HOME   PRIVILEGIA NE IRROGANTO           di Mauro Novelli               BIBLIOTECA


 

 

Ludovico Ariosto

 

 

Orlando furioso


 

INDICE

 

CANTO PRIMO. 2

CANTO SECONDO. 15

CANTO TERZO. 28

CANTO QUARTO. 41

CANTO QUINTO. 53

CANTO SESTO. 68

CANTO SETTIMO. 82

CANTO OTTAVO. 95

CANTO NONO. 111

CANTO DECIMO. 126

CANTO UNDICESIMO. 146

CANTO DODICESIMO. 160

CANTO TREDICESIMO. 175

CANTO QUATTORDICESIMO. 189

CANTO QUINDICESIMO. 212

CANTO SEDICESIMO. 229

CANTO DICIASSETTESIMO. 244

CANTO DICIOTTESIMO. 267

CANTO DICIANNOVESIMO. 299

CANTO VENTESIMO. 317

CANTO VENTUNESIMO. 341

CANTO VENTIDUESIMO. 353

CANTO VENTITREESIMO. 369

CANTO VENTIQUATTRESIMO. 392

CANTO VENTICINQUESIMO. 411

CANTO VENTISEIESIMO. 428

CANTO VENTISETTESIMO. 451

CANTO VENTOTTESIMO. 474

CANTO VENTINOVESIMO. 491

CANTO TRENTESIMO. 504

CANTO TRENTUNESIMO. 519

CANTO TRENTADUESIMO. 538

CANTO TRENTATREESIMO. 556

CANTO TRENTAQUATTRESIMO. 578

CANTO TRENTACINQUESIMO. 593

CANTO TRENTASEIESIMO. 607

CANTO TRENTASETTESIMO. 621

CANTO TRENTOTTESIMO. 641

CANTO TRENTANOVESIMO. 656

CANTO QUARANTESIMO. 671

CANTO QUARANTUNESIMO. 684

CANTO QUARANTADUESIMO. 701

CANTO QUARANTATREESIMO. 719

CANTO QUARANTAQUATTRESIMO. 752

CANTO QUARANTACINQUESIMO. 769

CANTO QUARANTASEIESIMO. 789

 


CANTO PRIMO

 

1

Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,

le cortesie, l'audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l'ire e i giovenil furori

d'Agramante lor re, che si diè vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.

 

2

Dirò d'Orlando in un medesmo tratto

cosa non detta in prosa mai, né in rima:

che per amor venne in furore e matto,

d'uom che sì saggio era stimato prima;

se da colei che tal quasi m'ha fatto,

che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,

me ne sarà però tanto concesso,

che mi basti a finir quanto ho promesso.

 

3

Piacciavi, generosa Erculea prole,

ornamento e splendor del secol nostro,

Ippolito, aggradir questo che vuole

e darvi sol può l'umil servo vostro.

Quel ch'io vi debbo, posso di parole

pagare in parte e d'opera d'inchiostro;

né che poco io vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.

 

4

Voi sentirete fra i più degni eroi,

che nominar con laude m'apparecchio,

ricordar quel Ruggier, che fu di voi

e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.

L'alto valore e' chiari gesti suoi

vi farò udir, se voi mi date orecchio,

e vostri alti pensieri cedino un poco,

sì che tra lor miei versi abbiano loco.

 

5

Orlando, che gran tempo innamorato

fu de la bella Angelica, e per lei

in India, in Media, in Tartaria lasciato

avea infiniti ed immortal trofei,

in Ponente con essa era tornato,

dove sotto i gran monti Pirenei

con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna,

 

6

per far al re Marsilio e al re Agramante

battersi ancor del folle ardir la guancia,

d'aver condotto, l'un, d'Africa quante

genti erano atte a portar spada e lancia;

l'altro, d'aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.

E così Orlando arrivò quivi a punto:

ma tosto si pentì d'esservi giunto:

 

7

Che vi fu tolta la sua donna poi:

ecco il giudicio uman come spesso erra!

Quella che dagli esperi ai liti eoi

avea difesa con sì lunga guerra,

or tolta gli è fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch'estinguer volse

un grave incendio, fu che gli la tolse.

 

8

Nata pochi dì inanzi era una gara

tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

che entrambi avean per la bellezza rara

d'amoroso disio l'animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,

che gli rendea l'aiuto lor men saldo,

questa donzella, che la causa n'era,

tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

 

9

in premio promettendola a quel d'essi,

ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,

degl'infideli più copia uccidessi,

e di sua man prestasse opra più grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch'in fuga andò la gente battezzata,

e con molti altri fu 'l duca prigione,

e restò abbandonato il padiglione.

 

10

Dove, poi che rimase la donzella

ch'esser dovea del vincitor mercede,

inanzi al caso era salita in sella,

e quando bisognò le spalle diede,

presaga che quel giorno esser rubella

dovea Fortuna alla cristiana fede:

entrò in un bosco, e ne la stretta via

rincontrò un cavallier ch'a piè venìa.

 

11

Indosso la corazza, l'elmo in testa,

la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;

e più leggier correa per la foresta,

ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo.

Timida pastorella mai sì presta

non volse piede inanzi a serpe crudo,

come Angelica tosto il freno torse,

che del guerrier, ch'a piè venìa, s'accorse.

 

12

Era costui quel paladin gagliardo,

figliuol d'Amon, signor di Montalbano,

a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo

per strano caso uscito era di mano.

Come alla donna egli drizzò lo sguardo,

riconobbe, quantunque di lontano,

l'angelico sembiante e quel bel volto

ch'all'amorose reti il tenea involto.

 

13

La donna il palafreno a dietro volta,

e per la selva a tutta briglia il caccia;

né per la rara più che per la folta,

la più sicura e miglior via procaccia:

ma pallida, tremando, e di sé tolta,

lascia cura al destrier che la via faccia.

Di sù di giù, ne l'alta selva fiera

tanto girò, che venne a una riviera.

 

14

Su la riviera Ferraù trovosse

di sudor pieno e tutto polveroso.

Da la battaglia dianzi lo rimosse

un gran disio di bere e di riposo;

e poi, mal grado suo, quivi fermosse,

perché, de l'acqua ingordo e frettoloso,

l'elmo nel fiume si lasciò cadere,

né l'avea potuto anco riavere.

 

15

Quanto potea più forte, ne veniva

gridando la donzella ispaventata.

A quella voce salta in su la riva

il Saracino, e nel viso la guata;

e la conosce subito ch'arriva,

ben che di timor pallida e turbata,

e sien più dì che non n'udì novella,

che senza dubbio ell'è Angelica bella.

 

16

E perché era cortese, e n'avea forse

non men de' dui cugini il petto caldo,

l'aiuto che potea tutto le porse,

pur come avesse l'elmo, ardito e baldo:

trasse la spada, e minacciando corse

dove poco di lui temea Rinaldo.

Più volte s'eran già non pur veduti,

m'al paragon de l'arme conosciuti.

 

17

Cominciar quivi una crudel battaglia,

come a piè si trovar, coi brandi ignudi:

non che le piastre e la minuta maglia,

ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi.

Or, mentre l'un con l'altro si travaglia,

bisogna al palafren che 'l passo studi;

che quanto può menar de le calcagna,

colei lo caccia al bosco e alla campagna.

 

18

Poi che s'affaticar gran pezzo invano

i dui guerrier per por l'un l'altro sotto,

quando non meno era con l'arme in mano

questo di quel, né quel di questo dotto;

fu primiero il signor di Montalbano,

ch'al cavallier di Spagna fece motto,

sì come quel ch'ha nel cuor tanto fuoco,

che tutto n'arde e non ritrova loco.

 

19

Disse al pagan: - Me sol creduto avrai,

e pur avrai te meco ancora offeso:

se questo avvien perché i fulgenti rai

del nuovo sol t'abbino il petto acceso,

di farmi qui tardar che guadagno hai?

che quando ancor tu m'abbi morto o preso,

non però tua la bella donna fia;

che, mentre noi tardiam, se ne va via.

 

20

Quanto fia meglio, amandola tu ancora,

che tu le venga a traversar la strada,

a ritenerla e farle far dimora,

prima che più lontana se ne vada!

Come l'avremo in potestate, allora

di chi esser de' si provi con la spada:

non so altrimenti, dopo un lungo affanno,

che possa riuscirci altro che danno. -

 

21

Al pagan la proposta non dispiacque:

così fu differita la tenzone;

e tal tregua tra lor subito nacque,

sì l'odio e l'ira va in oblivione,

che 'l pagano al partir da le fresche acque

non lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone:

con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,

e per l'orme d'Angelica galoppa.

 

22

Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!

Eran rivali, eran di fé diversi,

e si sentian degli aspri colpi iniqui

per tutta la persona anco dolersi;

e pur per selve oscure e calli obliqui

insieme van senza sospetto aversi.

Da quattro sproni il destrier punto arriva

ove una strada in due si dipartiva.

 

23

E come quei che non sapean se l'una

o l'altra via facesse la donzella

(però che senza differenza alcuna

apparia in amendue l'orma novella),

si messero ad arbitrio di fortuna,

Rinaldo a questa, il Saracino a quella.

Pel bosco Ferraù molto s'avvolse,

e ritrovossi al fine onde si tolse.

 

24

Pur si ritrova ancor su la rivera,

là dove l'elmo gli cascò ne l'onde.

Poi che la donna ritrovar non spera,

per aver l'elmo che 'l fiume gli asconde,

in quella parte onde caduto gli era

discende ne l'estreme umide sponde:

ma quello era sì fitto ne la sabbia,

che molto avrà da far prima che l'abbia.

 

25

Con un gran ramo d'albero rimondo,

di ch'avea fatto una pertica lunga,

tenta il fiume e ricerca sino al fondo,

né loco lascia ove non batta e punga.

Mentre con la maggior stizza del mondo

tanto l'indugio suo quivi prolunga,

vede di mezzo il fiume un cavalliero

insino al petto uscir, d'aspetto fiero.

 

26

Era, fuor che la testa, tutto armato,

ed avea un elmo ne la destra mano:

avea il medesimo elmo che cercato

da Ferraù fu lungamente invano.

A Ferraù parlò come adirato,

e disse: - Ah mancator di fé, marano!

perché di lasciar l'elmo anche t'aggrevi,

che render già gran tempo mi dovevi?

 

27

Ricordati, pagan, quando uccidesti

d'Angelica il fratel (che son quell'io),

dietro all'altr'arme tu mi promettesti

gittar fra pochi dì l'elmo nel rio.

Or se Fortuna (quel che non volesti

far tu) pone ad effetto il voler mio,

non ti turbare; e se turbar ti déi,

turbati che di fé mancato sei.

 

28

Ma se desir pur hai d'un elmo fino,

trovane un altro, ed abbil con più onore;

un tal ne porta Orlando paladino,

un tal Rinaldo, e forse anco migliore:

l'un fu d'Almonte, e l'altro di Mambrino:

acquista un di quei dui col tuo valore;

e questo, ch'hai già di lasciarmi detto,

farai bene a lasciarmi con effetto. -

 

29

All'apparir che fece all'improvviso

de l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciossi,

e scolorossi al Saracino il viso;

la voce, ch'era per uscir, fermossi.

Udendo poi da l'Argalia, ch'ucciso

quivi avea già (che l'Argalia nomossi)

la rotta fede così improverarse,

di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.

 

30

Né tempo avendo a pensar altra scusa,

e conoscendo ben che 'l ver gli disse,

restò senza risposta a bocca chiusa;

ma la vergogna il cor sì gli trafisse,

che giurò per la vita di Lanfusa

non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,

se non quel buono che già in Aspramonte

trasse dal capo Orlando al fiero Almonte.

 

31

E servò meglio questo giuramento,

che non avea quell'altro fatto prima.

Quindi si parte tanto malcontento,

che molti giorni poi si rode e lima.

Sol di cercare è il paladino intento

di qua di là, dove trovarlo stima.

Altra ventura al buon Rinaldo accade,

che da costui tenea diverse strade.

 

32

Non molto va Rinaldo, che si vede

saltare inanzi il suo destrier feroce:

- Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!

che l'esser senza te troppo mi nuoce. -

Per questo il destrier sordo, a lui non riede

anzi più se ne va sempre veloce.

Segue Rinaldo, e d'ira si distrugge:

ma seguitiamo Angelica che fugge.

 

33

Fugge tra selve spaventose e scure,

per lochi inabitati, ermi e selvaggi.

Il mover de le frondi e di verzure,

che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,

fatto le avea con subite paure

trovar di qua di là strani viaggi;

ch'ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,

temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

 

34

Qual pargoletta o damma o capriuola,

che tra le fronde del natio boschetto

alla madre veduta abbia la gola

stringer dal pardo, o aprirle 'l fianco o 'l petto,

di selva in selva dal crudel s'invola,

e di paura trema e di sospetto:

ad ogni sterpo che passando tocca,

esser si crede all'empia fera in bocca.

 

35

Quel dì e la notte a mezzo l'altro giorno

s'andò aggirando, e non sapeva dove.

Trovossi al fin in un boschetto adorno,

che lievemente la fresca aura muove.

Duo chiari rivi, mormorando intorno,

sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;

e rendea ad ascoltar dolce concento,

rotto tra picciol sassi, il correr lento.

 

36

Quivi parendo a lei d'esser sicura

e lontana a Rinaldo mille miglia,

da la via stanca e da l'estiva arsura,

di riposare alquanto si consiglia:

tra' fiori smonta, e lascia alla pastura

andare il palafren senza la briglia;

e quel va errando intorno alle chiare onde,

che di fresca erba avean piene le sponde.

 

37

Ecco non lungi un bel cespuglio vede

di prun fioriti e di vermiglie rose,

che de le liquide onde al specchio siede,

chiuso dal sol fra l'alte querce ombrose;

così voto nel mezzo, che concede

fresca stanza fra l'ombre più nascose:

e la foglia coi rami in modo è mista,

che 'l sol non v'entra, non che minor vista.

 

38

Dentro letto vi fan tenere erbette,

ch'invitano a posar chi s'appresenta.

La bella donna in mezzo a quel si mette,

ivi si corca ed ivi s'addormenta.

Ma non per lungo spazio così stette,

che un calpestio le par che venir senta:

cheta si leva e appresso alla riviera

vede ch'armato un cavallier giunt'era.

 

39

Se gli è amico o nemico non comprende:

tema e speranza il dubbio cor le scuote;

e di quella aventura il fine attende,

né pur d'un sol sospir l'aria percuote.

Il cavalliero in riva al fiume scende

sopra l'un braccio a riposar le gote;

e in un suo gran pensier tanto penètra,

che par cangiato in insensibil pietra.

