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 La Repubblica 26-1-2008 Scandali, affari e
  misteri tutti i segreti dello Ior Di Curzio Maltese L'Istituto
  Opere Religiose è la banca del Vaticano. In
  deposito 5 miliardi di euro Ai correntisti offre
  rendimenti record, impermeabilità ai controlli. E
  segretezza totale Scandali, affari e misteri tutti i segreti dello Ior Nessuna targa. Solo una porticina discreta e
  all'interno un unico bancomat Dal crac ambrosiano a calciopoli,
  le ombre italiane passano da qui Il pentito Mannoia
  "Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione" Paul Marcinkus, figlio di un
  lavavetri lituano, Avana tra le labbra e bionde segretarie. La chiesa cattolica è l'unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla
  povertà e la demonizzazione del danaro, "sterco del
  diavolo". Vangelo secondo Matteo: "E' più facile che un cammello passi nella cruna dell'ago, che un ricco
  entri nel regno dei cieli". Ma è anche
  l'unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e
  investimenti, l'Istituto Opere Religiose. La sede dello Ior
  è uno scrigno di pietra all'interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da
  Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso
  una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il
  presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala l'importanza.
  All'interno si trovano una grande sala di computer,
  un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell'ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime
  più prudenti calcolano 5 miliardi di euro di
  depositi. La banca vaticana offre ai correntisti, fra i quali come ha ammesso
  una volta il presidente Angelo Caloia
  "qualcuno ha avuto problemi con la giustizia", rendimenti superiori
  ai migliori hedge fund e
  un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più impermeabile ai
  controlli delle isole Cayman, più riservato
  delle banche svizzere, l'istituto vaticano è un vero paradiso
  (fiscale) in terra. Un libretto d'assegni con la sigla Ior
  non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di danaro
  avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d'oro. Nessuna traccia. Da vent'anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo
  del Banco Ambrosiano, lo Ior è un
  buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato
  decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 250 milioni di
  dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159
  milioni di dollari dovuti secondo l'allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta.
  Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri
  eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere
  di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte
  dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai
  colpi di Prima Linea, l'avvocato Giorgio Ambrosoli
  freddato da un killer della mafia venuto dall'America al portone di casa. Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa
  Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla
  vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello Ior.
  Sull'improvvisa fine di Giovanni Paolo 1° si sono alimentate macabre dicerie,
  aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare
  il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato il taccuino
  con gli appunti sullo Ior che secondo molti
  testimoni il papa portò a letto l'ultima notte. Era lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero (Chicago) a due strade dal quartier
  generale di Al Capone,
  protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere
  nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di
  baseball e golf, era stato l'uomo che aveva salvato Paolo VI dall'attentato
  nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la
  simpatia di un intellettuale come Montini, autore
  della più avanzata enciclica della storia, la Populorum
  Progressio, per questo prete americano perennemente
  atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le
  mazze da golf nella fuoriserie, l'Avana incollato alle labbra, le stupende
  segreterie bionde e gli amici di poker della P2. Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito
  un'intesa. A Karol Wojtyla
  piace molto quel figlio di immigrati dell'Est che
  parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle
  lotte di Solidarnosc. Quando
  i magistrati di Milano spiccano mandato d'arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per
  proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera
  i passaporti esteri e l'extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci
  anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei
  principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello Ior. Ma senza mai
  spendere una parola di condanna e neppure di velata critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche
  "una vittima", anzi "un'ingenua vittima". Dal 1989, con
  l'arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e
  collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo
  Ior cambiano. Altre no.
  Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato
  al laico Caloia è molto vantato dalle
  gerarchie vaticane all'esterno quanto ostacolato all'interno, soprattutto nei
  primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli,
  autore di un libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). "Il vero dominus
  dello Ior - scrive Galli - rimaneva
  monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la
  Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga
  lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti
  lo teneva in massima considerazione. E poi
  aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren.
  Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di
  personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno
  del monsignore per aprire un conto segreto". A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i
  contanti o l'oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre,
  "più vicino al cielo". I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria
  sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli:
  "Un'aurea legge manageriale vuole che, in caso
  di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest'ultimo
  a soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione
  particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi".
  La glasnost finanziaria di Caloia
  procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l'ombra dello Ior venga evocata in quasi
  tutti gli scandali degli ultimi vent'anni. Da Tangentopoli alle stragi del '93 alla scalata dei
  "furbetti" e perfino a Calciopoli.
  Ma come appare, così l'ombra si dilegua.
  Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca vaticana.
  L'autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli.
  Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente
  dello Ior una telefonata del procuratore
  capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: "Caro professore, ci sono dei problemi,
  riguardanti lo Ior, i contatti con Enimont...". Il fatto è che una parte
  considerevole della "madre di tutte le tangenti", per la precisione
  108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio
  cliente, Luigi Bisignani, piduista,
  giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e
  faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo
  scandalo Enimont e di recente rispuntato
  nell'inchiesta "Why Not"
  di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di Borrelli, il presidente Caloia
  si precipita a consulto in Vaticano da monsignor Renato Dardozzi,
  fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli.
