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ARTICOLI DEL 1°-2-2008
Winograd: Israele ha perso un'occasione. Ma Olmert è
assolto ( da "EUROPA.it" del 01-02-2008)
La mia scelta di pace con la doppia cittadinanza - daniel
barenboim ( da "Repubblica, La" del 01-02-2008)
Lo scontro tra palestinesi e israeliani nelle parole e
immagini di bakri - emanuela giampaoli ( da "Repubblica, La" del 01-02-2008)
Il levantino : quando Ambler profetizzò l'Armaggedon in
Medio Oriente ( da "Unita, L'" del 01-02-2008)
Ebrei, diritto alla normalità ( da "Stampa, La" del 01-02-2008)
Festeggiare con Israele Ma che cosa? ( da "Stampa, La" del 01-02-2008)
"Quale futuro per la Palestina?" Se ne discute
l'1 ( da "Stampa, La" del
01-02-2008)
IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI
ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ ( da "Stampa, La" del 01-02-2008)
Rapporto sconfortante di Human Rights Watch USA e Europa
colpevoli ( da "Voce d'Italia, La" del 01-02-2008)
Amnesty boccia il rapporto Winograd ( da "Manifesto, Il" del 01-02-2008)
Usa e Ue complici dei violatori , Hrw ( da "Manifesto, Il" del 01-02-2008)
IL CAIRO - L'Egitto ha condannato con molta asprezza
Hamas per la violazione una settimana fa della ( da "Messaggero, Il" del 01-02-2008)
Uso strumentale degli intellettuali ( da "Corriere della Sera" del 01-02-2008)
Meshaal: <Gilat Shalit sta bene> ( da "Corriere della Sera" del 01-02-2008)
Così Olmert è sopravvissuto alla guerra ( da "Giornale.it, Il" del 01-02-2008)
Un infermiere confessa: "Ho abusato di cento
pazienti" ( da "Quotidiano.net" del 01-02-2008)
Il passo indietro del Cardinal Martini ( da "Opinione, L'" del 01-02-2008)
New York nostro inviato A passi decisi verso il super
martedì. L'uomo del momento è il senatore repubblicano McCain, che dopo aver
incassato l'appoggio di Rudy Giuliani si può freg ( da "Liberazione" del 01-02-2008)
Un infermiere confessa: "Ho abusato di cento
pazienti" ( da "Quotidiano.net" del 01-02-2008)
Winograd: Israele ha
perso un'occasione. Ma Olmert è assolto
(sezione: Israele/Palestina)
( da "EUROPA.it" del
01-02-2008)
REPORT SULLA GUERRA IN LIBANO Winograd: Israele ha perso un'occasione. Ma Olmert è assolto MAURIZIO DEBANNE La
guerra contro Hezbollah è stata "una occasione mancata" poiché si è
chiusa "senza la vittoria" di Israele a causa
della "mancanza di una strategia chiara". Queste le conclusioni a cui
è arrivata, dopo diciotto mesi di lavoro, la commissione di inchiesta Winograd
sulla conduzione della guerra in Libano dell'estate del 2006, in cui sono morti
119 soldati, 44 civili israeliani e circa 1200 libanesi, in gran parte civili.
Il rapporto finale, di 500 pagine, accerta "gravi mancanze al più alto
livello politico e militare" nella gestione del conflitto perché "una
organizzazione paramilitare (gli Hezbollah, ndr) ha potuto resistere per
settimane al più potente esercito del Medio Oriente". "I loro razzi
hanno continuato a colpire il nostro territorio durante tutta la guerra "
senza che si riuscisse a fermarli, ha dichiarato il giudice Eliahu Winograd
nella attesa conferenza stampa di ieri pomeriggio, in cui è stato diffuso il
rapporto. Nel documento viene però definita "ragionevole" la
decisione di Olmert di intraprendere un'offensiva nella fase finale del
conflitto, costata la vita di molti soldati, tra cui Uri Grossman, figlio del
noto scrittore David Grossman. La commissione scagiona così, su questa delicata
questione, il premier israeliano, definendo questo attacco "quasi
necessario" e dagli "obiettivi legittimi ", nonostante le Nazioni
Unite avessero già annunciato l'inizio del cessate il fuoco. Le conclusioni
della commissione hanno "soddisfatto " i collaboratori di Olmert,
secondo quanto rivelato dal quotidiano Haaretz. Le ultime ore prima della
pubblicazione del rapporto sono state comunque per il premier israeliano, meno
turbolente del previsto. In mattinata, infatti, Olmert aveva incassato
l'appoggio preventivo e incondizionato del suo partito, Kadima. "Lo stato
di Israele pagherebbe un caro prezzo se si andasse
alle elezioni anticipato", ha dichiarato il ministro delle finanze Ronnie
Bar-On. Anche il ministro per l'edilizia Ze'ev Boim sprona il premier ad andare
avanti: "Tutti dicono che Olmert deve prendersi le sue responsabilità.
Solo continuando a governare lo farà". Di diverso avviso sembrano essere
però i cittadini israeliani. Secondo un sondaggio condotto da un canale
commerciale della tv israeliana, il 58 per cento di loro vuole che Olmert
lasci. Consapevole dei rischi che corre, il premier israeliano ha cercato in
questi ultimi mesi di ampliare la maggioranza in parlamento e di far avanzare
il processo di pace. Allo stesso tempo ha usato il pugno di ferro a Gaza e
lanciato pesanti avvertimenti all'Iran. Due giorni fa, visitando la divisione
Gaza dell'esercito, ha infatti annunciato un incremento di 27 miliardi di
dollari nel budget della difesa per i prossimi dieci anni. Con il premier, in
visita ai soldati, c'era il ministro della difesa e leader laburista Ehud
Barak, l'ago della bilancia nel destino di Olmert. Senza il partito laburista,
il premier perderebbe infatti la maggioranza alla Knesset. Lo scorso anno Barak
aveva promesso, durante le primarie dei laburisti, che dopo la pubblicazione
del rapporto Winograd si sarebbe impegnato per sostituire Olmert o per chiedere
elezioni anticipate. Ora Barak non è più convinto che quella sia la strada
giusta da percorrere poiché, ha spiegato ai suoi colleghi di partito,
l'avvenuta ripresa del negoziato con i palestinesi richiede la partecipazione
del premier e la stabilità dell'esecutivo in carica. La maggioranza
parlamentare, nelle ultime settimane si è però ristretta, a causa dell'uscita
dal governo del partito di estrema destra Yisrael Beitenu che si oppone
all'inserimento dello status di Gerusalemme e di altre questioni centrali nei
negoziati con i palestinesi. Il futuro politico di Olmert resta così incerto.