 

40

Pensoso più d'un'ora a capo basso

stette, Signore, il cavallier dolente;

poi cominciò con suono afflitto e lasso

a lamentarsi sì soavemente,

ch'avrebbe di pietà spezzato un sasso,

una tigre crudel fatta clemente.

Sospirante piangea, tal ch'un ruscello

parean le guance, e 'l petto un Mongibello.

 

41

- Pensier (dicea) che 'l cor m'agghiacci ed ardi,

e causi il duol che sempre il rode e lima,

che debbo far, poi ch'io son giunto tardi,

e ch'altri a corre il frutto è andato prima?

a pena avuto io n'ho parole e sguardi,

ed altri n'ha tutta la spoglia opima.

Se non ne tocca a me frutto né fiore,

perché affligger per lei mi vuo' più il core?

 

42

La verginella è simile alla rosa,

ch'in bel giardin su la nativa spina

mentre sola e sicura si riposa,

né gregge né pastor se le avvicina;

l'aura soave e l'alba rugiadosa,

l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:

gioveni vaghi e donne inamorate

amano averne e seni e tempie ornate.

 

43

Ma non sì tosto dal materno stelo

rimossa viene e dal suo ceppo verde,

che quanto avea dagli uomini e dal cielo

favor, grazia e bellezza, tutto perde.

La vergine che 'l fior, di che più zelo

che de' begli occhi e de la vita aver de',

lascia altrui corre, il pregio ch'avea inanti

perde nel cor di tutti gli altri amanti.

 

44

Sia Vile agli altri, e da quel solo amata

a cui di sé fece sì larga copia.

Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!

trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia.

Dunque esser può che non mi sia più grata?

dunque io posso lasciar mia vita propia?

Ah più tosto oggi manchino i dì miei,

ch'io viva più, s'amar non debbo lei! -

 

45

Se mi domanda alcun chi costui sia,

che versa sopra il rio lacrime tante,

io dirò ch'egli è il re di Circassia,

quel d'amor travagliato Sacripante;

io dirò ancor, che di sua pena ria

sia prima e sola causa essere amante,

è pur un degli amanti di costei:

e ben riconosciuto fu da lei.

 

46

Appresso ove il sol cade, per suo amore

venuto era dal capo d'Oriente;

che seppe in India con suo gran dolore,

come ella Orlando sequitò in Ponente:

poi seppe in Francia che l'imperatore

sequestrata l'avea da l'altra gente,

per darla all'un de' duo che contra il Moro

più quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.

 

47

Stato era in campo, e inteso avea di quella

rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:

cercò vestigio d'Angelica bella,

né potuto avea ancora ritrovarlo.

Questa è dunque la trista e ria novella

che d'amorosa doglia fa penarlo,

affligger, lamentare, e dir parole

che di pietà potrian fermare il sole.

 

48

Mentre costui così s'affligge e duole,

e fa degli occhi suoi tepida fonte,

e dice queste e molte altre parole,

che non mi par bisogno esser racconte;

l'aventurosa sua fortuna vuole

ch'alle orecchie d'Angelica sian conte:

e così quel ne viene a un'ora, a un punto,

ch'in mille anni o mai più non è raggiunto.

 

49

Con molta attenzion la bella donna

al pianto, alle parole, al modo attende

di colui ch'in amarla non assonna;

né questo è il primo dì ch'ella l'intende:

ma dura e fredda più d'una colonna,

ad averne pietà non però scende,

come colei c'ha tutto il mondo a sdegno,

e non le par ch'alcun sia di lei degno.

 

50

Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola

le fa pensar di tor costui per guida;

che chi ne l'acqua sta fin alla gola

ben è ostinato se mercé non grida.

Se questa occasione or se l'invola,

non troverà mai più scorta sì fida;

ch'a lunga prova conosciuto inante

s'avea quel re fedel sopra ogni amante.

 

51

Ma non però disegna de l'affanno

che lo distrugge alleggierir chi l'ama,

e ristorar d'ogni passato danno

con quel piacer ch'ogni amator più brama:

ma alcuna fizione, alcuno inganno

di tenerlo in speranza ordisce e trama;

tanto ch'a quel bisogno se ne serva,

poi torni all'uso suo dura e proterva.

 

52

E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco

fa di sé bella ed improvvisa mostra,

come di selva o fuor d'ombroso speco

Diana in scena o Citerea si mostra;

e dice all'apparir: - Pace sia teco;

teco difenda Dio la fama nostra,

e non comporti, contra ogni ragione,

ch'abbi di me sì falsa opinione. -

 

53

Non mai con tanto gaudio o stupor tanto

levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,

ch'avea per morto sospirato e pianto,

poi che senza esso udì tornar le squadre;

con quanto gaudio il Saracin, con quanto

stupor l'alta presenza e le leggiadre

maniere, e il vero angelico sembiante,

improviso apparir si vide inante.

 

54

Pieno di dolce e d'amoroso affetto,

alla sua donna, alla sua diva corse,

che con le braccia al collo il tenne stretto,

quel ch'al Catai non avria fatto forse.

Al patrio regno, al suo natio ricetto,

seco avendo costui, l'animo torse:

subito in lei s'avviva la speranza

di tosto riveder sua ricca stanza.

 

55

Ella gli rende conto pienamente

dal giorno che mandato fu da lei

a domandar soccorso in Oriente

al re de' Sericani e Nabatei;

e come Orlando la guardò sovente

da morte, da disnor, da casi rei:

e che 'l fior virginal così avea salvo,

come se lo portò del materno alvo.

 

56

Forse era ver, ma non però credibile

a chi del senso suo fosse signore;

ma parve facilmente a lui possibile,

ch'era perduto in via più grave errore.

Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,

e l'invisibil fa vedere Amore.

Questo creduto fu; che 'l miser suole

dar facile credenza a quel che vuole.

 

57

- Se mal si seppe il cavallier d'Anglante

pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,

il danno se ne avrà; che da qui inante

nol chiamerà Fortuna a sì gran dono

(tra sé tacito parla Sacripante):

ma io per imitarlo già non sono,

che lasci tanto ben che m'è concesso,

e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.

 

58

Corrò la fresca e matutina rosa,

che, tardando, stagion perder potria.

So ben ch'a donna non si può far cosa

che più soave e più piacevol sia,

ancor che se ne mostri disdegnosa,

e talor mesta e flebil se ne stia:

non starò per repulsa o finto sdegno,

ch'io non adombri e incarni il mio disegno. -

 

59

Così dice egli; e mentre s'apparecchia

al dolce assalto, un gran rumor che suona

dal vicin bosco gl'intruona l'orecchia,

sì che mal grado l'impresa abbandona:

e si pon l'elmo (ch'avea usanza vecchia

di portar sempre armata la persona),

viene al destriero e gli ripon la briglia,

rimonta in sella e la sua lancia piglia.

 

60

Ecco pel bosco un cavallier venire,

il cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero:

candido come nieve è il suo vestire,

un bianco pennoncello ha per cimiero.

Re Sacripante, che non può patire

che quel con l'importuno suo sentiero

gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea,

con vista il guarda disdegnosa e rea.

 

61

Come è più appresso, lo sfida a battaglia;

che crede ben fargli votar l'arcione.

Quel che di lui non stimo già che vaglia

un grano meno, e ne fa paragone,

l'orgogliose minacce a mezzo taglia,

sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.

Sacripante ritorna con tempesta,

e corronsi a ferir testa per testa.

 

62

Non si vanno i leoni o i tori in salto

a dar di petto, ad accozzar sì crudi,

sì come i duo guerrieri al fiero assalto,

che parimente si passar li scudi.

Fe' lo scontro tremar dal basso all'alto

l'erbose valli insino ai poggi ignudi;

e ben giovò che fur buoni e perfetti

gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.

 

63

Già non fero i cavalli un correr torto,

anzi cozzaro a guisa di montoni:

quel del guerrier pagan morì di corto,

ch'era vivendo in numero de' buoni:

quell'altro cadde ancor, ma fu risorto

tosto ch'al fianco si sentì gli sproni.

Quel del re saracin restò disteso

adosso al suo signor con tutto il peso.

 

64

L'incognito campion che restò ritto,

e vide l'altro col cavallo in terra,

stimando avere assai di quel conflitto,

non si curò di rinovar la guerra;

ma dove per la selva è il camin dritto,

correndo a tutta briglia si disserra;

e prima che di briga esca il pagano,

un miglio o poco meno è già lontano.

 

65

Qual istordito e stupido aratore,

poi ch'è passato il fulmine, si leva

di là dove l'altissimo fragore

appresso ai morti buoi steso l'aveva;

che mira senza fronde e senza onore

il pin che di lontan veder soleva:

tal si levò il pagano a piè rimaso,

Angelica presente al duro caso.

 

66

Sospira e geme, non perché l'annoi

che piede o braccio s'abbi rotto o mosso,

ma per vergogna sola, onde a' dì suoi

né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:

e più, ch'oltre il cader, sua donna poi

fu che gli tolse il gran peso d'adosso.

Muto restava, mi cred'io, se quella

non gli rendea la voce e la favella.

 

67

- Deh! (diss'ella) signor, non vi rincresca!

che del cader non è la colpa vostra,

ma del cavallo, a cui riposo ed esca

meglio si convenia che nuova giostra.

Né perciò quel guerrier sua gloria accresca

che d'esser stato il perditor dimostra:

così, per quel ch'io me ne sappia, stimo,

quando a lasciare il campo è stato primo. -

 

68

Mentre costei conforta il Saracino,

ecco col corno e con la tasca al fianco,

galoppando venir sopra un ronzino

un messagger che parea afflitto e stanco;

che come a Sacripante fu vicino,

gli domandò se con un scudo bianco

e con un bianco pennoncello in testa

vide un guerrier passar per la foresta.

 

69

Rispose Sacripante: - Come vedi,

m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;

e perch'io sappia chi m'ha messo a piedi,

fa che per nome io lo conosca ancora. -

Ed egli a lui: - Di quel che tu mi chiedi

io ti satisfarò senza dimora:

tu dei saper che ti levò di sella

l'alto valor d'una gentil donzella.

 

70

Ella è gagliarda ed è più bella molto;

né il suo famoso nome anco t'ascondo:

fu Bradamante quella che t'ha tolto

quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. -

Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto

il Saracin lasciò poco giocondo,

che non sa che si dica o che si faccia,

tutto avvampato di vergogna in faccia.

 

71

Poi che gran pezzo al caso intervenuto

ebbe pensato invano, e finalmente

si trovò da una femina abbattuto,

che pensandovi più, più dolor sente;

montò l'altro destrier, tacito e muto:

e senza far parola, chetamente

tolse Angelica in groppa, e differilla

a più lieto uso, a stanza più tranquilla.

 

72

Non furo iti due miglia, che sonare

odon la selva che li cinge intorno,

con tal rumore e strepito, che pare

che triemi la foresta d'ogn'intorno;

e poco dopo un gran destrier n'appare,

d'oro guernito e riccamente adorno,

che salta macchie e rivi, ed a fracasso

arbori mena e ciò che vieta il passo.

 

73

- Se l'intricati rami e l'aer fosco,

(disse la donna) agli occhi non contende,

Baiardo è quel destrier ch'in mezzo il bosco

con tal rumor la chiusa via si fende.

Questo è certo Baiardo, io 'l riconosco:

deh, come ben nostro bisogno intende!

ch'un sol ronzin per dui saria mal atto,

e ne viene egli a satisfarci ratto. -

 

74

Smonta il Circasso ed al destrier s'accosta,

e si pensava dar di mano al freno.

Colle groppe il destrier gli fa risposta,

che fu presto al girar come un baleno;

ma non arriva dove i calci apposta:

misero il cavallier se giungea a pieno!

che nei calci tal possa avea il cavallo,

ch'avria spezzato un monte di metallo.

 

75

Indi va mansueto alla donzella,

con umile sembiante e gesto umano,

come intorno al padrone il can saltella,

che sia duo giorni o tre stato lontano.

Baiardo ancora avea memoria d'ella,

ch'in Albracca il servia già di sua mano

nel tempo che da lei tanto era amato

Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

 

76

Con la sinistra man prende la briglia,

con l'altra tocca e palpa il collo e 'l petto:

quel destrier, ch'avea ingegno a maraviglia,

a lei, come un agnel, si fa suggetto.

Intanto Sacripante il tempo piglia:

monta Baiardo e l'urta e lo tien stretto.

Del ronzin disgravato la donzella

lascia la groppa, e si ripone in sella.

 

77

Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira

venir sonando d'arme un gran pedone.

Tutta s'avvampa di dispetto e d'ira,

che conosce il figliuol del duca Amone.

Più che sua vita l'ama egli e desira;

l'odia e fugge ella più che gru falcone.

Già fu ch'esso odiò lei più che la morte;

ella amò lui: or han cangiato sorte.

 

78

E questo hanno causato due fontane

che di diverso effetto hanno liquore,

ambe in Ardenna, e non sono lontane:

d'amoroso disio l'una empie il core;

chi bee de l'altra, senza amor rimane,

e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.

Rinaldo gustò d'una, e amor lo strugge;

Angelica de l'altra, e l'odia e fugge.

 

79

Quel liquor di secreto venen misto,

che muta in odio l'amorosa cura,

fa che la donna che Rinaldo ha visto,

nei sereni occhi subito s'oscura;

e con voce tremante e viso tristo

supplica Sacripante e lo scongiura

che quel guerrier più appresso non attenda,

ma ch'insieme con lei la fuga prenda.

 

80

- Son dunque (disse il Saracino), sono

dunque in sì poco credito con vui,

che mi stimiate inutile e non buono

da potervi difender da costui?

Le battaglie d'Albracca già vi sono

di mente uscite, e la notte ch'io fui

per la salute vostra, solo e nudo,

contra Agricane e tutto il campo, scudo? -

 

81

Non risponde ella, e non sa che si faccia,

perché Rinaldo ormai l'è troppo appresso,

che da lontan al Saracin minaccia,

come vide il cavallo e conobbe esso,

e riconohbe l'angelica faccia

che l'amoroso incendio in cor gli ha messo.

Quel che seguì tra questi duo superbi

vo' che per l'altro canto si riserbi.

 

 

CANTO SECONDO

 

 

1

Ingiustissimo Amor, perché sì raro

corrispondenti fai nostri desiri?

onde, perfido, avvien che t'è sì caro

il discorde voler ch'in duo cor miri?

Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,

e nel più cieco e maggior fondo tiri:

da chi disia il mio amor tu mi richiami,

e chi m'ha in odio vuoi ch'adori ed ami.

