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La Stampa 2-6-2009

 

2/6/2009 - INTERVISTA Manuel Castells: così il telefonino ucciderà la tv

 “Internet e cellulari: dalla loro integrazione il più potente strumento di connettività”

 

INVIATA A MILANO


Manuel Castells, 67 anni, spagnolo trapiantato in California dove insegna comunicazione all'Annenberg Center, tondo e sorridente, a parte la chioma ribelle e bianca è ben lontano dal «physique du rôle» che ci si aspetta da uno definito dal Wall Street Journal già una dozzina d'anni fa quando scrisse la sua trilogia The Information Age come il Karl Marx dell'era post-industriale. Eppure è uno dei maggiori studiosi mondiali della società dell'informazione che da oltre vent'anni si interessa dell'impatto di Internet sulla società globalizzata. Lo abbiamo intervistato in occasione della sua visita all'Università di Milano Bicocca, dove la settimana scorsa è venuto a parlare di mobilità, cambiamenti sociali e comunicazione nell'era digitale per un convegno sulla formazione a distanza.

Internet all'inizio sembrava fonte di ricchezza e di libertà infinita, oggi per molti è causa di disoccupazione, flop economici, cyber-crimini, censura. Tecno-élite vs neo-luddisti.
«Lo sviluppo sociale dipende oggi dalla capacità di stabilire un'interazione sinergica tra innovazioni tecnologiche e valori umani, nell'ambito di un nuovo modello che sia sostenibile per la società e per l'ambiente. La difficoltà è convenire sulle scelte politiche e sulle strategie da adottare per realizzarli, c'è un conflitto tra diversi interessi e valori. Manca un'interpretazione universale dei processi di trasformazione».

Ce la dia lei, l'interpretazione.
«Dalla fine del XX secolo il capitalismo ha vinto nel mondo, ma si tratta di un tipo nuovo che si avvale delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione che sono alla radice delle nuove fonti di produttività, delle nuove forme di organizzazione e della formazione di un'economia globale».

Lei ha detto: siamo nell'era della confusione informata… che cosa significa?
«La comunicazione è il processo fondamentale dell'attività umana, così la connettività ubiqua e permanente diventa un fattore di trasformazione sociale. Nella società sempre connessa in rete nascono nuove figure lavorative, si plasmano nuove strutture familiari, si inventano relazioni e linguaggi. I confini del mondo si espandono, con l'accesso a popoli che finora ne erano esclusi. Ma il ruolo delle tecnologie dell'informazione nel promuovere lo sviluppo è un'arma a doppio taglio: da un lato permette di modernizzarsi rapidamente e diventare competitivi, dall'altro il ritardo di chi non riesce ad adattarsi al nuovo sistema tecnologico tende ad accumularsi. Sta prendendo forma un “quarto mondo”, caratterizzato dall'esclusione sociale. Senza alfabetizzazione, c'è solo confusione informata».

Quale percorso per uscire dalla crisi?
«E' fatto di collaborazione nella società civile, di banche del tempo fra le persone che riscoprono il baratto per sostenersi, di intendere la globalizzazione come tante comunità locali in rete. Internet per tutto questo è ormai indispensabile».

In Mobile Communication e trasformazione sociale, lei parla di mediamorfosi resa possibile dal telefonino. Cioè?
«Un tempo si parlava di eccesso di comunicazione o di informazioni per colpa di Internet: oggi la gente ne sente il bisogno, si impazzisce se non si può accedere sempre e ovunque all'email. Piuttosto si rinuncia volentieri alla televisione, e questo potrebbe essere il vero inizio della fine per il vostro Silvio Berlusconi. Il più potente e versatile strumento di connettività è diventato il telefonino: vi convergono i diversi media, dall'accesso a Internet ai video alla musica alla messaggistica. La comunicazione senza fili è la tecnologia con la più rapida diffusione nella storia: nel 1991 gli abbonati ai primi telefonini erano 16 milioni, oggi sono 3,8 miliardi (contro 1,4 miliardi di linee fisse), il 60 per cento dela popolazione del pianeta è connesso “wireless”. Con un riflesso immenso sulla società».

Per esempio, si ridurrà il divario digitale fra chi è connesso e chi no?
«In Africa il 30% del budget della gente è allocato alle comunicazioni senza fili, usano le bici per ricaricare le batterie. Nell'era dell'industrializzazione si diceva che senza elettricità non si mangiava. Oggi non si mangia senza Internet».

Eppure la Rete è sotto assedio dappertutto: bersaglio di censura, divieti, tentativi di controllarne i contenuti e bloccarne lo scambio di informazioni, a costo di cambiare le leggi o farne ad hoc.
«Non è necessario mettere a punto leggi restrittive per limitare la libertà online, basta applicare quelle esistenti. Siamo in una fase di transizione, chi detiene il potere ha paura di questa tecnologia di libera comunicazione. Che non risolve i problemi, semmai li amplifica: i governi temono di perdere il controllo, le aziende temono la libera concorrenza, i politici temono di perdere il seggio. Sono tutti nel panico, si sentono spodestati dai giovani internettiani meglio informati e rapidi a reagire grazie all'accesso ubiquo, forti della solidarietà fra pari in rete».

Già: l'informazione è potere… Però intanto al potere la generazione di Internet deve ancora arrivarci.
«A dire il vero negli Usa è arrivato Barack Obama, grazie a Internet… In Italia il ricambio generazionale arranca perché il sistema politico è imbrigliato dai partiti e Internet non ha ancora spodestato del tutto la tivù. Ma la rivolta delle banlieu insegna che la mobilitazione della gente che comunica in rete via cellulare (“flash mobs”) funziona. E i politici sanno che qualsiasi cittadino con un videofonino può distruggerli, basta beccarli in fallo e caricare il video su YouTube».