Per sua fortuna il leader di Kadima non ha per il momento un avversario, se non
il leader del Likud Netanyahu, visto però come fumo negli occhi dalla
stragrande maggioranza del parlamento. Nell'ombra si prepara però il ministro
degli esteri, Tzipi Livni. Nelle ultime settimane l'ex dirigente del Mossad si
è lasciata fotografare con i soldati al fronte in pose degne del vero
successore di Ariel Sharon.
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La mia scelta di pace
con la doppia cittadinanza - daniel barenboim
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Repubblica, La" del
01-02-2008)
Cultura La mia scelta di pace con la doppia cittadinanza
DANIEL BARENBOIM Desideravano che io crescessi sentendomi parte di una
maggioranza, una maggioranza ebraica. La tragedia insita in tutto ciò è che la
mia generazione ? quantunque sia stata educata in una società i cui aspetti
positivi e i cui valori umani hanno sommamente arricchito il mio pensiero ? ha
ignorato l'esistenza di una minoranza dentro Israele stesso, una minoranza non-ebraica, che prima della creazione
dello Stato di Israele nel 1948 aveva rappresentato la maggioranza in tutta la Palestina. Una parte della popolazione non-ebraica era rimasta in Israele; gli altri erano stati tenuti fuori per paura o trasferiti con
la forza. Nel conflitto israelo-palestinese c'era e c'è tuttora
un'incapacità precisa ad ammettere l'interdipendenza delle loro diverse
opinioni. La creazione dello Stato di Israele nacque
da un'idea ebraico-europea, e se deve proiettare la propria idea di fondo nel
futuro, deve accettare l'identità palestinese come un'idea di fondo altrettanto
valida. è impossibile non tener conto dello sviluppo demografico: i palestinesi
in Israele sono un minoranza, ma una minoranza in
rapida espansione e la loro voce deve essere ascoltata, oggi più che mai.
Attualmente i palestinesi rappresentano il 22 per cento circa della popolazione
di Israele: si tratta di una percentuale che supera
quella della minoranza ebraica in qualsiasi Paese e in qualsiasi periodo
storico. Il numero complessivo dei palestinesi che vivono in Israele
e nei Territori occupati (quella che per gli israeliani è il "Grande Israele" e per i palestinesi la "Grande Palestina") già ora è superiore alla popolazione
ebraica. In questo periodo Israele è alle prese con
tre problemi a uno stesso tempo: la natura dello Stato ebraico moderno
democratico, ovvero la sua stessa identità; il problema dell'identità
palestinese nell'ambito di Israele; e il problema
della creazione di uno Stato palestinese fuori da Israele.
Con Giordania ed Egitto fu possibile raggiungere quella che al meglio è
definibile una pace gelida, senza mettere in discussione l'esistenza di Israele come Stato ebraico. Il problema dei palestinesi
all'interno di Israele, tuttavia, è molto più
complesso da risolvere, sia sul piano teorico sia sul piano pratico. Per Israele, oltre a molte altre cose, significa venire a patti
col fatto che la terra non era disabitata o vuota, non era una "terra
senza popolo", un'idea divulgata all'epoca della sua creazione. Per i
palestinesi, significa accettare il fatto che Israele
è uno Stato ebraico ed è lì per restarci. Gli israeliani, con tutto ciò, devono
accettare l'integrazione della minoranza palestinese, anche se questo
significasse dover cambiare taluni aspetti della natura di Israele;
devono altresì accettare le motivazioni e la necessità di fondo della creazione
di uno Stato palestinese adiacente allo Stato di Israele.
Non soltanto non vi è alternativa, né vi è una bacchetta magica che possa far
scomparire i palestinesi, ma oltretutto la loro integrazione è una condizione imprescindibile
? su presupposti di ordine morale, sociale e politico ? per la sopravvivenza
stessa di Israele. Quanto più a lungo durerà
l'occupazione e quanto più a lungo rimarrà irrisolta l'insoddisfazione dei
palestinesi, tanto più difficile sarà trovare un terreno comune di intesa anche
solo elementare. Troppo spesso abbiamo già visto nella storia moderna del Medio
Oriente che le opportunità di riconciliazione mancate hanno avuto risultati
estremamente sfavorevoli per entrambe le parti in causa. Da parte mia, quando
mi è stato offerto il passaporto palestinese, l'ho accettato nell'ottica di un
segno di riconoscimento per il destino palestinese che io, in quanto
israeliano, ho in comune con loro. Un vero cittadino di Israele
deve aiutare il popolo palestinese con disponibilità, e quanto meno nel
tentativo di comprendere che cosa ha rappresentato per loro la creazione dello
Stato di Israele. Il 15 maggio 1948 per gli ebrei è il
giorno dell'Indipendenza, ma quello stesso giorno per i palestinesi è Al Nakba,
il giorno della Catastrofe. Un vero cittadino di Israele
deve chiedersi che cosa hanno fatto gli ebrei ? noti per essere un popolo di
cultura ed erudizione ? per condividere il loro patrimonio culturale con i
palestinesi. Un vero cittadino di Israele deve
chiedersi perché i palestinesi siano condannati a vivere in baraccopoli e ad
accettare standard inferiori di educazione e di assistenza medica, invece di
ricevere dalle forze occupanti condizioni di vita decorose, dignitose e
vivibili, diritto comune a tutti gli esseri umani. In qualsiasi territorio
occupato, infatti, l'occupante è responsabile della qualità della vita
dell'occupato, e nel caso dei palestinesi i governi israeliani che si sono
avvicendati negli ultimi 40 anni hanno miseramente fallito. I palestinesi
naturalmente devono continuare a opporre resistenza all'occupazione e a
qualsiasi tentativo di negare loro uno Stato e che le esigenze di base
dell'individuo siano soddisfatte. Tuttavia, per il loro stesso bene, questa
loro resistenza non deve assolutamente esprimersi per mezzo della violenza.