 

2

Fai ch'a Rinaldo Angelica par bella,

quando esso a lei brutto e spiacevol pare:

quando le parea bello e l'amava ella,

egli odiò lei quanto si può più odiare.

Ora s'affligge indarno e si flagella;

così renduto ben gli è pare a pare:

ella l'ha in odio, e l'odio è di tal sorte,

che piu tosto che lui vorria la morte.

 

3

Rinaldo al Saracin con molto orgoglio

gridò: - Scendi, ladron, del mio cavallo!

Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,

ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:

e levar questa donna anco ti voglio;

che sarebbe a lasciartela gran fallo.

Sì perfetto destrier, donna sì degna

a un ladron non mi par che si convegna. -

 

4

- Tu te ne menti che ladrone io sia

(rispose il Saracin non meno altiero):

chi dicesse a te ladro, lo diria

(quanto io n'odo per fama) più con vero.

La pruova or si vedrà, chi di noi sia

più degno de la donna e del destriero;

ben che, quanto a lei, teco io mi convegna

che non è cosa al mondo altra sì degna. -

 

5

Come soglion talor duo can mordenti,

o per invidia o per altro odio mossi,

avicinarsi digrignando i denti,

con occhi bieci e più che bracia rossi;

indi a' morsi venir, di rabbia ardenti,

con aspri ringhi e ribuffati dossi:

così alle spade e dai gridi e da l'onte

venne il Circasso e quel di Chiaramonte.

 

6

A piedi è l'un, l'altro a cavallo: or quale

credete ch'abbia il Saracin vantaggio?

Né ve n'ha però alcun; che così vale

forse ancor men ch'uno inesperto paggio;

che 'l destrier per istinto naturale

non volea fare al suo signore oltraggio:

né con man né con spron potea il Circasso

farlo a voluntà sua muover mai passo.

 

7

Quando crede cacciarlo, egli s'arresta;

E se tener lo vuole, o corre o trotta:

poi sotto il petto si caccia la testa,

giuoca di schiene, e mena calci in frotta.

Vedendo il Saracin ch'a domar questa

bestia superba era mal tempo allotta,

ferma le man sul primo arcione e s'alza,

e dal sinistro fianco in piede sbalza.

 

8

Sciolto che fu il pagan con leggier salto

da l'ostinata furia di Baiardo,

si vide cominciar ben degno assalto

d'un par di cavallier tanto gagliardo.

Suona l'un brando e l'altro, or basso or alto:

il martel di Vulcano era più tardo

ne la spelunca affumicata, dove

battea all'incude i folgori di Giove.

 

9

Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi

colpi veder che mastri son del giuoco:

or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,

ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,

ora crescer inanzi, ora ritrarsi,

ribatter colpi e spesso lor dar loco,

girarsi intorno; e donde l'uno cede,

l'altro aver posto immantinente il piede.

 

10

Ecco Rinaldo con la spada adosso

a Sacripante tutto s'abbandona;

e quel porge lo scudo, ch'era d'osso,

con la piastra d'acciar temprata e buona.

Taglial Fusberta, ancor che molto grosso:

ne geme la foresta e ne risuona.

L'osso e l'acciar ne va che par di ghiaccio,

e lascia al Saracin stordito il braccio.

 

11

Quando vide la timida donzella

dal fiero colpo uscir tanta ruina,

per gran timor cangiò la faccia bella,

qual il reo ch'al supplicio s'avvicina;

né le par che vi sia da tardar, s'ella

non vuol di quel Rinaldo esser rapina,

di quel Rinaldo ch'ella tanto odiava,

quanto esso lei miseramente amava.

 

12

Volta il cavallo, e ne la selva folta

lo caccia per un aspro e stretto calle:

e spesso il viso smorto a dietro volta;

che le par che Rinaldo abbia alle spalle.

Fuggendo non avea fatto via molta,

che scontrò un eremita in una valle,

ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,

devoto e venerabile d'aspetto.

 

13

Dagli anni e dal digiuno attenuato,

sopra un lento asinel se ne veniva;

e parea, più ch'alcun fosse mai stato,

di coscienza scrupolosa e schiva.

Come egli vide il viso delicato

de la donzella che sopra gli arriva,

debil quantunque e mal gagliarda fosse,

tutta per carità se gli commosse.

 

14

La donna al fraticel chiede la via

che la conduca ad un porto di mare,

perché levar di Francia si vorria,

per non udir Rinaldo nominare.

Il frate, che sapea negromanzia,

non cessa la donzella confortare

che presto la trarrà d'ogni periglio;

ed ad una sua tasca diè di piglio.

 

15

Trassene un libro, e mostrò grande effetto;

che legger non finì la prima faccia,

ch'uscir fa un spirto in forma di valletto,

e gli commanda quanto vuol ch'el faccia.

Quel se ne va, da la scrittura astretto,

dove i dui cavallieri a faccia a faccia

eran nel bosco, e non stavano al rezzo;

fra' quali entrò con grande audacia in mezzo.

 

16

- Per cortesia (disse), un di voi mi mostre,

quando anco uccida l'altro, che gli vaglia:

che merto avrete alle fatiche vostre,

finita che tra voi sia la battaglia,

se 'l conte Orlando, senza liti o giostre,

e senza pur aver rotta una maglia,

verso Parigi mena la donzella

che v'ha condotti a questa pugna fella?

 

17

Vicino un miglio ho ritrovato Orlando

che ne va con Angelica a Parigi,

di voi ridendo insieme, e motteggiando

che senza frutto alcun siate in litigi.

Il meglio forse vi sarebbe, or quando

non son più lungi, a seguir lor vestigi;

che s'in Parigi Orlando la può avere,

non ve la lascia mai più rivedere. -

 

18

Veduto avreste i cavallier turbarsi

a quel annunzio, e mesti e sbigottiti,

senza occhi e senza mente nominarsi,

che gli avesse il rival così scherniti;

ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi

con sospir che parean del fuoco usciti,

e giurar per isdegno e per furore,

se giungea Orlando, di cavargli il core.

 

19

E dove aspetta il suo Baiardo, passa,

e sopra vi si lancia, e via galoppa,

né al cavallier, ch'a piè nel bosco lassa,

pur dice a Dio, non che lo 'nviti in groppa.

L'animoso cavallo urta e fracassa,

punto dal suo signor, ciò ch'egli 'ntoppa:

non ponno fosse o fiumi o sassi o spine

far che dal corso il corridor decline.

 

20

Signor, non voglio che vi paia strano

se Rinaldo or sì tosto il destrier piglia,

che già più giorni ha seguitato invano,

né gli ha possuto mai toccar la briglia.

Fece il destrier, ch'avea intelletto umano,

non per vizio seguirsi tante miglia,

ma per guidar dove la donna giva,

il suo signor, da chi bramar l'udiva.

 

21

Quando ella si fuggì dal padiglione,

la vide ed appostolla il buon destriero,

che si trovava aver voto l'arcione,

però che n'era sceso il cavalliero

per combatter di par con un barone,

che men di lui non era in arme fiero;

poi ne seguitò l'orme di lontano,

bramoso porla al suo signore in mano.

 

22

Bramoso di ritrarlo ove fosse ella,

per la gran selva inanzi se gli messe;

né lo volea lasciar montare in sella,

perché ad altro camin non lo volgesse.

Per lui trovò Rinaldo la donzella

una e due volte, e mai non gli successe;

che fu da Ferraù prima impedito,

poi dal Circasso, come avete udito.

 

23

Ora al demonio che mostrò a Rinaldo

de la donzella li falsi vestigi,

credette Baiardo anco, e stette saldo

e mansueto ai soliti servigi.

Rinaldo il caccia, d'ira e d'amor caldo,

a tutta briglia, e sempre invêr Parigi;

e vola tanto col disio, che lento,

non ch'un destrier, ma gli parrebbe il vento.

 

24

La notte a pena di seguir rimane,

per affrontarsi col signor d'Anglante:

tanto ha creduto alle parole vane

del messagger del cauto negromante.

Non cessa cavalcar sera e dimane,

che si vede apparir la terra avante,

dove re Carlo, rotto e mal condutto,

con le reliquie sue s'era ridutto:

 

25

e perché dal re d'Africa battaglia

ed assedio s'aspetta, usa gran cura

a raccor buona gente e vettovaglia,

far cavamenti e riparar le mura.

Ciò ch'a difesa spera che gli vaglia,

senza gran diferir, tutto procura:

pensa mandare in Inghilterra, e trarne

gente onde possa un novo campo farne:

 

26

che vuole uscir di nuovo alla campagna,

e ritentar la sorte de la guerra.

Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,

Bretagna che fu poi detta Inghilterra.

Ben de l'andata il paladin si lagna:

non ch'abbia così in odio quella terra;

ma perché Carlo il manda allora allora,

né pur lo lascia un giorno far dimora.

 

27

Rinaldo mai di ciò non fece meno

volentier cosa; poi che fu distolto

di gir cercando il bel viso sereno

che gli avea il cor di mezzo il petto tolto:

ma, per ubidir Carlo, nondimeno

a quella via si fu subito volto,

ed a Calesse in poche ore trovossi;

e giunto, il dì medesimo imbarcossi.

 

28

Contra la voluntà d'ogni nocchiero,

pel gran desir che di tornare avea,

entrò nel mar ch'era turbato e fiero,

e gran procella minacciar parea.

Il Vento si sdegnò, che da l'altiero

sprezzar si vide; e con tempesta rea

sollevò il mar intorno, e con tal rabbia,

che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.

 

29

Calano tosto i marinari accorti

le maggior vele, e pensano dar volta,

e ritornar ne li medesmi porti

donde in mal punto avean la nave sciolta.

- Non convien (dice il Vento) ch'io comporti

tanta licenza che v'avete tolta; -

e soffia e grida e naufragio minaccia,

s'altrove van, che dove egli li caccia.

 

30

Or a poppa, or all'orza hann'il crudele,

che mai non cessa, e vien più ognor crescendo:

essi di qua di là con umil vele

vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo.

Ma perché varie fila a varie tele

uopo mi son, che tutte ordire intendo,

lascio Rinaldo e l'agitata prua,

e torno a dir di Bradamante sua.

 

31

Io parlo di quella inclita donzella,

per cui re Sacripante in terra giacque,

che di questo signor degna sorella,

del duca Amone e di Beatrice nacque.

La gran possanza e il molto ardir di quella

non meno a Carlo e a tutta Francia piacque

(che più d'un paragon ne vide saldo),

che 'l lodato valor del buon Rinaldo.

 

32

La donna amata fu da un cavalliero

che d'Africa passò col re Agramante,

che partorì del seme di Ruggiero

la disperata figlia di Agolante:

e costei, che né d'orso né di fiero

leone uscì, non sdegnò tal amante;

ben che concesso, fuor che vedersi una

volta e parlarsi, non ha lor Fortuna.

 

33

Quindi cercando Bradamante gìa

l'amante suo, ch'avea nome dal padre,

così sicura senza compagnia,

come avesse in sua guardia mille squadre:

e fatto ch'ebbe al re di Circassia

battere il volto dell'antiqua madre,

traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,

tanto che giunse ad una bella fonte.

 

34

La fonte discorrea per mezzo un prato,

d'arbori antiqui e di bell'ombre adorno,

Ch'i viandanti col mormorio grato

a ber invita e a far seco soggiorno:

un culto monticel dal manco lato

le difende il calor del mezzo giorno.

Quivi, come i begli occhi prima torse,

d'un cavallier la giovane s'accorse;

 

35

d'un cavallier, ch'all'ombra d'un boschetto,

nel margin verde e bianco e rosso e giallo

sedea pensoso, tacito e soletto

sopra quel chiaro e liquido cristallo.

Lo scudo non lontan pende e l'elmetto

dal faggio, ove legato era il cavallo;

ed avea gli occhi molli e 'l viso basso,

e si mostrava addolorato e lasso.

 

36

Questo disir, ch'a tutti sta nel core,

de' fatti altrui sempre cercar novella,

fece a quel cavallier del suo dolore

la cagion domandar da la donzella.

Egli l'aperse e tutta mostrò fuore,

dal cortese parlar mosso di quella,

e dal sembiante altier, ch'al primo sguardo

gli sembrò di guerrier molto gagliardo.

 

37

E cominciò: - Signor, io conducea

pedoni e cavallieri, e venìa in campo

là dove Carlo Marsilio attendea,

perch'al scender del monte avesse inciampo;

e una giovane bella meco avea,

del cui fervido amor nel petto avampo:

e ritrovai presso a Rodonna armato

un che frenava un gran destriero alato.

 

38

Tosto che 'l ladro, o sia mortale, o sia

una de l'infernali anime orrende,

vede la bella e cara donna mia;

come falcon che per ferir discende,

cala e poggia in un atimo, e tra via

getta le mani, e lei smarrita prende.

Ancor non m'era accorto de l'assalto,

che de la donna io senti' il grido in alto.

 

39

Così il rapace nibio furar suole

il misero pulcin presso alla chioccia,

che di sua inavvertenza poi si duole,

e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.

Io non posso seguir un uom che vole,

chiuso tra' monti, a piè d'un'erta roccia:

stanco ho il destrier, che muta a pena i passi

ne l'aspre vie de' faticosi sassi.

 

40

Ma, come quel che men curato avrei

vedermi trar di mezzo il petto il core,

lasciai lor via seguir quegli altri miei,

senza mia guida e senza alcun rettore:

per li scoscesi poggi e manco rei

presi la via che mi mostrava Amore,

e dove mi parea che quel rapace

portassi il mio conforto e la mia pace.

 

41

Sei giorni me n'andai matina e sera

per balze e per pendici orride e strane,

dove non via, dove sentier non era,

dove né segno di vestigie umane;

poi giunsi in una valle inculta e fiera,

di ripe cinta e spaventose tane,

che nel mezzo s'un sasso avea un castello

forte e ben posto, a maraviglia bello.

 

42

Da lungi par che come fiamma lustri,

né sia di terra cotta, né di marmi.

Come più m'avicino ai muri illustri,

l'opra più bella e più mirabil parmi.

E seppi poi, come i demoni industri,

da suffumigi tratti e sacri carmi,

tutto d'acciaio avean cinto il bel loco,

temprato all'onda ed allo stigio foco.

 

43

Di sì forbito acciar luce ogni torre,

che non vi può né ruggine né macchia.

Tutto il paese giorno e notte scorre,

E poi là dentro il rio ladron s'immacchia.

Cosa non ha ripar che voglia torre:

sol dietro invan se li bestemia e gracchia.

Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,

che di mai ricovrar lascio ogni spene.

 

44

Ah lasso! che poss'io più che mirare

la rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso?

come la volpe, che 'l figlio gridare

nel nido oda de l'aquila di giuso,

s'aggira intorno, e non sa che si fare,

poi che l'ali non ha da gir là suso.

