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DISCORSO

DELL' ORIGINE,

forma, leggi, ed vſo

dell'

VFFICIO DELL'INQVISITIONE

nella

CITTA, E DOMINIO DI VENETIA.

del

P. PAOLO DELL'ORDINE DE' SERVI;

Teologo della Sereniſſima Republica.

 

 

M. DC. XXXIIX.


LO STAMPATORE

al

LETTORE

 

 

E

GLI è cosa già passata in uso comune, che la curiosità de' forestieri, principalmente in Italia, va, con molta diligenza, e spesa, frugando gli scrigni, e raccogliendo scritti, e documenti rari in ogni materia, e sopra tutto, di Stato per supplire alla conversatione ristretta, e riserbata di quella natione, che ricide il maggior frutto d'acquisto di prudenza, e conoscenza, sperato, e ricercato da' virtuosi in quella peregrinatione. E questa spetie di merci, dopo haver soddisfatta la necessità, o la dilettatione de' possessori, si spande con copie scritte a mano, e con le stampe, non senza maraviglia di molti dell'agevolezza di questa comunicatione al mondo di grandi arcani di stato, che a bocca giammai s'imparerebbero. Ma pure non veggendosene fino al presente ne turata la prima fonte, ne natane alcuna offesa, o richiamo, si camina innanzi nell'usanza con molta libertà. Questo discorso è di questa fatta, e per la sua qualità, ed utilità, havendo acceso il gusto del mondo, è stato propagginato per molti trasunti, peggiorando sempre di forma, per l'ignoranza, o tracuraggine([1]) di chi s'è confidato di pagare o d'esser pagato per lo solo tilo([2]), e dar più fatica che diletto, ne pastura al lettore: con pericolo di non vederne più in queste parti oltramontane altro ch'un ombra, od un tronco difforme, e smozzicato. Il che essendomi rappresentato da persone intendenti, mi son lasciato condurre a darlo alle stampe, per salvar di strazio un parto di tanto huomo, e contentar la virtuosa curiosità di molti con una Copia ben purgata, quale spero d'havere incontrata, per mia e tua buona ventura, tratta della stessa prima fonte. La profession mia non penetrando nella finezza dell'opera, pur dal nome dell'autore, ilquale attribuito sol per fama, e non per dichiaratione propria del padre, a quel glorioso figlio primogenito che passeggia con tanto applauso per lo mondo, gli ha dato il vanto di portare quel personaggio nell'ammiratione della posterità; ho fatta conghiettura che questo secondogenito darebbe un nuovo saggio della profondità, sodezza, e varietà della dottrina, dell'altezza della sapienza, e della rettitudine del giudicio e della mente d'un tanto huomo: e, con un'esemplo segnalato della gelosissima vigilanza della Serenissima Republica Veneta contr'a quell'usurpationi c'hanno poco meno ch'innondati tutti gli stati del mondo, porgerebbe a' Principi un documento utilissimo di conservare intatta quella pupilla, ed indiviso quel punto Mattematico del sovrano reggimento. Se la Republica sfugge, per vie ritorte e dolci di prudenza, ogni minimo intacco dell'argine suo, non è però che non lasci luogo all'imitatione per modi più diritti e risoluti, in coloro che n'hanno lo stile, e'l podere in mano. Il che se non si fa per tempo, è da temere che non resti in fine senon un'amaro pentimento, e vergogna, d'haver turate l'orecchie alla sonora tromba di questo grande huomo di Chiesa, di Stato, di senno, di bontà, e di dottrina: ilquale dall'alta veletta del suo perspicacissimo giudicio n'ha dati al mondo così fedeli avvertimenti. Stà sano. ler mia e tua buona ventura, tratta della stessa prima fonte. molti con una Copia ben purgata, quale spero d'havere incontrata,


DISCORSO

del

R. P. F. PAOLO

VENETO

Al Serenmo DOGE di Venezia, sopra la

 materia dell'Inquisizione.

E

SEGVENDO colla debita riverenza il commandamento fattomi dà V. Serenità, di ridur insieme, ed ordinare tutta la materia spettante all'Officio dell'Inquisizione contro l'Heresia, hò ritrovato il tutto essere stato cosi ben regolato ne' tempi passati, dalli Consegli della Serenissima Republica, ch'al presente non vi è altro bisogno, se non por insieme ciò che in diverse occasioni è stato determinato, ponendo ad effetto quanto deliberò l'Eccellentissimo Consiglio de i Dieci, e Gionta, del 1550. 22 Novembre. c. 8. cio è, Che in tutto il Dominio Veneto si procedi uniformemente, e conforme à ciò che si osserva in quest'Inclita Città: com'anco fù concordato trà'l sommo Pontefice Giulio III. e la Serenissima Republica del 1551. c. 18. e. 19.

Ilche, secondo il mio riverente parere, si farà facilmente, se l'ordinazioni, in diverse occorrenze fatte saranno ridotte in Capitoli, à ciascuno soggiongendo separatamente il tempo della publica deliberazione, il che sarà a similitudine d'un Capitolare, dove tutto insieme si vederà in una raccolta breve, e sommaria quanto è necessario osservare, e si potrà dar Copia o delli Capitoli soli, o congionti con la deliberazione sudetta, come meglio sarà giudicato.

Questa raccolta de' Capitoli farò nella presente scrittura, alla quale aggiongerò doppo una seconda, considerando à Capo per Capo le raggioni, e cause per lequali dà principio fù così stabilito per honor di Dio: per cui anco è necessario continuarne l'osservanza, per mantenimento della santa Religione, e della publica tranquilità.

CAP. I.

S

ICOME in Venezia per publica, ed antica deliberazione sono deputati tre Senatori Inquisitori contra l'Heresia, per assister à tutto ciò che nell'Officio dell'Inquisizione vien trattato, così in ciascuna delle Città soggette sono deputati li Rettori per dover intervenire in persona alla formazione de' Processi, ed à tutto quello che operano li Vescovi, Vicari, ed Inquisitori in materia d'Heresia, così essendo per antica consuetudine introdotto, e pratticato, e con molte deliberazioni confermato. Finalmente fu concordato col Pontefice Giulio III. e scritto à Roma, ed à tutti li Rettori per deliberazione del Consiglio de i Dieci, e Gionta, delli 26. Settembre 1551. c. 19.


 CAP. II.

I

N caso che alcuna volta per necessario impedimento niuno de' Rettori potesse intervenire, debba il Vicario del Podestà ritrovarvisi. Così fù deliberato dal medesimo Consiglio del 1548. 29. Novembre c. 26. overo, quando questo ancora fosse occupato per causa legitima, un altro delli Curiali, od altra persona mandata particolarmente dal Rettore.

CAP. III.

E

 Se alcuno delli Rettori sarà di quelli che si cacciano nelle cose di Roma, non deverà intervenire, ne impedirsi in modo alcuno nelle cose dell'Inquisizione, mà doverà lasciar il Carico al suo Collega. E dove fosse un solo Rettore, e si cacciasse, habbia il carico in luogo suo il Camerlingo di maggior età. Così fù deliberato nel Consiglio de i Dieci, e Gionta, 1574. 9. Giugno. c. 29.

CAP. IIII.

I

L Carico degl'Assistenti non è d'intromettersi giudicialmente in alcuna spedizione, ed azione, che sia fatta in quel Tribunale, né quanto alla cognizione, ne quanto alla sentenza, mà solo di star presenti, ed attender diligentemente à tutto ciò che dalli Giudici Ecclesiastici sarà fatto. Dovendo essi Assistenti in quattro sorti d'occorrenze, che possono avvenire, operar in uno de' seguenti quattro modi.

Il primo, se sarà fatta deliberazione ad honor di Dio, estirpatione dell'Heresie, e castigo de' colpevoli di tali sceleratezze, eseguir prontamente la determinazione fatta, overo dar favore, braccio, ed agiuto nell'essecuzione.

Il secondo, se l'azione degl'Ecclesiastici si vedesse essere con usurpazione dell'autorità temporale, overo qualche operazione precipitosa, che potesse capitare a scandalo e tumulto della Città, o dello stato, e turbazione della publica autorità è tranquillità, o pure con ingiusta, e manifesta oppressione del suddito, sotto pretesto di castigar il delitto: il carico dell'Assistente sarà di operare, con ogni prudente, e destro modo, che l'Ecclesiastico si riduca alli termini della Giustizia, ed equità, e sia fatto capace dell'honesto. Il che, quando non possa otennere, altro non doverà fare, che ovviare l'essecuzione, dando conto al Prencipe, ed aspettando i suoi commandamenti.

Il terzo, quando dagl'Ecclesiastici fosse proposta, o deliberata cosa di momento, quale gli Assistenti dubitassero esser di pregiudizio all'autorità temporale, o poter terminar à tumulto, scandalo, over oppressione, com'è detto di sopra, con prudente, e destra maniera interponer tempo, e far soprasedere, scrivendo al Principe li motivi del suo dubio, ed aspettando risposta.

Il quarto, quando vedessero li Giudici Ecclesiastici negligenti nell'estirpar l'heresie, o troppo tardi nelle spedizioni delle cause, accioche qualche infezione non prendesse radice, doveranno con prudenza, e destrezza eccitarli all'essecuzione del loro debito, e non giovando, o non bastando l'opera loro per rimediar al mancamento, dar aviso al Prencipe.

CAP. V.

G

L'Assistenti non presteranno giuramento di fedeltà,o di segretezza, o di qualsi voglia altra cosa in mano dell'Inquisitore, ed altro Ecclesiastico, mà ben saranno tenuti all'uno, ed all'altro, per la fedeltà, e secretezza, che devono al Prencipe. Così deliberò il Senato il dì 5. Settembre 1609. c. 50.

CAP. VI.

P

Erilche doveranno anco dar conto di qualunque cosa si farà di tempo in tempo, e massime di quelle che riputeranno esser d'importanza, o di consequenza. Così è publica deliberazione del 1547. 22. Aprile. c. 6.

CAP. VII.

O

Ccorrendo la morte dell'Inquisitore, overo intendendo che per qualsivoglia altro rispetto si sia per far mutazione, debbono immediatamente dar avviso al Prencipe, ed all'Ambasciator à Roma. Così fù deliberato in Senato del 1612. 18. Ottobre. c. 50.

CAP. VIII.

N

On ammetteranno novo Inquisitore, che non venga con lettere del Prencipe, essendo ciò anco ordinazione canonica, e deliberazione del Senato sotto il dì sopradetto.

CAP. IX.

D

Overanno gl'Assistenti esser presenti alli Processi, che si formano nell'Officio dell'Inquisizione, non solo contra le persone secolari, mà anco contra l'Ecclesiastiche, etiandio Regolari, quando ben fossero dello stesso Monasterio dell'Inquisitore, essendo così giusto, e determinazione del Collegio, con li capi del Consiglio dei Dieci sotto li trenta Giugno. 1568. c. 28. ecc. e del Senato. 1607. primo Settembre. c. 1609. 5. Settembre. c. 80. ecc. e 1613. 9. Agosto. Il che s'intenda, non solo quando la denunzia sarà stata data nel medesimo Offizio, mà se ben fosse data altrove, in qualunque luogo si voglia, ed inanzi Prelato di qual autorità si sia.

CAP. X.

G

L'Assistenti, per adempir questo carico, non doveranno permettere, che senza la lor presenza, ò de' loro curiali sia fatto atto giudiziale di quali si voglia sorte, incominciando dalla denunzia sino alla diffinitiva. Così è deliberazione del Senato delli 5. Settembre 1609 c. 50. ecc. e 1603. li nove Agosto. Il che comprende doppo la denunzia l'essame de' testimoni; decreti di citazione, o cattura; constituzione de' rei; produzione de' Capitoli, ed essame à diffesa; Torture; assoluzioni, e condannazioni; abiurationi, e purgazioni, e generalmente tutto ciò che vien scritto nel Processo.

CAP. XI.

N

On lasceranno d'intervenire à ciascuno delli atti sudetti, etiandio sotto pretesto, che sia cosa leggiera, e che li sia dall'Inquisitore communicato, ò per qualsivoglia altro rispetto. Così è deliberato nella medesima deliberazione del 1609. Ne si assumeranno facoltà di dar licenza, che alcun atto benche minimo sia fatto senza lor presenza, eccedendo ciò ogni facoltà del Rappresentante.

CAP. XII.

E

Quand'accorresse, che dalli Giudici Ecclesiastici senza l'assistenza fosse formato alcun Processo, l'haveranno per nullo, e non l'essequiranno, overo permetteranno che sia essequita cosa alcuna, in consequenza di quello: mà ben permetteranno che si possa formar novo processo con l'assistenza. Così deliberò il Senato sotto li 18. Gennaio 1591. e fece dire al Nunzio Apostolico il di 8. Giugno 1592. c . 33. ecc. e li sei Luglio 1599. c. 34. ecc e 1592. 8. Agosto. c. 35. ecc. e finalmente sotto li 18. Febraio 1594. c. 36. ecc. e 37. & 38. e se in un Processo ben incominciato fosse fatto atto alcuno particolare senza l'assistenza, procureranno, che sia cassato, overo circondato almeno, e ridotto il Processo ne i termini ch'era inanzi quell'atto.

CAP. XIII.

N

On permetteranno che senza l'assistenza sia formato alcun Processo informativo,, etiandio per mandarlo altrove, fuori dello stato. Questa facoltà è stata richiesta dal sommo Pontefice all'Eccellentissimo Senato, e non fù concessa: Sotto li 9. Marzo 1560. c. 20

CAP. XIIII.

E

Perche non basta la presenza, quando anco quella non sia notata nel Processo, haveranno avertenza, che nel principio di ciascun Decreto, overo atto, dove dal Notaio saranno nominati il Vescovo, ed Inquisitore come Giudici, immediatamente sia soggionto, con l'assistenza, e presenza del N. Podestà, e N. Capitano. E così fù accordato del 1551. c. 22. ecc.

CAP. XV.

N

On permetteranno che nelli Processi siano posti Decreti, ò precetti, che venghino da autorità fuori del Dominio: mà se dà Roma, o d'altrove sarà scritto cosa, laquale dall'Inquisitore sia giudicata essere di servizio di Dio, e di Giustizia, non consentiranno che'l Decreto sia fatto ad altro nome, che à quello dell'Officio dell'Inquisizione della Città, con l'assistenza solamente. Così è deliberazione del Senato 8. Luglio 1580. c. 30. e sette Settembre 1590. c . 33 e 1599. li 4. Settembre. c . 44.

CAP. XVI.

N

On concederanno che siano mandati fuori del Dominio Processi, ne Priggioni, se ben fossero imputati solo di delitto commesso altrove, e se ben li complici si ritrovassero in altro Dominio priggioni, senza darne prima conto al Prencipe, ed aspettare il suo commandamento. Così deliberò, quanto à priggioni, il Consiglio dei Dieci, e Gionta del 1567. li 17. Giugno. c. 43. ecc. E quanto à Processi, per deliberazione del Senato, del 1589. li 8. Luglio. c. 30.

 

CAP. XVII.

S

E il Vicario Pretorio, od altro Curiale, od alcun altra persona sarà assistente in luogo delli Rettori, non faccia in modo alcuno il Consultore, ancorche fosse solito farlo in presenza de' Rettori, essendo questi due Offizi distinti, ed incompatibili, mà possa solo parlare, si come li medesimi Rettori: ed in oltre, giudicialmente eseguir ciò che sarà decretato, overo soprasedere, secondo l'occorrenza.

CAP. XVIII.

G

L'Assistenti non concederanno retenzione contra qualsivoglia persona, se non sarà prima fabricato il Processo informativo, con la loro assistenza, dal quale appaia, che l'imputazione sia espressamente d'heresia, o di caso spettante all'Offizio dell'Inquisizione. È decreto del Senato, del 1597. li 5. Luglio c. 40. e l'istesso anno li 23. Agosto. c. 23. E se il caso fosse dubio, o difficile da distinguere, facendo soprasedere, daranno avviso, aspettando ordine dal Prencipe. Fù deliberato dal Senato nel sudetto Decreto, del 1597. li 23. Agosto. c. 23.

CAP. XIX.

P

Ertanto non permetteranno, che l'Offizio dell'Inquisizione proceda in casi di sortilegi, o divinazioni, se non conteneranno heresia manifesta, ordinando così la legge Canonica, e per deliberazione del Senato, del 1598. li 10. Ottobre. c. 41. ecc. communicata anco con la Santità del Pontefice, e per deliberazione delli 23. Gennaro c. 42. e per un'altra delli 3. Decembre dell'Anno medesimo c. 44. Ed essendo dubio se il caso contenga heresia, o nò, sia giudicato al Foro ordinario, che così la legge Canonica vuole, e li Dottori sentono.

CAP. XX.

L

I casi parimente d'Herbarie, malie, e maleficij non potranno essere conosciuti dal Sant'Offizio, se non vi sarà indizio, o sospetto d'heresia per abuso de' Sacramenti, o per altro rispetto. E quando la stregheria portasse indizio d'heresia, e ne fosse seguito qualche malefizio di morte, debilitazione, o turbazione di mente di alcuna persona, rispetto alli Indizi d'heresia, dovera il caso appartenere all'Inquisizione, e rispetto al Malefizio toccarà al Foro secolare, secondo la parte del maggior Consiglio, del 1410. li 28. Ottobre. c. 52. E quello delli Fori, che sarà il primo ad assumer la causa, spedirà anco prima la parte sua, e fatte ambe le spedizioni, saranno essequite ambedue le sentenze.

CAP. XXI.

G

L'eccessi di Bestemmia ordinaria non doveranno esser lasciati all'Offizio dell'Inquisizione, mà giudicati al Foro secolare, conforme alla disposizione della legge, ed uso di tutto il Christianesimo. Fu confermato in Senato del 1599, li 15. Maggio. c. 4. 23. e 44. Le Bestemmie chiamate hereticali, che rendono indizio, e sospetto d'heresia, quanto à questa parte dell'Indizio, e sospetto appartengono all'Offizio dell'Inquisizione: mà quanto alla sceleratezza della Bestemmia sono del Foro secolare, ed ambidoi doveranno far la parte sua, spidendo il suo Processo, prima quello, che sarà stato il primo ad incomminciarlo, e fatte ambedue le sentenze si darà l'essecuzione ad amendue, conforme alle deliberazioni del Senato, del 1595. li 12. Agosto. c. 38. e 39. e gli undeci Novembre c. 39. ecc. Il che si osservarà contra che desse ferite, o tirasse pietre all'Imagini di Christo nostro Signore, o delli santi, come disse il Senato, del 1599. li 15. Maggio. c. 42. ecc. Il simile sarà delle Bestemmie publiche, dette per irrisione, come cantando Salmi contrafatti, o Letanie sporche, ed empie. Così deliberò il Senato, sotto li 8. Maggio, del 1599.

CAP. XXII.

I

L delitto parimente di pigliar due mogli non potrà essere intrapreso dall'Inquisizione, come spettante al secolare, eccetto se vi fosse altro indizio d'heresia: nel qual caso il delitto appartiene al secolare, e dà lui doverà esser giudicato, e quanto all'indizio d'heresia, rimesso all'Inquisizione, quando il caso sarà spidito, quanto à questo capo, mà la sentenza secolare sopra 'l delitto, si mandarà ad essecuzione. Mà se 'l delitto di prender due Mogli sarà solo, doverà essere giudicato dal secolare. È deliberazione del Senato fatta, del 1591. li 8 Giugno. c. 33. c. 34. ed 8. Agosto 1592. li 18. Gennaio. c. 35. e del 1598. li 31. Luglio c. 31. ecc. e del 1599. li 9. Giugno. c. 43. e del 1602. li 23. Marzo. c. 45.

 

CAP. XXIII

S

Imilmente non permetteranno gl'Assistenti, che nell'Inquisizione si trattino cause di usura, di qualsivoglia sorte, essendo ciò prohibito dalle Leggi Canoniche.

 

CAP. XXIIII

N

On permetteranno, che nell'Offizio, per qualsivoglia causa, si proceda contra Giudei, ne contra altra sorte d'Infedeli, di qualsivoglia setta, per imputazione di delitti commessi in parole, overo in fatti. E se all'Inquisizione sarà denunziato, che dà alcuni di essi fosse detta Bestemmia contra la nostra fede, overo sedotto alcun Christiano, o dato scandalo, di qualsivoglia sorte, doveranno gl'Ecclesiastici haver ricorso al Magistrato secolare, il quale, secondo l'essigenza del delitto, li castigherà severamente. Il che essendo statuito per li Decreti Pontificij, fù deliberato dal Senato, del 1591. li 12. Ottobre. c. 35. e li 28. Gennaro. c. 38

CAP. XXV.

N

On doveranno permettere, parimente, chel' Offizio dell'Inquisizione proceda contra alcuno di nazione Christiana, laqual tutta intiera viva con riti propri, diversi dalli nostri, e si regga sotto propri Prelati, come li Greci, ed altri tali, ancorche l'imputazione fosse contra articoli tenuti dà ambe le parti: E se sarà notificato à gl'Ecclesiastici, che dà alcuni di loro sia dato scandalo, doveranno ricercar il Magistrato secolare, che proceda; al quale apparterà castigar il delinquente, secondo l'essigenza del delitto, e con severità. Così fù risposto al Nunzio nel Collegio, sotto li 4. Settembre del 1609. dicendo, ch'in tal maniera è stato sempre osservato.

 

 

 

 

S

CAP. XXVI.

E alcuno per mercanzia, o per altri negozi andato ad habitar di là dai monti sia imputato à Roma od altrove, che doppo l'essere in quelle parti oltramontane habbia commesso fallo, non permetteranno che sia citato per Gridatore, o per affissione di Cedoloni, overo alla casa de' parenti, mà sia lasciato il giudizio à quell'Inquisizione, che ne hà havuto notizia. Di che vi è determinazione del Collegio, del 1610. li 3. Settembre. c. 29.

CAP. XXVII.

N

On permetteranno essecuzione alcuna contra i beni de' condannati, o presenti, overo in contumacia, sotto pretesto di confiscazione, havendo il Consiglio dei Dieci, e Gionta deliberato, sotto li 5. Novembre del 1568. c. 23. che siano rilasciati à gl'heredi legitimi, à quali però faranno stretto precetto di non darne parte alcuna ad essi condannati.

CAP. XXVIII.

N

On permetteranno, che dà quel Offizio sia publicata Bolla Pontificia, overo ordine alcuno della Congregatione di Roma, né nuovo, né vecchio, senza darne conto prima al Prencipe: come fù determinato dal Collegio, del 1607. li 2. Agosto. c. 25. ecc.

 

CAP. XXIX.

S

Imilmente non permetteranno, che sia publicata, o stampata alcuna prohibizione de' libri di qualsivoglia sorte, fatta con qualsivoglia autorità, doppo il 1595. se non osservate le condizioni del concordato tra la Sede Apostolica, e la Serenissima Republica, conchiuso l'anno 1596. li 24. Agosto, 25. e 173.

CAP. XXX.

N

On permetteranno, che dall'Offizio dell'Inquisizione sia fatta Legge, o commandamento qualsivoglia ad alcuno di Arte, o Professione secolare, come sono li Doganieri, gl'Albergatori, Hosti, Beccari, ecc. circa li modi d'alloggiare, vendere, ed essercitare l'arte, e professione loro. Mà se'l Vescovo, o l'Inquisitore, riputeranno alcuna cosa necessaria, o conveniente per l'honesto, e regolato vivere, habbiano ricorso al Magistrato secolare. Così è deliberazione del Senato, del 1609. li 5. Settembre. c. 50. ecc.

CAP. XXXI

N

E parimente possa l'Inquisitore far giurar nelle sue mani alcuno delli sopradetti Artefici, né castigarli per mancamenti, o falli commessi nell'esercizio dell'Arte, o professione loro: mà intendendo che in ciò habbia commesso alcun fallo, habbia ricorso al Magistrato, che doverà castigare ogni errore, e scandalo. Così decretò il Senato nella deliberazione sopradetta.


CAP. XXXII

N

On permetteranno, che dall'Inquisizione sia fatto alcun precetto, o monitorio, à qualsivoglia Communità, per qualunque rispetto si sia, ne meno ad alcuno Giusdicente in ciò che si aspetta al ministrar la Giustizia: mà tutto ciò che pretenderà dalla Communità, o Fori giudiziali, lo tratti col solo Rappresentante publico, come fù deliberato dal Senato, del 1568. li 3. Settembre. c. 24.

CAP. XXXIII

V

Olendo l'Inquisitore nel suo ingresso promulgar Editto generale, gli Assistenti lo potranno permettere, non contenendo più che li sei capi ordinari, liquali sono contra quelli. Prima, che sono, o conoscono heretici, o sospetti d'heresia, e non li denunziano. Secondo, contra quelli che fanno conventicoli, e riduzioni per trattar di falsa Religione. Terzo, contra quelli che non essendo ordinati celebrano Messa, od ascoltano Confessioni. Quarto, contra li Bestemmiatori hereticali. Quinto, contra quelli ch'impediscono l'Offizio dell'Inquisizione, overo offendono i Ministri di quello, li Denunziatori, o li testimoni per opere spettanti ad esso Offizio. Sesto, contra quelli che tengono, stampano, o fanno stampar libri d'heretici, che trattano di Religione. Così fù risoluto dal Senato, consentendo la Sede Apostolica, sotto li 23. di Maggio, del 1608. c. 43 ecc. sino al 50. Mà se l'Inquisitore pensasse di metter nell'Editto altro capo, l'Assistente con destra maniera operi che sopraseda, e ne dia conto al Prencipe, aspettando risposta.

CAP. XXXIIII

O

Ccorrendo alcun caso nelli Castelli, e Ville, sia trattato, e spidito nella Città, con l'assistenza ordinaria, secondo la determinazione del Consiglio dei Dieci, e Gionta, del 1551. li 26. Settembre, concordata col Sommo Pontefice. c. 19. c. 27.

CAP. XXXV

E

 Quand'occorresse caso in alcun Territorio, che non havesse Inquisizione propria, mà che fosse in spirituale sotto Prelato, ed Inquisitore d'un altra Terra del Dominio, il publico Rappresentante, nel luogo dove il caso fosse occorso, presterà ogni aiuto, ed essecuzione, mandando anco il reo nel luogo dov'è soggetto in spirituale, acciochè là si possa formar il Processo, ed ispidir la causa, con l'assistenza del Rappresentante del medesimo luogo, dov'è l'Offizio dell'Inquisizione, secondo la deliberazione del Consiglio dei Dieci, e Gionta, del 1555. li 13. Marzo. c. 27.

CAP. XXXVI.

S

E alcuno citato dall'Offizio dell'Inquisizione restarà contumace, e secondo il costume di quell'Offizio sarà dichiarato heretico, e lasciato alla corte secolare, debbano bandirlo diffinitamente, o per tempo, secondo che parerà alle coscienze loro, di tutte le Terre, e Luoghi, Navili armati, e disarmati, e dalla Città di Venezia, e suo distretto, si come fù deliberato nel Consiglio dei Dieci, e Gionta del 1563. li 23. Decembre. c. 20.

 


CAP. XXXVII

A

Lli condannati dall'Offizio dell'Inquisizione à priggione perpetua, overo temporale, se fuggiranno di priggione, diano quei bandi, che alla coscienza loro parerà, si come fù deliberato nel Consiglio dei Dieci, e Gionta del 1564. li 7. Aprile. c. 21.

CAP. XXXVIII

Q

Uelli che fossero inquisiti, e citati per heresia in alcuna giurisdizione, e fuggissero nel Dominio, restino condannati per quattro anni in una priggione serrata, e separata dà quelle che sono per altri delitti, e paghino mille lire de' piccioli, dà esser date à quelli, che li daranno nelle mani della Giustizia: e finiti li quattro anni restino banditi da tutti i luoghi terrestri, e maritimi, navili armati, e disarmati, e dalla Città di Venezia, e suo distretto, potendo anco l'Offizio dell'inquisizione darli maggior pena, secondo la parte del Consiglio dei Dieci, e Gionta, del 1568. li 12. Aprile. c. 28

CAP. XXXIX

A

Ppartiene al giudizio dell'Inquisizione di punir di calunniatore, o testimonio che haverà deposto il falso contro alcuno in quell'Offizio, se la falsità apparirà dallo stesso Processo, mà se vi fosse bisogno di nova instanza, e Processo per farla apparire, gl'Assistenti non consentiranno, che l'instanza sia ricevuta, ed il Processo formato, mà che il tutto sia lasciato al Giudice ordinario d'essi imputati di falso, essendo cosi di Giustizia, secondo il commun parere de' buoni Dottori.

