|     L’Espresso
  22-8-2008   Banche nella giungla   Di Massimo Riva   Meglio il modello europeo socialmente responsabile o
  quello americano del profitto ad ogni costo? In Italia è ancora
  presto per porsi interrogativi su un'etica del sistema bancario        I
  banchieri devono o non devono farsi carico della responsabilità
  sociale che grava sulla loro impresa? Devono o non devono orientare la loro
  azione al perseguimento anche dell'interesse generale? Insomma, è
  da preferire il modello europeo della cosiddetta economia sociale di mercato
  oppure quello americano del profitto innanzi a tutto? Si fa dura fatica a
  prendere sul serio il dibattito apertosi dopo la pubblicazione su 'Il Sole 24
  ore' di un ponderoso intervento in materia da parte di Giovanni Bazoli. Nel quale il presidente del Consiglio di
  sorveglianza di Intesa Sanpaolo fa una netta scelta
  di campo in favore della nozione di banca come soggetto carico di
  responsabilità collettive e generali.
 La difficoltà ad appassionarsi alla disputa nasce dalla constatazione
  che essa rischia di alzare una cortina di fumo attorno ad altri nodi
  istituzionali irrisolti del sistema creditizio. Uno su tutti: quello dei conflitti
  d'interesse, presenti nel nostro mondo bancario in misura massiccia e
  abbondantemente sregolata.
 
 Qualche esempio: ci sono i grandi azionisti di banca che sono anche grandi
  debitori della medesima e in parallelo gli istituti che finanziano le imprese
  di cui detengono parte del capitale, poi c'è il controllo delle banche
  sui fondi d'investimento le cui quote vengono pacificamente vendute alla
  clientela dagli sportelli dello stesso soggetto nel vuoto torricelliano
  di qualunque filtro credibile fra le banche e le società di gestione
  del risparmio. Nello specifico, c'è addirittura il caso di un
  prestigioso istituto, quale Mediobanca, che per storia e struttura si
  può definire come un monumento vivente al conflitto d'interesse.
 
 A fine luglio c'è stata in materia un'importante riunione del Comitato
  per il credito, nella quale la già gracile
  disciplina degli intrecci fra banca e industria è stata ulteriormente
  indebolita. Era un atto dovuto per adeguarsi alle norme europee: ma in Italia
  il sicuro effetto sarà di moltiplicare le opportunità di
  incesto finanziario. Si poteva, quindi, sperare che il quadro delle
  novità fosse inserito in una cornice di regole stringenti contro la
  proliferazione delle metastasi del cancro principale.
 Ne è uscita, invece, soltanto una bozza di identikit delle cosiddette
  'parti correlate', tartufesco eufemismo dietro il
  quale mascherare la più acconcia nozione di conflitto d'interesse. A
  fissare paletti più rigorosi provvederà, non si sa quando, la
  Banca d'Italia. Quella stessa - guarda caso - che lamenta di non avere poteri
  adeguati per disboscare la foresta degli abusi presenti nell'attività
  creditizia, sollecitando interventi legislativi a un governo e a un
  parlamento del tutto sordi in proposito.
 
 In simile scenario più che di dispute dottrinarie si avverte la
  priorità di risposte concrete a questioni concrete. Per esempio,
  nella logica del professor Bazoli, sarebbe stato
  più utile sapere quale interesse generale ritiene di perseguire la sua
  banca con un piano per il 'salvataggio' di Alitalia
  concepito secondo il risaputo schema di privatizzazione dei profitti e di
  socializzazione delle perdite. Modello tornato oggi in gran voga tanto in
  Europa che in America proprio per le crisi bancarie.
 (22 agosto 2008)     |