Erto è quel sasso sì, tale è il castello,

che non vi può salir chi non è augello.

 

45

Mentre io tardava quivi, ecco venire

duo cavallier ch'avean per guida un nano,

che la speranza aggiunsero al desire;

ma ben fu la speranza e il desir vano.

Ambi erano guerrier di sommo ardire:

era Gradasso l'un, re sericano;

era l'altro Ruggier, giovene forte,

pregiato assai ne l'africana corte.

 

46

- Vengon (mi disse il nano) per far pruova

di lor virtù col sir di quel castello,

che per via strana, inusitata e nuova

cavalca armato il quadrupede augello. -

- Deh, signor (diss'io lor), pietà vi muova

del duro caso mio spietato e fello!

Quando, come ho speranza, voi vinciate,

vi prego la mia donna mi rendiate. -

 

47

E come mi fu tolta lor narrai,

con lacrime affermando il dolor mio.

Quei, lor mercé, mi proferiro assai,

e giù calaro il poggio alpestre e rio.

Di lontan la battaglia io riguardai,

pregando per la lor vittoria Dio.

Era sotto il castel tanto di piano,

quanto in due volte si può trar con mano.

 

48

Poi che fur giunti a piè de l'alta rocca,

l'uno e l' altro volea combatter prima;

pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,

o pur che non ne fe' Ruggier più stima.

Quel Serican si pone il corno a bocca:

rimbomba il sasso e la fortezza in cima.

Ecco apparire il cavalliero armato

fuor de la porta, e sul cavallo alato.

 

49

Cominciò a poco a poco indi a levarse,

come suol far la peregrina grue,

che corre prima, e poi vediamo alzarse

alla terra vicina un braccio o due;

e quando tutte sono all'aria sparse,

velocissime mostra l'ale sue.

Sì ad alto il negromante batte l'ale,

ch'a tanta altezza a pena aquila sale.

 

50

Quando gli parve poi, volse il destriero,

che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,

come casca dal ciel falcon maniero

che levar veggia l'anitra o il colombo.

Con la lancia arrestata il cavalliero

l'aria fendendo vien d'orribil rombo.

Gradasso a pena del calar s'avede,

che se lo sente addosso e che lo fiede.

 

51

Sopra Gradasso il mago l'asta roppe;

ferì Gradasso il vento e l'aria vana:

per questo il volator non interroppe

il batter l'ale, e quindi s'allontana.

Il grave scontro fa chinar le groppe

sul verde prato alla gagliarda alfana.

Gradasso avea una alfana, la più bella

e la miglior che mai portasse sella.

 

52

Sin alle stelle il volator trascorse;

indi girossi e tornò in fretta al basso,

e percosse Ruggier che non s'accorse,

Ruggier che tutto intento era a Gradasso.

Ruggier del grave colpo si distorse,

e 'l suo destrier più rinculò d'un passo;

e quando si voltò per lui ferire,

da sé lontano il vide al ciel salire.

 

53

Or su Gradasso, or su Ruggier percote

ne la fronte, nel petto e ne la schiena,

e le botte di quei lascia ognor vote,

perché è sì presto, che si vede a pena.

Girando va con spaziose rote,

e quando all'uno accenna, all'altro mena:

all'uno e all'altro sì gli occhi abbarbaglia,

che non ponno veder donde gli assaglia.

 

54

Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo

la battaglia durò sino a quella ora,

che spiegando pel mondo oscuro velo,

tutte le belle cose discolora.

Fu quel ch'io dico, e non v'aggiungo un pelo:

io 'l vidi, i' 'l so: né m'assicuro ancora

di dirlo altrui; che questa maraviglia

al falso più ch'al ver si rassimiglia.

 

55

D'un bel drappo di seta avea coperto

lo scudo in braccio il cavallier celeste.

Come avesse, non so, tanto sofferto

di tenerlo nascosto in quella veste;

ch'immantinente che lo mostra aperto,

forza è, ch'il mira, abbarbagliato reste,

e cada come corpo morto cade,

e venga al negromante in potestade.

 

56

Splende lo scudo a guisa di piropo,

e luce altra non è tanto lucente.

Cadere in terra allo splendor fu d'uopo

con gli occhi abbacinati, e senza mente.

Perdei da lungi anch'io li sensi, e dopo

gran spazio mi riebbi finalmente;

né più i guerrier né più vidi quel nano,

ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano.

 

57

Pensai per questo che l'incantatore

avesse amendui colti a un tratto insieme,

e tolto per virtù de lo splendore

la libertade a loro, e a me la speme.

Così a quel loco, che chiudea il mio core,

dissi, partendo, le parole estreme.

Or giudicate s'altra pena ria,

che causi Amor, può pareggiar la mia. -

 

58

Ritornò il cavallier nel primo duolo,

fatta che n'ebbe la cagion palese.

Questo era il conte Pinabel, figliuolo

d'Anselmo d'Altaripa, maganzese;

che tra sua gente scelerata, solo

leale esser non volse né cortese,

ma ne li vizi abominandi e brutti

non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.

 

59

La bella donna con diverso aspetto

stette ascoltando il Maganzese cheta;

che come prima di Ruggier fu detto,

nel viso si mostrò più che mai lieta:

ma quando sentì poi ch'era in distretto,

turbossi tutta d'amorosa pieta;

né per una o due volte contentosse

che ritornato a replicar le fosse.

 

60

E poi ch'al fin le parve esserne chiara,

gli disse: - Cavallier, datti riposo,

che ben può la mia giunta esserti cara,

parerti questo giorno aventuroso.

Andiam pur tosto a quella stanza avara,

che sì ricco tesor ci tiene ascoso;

né spesa sarà invan questa fatica,

se fortuna non m'è troppo nemica. -

 

61

Rispose il cavallier: - Tu vòi ch'io passi

di nuovo i monti, e mostriti la via?

A me molto non è perdere i passi,

perduta avendo ogni altra cosa mia;

ma tu per balze e ruinosi sassi

cerchi entrar in pregione; e così sia.

Non hai di che dolerti di me, poi

ch'io tel predico, e tu pur gir vi vòi. -

 

62

Così dice egli, e torna al suo destriero,

e di quella animosa si fa guida,

che si mette a periglio per Ruggiero,

che la pigli quel mago o che la ancida.

In questo, ecco alle spalle il messaggero,

ch': - Aspetta, aspetta! - a tutta voce grida,

il messagger da chi il Circasso intese

che costei fu ch'all'erba lo distese.

 

63

A Bradamante il messagger novella

di Mompolier e di Narbona porta,

ch'alzato gli stendardi di Castella

avean, con tutto il lito d'Acquamorta;

e che Marsilia, non v'essendo quella

che la dovea guardar, mal si conforta,

e consiglio e soccorso le domanda

per questo messo, e se le raccomanda.

 

64

Questa cittade, e intorno a molte miglia

ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,

avea l'imperator dato alla figlia

del duca Amon, in ch'avea speme e fede;

però che 'l suo valor con maraviglia

riguardar suol, quando armeggiar la vede.

Or, com'io dico, a domandar aiuto

quel messo da Marsilia era venuto.

 

65

Tra sì e no la giovane suspesa,

di voler ritornar dubita un poco:

quinci l'onore e il debito le pesa,

quindi l'incalza l'amoroso foco.

Fermasi al fin di seguitar l'impresa,

e trar Ruggier de l'incantato loco;

e quando sua virtù non possa tanto,

almen restargli prigioniera a canto.

 

66

E fece iscusa tal, che quel messaggio

parve contento rimanere e cheto.

Indi girò la briglia al suo viaggio,

con Pinabel che non ne parve lieto;

che seppe esser costei di quel lignaggio

che tanto ha in odio in publico e in secreto:

e già s'avisa le future angosce,

se lui per maganzese ella conosce.

 

67

Tra casa di Maganza e di Chiarmonte

era odio antico e inimicizia intensa;

e più volte s'avean rotta la fronte,

e sparso di lor sangue copia immensa:

e però nel suo cor l'iniquo conte

tradir l'incauta giovane si pensa;

o, come prima commodo gli accada,

lasciarla sola, e trovar altra strada.

 

68

E tanto gli occupò la fantasia

il nativo odio, il dubbio e la paura,

ch'inavedutamente uscì di via:

e ritrovossi in una selva oscura,

che nel mezzo avea un monte che finia

la nuda cima in una pietra dura;

e la figlia del duca di Dordona

gli è sempre dietro, e mai non l'abandona.

 

69

Come si vide il Maganzese al bosco,

pensò tôrsi la donna da le spalle.

Disse: - Prima che 'l ciel torni più fosco,

verso un albergo è meglio farsi il calle.

Oltra quel monte, s'io lo riconosco,

siede un ricco castel giù ne la valle.

Tu qui m'aspetta; che dal nudo scoglio

certificar con gli occhi me ne voglio. -

 

70

Così dicendo, alla cima superna

del solitario monte il destrier caccia,

mirando pur s'alcuna via discerna,

come lei possa tor da la sua traccia.

Ecco nel sasso truova una caverna,

che si profonda più di trenta braccia.

Tagliato a picchi ed a scarpelli il sasso

scende giù al dritto, ed ha una porta al basso.

 

71

Nel fondo avea una porta ampla e capace,

ch'in maggior stanza largo adito dava;

e fuor n'uscìa splendor, come di face

ch'ardesse in mezzo alla montana cava.

Mentre quivi il fellon suspeso tace,

la donna, che da lungi il seguitava

(perché perderne l'orme si temea),

alla spelonca gli sopragiungea.

 

72

Poi che si vide il traditore uscire,

quel ch'avea prima disegnato, invano,

o da sé torla, o di farla morire,

nuovo argumento imaginossi e strano.

Le si fe' incontra, e su la fe' salire

là dove il monte era forato e vano;

e le disse ch'avea visto nel fondo

una donzelIa di viso giocondo.

 

73

Ch'a' bei sembianti ed alla ricca vesta

esser parea di non ignobil grado;

ma quanto più potea turbata e mesta,

mostrava esservi chiusa suo mal grado:

e per saper la condizion di questa,

ch'avea già cominciato a entrar nel guado;

e ch'era uscito de l'interna grotta

un che dentro a furor l'avea ridotta.

 

74

Bradamante, che come era animosa,

così mal cauta, a Pinabel diè fede;

e d'aiutar la donna, disiosa,

si pensa come por colà giù il piede.

Ecco d'un olmo alla cima frondosa

volgendo gli occhi, un lungo ramo vede;

e con la spada quel subito tronca,

e lo declina giù ne la spelonca.

 

75

Dove è tagliato, in man lo raccomanda

a Pinabello, e poscia a quel s'apprende:

prima giù i piedi ne la tana manda,

e su le braccia tutta si suspende.

Sorride Pinabello, e le domanda

come ella salti; e le man apre e stende,

dicendole: - Qui fosser teco insieme

tutti li tuoi, ch'io ne spegnessi il seme! -

 

76

Non come volse Pinabello avvenne

de l'innocente giovane la sorte;

perché, giù diroccando a ferir venne

prima nel fondo il ramo saldo e forte.

Ben si spezzò, ma tanto la sostenne,

che 'l suo favor la liberò da morte.

Giacque stordita la donzella alquanto,

come io vi seguirò ne l'altro canto.

 

 

CANTO TERZO

 

 

1

Chi mi darà la voce e le parole

convenienti a sì nobil suggetto?

chi l'ale al verso presterà, che vole

tanto ch'arrivi all'alto mio concetto?

Molto maggior di quel furor che suole,

ben or convien che mi riscaldi il petto;

che questa parte al mio signor si debbe,

che canta gli avi onde l'origin ebbe:

 

2

Di cui fra tutti li signori illustri,

dal ciel sortiti a governar la terra,

non vedi, o Febo, che 'l gran mondo lustri,

più gloriosa stirpe o in pace o in guerra;

né che sua nobiltade abbia più lustri

servata, e servarà (s'in me non erra

quel profetico lume che m'ispiri)

fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.

 

3

E volendone a pien dicer gli onori,

bisogna non la mia, ma quella cetra

con che tu dopo i gigantei furori

rendesti grazia al regnator dell'etra.

S'istrumenti avrò mai da te migliori,

atti a sculpire in così degna pietra,

in queste belle imagini disegno

porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.

 

4

Levando intanto queste prime rudi

scaglie n'andrò con lo scarpello inetto:

forse ch'ancor con più solerti studi

poi ridurrò questo lavor perfetto.

Ma ritorniano a quello, a cui né scudi

potran né usberghi assicurare il petto:

parlo di Pinabello di Maganza,

che d'uccider la donna ebbe speranza.

 

5

Il traditor pensò che la donzella

fosse ne l'alto precipizio morta;

e con pallida faccia lasciò quella

trista e per lui contaminata porta,

e tornò presto a rimontar in sella:

e come quel ch'avea l'anima torta,

per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,

di Bradamante ne menò il cavallo.

 

6

Lasciàn costui, che mentre all'altrui vita

ordisce inganno, il suo morir procura;

e torniamo alla donna che, tradita,

quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.

Poi ch'ella si levò tutta stordita,

ch'avea percosso in su la pietra dura,

dentro la porta andò, ch'adito dava

ne la seconda assai più larga cava.

 

7

La stanza, quadra e spaziosa, pare

una devota e venerabil chiesa,

che su colonne alabastrine e rare

con bella architettura era suspesa.

Surgea nel mezzo un ben locato altare,

ch'avea dinanzi una lampada accesa;

e quella di splendente e chiaro foco

rendea gran lume all'uno e all'altro loco.

 

8

Di devota umiltà la donna tocca,

come si vide in loco sacro e pio,

incominciò col core e con la bocca,

inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.

Un picciol uscio intanto stride e crocca,

ch'era all'incontro, onde una donna uscìo

discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,

che la donzella salutò per nome.

 

9

E disse: - O generosa Bradamante,

non giunta qui senza voler divino,

di te più giorni m'ha predetto inante

il profetico spirto di Merlino,

che visitar le sue reliquie sante

dovevi per insolito camino:

e qui son stata acciò ch'io ti riveli

quel c'han di te già statuito i cieli.

 

10

Questa è l'antiqua e memorabil grotta

ch'edificò Merlino, il savio mago

che forse ricordare odi talotta,

dove ingannollo la Donna del Lago.

Il sepolcro è qui giù, dove corrotta

giace la carne sua; dove egli, vago

di sodisfare a lei, che glil suase,

vivo corcossi, e morto ci rimase.

 

11

Col corpo morto il vivo spirto alberga,

sin ch'oda il suon de l'angelica tromba

che dal ciel lo bandisca o che ve l'erga,

secondo che sarà corvo o colomba.