 

 

 

Fine de' Capitoli

 

 

 

 

O

LTRE l'haver ridotto à questi 39. Capitoli le Deliberazioni fatte dalla Serenissima Republica, in varie occasioni in materia d'heresia; devo riverentemente rappresentare à vostra Serenità, che altre volte fu dato principio à ridurle in un Libro, nel quale furono raccolte in circa la terza parte. Li Senatori eletti per Assistenti in Venezia, o per Rettori nelle Città di fuori, desiderosi di operar bene in questo particolare, leggono quel libro, e presupponendo che contenga tutte le ordinazioni in tal materia fatte, né altro di più s'aspetti al lor Carico, restano, non intieramente informati della volontà publica, e di tutto ciò che è necessario sapere: onde il libro, sicome compito causerebbe ottimi effetti, così, imperfetto non può produrli buoni. Sono in quel libro poche carte scritte, restano molte bianche, dove si potrebbe far coppiare l'altre ordinazioni publiche, e far perfetto il Libro, se dà Vostra Serenità fosse giudicata cosa di publico servizio. E col rimetter humilmente il tutto alla somma sapienza di vostra Serenità, mene passo à Commentare tutti li sudetti Capitoli, ed a provar prima, che l'Assistenza de' Rappresentanti in quell'Offizio sia giusta.

Havendo nella prima scrittura ridotto à trentanove Capitoli tutto ciò, che devono li Rappresentanti publici osservare, ed operare nell'Offizio dell'Inquisizione; restano, per soggetto della presente, due Trattati. L'uno, per dimostrare, che l'intervento, ed assistenza del Magistrato in quell'Offizio è leggitima, giuridica, e necessaria. L'altro, per render le cause, e raggioni di ciascun Capitolo particolare.

Mà per spiegar bene, e fondatamente il primo Punto, è necessario ch'iò narri, quando, come, e perche causa l'Offizio dell'Inquisizione fosse instituito nella Christianità, ed in qual tempo, e con che forma fosse ammesso in quest'inclita Città di Venetia.

Di quà, adunque incomminciando, dirò prima, che quantunque l'heresie per divina permissione, e per essercizio, e prova de' buoni Cattolici, fossero seminate nel mondo in quei medesimi tempi, ch'hebbe principio la Santa Chiesa, cio è doppo l'Assensione del nostro Signore al Cielo, nondimeno il particolar Offizio dell'Inquisizione contra gl'Heretici, non hebbe principio, senon doppo l'Anno MCC.

Li Santi Apostoli lasciarono per rimedio di questa pestilenza, che l'heretico fosse ammonito una, e due volte, e perseverando nell'ostinazione sua, li Cattolici si separassero dal suo consorzio, e lo scommunicassero. Ne si passò più oltre, sino alli tempi che Constantino abbracciò la santa fede, e fù imitato da' successori. All'hora, tra le altre cose dalli santi, furono ammaestrati i Principi, che portando essi due qualità, l'una di Christiani, l'altra di Prencipi, con ambidue erano obligati à servir Dio. In quanto Christiani, osservando i precetti Divini, com'ogn'altro privato: mà come Prencipi, servendo sua Divina Maestà con ordinar bene le Leggi, indrizzando ben li sudditi alla pietà, honestà, e giustizia, castigando tutti li trasgressori delli precetti divini, del Decalogo maggiormente. Però quelli che peccano contra la prima Tavola, che riguarda l'honor divino, sono peggiori di quelli, che peccano contra la seconda, laqual hà rispetto alla Giustizia tra gl'huomini: e pero sono più obligati li Prencipi à punir le Bestemmie, l'Heresie, ed i pergiuri, che gl'homicidi, e li furti. Per questa causa contro l'heresie fecero diverse Leggi, registrate ne' Codici di Teodosiano, e di Giustiniano, imponendo alli colpevoli pene pecuniarie, bandi, privazioni di parte, o di tutti li Beni, secondo le circostanze del delitto. L'essecuzioni de' quali Leggi commisero alli Ministri loro secolari.

Ogni giudicio Criminale hà trè parti. La cognitione della raggione del delitto: la cognizione del fatto: e la sentenza. Nel Giudizio de l'Heresia, la cognizione della raggione è, Se la tal opinione sia heretica, o nò. La cognizione del fatto, Se la tal persona, accusata, o denonciata hà diffeso, o tennuto, o dato indizio di tener quell'opinione. La sentenza stà nell'assolvere dall'imputazione l'innocente, o condannar il ritrovato colpevole.

La prima cognizione, cioè, qual opinione sia heretica, è stata sempre Ecclesiastica, ne può per alcun rispetto appartener al secolare.

Alcuni delli santi Vescovi, e Prelati in quei tempi, dopo l'haver dichiarato l'opinioni heretiche, e separato della Chiesa come scommunicati, ed anatematizati quelli che la tenevano, non s'intramettevano più oltre, né ardivano darne notizia alli Magistrati, temendo che fosse opera di non intera carità. Alcuni altri havendo veduto, che'l timor del Magistrato secolare vinceva la pertinacia de' gl'ostinati, ed operava ciò che non poteva far l'amore della verità, riputavano che fosse debito loro di notificare alli Giudici secolari le persone de gl'heretici, e le loro operazioni cattive, ed eccitarli ad eseguir le Leggi Imperiali. Ma perché qualche volta alcun Predicatore heretico causava notabil turbazione, li Giudici attendendo più alla sedizione, ch'all'heresia, passavano anche à pena capitale. Gl'Ecclesiastici in questi casi s'astenevano di comparir al Tribunale, anzi sempre facevano Offizi sinceri con li Giudici, che non usassero contra li delinquenti pene di sangue. San Martino, in Francia, scommunicò un Vescovo perche haveva accusato certi Heretici à Massimo occupatore dell'Imperio, i quali dà lui furono fatti morire. Sant'Agostino ancora molto zelante della mondezza della Chiesa, per tenerla monda dà questa semente, faceva instanza frequentissima, e molto sollecita alli Proconsoli, Conti, ed altri Ministri Imperiali in Africa, che eseguissero le Leggi de' Prencipi, e notificava loro i luoghi, dove gl'heretici facevano conventicoli, e scopriva le persone; sempre però, che vedeva alcun Giurisdicente inclinato à procedere contra la vita, lo pregava efficacemente, per la misericordia di Dio, per l'amor di Christo, e con altri simili scongiuri, che desistesse dalle pene del sangue. In un'Epistola à Donato Proconsole d'Africa li dice apertamente, che s'egli persevererà in castigar gl'heretici nella vita, li Vescovi desisteranno di notificarli, e non essendo notificati dà altri, resteranno impuniti, e le Leggi Imperiali senza esecuzione. Mà procedendo con dolcezza, e senza pene di sangue, essi haverebbono veghiato à scoprirli, e notificarli per servizio Divino, ed essecuzione delle Leggi.

In questa maniera furono trattate nella Chiesa le cause d'heresia, sotto l'Imperio Romano fin all'Anno della nostra salute Ottocento. Quando diviso l'Occidentale dall'Orientale questa forma restò nell'Orientale, sino al suo fine.

Nell'Occidentale non fù bisogno, che li Prencipi facessero Leggi, overo avessero molto pensiero à questa materia, atteso che per trecent'anni che passarono dall'ottocento fino al mille cento, rarissimi heretici si trovarono in queste parti: e quando avveniva caso alcuno (il che pochissime volte occorse) il Vescovo lo giudicava, nella maniera che procedeva contro gl'altri delitti Ecclesiastici, come contra violatori di Feste, trasgressori di Digiuni, ed altri tali, giudicandoli, e castigandoli essi medesimi in quei luoghi, dove dai Prencipi era loro concesso essercitar giurisdizione: mà dove non havevano simil autorità, invocavano il braccio secolare, che li castigasse.

Doppo il mille cento, per li dispareri continui che per cinquant'anni innanzi erano stati tra li Papi, e gl'Imperadori, e per quelli che durarono tutto il secolo seguente sino al mille dugento con frequenti guerre, e scandali, e poco religiosa vita del Clero, nacquero innumerabili heretici, l'heresie de' quali più communi erano contro l'autorità Ecclesiastica. In que' tempi pel gran numero di tal peste d'heresia, dove la moltitudine eccedeva, conveniva per necessità tolerarle. Dove si poteva, il Vescovo procedeva in quelle cause, come nell'altre, nel modo detto di sopra, e li Pontefici Romani, con frequenti lettere li essortavano, ed eccitavano al loro debito: ne sin à tal tempo del Mille dugento si udì questo nome d'Offizio dell'Inquisizione, o d'Inquisitore contro l'Heresia. Mà essendo li Vescovi, e li loro Vicari poco atti, e meno diligenti di ciò che li Pontefici Romani desideravano, e sarebbe stato necessario, furono in que' tempi opportunamente instituite le due Religioni di san Domenico, e di san Francesco, ed in breve s'empirono delle più dotte, e più zelanti persone di quel secolo, dedicate tutte à sostenner la Chiesa Romana, e l'autorità Pontificia: de' quali servendosi li Pontefici contra gl'heretici, li mandavano per predicare, e convertirli; per essortar i Prencipi, e li popoli Cattolici à perseguitare gl'ostinati, e per informarsi in ciascun luogo del numero, e qualità de gl'heretici, del zelo de' Cattolici, e della diligenza de' Vescovi, e portar relazioni à Roma. Dalche hebbero nome d'Inquisitori. Non havevano però Tribunale, mà ben alle volte eccitavano qualche Giusdicente à bandire, o punire gl'heretici che trovavano. Alle volte eccitavano qualche Potente ad armarsi contra loro. Alle volte eccitavano il popolo, mettendo una Croce di panno sopra la veste à chi voleva dedicarsi à questo, e li univano, e conducevano all'estirpazione de' gl'Heretici. E ciò durò lo spazio di cinquant'anni, ciò è sin al mille dugento cinquanta.

Fù molto aiutata l'impresa di quei Padri Inquisitori, dà Federigo secondo Imperadore, il quale nel mille dugento ventiquattro, essendo in Padova promulgò quattro editti in questa materia, ricevendo gl'Inquisitori sotto la sua protezione, ed Imponendo pena del fuoco alli heretici ostinati, ed alli penitenti di perpetua priggione, comettendo la conoscenza à gl'Ecclesiastici, e la condannazione alli Giudici secolari. E questa fù la prima legge che desse pena di morte à gl'Heretici: la quale per le acerbe discordie che nacquero ne' tempi sequenti trà quell'Imperadore, e trè Pontefici successivamente, non partori buon effetto d'estirpar l'heresie introdotte, anzi essend'occupati nelle guerre, e dissensioni tanto li Pontefici, e gl'altri Prelati, quanto l'Imperadore, e li suoi Ministri, l'heresie hebbero campo di radicarsi, ed ampliarsi. Finalmente morto nel sopradetto anno, mille dugento cinquanta l'Imperador Federico, ed essendo le cose di Germania in confusione, e l'Italia in un Interregno, che durò 23. anni, il Pontefice Innocenzo quarto, rimasto per la morte dell'Imperadore quasi Arbitro in Lombardia, ed in alcune altri parti d'Italia, applicò l'animo all'estirpazione dell'heresie, lequali havevano fatto gran progresso nelle turbazioni passate. E considerate l'opere, che per l'adietro havevano fatto in questo servizio li Frati di san Domenico, e san Francesco con la loro diligenza, e senza aver rispetto à persone, od à pericoli, hebbe per unico rimedio, il valersi di loro, adoperandoli, non come prima, solo à predicare, e congregare Crocesegnati e far essecuzioni straordinarie, mà con darli autorità stabile, ed eregerli un fermo Tribunale, il quale d'altra cosa non havesse cura. A ciò due cose s'opponevano: l'una, come si potesse senza confusione smembrar le cause d'heresia del Foro Episcopale, che le haveva sempre giudicate, e constituir un Offizio proprio per esse solo. L'altra, come si potesse escludere il Magistrato secolare al Giudizio del quale era commesso il punir gl'heretici, per l'antiche leggi Imperiali, e per l'ultime di Federigo, ed ancora per i propri statuti, che ciascuna Città era stata costretta ordinare, per non lasciar precipitare il suo governo in quei gran tumulti. Al primo inconveniente trovò il Pontefice temperamento; il qual fù, di far un Tribunale composto dell'Inquisitore, e del Vescovo, nel quale però l'Inquisitore fosse non solo il principale, ma il tutto, ed il Vescovo vi havesse poco più che'l nome. Per dar anco qualch'apparenza d'autorità al secolare, li concesse di assegnar li Ministri all'Inquisizione, mà ad elezione de gl'Inquisitori medesimi, di mandare con l'Inquisitore, quand'andasse pel Contado, uno de' suoi Assessori, mà ad elezione dell'Inquisitore stesso; di applicare un terzo delle confiscazioni al commune, ed altri tali cose, ch'in apparenza facevano il Magistrato compagno dell'Inquisitore, mà in essistenza servo. Restava di proveder il dinaro per le spese che si sarebbono fatte nel custodire le priggioni, ed alimentar gl'impriggionati; perilche s'ordinò, che le communità le pagassero. E così fù risoluto, essendo in Brescia, l'anno mille dugento cinquant'uno; e furono deputati li frati di san Domenico Inquisitori in Lombardia, Romagna, e Marca Trivisana. Sette mesi doppo il Papa scrisse una Bolla à tutti li Rettori, Consigli, e Communità di quelle tre Provincie, prescrivendo loro trent'un Capitolo, che dovessero osservare per il prospero successo del nuovo Offizio, commandando, che li Capitoli fossero registrati nello Statuario del Commune, ed osservati inviolabilmente. Diede poi autorità à gl'Inquisitori di scomunicarli, ed interdirli, se non li osservassero. Non si distese il Pontefice per all'hora ad introdur l'Inquisizione ne gl'altri luoghi d'Italia, e fuori, dicendo, che le tre Provincie sopranomminate erano più sotto gl'occhi suoi, e più amate da lui. Mà la prima causa fù, perche in queste egli haveva grand'Autorità, essendo senza Prencipe, e facendo ogni Città governo dà se sola, nel quale il Pontefice haveva anco la parte sua, poiche haveva loro adherito nell'ultime guerre.

Mà con tutto ciò non fù facilmente ricevuto l'editto: ond'Alessandro quarto suo successore, sette anni doppo, cioè l'anno 1259. fù costretto a moderarlo, e rinovarlo. Commandò tuttavia à gl'Inquisitori, che con le censure costringessero li Reggenti all'osservanza.

Per la stessa caggione Clemente quarto, sei anni doppo, cioè del 1265. lo rinovò nel medesimo modo: né però fù eseguito per tutto, siche, anco quattr'altri seguenti Pontefici non fossero costretti adoperarsi per superar le difficoltà, che s'atraversavano nel far ricever l'Offizio in qualche luogho. Nascevano le difficoltà dà due capi. L'uno, per la poco discreta severità dei frati Inquisitori, e per l'estorsioni, ed altri gravami. L'altro, perche le Communità ricusavano di far le spese: e però, finalmente risolsero di deporre la pretensione, che le spese fossero fatte dal publico. E per dar temperamento al rigor eccessivo de gl'Inquisitori, diedero qualche parte di più al Vescovo: il che fu caggione, che con minor difficoltà l'Offizio s'introducesse in quelle tre Provincie di Lombardia, Marca Trivigiana, e Romagna; e poi in Toscana ancora, e passasse in Arragona, ed in qualche Città di Lamagna, e Francia. Nel Regno di Napoli non fù introdotta, per la poco buona intelligenza tra li Pontefici, ed il Rè.

Dalla Francia, e Lamagna presto fù levata, essend'alcuni degl'Inquisitori stati scacciati dà quei luoghi per li rigori, ed estorsioni, ed altri partiti, per mancamento de' negozi. Per la qual causa si ridussero anco à poco numero in Arragona, poiche ne gl'altri Regni di Spagna non havevano penetrato.

Nel mille quattrocento ottanta quattro, il Rè Ferdinando Cattolico havendo estinto il Regno dei Mahumetani in Granata, per purgar i Regni suoi, e della Moglie Elisabetta dà Mori, e Giudei finalmente convertiti, eresse col consenso del Pontefice Sisto quarto un Tribunale d'Inquisizione in tutti li Regni di Spagna, Sicilia, e Sardegna, da lui posseduti, nella forma che dura ancora sin al presente, il qual giudica, non solo gl'imputati di Mahumetisimo, o Giudaismo, mà d'heresia ancora. La forma all'hora introdotta, ed ancora durante è, ch'il Rè nomina un Inquisitore Generale per tutti i Regni suoi al Papa, e la Santità sua lo conferma. Del resto poi la Corte Romana non vien ammessa ad intromettersi più oltre. L'Inquisitore nominato dal Rè, e confermato dal Pontefice nomina gl'Inquisitori particolari in ciascun luogo, liquali però non puonno entrar nel carico, se prima non hanno l'approvazione Regia. Il Rè ancora deputa un Consiglio, o Senato sopra questa materia nel luogo dov'è la Corte, del quale l'Inquisitor supremo è Presidente. E questo Consiglio hà suprema giurisdizione; consulta tutti li negozi; fa nuove ordinazioni quando vede il bisogno; determina le differenze tra gl'Inquisitori particolari; punisce li diffetti de' ministri; ascolta l'apellazioni; e non differisce ad altri che al Rè. Vorebbe il Regio Consiglio, che nel Regno di Napoli s'introducesse l'Inquisizione soggetta à quella di Spagna, come anco è in Sicilia, Sardegna, ed Indie, e la Corte Romana la vorebbe dipendente dà se, allegando oltre l'autorità Pontificia spirituale, anco la temporale di superiorità, ch'il Papa tiene in quel Regno.

Nell'anno mille cinquecento quaranta sette, Don Pietro di Toledo essendovi Vicerè, volle superar le difficoltà, e venne all'essecuzione, laqual cosa eccitò tanta commozione, e sedizione popolare, che fù quasi una guerra tra quel popolo, e li Spagnuoli pressidiarij, con morte di molti, d'ambe le parti, e restando li Spagnuoli superiori, per haver le Fortezze, il tumulto si quietò, e dal Vicerè furono puniti i principali, parte con morte, e parte con essilio; Cessò, nondimeno dall'impresa d'introdur l'Inquisizione, non tanto per timor di nuova sollevazione, quanto per gl'efficaci Offizi del Papa, e de' Cardinali, restando in Spagna il pensiero d'effettuar un giorno la deliberazione, ed in Roma parimente la risoluzione di opporsi: Onde sino al giorno d'hoggi si resta senza Inquisizione in tutto quel Regno. E se qualche caso occorre, è spidito dal Vescovo, overo è delegato dà Roma, od altro Prelato, il qual però non opera, se prima non hà licenza dal Vicerè.

Nei paesi Bassi, doppo nata la setta Luterana furono dai Magistrati secolari, senz'altr'Offizio d'Inquisizione, puniti gl'heretici, hora di morte, ed hora d'essilio: liquali Magistrati havendo per la coppia de'gl'heretici rallentato il rigore, l'Anno 1550. deliberò Carlo V. Imperadore d'introdur l'Inquisizione nella forma di Spagna, e publicò anco il Decreto: mà essendo avvertito dà Maria Regina d'Ungheria sua sorella, e Governatrice di quei stati, che tutti li Mercanti forastieri sarebbono partiti, e le Città rimarebbono senza traffici; con un altro Editto dichiarò, che l'Inquisizione non dovesse haver potestà sopra forastieri; e quanto alli nativi, mitigò molto la forma; ne però fu data l'essecuzione alla volontà dell'Imperatore, se non imperfettamente: Mà per il più la Giustizia contro gl'Heretici restò nel Magistrato, e sempre andò rallentandosi maggiormente. Onde Filippo II. Rè di Spagna tentò, del 1559. e ne gl'anni seguenti l'introduzione, di novo, dell'Inquisizione Spagnuola in diversi modi, ne fù possibile stabilirla per varie resistenze, sino che nell'Anno 1567. fù con l'Armi stabilita dal Duca d'Alva: laqual però essendo introdotta, immediatamente successero le guerre, e fù sempre più ristretta, e di luoghi, e d'autorità, sin che fù ridotta à niente; nel qual stato è al presente.

L'Inclita Città di Venezia, per grazia di Dio, si confermò intatta dal contagio dell'heresia, ne' tempi avanti il mille dugento trenta due: della qual cosa è manifesto segno, che nella promozione del Duca Giacobo Thiepolo, del 1229. in cui si fa mentione della forma di procedere, e delle pene, e gastighi di molte sorti di delinquenti, l'heresia non vien nominata. E del mille dugento trenta due, quando l'istesso Duca publicò lo statuto, dove si ordina il castigo di molti delitti, ed in particolare de' Malefizij, ed herbarie, dell'heresia non si fa menzione, come senza dubio s'haverebbe fatto, se in quei tempi la Città havesse sentito quella peste.

Mà doppo che Papa Innocenzo quarto tentò di privar Federigo Imperatore dell'Imperio, Regni, e Stati che possedeva, essendo perciò posta gran parte della Christianità in Armi, e tutta la Lombardia in disputa con la Marca Trivigiana, e Romagna, all'hora divise in fautori del Papa, e dell'Imperadore, s'infettarono di varie opinioni perverse, e ritirandosi molti à Venezia, per viver in sicurezza, la prudenza di questo Governo, del 1249. prese rimedio per provedere che la Città non s'infettasse del contagio del rimanente d'Italia: e però fù deliberato, che fossero eletti huomini dà bene, discreti, e Cattolici per inquerire contra gl'Heretici, e che il Patriarca di Grado, Vescovo di Castello, e gl'altri Vescovi del Dogado di Venezia, dà Grado sino à Caverzere, giudicassero dell'opinioni loro. E quelli che dà alcuno de' Vescovi fossero dati per heretici, fossero condannati al fuoco, per sentenza del Doge, e Consiglieri, overo della maggior parte di loro. Lequali cose si veggono nella promozione del Doge Marino Moresini, in quell'anno 1249. mà accioche la morte di qualche Vescovo non interrompesse l'opera, fù aggionto nella Commissione di Giacomo Contarini, Doge del 1275. che l'istesso si facesse di quelli che fossero dati per heretici dalli Vicari Episcopali, in caso di morte de' Vescovi.

Questa Instituzione fù appunto quella istessa che si contiene nel Corpo delle leggi Civili, e che si costumava nell'Imperio Romano: Imperochè prima la cognizione del fatto era dalli Giudici laici, deputati dal publico ad inquerir contra gl'heretici, i quali scopperti, era giudicato dalli Vescovi, se la loro opinione conveniva alla fede. Il che fatto, il Doge, e Consiglieri facevano la sentenza, non come meri essecutori, mà come veri Giudici. Il che chiaramente dimostrano quelle parole, O DELLA MAGGIOR PARTE DI LORO, che non si puonno dire, se non di chi hà voto deliberativo.

Per l'instanze fatte dai Pontefici, Innocenzo, Alessandro, Urbano, e Clemente, e dà sette altri Papi, che li seguirono non puote esser indotta la Serenissima Republica di Venezia à ricever l'Offizio de' frati Inquisitori, instituito dal Pontefice. li bastava quel secolare instituito da lei medesima, con buon frutto in servizio di Dio.

Havevano avanti à gl'occhi li frequenti disordini che nascevano pel novo Offizio nell'altre Città dov'era, perch'i frati Inquisitori spesso nelle Prediche eccitavano il popolo, e fatti li Crocesegnati, si movevano con tumulto; dove molti delli Crocesegnati facevano le loro vendette contro i suoi nimici, sotto nome d'heretici, ed altri anco innocenti, sotto quel nome, restavano oppressi dà chi voleva la robba loro. E due notabili sedizioni furono in quei tempi; Una in Milano, del 1242. L'altra in Parma, del 1279. che hebbero à mettere in rovina quelle Città. Il formale instituto della Serenissima Republica, è di tenersi alle cose vecchie, e provate, e li disordini de gl'altri luoghi la costringevano à mantenner quell'Officio, che dà lei fù instituito l'anno 1249. com'è detto di sopra.

Mà assonto al Ponteficato Nicolo IV. dell'Ordine de' frati Minori, egli, e per effettuar le deliberazioni de' suoi Predecessori, e per aggrandir li frati del suo ordine, à quali portava molto affetto, fece così grand'instanza, che fù risoluto di ricever l'Offizio, mà con tal limitazione, che non potesse partorir scandalo: e di ciò fù presa parte, congregati tutti li Consigli della Republica insieme, e che fosse fatto un deposito de' danari del commune, con un amministratore, il qual dovesse far le spese per quell'Offizio, e ricever anco tutti gl'emolumenti, ed utilità, che si tirassero dà quello.

Questa deliberazione fù significata al Papa, con publico mandato del medesimo Consiglio; ed il Pontefice havendola veduta, ed essaminata, se ne contentò, ed anco essortò, che si osservasse, e di tutto ciò formò una Bolla, data in Rieti, sotto li 28. Agosto dell'istess'anno 1289. inserendo in quella la deliberazione sopra detta del Maggior Consiglio, fatta sotto li 4. dello stesso mese. E questo è il principio, in Venezia, dell'Offizio dell'Inquisizione, misto di secolare, e d'Ecclesiastici, come sino al presente continua.

 

Qui è necessario fermarsi per considerare, che l'Offizio dell'Inquisizione, in questo Dominio, non è dipendente dalla Corte Romana, mà proprio della Serenissima Republica, ed indipendente, eretto, e constituito dalla medesima, e stabilito per contratto, e Concordato con la sede Apostolica, e perciò deve reggersi con le proprie consuetudini ed ordinazioni, senz'obligo di ricever ordini d'altrove. Delche vi sono quattro chiarissime raggioni.

La prima, perche quantunque dà Innocenzo quarto, e dalli Pontefici seguenti fossero fatti ordini per stabilire in ogni Città l'Offizio dell'Inquisizione Romana, nondimeno quelli non hebbero luogo in questa Republica.

La seconda, perche l'Offizio dell'Inquisizione non è instituito in virtù d'alcuna Bolla Pontificia, mà per deliberazione del maggior Consiglio.

La terza, perch'il Pontefice Nicolo, diede solamente consenso à ciò che era deliberato dalla Republica.

La quarta, perche le spese, e gl'emolumenti dell'Offizio erano del publico, e non de gl'ecclesiastici.

Ond'essi, in ciò ch'al Offizio appartiene, dipendevano dal secolare institutore. Le spese, che si facevano, non erano cosa leggiera; Imperoche oltre le straordinarie delle catture, ed alimenti de' retenti, si pagava all'Inquisitore, per suo salario, Dodici ducati d'oro, al mese, che al presente sarebbono più di trenta sei ducati.

E questa verità, che l'Offizio sia Veneto, e non soggetto ad altri, lo dimostra un accidente seguito dodici anni doppo la prima instituzione, cioè del 1301. quando Fra Antonio Inquisitore fece un Monitorio à Pietro Gradenigo Doge, che dovesse giurare d'osservare le Constituzioni Papali, ed imperiali contro gl'heretici. Al quale rispose il Doge, in scrittura publica, ch'egli non doveva far altro giuramento, poiche nella promozione sua, haveva giurato, conforme à quanto era stato concordato con Nicolo IV. ne doveva obligarsi ad altre ordinazioni Apostoliche, od Imperiali, perche non erano conformi à quel Concordato. E l'Inquisitore si ritirò dal suo tentativo, e cadette. Non ho trovato quando la prima volta fossero preposti li tre Inquisitori, che assistettero à nome del Prencipe: mà è verissimile, che fossero deputati da lui, con li Consiglieri, in quel principio: si perche non essendo memoria in contrario, cosi si deve presuporre, come anco perch'innanzi l'erezione di quest'Offizio dell'Inquisizione, misto di secolare, e d'Ecclesiastico, vi era l'Offizio puro secolare, al quale erano eletti nobili per inquirire contra gl'heretici, come di sopra si è narrato. Onde si può presuporre, che l'elezione, ed il nome continuasse.

