.