Valicare il confine che esiste tra una resistenza risoluta (e che si esprima
anche con proteste e dimostrazioni non violente) e la violenza vera e propria
significa soltanto causare un numero maggiore di vittime innocenti, senza per
altro servire gli interessi a lungo termine del popolo palestinese. Al
contempo, i cittadini di Israele hanno altrettanti
validi motivi per essere vigili nei confronti delle esigenze e dei diritti del
popolo palestinese (sia dentro sia fuori il territorio di Israele),
tanto quanto lo sono nei confronti di quelli del loro stesso popolo. Tutto
considerato, visto che condividiamo una stessa terra e un comune destino,
dovremmo possedere tutti la doppia cittadinanza. Traduzione di Anna Bissanti.
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Lo scontro tra
palestinesi e israeliani nelle parole e immagini di bakri - emanuela giampaoli (sezione: Israele/Palestina)
( da "Repubblica, La" del
01-02-2008)
Pagina XXII - Bologna CINEINCONTRI Lo scontro tra
palestinesi e israeliani nelle parole e immagini di Bakri EMANUELA GIAMPAOLI
Oggi doppio appuntamento organizzato dalla Cineteca Comunale al cinema Lumière
(Via azzo Gardino 65) con l'attore e regista arabo-israeliano
Mohammed Bakri autore del documentario "Jenin, Jenin" (ore 18) e
interprete del film "Private" di Saverio Costanzo. L'opera
documentaristica, il cui produttore è stato assassinato, racconta attraverso le
testimonianze dei sopravvissuti l'incursione delle Forze di Difesa israeliane
nel campo profughi di Jenin in Cisgiordania che si è protratto per undici
giorni - dal 2 al 19 aprile 2002 - lasciando sul campo 600 morti e un
paese dove al posto delle case sono rimaste rovine. Al termine della proiezione
Bakri, da anni attivo per la causa del popolo palestinese, incontrerà gli
spettatori. Alla crisi mediorientale è dedicato anche "Private";
basato su un fatto realmente accaduto, la pellicola narra la convivenza forzata
tra militari israeliani e una famiglia palestinese. Al centro della storia la
famiglia B., la cui casa si trova a metà strada tra gli insediamenti israeliani
e un villaggio arabo a cui, dopo uno scontro a fuoco, l'esercito israeliano
occupa il secondo piano dell'abitazione. Ma la famiglia si rifiuta di lasciare
la propria casa.
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Il levantino : quando
Ambler profetizzò l'Armaggedon in Medio Oriente
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Unita, L'" del
01-02-2008)
Stai consultando l'edizione del THRILLER Torna il
celebre romanzo del maestro di "spy story". Scritto all'inizio dei
70, preconizzò il rischio nucleare nel teatro del conflitto
tra Israele e Palestina "Il levantino": quando Ambler profetizzò l'Armaggedon
in Medio Oriente di Enzo Verrengia La lezione di Eric Ambler attraversa
l'intera letteratura di spionaggio. Ian Fleming fa leggere i suoi romanzi a
James Bond. John Le Carré, Len Deighton e Frederick Forsyth non avrebbero mai
saputo esplorare con tanta raffinatezza d'intreccio i retroscena della
diplomazia se non li avesse istradati Ambler. Un inglese, al pari di Conrad e
Kipling. Per tutti loro, la visione dei maneggi internazionali scaturisce
dall'estensione dell'Impero Britannico. Infatti lo studioso francese Gabriel
Veraldi definisce l'intrigo spionistico "un quasi monopolio anglosassone a
prevalenza britannica". Eric Ambler anticipò la seconda guerra mondiale,
la successiva suddivisione del mondo in blocchi e i contenziosi insolubili che
si trascinano nelle aree non pacificate. Riecco dunque Il levantino (Adelphi,
pagine 280, euro 11,00, traduzione di Franco Salvatorelli), dove si preconizza
nel 1972 il rischio nucleare nel teatro del conflitto fra israeliani e
palestinesi. L'occasione viene dai maneggi di Michael Howell, anglocipriota,
erede di un'impresa familiare, l'Agence Commerciale et Maritime Howell, ben
posizionata sullo scacchiere del Golfo. Ambler passa le voci della narrazione
da Lewis Prescott, corrispondente della Post-Tribune, allo stesso affarista cui
è dedicato il titolo, salvo una parentesi per Teresa, la segretaria italiana e
amante del Levantino. Il quale dice di sé: "Gli incroci, i bastardi, sono
a volte più intelligenti dei loro cugini di razza pura". C'è bisogno di
tanta autostima per barcamenarsi in Siria, Paese che ospita i principali
interessi di Howell e nel contempo appoggia l'estremismo palestinese.