Però, tenendo questa verità per ferma, nel primo Capo si dice, che sicome sono tre Assistenti all'Offizio dell'Inquisizione, in Venezia, cosi devono li Rettori assistere nelle Città soggette, perche è termine legale indubitato, che le Città soggette devono regolarsi secondo le leggi, e consuetudini della Città dominante, fuor che nelli particolari, che per Privilegio, o grazia del Prencipe sono concessi à ciascuna Città. E parimente la libertà, ed immunità della Città dominante sono communicate alla sudetta immediatamente, che entra nella soggezione. E così si osserva in tutti li Regni, e stati. E questa sola disposizione legale, ed uso, è sofficiente per far legitima l'assistenza delli Rettori in tutto il Dominio.

Mà oltre la disposizione legale, vi è anco un particolare concordato con la sede Apostolica contratto, del 1551. L'occasione del quale fù, che havendo l'Eccellentissimo Consiglio dei Dieci, e Gionta, per ricordar alli Rappresentanti il loro debito, acciochè per negligenza non fosse introdotto qualche abuso, scrisse à tutti li Rettori, che dovessero ritrovarsi presenti alla formazione delli Processi nell'Inquisizione.

La Corte Romana reputò che fosse novità, con pregiudizio dell'autorità Ecclesiastica: ed il Pontefice Giulio III. ne fece doglienza coll'Ambasciatore dicendo, che fosse contra i Decreti Pontificij, e ch'egli sopra ciò voleva anco farne una Bolla. Rispose l'Ambasciatore, che non era cosa novamente deliberata, mà antichissima, ed innovata per conservar la Giurisdizione, e non per assumersi punto di ciò che all'Ecclesiastico tocca, anzi per aiutarlo. Si contentò il Pontefice della risposta, e soggiunse: Se quei Signori vogliono essere Coadiutori, siano benedetti: Mà se vogliono essere congiudici, non possiamo tolerarlo. E riputando il Pontefice che fosse negozio dà penetrare à fondo, e non contentarsi di parole, massime per il moto grande, che era tra Cardinali, per questa causa mandò espressamente à Venezia Achille Grassi, eletto di Montefiascone, al quale diede commissione, li sei Agosto di quell'anno 1551. con queste parole: Vi mandiamo per pigliar qualche appuntamento del procedere nelle cause d'heresia. Si tiene che l'assistenza della potestà secolare in quella Città, e Dominio sia necessaria; questa non improviamo, anzi desideriamo, purche sia senza ingerirsi nella cognizione, e sentenza. E poco più à basso: ci contentaremo d'ogni forma grata à quella Republica, purche sia Citra cognitionem, & sententiam. "

Arrivato il Nunzio espresso à Venezia, fù facile il convenire, poiche ambe le parti havevano l'istesso senso: onde fù immediatamente concordato con quattro Capi.

Il primo. Che li Rettori siano presenti al formar dei Processi, ed à tutto ciò che operano li Vicari, ed Inquisitori.

Il secondo. Che sia in libertà de' Vicari, Inquisitori, e Rettori, secondo la qualità de' Casi, il chiamar quei Dottori, che parerà conveniente.

Il terzo. Ch'occorrendo caso nelli Castelli, e Ville, sia spidito nella Città principale con li medesimi ordini.

Il quarto. Che li Rettori un giorno della settimana almeno, si trovino con li Vicari, ed Inquisitori per attendere à questa materia.

In conformità del concordato, sotto li 26. Settembre fù scritto à tutti li Rettori, ed à Roma. Il Pontefice veduto il concordato, l'approvò, ed ordinò al Vescovo di Ravello, suo Nunzio ordinario in Venezia, che dovesse scrivere lo stesso alli Vicari, ed Inquisitori dello stato: ed egli fece, sotto il dì venti Ottobre. avvertendoli di più, che nelli Atti, Decreti, e Sentenze, che si faranno in questa materia, con la presenza delli Rettori, si scriva sempre dal Notaro, à ciò deputato, questa Clausula, cio è, Cum assistentia, & præsentia Clarissimorum Dominorum, N. N.

Il primo concordato, trattato con Papa Nicolò l'anno 1289. e questo ancora, ciascuno dà se, sono bastanti di operare, mà tanto più aggionti insieme operano, che per niuna Bolla, o Decreto, che si facesse dà qualsivoglia Pontefice, di qualsivoglia tenore, non può essere levata questa autorità. Chi concede grazia la può rivocare con causa: mà ciò che è convenuto, e concordato è irrevocabile: onde non doverà muoverli punto, qualsivoglia Decreto che fosse fatto à Roma, come quello che fece Gregorio decimo quarto, nel 1591. dichiarando, che per essere il delitto d'heresia puro Ecclesiastico, il secolare non poteva intervenire in quel Giudicio, e quantunque dà qualche Pontefice fosse tentato di derogare al concordato, dicendo, come disse Papa Leone X. In questo proposito, Non ostante le Consuetudini confermate dalla sede Apostolica, tal derogatione non comprenderebbe il caso nostro, essendo altro confermare, ed altro convenire, e concordare. E quando dicesse, Non ostante li concordati con la sede Apostolica, sarebbe una nullità, perche é contradizione, che una cosa sia concordata tra due, e sia sotto l'arbitrio di uno di essi solamente. S'hà dà tener per certo, che sempre la Corte farà ogni tentativo per escluder il secolare, e tirare sotto di se intieramente gl'Offizi di questo stato sopra l'heresia. Mà niun fatto d'altri può metter in dubio, o causar pregiudizio, purche li pregiudizi non vengano dà questo canto, per negligenza nell'essecuzione. Nelche si hà l'essempio di Spagna, dove essendo la forma dell'Inquisizione soggetta à Rè, stabilità per concordato del 1484. per niuna Bolla, ed Ordinazione fatta à Roma, li Spagnuoli hanno voluto alterazione alcuna. E però non è stato atto di molto buona fede, che stampandosi in Roma il Direttorio, l'anno 1584. vi sia stato aggiunto quel Breve di Papa Leone X. detto di sopra, diretto alli Vescovi, ed Inquisitori di questo Dominio, dove per occasione di certi casi assai notabili occorsi in Valcamonica, quel Papa scrisse, che'l Magistrato secolare non habbia che fare nell'Officio dell'Inquisizione, e solo sia obligato eseguir la sentenza, senz'altro. Il qual Breve non dovevano per modo alcuno stampare. Prima, perche non l'hanno cavato dà luogo autentico. Secondo, perche all'hora non fu eseguito, ne forsi veduto. E di ciò n'è manifesto indizio, che essendo il Breve dato alli 15. Febraro del 1521. alla Romana, trenta giorni doppo, cioè, sotto li 20. e 24. Marzo l'Eccellentissimo Consiglio dei Dieci, e Gionta, per ovviare ad innumerabili estorsioni fatte da gli Ecclesiastici, ordinò, che non ostante le sentenze pronunziate dall'Officio dell'Inquisizione, dal Vescovo di Limino, con due Dottori deputati dalli Rettori, fossero rifatti li Processi, e portati à Brescia, e giudicati coll'intervento delli Rettori medesimi. Alche il Nunzio anco acconsentì, e così fù esseguito. Documento manifesto, che quel Breve di Leone non è vero, o non si vede, o non hebbe luogo. Però non doveva essere stampato, massime essendo seguito il Concordato con Giulio, doppo quel tempo. Mà sicome la Corte Romana non desisterà mai di fomentare le pretensione sua, così converrà essere vigilanti ad ovviare, che la negligenza non faccia pregiudizio alla giornata, non mettendo mai più in trattato materia così fermamente stabilita, imperoche l'haverla anco posta in trattato l'anno del 1551. quando non fosse succeduto bene, come successe, sarebbe stato un grandissimo pregiudizio contra il concordato del mille dugento ottanta nove.

Mà che oltre l'esser legitima, e giuridica la sentenza, sia necessario anco il conservarla con ogni ingegno, li rispetti publici, e privati lo dimostrano chiaramente. La potestà che dio dà al Prencipe, non è un dono fatto per lui proprio, che però egli possa lasciar diminuire senza peccato: mà se bene viene immediatamente dà Dio, è pero data per beneficio del popolo: onde se si diminuisce, non resta così sufficiente per il buono, ed intero governo, ed il suddito ne riceve danno, e sua Divina Maestà offesa.

Se ben il Prencipe non hà obligo alcuno al suddito di governarlo, l'hà però a Dio, e la protezione che ne tiene, se ben verso il suddito è grazia, verso Dio è debito, qual non si può ben eseguire, se non conservando intiera, e non lasciando diminuire l'autorità publica. L'Offizio dell'Inquisizione quanto è più santo, e necessario de gl'altri, se non è ben amministrato, mà abusato, tanto è piu grave, e dannoso. Dove è in mano di Religiosi giusti e prudenti, vi è bisogno che à quelli sia data occasione di perseverare tali, con guardarli, ed osservarli, ch'altrimente la commodità di poter operare arbitrariamente fa trascorrere anco il santo. Mà dove che l'Amministratore non hà tutte le qualità necessarie, convien ovviare à gli eccessi. Per i tempi passati, si è veduto gravarsi li sudditi con rigori eccessivi, dà chi col mostrarsi zelanti, hanno voluto far dar luogo all'ambizione, overo appropriarsi quel d'altri: Pertanto è necessario avvertire, che l'avarizia, o l'ambizione non dannifichi il privato, senza che anco un buon Padre, di buona conscienza non vi rimedi. Il zelo indiscreto, che suol causare, ed essere nelle persone non versate ne gl'affari mondani, hà bisogno di questo freno: E contra le cose publiche non sono meno dannosi li medesimi effetti d'ambizione, d'avarizia, & indiscrezione; perche quando un Potentato non ha la grazia di chi commanda nelle cose Ecclesiastiche, la Religione è adoperata per pretesto, à fine d'opprimerlo.

Del 1322. Papa Giovanni XXII. publicò un severo Monitorio contra Matteo Visconte Signor di Milano, condannandolo d'heresia, e sotto questo pretesto commandò alla Serenissima Republica, che non tenesse commercio con lui, ne co' suoi sudditi; con tutto che altra causa non havesse, se non, ch'il Visconte seguiva la parte di Lodovico Bavaro Imperatore nimico del Papa: e l'istess'anno, il Rmo Guido Rangoni, Vescovo di Ferrara, e fra Buono Inquisitore, ammonirono la Serenissima Republica, che non fosse tenuto commercio con Rinaldo, ed Obizo dà Este, e loro adherenti, e sudditi, per ch'essi li havevano condannati per Heretici. Ne però vi fù altra causa, se non perché recuperarono Ferrara, occupata dalli Pontefici del 1355. Tenendo Malatesta, e Galeotto Malatesti la Città di Rimini, Papa Innocenzo VI. Commandò à Venezia, che non fosse tenuto con loro, né con gl'adherenti commercio, perche li haveva per sospetti d'heresia. Il medesimo Pontefice, quell'istess'anno usò la medesima maniera con la Serenissima Republica contra Francesco Ordelafo, per causa del Dominio di Forli, e contra Giovanni, e Guglielmo Manfredi, per causa di Faenza, facendo anco predicare la Crocciata contra loro. E nondimeno questi gran moti, e condanne d'heresie andarono in fumo immediatamente che gl'imputati si contentarono di riconoscere le Terre dal Pontefice in Vicariato. Chiaro, ed indubitato documento, che l'imputatione d'heresia era solo per gravare, e costringere alle conversioni humane dissegnate.

Mà venendo à cose moderne. Nelle differenze che Paolo Quarto hebbe col Rè Filippo II. di Spagna, che pur erano temporali: quel Pontefice cosi in Consistoro, come trattando co gl'Ambasciatori de' Prencipi, e con ogni sorte di persone, sempre diceva, e replicava che il Rè, e l'Imperador suo Padre erano heretici. Si è anco veduto nell'occasioni passate, ch'i libri scritti in favore della causa della Serenissima Republica furono prohibiti dall'Inquisizione Romana, e dà altre dello stato Ecclesiastico, sotto questa copperta d'heresia, con tutto che le cose trattate fossero puramente temporali, costumate, ed approvate da tutti li Regni Christiani. Ed il Cardinal Bellarmino, havendo anni or sono publicato un Libro, dove sottopone i Prencipe al Pontefice nelle cose temporali, ardisce trattar dà heretici tutti quelli che dicono, il Prencipe nel temporale non haver altro superiore che Dio, con tutto che quattro quinti de' Cattolici cosi credino. Lequali cose fanno vedere, che valendosi la malizia d'alcuni di quest'Offizio, per interessi humani, e poco honesti, è necessario mirar bene come viene essercitato, e non lasciarli prender piede di poterlo abusare. Perche all'occasioni poi si vuol provedere, e si trova che'l tempo è passato.

In Milano, dove l'Inquisizione essercita grand'autorità, successe circa il 1580. un pericoloso caso. Il Cardinal Borromeo, che doppo fù Santo, visitando alcune Terre della Diocesi Milanese, suddite à Svizzeri, andava ordinando molte cose, ch'insospettivano quei Governi: onde mandarono un Ambasciator à Milano per ricercar il Governatore, che facesse partir di là il Cardinale, acciò non succedesse qualche novità. L'Ambasciatore andò à Milano, e smontò à casa d'un Mercante, per condursi con commodo à disporre l'Ambasciata sua. L'Inquisitore lo riseppe, ed immediatamente andato con li suoi Ministri lo meno legato priggione al suo Convento. Il Mercante ripportò il successo al Governatore, il qual subito fece liberar l'Ambasciatore, e l'honorò, e l'ascoltò, ondi li Svizzeri, quali non hebbero prima notizia della priggionia, che della liberazione, dissero apertamente, che se li fosse andata la nova della priggionia sola, senza quella della liberatione, haverebbono impriggionato il Cardinale, alquale mandò il Governatore à significar il tutto, ed il Cardinale accomodatosi alla necessità si partì, e le novità furono ritrattate.

Questi pericoli mostrano, che non solamente la malizia può causar inconvenienti, mà anco l'imprudenza, e zelo indiscreto: e però convien invigilare assiduamente, e non lasciar sminuire quella facoltà d'intervenire in tutte le Azioni di quell'Offizio, laqual Dio per sua providenza hà fatto sin adesso conservare, e mediante laquale si può ovviare à tutti li pericoli publici, ed anco alli gravami delli sudditi.

Essendo dunque chiaramente mostrato, che l'Offizio dell'Inquisizione non è antico nella santa Chiesa, e che in questo Dominio è stato instituito nella forma al presente costumata dalla Republica medesima, come Offizio suo proprio, e stabilito per concordato con la sede Apostolica, ed essendo spiegate le cause, che indussero à quella deliberazione, e la necessità che costringe, à conservar inviolata la forma già instituita, restano con queste considerazioni pienamente spiegati, e provati li fondamenti del primo Capo di questa scrittura.

 

Il secundo, e terzo Capitolo non hanno bisogno d'essere maggiormente dichiarati, o provati.

Il 4° dove si pone il Carico degl'Assistenti in quattro casi, richiede qualche considerazione. Quanto al primo caso, d'eseguir le giuste determinazioni dei Giudici, non può esser messo in difficoltà. Il secondo, e terzo, d'impedire la determinazione usurpativa dell'autorità temporale, overo precipitosa, o con manifesta ed ingiusta oppressione, e nei casi dubij far soprasedere, ed avisare, sono non meno necessarij del primo. Perche gl'Inquisitori, per lopiù, eccedono la loro potestà legitima. E per prova di ciò, non fà bisogno allegar altro testo che quello delli medesimi Pontefici Romani. Clemente Quinto nel Concilio Generale di Vienna, (ed è registrato nel Corpo Canonico De Hæreticis Cap. I.) dove che li erano andate alle orecchie querele di molti contra gl'Inquisitori, perch'estendevano l'Offizio della loro potestà oltre li termini assignatili, in maniera che riusciva à danno de' fedeli, ciò che fù instituito per accrescimento della fede: ond'era necessario per gloria di Dio, ed acciò quel negotio caminasse bene, far diverse provisioni, diede molte regole per ovviare à disordini introdotti, Clemente Sesto ancora commise à Bernardo Cardinale di San Marco, suo Legato nelle Terre della Chiesa, d'inquerir de gl'eccessi de gl'Inquisitori, e ministrar giustizia à chi si lamentasse di loro. Documenti chiari, ch'in tutti i tempi corre qualche eccesso, che hà bisogno di rimedio, se non è ovviato.

Mà dato che Inquisitor nessuno eccedesse mai li termini della potestà sua, quella però non è così ben regolata, che non habbia bisogno d'essere ritennuta con molta prudenza. Per certezza di questo, basta assai attendere ciò che hanno stampato nel Direttorio in Roma del 1584. che formalmente è tradotto dal Latino. Se gl'inquisitori volessero essercitare tutto l'imperio della loro potestà, facilmente muoverebbero tutti à sedizione. E queste parole sono scritte con proposito d'ammonire gl'Inquisitori, che se ben una cosa parerà loro giusta, quando è pericolosa devono avisar Roma. Mà qua non si deve conchiudere così, perche Roma lontana, ed occupata dalli rispetti proprij non può far buon giudizio de gl'altrui pericoli. Ma ben queste confessioni della Corte Romana mostrano essere necessario, à chi vuol tener il suo Dominio quieto, e li sudditi protetti, haver diligentemente riguardo, e moderare con destra maniera quella potestà, ch'in se stessa è confessata essorbitante, e spesso anche vien ecceduta, ed abusata.

Del 1518. scoprissi numero grande d'Incantatori nella Valcamonica, e per poca diligenza delli Rettori di Brescia il giudizio fù lasciato all'Arbitrio de gl'Ecclesiastici. Da ciò nacquero così essorbitanti estorsioni, e querele de gl'oppressi, che l'Eccellentissimo Consiglio dei Dieci fù costretto ad annullar tutte le cose fatte, e far venir à Venezia li Vicarij dei Vescovi, ed Inquisitori, ed operar che dà altri Giudici, con l'assistenza delli Rettori, le cause fossero rivedute. E con tutto ciò con difficoltà, fù quietato quel popolo, che non si movesse à sedizione.

Non è perduta la memoria delle sedizioni estreme eccitate in Roma morto che fù Paolo Quarto, nelle quali le priggioni dell'Inquisizione furono popolarmente rotte, e l'Offizio con tutte le scritture abbrusciato. E similmente il pericolo che corse la Città di Mantova del 1568. alle quali cose non è possibile provedere, se il Magistrato, à cui incombe la cura della quiete della Città, non impedisce le deliberazioni eccedenti, e precipitose. E se occorrendo cosa di dubio e pericolo fa soprasedere, ciò non può essere imputato all'Ecclesiastico di pregiudizio, poi che soprasedendo meglio si delibera; e niuna cosa impedisce che il differito non si possa eseguire con maggior maturità. Dove, se in caso di pericolo si lasciasse correre qualche essecuzione, che riuscisse à male, o non si potrebbe rimediare, o non intieramente. Il Prencipe avvisato può, o con l'autorità sua, o col significare al Pontefice, far passar con quiete qualche cosa, che senza sua saputa haverebbe fine cattivo.

La 4a parte del Capitolo, cio è, che li Rettori, ed Assistenti eccitino all'essecuzione dell'Offizio con destrezza gl'Inquisitori, quando fossero negligenti, è propriissima del Magistrato secolare. Prima, per la ragione di sant'Agostino, il qual dice, che all'offizio loro s'aspetta operare, che siano puniti li delitti, che immediatamente sono contra la Maestà Divina, come Bestemmie, l'heresie, e di pergiuri, più di quei che offedendono gl'huomini. Poi ancora, perche l'heresia non solo offende la Maestà Divina, mà ancora porta notabil turbazione alla quiete publica; la cura della quale riposando nel Magistrato, che superiore in una Città non potrebbe lasciarla incorrere in qualche pericolo d'infettarsi, senza mancar del suo debito. Gl'inquisitori devono attendere à tener il popolo mondo dall'heresie, per il servizio di Dio solamente: il Magistrato, e per servizio di Dio, e per publico di buon governo. E però, come quello à cui la cura maggiormente incombe, deve ancora maggiormente vegghiare, ed eccitar gl'altri: Ne à ciò può far alcuno opposizione dicendo, che li secolari, se bene il Magistrato, ed anco i Prencipi sono figli, e gl'Ecclesiastici sono Padri, e però questi sono superiori, e non conviene ch'il figlio si arroghi di riprendere, ed ammonire il Padre; imperoche l'equivoco, ed il cavillo si vede manifesto. Se in una Città fosse in un Magistrato superiore un figlio di famiglia, questo nelle cose famigliari, e domestiche di casa sarebbe soggetto il Padre: mà nelle publiche, e civili superiore. Gl'Ecclesiastici sono Padri in Christo, ond'il Magistrato dev'essere soggetto à loro nelle cose domestiche della casa di Dio: dà loro deve ricevere la dottrina di Christo, e li divini Sacramenti, che sono le cose familigliari([3]), nelle quali il figlio è soggetto al Padre spirituale: mà nelle publiche, che sono il castigo dei delitti, ed il tranquillo viver civile, etiandio li Padri spirituali sono soggetti à quel figlio che ne hà la cura come Magistrato publico. E se l'Ecclesiastico hà potestà, o giurisdizione per corregger qualsivoglia delitto, non l'hà dà altri che dal Prencipe, à cui solo Dio l'hà data.

Hò detto di sopra, che nel Giudizio vi concorrono tre parti: la conoscenza di raggione, cio è, quali siano l'openioni heretiche, e questa è pura Ecclesiastica: la conoscenza del fatto, cio è, qual persona sia colpevole: e la sentenza. Queste due ultime sono temporali, e già nel Romano Imperio essercitate dal secolare, & adesso queste due anco sono lasciate à gl'Ecclesiastici per concessione dei Prencipi. La Serenissima Republica che le essercitò dal 1249. sino al 1289. quell'anno le concesse all'Offizio dell'Inquisizione, maneggiato dà gl'Ecclesiastici, mà con l'assistenza secolare. Se gl'Ecclesiastici mancassero del suo debito, ricaderebbe l'autorità in chi l'hà concessa, non però privandosene. E però, non è meraviglia se il secolare dev'essere sovrintendente à chi essercita un carico concesso da lui, con ammonire, ed eccitare in quelle maniere, ch'il decoro d'amendue le persone comporta.

Il quinto caso, Che li Rettori, ed Assistenti, non diano giuramento di fedeltà, o di segretezza in mano dell'Inquisitore, è di somma considerazione, atteso che per tal giuramento, resterebbono d'essere Rappresentanti del Prencipe, e diverrebbono ministri de gl'Inquisitori.

È cosa chiarissima, che chi giura fedeltà, o segretezza, massime senza eccezione, è obligato ad osservarla à chi l'hà giurata, non havendo riguardo à gl'interessi di qualunqu'altro. Là onde il Rappresentante non potrebbe opporsi ad alcuna azione dell'Inquisizione, se ben contraria alli rispetti del Prencipe, overo avvisarlo delle cose occorrenti in quell'Offizio, senza contravenire al suo giuramento. Mà il publico Rappresentante, etiandio quando si tratta delle cose spettanti all'Offizio dell'Inquisizione, non deve aver mira ad altri rispetti, ne ad altri commandamenti salvo che à quelli del Prencipe. Adunque non può giurar fedeltà, ne segretezza ad altri. Dove il Tribunale dell'Inquisizione è puro Ecclesiastico, n'intervengono secolari per Consultori, ed alle volte per Fiscali, o Notari, o per altri Ministri, liquali giurano all'Inquisitore. Mà perche li secolari intervenenti sono dipendenti, e soggetti all'Ecclesiastico. In questo stato il Tribunale è misto, non per li Consultori secolari, od altri Ministri, mà solo per li Rappresentanti publici assistenti, che non dipendono dall'Ecclesiastico, mà soprastanno in luogo del Prencipe.

Gl'Ecclesiastici dà molte centinaia d'anni in quà, non hanno altro scopo che usurpare la giurisdizione temporale, di che ne hanno anco fatto grand'acquisto, con gran sturbo dei Governi. Al presente più che mai mirano à ciò, e nel particolare dell'Inquisizione nello stato della Republica tendono con ogni accortezza à tirarla intieramente all'Ecclesiastico. Il che farebbono finalmente, quando potessero introdurre il giuramento, facendo il Rappresentante ministro loro. E ciò essend'introdotto, gli scrupoli d'uno, la poca intelligenza d'un altro; gl'offizi che sarebbono fatti per mezzo de' Confessori, operebbono, che li rispetti dell'Inquisitore, e di Roma, sarebbono anteposti alli publici, overo, ecciterebbon almeno nella mente, dubi cosi potenti, che non lascierebbono mai operar bene. Ilche anco risolve una risposta che qui potrebb'essere data, cioè, che si potesse ricevere quel giuramento, salvi li rispetti del Prencipe. Perche le cose dette di sopra turbarebbono la mente de gl'huomini talmente, che mai lascerebbono haver luogo à quella sana intelligenza. Mà per colorare il loro tentativo, due cose dicono gl'Inquisitori. Una, che Federigo Secondo commandò à tutti li Consoli, e Podestà della Città che giurassero. L'altra, che il Rè di Spagna giura. Mà Federigo non commandò che fosse giurato à gl'Inquisitori, perche come di sopra si è mostrato, l'Offizio dell'Inquisizione non era ancora instituito. Mà che giurassero in publico à lui d'esser diligenti à spiantar l'heresie ch'erano radicate. Non entravano all'hora i Consoli, e Podestà nell'Offizio dell'Inquisizione con gl'Ecclesiastici, mà essi soli con l'autorità Imperiale condannavano gl'heretici, e giuravano all'Imperadore di farlo fedelmente: e con tutto ciò, quella forma durò poco; ed attesta Giovanni Andrea famoso Canonista, qual fiorì del 1300. che al suo tempo quel giuramento era già andato in disuetudine. Il Rè di Spagna Filippo II. introdusse di far un publico giuramento, non in mano d'Inquisitori, mà à Dio, di non comportar mai, che gl'heretici vivessero liberamente nelli stati suoi: il che non è giuramento di fedeltà, e segretezza all'Offizio, il quale dipende del Rè, e da lui riceve commandamento, mà con prometter à Dio, e levar alli sudditi speranza di poter ottenere da lui libertà di conscienza.

Al medesimo modo li Dogi antichi della Republica giuravano di punire gl'heretici nella loro promozione, che non era giuramento all'Inquisitore, mà à Dio, ed alla Republica. L'equivoco stà, che altro è giurar assolutamente, altro è giurar in mano: e questo è quello, che dice soggezione, ed obligo à quello che dà il giuramento. Ne il publico Rappresentante può giurar in altra mano, che del Prencipe, sicome non può esser soggetto ad altri. Per lequali considerazioni sarà necessario in ogni tempo tener in osservanza questo quinto capo, come punto, non tanto di somma, quanto di total importanza.

Il tener avvisato il Prencipe di tutto ciò, che giornalmente avviene in materia d'heresia, come nel sesto Capo si contiene, è cosa di servizio divino, e necessaria al buon governo. Dove l'Inquisizione è in mano de gl'Ecclesiastici solamente, non permettono, che di quanto succede in quell'Offizio sia alcuna cosa communicata alli Prencipi. In questo Stato, dove il Tribunale è misto, sicome la mira loro è, che l'Assistente (poiche non puonno escluderlo) divenga loro ministro: così fanno ogni opera, che tenga secreto ciò che vien trattato, mettendo carico di coscienza, se alcuna cosa sarà communicata senza licenza dell'Inquisitore, con questa massima, che cause di fede devono restar appò i Giudici della fede.

