|     Il Sole 24
  Ore   13-14
  DICEMBRE 2008 
  
       
 Ieri
  c'è stato il terrore delle perdite individuali, il terrore di molti
  protagonisti del jet set internazionale che con il fallimento Bernard Madoff
  e il buco da 50 miliardi di dollari hanno perso gran parte delle loro
  fortune. Oggi, con l'avvicinarsi delle aperture dei mercati di domani,
  c'è il terrore per l'effetto domino: chi sarà il prossimo fondo
  a cadere? Come finirà il settore hedge funds sull'onda delle
  redemption, che dalle prossime ore saranno inevitabili e travolgenti? Che
  cosa succederà a uno dei più remunerativi business delle
  banche, quello appunto che serviva gli hedge funds? Dove si andranno a
  recuperare i soldi perduti?
 La storia di questo buco colossale, che vale tre volte quello di Parmalat ed
  è persino più grande del fallimento Lehman insomma, è
  appena cominciata. Il fondo più a rischio oggi è il Fairfield
  Greenwich Group, circa 16 miliardi di dollari in gestione, uno dei fondi
  gestione più conosciuti nel jet set internazionale grazie allo
  straordinario lavoro di marketing della famiglia Noel. Fairfield aveva
  investito ben 7,5 miliardi di dollari del suo patrimonio in gestione nel
  fondo di Madoff, circa la metà della sua dotazione totale. E quando un
  fondo perde anche il 30% del suo valore, in genere ha il destino segnato.
  Pare che nel crack subiranno perdite colossali molti protagonisti della
  comunità ebraica di New York e alcune organizzazioni istituzionali, ad
  esempio la Yeshiva University, che aveva Madoff fra i suoi consiglieri. Fra
  gli altri fondi colpiti, in Europa c'è il King Gate,2,8 miliari di
  dollari investiti esclusivamente con Madoff, sembra in buona parte in
  provenienza dall'Italia grazie all'intermediazione di Federico Ceretti e
  Carlo Grosso da Londra. In America, Ascot Partners, gestito da Ezra Merkin,
  presidente della ex Gmac, la divisione finanziaria della Gm. Ascot aveva 1,8
  miliardi di dollari in gestione, di fatto tutti investiti con Madoff. Ci sono
  poi il fondo Sterling Equities, di Fred Wilpon, il proprietario dei Mets e
  quello di Norman Braman, l'ex proprietario della squadra di footbal Eagles di
  Filadelfia. Il fondo Tremont, che avrebbe investito un miliardo di dollari
  con Madoff e il Maxam Capital Management. Proprio il Maxam ci dà la
  dimensione di uno dei più grossi problemi con cui si confronteranno
  managers e fondi a partire da domani mattina: la richiesta da parte delle
  autorità di restituire un rimborso che potrebbe essere stato illegale.
 
 A novembre, quando le cose erano ancora in apparenza tranquille, Maxam chiede
  a Madoff la restituzione di 30 milioni di dollari. Madoff paga immediatamente.
  La sua puntualità nei rimborsi era leggendaria, fino a quando negli
  ultimi giorni, le richieste di rimborsi non sono salite a 7 miliardi di
  dollari. A quel punto Madoff si è reso conto che non ce l'avrebbe
  più fatta e che il suo schema di ripagare i vecchi clienti con i fondi
  investiti dai nuovi sarebbe saltato. La domanda centrale a questo punto
  è chiara: Maxam e altre centinaia di investitori che come lui avevano
  recuperato i fondi prima del fallimento, possono tirare un sospiro di sollievo
  o dovranno restituire i loro rimborsi? Pare che non ci siano dubbi: chi ha
  ottenuto rimborsi dopo che Madoff era tecnicamente fallito dovrà quasi
  certamente restituirli. La legge americana infatti prevede il recupero di
  fondi erogati da una istituzione finanziaria dopo il fallimento
  "tecnico" per proteggere egli altri investitori. Se ad esempio un
  investitore aveva dato 100 milioni a Madoff cinque anni fa, ne ottiene in
  restituzione oggi circa 200 grazie a un ritorno composto medio del 10% all'anno.
  In realtà i 100 milioni originari erano stati investiti male e si
  erano ridotti diciamo a 25 milioni di dollari. Per proteggere la sua immagine
  e evitare il panico, Madoff continuava a rimborsare i vecchi clienti con i
  fondi dei nuovi investitori, in coda per avere accesso ai suoi prodotti,
  leggendari per stabilità dei ritorni, circa il 10% all'anno. Non un
  ritorno strabiliante dunque, non il 20 il 30%all'anno come riuscivano a fare
  alcuni fondi hedge prendendo più rischi, ma proprio per questo, per la
  stabilità e la continuità dei ritorni, il fondo di Madoff
  sembrava più conservatore e sicuro.
 
