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Il Sole 24 Ore 7-12-2011 Standard & Poor's,
Moody's e Fitch: chi c'è dietro e come decidono le nuove
superpotenze dell'economia Come
la guerra del futuro sarà fatta da droni, telecamere infrarosse e
virus telematici, così la sfida economica del domani si gioca sul
piano della credibilità e del rating dei suoi titoli pubblici. video: Meteo-Bond: cosa progetta l'Europa per riconquistare i
mercati (di Isabella Bufacchi)
Ecco
spiegata la potenza delle tre agenzie di rating, tutte sostanzialmente anglosassonisebbene Fitch fosse
nata da capitali francesi; società private senza eserciti, una
confraternita elitaria di appena tremila persone, ma capaci di mettere al
tappeto persino gli Stati Uniti d'America. La
lettera D sta invece per default e junk bond per titoli spazzatura. I Paesi
emergenti cercano di ottenere lo status di investment
grade non senza difficoltà. In sostanza il sistema di votazione
è una scala inversamente proporzionale al rischio: più basso
è il rating, più alto il rischio e quindi più elevata
deve essere la remunerazione del capitale (il rendimento che l'investitore
chiede per comprare il titolo). Apparentemente è un servizio importante
fornito al risparmitore, in realtà nel tempo
è diventato un meccanismo poco trasparente e monopolizzato da tre
grandi società che si accaparrano il 90% del mercato. Moritz
Kramer da Francoforte e Marko Mrsnik
da Parigi sono i due uomini di S&P's dedicati a
controllare il voto della tripla A alla Francia che oggi vacilla. Il primo si
occupa della Germania, e in subordine della Francia, il secondo viceversa. Un
buon tandem che è stato messo a dura prova il 10 novembre scorso per
un grave infortunio: la società di rating americana ha inviato a
più clienti un downgrading del rating della
Francia poi rivelatesi un errore informatico. Uno scherzo durato un paio d'ore
che non è affatto piaciuto a Parigi e a Bercy,
la sede del ministero delle Finanze francese, che hanno chiesto è
ottenuto le scuse formali di Douglas Peterson, il
capo supremo della società che ha preso il posto dell'indiano, Deven Sharma, l'ex numero uno
che si è dimesso subito dopo il clamoroso dowgrading
degli Stati Uniti. Il
conflitto di interesse. Le agenzie di rating nascono per dare il voto
alle società migliori e guidare i risparmiatori in modo equanime nella
giungla delle informazioni non sempre accessibili. Anzi dovrebbero servire a
rompere quella diseguaglianza nell'accesso delle informazioni che
privilegiano alcuni operatori rispetto ad altri. Ma Moody's
e S&P's hanno al loro interno dei conflitti di
interesse perché sono proprietà di fondi d'investimento. Il
maggior azionista di Moody's, con il 17%, è
il fondo Berkshire Hathaway,
di proprietà del famoso miliardario vicino al presidente Barack Obama, Warren Buffett,
icona del capitalismo filantropico americano assieme a Bill Gates. Il
secondo azionista di riferimento di Moody's
è il fondo Capital World Investors di Los
Angeles della famiglia Lovelace, con il 12% delle
azioni. Insomma soci importanti e molto attivi nei settori che sono sotto
osservazione delle società di rating stesse. Va però ricordato
che le società si difendono ricordando che ci sono delle
"muraglie cinesi" al loro interno che dividono il settore commerciale
da quello degli analisti che scrivono le famose notes in tutta indipendenza. I
passi falsi.
Oltre al dowgrading degli Usa con un errore di
2mila miliardi di dollari nelle stime di riduzione del debito Usa contestato
dall'ammnistrazione Obama o ai rating di banche
come Lehamn Brother che erano ai massimi poco prima
di fallire o a pacchetti finanziari tutti a tripla A con dentro i mutui subprime, va ricordato il buon rating tripla A di Enron
da parte di tutte e tre le big (poi fallita nel 2001) o il maramaldesco downgrading della nuova Tunisia democratica il giorno
dopo la cacciata di Ben Alì fatta da S%P's e
Fitch, un episodio grave come ricordato da una
pregevole analisi da Odile Benyahia-Kouder. Il
caso greco.
Un'inchiesta del New Yor Times ha messo in luce
l'estrema cautela di Moody's nel decidere il dowgrading del debito di Atene che da tempo mostrava
segni inquietanti. Ai primi dicembre 2009 un report di Moody's
scriveva ancora che i «timori degli investitori sulla Grecia era malposti». Venti giorno dopo l'agenzia americana
operava il downgrading arrivando addirittura dopo
un articolo del Sole 24 ore che il 20 novembre 2009 in prima pagina
(«Troppi debiti, trema la Grecia») metteva in allerta i lettori
sul rischio sovrano greco. Un allarme più tempestivo da parte di un
agenzia specializzata avrebbe potuto ridurre il flusso di soldi degli
investitori verso la Grecia che oggi ha un debito di 357 miliardi di euro
(pari a 30mila euro pro capite) ed evitare il super haircut
del 50% deciso il 26 ottobre a Bruxelles dai capi di Stato e di Governo della
Ue e che oggi costerà 100 miliardi di euro di perdite secche nei
bilanci della maggiori banche del mondo raccolte nell'IIF guidata da Charles Dallara. Sulla
Grecia Moody's si è difesa dicendo che la
sua estrema prudenza è stata determinata dalla convinzione che
l'ingresso di Atene nella zona euro avrebbe evitato per sempre qualsiasi
ipotesi di bancarotta. Non è andata esattamente così ma intanto
è emerso che come detto da Spyros Papanicolaou, direttore generale della Agenzia per debito
pubblico greco dal 2005 al febbraio 2010, Moody's
(come le altre società) è stata ricompensata con cifre varianti
da 330mila a 540 mila dollari ogni anno per dare il rating al debito pubblico
ellenico. Ora
tocca all'europa. Dopo aver preso a schiaffi
l'amministrazione Obama togliendo la tripla A al debito americano, peraltro
molto superiore al 100% del Pil come ufficialmente
ci si ostina a dichiarare a Washington, è scattata la volta
dell'Europa, unendo così in un unico tragico destino le due sponde
dell'Atlantico. L'allarme
del premier Papandreou. Che le agenzie siano venute meno
ai loro compiti di oracoli è ormai un sospetto molto diffuso. L'ex
primo ministro greco George Papandreou il 4
dicembre ha detto che «gli enti regolatori dell'Unione europea e le
agenzie di rating hanno qualche colpa per la crisi del debito del mio Paese».
Papandreou, che si è dimesso il mese scorso,
in un'intervista alla Cnn da Fareed Zakaria ha detto che «se ci fosse stato un
monitoraggio più forte da parte dell'Unione europea, e delle agenzie di
rating, non avrei come primo ministro ereditato una situazione in cui il
deficit era vicino al 16 per cento e il debito era quasi raddoppiato durante
il Governo precedente». Eurobond. Un altro
episodio che ha fatto molto discutere è stato il seguente: Standard
& Poor's il 3 settembre 2011 ha affondato gli Eurobond prima ancora che venissero alla luce. Un'intervento a freddo e per di più a gamba tesa
che ha dato fiato a tutti coloro che pensano vi sia da tempo una
volontà da parte delle agenzie di rating di esasperare le tensioni dei
mercati. |
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