Tra le altre perverse opinioni, de quali abbonda il nostro secolo infelice, questa ancora è predicata, che la cura della Religione non appartenga al Prencipe, qual è colorata con due pretesti. L'uno, che per essere cosa spirituale, e divina, non s'aspetti all'autorità temporale. L'altro, perche'l Prencipe occupato in maggiori cose, non può attendere à questi affari.

E certo è degna di gran maraviglia la mutazione, ch'il mondo ha fatto. Altre volte li santi Vescovi niuna cosa più predicavano, e raccomandavano à Prencipi, che la cura della Religione. Di niuna cosa più li ammonuicano([4]), e modestamente riprendevano, che del trascurarla. Ed adesso niuna cosa più si predica, e persuade al Prencipe, senon ch'à lui non s'aspetta la cura delle cose divine, con tutto che pel contrario la Scrittura sacra sia piena di luoghi dove la Religione è raccomandata alla Protezione del Prencipe dalla Maestà Divina, laqual anco promette tranquillità, e prosperità à quei stati, dove la Pietà è favorita, si come minaccia desolazione, e destruzione, à quei Governi, dove le cose divine sono tenute come aliene. Gl'essempi di ciò abbondano, de' quali non comportando questa scrittura lunga narrazione, dirò solo, che Davide entrato in un Regno disordinato internamente, ed esternamente, essendo occupatissimo e nella guerra, e nel formar la Polizia, con tutto ciò pose la sua principal cura nelle cose della Religione. E Salomone entrato in un Regno quietissimo, ed ordinatissimo attese parimente più alla Religione, che à qualsivoglia altra parte del Governo. Li Prencipi più commendati ne secoli passati, come Costantino, Teodosio, Carlo Magno, san Ludovico, &c. la maggior lode ch'havessero fù d'haver posto la principal opera loro in proteggere, e regolare le cose della Chiesa. E un grand'inganno il rappresentar questa parte per cosa di minor momento, che deva essere tralasciata per attender ad altro, poiche questa negletta suol provocar l'ira divina. E l'isperienza cotidiana questi tempi mostra, che non può restar tranquillo uno stato, nascendo mutazione di Religione: e quei medesimi che consigliano i Prencipi à non intromettersi in cose della Chiesa, dicono però in altre occasioni, La vera Religione essere fondamento delli governi. Sarebbe grand'assordità, tenendo ciò per vero, com'è verissimo, il lasciarne la cura totale ad altri, sotto pretesto che sono spirituali, dove la temporale autorità non arriva, overo che il Prencipe habbia maggior occupazione di questa.

Chiara cosa è, che sicome il Prencipe non è Pretore, nè Prefetto, nè Proveditore: così parimente non è Sacerdote, nè Inquisitore, mà è ben anco certo che la cura sua è di sovrintendere, con tener in Offizio, e procurare che sia fatto il debito, così dà questi, come dà quelli: E qui stà l'inganno, che la cura particolare della Religione è propria delli Ministri della Chiesa, sicome il Governo Temporale è proprio del Magistrato, ed al Prencipe non conviene essercitar per se medesimo ne l'uno, ne l'altro, mà l'indrizzar tutti, e lo star attento, che niuno manchi dell'Offizio suo, e rimediare alli diffetti delli ministri: Questa è cura del Prencipe così in materia di Religione, come in qualsivoglia altra parte del Governo. Gl'Inquisitori d'Italia per ogni Corriero minutamente avvisano à Roma tutto ciò che nell'Offizio si fà: maggiormente al Prencipe, à cui più importa il saperlo, dev'esser dato conto. Sarebbe molto utile, quando le cose trattate nello stato restassero in quello solamente, come si osserva dall'Inquisizione di Spagna, che dà conto al Rè solamente, e non avvisa altrove. Mà poiche ciò sarebbe difficile dà ottenere, per hora basta, che sia saputo dal Prencipe, quand'è saputo anco dà gl'altri, che non hanno tanto interesse.

Il settimo Capitolo fù ordinato dall'Eccellentissimo Senato, accioche l'Ambasciatore à Roma potesse far Offizio, ch'il Carico d'Inquisitore si desse à nativi del Dominio: il che è cosa giusta, perche essi sono più informati nell'occorrenze delli costumi, e delle condizioni della Regione, ed hanno anco maggior affetto: onde si presuppone che con maggior giudizio, ed amore siano per essercitare l'Offizio, che ricerca Carità, e discrezione più d'ogn'altro. Non si può considerare senza maraviglia, che tutti gl'Inquisitori del Dominio, al presente, siano forastieri, e li nativi non siano adoperati, ne in questo Stato ne men ne gl'altri. Non è già questa Regione così infelice, che non produca huomini d'ingegno, e bontà, al pari d'ogni altra d'Italia. Qual raggione adunque vorrà, che questi siano reputati tutti inhabili, e per questo Dominio, e per tutti gl'altri? Chì vorrà mirargl'essempi di là dà monti, non v'è Inquizione([5]), senon in Spagna, dove tutti sono Spagnuoli. Nello Stato di Milano non sono esclusi li nativi, e gl'altri, à quali l'Offizio si dà, non sono meno dipendenti dà quel Prencipe, che li Milanesi medesimi.

In Toscana Pio V. tentò di dar l'Offizio dell'Inquisizione alli frati di San Domenico. E Cosimo gran Duca non lo consenti, per essere stata quella Religione adherente alli nemici della Casa de' Medici, quando furono scacciati dà Fiorenza del 1494. Lequali raggioni, ed essempi mostrano, che in Roma doverà essere tenuto conto dell'Offizio, che si farà per li Padri sudditi di questo Stato, e non nuocerà loro la pietà del Prencipe, e la Religione, e vita Christiana de' popoli, e la divozione di essi Padri verso il suo Prencipe naturale, e la Patria.

L'ottavo Capitolo, che non sia ammesso Inquisitore ad essercitar il carico, senon con lettere del Prencipe, è convenientissimo. Il medesimo Direttorio commandò, ch'inanzi ogn'altra cosa l'Inquisitore si presenti à lui, e riceva lettere dirette alli Rappresentanti publici, nel luogo dov'è destinato ad essercitar il carico; e la raggion vuole, che niuna sorte di Giurisdizione sia essercitata senza saputa publica: anzi altre volte, li Pontefici mandavano gl'Inquisitori con lettere Apostoliche dirette al Prencipe, dove lo pregavano favorirli, e proteggerli: e l'istesso fanno anco al presente nella provisione d'ogni nuovo Vescovo. Adesso la Congregatione di Roma deputa gl'Inquisitori con Patenti, ed instruzioni, come se li mandasse, in Giurisdizioni proprie, ed à ciò non si può provedere. Mà ben è necessario mantenner in osservanza la presentazione delle Patenti, per essere una debita riconoscenza della superiorità del Prencipe, e perche servirà à due cose. L'una, per poter avvertire, se le Patenti sono nella forma solita, o se li venga aggionta clausola nuova, accioche in caso di qualche novità pregiudiciale, si possa ovviare con modi condecenti. L'altra, perche quando fosse fatto Offizio, che si provedesse d'Inquisitore nativo, e confidente, e la giusta domanda non fosse udita, si potrebbe, tratennendo le Patenti, replicare, ed anco triplicar l'Offizio con maggior instanza. E se bene occorresse accidente per il quale la sapienza publica giudicasse finalmente d'accommodarsi al voler di Roma, e ricever il forastiero, si sarebbe almeno operato, che la Corte per l'avvenire procederebbe con rispetto maggiore, e li medesimi Padri forastieri ricuserebbono d'accettare per le difficoltà occorse à gl'altri.

Il nono Capitolo, ch'intervengano gl'Assistenti alli Giudizij, etiandio dov'il reo sia Ecclesiastico, è termine legale, e necessario dà osservare. Non si deve credere, che l'Assistenza secolare in quell'Offizio sia introdotta rispetto alle persone dei Rei. Ciò per lo passato hà ingannato molti, persuasi che la persona del reo dia luogo al Foro, intendendo male quella massima, Actor sequitur forum rei: la qual s'intende ne gl'interessi privati, dov'il Giudizio s'instituisce tra le parti, i quali se quanto alla persona non sono sottoposti ad un istesso giudice: il foro è quello à cui è sottoposto il Reo. Mà dove non si tratta interesse privato, anzi rispetto publico, si attende non la persona, mà la causa: e quantunque la persona sia secolare, se la causa è Ecclesiastica, deve l'Ecclesiastico giudicarla. Così à tempi presenti sono stimate le cause matrimoniali Ecclesiastiche, e per tanto, se ben le perone sono secolari, sono giudicate dalli Vescovi: Così le cause puramente secolari, come l'amministrazione dei carichi publici, le cause d'abbondanza, di sanità, di delitti, che turbano la quiete publica, ancor che la persona sia Ecclesiastica, appartengono al secolare. Se il delitto è misto, s'instituisce un Magistrato misto, alquale, senza attendere la qualità della persona, s'aspetta ogni Giudizio di quel genere. E perche l'heresia corrompe la vera dottrina Christiana, è delitto Ecclesiastico; e perche turba la quiete publica, è secolare. Per trattarlo non si hà dà considerar la persona, perche cosi bisognerebbe, che l'Ecclesiastico giudicasse li Preti, e Frati, ed il Magistrato giudicasse li secolari. Mà è tanto contra la dottrina Cattolica l'heresia del secolare, quanto quella del Chierico, e tanto, e forse piu, turba il publico Governo un Prete, o Frate heretico, che un secolare. Si come l'Offizio secolare instituito sopra la sanità corporale, se trova un Ecclesiastico à portar roba infetta, non rimette il Giudizio all'Ecclesiastico, mà abbrucia la robba, e scaccia la persona sospetta, perche si tratta del ben publico temporale: Cosi l'Offizio dell'Inquisizione misto non rimette un Ecclesiastico, mà lo deve giudicar esso, perche si tratta del ben publico spirituale, e temporale. E ciò si conferma ancora, perche se ben li delitti commessi dai frati Regolari sono puniti dalli superiori loro, nondimeno essi non puonno intromettersi nei casi d'heresia, mà vanno all'Inquisizione, senza haver riguardo, che la persona sia regolare. Il tutto ancora si fà più chiaro, perch'essendo li casi d'heresia più contra persone Ecclesiastiche, che secolari, nelli Concordati colla sede Apostolica, massime in quello del 1551. li Romani haverebbono fatta l'eccezione, laquale non essendo fatta, mostra bene, che non hanno tenuta la Regola universale, cio è, ch'il secolare intervenga in tutti i casi.

Questo Capitolo, oltre che il giusto vuole si osservi, dev'essere con ogni diligenza mandato ad effetto per diversi rispetti. Prima, perche di sopra si è mostrato quanto sia necessario per il buon governo, che il Prencipe sappia tutte le occorrenze in simil materia, per la somma importanza del mantenner la Religione. Mà se l'Assistente non intervenisse alli Giudizij contra gli Ecclesiastici, il Prencipe non li saprebbe: e questi sono li più importanti, e più pericolosi, e più frequenti. Dunque non saprebbe lo stato della Religione nel suo Dominio, cosa molto assorda. Secondo, poche volte avviene caso d'heresia d'un Ecclesiastico, che non sia complice qualche secolare, in qual caso non si saprebbe che fare. Divider la continenza della causa, è impossibile; lasciar anco il secolare al Foro puro Ecclesiastico, convien meno. Non resta adunque altro, senonche al Tribunale ordinario misto si faccia il Giudizio, ed indubitatamente, quando si aprisse questa porta, sotto diversi colori, di annessi; connessi; dipendenti; emergenti, il secolare resterebbe escluso del tutto. Però si deve, seguendo ciò che è chiaramente di raggione, osservare inviolabilmente la prudentissima deliberazione del Senato, nominata in questo Capitolo.

Per pruova della seconda parte, cioè, che gl'Assistenti siano presenti alla formazione de' Processi, se ben le denunzie fossero date altrove, bisogna presupporre lo stile di quell'Offizio approvato dal continovo uso, ed anco dalla raggione. Che se nel Tribunale dell'Inquisizione sia denunziata persona, che habbia il domicilio altrove, e non sia persolnamente([6]) sotto quella giurisdizione, l'Inquisitore riceve la denunzie, ed essamina i testimonij, e forma il Processo, per quanto si può in quel luogo, e cosi formato lo manda all'Inquisitore del luogo, ov'il reo si trova, che proseguisca nella causa e lo spidisca.

Avvenne del 1610. ch'il Padre Averoldo Cappuccino fù denonciato à Roma di certa opinione dell'Anticristo, e dà quella Inquisizione fù mandato il Processo a Brescia, dov'il Padre si trovava. L'Inquisitore di Brescia procedette nella causa, senza l'Assistenza; ed alli Rettori, che saputo il successo ne mostrarono sentimento, rispose, che li Rettori non dovevano assistere senon alli Processi incominciati nel proprio Tribunale, mà non, se la denunzia era data à Roma. Se ciò si ammettesse, non solo sarebbe contra la raggione, e la consuetudine leggitima, mà anco sarebbe un Arcano per levar affatto, e facilmente l'Assistenza. Gl'Inquisitori per liberarsi dall'obligo d'haver gl'Assistenti, per accrescer l'autorità propria, e servir anco meglio la Corte Romana, opererebbono con li denuncianti sotto belli, ed apparenti colori, che la denuntia non fosse data à quell'Offizio, mà à Roma: il che sarebbe facile, contentandosi anco di farlo con una lettera, e con un memoriale: ed in questa guisa, in tutte le cause sarebbe il secolare escluso. Mà il termine legale è, che sicome ogni Offizio, od Inquisizione riceve le denunzie contra gl'assenti, secondo li riti, forme, ed usi propri; così l'Offizio alquale è mandato il Processo, lo finisca, secondo le forme, riti, ed usi suoi. Ed era necessario avvertir questo in particolare, accioche alcuno ingannato dall'apparenza non si lasciasse forsi portare à publico pregiudizio, dovendosi tener per regola infallibile, che il publico Rappresentante assista ad ogn'atto, che si faccia in quell'Offizio; senza eccezione di denunzia, processo, ed ordine, che venga d'altrove, e generalmente senza eccezione di qualsivoglia sorte, che per nissuna può mai occorrere legitima.

Il contenuto del Decimo Capitolo, che li Rappresentanti assistino à tutti gl'atti del Processo, è necessario, per levar diversi abusi introdotti, perche in alcuni luoghi tutto il Processo informativo era fatto senza Assistenza; in altri, tutto il deffensivo; in altri, doppo ricevuta la denunzia dal solo Inquisitore, li Rettori erano chiamati all'esame de' testimonij; lequali maniere tutte sono di pregiudizio, poiche le cose una volta fatte, sono allegate per essempio, e si passa dal primo al secondo, ed in processo di tempo si stabilisce una consuetudine, che hà forza di legge, e non si può facilmente rimuovere; e con quella facilità, che il Magistrato fosse escluso dà una parte del Processo, sarebbe escluso dall'altra, e ridotto ad udire la sola sentenza, e fatto mero essecutore, com'alcuni vorrebbono che fosse. E ciò, che non importa meno, essendo carico dell'Assistente, d'avisar il Prencipe delle occorrenze, e di protegger il suddito, se fosse oppresso dà gl'Ecclesiastici, non potrebbe fare, nè l'uno, nè l'altro senza saper il Processo tutto. Un minimo particolare diversifica tutta la causa, ne si può intendere, o rappresentare un negozio intieramente, senon sapute tutte le circonstanze.

E per queste raggioni nell'undecimo Capitolo è detto, che non tralascino atto alcuno sotto pretesto di leggiero, perche non vi è cosa tanto minima, che non possa esser causa dell'assoluzione, o condanna. Ed è soggiunto, che non si contentino, se dall'Inquisizione li sarà chiesta licenza; perche se bene il principale, che deve intervenire ad un atto, può concedere che sia fatto senza la sua presenza, non lo può però fare quello che dev'esser presente à nome d'un altro: e per tanto il solo Prencipe può dar tal licenza. Di più ancora la licenza non è equivalente alla presenza, atteso che il Magistrato che l'hà data, non sà in che maniera sia stata impiegata, sicome può, e deve saper ciò che si fà in presenza sua. E quando la licenza si desse una volta, non v'è raggione di negarla la seconda, ed anco sempre; onde l'Assistenza si ridurebbe à niente. Non si può negare, ch'alli Rettori (massime occupati in molti negozi, che porta il Governo d'una Città) non fosse più commodo d'intervenire all'Inquisizione quando vogliono, ed essentarsi quando paresse loro: mà niuna Giurisdizione, ed Imperio si mantiene senza fatica, ed incommodità. Il medesimo Prencipe, quando trascura quella parte del Governo, che è propria à lui, disordina il tutto. La Corte Romana in questi affari, accioche l'Offizio dell'Inquisizione non fosse trascurato dalli suoi per occupazione, l'ha dato à persone che non hanno altro che fare, e per la loro bassezza si tengono ad honor grande l'essercitarlo. Il Prencipe, à cui più importa che le cose della Religione siano ben amministrate, reputa più condecente impiegarvi persone eminenti, e de' quali sia sicuro: E però certo della fedeltà de' suoi Rappresentanti, aspetta, e vuol sollecitudine dà loro, se ben occupati in altri affari, ed applicati à carichi maggiori con i quali corrispondendo alla confidenza, che si hà in loro, superino le difficoltà, ed incommodi.

Sicome le medesime raggioni consigliano à conservare il corpo sano, e ricuperare la sanità perduta; così le medesime che persuadono à non pregiudicare l'autorità publica di assistere, costringono anco à rimediare, quando alcun pregiudizio è fatto. E di ciò parla il Capitolo duodecimo, esprimendo il modo come rimediare, quando fosse fatto atto alcuno contra la forma debita, il quale è restituendo le cose nello stato di prima. E quantunque potesse occorrere qualche stravaganza essorbitante, che ricercasse maggior provisione, nondimeno per ordinario sarà à bastanza ovviare al publico pregiudicio, con quei rimedi piacevoli, che sono detti nel Capitolo.

Mà il XIII. Capitolo, che tratta delli Processi informativi, per mandar altrove, non è di minot considerazione, anzi hà bisogno d'isquisita diligenza, perche alcuni de gl'Inquisitori alle volte fanno ad instanza, e per interesse dei loro Maggiori certi Processi segreti contra l'honore di qualche persona da bene, essaminando i suoi confidenti, che sono per lo più cattive persone, e sopra quei Processi poi, si formano altrove sentenze similmente secrete per levar la fama alli Processati, ed alcune volte per farli danni maggiori.

Del 1590. con occasione ch'alcuni sudditi andarono in Francia alla guerra contra la Lega, Fra Alberto dà Lugo, Inquisitore di Verona, formò un simile Processo contra la Serenissima Republica medesima, come che favorisce heretici, essaminando persone di pessima qualità, e conosciute dà lui per tali, lodandole nondimeno nel Processo per acquistarli fede. Non puote il buon Padre mandarle dove dissegnava, che fù scoperto, ed anco punito, come le qualità de' tempi comportavano, se ben non quanto meritava. Nelli motivi passati, l'anno 1606. ne sono stati formati molti contra Senatori, e Rappresentanti publici, ed altre persone, la qual cosa è veramente un grand'abuso di quell'Offizio, che non doverebbe partirsi mai dalla sincerità. E quanto maggior è l'abuso, tanto più devon essere avvertiti li Rappresentanti publici, non permettendo, che alcun Processo, ad instanza, e per commandamenti di qualsivoglia sia formato senza la loro presenza. E quando si scuopre alcun tentativo, mostrino tal sentimento, che ovvij à tali azioni. Stieno parimenti attenti ad ogn'andamento de' gl'Inquisitori per scorprirlo([7]), ed impedirlo.

Il XIV. Capitolo, di operare che sia notata nel Processo l'Assistenza, non hà difficoltà, perche, sicome di sopra è detto, il Vescovo di Ravello, Nunzio Apostolico, del 1551. lo scrisse à tutti gl'Offizi dell'Inquisizione nello Stato. Dalli Romani ciò fù proposto come per loro vantaggio, acciò apparisca, che li Rettori non sono Giudici, mà Assistenti. Adesso serve per l'altra parte à provar l'Assistenza che si tenta mandar in dissuetudine: Perche, se à tempi à venire si trovassero Processi, che non ne facessero menzione, conchiuderebbono, che in questi tempi non si costumasse: e perciò sarà sempre publico servizio; che l'Assistenza, non solo sia in uso, mà apparisca anco in forma probante.

Il XV. Che nel Processo non siano posti Decreti formati con Autorità di fuori, è necessario osservare esquisitamente: imperoche gran parte dell'Inquisizioni, fuori di questo Stato sono ridotte ad una tal forma di procedere, che gl'Inquisitori di passo in passo scrivono à Roma, e di là ricevono ordini di ciò che si hà dà fare, si che finalmente è tanto quanto se'l Processo fosse formato à Roma. Con ciò fuggono l'obligo, che la legge Canonica impone à quell'Offizio, di dover consultare. In questo Stato, non hanno anco tentato un tal abuso così frequente, e sottile, ma ben in qualche caso particolare, o per favorire, o per disfavorire alcuno. Si può credere, che per giustizia, e con buona intenzione scrivono à Roma, onde ricevono ordini di ciò che vogliono sia fatto, e gl'Inquisitori per acquistar grazia con la pronta ubedienza eseguiscono, anzi essi medesimi per levarsi qualche contradizione del Vicario del Vescovo, o delli Consultori, se non sono d'accordo, operano che sia scritto loro dà Roma, e per questa via superano l'opposizioni. Ciò fà due mali effetti: L'uno, che vien levata l'autorità al Tribunale, che si fà soggetto à chi non è di raggione; l'altra, che il Reo hà maggior difficoltà, e maggior spesa in diffendersi.

L'eccellentissimo Senato hà sempre operato, che l'autorità del suo Offizio dell'Inquisizione non sia diminuita, come necessaria per il buon governo, al pari di qualunque ordinazione publica. Hò chiamato l'offizio dell'Inquisizione proprio della Serenissima Republica, perche dà lei fù instituito per deliberazione del Maggior Consiglio, e concordato con la fede Apostolica all'hora, e poi anco in questi ultimi tempi, come hò di sopra narrato. In Roma l'Inquisizione già non era sopra gl'altri luoghi, mà attendeva à quella Città sola, come le altre alla sua. Era ben il Pontefice sovvrintendente à tutte, conservati però li concordati, le immunità, e le consuetudini legitime di ciascuna. E così continuossi sin à Paolo Terzo, il quale circa il 1540. instituì una Congregazione de' Cardinali in Roma, dandoli titolo d'Inquisitori Generali, quali però non commandano all'Inquisizione di Spagna, che per concordato era instituita prima. Così parimente non devono levare l'autorità dell'Inquisizione di questo Stato, instituita già dà centinaia d'Anni avanti, per concordato similmente. Laqual cosa hò considerato qui, per conchiudere: Non esser di raggione, che quell'Inquisizione si pigli ciò che à questa appartiene. Ed in fatti, se l'Inquisizione di Roma mettesse la mano nelle cause, che si trattano in quello Stato, come fà in qualch'altro luogo, tanto sarebbe, come ridurle tutte à Roma. E parlando in chiari, e stretti termini, sicome giudicialmente si hà per nullo ogni atto, che gl'Inquisitori facessero senza l'Assistenza, così meno si può concedere validità d'un atto fatto fuori dello Stato per essere senza la presenza de gl'Assistenti. E se quei Cardinali fossero mandati Inquisitori in questo Stato del Pontefice, non se li concederebbe d'operare alcuna cosa senza la presenza del Magistrato, e l'operato sarebbe per nullo, tanto meno se li deve concedere, che stando à Roma possino operarlo. Non è però, che se quella Congregatione, come di Cardinali principali scriverà alcuna cosa, le lettere non devino esser ricevute con riverenza dà gl'Inquisitori, esequendo anco ciò che dà loro è ricordato, quando non vi sia potente raggione in contrario. Mà osservato lo stile dell'Offizio, cio è, formando il Decreto per nome delli Giudici propri, con l'Assistenza, non facendo menzione nel Processo, che sia ordine d'altrove. E quando il particolare scritto dà Roma non fosse conveniente alli usi del Paese, ed alle circonstanze particolari che devono esser havute innanzi à gl'occhi, e tale apparisce alli Giudici, ed altri Consultori, non sarà incongruo il replicare à Roma. Gl'Assistenti però non hanno dà intromettersi quì, nè dà sapere se dà Roma viene, o non vien ordine, se è eseguito, o non eseguito ciò che dà Roma è ricordato, mà solo assistere à ciò che gl'Inquisitori operano, non spendendo altro nome, che del loro Offizio, senza ricercar, se lo fanno di proprio motivo, o per instruzioni d'altri; dovendo poi essi Assistenti eseguire, secondo che nel primo Capitolo è detto. In somma, per conservazione di quest'Offizio, è necessario operar sì, che niuna cosa habbia forza, se non è decretata in esso proprio coll'Assistenza. Se poi l'avviso venga dà altro luogo, non importa, perche l'autorità, che è l'anima del Decreto, non si riconosca dà altri. Mà di ciò farà luogo di parlare ancora sopra il Capitolo XXVIII.

Il XV.([8]) Capo in quella parte, che tocca il non rimetter priggioni fuori del Dominio, doverebbe esser chiaro come la luce; poiche si trasmettono priggioni dall'uno all'altro luogo, o per giustizia, quando ambidue i luoghi sono nel Dominio del medesimo Prencipe, overo anche dà Prencipe à Prencipe per concordato tra loro, overo in gratificazione: ed in tutti questi casi la remissione si fa per questo solo effetto, acciò li trasgressori siano puniti nel luogo del delitto commesso. Mà in caso d'heresia, dicono li dottori, la punizione non si può con raggione ricercar in luogo particolare, si perche l'heretico pecca contro Dio, ch'è per tutto, come anco, perch'egli dovunque và tenendo la sua perversità, per tutto pecca: onde in qualunque luogo sarà castigato, si dirà punito nel luogo del delitto. Sopra questa raggione, è fondata la commune opinione, che li rei d'heresia non si rimettono, ed in fatti, il costume è per tutto di punir gl'heretici, dove sono ritenuti, nè si mandano dall'uno all'altro Inquisitore. Solo la Corte Romana, per li suoi rispetti facilmente, e frequentemente avvoca à se le cause, e fà andar li priggioni à Roma, quantunque il delitto non sia commesso in quella città.

La Serenissima Republica, sicome non hà consentito all'avvocazione delle cause, cosi anco non hà concesso il rimetter priggioni; mà hà deliberato, che siano giudicati, dove sono ritenti: essendo chiaro, ch'il far altrimente, sarebbe un levar tutta l'autorità dell'Offizio dell'Inquisizione del suo Dominio, nel quale essendo Vescovi, non inferiori in bontà, e valore à qualunque altro, ed Inquisitori deputati dalla medesima Corte Romana, ed abbondando le Città di persone dotte, che possono essere ricevute per Consultori, non vi è raggione, perch'ogni caso non possa essere esaminato così bene, e deciso, com'in qualunq'altra Città. Se fosse per maggior servizio di Dio, che li priggioni fossero mandati à Roma, converrebbe, che posti tutti li rispetti in contrario à terra, si havesse mira à questo solo. Mà per mostrare che non è così, porterò solo un essempio occorso gl'anni passati, del 1596. ad instanza dell'Inquisitore di Roma.