Quest'ultimo s'incarna nella figura di Salah Ghaled, distaccatosi dall'OLP
quando Arafat ha accennato alla moderazione e alla mediazione con Israele. Più bandito che guerrigliero, l'uomo infiltra il
chimico Issa in una fabbrica di batterie posseduta da Howell in comproprietà
con il governo di Damasco. Si comprende allora che il levantino, per la brama
di condurre affari nel Medio Oriente, finisca nella scomodissima posizione di
fornire mezzi e infrastrutture per compiere massacri. Lo schema della partita è
tortuoso. Salah Ghaled non ha bisogno soltanto degli impianti industriali di
Howell. Gli occorre qualcuno che diffonda la sua oratoria irredentista. Lewis
Prescott, il corrispondente della Post-Tribune, è avvicinato dall'avvenente ed
elusiva Melanie Hammad, una libanese che passa con disinvoltura dalle sfilate
di moda parigine alla cura delle pubbliche relazioni di Ghaled. La donna propone
al giornalista americano un'intervista in esclusiva con il palestinese sulle
alture dell'entroterra libanese, agli albori di una crisi che precipiterà la
terra dei cedri nella guerra civile degli anni '70 e '80, con la recrudescenza
dell'estate 2006. In
Il levantino risalta appieno l'inadeguatezza occidentale rispetto alla
necessità di comporre la frattura israelo-palestinese e nel contempo sviscerare
le contraddizioni che affliggono tutti gli schieramenti coinvolti. Specialmente
oggi, dopo la morte di Arafat, quando la leadership palestinese non ancora
trova un'unità d'intenti. Incognite geopolitiche alle latitudini di levante ben
chiare già dall'anno di uscita del romanzo. Si resta agghiacciati nel leggere
un'ironica domanda di Lewis Prescott lanciata durante l'intervista al capo
guerrrigliero palestinese: "Crede davvero che la distruzione e lo
smembramento dello Stato d'Israele, posto che sia
desiderabile, sia ancora possibile senza una terza e finale guerra
mondiale?". Straordinario che Ambler lo scriva all'inizio degli anni '70,
quando si temeva l'Armageddon per uno scontro ben più titanico, quello che
opponeva gli USA all'URSS. Solamente con un'intuizione ai confini della
preveggenza l'autore poteva avvertire i pericoli in serbo dopo la caduta della Cortina
di Ferro. Il riacutizzarsi di altri conflitti, mai estinti e destinati, anzi,
ad accrescere i rischi globali. Come quello che incombe durante l'irripetibile
sequenza finale de Il levantino, autentico presagio del terrorismo apocalittico
avveratosi l'11 settembre 2001. Eric Ambler non era un politico né un agente
segreto. Lavorava nella pubblicità, nel giornalismo, nel cinema e nella
televisione. Però possedeva l'intelligenza per vedere al di là dell'immediato.
Morì nel 1998, prima che il XXI secolo desse una tragica conferma alle sue
intuizioni.
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Ebrei, diritto alla
normalità (sezione: Israele/Palestina)
( da "Stampa, La" del
01-02-2008)
Ugo Volli Ebrei, diritto alla normalità L'invito di Israele come ospite d'onore alla prossima Fiera del Libro ha
provocato una serie non solo di chiamate al boicottaggio, ma anche di prese di
distanza quasi altrettanto ambigue e sgradevoli. Si dice che per principio i
boicottaggi culturali non vanno mai fatti, anche se certamente, come ha scritto
Parlato sul Manifesto "i Palestinesi sono i nuovi ebrei" del Medio
Oriente (e si può facilmente indovinare chi siano i nazisti che li opprimono)
oppure che bisogna approfittare dell'occasione per intentare un processo a Israele a proposito delle "colonie", del muro di
separazione, dell'"assedio" a Gaza, o delle case palestinesi
abbattute, come ha fatto De Luna sulla Stampa di mercoledì. Quel che si nega in
questo modo a Israele è la normalità della separazione
fra politica e cultura, la responsabilità personale delle posizioni politiche
assunte da ciascuno, la distinzione fra politiche contingenti e identità
collettiva. In gioco viene messa la legittimità dell'esistenza stessa dello
stato di Israele e di tutto ciò che ne proviene. Come
ha scritto per esempio Alessandra Mecozzi, responsabile ufficio internazionale
della Fiom, "il diritto all'esistenza" di Israele
"storicamente legato alla tragedia dello sterminio nazifascista degli
ebrei" va però condizionato a una serie di adempimenti come il rispetto
dei diritti del popolo palestinese, evidentemente non soddisfatte. Di qui la
scelta di un boicottaggio che manifesti l'indegnità di Israele
a sedere nel consesso delle nazioni, o almeno di un processo che lo metta sub
judice. Il che non si fa naturalmente per Stati che hanno politiche altrettanto
discutibili e discusse (la Cina in Tibet, la Russia in Cecenia, la Turchia in
Kurdistan, il Marocco nel Sahara occidentale, il Sudan, l'Iran, la Siria e la
Libia nei confronti dei loro cittadini): essi magari sbagliano, compiono
atrocità e ingiustizie, ma hanno "diritto di esistere", non sono
paria fra le nazioni. Israele è sottoposto da molte
parti e dichiaratamente a una guerra di annientamento, ma non deve difendersi,
non deve rispondere a chi lo colpisce. Se lo fa, perde il suo problematico
"diritto all'esistenza". Poco importa che se non lo fa, perde la sua
esistenza o quella dei suoi cittadini. Non sono problemi nostri. Per chi abbia
memoria storica, queste posizioni si pongono in continuità con altre negazioni
di normalità e altri boicottaggi, processi e discriminazioni. Prima della Shoà
ci furono le leggi razziali fasciste e la Notte dei Cristalli (di entrambe
ricorre quest'anno il settantesimo anniversario): intese a boicottare le
attività ebraiche e a emarginare gli ebrei, indegni di far parte della nazione
in quanto avari, immorali, rivoluzionari ecc. Prima d'allora, per secoli, vi
furono ghetti, mestieri proibiti, processi, espulsioni. Israele
oggi, da una parte di molti, continua ad essere trattata come lo sono stati per
secoli gli ebrei e per la stessa ragione: il rifiuto di accettarne la
normalità, l'idea di una colpa oscura ereditata dall'origine e irrimediabile
fino a qualche "soluzione finale".