  "Monsignor Dardozzi - racconterà a
  Galli lo stesso Caloia - col suo fiorito linguaggio
  disse che ero nella merda
  e, per farmelo capire, ordinò una brandina
  da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei
  continuato ad alloggiare all'Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di consultare d'urgenza
  dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli
  bisognava pur darla!". La risposta sarà di poche ma definitive
  righe: "Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale". I
  magistrati del pool valutano l'ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette
  assegni e, in quanto "ente fondante della Città del
  Vaticano", è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve
  partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la
  rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso l'effetto di
  una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull'opinione
  pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione
  ufficiale: "Lo Ior non poteva conoscere
  la destinazione del danaro".  Il secondo
  episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta,
  durante il processo per mafia a Marcello Dell'Utri.
  In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che "Licio Gelli
  investiva i danari dei corleonesi
  di Totò Riina nella banca del
  Vaticano". "Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione". Fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo
  delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia
  occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Non può non
  sapere dove finiscono i capitali mafiosi. Quindi va
  oltre, con un'ipotesi. "Quando il Papa
  (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e
  scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché
  portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far
  esplodere due bombe davanti a due chiese di
  Roma". Mannoia non è uno qualsiasi. E'
  secondo Giovanni Falcone "il più attendibile dei collaboratori di
  giustizia", per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri
  oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad
  accertare i fatti, quella sullo Ior.
  I magistrati del caso Dell'Utri non indagano sulla
  pista Ior perché non riguarda Dell'Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai
  colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli
  altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli
  e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo
  qualcuno in alto osserva: "Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?". Sulle trame
  dello Ior cala un altro sipario di dieci
  anni, fino alla scalata dei "furbetti del quartierino".  Il 10 luglio dell'anno scorso il capo dei
  "furbetti", Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati:
  "Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della
  Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro".
  Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l'elenco
  dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane:
  "I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo
  Lara (presidente dell'Apsa, l'amministrazione del
  patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando
  ho comprato la Cassa Lombarda. M'ha chiesto trenta
  miliardi di lire, possibilmente su un conto estero". Altri seguiranno,
  molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell'incontro con il
  cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della congregazione dei
  vescovi e braccio destro di Ruini: "Uno che vi
  ha sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati
  in contanti, e andava tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non
  fate neanche una telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male".
  Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno
  abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all'ultimo
  giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del
  "complotto politico" contro il governatore. Del resto, la carriera
  di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha
  mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega
  in buona parte con l'appoggio vaticano. In prima persona di
  Camillo Ruini, presidente della Cei,
  e poi di Giovanni Battista Re, amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato
  nel 2003 la messa per il venticinquesimo anniversario di matrimonio
  dell'ex governatore con Maria Cristina Rosati. Naturalmente neppure i
  racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello Ior
  e dell'Apsa, i cui rapporti
  con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono
  quantomeno singolari.  E' difficile per esempio spiegare con esigenze
  pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per
  proclamarle "missio sui
  iuris" alle dirette dipendenze della Santa
  Sede e affidarle al cardinale Adam Joseph Maida,
  membro del collegio dello Ior.  Il quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali italiani è quasi comico
  rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli.
  Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i
  fondi neri della Gea, la società di
  mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca
  vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia
  della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell'azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior
  sarebbe custodito anche il "tesoretto" personale di Luciano Moggi,
  stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie
  e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode
  di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica
  sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi è da poco diventato titolare di una
  rubrica di "etica e sport" su Petrus, il
  quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l'ex dirigente
  juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le prime
  pietre contro la corruzione (altrui).  Con l'immagine di Luciano Moggi maestro di morale
  cattolica si chiude l'ultima puntata dell'inchiesta sui soldi della Chiesa. I
  segreti dello Ior rimarranno custoditi forse
  per sempre nella torre-scrigno. L'epoca Marcinkus
  è archiviata ma l'opacità che circonda
  la banca della Santa Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque
  trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello Ior non sono mai state
  tanto pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi
  del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è,
  come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407 mila
  dollari di prodotto interno lordo pro capite, la Città del Vaticano
  è di gran lunga lo "stato più
  ricco del mondo", come si leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy.
  Secondo le stime della Fed del 2002, frutto
  dell'unica inchiesta di un'autorità internazionale sulla finanza
  vaticana e riferita soltanto agli interessi su suolo americano, la chiesa
  cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari
  in titoli, 195 milioni in azioni,  In un'Italia dove la politica conta ormai meno della
  finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di
  quanta ne avesse ai tempi della Democrazia
  Cristiana. (Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco) |