Fù ritenuto in Padova un Ludovico Petrucci Sanese; e dovendo secondo l'uso dell'Inquisitore Romano mandar à Padova gl'indizi che contra di quello haveva, ricercò il contrario, cio è, ch'il priggione fosse mandato là, e fece diversi offizi coll'Ambasciator in Roma, ed altri simili fece fare al Nunzio in Venezia. A quest'effetto l'Eccellentissimo Senato più volte rispose, che non era conveniente alterar l'ottimo instituto del Dominio, di spidire li priggioni inquisiti, dov'erano ritenti. Che dall'altra parte il mandare all'Inquisitore di Padova, ciò che contra il priggione si trovava, acciò ricevesse la debita pena, era cosa giusta, ed usitata, e senza opposizione alcuna. Furono molte le risposte, e le repliche, sempre dello stesso tenore, e durarono queste negoziazioni cinqu'anni continui, stando tuttavia il Petrucci priggione. Finalmente vedendosi in Roma, che non potevano ottenerlo, del 1601. scrissero all'Inquisitore di Padova, ch'il detto Petrucci fosse senz'altro liberato. E così fù eseguito, lasciando un gran dubio nelle menti de gl'huomini, che delitto fosse quello, che più tosto dovess'andar impunito, ch'essere communicato all'Inquisitore di Padova.

À questo accidente occorso, aggiugnerò ciò ch'il Direttorio dice delle cause dell'Inquisizione, che sono trattate nella Corte; delle quali parlando, doppo narrati diversi inconvenienti, conchiude, ch'in quella Corte sono trattate le cause con varij tedij, miserie, fatiche, e spese, e per tanto, che gl'Inquisiti non si curino d'andar alla Corte à trattar cause, se non confidano nella Borsa piena, e nei gran favori. Queste sono parole del Direttorio. Si può credere, che la Giustizia sia con maggior sincerità amministrata nei tempi presenti, che all'hora: mà insieme anco tener per certo, che non vi sia minor bontà, e sufficienza in questo Stato, e che le cause siano così giustamente, e rettamente trattate, com'in qualsivoglia altro luogo, siche non faccia bisogno mai lasciar giudicar altrove quelli che sono ritenti in questo Dominio.

L'altra parte, di non mandar i Processi altrove, hà per fondamento ciò che è stato detto sopra questo Capitolo, e sopra il precedente. Perche se li retenti devono esser giudicati nello Stato, ed il giudizio dev'esser fatto dal medesimo Tribunale, e non ricevuto d'altrove, non resta causa, perche si devino mandar fuori Processi. Ben convien distinguere li Processi formati contra li Retenti qui, overo contra li citati, e contumaci: imperoche questi sono quelli, che non devon essere communicati altrove. Mà gl'essamini, od altri atti fatti à petizione d'un altra Inquisizione contra alcun retento, o contumace, di quella, come atti non appartenenti à questo Dominio, devono esser mandati à chi li richiede. Non devono perciò gl'Assistenti concedere per modo alcuno, che etiandio questa sorte d'atti siano fatti senza la loro presenza, come nel Capitolo XIII. Si è detto, ed accio chè l'Offizio dell'Inquisizione, in tutto ciò che opera, lo faccia come misto, e non come puro ecclesiastico.

Il Cap. XVII. ch'il Vicario Pretorio, od altra persona Assistente in luogo dei Rettori, non faccia il Consultore, nasce dalle cose sudette, perche spesso può occorrere, che li Rettori impediti mandino un Curiale, se ben doverebbe avvenir pochissime volte: ma occorrendo ch'il Curiale Assistente facesse Offizio di Consultore, sarebbe nel Processo notato per tale, e per consequente come ministro del Offizio. Cosa che all'Assistente, che rappresenta il Prencipe, non conviene, e s'introdurebbe una consuetudine, per la quale l'Assistenza, che è una cosa superiore, sarebbe mutata in consulta, che è cosa inferiore.

Il Capitolo XVIII. che non sia concessa retenzione, se non in casi espressamente spettanti all'Offizio dell'Inquisizione, ed il Processo formato coll'Assistenza; e che in caso di dubio sia dato conto al Prencipe; non hà bisogno d'alcuna prova, poiche anco la medesima legge Canonica hà statuito, che l'Inquisizione non assumi casi senon di manifesta heresia: Anzi essendo per lege, ch'ogni Giudice habbia potestà di poter dichiarare, se tocca, o non tocca alla Giurisdizione sua un caso di che vi sia dubio. Li Dottori dicono, che l'Inquisizione non lo può fare, mà solo assumere li chiari, e circa li dubij lasciar ch'il Giudice ordinario determini se toccano à lui, o nò. Mà sicome questo Capitolo non hà bisogno di pruova, o dichiarazione, cosi hà bisogno di diligente osservanza. E cosa frequente, anzi ordinaria, ch'il Giudice di Giurisdizione limitata, cerca quanto può, e per ogni via, di estenderla, intaccando la Giurisdizione generale, tanto civile, quanto Ecclesiastica. E ciò avviene così per la naturale inclinazione di tutti gl'huomini à commandare quanto più possono, come anco per l'utilità, che l'Offizio riceve. Però, se gl'Inquisitori si dilatano oltre il debito naturale, sono più dà riprendere quelli che lo permetteno, se ben alle volte à buon fine, non mai però con prudenza. Alcuni credeno far maggior servizio à Dio, quanto più lasciano dilatar quell'autorità, e credono che sia un favorir la fede. Altri con buono zelo hanno permesso all'Inquisizione, che si assumesse la Bestemmia, li sortilegij, ed alcuni ancora le usure, sperando che dalla riputazione, e severità di quell'Offizio più facilmente fossero estirpati: mà l'evento hà mostrato, e sempre mostrarà il contrario, anzi che il servizio di Dio si diminuisce, e li delitti prendono maggior radice, e l'Offizio perde la riputazione. E se alcuna volta l'haver lasciato all'Inquisizione un caso non suo è riuscito in bene di presente, nel futuro hà causato tanti, e così gravi mali, che il Magistrato secolare è stato costretto, per mera necessità, à riassumere la conoscenza di quei delitti, che con poco giudicio haveva lasciati all'Inquisizione, non senza molte controversie, e contentioni di Giurisdizione, tra quell'Offizio, ed il proprio ordinario, accompagnato dà molte confusioni.

Non si deve credere, ch'il restringere tra li debiti termini l'Offizio dell'Inquisizione, ed il non permetterli di assumer casi, senon manifestamente spettanti à lui, e procedere con la presenza di chi di raggione hà dà intervenire, ed altre tali modificazioni, sia un diminuirlo, overo abusarlo: anzi tutto il contrario, questa è la via d'innalzarlo, farlo maggiormente riverire, e conservarlo perpetuo. In quelle Regioni dove altre volte era, ed al presente è scacciato, non per altra causa ciò è avvenuto, senon per haversi assonto tanto, ch'era intollerabile al popolo. Ogn'uno sopporta spontaneamente un legame raggionevole: mà un eccessivo, non v'è chi non cerchi per ogni via, etiandio indiretta, di liberarsene. L'antica narrazione del Groppo, o Nodo Gordiano, che non potendosi sciorre fù tagliato, si applica à tutti i legami, ed oblighi humani, liquali, se sono in tal forma, che li costretti ingiustamente habbiano modo di liberarsi con le vie ordinarie della Giustizia, sono tolerate: mà quando non vi sia modo ordinario, si ricorre all'istraordinari, alle sedizioni, & altre pesti. Quel Spartano disse, che l'haver ristretto l'autorita Regia, non era stato diminuirla, mà farla più durevole. Perciò si deve credere per certo, che è servizio di Dio il rittener quell'Offizio tanto necessario per conservazione della Religione tra li suoi termini, e ch'il concederli autorità essorbitante, credendo che ciò sia un favorir la fede, è zelo indiscreto, atto à terminare in dishonor divino, danno della fede, e confusione publica. Ed in questo felicissimo Stato con molto servizio di Dio si è conservato pergli ordini, che di tempo in tempo la Serenissima Republica hà fatto per ovviare à gl'abusi che s'introducevano, amplificando l'autorità più del dovere. E mentre li medesimi ordini si osserveranno, e si rimedierà à qualch'altro abuso, ch'alla giornata nascesse, si conservarà tuttavia con gl'istessi frutti.

Il Capitolo XIX. Che li sortilegi, ed indovinazioni non appartenghino all'Inquisizione, è senza difficoltà alcuna, perche le medesime legi([9]) Canoniche prohibiscono à gl'Inquisitori l'intromettersene, se non contengono heresia manifesta. Mà tanto più sarà bisogno, dar esecuzione à ciò, quanto che le persone imputate di tali delitti saranno donne, od altre deboli di cervello, che hanno più bisogno d'esser instrutte, ed insegnate dal Confessore, che castigate dal Giudice; e massime, se oltre ciò saranno persone honorate, quali non è condecente, con scandalo, e sturbo della casa far andare per li Tribunali. La medesima diligenza si doverà havere, che dal Tribunale dell'Inquisizione non siano assonti i Casi delle stregherie, come si dice nel Capitolo XX. o di Bestemmie ordinarie, secondo che è detto nel Capitolo XXI. poiche già per le leggi Civili, e Canoniche, e per l'uso di tutto il mondo è deciso, che non appartengono all'Inquisizione. Ne ciò è posto in dubio dà alcuno, stante la chiarezza delle leggi.

Intorno alle stregherie malefiche, l'Eccellentissimo maggior Consiglio ordinò che fussero punite dal Magistrato, perche le pene Ecclesiastiche non sono sofficiente gastigo di così gran sceleratezza, l'istessa raggione mosse l'Eccellentissimo Senato à deliberare il medesimo nei casi di Bestemmia hereticale, del 1595. La deliberazione del quale fù molto matura, e doppo haver havuto il parere de gli publici Consultori di quel tempo: lequali due deliberazioni non levano, ne impediscono la conoscenza, e sentenza dell'Inquisizione, per la qualità del sospetto d'heresia, come nel Capitolo si dice: Mà lasciata quella circonstanza al giudizio di quel Tribunale, puniscono il delitto che resterebbe impunito, per non haver l'Ecclesiastico pena corrispondente: laqual cosa non è d'alcun impedimento all'Offizio dell'heresia, mà ben è castigo dell'ingiurie fatte à Dio, e danni dati al prossimo. Vorrebbono alcuni Inquisitori, che non tanto l'indizio dell'heresia, mà anco il delitto del malefizio, e Bestemmia restasse al lor giudizio, ed usano perciò due raggioni. L'una, che quando nel delitto vi è il principale, e l'accessorio, il principale deve tirar à se l'altro: Mà nelle Bestemmie hereticali, essendo il sospetto d'heresia principale spettante all'Inquisizione, doverà spettar à lei ancora la Bestemmia che è accessoria. L'altra, perche pare loro troppa severità punir un delitto con due sentenze, ed allegano il commun detto, che non si dà due Giudici contra il medesimo fallo. Mà è facile à risolvere queste opposizioni. La prima, perche presuposto anco, ch'il sospetto d'heresia fosse il principale, la qual cosa san Tomaso non ammette, con tutto ciò non è necessario, che tiri seco la Bestemmia, non essendo tanto connessi, che non si possino separare, e non si possa haver conoscenza giudiziale d'uno senza conoscer dell'altro. La raggione haverebbe apparenza, se non si potesse giudicar la Bestemmia senza conoscer il sospetto: mà il secolare può molto ben ricever le persone, ed interrogar il reo sopra le parole ingiuriose dette contra la Maestà divina, senza passar all'intendere, qual sia la sua fede, e ciò ch'egli porti nell'animo. Adunque non vi è quella connessione trà la Bestemmia, e l'inquirere d'heresia, che non si possino separare, e ciascuna essere giudicata nel Foro suo, e competente. Il simile si deve dire, quando le parole sante, e divine sono poste in derisione, com'in Salmi trasformati, che il secolare conosce dell'ingiuria fatta à Dio solamente, lasciando poi all'Inquisizione il trattare, se da ciò si possa presupporre, che il delinquente habbia fede perversa. E nell'offese fatte contra le sante imagini, con ferire, od altre percosse, è molto più manifesto, atteso che il Magistrato non punisce, senon quell'atto esterno, con che è stato ingiuriato Christo nell'Imagine sua, rimettendo all'Inquisizione il conoscere, se il trasgressore habbia peccato, perche crede à quelche([10]) perversa dottrina, o per sola malizia di volontà.

Ed à questo proposito è ben considerare quì, che Bestemmia hereticale non significa l'istesso, che Bestemmia atroce: Più atroce è quella che è più grave, e di maggior ingiuria: più hereticale quella donde nasce maggior sospetto d'heresia, se bene in se fosse minore.

Il Magistrato secolare guarda l'atrocità, e punisce maggiormente quella, che è più ingiuriosa. L'Inquisizione hà rispetto al sospetto maggiore, che porta seco indizio più potente, che vi sia errore nella mente, se bene in se non fosse tanto ingiuriosa, e per questa causa alle volte, farà maggior capitale di parole dette contra li santi, che contra la Maestà Divina. Dall'Inquisizione la maggior pena che si dia, è condannare il Bestemmiatore all'abiurazione, la quale se è persona bassa, si può dire, che non sia pena di sorte alcuna. E per questa causa, acciochè trasgressioni tanto importanti non restassero impunite con scandolo, e mal essempio, è giusta, e necessaria la deliberazione publica, che il Magistrato giudichi la Bestemmia, e lasciar all'Inquisizione l'indizio d'heresia.

Mà ciò che pare assurdo ad alcuni, cio è, che due Giudizij si facciano nella medesima causa, non è inconveniente, quando le pene imposte non sono dell'istesso genere, ed il fine delli pregiudizi sia diverso. La medesima causa può essere giudicata in Civile, e poi in Criminale. Il fine del Civil Giudizio è dare il suo, à chi s'aspetta. Il fine del Criminale, è castigar l'usurpatore. Così ne' casi di Bestemmia hereticale, il fine dell'Inquisizione è, s'il Bestemmiatore hà falsa credenza, insegnarli la vera, ed assolverlo dalle censure incorse, per haver tenuto la falsa. Il fine del Magistrato non mira, senon à punir l'ingiuria fatta alla Maestà Divina. Le pene che l'Inquisizione impone sono spirituali, Abiurazioni, Assoluzioni, o Raggioni: e le pene ch'impone il Magistrato sono corporali. Anzi si può dir ancora, che non sia far due Giudizi nella causa stessa, mà in due cause separate, giudicando il Magistrato il delitto della Bestemmia, e gastigandolo con pena corporale: dove l'Inquisizione tralasciato il delitto, giudica la qualità del sospetto, e lo punisce con pena spirituale.

Alcuni Inquisitori, che per più ostendere la Giurisdizione, pretendono appartener al loro Offizio il delitto di pigliar due mogli, del quale parla il Capitolo XXII usano per raggione, che ciò è un abuso del matrimonio, il quale è sagramento: e che in Ispagna, il caso è riservato all'Offizio dell'Inquisizione. Dall'altro canto è la commune opinione de' Giurisconsulti, liquali attendendo che nelle leggi è imposta la pena à tal delitto, e nelle Leggi Canoniche non se ne parla; conchiudono per necessaria consequenza, che appartenga al foro secolare, e così si osserva anco in tutti i Tribunali, etiandio nello Stato di Milano, dove l'Inquisizione hà più dilatato l'autorità sua, che in qualsivoglia altro luogo. La raggione addotta in contrario, che ciò sia abuso del sagramento del matrimonio, non conchiude niente, imperoche la prima moglie è ricevuta in vero matrimonio, e sagramento, ed à questo non avviene abuso alcuno. Nel pigliar poi la seconda non interviene nè sagramento, nè matrimonio, nè contratto di qualsivoglia sorte spirituale, mà una sola nullità fatta De facto, non De iure: onde non si può dire, che vi sia abuso del sagramento, nè quanto all'atto primo, nè quanto al secondo. Ben si può dire, che col secondo atto scelerato di pigliar un altra moglie, si fà ingiuria al primo, che fù sacramento, e con ciò è verissimo. Mà l'ingiuria fatta al sacramento del Matrimonio non appartiene all'Inquisizione, perche l'Adulterio è ingiuria al sacramento, e nondimeno non tocca all'Inquisizione il giudicarlo. E se alcuno volesse haver per indizio d'heresia il pigliar due mogli, inferendo che chi lo fà habbia opinione che ciò sia lecito, con questa raggione tirerebbe all'Inquisizione tutti li casi, perche anco si potrebbe dire, che l'Adulterio, od il Ladro commettono quelle sceleratezze, con opinione che siano cose lecite, e tra gl'altri bisognerebbe metter all'Inquisizione tutti li Zingheri che fanno la vita loro nel furto, ed i ladri dà strada maggiormente. Mà tutto il contrario si deve sempre presupporre, che ogni peccatore habbia la vera fede, e dottrina Cattolica, e pecchi o per fragilità, o per malizia, o per altro effetto humano, e per tanto deva esser punito dal suo Giudice ordinario: e ciò conviene anche osservare in chi hà più mogli, senon apparirà qualch'altro indizio di perversa fede. E non è vero, ch'in Ispagna sia riservato il caso assolutamente all'Inquisizione, anzi è punito ordinariamente dal secolare con pena di Bollo di ferro infuocato in fronte. Mà perche gl'Hebrei, e Mori hanno per lecito la pluralità delle mogli, quelli di razza d'Hebrei, o Mori sono essaminati all'Inquisizione per l'Indizio, e poi puniti col Bollo per il delitto. Così qui ancora. Se alcun Hebreo, o Turco fatto Christiano si ritrovasse haver più mogli, si potrebbe (come nel Capitolo si dice) per l'indizio procedere all'Inquisizione, e per il delitto al Foro ordinario. Mà quando, o per carnalità, o per rubbar la dote, ed altri simili rispetti alcuno hà prese la seconda moglie, si deve senza circuizione procedere, facendo la Giustizia al Foro secolare ordinario, e punire il delitto, come ricerca la qualità delle particolari circonstanze, anteponendo la commune opinione de' Giureconsulti, e l'uso universale de' Giudizij ai iavilli([11]) inventati per confonder le giurisdizioni.

Nei casi d'usura, come si dice nel Capitolo XXIII. è di raggione indubitata, che l'Inquisizione non s'intrometta. Così hanno risposto molti Pontefici Romani, à gl'Inquisitori, che dissegnavano tirar al loro Offizio li casi, e questioni d'usura, ed il Decreto è anco registrato nella legge Canonica, dove per escludere assolutamente ogni caso d'usura dall'Inquisizione, ed ovviare ch'indirettamente, e sotto buon colore, non fosse tentato il giudicare alcuno, dice il Pontefice, che quantunque l'Inquisizione à qualche heretico convertito havesse dato per penitenza, che havendo fatto usure le restituisce, con tutto ciò manco contra quello possa intromettersi in simili casi. E certo per servizio di Dio, e riputazione dell'Offizio, è utile ogni diligenza per tenerli lontane le cause pecuniarie: Onde essendo questo Capitolo cosi chiaro, non occorre dirn'altro.

Che li Giudei, ed altri infedeli, per niuna causa siano soggetti all'Offizio dell'Inquisizione, mà solo al foro secolare, secondo che nel Capitolo XXIV. si dispose. Già fù dall'Apostolo san Paolo detto chiaramente, che l'autorità Ecclesiastica non s'estende à giudicar quelli che non sono nella Chiesa. E tanto è stato tennuto, ed osservato, etiandio in quest'ultimi tempi. Papa Innocenzio III. dichiarò, che non erano soggetti alla legge, nè manco ad esser giudicati, poichè in virtù della Legge il Giudice essercita l'Offizio. Oltre ciò gl'Infedeli, di qualsivoglia sorte, non sono capaci di pene spirituali, e per tanto non soggetti alla Chiesa, che punisce con quelle. Nel Capo delle Leggi Civili vi sono le prohibizioni, e pene contra li Giudei, che Bestemmiano, od ingiuriano la Religione, che tirano li Christiani al Giudaismo, che violano le cose sacre, che offendono li Giudei fatti Christiani. E li Pontefici Romani medesimi, contra li Giudei ed altri infedeli delinquenti in danno, o vituperio della Religione, non hanno usato altro mezzo, ch'eccitar i Prencipi, e Magistrati secolari à far il loro debito in punirli. Di ciò vi sono molti Decreti nella legge Canonica. Qualche Prencipe per scaricarsi della molestia di giudicar tali cause, le hà delegate alli Vescovi: il che non è piacciuto alli sommi Pontefici.

Havendo il Rè di Sicilia delegato alli Vescovi del suo Regno autorità di castigar i Saraceni del suo Regno, in certi casi dove offendevano la Religione; Papa Alessandro Terzo scrisse loro, che punissero solo quei delitti dove bastava la pena pecuniaria, o di Frusta, senza sangue. Mà se il delitto fosse meritevole di maggior pena, non se ne intromettessero, mà lasciassero il Giudizio alla potestà temporale.

A questa verità stabilita con l'autorità di san Paolo citata di sopra, con le Leggi Civili, e Canoniche, e coll'uso, non doverebbe dà nissuno esser fatto tentativo in contrario. Con tutto ciò l'appetito d'allargar l'autorità accieca alcuni, che senza aver riguardo à tanta chiarezza si voltano à cavilli di niun momento, e dicono, che se Dio punisce, ed hà punito gl'infedeli, si deve, e può punire anco il Papa, e gl'Inquisitori suoi delegati: Raggione laquale provarebbe ch'in tutte le sorti de' delitti, essi potessero punir fedeli, ed Infedeli, ed ogni sorte di delinquenti, etiandio occultissimi, anco li peccati conceputi nella sola mente, perche Dio punisce tutti questi. La verità è, che Christo alli suoi Vicarij non hà dato potestà senon nella chiesa, e nelle cose spirituali, e pertanto non possono giudicare senon Christiani, nè punirli, salvo di pena spirituale. Le pene temporali, Dio le hà commesse alla Potestà secolare, per castigo d'ogni sorte di delitto, e contra ogni delinquente, sia di che Religione esser si voglia. E certo, il volere dalla Omnipotenza Divina far argomento all'autorità humana, non è con tutta la riverenza dovuta alla Divina Maestà. Mà un altra cosa di più si hà dà considerare, perche essi dicono che quantunque gl'Infedeli non siano sudditi all'Ecclesiastico, nondimeno quando offendono la Chiesa, la raggion vuole, che ella possa diffendersi castigandoli, per esser termine legale, che chi non è suddito d'un territorio, per ragione di delitto commesso in quello, diventi soggetto. Lequali cose ben intese sono tutte verissime, non però conchiudono in questo proposito. Non si deve negare alla chiesa il diffendersi s'ella è offesa, mà lo deve fare con ogni offensore per mezzo del Magistrato. Non deve l'infedele, che viola le cose sacre, che offende la Religione restar impunito; e la Chiesa può diffendersi, non con le proprie forze, mà con l'autorità del Magistrato. Il dar il castigo non appartiene all'offeso, mà sempre al Giudice: E quando per delitto il delinquente sortisse il Foro, non doventa soggetto all'offeso, altrimente ogni privato potrebbe castigar chi l'offende, mà divien soggetto al Giudice del luogo dove il delitto è commesso. Onde queste raggioni non provano altro, senon che l'offesa fatta dà gl'Infedeli alla Chiesa, dev'esser punita dal Foro ordinario secolare, e tanto più si doverà ciò osservare, che le leggi Divine, ed humane dispongono, quando simil sorte di delitti sono meritevoli di pene maggiori, com'in vero simili delitti, per lo più, così atroci sono, che ricercano pena maggiore di quella, che l'Inquisizione darebbe.

Del 1581. Papa Gregorio XIII. formò una Bolla contra gl'Hebrei, nella quale sottopose loro, e tutti gl'altri infedeli, al Giudizio dell'Inquisizione in dieci casi, stesi anco tanto ampiamente, che quando fosse osservata, niun infedele potrebbe habitare, ne men negoziare in Terra de' Christiani. La Bolla, se ben è stampata, in pochi luoghi fù publicata, o ricevuta, e sarebb'impossibile osservarla. Anzi li Pontefici Sisto V. e Clemente VIII. senza haver riguardo à quella, diedero salvi condotti à Marani per la Città d'Ancona. E ciò che più di tutto importa, nella commissione che si dà dalla Congregazione de' Cardinali à gl'Inquisitori, nella quale è espresso tutto ciò in che s'estende la loro Autorità. D'Hebrei, o d'altri infedeli non si fà minima menzione. Argomento manifesto, che non puonno pretendere potestà sopra loro. Mà di quella Bolla di Gregorio XIII. e di altre sarà più opportuno parlarne à lungo sopra il Capitolo XXVIII. In somma, per ciò ch'à questo Capitolo s'aspetta l'Offizio dell'Inquisizione, è constituito contra l'heresia, però non conviene che sia allargato ad altri delitti.

L'infedeltà non è Heresia, e le trasgressioni che gl'Infedeli commettono in offesa, e vituperio della Fede, non hanno bisogno di cognizione Ecclesiastica. Possono benissimo esser conosciute, e punite dal secolare: Percio è dovere che così sia osservato, essendo commandato della Legge Divina, Canonica, e Civile.

Cap. XXV. L'Offizio dell'Inquisizione fuori di questo stato pretende giudicare li Christiani Orientali, in qualunque articolo, etiandio ove la Nazione tutta dissente dalla Corte Romana. In questo Serenissimo Dominio, havendo riguardo alla Prottezione, ch'il Prencipe hà della Nazione Greca, gl'Inquisitori non estendono le loro pretensioni tant'oltre, solo dicono, Alli Greci si puonno tolerare quelle tre opinioni, nelle quali dissentono dà gl'Occidentali: mà se alcuno di loro tenesse sinistra opinione, in quei capi dove la Nazione loro conviene con noi, ciò dev'esser soggetto all'Inquisizione. La qual distinzione è soverchia, e non meno opposta alla prottezione del Prencipe, che se fossero giudicati nelle tre cose differenti. Superflua, perch'al presente tra Greci, non essendovi heresia di sorte alcuna intorno gl'articoli communi, il caso non può occorrere contra la protezione, perche il Rito loro li obliga, à non riconoscere per superiore in cosa alcuna altri, che li Preti loro proprij: laqual cosa, se sia giusto mantennerla, o nò, si può benissimo decidere con i Canoni della chiesa Universale, e con le consuetudini sempre osservate. Furono anche le Chiese Orientale, ed Occidentale in communione e carità Christiana per lo spazio di novecento, e più anni, nei quali tempi il Pontefice Romano era riverito, ed osservato, non meno dà Greci, che dà Latini, era riconosciuto per successore di san Pietro, e per primo tra tutti li Vescovi Orientali Cattolici. Nelle persecuzioni de' gl'Heretici imploravano l'aiuto suo, e dei Vescovi d'Italia, e la Pace si conservava con facilità, perche la suprema potestà era nei Canoni, ai quali l'una parte, e l'altra si professava soggetta. La disciplina Ecclesiastica era severamente mantennuta in ciascuna Regione dalli Prelati proprij di essa, non arbitrariamente, mà assolutamente, secondo la disposizione, ed il rigor Canonico, non mettendo mano alcuno nel governo dell'altro, aiutandosi l'un l'altro per l'osservanza dei Canoni. In quei tempi mai alcun Pontefice Romano pretese di conferir Beneficij nelle diocesi degl'altri Vescovi. Ne la Corte, all'hora, haveva introdotto il cavar danari dà gl'altri, per via di dispense, e Bolle. Immediatamente, che la Corte Romana entrò in pretensione di non esser soggetta alli Canoni, mà che per arbitrio suo potesse mutare ogni antica disposizione delli Padri, dei Concili, e delli Apostoli ancora, e che tentò in luogo dell'antico Primato della Sede Apostolica introdurre un Dominio assoluto, non regolato dà alcuna Legge, o Canone, la divisione nacque, e quantunque da settecento anni in quà più volte sia stata tentata la riunione, e pace, non si è potuto effettuar mai, perche si è atteso alle dispute, e non à levar quell'abuso, che fà la vera occasione d'introdur divisione, e che è la vera causa di mantennerla ancora. Mentre le chiese furono unite, la dottrina di san Paolo fù dà tutti unitamente tenuta, ed osservata, che nelle cose del publico governo ciascun fosse soggetto al Prencipe, perche così commanda Dio, il quale è disubidito dà chi non obedisce alla potestà constituita dà lui, per governo del genere humano. Mai alcuno hebbe pretensione di non poter essere castigato de' suoi delitti, havendo per troppo chiaro, che l'essenzione per poter far male, è cosa dannata dà Dio, e dà gl'huomini. Erano in bocca di tutti le parole di San Paolo, cio è: Vuoi tu esser essente dà temer la Potestà temporale? Opera bene, che non solo non sarai punito, anzi sarai lodato dà quella: Mà se operarai male, devi temerla, perche non li è stata data vanamente la spada della Giustizia in ministero Divino per vindicar l'opere mal fatte. Doppo la divisione delle Chiese, nell'Orientale restò la medesima opinione ancora, e dura sin al presente, cio è, che ogni Christiano, quanto alle cose spirituali solamente è sottoposto all'Ecclesiastico: mà nelle temporali al Prencipe; e nissuna cosa è più temporale, che il delitto, perche niuna cosa è più contraria allo spirito. Continua ancora appò i Greci la Dottrina, che li Vescovi devino giudicare, qual opinione sia Cattolica, e qual heretica: mà che il castigar quelli che professano le opinione dannose, sia del secolare. Hora, stante la verità delle sudette cose, che sono manifeste, e chiare, per quattro raggioni, l'Inquisizione non deve intromettersi nei Greci.