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Festeggiare con Israele
Ma che cosa? (sezione: Israele/Palestina)
( da "Stampa, La" del
01-02-2008)
Polemica Perché dico no a Torino e alla sua iniziativa
Festeggiare con Israele Ma che cosa? "La Fiera
del Libro ci ripensi: ha compiuto una gaffe politica" SUAD AMIRY Quand'ero
piccola mio padre ha fatto in modo che io, le mie due sorelle e mio fratello
imparassimo a distinguere tra un ebreo e l'altro: c'erano gli ebrei che il
nazismo aveva trasformato nelle sue principali vittime e c'erano i coloni
israeliani che occupavano il mio paese. Mi lasciano tuttora stupefatta la
confusione "intenzionale" e il conseguente ricatto emotivo per cui
qualsiasi critica nei confronti dell'occupante è spudoratamente e di proposito
presa per antisemitismo. Da brava figlia di mio padre, ho imparato anche a non
lasciarmi intimidire. Invitando Israele come
"Paese ospite d'onore" in occasione del sessantesimo anniversario della
sua indipendenza, la Fiera del Libro di Torino 2008 è sfortunatamente partita
con il piede sbagliato. Mi domando se l'indipendenza dello Stato di Israele, o l'indipendenza di qualsiasi altro Stato, vada
considerata un evento politico o un evento culturale. Perché dunque
un'organizzazione culturale illustre e stimata come la Fiera del Libro dovrebbe
fare l'errore di infilarsi - imponendo di fare altrettanto a scrittori,
politici, partiti, editori e l'intero pubblico - in un arroventato dibattito
politico, e sentirsi obbligata a prendere posizione su quello che a me non
sembra affatto un evento culturale, bensì un avvenimento politico spinoso e
controverso. Non siamo tutti consapevoli che il "sessantesimo anniversario
dell'indipendenza di Israele" è anche il
sessantesimo anniversario della Nakba (catastrofe) per i palestinesi? Nel 1948,
sessant'anni fa, Israele cacciò circa 850.000
palestinesi dalla loro terra e la mia famiglia, originaria di Jaffa, ebbe la
sorte di essere tra loro. E ci si aspetta che mi unisca ai festeggiamenti per
il giorno dell'indipendenza di Israele? L'invito a
celebrare l'indipendenza di Israele e non a
commemorare la Nakba palestinese è stato, da parte degli organizzatori della
Fiera del Libro, un gesto infelice. Che reazione al "dialogo
culturale" avrebbero avuto gli scrittori israeliani, se fossero stati
invitati a una fiera del libro intitolata ai "sessant'anni della Nakba
palestinese"? Si sarebbero, a differenza di noi, dimostrati disponibili?
Naturalmente avrei anche potuto suggerire alla Fiera del Libro di essere
imparziale e di invitare noi palestinesi a celebrare a nostra volta il
"giorno dell'indipendenza" che sogniamo. Purtroppo però, e come
risultato di quarant'anni di occupazione israeliana e dell'appoggio che Israele continua a ricevere grazie alla celebrazione della
sua indipendenza, quel giorno non vedrà la luce. Non a breve. La Fiera del
libro non si è limitata a scegliere come ospite d'onore l'occupante, ma ha
invitato l'occupato (persone come me) a partecipare alla celebrazione del
giorno della sua indipendenza. Come se non bastasse siamo stati ingiustamente
accusati di essere "contro la cultura" e "contro il
dialogo". Infine voglio dire la mia sull'espressione "ospite
d'onore". Per l'amor del cielo, ma di quale onore stiamo parlando?
Accendete la tv e date un'occhiata a quel che l'ospite d'onore sta facendo
nella Striscia di Gaza: "boicotta" cibo e combustibile (oggi a
Ramallah nevica) per un milione e mezzo di civili palestinesi. È questo
l'ospite d'onore che la fiera vuole? E qual è l'Israele di cui si celebra l'indipendenza? L'Israele del piano
di partizione approvato dalle Nazioni Unite nel 1947 (che sarei lieta di
celebrare con voi, perché allora ci sarebbe anche uno Stato palestinese) o l'Israele che ha occupato altra terra durante la sua "Guerra di
indipendenza" del 1948? Oppure il Grande Israele
che include anche la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, occupate nel 1967, e
da cui ha finora rifiutato di ritirarsi? Purtroppo gli organizzatori della
Fiera del Libro sono, di proposito o nel migliore dei casi per sbaglio, partiti
col piede sinistro, mettendo se stessi e gli altri (scrittori, case editrici e
pubblico) in una posizione politica molto difficile e polarizzata. Se il loro è
stato un "errore" involontario, hanno ancora quattro mesi per
ripensarci, se non per scusarsi. Mio padre ci diceva sempre: "Meglio
chiedere scusa per l'errore fatto che continuare a fare bestialità". Colgo
l'occasione per ringraziare tutti gli scrittori e gli intellettuali israeliani
che hanno declinato l'invito. Perché la divisione non è tra arabi e ebrei, ma
tra chi dice "basta con l'occupazione", e in Israele
sono in molti, e chi vocifera sull'argomento, e in Europa sono in tanti a
farlo. Invito una delle più stimate fiere del libro d'Italia e del mondo a
essere abbastanza coraggiosa da lasciar perdere tutto, "Indipendenza"
e "Nakba", e celebrare un'autentica attività culturale di cui tutti
possiamo fare parte. Quest'anno non c'è bisogno di ospiti d'onore. (Traduzione
di Maria Nadotti).
