Il
Fatto quotidiano 1-8-2011
Conflitto d’interessi?
Chiamiamolo d’ipocrisia!
Di Guido Scorza
L’Autorità garante della concorrenza e del
mercato ha pubblicato, lo scorso 26 luglio, la sua tredicesima relazione semestrale sul conflitto di
interessi da parte dei titolari di cariche di Governo.
Ancora una volta – è, appunto, la
tredicesima – la conclusione cui l’Autorità è
pervenuta – o meglio, a cui è dovuta pervenire complice la legge
che è chiamata ad applicare – è che nel nostro Paese,
negli ultimi sei mesi non si sono registrati episodi
di conflitto di interessi.
Sintomatiche le conclusioni della principale indagine su un episodio di presunto
conflitto (che siamo costretti a chiamare così per via
della presunzione di innocenza prima e della decisione
dell’Autorità poi) condotta dall’Agcm.
Con il decreto legge Milleproroghe,
il Governo decide di prorogare dal 31 dicembre 2010 al 31 marzo
2011, tra le altre cose, il termine relativo al divieto, per tutti i
soggetti che esercitano l’attività televisiva in ambito
nazionale attraverso più di una rete, di acquisire partecipazioni in
imprese editrici di giornali quotidiani o di
partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di giornali
quotidiani.
Si tratta – non c’è chi non lo capisca –
evidentemente di una materia sensibile in un Paese in cui il capo del Governo
è anche capo del più grande polo editoriale nazionale e,
proprio per questo, l’Autorità garante storce il naso e si fa
sentire quando si accorge che il Governo nel prorogare il termine ha anche assegnato
al presidente del Consiglio il potere – da esercitarsi in assoluta
autonomia – di prorogarlo ulteriormente.
L’Autorità garante chiede, pertanto, al Governo di modificare
tale previsione in sede di conversione del decreto legge ma, naturalmente,
nessuno a Palazzo Chigi né in Parlamento, ritiene di
intervenire. A questo punto la vicenda diventa tragicomica e la nostra
legge sul conflitto di interessi si palesa per quello che realmente è:
un capolavoro di ipocrisia istituzionale.
Il Governo Berlusconi
toglie dalle mani del suo capo, Silvio Berlusconi,
la patata bollente che quest’ultimo si era auto-attribuita e, con un
ennesimo decreto legge, proroga, al posto del suo capo, il termine al 31
dicembre 2012.
E’ un decreto legge varato dal Governo Berlusconi,
proposto dal premier Silvio Berlusconi e dal suo ministro dell’economia
nonché controfirmato dallo stesso presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi.
Ma è, soprattutto, un decreto legge che incide sulla disciplina del
mercato editoriale italiano nel quale Silvio Berlusconi è leader,
adottando un provvedimento che l’Autorità preposta alla vigilanza
sul conflitto di interessi aveva segnalato inopportuno fosse
adottato dal presidente del Consiglio.
Impossibile – si direbbe – negare l’esistenza di un conflitto
di interessi.
Sfortunatamente, però, le conclusioni cui perviene
l’Autorità garante sono diametralmente opposte: non
c’è conflitto perché, secondo quanto riferito all’Agcm dalla presidenza del Consiglio, il testo del
decreto, benché formalmente proposto dal premier, è stato
in realtà predisposto presso il Ministero dello Sviluppo economico
(il cui titolare Paolo Romani è uomo della televisione e sodale del
premier), poi trasmesso al Ministero dell’economia e, quindi, approvato
dal Consiglio dei Ministri in una seduta nel corso della quale, al momento
del voto sul decreto, il presidente del Consiglio e il suo vice, Gianni Letta, sono
usciti come risulta dal verbale della presidenza del
Consiglio.
Quanto alla circostanza che il decreto rechi la firma
del premier, si tratterebbe di un atto dovuto – secondo
la presidenza del Consiglio e l’Autorità garante –
insuscettibile di assumere rilevanza quale elemento di imputazione al premier
dell’atto di cui si discute.
Se un decreto legge in materia di disciplina dell’editoria, proposto da
Silvio Berlusconi e da questi firmato non costituisce un episodio di
conflitto di interessi, vien da chiedersi cosa debba accadere
perché l’Autorità garante possa, finalmente, accertare,
almeno per una volta nella sua storia, un episodio di conflitto
d’interessi nel nostro Paese.
Nella relazione dell’Autorità c’è, infine, un altro
dato sul conflitto di interessi davvero inquietante, capace di generare
un moto di umana rabbia e delusione in chiunque abbia a cuore le sorti del
nostro Paese: nonostante le reiterate richieste dell’Autorità
sei titolari di cariche di Governo – peccato non
disporre dei nomi – non hanno ancora fornito all’Agcm i documenti necessari per consentirle di verificare
la sussistenza di eventuali situazioni di incompatibilità e,
analogamente, non hanno provveduto a tale elementare obbligo di trasparenza e
buona fede centoquattordici familiari di
titolari di cariche di Governo.
A Palazzo Chigi,
dunque, non piace che l’Autorità “anti-conflitto
d’interessi” metta il naso tra le carte dei titolari di cariche
di Governo e dei loro familiari a caccia di conflitti e
incompatibilità.
Come se non bastasse, nella relazione, l’Autorità evidenzia
come, sfortunatamente, non disponga di nessun potere per acquisire coattivamente
i documenti mancanti.
Non chiamiamolo più conflitto di interessi, chiamiamolo conflitto di
ipocrisia anzi, stato di ipocrisia permanente.
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