Vive la voce; e come chiara emerga,

udir potrai dalla marmorea tomba,

che le passate e le future cose

a chi gli domandò, sempre rispose.

 

12

Più giorni son ch'in questo cimiterio

venni di remotissimo paese,

perché circa il mio studio alto misterio

mi facesse Merlin meglio palese:

e perché ebbi vederti desiderio,

poi ci son stata oltre il disegno un mese;

che Merlin, che 'l ver sempre mi predisse,

termine al venir tuo questo dì fisse. -

 

13

Stassi d'Amon la sbigottita figlia

tacita e fissa al ragionar di questa;

ed ha sì pieno il cor di maraviglia,

che non sa s'ella dorme o s'ella è desta:

e con rimesse e vergognose ciglia

(come quella che tutta era modesta)

rispose: - Di che merito son io,

ch'antiveggian profeti il venir mio? -

 

14

E lieta de l'insolita avventura,

dietro alla Maga subito fu mossa,

che la condusse a quella sepoltura

che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.

Era quell'arca d'una pietra dura,

lucida e tersa, e come fiamma rossa;

tal ch'alla stanza, ben che di sol priva,

dava splendore il lume che n'usciva.

 

15

O che natura sia d'alcuni marmi

che muovin l'ombre a guisa di facelle,

o forza pur di suffumigi e carmi

e segni impressi all'osservate stelle

(come più questo verisimil parmi),

discopria lo splendor più cose belle

e di scoltura e di color, ch'intorno

il venerabil luogo aveano adorno.

 

16

A pena ha Bradamante da la soglia

levato il piè ne la secreta cella,

che 'l vivo spirto da la morta spoglia

con chiarissima voce le favella:

- Favorisca Fortuna ogni tua voglia,

o casta e nobilissima donzella,

del cui ventre uscirà il seme fecondo

che onorar deve Italia e tutto il mondo.

 

17

L'antiquo sangue che venne da Troia,

per li duo miglior rivi in te commisto,

produrrà l'ornamento, il fior, la gioia

d'ogni lignaggio ch'abbia il sol mai visto

tra l'Indo e 'l Tago e 'l Nilo e la Danoia,

tra quanto è 'n mezzo Antartico e Calisto.

Ne la progenie tua con sommi onori

saran marchesi, duci e imperatori.

 

18

I capitani e i cavallier robusti

quindi usciran, che col ferro e col senno

ricuperar tutti gli onor vetusti

de l'arme invitte alla sua Italia denno.

Quindi terran lo scettro i signor giusti,

che, come il savio Augusto e Numa fenno,

sotto il benigno e buon governo loro

ritorneran la prima età de l'oro.

 

19

Acciò dunque il voler del ciel si metta

in effetto per te, che di Ruggiero

t'ha per moglier fin da principio eletta,

segue animosamente il tuo sentiero;

che cosa non sarà che s'intrometta

da poterti turbar questo pensiero,

sì che non mandi al primo assalto in terra

quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra. -

 

20

Tacque Merlino avendo così detto,

ed agio all'opre de la Maga diede,

ch'a Bradamante dimostrar l'aspetto

si preparava di ciascun suo erede.

Avea di spirti un gran numero eletto,

non so se da l'Inferno o da qual sede,

e tutti quelli in un luogo raccolti

sotto abiti diversi e vari volti.

 

21

Poi la donzella a sé richiama in chiesa,

là dove prima avea tirato un cerchio

che la potea capir tutta distesa,

ed avea un palmo ancora di superchio.

E perché da li spirti non sia offesa,

le fa d'un gran pentacolo coperchio;

e le dice che taccia e stia a mirarla:

poi scioglie il libro, e coi demoni parla.

 

22

Eccovi fuor de la prima spelonca,

che gente intorno al sacro cerchio ingrossa;

ma, come vuole entrar, la via l'è tronca,

come lo cinga intorno muro e fossa.

In quella stanza, ove la bella conca

in sé chiudea del gran profeta l'ossa,

entravan l'ombre, poi ch'avean tre volte

fatto d'intorno lor debite volte.

 

23

- Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti

(dicea l'incantatrice a Bradamante),

di questi ch'or per gl'incantati spirti,

prima che nati sien, ci sono avante,

non so veder quando abbia da espedirti;

che non basta una notte a cose tante:

sì ch'io te ne verrò scegliendo alcuno,

secondo il tempo, e che sarà oportuno.

 

24

Vedi quel primo che ti rassimiglia

ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto:

capo in Italia fia di tua famiglia,

del seme di Ruggiero in te concetto.

Veder del sangue di Pontier vermiglia

per mano di costui la terra aspetto,

e vendicato il tradimento e il torto

contra quei che gli avranno il padre morto.

 

25

Per opra di costui sarà deserto

il re de' Longobardi Desiderio:

d'Este e di Calaon per questo merto

il bel dominio avrà dal sommo Imperio.

Quel che gli è dietro, è il tuo nipote Uberto,

onor de l'arme e del paese esperio:

per costui contra Barbari difesa

più d'una volta fia la santa Chiesa.

 

26

Vedi qui Alberto, invitto capitano

ch'ornerà di trofei tanti delubri:

Ugo il figlio è con lui, che di Milano

farà l'acquisto, e spiegherà i colubri.

Azzo è quell'altro, a cui resterà in mano

dopo il fratello, il regno degli Insubri.

Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio

torrà d'Italia Beringario e il figlio;

 

27

e sarà degno a cui Cesare Otone

Alda sua figlia, in matrimonio aggiunga.

Vedi un altro Ugo: oh bella successione,

che dal patrio valor non si dislunga!

Costui sarà, che per giusta cagione

ai superbi Roman l'orgoglio emunga,

che 'l terzo Otone e il pontefice tolga

de le man loro, e 'l grave assedio sciolga.

 

28

Vedi Folco, che par ch'al suo germano,

ciò che in Italia avea, tutto abbi dato,

e vada a possedere indi lontano

in mezzo agli Alamanni un gran ducato;

e dia alla casa di Sansogna mano,

che caduta sarà tutta da un lato;

e per la linea de la madre, erede,

con la progenie sua la terrà in piede.

 

29

Questo ch'or a nui viene è il secondo Azzo,

di cortesia più che di guerre amico,

tra dui figli, Bertoldo ed Albertazzo.

Vinto da l'un sarà il secondo Enrico,

e del sangue tedesco orribil guazzo

Parma vedrà per tutto il campo aprico:

de l'altro la contessa gloriosa,

saggia e casta Matilde, sarà sposa.

 

30

Virtù il farà di tal connubio degno;

ch'a quella età non poca laude estimo

quasi di mezza Italia in dote il regno,

e la nipote aver d'Enrico primo.

Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,

Rinaldo tuo, ch'avrà l'onor opimo

d'aver la Chiesa de le man riscossa

de l'empio Federico Barbarossa.

 

31

Ecco un altro Azzo, ed è quel che Verona

avrà in poter col suo bel tenitorio;

e sarà detto marchese d'Ancona

dal quarto Otone e dal secondo Onorio.

Lungo sarà s'io mostro ogni persona

del sangue tuo, ch'avrà del consistorio

il confalone, e s'io narro ogni impresa

vinta da lor per la romana Chiesa.

 

32

Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,

ambi gli Enrichi, il figlio al padre a canto;

duo Guelfi, di quai l'uno Umbria soggiughi,

e vesta di Spoleti il ducal manto.

Ecco che 'l sangue e le gran piaghe asciughi

d'Italia afflitta, e volga in riso il pianto:

di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto)

onde Ezellin fia rotto, preso, estinto.

 

33

Ezellino, immanissimo tiranno,

che fia creduto figlio del demonio,

farà, troncando i sudditi, tal danno,

e distruggendo il bel paese ausonio,

che pietosi apo lui stati saranno

Mario, Silla, Neron, Caio ed Antonio.

E Federico imperator secondo

fia per questo Azzo rotto e messo al fondo.

 

34

Terrà costui con più felice scettro

la bella terra che siede sul fiume,

dove chiamò con lacrimoso plettro

Febo il figliuol ch'avea mal retto il lume,

quando fu pianto il fabuloso elettro,

e Cigno si vestì di bianche piume;

e questa di mille oblighi mercede

gli donerà l'Apostolica sede.

 

35

Dove lascio il fratel Aldrobandino?

che per dar al pontefice soccorso

contra Oton quarto e il campo ghibellino

che sarà presso al Campidoglio corso,

ed avrà preso ogni luogo vicino,

e posto agli Umbri e alli Piceni il morso;

né potendo prestargli aiuto senza

molto tesor, ne chiederà a Fiorenza;

 

36

e non avendo gioie o miglior pegni,

per sicurtà daralle il frate in mano.

Spiegherà i suoi vittoriosi segni,

e romperà l'esercito germano;

in seggio riporrà la Chiesa, e degni

darà supplici ai conti di Celano;

ed al servizio del sommo Pastore

finirà gli anni suoi nel più bel fiore.

 

37

Ed Azzo, il suo fratel, lascierà erede

del dominio d'Ancona e di Pisauro,

d'ogni città che da Troento siede

tra il mare e l'Apennin fin all'Isauro,

e di grandezza d'animo e di fede,

e di virtù, miglior che gemme ed auro:

che dona e tolle ogn'altro ben Fortuna;

sol in virtù non ha possanza alcuna.

 

38

Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio

splenderà di valor, pur che non sia

a tanta esaltazion del bel lignaggio

Morte o Fortuna invidiosa e ria.

Udirne il duol fin qui da Napoli aggio,

dove del padre allor statico fia.

Or Obizzo ne vien, che giovinetto

dopo l'avo sarà principe eletto.

 

39

Al bel dominio accrescerà costui

Reggio giocondo, e Modona feroce.

Tal sarà il suo valor, che signor lui

domanderanno i populi a una voce.

Vedi Azzo sesto, un de' figliuoli sui,

confalonier de la cristiana croce:

avrà il ducato d'Andria con la figlia

del secondo re Carlo di Siciglia.

 

40

Vedi in un bello ed amichevol groppo

de li principi illustri l'eccellenza:

Obizzo, Aldrobandin, Nicolò zoppo,

Alberto, d'amor pieno e di clemenza.

Io tacerò, per non tenerti troppo,

come al bel regno aggiungeran Favenza,

e con maggior fermezza Adria, che valse

da sé nomar l'indomite acque salse;

 

41

Come la terra, il cui produr di rose

le diè piacevol nome in greche voci,

e la città ch'in mezzo alle piscose

paludi, del Po teme ambe le foci,

dove abitan le genti disiose

che 'l mar si turbi e sieno i venti atroci.

Taccio d'Argenta, di Lugo e di mille

altre castella e populose ville.

 

42

Ve' Nicolò, che tenero fanciullo

il popul crea signor de la sua terra,

e di Tideo fa il pensier vano e nullo,

che contra lui le civil arme afferra.

Sarà di questo il pueril trastullo

sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;

e da lo studio del tempo primiero

il fior riuscirà d'ogni guerriero.

 

43

Farà de' suoi ribelli uscire a voto

ogni disegno, e lor tornare in danno;

ed ogni stratagema avrà sì noto,

che sarà duro il poter fargli inganno.

Tardi di questo s'avedrà il terzo Oto,

e di Reggio e di Parma aspro tiranno,

che da costui spogliato a un tempo fia

e del dominio e de la vita ria.

 

44

Avrà il bel regno poi sempre augumento

senza torcer mai piè dal camin dritto;

né ad alcuno farà mai nocumento,

da cui prima non sia d'ingiuria afflitto:

ed è per questo il gran Motor contento

che non gli sia alcun termine prescritto:

ma duri prosperando in meglio sempre,

fin che si volga il ciel ne le sue tempre.

 

45

Vedi Leonello, e vedi il primo duce,

fama de la sua età, l'inclito Borso,

che siede in pace, e più trionfo adduce

di quanti in altrui terre abbino corso.

Chiuderà Marte ove non veggia luce,

e stringerà al Furor le mani al dorso.

Di questo signor splendido ogni intento

sarà che 'l popul suo viva contento.

 

46

Ercole or vien, ch'al suo vicin rinfaccia,

col piè mezzo arso e con quei debol passi,

come a Budrio col petto e con la faccia

il campo volto in fuga gli fermassi;

non perché in premio poi guerra gli faccia,

né, per cacciarlo, fin nel Barco passi.

Questo è il signor, di cui non so esplicarme

se fia maggior la gloria o in pace o in arme.

 

47

Terran Pugliesi, Calabri e Lucani

de' gesti di costui lunga memoria,

là dove avrà dal Re de' Catalani

di pugna singular la prima gloria;

e nome tra gl'invitti capitani

s'acquisterà con più d'una vittoria:

avrà per sua virtù la signoria,

più di trenta anni a lui debita pria.

 

48

E quanto più aver obligo si possa

a principe, sua terra avrà a costui;

non perché fia de le paludi mossa

tra campi fertilissimi da lui;

non perché la farà con muro e fossa

meglio capace a' cittadini sui,

e l'ornarà di templi e di palagi,

di piazze, di teatri e di mille agi;

 

49

non perché dagli artigli de l'audace

aligero Leon terrà difesa;

non perché, quando la gallica face

per tutto avrà la bella Italia accesa,

si starà sola col suo stato in pace,

e dal timore e dai tributi illesa:

non sì per questi ed altri benefici

saran sue genti ad Ercol debitrici:

 

50

quanto che darà lor l'inclita prole,

il giusto Alfonso e Ippolito benigno,

che saran quai l'antiqua fama suole

narrar de' figli del Tindareo cigno,

ch'alternamente si privan del sole

per trar l'un l'altro de l'aer maligno.

Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte

l'altro salvar con sua perpetua morte.

 

51

Il grande amor di questa bella coppia

renderà il popul suo via più sicuro,

che se, per opra di Vulcan, di doppia

cinta di ferro avesse intorno il muro.

Alfonso è quel che col saper accoppia

sì la bontà, ch'al secolo futuro

la gente crederà che sia dal cielo

tornata Astrea dove può il caldo e il gielo.

 

52

A grande uopo gli fia l'esser prudente,

e di valore assimigliarsi al padre;

che si ritroverà, con poca gente,

da un lato aver le veneziane squadre,

colei dall'altro, che più giustamente

non so se devrà dir matrigna o madre;

ma se per madre, a lui poco più pia,

che Medea ai figli o Progne stata sia.

 

53

E quante volte uscirà giorno o notte

col suo popul fedel fuor de la terra,

tante sconfitte e memorabil rotte

darà a' nimici o per acqua o per terra.