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"Quale futuro per
la Palestina?" Se ne discute l'1
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Stampa, La" del
01-02-2008)
ALL'AVOGADRO "Quale futuro per la Palestina?" Se ne discute l'1 Jamil Hilal da Ramallah è
un apprezzato sociologo palestinese. Ha coordinato e diretto ricerche su
povertà, sottosviluppo e stato sociale in Palestina,
pubblicando tra l'altro numerosi articoli e svariati libri sulla questione
mediorientale. Ora è in Italia per presentare il volume da lui curato "Palestina quale futuro? La fine della soluzione dei due
stati" (Jaca Book 2007). Il primo appuntamento sarà venerdì 1 febbraio
alle 20,15 nell'Aula Magna dell'Istituto Avogadro, via Rossini 18. Ne
seguiranno altri a Milano, Varese e Roma. L'incontro torinese, che vedrà anche
la partecipazione di Gianni Vattimo, si annuncia particolarmente
"caldo" perché cade in un momento delicato. Gli
organizzatori della Fiera del Libro 2008 hanno invitato Israele come ospite d'onore della kermesse, suscitando l'irritazione del
mondo intellettuale arabo - lo scrittore Ibrahim Nasrallah diserterà la
manifestazione - e dei gruppi di solidarietà italo-palestinesi, che promettono
di boicottare il Salone. Alfredo Tradardi farà il punto della situazione
nel suo intervento "Contro l'occupazione israeliana della Fiera del Libro
di Torino". L'incontro sarà presentato da Giorgio S. Frankel, moderatrice
Diana Carminati. Ingresso libero, info@ism-italia.it.
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IN CITTA' Arman PALAZZO
BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ (sezione: Israele/Palestina)
( da "Stampa, La" del
01-02-2008)
IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI
ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ 14,30/19,30, DA MARTEDÌ A DOMENICA
9,30/19,30, GIOVEDÌ E SABATO 9,30/22,30, INGRESSO: INTERO 7,50, RIDOTTO 5,50,
BAMBINI (6-14 ANNI) 3,50, TEL 011/5711811, WWW.PALAZZOBRICHERASIO.IT Fino al 24
febbraio, le sale espositive ospitano un'antologica, curata da Luca Beatrice e
organizzata in collaborazione con il Mamac di Nizza, che ripercorre attraverso
70 opere le vicende artistiche del principale esponente del Nouveau Realisme.
Francisco Goya BIBLIOTECA NAZIONALE UNIVERSITARIA DI TORINO, PIAZZA CARLO
ALBERTO 3, ORARI: LUNEDI', MERCOLEDI', VENERDI' E SABATO 9/13, MARTEDI' E
GIOVEDI' 9/18 E' aperta sino al 15 marzo "Los Caprichos. Goya Illuminista
fra Settecento ed Europa napoleonica". In mostra, l'intera opera di
Francisco Goya "Los Caprichos": un insieme di tavole in perfetto
stato di conservazione, cui è affiancato un importante nucleo di reperti
librari di proprietà della biblioteca. Lo Spazio dell'uomo FONDAZIONE MERZ, VIA
LIMONE 24, ORARI: MARTEDI'-DOMENICA 11/19. INGRESSO: INTERO 5 EURO, RIDOTTO
3,50, GRATIS BAMBINI SOTTO I 10 ANNI, MAGGIORI DI 65 , DISABILI E OGNI PRIMA
DOMENICA DEL MESE Fino all'11 maggio, un'indagine sulla scena artistica
contemporanea cilena, attraverso l'incontro tra storia del passato e realtà del
presente. Werner Herzog FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO, VIA MODANE 16, OR.:
12/20, GIOVEDI' 12/23, CHIUSO LUNEDI' Nell'ambito della manifestazione
"Segni di Vita. Werner Herzog e il cinema", la Fondazione ospita una
mostra ricca di strumenti che permettono di approfondire l'idea di cinema
dell'artista tedesco. Accanto alla sezione fotografica, l'esposizione, aperta
fino 10 febbraio, segue un itinerario composto da una serie di video. Novecento
- Trilogia dell'automobile TORINO ESPOSIZIONI, CORSO MASSIMO D'AZEGLIO 15, OR:
MARTEDI'-DOMENICA 10/18,30. Le più belle auto del '900. In esposizione fino al
30 marzo. Why Africa? PINACOTECA AGNELLI, VIA NIZZA 230, OR: MARTEDI'-DOMENICA
10/19. INGR.: INT. 7 EURO, RID. E GRUPPI 6, SCUOLE E BAMBINI 6/12 ANNI 3,50.
VISITE GUIDATE 011/0062713. WWW.PINACOTECA-AGNELLI.IT Esposta per la prima
volta in Italia una parte della più importante collezione al mondo di arte
contemporanea africana. Il tema più ricorrente nelle opere è il profondo legame
con il territorio al quale gli artisti si rivolgono proponendo la loro
personale esperienza della realtà. La mostra rimane aperta fino al 3 febbraio.
Stefano Sagmeister PISCINA MONUMENTALE, CORSO GALILEO FERRARIS 294 Sabato 2
febbraio alle 18,30 conferenza del designer austriaco, in anticipazione del suo
nuovo libro "Things I have learned in my life so far", in uscita a
marzo. L'originalità e l'audacia creativa fanno di Sagmeister, nato a Bregenz
nel 1962, un artista di fama internazionale: è conosciuto per le copertine per
i Rolling Stones, Aerosmith, Lou Reed e il manifesto disegnato per
l'Aiga-American Institute of Graphic Arts. Ingresso libero, segue cocktail
Bombay Sapphuire e dj set con Giorgio Valletta. Manifesti MUSEO DELLA MONTAGNA,
P.LE MONTE DEI CAPPUCCINI 7, OR.: 9/19, LUNEDI' CHIUSO. WWW.MUSEOMONTAGNA.ORG
Manifesti e film dei primi trent'anni di cinema sulla grande avventura
esplorativa in Artide e Antartide. In esposizione fino al 10 febbraio.