La prima, perche mentre una causa verte indecisa, non è raggionevole che una parte sia giudicata dall'altra, in quella loro lite propria. Mà questa è la lite de Greci con la Corte Romana, che essi domandano l'osservanza dei Canoni. Adunque non puonno li Greci esser giudicati dai ministri Romani in questa controversia.

La seconda, perche gl'è certo, ch'innanzi la divisione, li Greci erano soggetti nei Giudizij temporali al Magistrato secolare, e nelli spirituali alli superiori loro. Adunque è giusto, che li sia osservata la loro raggione, e consuetudine.

La terza, perche concedendo il Prencipe all'Inquisizione il giudicar i Greci, priverebbe se dell'autorità propria, che può essercitare con quiete, e permetterebbe che fosse essercitata dà altri con turbazione. L'autorità di punir i delitti in materia di Religione nella Chiesa Greca sempre è stata nel Prencipe, e li Greci di questi tempi così confessano, e desiderano che si continui: onde con quiete la Giustizia può essere amministrata dal Magistrato, che il lasciarla all'Inquisizione, con contradizione di tutta la Nazione porterebbe in consequenza mille inconvenienti.

La quarta, perche la Serenissima Republica concede a' Greci di vivere secondo il Rito loro. Mà il lor Rito commanda, che nelle cose secolari, e nelle pene di qualsivoglia delitto siano soggetti al Prencipe temporale, ed ubbidiscano ai loro Preti nelle spirituali. Adunque, salva la protezione promessali non puonno essere soggetti ad altri. Perilche non è dà permettere, che l'Inquisizione voglia investigare ciò che' li Greci faccino, o credino in secreto. E se li và à gl'orecchi, ch'alcuno d'essi viva, o parli con scandalo dei Latini, hanno modo pronto e facile dà rimediarvi, che è notificarlo al Magistrato, del quale la Giustizia sarà amministrata, e massime in materia così importante, qual è provedere a' scandali, e tumulti.

 

Il XXVI. Capitolo, che non sia citata publicamente persona andata di là dai monti per imputazione di delitto commesso in quelle Regioni. A prima faccia pare cosa, che non possa occorrere, ed occorrendo sia di leggier momento: nondimeno quando fosse aperta la porta, sarebbe frequentissima, e di somma importanza. Papa Clemente VIII. del 1595. fece una Bolla sopra gl'Italiani solamente, commandando, che nissuno, etiandio per mercanzie, possa andar in luogo dove non vi sia Paroco, e Chiesa publica, che esserciti il Rito Romano, se non haverà licenza dà gl'Inquisitori; aggiungendo, che quelli à chi sarà data, siano tennuti ogn'anno à mandar all'Inquisizione fede autentica di essersi confessati, e communicati. Per introdurre l'osservanza di questa Bolla, quando capita di là dà monti alcun Italiano, immediatamente li Gesuiti li sono attorno, dell'esser andato là senza licenza, e se quel tale non si rende à loro, promettendoli obbedienza, e contributione, essaminano contro di lui due de' suoi adherenti, e formano un Processo secreto, che mandano à Roma, sopra'l quale scrivesi dà Roma all'Inquisitore del luogo dell'origine, che lo chiami con publica citazione. Questa citatione altre volte solevano farla all'Inquisizione di Roma; adesso se ne guardano, perche le Città oltramontane si risentono, procedendo contra qualche adherente della Corte Romana; e per levarsi dà questo pericolo, non citano più à Roma, mà vogliono che si faccia al luogo dell'origine. Questa invenzione, se ben colorata di Religione, mira à far la Corte Romana Padrona, in Italia, della mercanzia oltramontana, si come già trecent'anni sono, ridusse sotto di se, con minor pretesto, la mercanzia di Levante.

Non sarà fuor di proposito narrar quì, ciò che si fece all'hora, e che essito havesse, massime in questa Città, acciò sia meglio penetrato ciò ch'al presente si opera. Essendo già prohibito il portar armi, od altro instrumento à gl'infedeli, con che potessero far guerra alli Christiani, il Decreto come honesto fù ricevuto dà tutti. La pronta obbedienza del mondo diede speranza à Papa Clemente V. di poter far un passo innanzi. Onde del 1307. publicò una Bolla, e commandò che niuno potesse portar mercanzia, di qualsivoglia sorte, alli paesi di Levante, ne meno lasciarle partir dai Porti, per andar à quel viaggio, sotto censura di scommunica, ed altre pene gravissime spirituali, e temporali; e tra le altre, che nissuno, che havesse portato, o lasciato portar mercanzie di qualsivoglia sorte, potesse esser assolto, senon pagando prima precisamente tanto quanto montava il Capitale portato.

La difficoltà, per non dire impossibilità, d'osservare così rigido ordine, fece ch'in Venezia li contrafattori fussero molti, liquali in vita ci pensavano poco; mà in caso di morte, per ricever l'assoluzione lasciavano, secondo il commandamento del Papa, che fosse pagata la contrafazione, e non mancavano li Confessori di far efficaci offizi. Perciò negando l'assoluzione à chì non pagava, o non lasciava che fosse pagato quanto haveva portato di Capitale in Levante; molti che havevano fatto il viaggio più volte, si vedevano debitori, anco di più di quanto si trovavano havere alla morte. Perilche per testamento, per scarico della conscienza, lasciavano tutto il suo alla disposizione del Papa. Gl'Eredi, e li Commissari differivano l'essecuzione dei testamenti, vedendosi tendere alla destruzione delle famiglie, e del publico, massime che non mancavano, che li havevano per nulli, ed estinti. Per questa causa il credito del Papa, in quindici anni, crebbe à somma bastante per vuotar la Città di danari, alliquali havendo applicato l'animo Papa Giovanni XXII. suo successore, che dà ogni parte ne congregava all'hora, cioè del 1322. mandò à Venezia Ardenaro Largo, e Falcone Cestario Nunzi, con ordine di riscuotere ciò, che per testamento era stato lasciato alla disposizione del Papa, constringendo li Notari, ed altri di produr li testamenti, scommunicando chi non li consegnava. Oltre ciò, diede anco commissione ai Nunzij di provedere, e denunziare scommunicati tutti li viventi, che havessero navigato, e di assolverli pagando il capitale della mercanzia portata. Questi Nunzij, venuti à Venezia, ed havendo eretto un Tribunale, fecero diverse essorbitanze, fra le quali una fù, che scommunicarono nominatamente li Procuratori di San Marco, e più di dugent'altri, tra huomini, e donne, per le cause sudette. Li Consultori di quel tempo, tra li quali fù un Andrea Vescovo di Chiozza, consigliarono, che l'azione dei Nunzi non erano legitime, e proposero d'ovviare, con appellazioni, ed altri rimedi, che si eseguirono: ed il tentativo dei Nunzi non hebbe effetto. Restarono solo molti inconvenienti, com'in simili azioni avviene, liquali continuando per due anni con grave pericolo, fù costretto il Pontefice d'applicarvi rimedio; il quale fù più grave del male. Fece una Bolla, del 1324. confessando, che l'azioni dei Nunzij suoi erano state essorbitanti, sospese tutte le censure pronunciate dà loro, e diede commissione all'Arcivescovo di Ravenna per l'essecuzione, commandandoli doppo, che dovesse assegnar un tempo conveniente à gl'huomini, e donne censurate dalli Nunzij per tal causa, di comparire nella Corte Romana, che era in Avignone, od in persona, o per Procuratore, à trattar le cause loro, niuno eccettuato, salvo ch'il Doge, ed il Commune. Era un bell'aumento della Corte, ch'in una sol volta andassero à quella dugento, e più persone per cause pecuniarie di tanto peso. Mà ciò che avvenisse, e se il Pontefice fosse ubbidito dà pochi, o dà molti, non l'ho potuto giustificare: mà ben resta chiarezza, che all'hora si levò un opinione, laqual diceva, ch'il portar mercanzie à gl'infedeli non era peccato, purche non fossero cose per servicio della guerra, e che però il Papa non poteva vietarlo. Dal che mosso egli, del 1326. fece una Bolla dichiarando heretici tutti quelli che dicevano non esser peccato il portar ad infedeli le mercanzie, etiandio che non possino servir alla guerra. Mà in quel tempo le controversie, che quel Pontefice haveva coll'Imperadore, passarono à guerra manifesta: ond'egli in tutto il rimanente di sua vita (come scrive Ludovico Bavaro) restando in maggior cose occupato, non puote pensare à ciò.

Sotto il successore trovossi temperamento perch'egli aprì la mano, non à rivocar il Decreto, come sarebbe stato giusto, mà à conceder licenze. E la Serenissima Republica le domandava, e li erano concesse, hora per un anno, hora per più lungo tempo, mà determinato; ed alle volte restringendo il numero dei navili, allevolte([12]) lasciandolo in libertà. E queste licenze costavano, mà non è sempre chiaro il quanto. Dirò però in questo particolare, che per una licenza concessa dà Papa Innocenzo VI. del 1362. si patuì di pagare 9000. ducati d'oro di Camera, allegando, che non si poteva far à meno, perche la Camera Apostolica era esausta, ed in bisogno. Durò questo gravame sin poco doppo il 1400. che all'hora essendo il mondo fatto chiaro della verità, ch'il mercantare era lecito, e libero, la Corte si ritirò delle sue pretensioni. Adesso per tentare, che nissuno vada senza licenza in terre, che non riconoscono il Papa, hanno un colore più apparente, che all'hora, dicendo, che si fà, accioche non s'imbevino della falsa dottrina, quasi che se haveranno una carta scritta, e suggellata, li deva essere un preservativo, e non possa occorrere, che si conservi intatto, chi anderà senza licenza, e sia impossibile che s'infetti quello che l'haverà. Onde si vede chiaro, ch'il negar l'andata in quei paesi senza sua licenza non è zelo di Religione, mà di dominare, e soggettarsi il secolare, e cavar qualche buon profitto. Se la giusta libertà del mercanteggiare non comporta questo gravame, non è dà permettere, che uno vinuto quì dà buon Cattolico, od andato di là dai monti, perche non habbia domandato licenza all'Inquisitore sia molestato, ed incommodato ne' suoi negozi per imputazione datali à Roma, con vergogna dei parenti che ne rimangono notati, massime ricusando essi di far la citazione à Roma, perche temono il risentimento delle Città oltramontane, che di ciò si reputano offese. Non è raggionevole, che si nascondino, & adossino ad altri ciò che è fatto per i loro proprij rispetti, e per queste vie indirette s'impatroniscano della mercanzia oltramontana. E però se alcun nativo di questo Dominio sarà vivuto dà buon Cattolico in questo paese, e per le sue occorrenze haverà passato i monti, sin che non torni, non è cosa giusta darli molestia alcuna, per relazione, che si habbia di lui.

Intorno al XXVII. Capitolo, che non sia ammessa la confiscazione in queste materie d'heresia, essendo già introdotto, e stabilito l'uso, senza contradizione, non fà bisogno senon continuare l'osservanza, poiche è di molto servizio di Dio, e della Religione; de' quali quando si tratta, è sempre cosa perniziosa il mescolarvi materia pecuniaria, perche dà ciò il mondo prende scandalo: e vedendo intervenir il dinaro, non si può persuadere, se ben fosse vero, e chiaro, ch'il servizio di Dio tenga il primo luogo. Non resterà mai la Corte Romana, in tutte l'occorrenze di biasimar quell'ordinazione, parendoli, che la moderazione statuita dalla Serenissima Republica rinfacci l'ordinazione Romana di troppa severità. Ciò che in publico allegano è, che l'heresia è delitto di lesa Maestà Divina, laquale convien più vindicare che l'humana. Ond'è un pervertir l'ordine, quando si hà maggior pena à chi offende gl'huomini, che à chi offende Dio. E però confiscandoli i beni, per lesa Maestà humana, maggiormente devonsi confiscare per lesa Maestà Divina, nel qual delitto s'incorre per l'heresia. Mà quest'apparenza è un ombra senza corpo, perche condannerebbe le loro constituzioni, lequali perdonano il delitto d'heresia la prima volta, e pure non si perdona il delitto della Maestà humana offesa la prima volta: onde parrebbe che minor conto si tenesse dell'offesa di Dio, che de gl'huomini. Però la verità è, che nell'imposizione delle pene non si ha rispetto alla sola gravità del delitto, mà alle circonstanze ancora, del danno che porta à gl'altri, overo dell'inhonestà congionta, o della volontà del delinquente più perversa. La Maestà humana non è lesa, senon in certa malizia, e studio di chi l'offende. E l'heresia ben spesso è per ignoranza: onde questa merita compassione per il più, e quella mai. Le pene sono più per l'essempio de gl'altri, che per castigo del delinquente. La confiscazione dei Beni, per lesa Maestà humana spaventa gl'altri, e per amore de figli, almeno, si astengono, anteponendo il ben loro à gl'affetti, che li muovono contra il Prencipe. Mà nel caso d'heresia ad ogn'uno pare di muoversi per rispetto spirituale, e dà non posporre alla morte de' figlioli. L'evento dimostra, che per grazia divina questo felicissimo Stato con maggior sodisfazione universale resta tanto mondo dalla zizania hereticale, senza levar à nissuna la robba, quanto gl'altri dov'è levata con severità. Perilche non risguardando ordini, overo essempi d'altri, o ciò che dà alcuno sia detto, convien seguire gl'usi sperimentati dai buoni.

Il XXVIII. Capitolo, che non sia publicata Bolla, overo ordinazione di Roma, ne vecchia, ne nuova senza licenza espressa del Prencipe, è il più importante, e necessario avviso per conservar l'Offizio dell'Inquisizione. Sopra il qual Capitolo sporrò prima la raggione giuridica e reale, per laquale deva così osservarsi, con l'inconveniente chè ne seguirebbe, quando si facesse altrimente.

È cosa chiara, che sicome ciascuno può mutare per li suoi rispetti, à beneplacito proprio, gl'ordini di governare la giurisdizione, che è sua totalmente, senza dar parte, ne ricercar consenso d'altri: Cosi dove per contratto, e concordato tra due è eretto un Tribunale, e data una forma, non può un di loro, per qualsivoglia raggione, etiandio ottima, ed indubitata appò tutti far alcuna mutazione, senza il consenso dell'altro contrahente. Tale è la natura del Contratto, e concordato; che sicome riceve l'esistenza per il consenso delli contrahenti, così non può ricever mutazione pur minima, senza il consenso medesimo: Così se alcuna alterazione è necessaria per la mutazione de' tempi, o d'altra circonstanza: mà non può essere fatta legitimamente, se non da ambe le parti. Cosa chiara è, che l'Offizio dell'Inquisizione in questo Dominio è instituito per deliberazione del maggior Consiglio, e per consenso del Sommo Pontefice, fin del 1289. con le condizioni all'hora stabilite. Adunque nissuna novità successa doppo la può alterare, se li medesimi che convennero nell'Instituzione non accordino parinente([13]) insieme la mutazione. Perilche, se dalla Corte Romana vien decretata alcuna cosa di nuovo spettante à quella materia, non potrà estendere la sua forza sopra quell'Offizio, se non coll'assenso del Prencipe. Questa è la vera causa perche le Bolle, ed ordinazioni fatte à Roma, dà qual tempo in quà, non puonno obligare.

Ne quì si può allegar in contrario, che li diversi tempi ricercano diverse ordinazioni, e che li Pontefici per miglior governo doppo quel tempo hanno fatto altre leggi raggionevoli, che devono esser ricevute; Imperoche à ciò la risposta è chiara, che sicome non si può tener nel mondo cosa alcuna per immutabile, ed ogn'uso spesso dev'esser fatto, dà chi s'aspetta di raggione, e non dà altri. Se alcuno volesse reggere le cose communi dà se solo, quantunque con buona intenzione, ed anco con riuscita felice, sarebbe trasgressore delle leggi divine, ed humane.

La medesima raggione che costrinse nel principio ad instituire Inquisizione per concordato, costringe al presente, che non siano fatte nuove leggi, overo ordini, senon per concordato. Per dar forza ad una Legge, non basta che sia conveniente, e raggionevole, ma è ancora essenziale che sia constituita dà chi hà intiera autorità. Ne ciò si dice solamente per conservazione della potestà e Giurisdizione, mà anco per la necessità del buon governo. Non fù all'hora instituita l'Inquisizione con le medesime conditioni, come nel rimanente d'Italia, per esser altri li rispetti di questa Republica, e de gl'altri Stati. Adesso parimente li diversi rispetti operano, che ciò che è utile à Roma, alle volte non sia utile quì. Onde non sarà giusto subito eseguir in questo stato cio ch'il Pontefice haverà constituito, secondo li suoi rispetti, mà doverà esser prima considerato, se conviene alli rispetti di quì: laqual cosa altro che il Prencipe non può fare, come quello, che solo conosce il bisogno delle cose publiche. Perilche, quantunque la Bolla nuova, e vecchia paresse al Rettore honesta, ed utile, non però deve seguir in ciò il suo giudicio, essendo proprio del Prencipe solo di conoscer ciò che sia ispediente. Ne à Vescovi, od Inquisitori doverà parer grave, che ciò che è giusto, e legitimo sia eseguito col debito modo, e giudizio, e forma.

L'Inquisizione di Spagna, che parimente è per concordato instituita, procede in questa maniera medesima. Ha le sue leggi, ed usi proprij co' quali si regge, nè si altera, o riceve nuovi ordini dà Roma, mà se pel publici rispetti la Corte reputa che fosse ben introdurre alcuna cosa di nuovo in Spagna, la scrivono al Consiglio Generale Reggio sopra l'Inquisizione, dov'è consultata, e secondo che li rispetti di Spagna comportano è ricevuta, od in tutto, od in parte, od anco posta dà canto affatto.

Mà che l'osservanza di questo Capitolo sia necessaria, non solo per mantennimento della propria potestà, e giurisdizione, mà per ovviare ad una infinità d'inconvenienti, lo vederà chiaro, chi considerera l'infrascritte cose.

Prima, parlando delle Bolle già fatte, molte sono contrarie à gl'Instituti della Serenissima Republica, sicome quelle che commandano d'abbrusciar gl'heretici in publico, e vivi; la confiscazione de' beni con Censuri([14]) alli Prencipi, che non le ammettono; la demolitione della casa dove sarà trovato un heretico, quantunque non fosse sua; Che l'Inquisizione possa forsi dare sicurtà pecuniaria di vivere dà buon Cattolico à qualunque li sia sospetto; Che all'Inquisizione sia concessa Corte armata propria per quell'Offizio. Tutte queste sono ordinationi Pontifizie, contrarie alli costumi di questo Stato. Altre danno autorità eccessiva à gl'Inquisitori, come quelle lequali vogliono ch'habbia facoltà di dar licenza di portar armi, di far crocesegnati, lequali cose non si potrebbono metter in uso senza gran confusione, alcune sono tanto severe, che non puonno convenire al governo mite di questo Stato, come quella di Paolo IV. laqual non vuole, che sia perdonata la vita la prima volta à chì vorrà ridirsi, havendo tenuto uno delli cinque articoli nommati dà lui; ed un altra di Pio V. che nissuna sentenza fatta à favore dell'imputato, ritrovato innocente, possa passar in giudicato, etiandio, che fosse fatta doppo la purgatione Canonica, mà sempre l'Offizio possa riassumere la medesima causa, etiandio sopra solamente li medesimi indizij: laqual ordinatione mettendosi in uso sarebbe continuo tormento dei miseri e quell'altra del medesimo Pontefice, che qualunque offendesse, overo anco solamente minacciasse un Notaio, od altro Offiziale dell'Inquisizione, od un testimonio essaminato in quell'offizio, oltre la scommunica, sia reo di lesa Maestà in primo capo, e sia punito di pena capitale, li beni confiscati e li figlioli infami, ed incapaci di poter succedere ad altri per testamento: Allaqual pena sia soggetto qualunque, che non solo facesse fuggire di priggione, mà anco tentasse di farlo, se ben l'effetto non seguisse; e qualunque favorisce, od intercedesse per alcuno di questi tali; con altre clausule d'acerbissima severità, comprendendo anco persone titolate, e Prencipi. E pur questa è quella Bolla che fu fatta sino al 1569. nè mai fù ricevuta, ne publicata in questo Stato. Il Cardinal Arrigone, quarant'ott'anni doppo, cioè, del 1617. ordinò all'Inquisizione di questa Città di Venezia, che la stampasse, e publicasse: e si sarebbe eseguito, se gl'Illmi Rifformatori di quel tempo, per ordine anco dell'Eccellentissimo Collegio, non l'havessero prohibito. Ciascuno può considerare, quanti Processi si potrebbon fare per ogni parola che fosse detta ad uno delli Notai, testimoni, o denonziatori dà chi credesse esser offeso, e quanti miseri sarebbono cotidianamente vessati. Lungo sarebbe il narrar tutto ciò, che non convienne alli costumi di queste Regioni, e le sudette sono à bastanza, per mostrar, che senza turbare la publica tranquillità non si può riceverle generalmente tutte: ma se alcuna è necessaria, overo utile, per castigo d'heretici, è ben raggione che sia ricevuta. Il conoscer però qual sia tale, è proprio del Prencipe; ne altro lo può sapere, ne alcun deve confidare che possino esser ricevute' senza confusione, perche in Roma sono in vigore: e pur le cose passano quivi con quiete, essendo diverso lo Stato di Roma dà quello de gl'altri Prencipi. Li Romani dicono essere superiori à queste ordinazioni, se li pare li osservino; senon le tralascino, o le dispensino, e servino mirabilmente ai loro rispetti, così quando sono osservate, come quando sono trasgredite, perche dalle leggi non sono per regolarsi loro, mà essi regolano le leggi. Pel contrario ne gl'altri Stati, quando sono publicate, o ricevute, non sono più in potestà del Prencipe: se vede inconvenienti, per provedersi bisogna ricorrere à Roma, dove essi ascoltano, e rimediano, overo non rimediano, havendo rispetto, non à ciò che è utile allo Stato de gl'altri, mà al loro. E questo è quello che vorrebbe, ed ogni giorno tenta quella Corte, cioè, d'haver in sua mano, sotto colore di Religione l'amministrazione d'alcune cose, senza le quali gli Stati non puonno reggersi, perche mediante quelle resterebbe arbitra d'ogni governo. Per questa causa cotidianamente li Pontefici dicono, volendo far ricevere le loro ordinazioni, che se passarà inconveniente, s'habbia ricorso à loro, che rimedieranno. Mà il rimedio che non viene dal medesimo Prencipe, anzi dà chi hà altri interessi, è peggiore del male. Dio, l'opere di cui sono perfette, ed il quale è autore di tutti li Principati, dà ad ogn'uno tutta l'autorità necessaria per ben governare, nè vuole che sia riconosciuta dà altri che dà sua Divina Maestà. Tutto ciò ch'un Prencipe riconosce dà altri che dà Dio, è servitù, e soggezione.

Ciò è detto generalmente della considerazione, che si deve havere in publicare, e ricevere l'ordinazioni pontificie fatte già in questa materia d'heresia, mà molto più converrà usar diligenza intorno quelle che per l'avvenire si faranno. Delle già fatte il numero è determinato, si sà s'altrove sono ricevute o nò, in che osservanza sono, ch'interpretazione ricevono, dove mirano, che consequenza di buoni, o cattivi effetti possono seco portare. Mà per l'avvenire, se fosse lasciata libertà alla Corte, il numero s'accrescerebbe in infinito. Quando una di nuovo compare, non si sà se'l mondo la riceverà o nò: la mira di chi l'ha fabbricata, non è ancora scopperta, la sperienza non hà mostrato che effetti possa produrre, e però ogni dilazione, e maturità in riceverla, porterà utilità infinita. Non si dice che le nuove disposizioni raggionevoli non siano accettate, mà che ciò non si riceva per obligo, e come soggetti, mà per concerto, e trattato commune, richiedendo così l'instituzione di quest'Offizio, come si è detto, e con molta considerazione, per i gravissimi pericoli che portano seco le novità. La Corte Romana nel far nuove Bolle non usa grand'avvertimento. Con facilità si fanno, perche con facilità si revocano, o derogano, o dispensano, secondo il commodo delle cose loro, nelche riguardano alli proprij rispetti: mà ciò che è utile ad uno Stato non è profitevole all'altro. La salute di questo Dominio ricerca, che la Religione sia conservata inviolata in tutte le sue parti, ovviando od([15]) ogni mutazione, e novità di qualsivoglia sorte. Li rispetti di Roma ricercano, che non si faccia mutazione, per cui la potestà Pontificia sia diminuita, o la Corte perdi alcuna delle utilità che tira dà gl'altri Stati: mà le novità co' quali s'aumentasse il profitto della Corte, overo l'autorità temporale si diminuisce con l'essaltazione dell'Ecclesiastica, non sono abhorrite anzi procurate; e ciò vediamo ogni giorno. Trovasi questa Serenissima Republica, come anco gl'altri Regni Cattolici, tra due contrarii. Li protestanti, che non hanno altra mira che diminuir l'autorità Ecclesiastica, e la Corte, che non ha altro scopo che aumentarla, e rendersi la temporale serva. Onde li Regni, e Stati Cattolici, per conservarsi, ovviano ad ogni novità dall'una, o dall'altra parte, e mantengono la Religione senza mutazione alcuna, credendosi per chiara isperienza, che l'una, e l'altra novità sia perniciosa. Là riverenza che meritamente si porta alla Religione, causa che facilmente hanno ingresso gl'abusi, che entrano copperti di quel santo manto. Per mantennimento della Religione l'Offizio contra l'heresia è rispettato; e per questa causa, quando Roma vuol introdurre qualche novità, si vale volontieri di quell'Offizio, presuponendo che il vero fine non apparirà. E ciò è ben stato operato nell'istesso modo anco pel il passato, mà molto leggiermente, rispetto à ciò ch'al presente si fà. Con tutto ciò li Senatori di quei tempi sono stati diligenti: hanno voluto un Offizio contro l'heresia misto, si sono opposti ad ogni novità, non hanno permesso à gl'Ecclesiastici di far cosa alcuna non saputa, ne veduta, ne essaminata. Per tai vestigi convien che camini qualunque vuole che la Republica si conservi, non lasciando che nuove Bolle, overo Decreti siano accettati nello Stato, se prima con deliberazione matura non è certificato, che non siano per portar inconvenienti. La qual deliberazione è propria del Prencipe, che solo comprende lo stato delle cose publiche.