Le genti di Romagna mal condotte,

contra i vicini e lor già amici, in guerra,

se n'avedranno, insanguinando il suolo

che serra il Po, Santerno e Zanniolo.

 

54

Nei medesmi confini anco saprallo

del gran Pastore il mercenario Ispano,

che gli avrà dopo con poco intervallo

la Bastìa tolta, e morto il castellano,

quando l'avrà già preso; e per tal fallo

non fia, dal minor fante al capitano,

che del racquisto e del presidio ucciso

a Roma riportar possa l'aviso.

 

55

Costui sarà, col senno e con la lancia,

ch'avrà l'onor, nei campi di Romagna,

d'aver dato all'esercito di Francia

la gran vittoria contra Iulio e Spagna.

Nuoteranno i destrier fin alla pancia

nel sangue uman per tutta la campagna;

ch'a sepelire il popul verrà manco

tedesco, ispano, greco, italo, e franco.

 

56

Quel ch'in pontificale abito imprime

del purpureo capel la sacra chioma,

è il liberal, magnanimo, sublime,

gran cardinal de la Chiesa di Roma

Ippolito, ch'a prose, a versi, a rime

darà materia eterna in ogni idioma;

la cui fiorita età vuole il ciel iusto

ch'abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.

 

57

Adornerà la sua progenie bella,

come orna il sol la machina del mondo

molto più de la luna e d'ogni stella;

ch'ogn'altro lume a lui sempre è secondo.

Costui con pochi a piedi e meno in sella

veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;

che quindici galee mena captive,

oltra mill'altri legni alle sue rive.

 

58

Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo.

Vedi d'Alfonso i cinque figli cari,

alla cui fama ostar, che di sé il mondo

non empia, i monti non potran né i mari:

gener del re di Francia, Ercol secondo

è l'un; quest'altro (acciò tutti gl'impari)

Ippolito è, che non con minor raggio

che 'l zio, risplenderà nel suo lignaggio;

 

59

Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui

ambi son detti. Or, come io dissi prima,

s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui

valor la stirpe sua tanto sublima,

bisognerà che si rischiari e abbui

più volte prima il ciel, ch'io te li esprima:

e sarà tempo ormai, quando ti piaccia,

ch'io dia licenza all'ombre e ch'io mi taccia. -

 

60

Così con voluntà de la donzella

la dotta incantatrice il libro chiuse.

Tutti gli spirti allora ne la cella

spariro in fretta, ove eran l'ossa chiuse.

Qui Bradamante, poi che la favella

le fu concessa usar, la bocca schiuse,

e domandò: - Chi son li dua sì tristi,

che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?

 

61

Veniano sospirando, e gli occhi bassi

parean tener d'ogni baldanza privi;

e gir lontan da loro io vedea i passi

dei frati sì, che ne pareano schivi. -

Parve ch'a tal domanda si cangiassi

la maga in viso, e fe' degli occhi rivi,

e gridò: - Ah sfortunati, a quanta pena

lungo istigar d'uomini rei vi mena!

 

62

O bona prole, o degna d'Ercol buono,

non vinca il lor fallir vostra bontade:

di vostro sangue i miseri pur sono;

qui ceda la iustizia alla pietade. -

Indi soggiunse con più basso suono:

- Di ciò dirti più inanzi non accade.

Statti col dolce in bocca; e non ti doglia

ch'amareggiare al fin non te la voglia.

 

63

Tosto che spunti in ciel la prima luce,

piglierai meco la più dritta via

ch'al lucente castel d'acciai' conduce,

dove Ruggier vive in altrui balìa.

Io tanto ti sarò compagna e duce,

che tu sia fuor de l'aspra selva ria:

t'insegnerò, poi che saren sul mare,

sì ben la via, che non potresti errare. -

 

64

Quivi l'audace giovane rimase

tutta la notte, e gran pezzo ne spese

a parlar con Merlin, che le suase

rendersi tosto al suo Ruggier cortese.

Lasciò di poi le sotterranee case,

che di nuovo splendor l'aria s'accese,

per un camin gran spazio oscuro e cieco,

avendo la spirtal femmina seco.

 

65

E riusciro in un burrone ascoso

tra monti inaccessibili alle genti;

e tutto 'l dì senza pigliar riposo

saliron balze e traversar torrenti.

E perché men l'andar fosse noioso,

di piacevoli e bei ragionamenti,

di quel che fu più conferir soave,

l'aspro camin facean parer men grave:

 

66

di quali era però la maggior parte,

ch'a Bradamante vien la dotta maga

mostrando con che astuzia e con qual arte

proceder de', se di Ruggiero è vaga.

- Se tu fossi (dicea) Pallade o Marte,

e conducessi gente alla tua paga

più che non ha il re Carlo e il re Agramante,

non dureresti contra il negromante;

 

67

che oltre che d'acciar murata sia

la rocca inespugnabile, e tant'alta;

oltre che 'l suo destrier si faccia via

per mezzo l'aria, ove galoppa e salta;

ha lo scudo mortal, che come pria

si scopre, il suo splendor sì gli occhi assalta,

la vista tolle, e tanto occupa i sensi,

che come morto rimaner conviensi.

 

68

E se forse ti pensi che ti vaglia

combattendo tener serrati gli occhi,

come potrai saper ne la battaglia

quando ti schivi, o l'avversario tocchi?

Ma per fuggire il lume ch'abbarbaglia,

e gli altri incanti di colui far sciocchi,

ti mostrerò un rimedio, una via presta;

né altra in tutto 'l mondo è se non questa.

 

69

Il re Agramante d'Africa uno annello,

che fu rubato in India a una regina,

ha dato a un suo baron detto Brunello,

che poche miglia inanzi ne camina;

di tal virtù, che chi nel dito ha quello,

contra il mal degl'incanti ha medicina.

Sa de furti e d'inganni Brunel, quanto

colui, che tien Ruggier, sappia d'incanto.

 

70

Questo Brunel sì pratico e sì astuto,

come io ti dico, è dal suo re mandato

acciò che col suo ingegno e con l'aiuto

di questo annello, in tal cose provato,

di quella rocca dove è ritenuto,

traggia Ruggier, che così s'è vantato,

ed ha così promesso al suo signore,

a cui Ruggiero è più d'ogn'altro a core.

 

71

Ma perché il tuo Ruggiero a te sol abbia,

e non al re Agramante, ad obligarsi

che tratto sia de l'incantata gabbia,

t'insegnerò il rimedio che de' usarsi.

Tu te n'andrai tre dì lungo la sabbia

del mar, ch'è oramai presso a dimostrarsi;

il terzo giorno in un albergo teco

arriverà costui c'ha l'annel seco.

 

72

La sua statura, acciò tu lo conosca,

non è sei palmi, ed ha il capo ricciuto;

le chiome ha nere, ed ha la pelle fosca;

pallido il viso, oltre il dover barbuto;

gli occhi gonfiati e guardatura losca;

schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto:

l'abito, acciò ch'io lo dipinga intero,

è stretto e corto, e sembra di corriero.

 

73

Con esso lui t'accaderà soggetto

di ragionar di quell'incanti strani:

mostra d'aver, come tu avra' in effetto,

disio che 'l mago sia teco alle mani;

ma non mostrar che ti sia stato detto

di quel suo annel che fa gl'incanti vani.

Egli t'offerirà mostrar la via

fin alla rocca e farti compagnia.

 

74

Tu gli va dietro: e come t'avicini

a quella rocca sì ch'ella si scopra,

dàgli la morte; né pietà t'inchini

che tu non metta il mio consiglio in opra.

Né far ch'egli il pensier tuo s'indovini,

e ch'abbia tempo che l'annel lo copra;

perché ti spariria dagli occhi, tosto

ch'in bocca il sacro annel s'avesse posto. -

 

75

Così parlando, giunsero sul mare,

dove presso a Bordea mette Garonna.

Quivi, non senza alquanto lagrimare,

si dipartì l'una da l'altra donna.

La figliuola d'Amon, che per slegare

di prigione il suo amante non assonna,

caminò tanto, che venne una sera

ad uno albergo, ove Brunel prim'era.

 

76

Conosce ella Brunel come lo vede,

di cui la forma avea sculpita in mente:

onde ne viene, ove ne va, gli chiede;

quel le risponde, e d'ogni cosa mente.

La donna, già prevista, non gli cede

in dir menzogne, e simula ugualmente

e patria e stirpe e setta e nome e sesso;

e gli volta alle man pur gli occhi spesso.

 

77

Gli va gli occhi alle man spesso voltando,

in dubbio sempre esser da lui rubata;

né lo lascia venir troppo accostando,

di sua condizion bene informata.

Stavano insieme in questa guisa, quando

l'orecchia da un rumor lor fu intruonata.

Poi vi dirò, Signor, che ne fu causa,

ch'avrò fatto al cantar debita pausa.

 

 

CANTO QUARTO

 

 

1

Quantunque il simular sia le più volte

ripreso, e dia di mala mente indici,

si trova pur in molte cose e molte

aver fatti evidenti benefici,

e danni e biasmi e morti aver già tolte;

che non conversiam sempre con gli amici

in questa assai più oscura che serena

vita mortal, tutta d'invidia piena.

 

2

Se, dopo lunga prova, a gran fatica

trovar si può chi ti sia amico vero,

ed a chi senza alcun sospetto dica

e discoperto mostri il tuo pensiero;

che de' far di Ruggier la bella amica

con quel Brunel non puro e non sincero,

ma tutto simulato e tutto finto,

come la maga le l'avea dipinto?

 

3

Simula anch'ella; e così far conviene

con esso lui di finzioni padre;

e, come io dissi, spesso ella gli tiene

gli occhi alle man, ch'eran rapaci e ladre.

Ecco all'orecchie un gran rumor lor viene.

Disse la donna: - O gloriosa Madre,

o Re del ciel, che cosa sarà questa? -

E dove era il rumor si trovò presta.

 

4

E vede l'oste e tutta la famiglia,

e chi a finestre e chi fuor ne la via,

tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,

come l'ecclisse o la cometa sia.

Vede la donna un'alta maraviglia,

che di leggier creduta non saria:

vede passar un gran destriero alato,

che porta in aria un cavalliero armato.

 

5

Grandi eran l'ale e di color diverso,

e vi sedea nel mezzo un cavalliero,

di ferro armato luminoso e terso;

e vêr ponente avea dritto il sentiero.

Calossi, e fu tra le montagne immerso:

e, come dicea l'oste (e dicea il vero),

quel era un negromante, e facea spesso

quel varco, or più da lungi, or più da presso.

 

6

Volando, talor s'alza ne le stelle,

e poi quasi talor la terra rade;

e ne porta con lui tutte le belle

donne che trova per quelle contrade:

talmente che le misere donzelle

ch'abbino o aver si credano beltade

(come affatto costui tutte le invole)

non escon fuor sì che le veggia il sole.

 

7

- Egli sul Pireneo tiene un castello

(narrava l'oste) fatto per incanto,

tutto d'acciaio, e sì lucente e bello,

ch'altro al mondo non è mirabil tanto.

Già molti cavallier sono iti a quello,

e nessun del ritorno si dà vanto:

sì ch'io penso, signore, e temo forte,

o che sian presi, o sian condotti a morte. -

 

8

La donna il tutto ascolta, e le ne giova,

credendo far, come farà per certo,

con l'annello mirabile tal prova,

che ne fia il mago e il suo castel deserto;

e dice a l'oste: - Or un de' tuoi mi trova,

che più di me sia del viaggio esperto;

ch'io non posso durar: tanto ho il cor vago

di far battaglia contro a questo mago. -

 

9

- Non ti mancherà guida (le rispose

Brunello allora), e ne verrò teco io:

meco ho la strada in scritto, ed altre cose

che ti faran piacere il venir mio. -

Volse dir de l'annel; ma non l'espose,

né chiarì più, per non pagarne il fio.

- Grato mi fia (disse ella) il venir tuo; -

volendo dir ch'indi l'annel fia suo.

 

10

Quel ch'era utile a dir disse; e quel tacque,

che nuocer le potea col Saracino.

Avea l'oste un destrier ch'a costei piacque,

ch'era buon da battaglia e da camino:

comperollo e partissi come nacque

del bel giorno seguente il matutino.

Prese la via per una stretta valle,

con Brunello ora inanzi, ora alle spalle.

 

11

Di monte in monte e d'uno in altro bosco

giunsero ove l'altezza di Pirene

può dimostrar, se non è l'aer fosco,

e Francia e Spagna e due diverse arene,

come Apennin scopre il mar schiavo e il tosco

del giogo onde a Camaldoli si viene.

Quindi per aspro e faticoso calle

si discendea ne la profonda valle.

 

12

Vi sorge in mezzo un sasso che la cima

d'un bel muro d'acciar tutta si fascia;

e quella tanto inverso il ciel sublima,

che quanto ha intorno, inferior si lascia.

Non faccia, chi non vola, andarvi stima;

che spesa indarno vi saria ogni ambascia.

Brunel disse: - Ecco dove prigionieri

il mago tien le donne e i cavallieri. -

 

13

Da quattro canti era tagliato, e tale

che parea dritto a fil de la sinopia.

Da nessun lato né sentier né scale

v'eran, che di salir facesser copia:

e ben appar che d'animal ch'abbia ale

sia quella stanza nido e tana propia.

Quivi la donna esser conosce l'ora

di tor l'annello, e far che Brunel mora.

 

14

Ma le par atto vile a insaguinarsi

d'un uom senza arme e di sì ignobil sorte;

che ben potrà posseditrice farsi

del ricco annello, e lui non porre a morte.

Brunel non avea mente a riguardarsi;

sì ch'ella il prese, e lo legò ben forte

ad uno abete ch'alta avea la cima:

ma di dito l'annel gli trasse prima.

 

15

Né per lacrime, gemiti o lamenti

che facesse Brunel, lo volse sciorre.

Smontò de la montagna a passi lenti,

tanto che fu nel pian sotto la torre.

E perché alla battaglia s'appresenti

il negromante, al corno suo ricorre:

e dopo il suon, con minacciose grida

lo chiama al campo, ed alla pugna 'l sfida.

 

16

Non stette molto a uscir fuor de la porta

l'incantator, ch'udì 'l suono e la voce.

L'alato corridor per l'aria il porta

contra costei, che sembra uomo feroce.

La donna da principio si conforta;

che vede che colui poco le nuoce:

non porta lancia né spada né mazza,

ch'a forar l'abbia o romper la corazza.

 

17

Da la sinistra sol lo scudo avea,

tutto coperto di seta vermiglia;

ne la man destra un libro, onde facea

nascer, leggendo, l'alta maraviglia:

che la lancia talor correr parea,

e fatto avea a più d'un batter le ciglia;

talor parea ferir con mazza o stocco,

e lontano era, e non avea alcun tocco.