Splendide preziosità quotidiane MUSEO DI ANTROPOLOGIA, VIA ACCADEMIA ALBERTINA
17 La collezione si arricchisce di un centinaio di reperti del primo '900
dell'Asia Centrale. Le opere rimarranno in esposizione sino al 31 marzo. Torino
inedita ARCHIVIO STORICO DELLA CITTÀ DI TORINO, VIA BARBAROUX 32, OR.:
LUNEDI'-VENERDI' 8,30/16,30 Quattro panorami di Luigi Vacca; Le opere
rimarranno in esposizione fino al 31 marzo. (R)esistere per immagini MUSEO
DIFFUSO DELLA RESISTENZA, CORSO VALDOCCO 4/A, TUTTI I GIORNI DALLE 10 ALLE 18,
IL GIOVEDÌ DALLE 14 ALLE 22; CHIUSURA IL LUNEDÌ; INGRESSO LIBERO Mostra in
omaggio a Germano Facetti: all'uomo sopravvissuto alla Deportazione, al grafico
che ha rivoluzionato la Penguin Books, al creativo, attraverso i documenti
privati e professionali del ricco fondo acquisito dall'Istituto piemontese per
la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio
Agosti". La mostra sarà aperta al pubblico sino al 25 aprile. Palazzo
Madama a 1 euro PALAZZO MADAMA, PIAZZA CASTELLO. OR.: MART-DOM 10-18, SAB 10-20,
LUN CHIUSO, TEL.: 011/ 4433501, WWW.PALAZZOMADAMATORINO.IT. Dopo il successo
ottenuto nel mese di novembre, dedicato alla provincia di Biella, che ha
permesso a 1350 biellesi di entrare a Palazzo Madama al prezzo di 1 euro,
prosegue l'iniziativa "Province a Palazzo", realizzata dalla
Fondazione Torino Musei in collaborazione con la Regione Piemonte. Il mese di
febbraio è dedicato a Vercelli e alla sua provincia: i residenti o le persone
nate nella provincia di Vercelli possono entrare a Palazzo Madama con biglietto
d'ingresso a 1 euro. Lungo il percorso museale sono state selezionate una serie
di opere in base alla loro provenienza geografica, altre in virtù del legame
con alcuni personaggi significativi (artisti, collezionisti, committenti) che
svolsero la loro attività e che furono legati a questo determinato territorio.
Percorso guidato (costo: 3 euro) domenica 3 febbraio alle 11. Camilla Ancilotto
GALLERIA DAVICO, GALLERIA SUBALPINA 30. TEL.: 011/ 5629152 Fino al 16 febbraio
è allestita la personale dell'artista romana che espone opere ispirate a
mitologia e storia, ma anche animali e autoritratti. Quadri che prevedono
innumerevoli combinazioni perché ogni porzione della campitura è in realtà la
faccia di un solido a base triangolare o rettangolare fissato su perni che ne
permettono la rotazione. In tal modo il visitatore è invitato a interagire con
l'opera e a far girare ogni prisma, come su un grande cubo di Rubik, ottenendo
sempre nuove composizioni. Oltre il segno GALLERIA ACCADEMIA, VIA ACCADEMIA ALBERTINA
3, 011/ 885408 Grande collettiva con Sergio Albano, Giulio Da Milano, Massimo
Quaglino, Sergio Scanu, Francesco Tabusso, Gianbar, Lilia Meconi, Enrico
Paulucci, Edmondo Maneglia, Luciano Schifano, Tatiana Veremejenko, Trento
Longaretti, Emilio Scanavino, Marco Lodola. In esposizione anche la tela di
Felice Casorati "Ponte Vittorio Emanuele e Piazza Vittorio Veneto a
Torino" del 1926. Capitàn Germàn MIAAO, VIA MARIA VITTORIA 5, DAL MARTEDÌ
AL VENERDÌ ORE 16-19,30 SABATO E DOMENICA ORE 11/19, LUNEDÌ CHIUSO Artefatti
astrali di Germàn Impache; le opere rimarranno in esposizione, fino al 24
febbraio. Mario Lattes ARCHIVIO DI STATO, PIAZZA CASTELLO 209, ORARIO: DA
MARTEDÌ A SABATO 10/19; DOMENICA 10/14; INGRESSO LIBERO "Di me e di altri
possibili: Mario Lattes pittore, scrittore, editore". La mostra è composta
di tre parti: una parte pittorica con un'antologia di quadri dipinti tra il
1960 e il 1995, una parte narrativa comprendente le opere pubblicate (romanzi,
poesie, autografi e diari) ed una parte editoriale con alcune opere
significative pubblicate nel periodo in cui l'artista era amministratore
delegato della casa editrice Lattes. L'esposizione resterà aperta fino al 12
marzo. Cinque personali PIEMONTE ARTISTICO CULTURALE, VIA ROMA 264, ORARI:
LUNEDI' - SABATO 15,30/19,30, INGRESSO LIBERO Piemonte Artistico Culturale
propone cinque mini-personali con opere di Enrica Berardi, Cristina Botta,
Jessy Jacob, Giancarlo Morra e Rosella Porrati. Resteranno esposte sino al 13
febbraio. Jazz me! CIRCOLO ARCI PUEBLO, CORSO PALESTRO 3, MER-SAB DALLE 22
Venerdì 1° febbraio alle 22 inaugurazione della mostra "Jazz me! Ritratti
di donna e di jazz", personale di Chiara Gallino, 30enne pittrice e
cantante jazz. Durante la serata jam session, con la collaborazione di Roberto
Salomone al basso e Davide Massa al piano. IoEspongo XI PASTIS, P.ZZA EMANUELE