Circa il XXIX. che tratta di publicare una prohibizione de' libri, poiche il Concordato del 1596. resta, non si può metter in difficoltà: ma ben sarà necessario considerare, ch'essendo quel Concordato fatto con tanto essame, e maturità, così dal canto della Sede Apostolica, come dalla parte della Serenissima Republica, la materia dev'essere tenuta per grave. Durò quella negoziazione quattro mesi: dalla parte Pontificia v'intervennero il Cardinale, il Nunzio, e l'Inquisitore, e dall'altra i primi Senatori della Republica: argomenti chiari, ch'il negozio dà ambe le parti fù stimato di molto peso; e nondimeno con tutto che determinato col consenso commune non levò à gl'Ecclesiastici la speranza di mandarlo in oblivione, e dissuetudine. Per il che all'hora trattarono, che del Concordato non se ne stampassero senon sessanta coppie, e ciò non per altro, salvo, ch'essendo innumerabili gl'essemplari de gl'Indici che vanno per mano di tutti, ogn'uno vedesse quei documenti, che danno l'autorità sopra i libri à gl'Ecclesiastici solamente, e la moderazione del Concordato non fosse saputa senon da pochi, e finalmente si perdesse. E caminandosi con questi passi in Roma, non è anno, che sotto nome del Maestro del sacro Palazzo, non esca un Catalogo di nuova prohibizione, con clausule, che deva haver luogo in qualsivoglia Città, terre, e luoghi, di qualsivoglia Regno, Nazione, e popolo, e che oblighi ciascuno, etiandio senza publicatione, in qualsivoglia modo, o maniera, che verra à notizia l'Editto. Quest'Indice si manda à gl'Inquisitori, che per mezzo de' Confessori li facciano haver quell'essecuzione che possono: Ed in questa maniera il concordato è deluso, e camina all'inesecuzione. E cio che è peggio, quando l'indice di nuovo si stampa in questa Città, procurano d'inserirvi dentro quelle nuove prohibizioni; il che hanno anco tentato quest'anno, e se non sarà di continuo usata la diligenza, che al presente si usa, con queste maniere una volta faranno foro, ed apriranno strada à distruzione del concordato. I loro interessi, per farli assoluti Padroni dei libri, e li rispetti perche il secolare deve invigilare acciò non l'ottengano, se ben non appariscono à prima faccia, con leggiera considerazione si fanno manifesti. La materia de' libri, per cosa di poco momento, perche tratta di parole, mà dà queste parole vengono l'opinioni nel mondo, che causano la partialità, le sedizioni, e finalmente le guerre. Sono parole sì, mà che in consequenza tirano seco esserciti armati. In questa materia i Romani nasconder non puonno due loro pretensioni molto ardue. La prima, che così possino prohibir libri, non solo per causa di Religione, mà ancora per qualsivoglia altra. La seconda, che il Prencipe nello stato suo non possa prohibir alcun libro per qualsivoglia causa, e che se alcuno sarà approvato dà loro, non possa il Prencipe, se ben lo giudicasse nocivo, impedire che nello Stato suo non sia tenuto stampato, e publicamente venduto. E mettendo queste pretensioni in opera, fanno pregiudizio al temporale in tre particolari molto notabili.

Il Primo, prohibendo, overo corrompendo i libri buoni, ed utili per mantenner il buon governo. Secondo, prohibendo libri, che à loro non s'aspetta il prohibirli. Terzo, mettendo impedimento al secolare, che non possa rimuovere ciò che vede nocivo al buon governo. De' quali tre pregiudizi convien trattar particolarmente, per considerar li rimedij.

Intorno al Primo, sopra la prohibizione dei libri, che à Roma non piacciono, se ben sono buoni, e santi, perche diffendono la potestà temporale, è cosa chiara che il Prencipe, massime che regge coll'arti della pace, hà per instrumento principale, che il popolo habbia per ferma questa verità, cioè, che'l Prencipe è constituito dà Dio, e regge con autorità divina: ed il suddito per consequenza, e per conscienza è tenuto ad ubbidirlo, e nol facendo offende Dio, che l'obligò à portar le publiche gravezze, o personali nell'essercitar i Carichi, o reali in Tributi, vettigali, ed altre forme; lega la conscienza, ed obliga sotto peccato alla restituzione chi ricusa portarli, o chi li frauda. Perche il Prencipe, per Legge divina è superiore a qualsivoglia persona, che si trovi nel suo Dominio, e può gravar le facoltà di qualsivoglia, quando la publica necessità, secondo il suo giudicio, lo ricerca. Ogn'uno può giudicare dà se, senza maggior discorso, con quanta facilità sarà governato uno Stato, dove le sudette massime, sicome sono verissime, così siano credute, e li disordini, che necessariamente n'avvengono, dove siano tenute l'opinioni contrarie. Di queste verità scritte dai Profeti, insegnate dà Christo, e predicate da gl'Apostoli, sono pieni anco i Libri de' Padri antichi, e li buoni Teologi le tengono come sono necessarie dà esser credute. Mà nella Chiesa di Dio, sicome sempre vi furono di quelli che si servirono della Religione à fini mondani, cosi al presente il numero è in colmo. Questi sotto pretesto spirituale, mà per fine d'ambizione, e richezza mondana, vogliono liberarsi dall'ubbedienza dovuta al Prencipe, e levarli ancora l'amore, e riverenza dovuta dal popolo, tirandola à loro. Per effettuar queste cose, hanno inventato nuovamente una sorte di dottrina, che non hà altra materia senon la grandezza Ecclesiastica, la libertà, l'immunità, e la Giurisdizione sua. Questa dottrina fù inaudita sino circa il 1300. nè si trova libro scritto di ciò innanzi quel tempo. All'hora si diede principio à scrivere qualche poco sparsamente per i libri. Mà dei libri che professassero di non trattar altro che questa materia, non furono piu di due sino al 1400. e trè sino al 1500. Doppo questo tempo crebbe alquanto il numero, mà fù tolerabile. Doppo del 1560. cominciò à moltiplicare questa dottrina, in maniera che al presente si è tralasciato di scrivere, come già si faceva, delli misteri della Sanctissima Trinità, della creazione del mondo, dell'Incarnazione di Christo, ed altri misteri della fede, & altro non si stampa in Italia senon libri in diminuzione dell'autorità secolare, ed in essaltazione dell'Ecclesiastica: ed i libri stampati non vanno più à numero, mà à migliaia. Quei del popolo, ch'intendono le lettere, non puonno legger altro. Li Confessori parimente altra dottrina non sanno, ne per approvarli si ricerca saper altro che questo: onde contra una perversa opinione in universale, che il Prencipe, e li Magistrati siano invenzioni humane, anzi tiraniche, che convenga ubbidirli per forza solamente, perche il contrafar le leggi, il fraudar le publiche entrate, non obliga à peccato, mà solo à pena, laqual chi non paga opera si, che per la fuga non resti reo innanzi la Maestà Divina, e pel contrario, ch'ogni cenno de gl'Ecclesiastici, senza pensar altro, deva esser preso per precetto divino, ed oblighi la conscienza. E questa dottrina è forsi causa di tutti gl'inconvenienti che si provano in questo secolo. Non mancano in Italia persone pie e dotte, che tengono la verità: mà queste non puonno, ne scrivere, nè stampare. D'altrove vien scritto qualche cosa, mà subito prohibita, anzi poco si pensa à libri d'Heretici massime che trattano de gl'articoli della Religione. Mà se alcuno viene, che diffenda l'autorità temporale del Prencipe, e dica che anco gl'Ecclesiastici sono soggetti alle publiche fonzioni, overo giustiziabili, se violano la publica tranquilità, questi sono libri dannati, e perseguitati più de gl'altri. I Libri de gl'Autori antichi, nel ristamparli, li hanno castrati, e levato fuori tutto ciò, che poteva servire all'autorità temporale.

Del 1607. stamparono in Roma, con publica autorità un libro intitolato, Index expurgatorius, dove notarono i luoghi, che in alcuni Autori devono essere Cancellati: dal qual libro ogn'uno ocultamente può vedere, che cose sono levate, o mutate in molti buoni Autori, che diffendevano l'autorità data dà Dio al Prencipe. In modo che al presente non si può più leggendo un libro dire, qual fosse il senzo dell'Autore, mà qual sia quello della Corte Romana, che hà mutato ogni cosa. E ciò che sopra tutto si direbbe incredibile, se non si vedesse in stampa: Clemente VIII. del 1595. nell'Indice publicò una regola, che tutti i libri de gli scrittori Cattolici, scritti dopo il 1515. possino essere corretti, ed emendati, non solo col levar via ciò che' non è conforme alla dottrina di Roma, mà anco con aggiongerli. Per metter in costume questo precetto, se ben posto in publico già sei anni solamente, e pur eseguito, e praticato continuamente dà settant'anni in quà: di modo che, se nelli scrittori non si trovarà buona dottrina, favorevole all'autorità temporale, sappiamo, chi l'hà levata. Se si trova favorevole per l'Ecclesiastica, sappiamo chi l'hà interposta: ed in somma potiamo esser certi di non haver libro alcuno sincero. Onde, poiche la mira non è altra, che d'estinguere, o corrompere quei libri, dà quali soli le persone di buona volontà puonno ricevere l'instruzione necessaria, convien anco, ch'il Magistrato secolare sia occulato, ne si lasci privare sotto finti pretesti, maggiormente di ciò che per lo passato si è fatto. E quando si tratta di prohibir di nuovo qualche libro, il quale non tratti de gl'articoli della fede, informarsi bene della dottrina che contiene, e de gl'interessi per i quali la Corte vuol prohibirlo, innanzi che dare il suo consenso. Ed occorrendo, che sia ristampato qualche libro di buono, e famoso Autore, avvertire, che le buone massime non siano levate fuori, o non vi siano inserte di nuovo, contra la mente de' gl'Autori, delle cattive: Anzi che il servizio publico, ed il giusto, e honesto ricercherebbono che fossero ristampate le buone massime, e che quei libri, che sono stati corrotti, havendo levate, o mutate le cose favorevoli all'autorità temporale, data dà Dio, fossero ristituiti secondo li primi ed incorrotti essemplari, conforme al senso dell'Autore. Ed accioche con nuove prohibizioni, che mandano sottomano, non fosse delusa e derogata la virtù del Concordato, quando si stampa l'Indice del 1595. stampisi anco detto Concordato doppo lui.

Non solo è necessario l'avvertimento nella prohibizione dei libri, acciò non sia affatto estinta la buona dottrina in Italia, come si và à via di fare, di che si è parlato à bastanza; mà ancora acciò sotto pretesto di bene, l'Inquisizione non si pigli quell'autorità che non li appartiene, prohibendo libri, se ben cattivi, che però non hanno che fare con la Religione, che è il secondo preiudizio.

Gl'Ecclesiastici ci hanno dichiarato, che prohibiscono i libri per Vndici cauſe, tra quali ve ne sono cinque, che non toccano in conto alcuno à loro. La prima de' quali è, quando il libro contiene cosa contra la fama del prossimo, massime Ecclesiastici, e Prencipi. La seconda, se contiene cosa contra la libertà, immunità, e Giurisdizione Ecclesiastica. La terza, se con proposizioni politiche d'antichi Prencipi, ed historici favorischino le Tirannidi. La quarta, se contengono facezie, o moti contro la fama di qualsivoglia. La Quinta, se contengono lascivie, ed altre cose contra l'honestà.

Non hà dubbio, che meritano esser dannati i libri, dove si ritrovano tali essorbitanze, mà non però ogn'uno le può fare. Sarebbe un confonder il mondo, se qualsivoglia che conosce un ordine esser giusto potesse statuirlo. Ciò appartiene alla publica autorità, che sola può far legge, sopra ciò che Dio hà raccomandato al suo Governo.

Chì hà zelo, e vede la pernicie di qualche libro, procuri che sia estinto, e farà bene, ma con autorità di chi può legitimamente farlo. La diligenza in cercare e scoprir il male è lodevole; il voler rimediarlo non appartenendo à se, è usurpatione, ed ambizione. Se con un libro è offesa la fama del prossimo, etiandio Ecclesiastico, non tocca all'Inquisizione à farne giustizia. Quell'Offizio è contra l'heresia, mà non hà da protegger la fama di nissuno. Il secolare è protettore dell'honore delle persone, ed egli hà dà diffenderlo, e vindicarlo contra chi l'offende con fatti, con parole, e con scritture. Stia diligente l'Inquisizione, che per mezzo de' libri non sia seminata dottrina contra la fede; che Dio hà proveduto del Magistrato per dar rimedio, se con opere, parole, o libri è offesa la fama d'alcuno. Se gl'Ecclesiastici veggono un ingiuria fatta à loro, & à gl'altri, è giusto che possino implorar il Magistrato, e dà lui aspettar la provisione. Se alcuna cosa è scritta contra la libertà, ed immunità Ecclesiastica, perche è goduta per privilegio de' Prencipi, al Prencipe tocca il mantenergliela, quanto il publico servizio permette. Non sarebbe bene, ch'ogni privilegiato di propria autorità volesse diffendere i Privilegi suoi. Piacesse a Dio, che vi fossero libri meritevoli di prohibizione, per essere contra la libertà Ecclesiastica, più tosto ch'i Libri la meritano per estenderla tanto, che confonde ogni Governo. Usurpa ciò che è del secolare, e fà vergogna al ministerio di Christo, che è per le cose celesti, e non per impadronirsi delle terrene commesse dà Dio ad altri. Non è minor male, anzi è maggiore, l'estendere la libertà Ecclesiastica, si che divenga licenza, che il restringerla più del dovere. Qual è la causa, che nissun libro è censurato? Perche la ostenta troppo, o perche leva la temporale, che pur il mondo n'è pieno. La via ottima di mantennerla, non è di prohibir i libri, che la tengono tra i termini: mà più tosto quelli che la rendono spaventevole per l'essorbitanza. Però non si hà dà negare, che se alcuno scrivesse in questa parte contra il vero, il Magistrato non deva procedere contra l'Autore, e contra il libro, e conservar il decoro, e l'autorità dovuta all'ordine Clericale. Mà ch'essi si facciano raggione dà se, non è giusto. Se sono scritte cose Politiche, secondo le massime de' Prencipi, ed Historici antichi, secondo tutti, non tocca all'Ecclesiastico il dar giudizio; se sono Tiranniche, che ciò solo appartiene à Prencipi, de' quali è proprio il Governar Stati. Li privati non l'intendono, e meno li Ministri di Christo, à quali egli hà prohibito severamente l'intromettersene; e se pur alcuno vuol passar oltre, non deve con propria autorità pensar di provedervi, mà significarlo à che s'aspetta far la provisione, senza che è par troppo chiaro, che li desiderosi di licenza, senza freno danno nome di Tirannide alla legitima potestà data dà Dio, ed è quella dottrina che si oppone ai loro tentativi; si che sotto pretesto di Religione, vogliono doventar arbitri d'ogni governo. L'istesso si deve dire dei libri, che contengono facezie, o moti mordaci, che direttamente, ed obliquamente offendono alcuno: e se insegnano cattivi costumi, lascivie, e crapole, che offendono la publica honestà, nissuno di questi eccessi è heresia, che deva appartenere all'Inquisizione. L'Inquisitore è fatto giudice della fede, non censore dei costumi. Dalla dottrina di San Paolo, la quiete publica, e l'honestà sono date in guardia alla potestà secolare. Non deve l'Inquisizione metter la falce nella messe d'altri. Questa conclusione non hà bisogno di futilità per esser intesa, dà se medesima è piana, e facile. All'istesso tocca giudicare, e punire l'opere, le parole, e la scrittura d'una materia medesima. Nissun può metter in dubio, che l'offendere la fama, il favorir la tirannide, e la dishonestà, cosi in fatti, com'in parole, non siano delitti soggetti al giudizio secolare. Dunque li commessi ancor in scrittura, apparterranno all'istesso. Con che raggione può pretendere di censurar i libri per alcuna delle cause sudette quello, che confessa dà se medesimo non haver potestà di censurar le parole, ed i fatti doppo che dai Ministri de' Prencipi vien pratticato un tanto disordine, ciò è, che sotto pretesto di favorir l'honnestà, la Giustizia, e preservar la fama vien usurpata l'autorità temporale: forsi perche è cosa molto nuova, che l'Ecclesiastico prohibisca libri per altra causa, che per quella della Religione, poiche niun Pontefice l'hà mai tentato innanzi il 1550. e però come cosa recente non è ancora ben ponderata, overo che ad alcuni che attendono alle cose publiche pare non esser male lo scaricarsi di questo peso del veder libri, e lasciandolo à chi lo desidera. Mà come ogni governo ricerca vigilanza, e fatica, e chi si scarica di queste, si spoglia anco dell'autorità, e non se ne avede senon quando è perduta, ne si può recuperar più. Così la Serenissima Republica, laquale hà ordinato, che sia dà suoi Ministri veduto ogni libro che si stampa, per impedire che non esca in luce dottrina inconveniente, molto ben hà conosciuto, ch'al Prencipe s'aspetta questa cura; e dà ciò necessariamente s'inferisce, che li suoi Rappresentanti devono anco avvertire se nei libri già stampati si trovano inconvenienze per lequali s'impedisca lo stampare. All'istesso tocca prescrivere il modo, come procurare, accioche il male non nasca, e rimediar al nato. Se legitimamente il Prencipe per l'autorità datali dà Dio vieta, che non si stampi un libro, perche contiene Bestemmie contra la Divinità, favorisce la tirannide, offende la publica honestà, insegna cattivi costumi, overo leva l'honore e la fama altrui adunque anco legitimamente, e per la medesima autorità à lui s'aspetta prohibir quelli che sono già stampati, e contengono simili inconvenienze.

L'Indice dei libri fatto del 1595. già è ricevuto con l'autorità publica per concordato; però i libri contennuti in quello devono essere stimati prohibiti, senza eccetione, mà se per l'avvenire sarà proposto dà gl'Ecclesiastici di prohibir libri per alcuna delle sudette cause, e si vegga ch'il libro lo meriti, non è dà concedere che lo facciano essi, mà ben ricever l'avviso, e prohibir il libro per sola autorità temporale, lasciando che l'Ecclesiastico habbia parte solo, quando il libro si prohibisce per causa di Religione.

Resta il terzo pregiudicio, il quale è nuovo, mà di maggior lesione, e pericolo che gl'altri due. Imperoche l'essere privati della propria autorità, il perdere i buoni libri sono mali gravissimi, mà tolerabili rispetto à questo di dover essere costretti à sopportare nel Dominio proprio un libro che si veda pernicioso.

La Corte Romana, quantunque s'abbia assunto di prohibir libri, anco per le cause che non sono di Religione, e non appartengono all'Ecclesiastico, nondimeno innanzi questi anni prossimi passati non hanno ardito di passar à dire, che il Prencipe non possa esso ancora vietar quei libri che vede poter partorire scandalo, mal'essempio, sedizione, od altra turbazione nel suo Governo.

Il Cardinal Baronio hà voluto esser il primo à francar questo passo, e dirlo arditamente al quale essendo stata fatta l'opposizione conveniente dà quel Prencipe, che fù particolarmente toccato, nissuno ardì doppo diffendere l'impresa del Cardinale sino al presente. Mà perche per l'avvenire alcun forsi potrà fare l'istesso tentativo con maggior artifizio, overo in occasione, quando gl'occhi de gl'altri siano meno aperti, l'importanza della cosa richiede, che il successo sia brevemente narrato per essempio e documento universale, soggiongendo la vera dottrina con li suoi fondamenti, e risolvendo li cavilli contrari.

Stampò quel Cardinale al principio dell'anno 1605. il suo Tom. XI. de gl'Annali Ecclesiastici, dov'inserì un discorso lunghissimo contra la Monarchia di Sicilia. Del qual discorso, quanto alla verità della narrazione, non è opportuno parlar hora, mà lasciarlo al suo luogo. Questo solo tocca al presente proposito, che il discorso è pieno di maldicenza, ed acerbità contra molti Rè d'Aragon di celebre memoria, e spezialmente contra il Rè Ferdinando Cattolico, e gl'altri Progenitori paterni di questo ch'al presente regna. Il libro capitato à Napoli, ed à Milano fù da quei Ministri Regij prohibito, che non si vendesse, nè tenesse, per li rispetti del loro Prencipe, pur troppo apparenti ad ogni persona volgare.

Il Cardinale havuto questo avviso raduna il Collegio de' Cardinali nella sede vacante di Clemente VIII. e fece un'invettiva contra quei Ministri, che nel prohibir quel libro havessero posto mano nell'autorità Ecclesiastica. E doppo creato il Pontefice Paolo V. scrisse al Rè di Spagna sotto li 13. Giugno di quell'istess'anno una lunga lettera con questo Capitolo, oltre gl'altri; Che al Papa solamente s'aspettava approvare i libri di qualsivoglia sorte, e tanto più Ecclesiastici, facendo grave doglienza, ch'in vilipendio dell'autorità Ecclesiastica, li Ministri Regij in Italia havessero prohibito il suo libro. La prudenza di quel Rè giudicò meglio di rispondere con i fatti, e lasciò correre la prohibizione publicata dà suoi Ministri. Il Cardinale non si puote contenere, che del 1607. stampando il XII. Tomo non inserisse, poco à proposito, un discorso di quest'istessa materia, dicendo formalmente, essere cosa empia, ed horrenda, ch'in questi nostri infelicissimi tempi li ministri Regij ardissero censurar i libri approvati dal Papa, non lasciandoli rendere dai librai, senon con loro licenza, la qual negano arbitrariamente, e vietano anco assolutamente, che siano venduti. Soggiunge doppo, che ciò fanno, perch'i libri riprendono le loro ingiustizie, e che ciò è levar di mano à San Pietro, e dar alli Prencipi una delle chiavi dateli dà Christo, cioè quella della scienza di discernere li buoni usi dai cattivi. Il Consiglio di Spagna con la solita tardanza, e risoluzione procedette anco doppo: non si mosse anco per questa terza offesa, mà lasciò scorrere altri tre anni, e del 1610. il Rè fece un Editto, condannando, e prohibendo quel libro con maniera così grave, che destramente tocca il Cardinal Baronio così bene, com'egli haveva toccato li Rè progenitori suoi. E per darli maggior riputazione, e forza, fu l'Editto fatto publicare in Sicilia, con decreto, e sottoscrizione del Cardinal Doria, e mandato per il mondo in stampa. La Corte Romana restò sbigotita tanto per l'Editto, quanto per l'essecuzione fatta dal Cardinale. Però in Ispagna non si mossero punto, e l'Editto resta nel suo vigore. Per certo non si può credere tentativo più arduo, quanto mandar per lo Stato d'un Prencipe un libro in stampa contra il suo Governo, e pretendere, che sia letto, tennuto, e venduto publicamente, e che il Prencipe non vi possa provedere, e scoprirlo, e ciò sotto colore di Religione, e d'autorità di Christo data à san Pietro. Il qual pretesto sarà levato se sarà attesa la dottrina Cattolica, e l'uso della santa Chiesa, dà quali apparisce la verità chiara, e restano risolute le raggioni del Cardinal Baronio.

È cosa nota che à san Pietro furono date le chiavi del Regno dei Cieli, e che molti santi Padri e scrittori Cattolici intendono le Chiavi in plurale, una di scienza, e l'altra di Potestà, e che la potestà non dev'esser intesa universalmente, mà solo la concernente il Regno celeste, che è la spirituale: perche la Civile, Regale, e temporale li è prohibita espressamente dà Christo: Così la scienza non s'intende delle cose naturali, ne delle discipline, ne meno delle Politiche, Civili, o Morali. Mà come san Paolo chiaramente dice, Sono fatti Ministri, e dispensatori dei misteri di Christo, solamente. Perilche, se per l'autorità Ecclesiastica sarà approvato un Libro, come buono, in materia di fede, non potrà con autorità secolare esser condannato per cattivo: mà se il libro tratterà d'altra materia, come di Giurisdizione, di governo, di mercanzia, se ben fosse lodato dà tutti li Prelati del mondo, non è fatto pregiudizio alla Potestà temporale, che non possa condannarlo. È un gran Trapasso, perche Christo hà dato la cognizione, e la potestà del Regno celeste à san Pietro, e li hà vietato la terrena, voler contra il suo precetto estender la spirituale alle cose temporali. Sant'Agostino spesse volte dice, che la grazia non distrugge, ne toglie niente alla natura, mà lasciandoli tutto il suo, li sopragiunge le perfezioni divine. La potestà temporale, hà per sua natura potestà di vietare tutte le cose ripugnanti alla publica quiete, ed al honestà, e trà questo li scritti, e libri che li ripugnano. Non è venuto Christo à levar niente di quest'autorità alli magistrati, quella la lascia intiera, aggionge solo autorità alli Ministri suoi sopra le cose spettanti la fede Christiana, di che per natura gl'huomini non sanno niente, mà per sola sua rivelazione. Però questi non si devono arrogar potestà di approvar Libri, che à loro non toccano, ne tentar di privar li Magistrati dell'autorità data lora([16]) dà Dio, e dalla natura. Allega il Cardinal Baronio l'Epistole d'alcuni Scrittori, che hanno dedicato à Papi i lor libri, o d'historie, o di materia legale, o di governi, ed in quelli hanno sottomessa l'Opera loro alla Censura del Pontefice; e però conchiude, che à lui solo tocchi approvare ogni sorte di libri, e quando sia approvato da lui, nissuno possa mettervi la mano. Mà questa raggione è assai vana, non distinguendo le parole obligatorie, dà quelle di complimento. Chi mai dedica libro, non solo ad un Prencipe, mà ad un privato, che non glielo sottometta, ed anco con qualche hiperbole di parole? Se sivorrà([17]) sotto questi colori Retorici fondar articoli di Teologia, si troveranno altre epistole, con le quali daremo l'autorità medesima ad ogni genere di persone, ed ancora si troveranno dedicati à Papi libri di medicina, e di Pedanteria innumerabili, con simili frasi di dire. Doverà restar dunque, che perciò il Papato sia un Offizio sopra la sanità, od una scuola di Grammatica? Altro è ciò che comporta la credenza, ed il parlar civile, altro è ciò che si hà dà pigliar per articolo di fede. Mà poiche il Baronio incolpa i Ministri de' Prencipi del prohibir i libri, perche riprendono le loro ingiustizie, di ciò ancora è ben toccar una parola, accioche non paia, che si voglia diffendere le cose ingiuste, nè meno alcun pensi, che li sia lecito sotto colore di riprendere le cose, turbar la publica quiete.