 

18

Non è finto il destrier, ma naturale,

ch'una giumenta generò d'un Grifo:

simile al padre avea la piuma e l'ale,

li piedi anteriori, il capo e il grifo;

in tutte l'altre membra parea quale

era la madre, e chiamasi ippogrifo;

che nei monti Rifei vengon, ma rari,

molto di là dagli aghiacciati mari.

 

19

Quivi per forza lo tirò d'incanto;

e poi che l'ebbe, ad altro non attese,

e con studio e fatica operò tanto,

ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese:

così ch'in terra e in aria e in ogni canto

lo facea volteggiar senza contese.

Non finzion d'incanto, come il resto,

ma vero e natural si vedea questo.

 

20

Del mago ogn'altra cosa era figmento,

che comparir facea pel rosso il giallo;

ma con la donna non fu di momento,

che per l'annel non può vedere in fallo.

Più colpi tuttavia diserra al vento,

e quinci e quindi spinge il suo cavallo;

e si dibatte e si travaglia tutta,

come era, inanzi che venisse, istrutta.

 

21

E poi che esercitata si fu alquanto

sopra il destrier, smontar volse anco a piede,

per poter meglio al fin venir di quanto

la cauta maga istruzion le diede.

Il mago vien per far l'estremo incanto;

che del fatto ripar né sa né crede:

scuopre lo scudo, e certo si prosume

farla cader con l'incantato lume.

 

22

Potea così scoprirlo al primo tratto,

senza tenere i cavallieri a bada;

ma gli piacea veder qualche bel tratto

di correr l'asta o di girar la spada:

come si vede ch'all'astuto gatto

scherzar col topo alcuna volta aggrada;

e poi che quel piacer gli viene a noia,

dargli di morso, e al fin voler che muoia.

 

23

Dico che 'l mago al gatto, e gli altri al topo

s'assimigliar ne le battaglie dianzi;

ma non s'assimigliar già così, dopo

che con l'annel si fe' la donna inanzi.

Attenta e fissa stava a quel ch'era uopo,

acciò che nulla seco il mago avanzi;

e come vide che lo scudo aperse,

chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.

 

24

Non che il fulgor del lucido metallo,

come soleva agli altri, a lei nocesse;

ma così fece acciò che dal cavallo

contra sé il vano incantator scendesse:

né parte andò del suo disegno in fallo;

che tosto ch'ella il capo in terra messe,

accelerando il volator le penne,

con larghe ruote in terra a por si venne.

 

25

Lascia all'arcion lo scudo, che già posto

avea ne la coperta, e a piè discende

verso la donna che, come reposto

lupo alla macchia il capriolo, attende.

Senza più indugio ella si leva tosto

che l'ha vicino, e ben stretto lo prende.

Avea lasciato quel misero in terra

il libro che facea tutta la guerra:

 

26

e con una catena ne correa,

che solea portar cinta a simil uso;

perché non men legar colei credea,

che per adietro altri legare era uso.

La donna in terra posto già l'avea:

se quel non si difese, io ben l'escuso;

che troppo era la cosa differente

tra un debol vecchio e lei tanto possente.

 

27

Disegnando levargli ella la testa,

alza la man vittoriosa in fretta;

ma poi che 'l viso mira, il colpo arresta,

quasi sdegnando sì bassa vendetta:

un venerabil vecchio in faccia mesta

vede esser quel ch'ella ha giunto alla stretta,

che mostra al viso crespo e al pelo bianco,

età di settanta anni o poco manco.

 

28

- Tommi la vita, giovene, per Dio, -

dicea il vecchio pien d'ira e di dispetto;

ma quella a torla avea sì il cor restio,

come quel di lasciarla avria diletto.

La donna di sapere ebbe disio

chi fosse il negromante, ed a che effetto

edificasse in quel luogo selvaggio

la rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.

 

29

- Né per maligna intenzione, ahi lasso!

(disse piangendo il vecchio incantatore)

feci la bella rocca in cima al sasso,

né per avidità son rubatore;

ma per ritrar sol dall'estremo passo

un cavallier gentil, mi mosse amore,

che, come il ciel mi mostra, in tempo breve

morir cristiano a tradimento deve.

 

30

Non vede il sol tra questo e il polo austrino

un giovene sì bello e sì prestante:

Ruggiero ha nome, il qual da piccolino

da me nutrito fu, ch'io sono Atlante.

Disio d'onore e suo fiero destino

l'han tratto in Francia dietro al re Agramante;

ed io, che l'amai sempre più che figlio,

lo cerco trar di Francia e di periglio.

 

31

La bella rocca solo edificai

per tenervi Ruggier sicuramente,

che preso fu da me, come sperai

che fossi oggi tu preso similmente;

e donne e cavallier, che tu vedrai,

poi ci ho ridotti, ed altra nobil gente,

acciò che quando a voglia sua non esca,

avendo compagnia, men gli rincresca.

 

32

Pur ch'uscir di là su non si domande,

d'ogn'altro gaudio lor cura mi tocca;

che quanto averne da tutte le bande

si può del mondo, è tutto in quella rocca:

suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,

quanto può cor pensar, può chieder bocca.

Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;

ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.

 

33

Deh, se non hai del viso il cor men bello,

non impedir il mio consiglio onesto!

Piglia lo scudo (ch'io tel dono) e quello

destrier che va per l'aria così presto;

e non t'impacciar oltra nel castello,

o tranne uno o duo amici, e lascia il resto;

o tranne tutti gli altri, e più non chero,

se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.

 

34

E se disposto sei volermel torre,

deh, prima almen che tu 'l rimeni in Francia,

piacciati questa afflitta anima sciorre

de la sua scorza ormai putrida e rancia! -

Rispose la donzella: - Lui vo' porre

in libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;

né mi offerir di dar lo scudo in dono,

o quel destrier, che miei, non più tuoi sono:

 

35

né s'anco stesse a te di torre e darli,

mi parrebbe che 'l cambio convenisse.

Tu di' che Ruggier tieni per vietarli

il male influsso di sue stelle fisse.

O che non puoi saperlo, o non schivarli,

sappiendol, ciò che 'l ciel di lui prescrisse:

ma se 'l mal tuo, c'hai sì vicin, non vedi,

peggio l'altrui c'ha da venir prevedi.

 

36

Non pregar ch'io t'uccida, ch'i tuoi preghi

sariano indarno; e se pur vuoi la morte,

ancor che tutto il mondo dar la nieghi,

da sé la può aver sempre animo forte.

Ma pria che l'alma da la carne sleghi,

a tutti i tuoi prigioni apri le porte. -

Così dice la donna, e tuttavia

il mago preso incontra al sasso invia.

 

37

Legato de la sua propria catena

andava Atlante, e la donzella appresso,

che così ancor se ne fidava a pena,

ben che in vista parea tutto rimesso.

Non molti passi dietro se la mena,

ch'a piè del monte han ritrovato il fesso,

e li scaglioni onde si monta in giro,

fin ch'alla porta del castel saliro.

 

38

Di su la soglia Atlante un sasso tolle,

di caratteri e strani segni isculto.

Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,

che fuman sempre, e dentro han foco occulto.

L'incantator le spezza; e a un tratto il colle

riman deserto, inospite ed inculto;

né muro appar né torre in alcun lato,

come se mai castel non vi sia stato.

 

39

Sbrigossi de la donna il mago alora,

come fa spesso il tordo da la ragna;

e con lui sparve il suo castello a un'ora,

e lasciò in libertà quella compagna.

Le donne e i cavallier si trovar fuora

de le superbe stanze alla campagna:

e furon di lor molte a chi ne dolse;

che tal franchezza un gran piacer lor tolse.

 

40

Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante,

quivi è Prasildo, il nobil cavalliero

che con Rinaldo venne di Levante,

e seco Iroldo, il par d'amici vero.

Al fin trovò la bella Bradamante

quivi il desiderato suo Ruggiero,

che, poi che n'ebbe certa conoscenza,

le fe' buona e gratissima accoglienza;

 

41

come a colei che più che gli occhi sui,

più che 'l suo cor, più che la propria vita

Ruggiero amò dal dì ch'essa per lui

si trasse l'elmo, onde ne fu ferita.

Lungo sarebbe a dir come, e da cui,

e quanto ne la selva aspra e romita

si cercar poi la notte e il giorno chiaro;

né, se non qui, mai più si ritrovaro.

 

42

Or che quivi la vede, e sa ben ch'ella

è stata sola la sua redentrice,

di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella

sé fortunato ed unico felice.

Scesero il monte, e dismontaro in quella

valle, ove fu la donna vincitrice,

e dove l'ippogrifo trovaro anco,

ch'avea lo scudo, ma coperto, al fianco.

 

43

La donna va per prenderlo nel freno:

e quel l'aspetta fin che se gli accosta;

poi spiega l'ale per l'aer sereno,

e si ripon non lungi a mezza costa.

Ella lo segue: e quel né più né meno

si leva in aria, e non troppo si scosta;

come fa la cornacchia in secca arena,

che dietro il cane or qua or là si mena.

 

44

Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti

quei cavallier che scesi erano insieme,

chi di sù, chi di giù, si son ridutti

dove che torni il volatore han speme.

Quel, poi che gli altri invano ebbe condutti

più volte e sopra le cime supreme

e negli umidi fondi tra quei sassi,

presso a Ruggiero al fin ritenne i passi.

 

45

E questa opera fu del vecchio Atlante,

di cui non cessa la pietosa voglia

di trar Rugier del gran periglio instante:

di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.

Però gli manda or l'ippogrifo avante,

perché d'Europa con questa arte il toglia.

Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo;

ma quel s'arretra, e non vuol seguitarlo.

 

46

Or di Frontin quel animoso smonta

(Frontino era nomato il suo destriero),

e sopra quel che va per l'aria monta,

e con li spron gli adizza il core altiero.

Quel corre alquanto, ed indi i piedi ponta,

e sale inverso il ciel, via più leggiero

che 'l girifalco, a cui lieva il capello

il mastro a tempo, e fa veder l'augello.

 

47

La bella donna, che sì in alto vede

e con tanto periglio il suo Ruggiero,

resta attonita in modo, che non riede

per lungo spazio al sentimento vero.

Ciò che già inteso avea di Ganimede

ch'al ciel fu assunto dal paterno impero,

dubita assai che non accada a quello,

non men gentil di Ganimede e bello.

 

48

Con gli occhi fissi al ciel lo segue quanto

basta il veder; ma poi che si dilegua

sì, che la vista non può correr tanto,

lascia che sempre l'animo lo segua.

Tuttavia con sospir, gemito e pianto

non ha, né vuol aver pace né triegua.

Poi che Ruggier di vista se le tolse,

al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:

 

49

e si deliberò di non lasciarlo,

che fosse in preda a chi venisse prima;

ma di condurlo seco e di poi darlo

al suo signor, ch'anco veder pur stima.

Poggia l'augel, né può Ruggier frenarlo:

di sotto rimaner vede ogni cima

ed abbassarsi in guisa, che non scorge

dove è piano il terren né dove sorge.

 

50

Poi che sì ad alto vien, ch'un picciol punto

lo può stimar chi da la terra il mira,

prende la via verso ove cade a punto

il sol, quando col Granchio si raggira,

e per l'aria ne va come legno unto

a cui nel mar propizio vento spira.

Lasciamlo andar, che farà buon camino,

e torniamo a Rinaldo paladino.

 

51

Rinaldo l'altro e l'altro giorno scorse,

spinto dal vento, un gran spazio di mare,

quando a ponente e quando contra l'Orse,

che notte e dì non cessa mai soffiare.

Sopra la Scozia ultimamente sorse,

dove la selva Calidonia appare,

che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri

s'ode sonar di bellicosi ferri.

 

52

Vanno per quella i cavallieri erranti,

incliti in arme, di tutta Bretagna,

e de' prossimi luoghi e de' distanti,

di Francia, di Norvegia e de Lamagna.

Chi non ha gran valor, non vada inanti;

che dove cerca onor, morte guadagna.

Gran cose in essa già fece Tristano,

Lancillotto, Galasso, Artù e Galvano,

 

53

ed altri cavallieri e de la nuova

e de la vecchia Tavola famosi:

restano ancor di più d'una lor pruova

li monumenti e li trofei pomposi.

L'arme Rinaldo e il suo Baiardo truova,

e tosto si fa por nei liti ombrosi,

ed al nochier comanda che si spicche

e lo vada aspettar a Beroicche.

 

54

Senza scudiero e senza compagnia

va il cavallier per quella selva immensa,

facendo or una ed or un'altra via,

dove più aver strane aventure pensa.

Capitò il primo giorno a una badia,

che buona parte del suo aver dispensa

in onorar nel suo cenobio adorno

le donne i cavallier che vanno attorno.

 

55

Bella accoglienza i monachi e l'abbate

fero a Rinaldo, il qual domandò loro

(non prima già che con vivande grate

avesse avuto il ventre amplo ristoro)

come dai cavallier sien ritrovate

spesso aventure per quel tenitoro,

dove si possa in qualche fatto eggregio

l'uom dimostrar, se merta biasmo o pregio.

 

56

Risposongli ch'errando in quelli boschi,

trovar potria strane aventure e molte:

ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi;

che non se n'ha notizia le più volte.

- Cerca (diceano) andar dove conoschi

che l'opre tue non restino sepolte,

acciò dietro al periglio e alla fatica

segua la fama, e il debito ne dica.

 

57

E se del tuo valor cerchi far prova,

t'è preparata la più degna impresa

che ne l'antiqua etade o ne la nova

giamai da cavallier sia stata presa.

La figlia del re nostro or si ritrova

bisognosa d'aiuto e di difesa

contra un baron che Lurcanio si chiama,

che tor le cerca e la vita e la fama.

 

58

Questo Lurcanio al padre l'ha accusata

(forse per odio più che per ragione)

averla a mezza notte ritrovata

trarr'un suo amante a sé sopra un verrone.

Per le leggi del regno condannata

al foco fia, se non truova campione

che fra un mese, oggimai presso a finire,

l'iniquo accusator faccia mentire.

 

59

L'aspra legge di Scozia, empia e severa,

vuol ch'ogni donna, e di ciascuna sorte,

ch'ad uomo si giunga, e non gli sia mogliera,

s'accusata ne viene, abbia la morte.

Né riparar si può ch'ella non pera,

quando per lei non venga un guerrier forte

che tolga la difesa, e che sostegna

che sia innocente e di morire indegna.

 

60

Il re, dolente per Ginevra bella

(che così nominata è la sua figlia),

ha publicato per città e castella,

che s'alcun la difesa di lei piglia,

e che l'estingua la calunnia fella

(pur che sia nato di nobil famiglia),

l'avrà per moglie, ed uno stato, quale

fia convenevol dote a donna tale.

