|     Il Sole 24 Ore    3 febbraio 2012   Prodotti finanziari:
  senza la clausola di recesso contratto nullo   Corte di cassazione
  - Sezione I civile - Sentenza 3 febbraio 2012 n. 1584   
   Documenti e
       Approfondimenti  
 
 Più tutele per i risparmiatori
  “inseguiti” dai promotori finanziari fin dentro a casa o sul luogo di lavoro
  per strappare loro una firma da cui poi è troppo difficile liberarsi.
  La vicenda, già nota alla cronache, è quella della vendita al
  pubblico del prodotto finanziario “4 You”,
  commercializzato dal Monte dei Paschi di Siena, la cui vendita, da un certo
  punto in poi, era stata sospesa. L’offerta aprì un forte contenzioso
  poi in parte risolto attraverso una serie  di tavoli di conciliazione,
  con i clienti assistiti dalle associazioni dei consumatori: furono
  migliaia coloro che ottennero risarcimenti parziali o integrali.   Evidentemente non era questo il caso sui cui la
  Suprema corte ha deliberato oggi, sentenza 1585/2012, annullando il contratto
  sottoscritto da un consumatore di Genova e confermando la condanna della
  banca a risarcire il risparmiatore di tutte le rate versate dal 2011, oltre
  agli interessi maturati. Contratto nullo senza clausola di recesso
 Il
  Monte Paschi condannato sia in primo che secondo grado, infatti, non si era
  dato per vinto ed aveva portato il cliente fino alla Suprema corte. Anche per
  gli “ermellini” però il contratto doveva ritenersi nullo perché non
  conteneva la previsione della facoltà di recesso da parte del
  sottoscrittore, così come previsto dall’articolo 30 del Testo unico
  della finanza per le offerte fatte fuori sede. Non era sufficiente, infatti,
  la presenza della clausola di recesso sul solo prospetto informativo
  riguardante uno dei tasselli dell’investimento, e cioè il fondo
  comune, dovendo essere presente su tutti i moduli.
 Uno strumento finanziario complesso
 Ma
  come funzionava il contratto: al cliente veniva erogato, in un’unica
  soluzione, un finanziamento quindicennale che si impegnava a restituire
  mediante una serie pagamenti rateali. La somma poi veniva immediatamente
  investita: in parte in titoli obbligazionari e in parte in quote di un fondo
  comune. I primi venivano acquistati dalla banca che li deteneva nel proprio
  portafoglio, i secondi erano sottoscritti dalla banca in nome e per conto del
  cliente che perciò conferiva un apposito mandato. Mentre la
  restituzione del prestito era garantita con la costituzione in pegno in
  favore della banca dei titoli obbligazionari stessi e delle quote del fondo
  comune detenute dal cliente. A questo fine il risparmiatore doveva anche
  disporre di un conto corrente e di deposito titoli presso l’istituto. Ma i
  rendimenti attesi non arrivavano, da qui il tentativo di sganciarsi da parte
  dei clienti e il successivo ricorso alla magistratura di fronte alle
  difficoltà.
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