 Gli investigatori ora dovranno ricostruire il momento preciso del fallimento
  tecnico di Madoff e riallocare le perdite, andando a chiedere quattrini a chi
  li aveva incassati ignaro (e felice) magari cinque anni fa. Per questo le
  ramificazioni di questo fallimento saranno catastrofiche. Si partirà
  sul piano degli investimenti privati, ma le conseguenze saranno anche
  sistemiche: chi ha perso i soldi con Madoff e dovrà far fronte a
  pagamenti avrà due possibilità: dovrà dichiarare
  fallimento e dovrà prelevare soldi da altri fondi che si troveranno a
  loro volta in difficoltà. Per questo, e per l'improvvisa paura che
  oltre al mercato debolissimo vi sia il rischio di truffe, l'intero settore
  dei fondi hedge, già debole, oggi è ad altissimo rischio sul
  piano sistemico. Il terzo capitolo che si aprirà domani sarà
  quello delle cause, e delle vendette personali. Decine di studi legali a New
  York sono stati mobilitati per procedere con recupero crediti. Ma c'è
  chi teme anche la vendetta fisica: si dice che molti investitori nei fondi
  americani che appoggiavano Madoff fossero sudamericani e colombiani in
  particolare.
 
  
 
 È
  un bancarottiere italiano, emigrato negli Stati Uniti all'inizio del secolo
  scorso, l'uomo che ha dato il nome al meccanismo delle piramidi finanziarie,
  società organizzate come catene di S. Antonio, la cui unica
  finalità è truffare ignari investitori.
 Sebbene si tratti di un genere di truffa praticata da secoli, il nome di
  Ponzi ne è diventato il sinonimo nella tradizione americana. Lo schema
  del "maestro di Boston", ampiamente utilizzato anche oggi come il
  caso Madoff insegna, è molto semplice: il denaro versato dagli
  azionisti non è reinvestito in alcuna impresa, e gli utili vengono
  pagati utilizzando i versamenti dei successivi acquirenti di nuove azioni.
  L'intero castello crolla quando le risorse in entrata non riescono più
  a coprire gli impegni presi. Se Carlo Ponzi avesse depositato il brevetto
  dello schema che prese il suo nome, i discendenti avrebbero incassato
  royalties milionarie.
 
 Nato a Parma nel 1882, emigrò in Canada nel 1903. La sua natura
  «truffaldina»non tardò ad emergere e di lì a poco subì
  una condanna per falsificazione di banconote. Dal Canada, dopo la
  scarcerazione, arrivò negli Stati Uniti, dove fu nuovamente
  condannato, ma questa volta per contrabbando. L'anno della svolta è il
  1919 quando a Boston escogitò un innovativo meccanismo per arricchirsi
  velocemente. Sposato con Rose Gnecco, giocatore d'azzardo, Ponzi
  applicò lo schema piramidiale ai francobolli internazionali prepagati:
  i "tagliandi internazionali di risposta", creati nel 1906 dai Paesi
  aderenti all'Unione Postale Universale, venivano acquistati dal mittente di
  una lettera, in genere gli emigrati negli Stati Uniti, che così
  pagavano in anticipo il francobollo per la risposta. A quell'epoca il costo
  della vita in Europa era molto basso e il prezzo d'acquisto di un
  francobolloequivaleva a un centesimo di dollaro, ma le Poste americane
  restituivano francobolli locali per un controvalore di sei centesimi. Ponzi
  fiutò il business, ma anche la truffa. Il progetto prevedeva un
  investimento in denaro a 90 giorni, con un interesse del 45% sul capitale.
  Nel giro di pochi mesi furono circa 10mila i cittadini di Boston che gli
  affidarono risparmi per un valore complessivo di circa 9 milioni e mezzo di
  dollari, una cifra enorme per quell'epoca. Ma lui non cercò mai di
  avviare la società. Si limitò ad utilizzare parte del denaro
  per pagare quanto pattuito ai primi investitori per dare credibilità
  al business.
 