 

61

Ma se fra un mese alcun per lei non viene,

o venendo non vince, sarà uccisa.

Simile impresa meglio ti conviene,

ch'andar pei boschi errando a questa guisa:

oltre ch'onor e fama te n'aviene

ch'in eterno da te non fia divisa,

guadagni il fior di quante belle donne

da l'Indo sono all'Atlantee colonne;

 

62

e una ricchezza appresso, ed uno stato

che sempre far ti può viver contento;

e la grazia del re, se suscitato

per te gli fia il suo onor, che è quasi spento.

Poi per cavalleria tu se' ubligato

a vendicar di tanto tradimento

costei, che per commune opinione,

di vera pudicizia è un paragone. -

 

63

Pensò Rinaldo alquanto, e poi rispose:

- Una donzella dunque dè' morire

perché lasciò sfogar ne l'amorose

sue braccia al suo amator tanto desire?

Sia maladetto chi tal legge pose,

e maladetto chi la può patire!

Debitamente muore una crudele,

non chi dà vita al suo amator fedele.

 

64

Sia vero o falso che Ginevra tolto

s'abbia il suo amante, io non riguardo a questo:

d'averlo fatto la loderei molto,

quando non fosse stato manifesto.

Ho in sua difesa ogni pensier rivolto:

datemi pur un che mi guidi presto,

e dove sia l'accusator mi mene;

ch'io spero in Dio Ginevra trar di pene.

 

65

Non vo' già dir ch'ella non l'abbia fatto;

che nol sappiendo, il falso dir potrei:

dirò ben che non de' per simil atto

punizion cadere alcuna in lei;

e dirò che fu ingiusto o che fu matto

chi fece prima gli statuti rei;

e come iniqui rivocar si denno,

e nuova legge far con miglior senno.

 

66

S'un medesimo ardor, s'un disir pare

inchina e sforza l'uno e l'altro sesso

a quel suave fin d'amor, che pare

all'ignorante vulgo un grave eccesso;

perché si de' punir donna o biasmare,

che con uno o più d'uno abbia commesso

quel che l'uom fa con quante n'ha appetito,

e lodato ne va, non che impunito?

 

67

Son fatti in questa legge disuguale

veramente alle donne espressi torti;

e spero in Dio mostrar che gli è gran male

che tanto lungamente si comporti. -

Rinaldo ebbe il consenso universale,

che fur gli antiqui ingiusti e male accorti,

che consentiro a così iniqua legge,

e mal fa il re, che può, né la corregge.

 

68

Poi che la luce candida e vermiglia

de l'altro giorno aperse l'emispero,

Rinaldo l'arme e il suo Baiardo piglia,

e di quella badia tolle un scudiero,

che con lui viene a molte leghe e miglia,

sempre nel bosco orribilmente fiero,

verso la terra ove la lite nuova

de la donzella de' venir in pruova.

 

69

Avean, cercando abbreviar camino,

lasciato pel sentier la maggior via;

quando un gran pianto udir sonar vicino,

che la foresta d'ogn'intorno empìa.

Baiardo spinse l'un, l'altro il ronzino

verso una valle, onde quel grido uscìa:

e fra dui mascalzoni una donzella

vider, che di lontan parea assai bella;

 

70

ma lacrimosa e addolorata quanto

donna o donzella o mai persona fosse.

Le sono dui col ferro nudo a canto,

per farle far l'erbe di sangue rosse.

Ella con preghi differendo alquanto

giva il morir, sin che pietà si mosse.

Venne Rinaldo; e come se n'accorse,

con alti gridi e gran minacce accorse.

 

71

Voltaro i malandrin tosto le spalle,

che 'l soccorso lontan vider venire,

e se appiattar ne la profonda valle.

Il paladin non li curò seguire:

venne a la donna, e qual gran colpa dàlle

tanta punizion, cerca d'udire;

e per tempo avanzar, fa allo scudiero

levarla in groppa, e torna al suo sentiero.

 

72

E cavalcando poi meglio la guata

molto esser bella e di maniere accorte,

ancor che fosse tutta spaventata

per la paura ch'ebbe de la morte.

Poi ch'ella fu di nuovo domandata

chi l'avea tratta a sì infelice sorte,

incominciò con umil voce a dire

quel ch'io vo' all'altro canto differire.

 

 

CANTO QUINTO

 

 

1

Tutti gli altri animai che sono in terra,

o che vivon quieti e stanno in pace,

o se vengono a rissa e si fan guerra,

alla femina il maschio non la face:

l'orsa con l'orso al bosco sicura erra,

la leonessa appresso il leon giace;

col lupo vive la lupa sicura,

né la iuvenca ha del torel paura.

 

2

Ch'abominevol peste, che Megera

è venuta a turbar gli umani petti?

che si sente il marito e la mogliera

sempre garrir d'ingiuriosi detti,

stracciar la faccia e far livida e nera,

bagnar di pianto i geniali letti;

e non di pianto sol, ma alcuna volta

di sangue gli ha bagnati l'ira stolta.

 

3

Parmi non sol gran mal, ma che l'uom faccia

contra natura e sia di Dio ribello,

che s'induce a percuotere la faccia

di bella donna, o romperle un capello:

ma chi le dà veneno, o chi le caccia

l'alma del corpo con laccio o coltello,

ch'uomo sia quel non crederò in eterno,

ma in vista umana uno spirto de l'inferno.

 

4

Cotali esser doveano i duo ladroni

che Rinaldo cacciò da la donzella,

da lor condotta in quei scuri valloni

perché non se n'udisse più novella.

Io lasciai ch'ella render le cagioni

s'apparechiava di sua sorte fella

al paladin, che le fu buono amico:

or, seguendo l'istoria, così dico.

 

5

La donna incominciò: - Tu intenderai

la maggior crudeltade e la più espressa,

ch'in Tebe e in Argo o ch'in Micene mai,

o in loco più crudel fosse commessa.

E se rotando il sole i chiari rai,

qui men ch'all'altre region s'appressa,

credo ch'a noi malvolentieri arrivi,

perché veder sì crudel gente schivi.

 

6

Ch'agli nemici gli uomini sien crudi,

in ogni età se n'è veduto esempio;

ma dar la morte a chi procuri e studi

il tuo ben sempre, è troppo ingiusto ed empio.

E acciò che meglio il vero io ti denudi,

perché costor volessero far scempio

degli anni verdi miei contra ragione,

ti dirò da principio ogni cagione.

 

7

Voglio che sappi, signor mio, ch'essendo

tenera ancora, alli servigi venni

de la figlia del re, con cui crescendo,

buon luogo in corte ed onorato tenni.

Crudele Amore, al mio stato invidendo,

fe' che seguace, ahi lassa! gli divenni:

fe' d'ogni cavallier, d'ogni donzello

parermi il duca d'Albania più bello.

 

8

Perché egli mostrò amarmi più che molto,

io ad amar lui con tutto il cor mi mossi.

Ben s'ode il ragionar, si vede il volto,

ma dentro il petto mal giudicar possi.

Credendo, amando, non cessai che tolto

l'ebbi nel letto, e non guardai ch'io fossi

di tutte le real camere in quella

che più secreta avea Ginevra bella;

 

9

dove tenea le sue cose più care,

e dove le più volte ella dormia.

Si può di quella in s'un verrone entrare,

che fuor del muro al discoperto uscìa.

Io facea il mio amator quivi montare;

e la scala di corde onde salia

io stessa dal verron giù gli mandai

qual volta meco aver lo desiai:

 

10

che tante volte ve lo fei venire,

quante Ginevra me ne diede l'agio,

che solea mutar letto, or per fuggire

il tempo ardente, or il brumal malvagio.

Non fu veduto d'alcun mai salire;

però che quella parte del palagio

risponde verso alcune case rotte,

dove nessun mai passa o giorno o notte.

 

11

Continuò per molti giorni e mesi

tra noi secreto l'amoroso gioco:

sempre crebbe l'amore; e sì m'accesi,

che tutta dentro io mi sentia di foco:

e cieca ne fui sì, ch'io non compresi

ch'egli fingeva molto, e amava poco;

ancor che li suo' inganni discoperti

esser doveanmi a mille segni certi.

 

12

Dopo alcun dì si mostrò nuovo amante

de la bella Ginevra. Io non so appunto

s'allora cominciasse, o pur inante

de l'amor mio, n'avesse il cor già punto.

Vedi s'in me venuto era arrogante,

s'imperio nel mio cor s'aveva assunto;

che mi scoperse, e non ebbe rossore

chiedermi aiuto in questo nuovo amore.

 

13

Ben mi dicea ch'uguale al mio non era,

né vero amor quel ch'egli avea a costei;

ma simulando esserne acceso, spera

celebrarne i legitimi imenei.

Dal re ottenerla fia cosa leggiera,

qualor vi sia la volontà di lei;

che di sangue e di stato in tutto il regno

non era, dopo il re, di lu' il più degno.

 

14

Mi persuade, se per opra mia

potesse al suo signor genero farsi

(che veder posso che se n'alzeria

a quanto presso al re possa uomo alzarsi),

che me n'avria buon merto, e non saria

mai tanto beneficio per scordarsi;

e ch'alla moglie e ch'ad ogni altro inante

mi porrebbe egli in sempre essermi amante.

 

15

Io, ch'era tutta a satisfargli intenta,

né seppi o volsi contradirgli mai,

e sol quei giorni io mi vidi contenta,

ch'averlo compiaciuto mi trovai;

piglio l'occasion che s'appresenta

di parlar d'esso e di lodarlo assai;

ed ogni industria adopro, ogni fatica,

per far del mio amator Ginevra amica.

 

16

Feci col core e con l'effetto tutto

quel che far si poteva, e sallo Idio;

né con Ginevra mai potei far frutto,

ch'io le ponessi in grazia il duca mio:

e questo, che ad amar ella avea indutto

tutto il pensiero e tutto il suo disio

un gentil cavallier, bello e cortese,

venuto in Scozia di lontan paese;

 

17

che con un suo fratel ben giovinetto

venne d'Italia a stare in questa corte;

si fe' ne l'arme poi tanto perfetto,

che la Bretagna non avea il più forte.

Il re l'amava, e ne mostrò l'effetto;

che gli donò di non picciola sorte

castella e ville e iurisdizioni,

e lo fe' grande al par dei gran baroni.

 

18

Grato era al re, più grato era alla figlia

quel cavallier chiamato Ariodante,

per esser valoroso a maraviglia;

ma più, ch'ella sapea che l'era amante.

Né Vesuvio, né il monte di Siciglia,

né Troia avampò mai di fiamme tante,

quanto ella conoscea che per suo amore

Ariodante ardea per tutto il core.

 

19

L'amar che dunque ella facea colui

con cor sincero e con perfetta fede,

fe' che pel duca male udita fui;

né mai risposta da sperar mi diede:

anzi quanto io pregava più per lui

e gli studiava d'impetrar mercede,

ella, biasmandol sempre e dispregiando,

se gli venìa più sempre inimicando.

 

20

Io confortai l'amator mio sovente,

che volesse lasciar la vana impresa;

né si sperasse mai volger la mente

di costei, troppo ad altro amore intesa:

e gli feci conoscer chiaramente,

come era sì d'Ariodante accesa,

che quanta acqua è nel mar, piccola dramma

non spegneria de la sua immensa fiamma.

 

21

Questo da me più volte Polinesso

(che così nome ha il duca) avendo udito,

e ben compreso e visto per se stesso

che molto male era il suo amor gradito;

non pur di tanto amor si fu rimesso,

ma di vedersi un altro preferito,

come superbo, così mal sofferse,

che tutto in ira e in odio si converse.

 

22

E tra Ginevra e l'amator suo pensa

tanta discordia e tanta lite porre,

e farvi inimicizia così intensa,

che mai più non si possino comporre;

e por Ginevra in ignominia immensa,

donde non s'abbia o viva o morta a torre:

né de l'iniquo suo disegno meco

volse o con altri ragionar, che seco.

 

23

Fatto il pensier: - Dalinda mia, - mi dice

(che così son nomata) - saper dèi,

che come suol tornar da la radice

arbor che tronchi e quattro volte e sei;

così la pertinacia mia infelice,

ben che sia tronca dai successi rei,

di germogliar non resta; che venire

pur vorria a fin di questo suo desire.

 

24

E non lo bramo tanto per diletto,

quanto perché vorrei vincer la pruova;

e non possendo farlo con effetto,

s'io lo fo imaginando, anco mi giuova.

Voglio, qual volta tu mi dài ricetto,

quando allora Ginevra si ritruova

nuda nel letto, che pigli ogni vesta

ch'ella posta abbia, e tutta te ne vesta.

 

25

Come ella s'orna e come il crin dispone

studia imitarla, e cerca il più che sai

di parer dessa, e poi sopra il verrone

a mandar giù la scala ne verrai.

Io verrò a te con imaginazione

che quella sii, di cui tu i panni avrai:

e così spero, me stesso ingannando,

venir in breve il mio desir sciemando. -

 

26

Così disse egli. Io che divisa e sevra

e lungi era da me, non posi mente

che questo in che pregando egli persevra,

era una fraude pur troppo evidente;

e dal verron, coi panni di Ginevra,

mandai la scala onde salì sovente;

e non m'accorsi prima de l'inganno,

che n'era già tutto accaduto il danno.

 

27

Fatto in quel tempo con Ariodante

il duca avea queste parole o tali

(che grandi amici erano stati inante

che per Ginevra si fesson rivali):

- Mi maraviglio (incominciò il mio amante)

ch'avendoti io fra tutti li mie' uguali

sempre avuto in rispetto e sempre amato,

ch'io sia da te sì mal rimunerato.

 

28

Io son ben certo che comprendi e sai

di Ginevra e di me l'antiquo amore;

e per sposa legittima oggimai

per impetrarla son dal mio signore.

Perché mi turbi tu? perché pur vai

senza frutto in costei ponendo il core?

Io ben a te rispetto avrei, per Dio,

s'io nel tuo grado fossi, e tu nel mio. -

 

29

- Ed io (rispose Ariodante a lui)

di te mi maraviglio maggiormente;

che di lei prima inamorato fui,

che tu l'avessi vista solamente:

e so che sai quanto è l'amor tra nui,

ch'esser non può di quel che sia, più ardente;

e sol d'essermi moglie intende e brama:

e so che certo sai ch'ella non t'ama.

 

30

Perché non hai tu dunque a me il rispetto

per l'amicizia nostra, che domande

ch'a te aver debba, e ch'io t'avre' in effetto,