D'un misfatto si può parlar in due modi. Uno in Tesi, cioè in generale, senza che sia toccato ne persona, ne luogo, ne tempo, ed il riprenderlo in questa maniera è stato sempre stimato utile, per l'estirpazione dei vizi; è lecito à qualunque persona lo scrivere libri à questo modo. L'altro modo è un Hipotesi, cioè nel particolare d'un caso nominar le persone, ed altre circonstanze, e ciò non dev'essere permesso, senon al legitimo Giudice. Ogn'uno può scrivere contra l'usura in generale: mà tassare un particolar instrumento per usurario, non appartiene, che al publico Giudice; ed il far altrimente è metter il mondo confusione, lasciando maneggiar i negozi à persone inette. La generalità facilmente si considera, e per il più non hà bisogno, che di studio, o d'autori. Mà la particularità per l'infinità delle circonstanze ricerca oltre lo studio una prudenza, ed isperienza isquisita. È facile il dire, e provare in generale, che l'usurpare la sovvranità d'uno Stato è ingiustizia, ed il Cardinal Baronio poteva senza offesa d'alcuno, farne una longa Parenesi: Mà venendo al particolare, e dicendo, Il Rè d'Ispagna usurpa la sovvranità di Sicilia, questa non è causa dà lui; E se li Ministri Regij di Napoli, e Milano hanno prohibito perciò il suo Libro, non hanno vietato la riprensione dell'ingiusto, mà più tosto la poca pudenza di chi hà dato Giudizio, che la possessione presente di Sicilia sia ingiusta, senza saperne quant'era necessario per farlo: e se il Pontefice hà approvato quel libro, intendendo di farlo, quanto ai luoghi del dominio, e Stato Ecclesiastico, stà molto bene: mà se intendendo anco per gli Stati de' gl'altri Prencipi, siche non possa essere prohibito, dà chi l'hà per scandaloso, ciò sarebbe stato un excesso, ed usurpatione dell'altrui autorità; il che non si deve presuporre di Papa Clemente VIII. Prencipe savio. E perch'il Cardinal Baronio soggionge, che li publici Ministri non puonno prohibir à Librai, che non vendino libri senza loro licenza, sotto pretesto, che non entrino libri d'Heretici con falsi titoli, poiche vedendo tal pericolo devono operar humilmente, che li Vescovi lo facciano, ciò ancora merita un poco di considerazione. E prima per levare ogni ambiguità, nissuno mai approvò il fare, sotto pretesto finto, ciò è, coprir il male con color di bene, che questa è una dissimulazione perniciosa: mà metter un bene in groppa d'un altro, e farlo passare senza nominarlo, per facilitarne l'essecuzione, o per altro, non si hà dà riprendere, e la scrittura Divina nè somministra innumerabili essempi. Se fosse fatto un Editto dal Magistrato secolare, che nissun Libraro potesse vender libri senza licenza, acciò non entrino libri d'Heretici, havendo intenzione d'impedire, per quella via non solo i libri d'heretici, mà insieme ogn'altra sorte di cattivi, non sarebbe cosa reprehensibile, nè quel Cardinale doveva invehir contra cosa così giusta. Mà peggio è quando dice, che si ricorri al Vescovo, poiche imperfettissimo sarebbe quel Governo, che non havesse in se stesso modo di proveder ad una cosa necessaria, e dovesse aspettar il rimedio, dà chi lo desse, secondo li suoi interessi, e non secondo il publico bisogno. In materia di libri heretici convien distinguere, che altro è giudicare qual libro sia heretico, e qual nò, il che è proprio dei Ministri di Christo solamente, ne l'autorità secolare vi può haver parte. Altro è quando un libro è conosciuto per heretico dalla Chiesa il vietarlo per legge: il che non è così proprio dell'Ecclesiastico, che non deva lodevolmente essere fatto dal secolare. Nella Chiesa primitiva i libri d'heretici erano essaminati, e dichiarati per tali dai Concili, mà non prohibiti dà loro, anzi dal Prencipe. Il primo Concilio Niceno condannò heretica la dottrina di Ario. L'Imperator Costantino prohibì i suoi libri con legge Imperiale. Il secondo Concilio Costantinopolitano dichiarò heretico Eunomio. L'Imperator Arcadio prohibì i libri de gl'Eunomiani per legge, che è nel Codice Theodosiano. Il terzo Concilio Efesino dichiarò heretico Nestorio, ed i suoi libri furono prohibiti con legge di Theodosio, che è nel Corpo delle Leggi Civili. Il 4° Concilio Calcedonense condannò gl'Eutichiani: ed i libri loro furono prohibiti con legge di Martiano Imperatore, che è nello stesso libro sudetto.

Questa era la maniera usata dalla Chiesa antica, sino all'anno ottocento, doppo 'l quale li Pontefici Romani in diverse occasioni hanno dichiarati heretici diversi scrittori. Li Prencipi hanno lasciato eseguire, senz'altra loro legge quella dichiaratione; non si deve però dire, che si siano privati dell'autorità loro, di vietare le cose nocive al loro Stato. Il libro heretico offende la Chiesa, e turba il viver pacifico. Per il primo rispetto, che è spirituale, tocca all'Ecclesiastico discernere i buoni dai cattivi libri, ed al secolare, come Protettore della Chiesa aiutare. Mà per il secondo rispetto, d'ovviare alle novità per publica quiete, il secolare non deve fidarsi sopra la diligenza d'altri, nè ricorrere à chi si sia, anzi abbondar in cautela, vietando tutto ciò che può nuocere al buon governo, per ogni rispetto.

Per conclusione indubitata è dà tenere, che il secolare può prohibere nella sua giurisdizione ogni sorte di libro approvato dà chi si voglia. Ed oltre il potere, deve anco vegghiando considerare, quanto danno sia, se li sudditi suoi imbevino l'opinioni che ripugnano al bon governo. E non restarò di ricordare, che sicome è gran servizio publico, ch'ogni libro dà stamparsi sia essaminato con la diligenza che si costuma in questo stato, cosi non sarebbe minor servizio l'introdurre, ch'ogni libro stampato di fuori venendovi mandato, fosse prima essaminato, che venduto. È mancamento il credere, ch'il publico possa ricever danno, se sarà stampato quì un cattivo libro, e non si è stampato altrove, e sarà disseminato. Vero è, che qualche cosa si potrà sopportare in uno già stampato, che non si sopporterà in uno che si portasse alla stampa. Mà le cose importanti ugualmente devono essere trattate tanto nei stampati, quanto in quei dà stampare. E nel prohibir un libro stampato fuori del Dominio, sicome è prudenza il farlo alle volte con silentio, e con sola intimazione ai Librari, per non dar riputazione alla cosa, e farne parlare; Così sarebbe mio riverente ricordo, ch'alle volte intorno i libri molto perniziosi si facesse per Editto, e scrittura, perche ciò sarebbe un metter in prattica l'autorità propria e non lasciar luogo à quelli che dicono, il prohibir libri essere cosa propria Ecclesiastica, ed ancora assuefare il Popolo. Perche se si aspetterà ad essercitare quell'autorità in qualche urgentissimo, e pericolosissimo caso, quando la necessità costringa, si correrà pericolo che sia creduta novità, e sia negata l'ubbidienza.

È necessario, prima ch'uscire di questa materia, aggiunger anco, che alcuni altri, i quali non hanno ardito dire una così grande assordità, com'il Baronio hà fatto, hanno però inciampato in un altra poco minore, concedendo ch'il Prencipe possa prohibir libri, come sediziosi, dishonesti, overo famosi, mà aggiongendo, che la prohibizione dev'esser osservata, per timor della pena temporale, non perche oblighi in conscienza, di modo che, chi li legge, o tienne in secreto, non habbia colpa appò Dio. Questa è opinione falsa, e perversa, e contraria alla dottrina Christiana. San Paolo, con precetti, e chiare parole dice, che ogn'uno è obligato ad ubbidire alla Potestà temporale, non solo per la pena, mà anco per conscienza. All'hora, quando alcuno commanda cosa non havendo autorità dà Dio, chi non l'ubbidisce non offende sua Divina Maestà, mà disubidendo in ciò di che l'autorità vien da Dio, egli stesso vien disubidito, ed offeso. Se il Prelato Ecclesiastico commanda, nelle cose temporali, perche in quelle non hà autorità dà Dio, non è peccato il disubidirlo. Se nelle spirituali, delle quali Christo li hà commesso il ministerio, dicendo egli stesso, Chi non vi ubidisce, è disubidiente à me, non ubidendolo si fà peccato. Afferma San Paolo, più volte allegato, mà non mai à bastanza, che Dio hà dato la cura al Prencipe della tranquillità, e quiete, della pietà, e dell'honestà; e se per questi rispetti il Prencipe prohibirà un libro per sedizioso, un altro per empio, un altro per dishonesto, non si può dire senza contradire à San Paolo, ch'ogn'uno non sia obligato ad ubbidir in conscienza. Se à Dio piacesse aprir gl'occhi à molti per operare che questa Dottrina, sicome è vera e Christiana, cosi fosse insegnata, e la contraria come perniziosa fosse rifiutata, cessariano innumerabili inconvenienti, che cotidianamente vediamo. Perche se vi sono persone al mondo, che operino per amor dell'honesto, il gran numero de' gl'altri si divide in due. Gl'uni che operano bene per timor delle pene spirituali, gl'altri per timor delle pene temporali. Quando si è levato il timor spirituale, è perduta l'ubbidienza di tutti quelli che stimano dover star secreti, e con favori, ed altri mezzi vietare e schiffare la pena, e di quelli anco che non la stimano, che tutti insieme fanno un gran numero. Dall'altra parte vediamo quanto facilmente alcuni diano obbedienza per timore spirituale, poiche Dio hà dato al Prencipe questi due mezzi d'essere ubbidito, cioè, per timore della pena temporale, e per conscienza; che cosi san Paolo predica. È gran mancamento lasciar perdere il secondo di questi mezzi, che non è il men necessario, con lasciar disseminare l'opposito contra la dottrina Cattolica.

Recapitolando dunque i Capitoli raccolti in materia dei libri, saranno dieci.

Il Primo. Che li contenuti nell'Indice del 1595. prohibiti per qualsivoglia causa, essendovi intervenuto il consenso del Prencipe, devono sempre esser tenuti per tali.

Il secondo. Che per l'avvenire non sia permessa prohibitione clausulata, come si voglia, etiandio con censure, senon è ricevuta dall'authorità publica, come fù concordato.

Il terzo. Se gl'Ecclesiastici ricercheranno un publico consenso di prohibir libri, che trattino materia di fede, purche contenghino heresie, verificata la proposta, sia consentita.

Il quarto. Restando sempre un avvertimento, che sotto pretesto di Religione non si prohibisca la dottrina Christiana, che diffende l'autorità temporale.

Il quinto. Che non sia concesso all'Inquisitore di prohibir libri per altra causa che d'heresia: mà se alcuno è cattivo per altri rispetti, sia prohibito dal Magistrato.

Il sesto. Ch'i libri stampati altrove, etiandio approvati dà chi si sia, con qualsivoglia autorità, se sono nocivi al publico governo, siano prohibiti dal Magistrato secolare, o con inhibizione ai librari, o con editto publico, secondo l'opportunità.

Il settimo. Che nel ristampar i libri, s'avverta, che non siano levate le cose favorevoli alla potestà temporale.

L'ottavo. Che ristampandosi alcuno delli già castrati, di dove sia levata dottrina in favore dell'autorità secolare, si ristampi secondo gl'essemplari vecchi.

Il nono. Che ristampandosi l'Indice del 1595. si avverta, che non s'inseriscano nomi di nuovo.

Il decimo. Ch'insieme col sudetto Indice sia stampato il Concordato.

Resta un altro punto dà toccare brevemente in questa materia non tanto importante, nondimeno tale, che per se stesso merita considerazione: Il qual è, che la prohibizione non usata col debito temperamento è di danno alla mercanzia dei libri, ed all'Arte della stampa, perche se bene sarà stampato un libro veduto dall'Inquisitore, e dal Vescovo, e dà quelli approvato: nondimeno se à Roma vien ritrovata qualche cosa benche leggiera, non contra la Religione (perch'in tal materia niente è leggiero) mà contra qualche rispetto della Corte, non penetrato dà quell'Inquisitore che hà concesso licenza, prohibiscono il libro con danno di chi l'hà fatto stampare, che non hà colpa, havendo l'approbatione dell'Inquisizione. È tal disordine è frequente, e sarebb'anco frequentissimo, senon temessero, che alle querele de' librari fosse dato orecchio dai Prencipi: perch'ogni Cortiggiano per acquistar merito, si mostra zelante in notar li pregiudizi della Corte, ed anco le ombre di quelli, non solo nei libri stampati fuori d'Italia, mà anco ne gl'approvati dall'Inquisizione, ed anco nelli stampati dalla medesima Roma. Il giusto vorrebbe, che se in un libro stampato con l'approvazione, si trova qualche cosa contra la Religione, fossero pagate le spese dà chì l'hà approvato, poiche il libraro non hà colpa. Mà se si trova cosa, che per i suoi rispetti non piaccia alla Corte, non pare raggionevole, che si permetta prohibizione, come pare anco che nel Concordato del 1595. fosse risoluto, quando dice, Che per l'avvenire non siano prohibiti libri, senon forastieri, o stampati senza licenza, overo con false licenze. Se ben tali parole potrebbonsi cavillare per non haver fatta l'eccezione della Religione. Mà esposto il Concordato in questo senso, non si può se non lodare.

Il Capitolo XXX. ed XXXI. che parlano dell'Arti secolari, e falli de gli artefici, non saranno mai tanto essattamente osservati, che sia soverchio. Ogni ben ordinata Republica, quando nasce delitto di molta attrocità, instituisce un Magistrato proprio per conoscere di quello solamente, acciò la cura d'altre cose non lo divertisca. Per questa causa nella Republica Christiana fù instituito l'Offizio dell'Inquisizione, che attendesse solo ad estirpar l'Heresia. E naturalissimo ad ogn'uno che hà la Giurisdizione universale, di rimetter molte cose al Giusdicente particolare, o lasciargliele usurpare, e suol anco esser facile il farlo, per la molta autorità, che se li dà, e perche il Giusdicente universale occupato in molte cose, alle volte non attende; e qualche volta, se non è persona di buon sapere, crede che ciò sia un aiutarlo; siche non solo non ovvia l'inconveniente, mà ancora lo favorisce. Una causa non spettante al Giusdicente particolare presa una volta, serve per essempio di pigliarla la seconda, e dalle più volte, si forma finalmente la consuetudine, laquale poi serve di Legge, e non si può levare senza molte difficoltà, e resta la Giurisdizione universale sminuita, ed aperta la via alle turbazioni del Governo. Per queste vie, ed occasioni, gl'Inquisitori contra l'heresia non solo si sono sforzati di tirare diversi altri casi al loro Offizio, mà anco di appropriarsi il governo dell'Arte dei libri, e di commandare à diversi altri: e si vagliono perciò di due sorti di raggioni. L'una, che non commandano cosa di nuovo, mà ciò che anco senza il lor commandamento sarebbe debito, perche se commettono al Beccaro, che non venda carne la Quaresima, egli è obligato senza ciò à non venderla, siche il commandamento è un ammonir del proprio debito. Parimente dicono, che non fanno giurar simili persone, senon di ciò che sono obligati à fare, perche se fanno giurar ai Librari di non vender libri prohibiti, già sono di ciò debitori; nè altro si fà salvo che un aggiongere stimolo maggiore à far il proprio debito. Mà questa raggione è cavillosa, essendo altro l'ammonizione del proprio debito, ed altro il commandamento: Ammonisce, il Predicatore, ed il Confessore, senza usurpare l'autorità d'altri, perche non impongono pena, nè usano mezzo alcuno per farsi ubbidire. Questo è un solo insegnare, che non stà congiunto col costringere. Il commandare, che porta in conseguenza rissentimento contra il disubidiente, se benè([18]) di cosa già dovuta, è atto di superiorità, e giurisdizione, laquale non essendo concessa à gl'Inquisitori senon in caso d'heresia, fuori del quale non puonno farlo senza usurpare la giurisdizione universale. Parimente il constringere à giurar cosa, se ben dovuta, è atto di superiorità, quantunque senza giuramento vi fosse anco il debito. L'altra raggione che usano più frequentemente, è più cavillosa ancora. Dicono, ch'il giudicar l'heresie porta per necessaria conseguenza tutte le cose annesse, o dipendenti da quella, e che non pretendono di commandare ad alcuno, ne far giurare, over punire, senon in cose congionte con l'heresia. Perche l'heresie s'insegnano nei libri è necessario, che possino commandare ai Librari, ed à tutti per mano di chi i libri passano, e punir quelli che contrafanno. Similmente nei tempi Quaresimali, perche gl'Heretici mangiano cibi grassi, pretendono poter far ordinazione sopra quelli che li vendono, e punirli se contrafanno.

A tutti questi particolari è chiarissimo ciò che è di Giustizia. Senza dubio, à chi vien commesso un Giudizio, è concesso insieme tutto ciò che li è congionto, siche non si possa separare: perilche tutto ciò, che in tal maniera sarà congionto con l'heresia doverà essere giudicato dall'Inquisizione: mà non ciò che di sua natura sia separato, e possa essere separatamente giudicato, quantumque([19]) con qualche consequenza lontana si potesse congiongere ogni delitto in questo modo; anzi ogni azione si potrebbe congiongere con l'heresia.

Quanto alla materia dei libri, solo quei che contengono heresia sono soggetti à quell'Offizio, ed i librari, che ne tenessero o vendessero, e questi doveranno dall'Inquisizione esser puniti. Non segue però dà ciò, che l'Inquisitor possa gravar i Librari à ricevere visite, à far Inventarij, à ricever licenze di vendere dà loro, e tali ordinazioni, che spesso tentano di fare. Parimente il mangiar cibi prohibiti li tempi vietati senza necessità, è indizio di sentir male della fede; e quando altre circonstanze s'aggiungono con ciò, l'Offizio procede contra l'imputato. Mà quì non hà à fare chi vende i cibi, overo chi li apparecchia; perche si deve presupporre, che questi non lo facciano senon per loro guadagno. Mà perche l'appetito del guadagnare è così sregolato, che spesso eccedendo induce à commetter cose contra l'honnestà; se alcuno vendesse in tal maniera che provocasse à male, overo desse altro scandalo, ciò non è congionto coll'heresia. Il Magistrato, senza parlar di fede, ne di dottrina, può castigar il fallo, e può dar quell'ordine che è necessario, per conservazione del viver honesto e religioso, e con decoro della Città. Conche resta ancora all'Inquisizione di poter essercitar il suo buon zelo, rappresentando al Magistrato gl'inconvenienti che vede, e mettendo innanzi il rimedio, e procurando anco il castigo dei trasgressori, mà col mezzo della Giustizia ordinaria alla qual sola s'aspetta.

Quanto al XXXII. Capitolo, Che non sia permesso all'Inquisizione il far Monitorij contra la Communità, ne contra il Giusdicente in ciò che s'aspetta il ministrar la Giustizia; la raggione è chiara, perche l'heresia è delitto personale. Puonno tutti quelli d'una Communità esser heretici, e sospetti, mà la Communità non giamai. Però, se si tratta di delitto, non si deve procedere senon contra le persone imputate in particolare. E se si tratta d'ordinazione, o partiti presi della Communità, sopra quelle non s'estende l'autorità dell'Inquisizione, senon mediante il publico Rappresentante, che hà dal Prencipe autorità di commandare. Similmente il Giusdicente, per le azioni o parole sue private, può rendersi sospetto d'heresia, mà non mai per ciò che opera ministrando Giustizia, non potendo in ciò cader heresia in modo alcuno, per laquale le actioni sue giudiziali rendino soggette all'Inquisizione; ma restano soggette al superiore suo, e finalmente al Prencipe. Onde se per alcuna di esse venisse impedito l'Offizio dell'Inquisizione, non può l'Inquisitore far altro, che per mezzo del publico Rappresentante levar gl'impedimenti, come se l'Inquisitore chiamasse alcuno, o per reo, o per testimonio, il qual fosse dal Giusdicente fermato per sicurtà, od in altra maniera; non si deve permettere, che l'Inquisizione faccia un Monitorio al Giusdicente, che quello sia rilasciato: mà ciò sarà offizio del Magistrato superiore. Il simile è di qualunque atto giudiziale, cioè, convenire, sospendere, o rivocare, per non lasciar luogo di procedere all'Offizio dell'Inquisizione.

Per conto del XXXIII. Capitolo, che tratta dell'Editto: era antico costume, quando si piantava l'Offizio dell'Inquisizione nuovamente in qualche luogo, di promulgar prima un Editto, chiamato di Grazia, invitando trà certo termine ciascun heretico à penitenza, promettendo il perdono; passato il qual termine si promulgava un altro Editto chiamato di Giustizia, dove erano ammoniti tutti quelli, che havessero notizia di qualche heretico à denunziarlo. In questa materia à nostri tempi si è proceduto diversamente. Alcuni Inquisitori, quando sono stati deputati in luoghi dove già l'Inquisizione è stabilita, hanno fatto li due editti nell'ingresso dell'Offizio, e ciò è poche volte occorso. Altri hanno fatto il secondo solo di Giustizia, ed altri l'hanno anco replicato, oltre la prima volta molte altre, e ciò per aggiongervi dentro qualche cosa nuova, che gl'accidenti portassero. Se ad alcun Inquisitore venisse in parere di promulgar l'Editto di Grazia, non è dà prohibirlo, questo non può pregiudicare all'autorità temporale, ne essere di gravame al suddito. Solo intorno all'Editto di Giustizia convien haver riguardo, perche tentano spesso d'inserirvi dentro qualche commandamento à Librari, ad Hosti, o à Locatori di Camere; e si cuoprono, dicendo, che serve solo per avisarli, il che non se li può permettere perche avisare per Editto per Proclama, per Affissione, dice superiorità, ed è cosa legale, che chi ammonisce per Editto, possa anco castigar li contrafacente: Però non concedendo il castigo, non se li può concedere l'ammonire per Editto. In quel particolare, che nomina li Bestemmiatori hereticali, il tutto dev'essere inteso, come nel Capitolo XXI. Ed in quella parte, che è contra quei ch'offendono li Ministri dell'Offizio, i denunziatori, ed i Testimoni, è molto ben dà avvertire, la limitazione soggionta, cioè, per opere spettanti ad esso Offizio, accioche non s'introducesse un abuso spesso tentato dà gl'Inquisitori, di voler soli poter far giustizia contra li suoi Ministri, e contra chi una volta è essaminato in quell'Offizio, e punire tutti quelli che li offendono, per qual causa esser si voglia: Imperoche con quella clausula, Per operazioni spettanti à quell'Offizio, si rimuove ogni difficoltà. Se alcuno offenderà Ministro di quell'Offizio, non doverà essere compreso, mà di ciò giudicato al Foro ordinario, e per essere assonto il caso dell'Inquisizione, converrà che consti chiaramente l'offesa esser fatta per causa dell'Offizio. Potrà parimente alcuno, senza rispetto, convenire simili Ministri, e Testimoni al Foro ordinario per qualunque altra causa, e particolarmente ancora per la causa che si spiega nel Capitolo XXXIX.

Sapientemente fu ordinato dall'Eccellentissimo Consiglio dei dieci delli Casi occorrenti nei Castelli o Ville che fossero trattati nelle Città, come nel Capitolo XXXIV. perch'altrimente facendo s'apriva la porta à levar l'Assistenza, se gl'Inquisitori fossero potuti andare, ed havessero potuto mandare per le Ville, e Castelli à formar Processi: poiche ne haverebbono potuto formare dei secreti, e dare in tutti quelli inconvenienti, à quali rimedia l'Assistenza.

Similmente il Capitolo XXXV. necessariamente è ordinato: il quale servendo solamente per levar la competenza del Foro tra li Rappresentanti, ed essendo à favore dell'Inquisitore, che più commodamente può trattare nel luogo della sua Residenza, non occorre altra considerazione.

Sopra il XXXVI. e XXXVII. parimente non è necessario considerar altro, poiche sono per dar giusta pena alli colpevoli, laquale non può essere data dall'Offizio, ed è maggior favore della fede, quantò piu severamente li contumaci sono castigati.

Il XXXVIII. Capitolo, ch'impone la pena alli citati, od inquisiti altrove per heresia se si ritirano nello Stato, non s'intende che sia imposta per delitto, perche potrebbe anco l'inquisito o citato altrove essere punito d'altre pene; e però nell'ordinazione è riservato all'Inquisizione di darli altra pena ancora. Sogliono gl'Inquisitori avvisarsi l'un l'altro, quando gl'inquisiti dà loro sono, o vanno in altro luogo: perilche quando alcun citato, od inquisito altrove capitasse in questo Stato, sarebbe l'Inquisitore di quì avisato, e nell'Offizio si decreterebbe, che fosse retento. Alche il Rappresentante doverebbe acconsentire, procedendo poi l'Offizio secondo il tenore del Capitolo XVI. cioè, mandando gl'indizij all'Inquisizione di quella Città, dov'il retento fosse priggione, laquale procedesse, e venisse all'espedizione della causa: dà che ne seguirebbe, o che l'imputato sarebbe assolto, o che li sarebbe data la condegna pena. Mà qual dei due seguisse, la publica volontà è, che questo tale sia punito di priggione, e bando per il solo essere venuto quì, trovandosi inquisito. E questa ordinazione è ben tenerla sempre viva, perche dimostra il pio Governo della Serenissima Republica, che vuol tener purgato lo Stato suo, non solo da gl'Heretici, mà anco dà sospetti, & inditiati, e vuol levar l'animo e la speranza ad ogni persona sospetta d'aspettar miglior condizione in questo Stato, che altrove.

L'ultimo Capitolo, dei calonniatori e falsi Testimoni, è di molta considerazione, non tanto per mantenner la propria giurisdizione, non togliendo quella de gl'altri, quanto per diffesa e protezione delli sudditi: laquale essendo dà Dio concessa al Prencipe, quand'egli li lascia opprimere, senza giustizia, offende la Maestà Divina grandissimamente. E costume ordinario dell'Offizio dell'heresia, di punir rarissime volte li calonniatori o falsi testimoni, mà scusarli per ogni minima apparenza che possino mostrarli, mossi dà buona intenzione, ciò dicendo, che non si deve mai presuporre ch'in materia di Fede un Christiano si muovi per cattivo fine. E se pure non si può fuggire di castigarne alcuno, perche la falsità sia troppo manifesta, lo fanno con leggierissime pene, e sono spirituali, affinche altri spaventati dal castigo di questi, non temessero di denunciare o testificare, allegando, che dà ciò ne seguirebbe, che molte cose resterebbon occulte, lequali si scuoprono con molto servizio della Fede, laquale si deve anteporre al castigo di quelli, se ben non meritevoli. Se questa cauzione sia giusta, o nò, è materia dà tralasciare adesso, ma solo haver considerazione, che di molto sollevamento e consolazione al misero, che si vede calonniato, quando li resta modo dà potersi sollevare col castigo de' calonniatori e falsi testimoni in altri Fori, poiche in quello non si costuma. Gl'Inquisitori non vorrebbono, che li Rei calonniati in nissun caso potessero haver ricorso ad altro Tribunale, e così scrivono nei loro libri, allegando per raggione, che l'ingiuria è fatta à quel Tribunale, alquale il falsario non hà portato rispetto, e però dà lui deve essere giudicata, e che non si può giudicare se non col Processo formato in quell'Offizio, il quale non è giusto che sia rimesso ad altri Fori. Mà pel contrario altri Dottori sentono, che non essendo la calonnia, ne'il falso testificato Heresia, non appartenga all'Inquisizione, mà al Foro ordinario superiore del calonniante, o del falso testimonio; E massime, che quelli devono esser più tosto puniti con pene temporali di taglio di Lingua, ed anco di Testa, che non dall'Inquisizione. Altri Giurisconsulti più sensati, approvando le raggioni d'ambe le parti, distinguono, che la calonnia e la falsità o puonno apparire dal Processo formato nell'Offizio dell'Inquisizione senz'altra nuova formazione, sicome quando il Testimonio (il che spesso occorre) và dà se stesso à rivocar il suo detto, e domandar perdono, ed in altri simili, che dalla sola visione del Processo notoriamente appariscono: ed in questo caso, s'aspetta al Giudizio dell'Inquisizione, e militano le raggioni de' gl'Inquisitori. Mà se dà quel Processo la calonnia non può apparire, e vi sia bisogno di nuova instanza e Processo, o per querela, o per offizio, il Giudizio è del Foro ordinario. Il che è efficacemente provato, con le raggioni dalla parte contraria allegate; che la calonnia e falsità non sono heresia, nè delitti Ecclesiastici, mà meri secolari; nè fà bisogno veder il Processo primo, perche si procede con altra instanza ed altro Processo. Questo parere come fondato, e non interessato, si deve pratticare.

 

 

 

IL FINE.

 

 



([1]) Così nel testo, ma: "trascuraggine". (N.d.R.)

([2]) Così nel testo, ma: "titolo". (N.d.R.)

([3]) Così nel testo (N.d.R.)

([4]) Così nel testo, ma: "ammonuivano". (N.d.R.)

([5]) Così nel testo, ma: "Inquisizione". (N.d.R.)

([6]) Così nel testo, ma: "personalmente". (N.d.R.)

([7]) Così nel testo, ma: "scoprirlo". (N.d.R.)

([8]) Così nel testo, ma: " XVI. Capo ". (N.d.R.)

 ([9]) Così nel testo. (N.d.R.)

([10]) Così nel testo, ma: "qualche". (N.d.R.)

([11]) Così nel testo, ma: "cavilli". (N.d.R.)

([12]) Così nel testo. (N.d.R.)

([13]) Così nel testo. (N.d.R.)

([14]) Così nel testo. (N.d.R.)

([15]) Così nel testo, ma: "ad". (N.d.R.)

([16]) Così nel testo. (N.d.R.)

([17]) Così nel testo. (N.d.R.)

([18]) Così nel testo, ma "se ben è". (N.d.R.)

([19]) Così nel testo (N.d.R.)