 Il personaggio, con precedenti penali, balzò agli onori delle
  cronache, diventando perfino un guru della finanza tanto da riuscire a
  comperare una quota della Hanover Trust Company, una importante banca locale.
  Ben presto il business si rivelò una truffa. Ponzi, accortosi che le
  richieste di uscita erano maggiori delle nuove entrate e che la sua piramide
  stava per crollare, riuscì a distrarre e a utilizzare anche i fondi
  della Banca della quale era socio. La bolla finanziaria scoppiò
  nell'agosto del 1920 portandosi dietro un buco di circa 6 milioni di dollari
  nei confronti dei risparmiatori. Ponzi venne nuovamente arrestato e
  condannato a 7 anni e mezzo di reclusione per frode postale. Quando
  uscì di carcere il 14 febbraio 1934, si rifugiò in Florida dove
  tentò una nuova speculazione questa volta sui terreni edificabili che
  in realtà erano paludi. Finì i suoi giorni in un ospedale per
  poveri a Rio de Janerio dove morì nel 1949 completamente povero.
 In anni recenti, truffatori di varia natura hanno messo in pratica lo schema
  Ponzi in qualsiasi campo, da quello dei fondi di investimento, alle
  operazioni a premio, a quello delle proprietà immobiliari, ai contratti
  di acquisto, alle monete d'oro. Tra i tanti scandali si ricorda quello della
  Home Stake che si occupava di perforazioni di pozzi petroliferi, ovviamente
  ine-sistenti: per ingannare i compratori dei titoli della società, i
  truffatori arrivarono a dipingere di arancione i tubi per l'irrigazione di
  una fattoria in California, per farla sembrare un giacimento di petrolio.
  Quando la compagnia andò in bancarotta, gli ingnari azionisti persero
  cento milioni di dollari.Nell'elenco dei truffati anche Bob Dylan, Barbra
  Streisand, Liza Minnelli, Walter Matthau.
 
  
  
 LONDRA
  - La crisi economica in Gran Bretagna potrà solo aggravarsi nel 2009:
  questa la previsione di John Varley, chief executive di Barclays. I prezzi
  delle case crolleranno del 15% nel 2009 e continueranno a calare anche nel
  2010, mentre il tasso di disoccupazione salirà anche oltre il 7 per
  cento. In un'intervista televisiva in diretta stamattina, lunedi 15 dicembre,
  Varley ha dipinto un quadro a fosche tinte dell'economia britannica, ma ha
  detto che dopo un 2009 all'insegna della recessione la crescita
  tornerà nel 2010.
 Per quanto riguarda il settore immobiliare, Varley prevede che il calo dei
  prezzi tra 2007 e 2010 sia intorno al 30%: «Probabilmente siamo a meà
  del periodo (di calo), quindi in altre parole abbiamo ancora il 10-15% di
  flessione da attenderci tra ora e la fine del prossimo anno» ha detto. Per
  l'occupazione non ci saranno notizie positive almeno fino al 2010: «Credo sia
  possibile che ci saranno altri 700mila licenziamenti nei prossimi dodici
  mesi» ha detto il chief executive della banca, sottolineando che il numero
  potrebbe salire ulteriormente l'anno successivo. Mercoledì 17 gennaio
  verranno resi noti i dati ufficiali sull'occupazione e si prevede un
  ulteriore incremento dei senza lavoro sopra quota 2 milioni.
 
 Le banche hanno "indubbiamente" giocato un ruolo nel creare e
  accelerare la crisi attuale e sono in parte responsabili per la recessione in
  corso, ha ammesso Varley, però vanno riconosciute anche le
  responsabilità delle banche centrali e dei governi dei Paesi
  coinvolti. «Le banche devono essere pronte ad avere l'umiltà di
  riconoscere e accettare questo e di dire "mi dispiace"» ha detto
  ancora, definendo "follia" la fase dei mutui facili.
 
 Varley ha anche spiegato che la ragione principale per cui Barclays ha
  respinto gli aiuti di stato offerti da Londra al settore bancario è
  stata la volontà di restare indipendente e continuare a crescere ed
  espandersi all'estero. «Se i soldi dei contribuenti britannici vengono
  investiti in una banca perché il Governo ha acquistato azioni, chiaramente
  gran parte del capitale e delle attività delle banche devono restare
  in Gran Bretagna, - ha detto. – Le nostre attività in Gran Bretagna
  sono estremamente importanti per noi, ma noi abbiamo più dipendenti
  fuori dal Paese che dentro, abbiamo più clienti fuori dal Paese che
  dentro e quindi è molto importante per me che la nostra strategia di
  crescita fuori dalla Gran Bretagna non venga ostacolata». Barclays ha
  preferito essere "salvata" dall'intervento di investitori
  mediorientali.
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