FILIBERTO 9B, WWW.ASSOCIAZIONEAZIMUT.NET IoEspongo nasce come vetrina per
giovani artisti esordienti in cerca di spazi liberi a gratuiti dove poter
esprimere la propria creatività a contatto con il pubblico e gli addetti ai
lavori. In palio per i vincitori dell'undicesima edizione Mostra personale con
catalogo. L'Associazione Culturale Azimut ricorda che è ancora possibile
iscriversi a IoEspongo 11° edizione. Tutte le informazioni sul sito
www.associazioneazimut.net o telefonando allo 011.56. 92.009 Stili a confronto
San Valentino in galleria ARTEINCORNICE, VIA VANCHIGLIA 11, OR.: 9/13 E 15/19,
ESCLUSO FEST. E LUN. MATTINA Fino all'8 marzo, la collettiva "Stili a
confronto" presenta 24 opere di Piero Gilardi, Giorgio Griffa ed Enrico
Paulucci. Prosegue, sempre sino all'8 marzo, una esposizione pensata per
l'avvicinarsi della festa di San Valentino e la Festa della Donna, con una
selezione rinnovata di opere degli artisti più importanti della galleria. Mario
Schifano - Gli anni '80 GALLERIA IN ARCO, PIAZZA VITTORIO VENETO 3, ORARIO:
MARTEDI'-SABATO 10/12,30 E 16/19,30 Dopo la più nota produzione degli anni '60
e '70, Mario Schifano negli anni '80 è stato precursore di un cambiamento che
ha segnato la storia dell'arte italiana, promuovendo un recupero della
tradizione pittorica. Le sue opere di questo periodo sono in mostra fino al 15
marzo. Daniel Glaser Magdalena Kuntz Miha Strukelj GAGLIARDI ART SYSTEM, CORSO
VITTORIO EMANUELE II 90, ORARIO: 15/20 Daniel Glaser e Magdalena Kuntz
presentano tre installazioni, mentre Miha Strukelj indaga i confini tra pittura
e disegno nell'era della tecnologia. Entrambe le esposizioni terminano il 26
febbraio. Pierre-Yves Le Duc 41 ARTECONTEMPORANEA, VIA MAZZINI 41, ORARI:
MARTEDI'-SABATO 15/19, MATTINO E LUNEDI' SU APPUNTAMENTO 011/8129544
"Opera", prima personale a Torino dell'artista francese. L'immagine
nasce dal movimento circolare di una spugna insaponata passata su una
superficie nera specchiante. L'esposizione di disegni prosegue sino al 28
marzo. Sedie BOTTEGA D'ARTE ED ANTICHI MESTIERI, "INGENIO" DI VIA
MONTEBELLO 28B Venerdì 1° febbraio alle 16,30 s'inaugura la personale dell'
artista torinese Fulvio Donorà. Propone dipinti su tela. Rimane aperta fino al
13 febbraio. David Gerstein ERMANNO TEDESCHI, VIA C. I. GIULIO 6, ORARI:
MARTEDI'-SABATO 11/13 E 16/20 O SU APP. 011/4369917 Personale dell'artista israeliano, che si può visitare sino al 29 febbraio.
Cieli interiori VIRANDO, C.SO LANZA 105, OR.: LUN-SAB 16,30/20 Personale di
Tiziano Bergamini, in arte Pangolino. L'esposizione, sino al 16 febbraio,
ospita 19 tele di cui tre di grandi dimensioni ed è curata da Anna Virando e
dal critico d'arte Gianfranco Schialvino. Pangolino riproduce in tutti i
suoi dipinti cieli e nuvole del Canavese, collocati in paesaggi dove sono
riconoscibili riferimenti della zona in cui vive. Sospesi GALLERIA WEBER &
WEBER, VIA SAN TOMMASO 7, OR.: MAR-SAB 15,30-19,30 Giovedì 7 febbraio alle 18
s'inaugura la mostra di Federico Piccari. Fino al 22 marzo. Silvio Brunetto
GALLERIA D'ARTE BERMAN, VIA ARCIVESCOVADO 9/18, ORARIO: MARTEDI' - SABATO
10/12,30 E 16/19 "Inverno bianco", personale in esposizione sino al 9
febbraio. Incisioni GALLERIA IL CALAMO, VIA DELLA ROCCA 4/L. ORARIO:
10,30/12,30 E 16,30/19,30 "Incisioni dal XV al XX secolo", rassegna
di opere grafiche di maestri antichi e moderni, tra cui alcuni giapponesi.
Esposizione sino a fine febbraio. Sospensione GIORGIO PERSANO, VIA P. CLOTILDE
45, OR.: MAR.-SAB. 10/13 E 15,30/19 Installazioni di Marco Gastini ed Eliseo
Mattiacci. Le opere rimarranno in esposizione sino al 29 marzo. Torino 1706
BIBLIOTECA VILLA AMORETTI, CORSO ORBASSANO 200 Fino al 29 marzo si può visitare
l'esposizione "Le zone di comando dell'assedio di Torino del 1706:il
quartiere generale dell'esercito del Re Sole fra la Cascina Olivero e la
Fabbrica per gli Esercizi Spirituali". Mariell GALLERIA BOTTISIO, CORSO
MATTEOTTI 2/A, OR.: LUN-GIOV:15,30-19,30.VEN-SAB 9,30-12,30-15,30-19,30. Da
giovedì 7 febbraio personale dell'artista dal titolo "Analogie": una
raccolta di olii e acquarelli realizzati nel periodo 2006-2007. Parte del
ricavato viene devoluto al seminario di padre Alexis (Maligisi-Congo).
L'esposizione prosegue sino al 23 febbraio. I maestri dell'intaglio, doratura e
laccatura LA CLESSIDRA, CORSO MEDITERRANEO 69/8, OR.: 10-12,30, 16-19,30,
CHIUSO LUN. In esposizione consolles, specchiere e cornici policrome del XIX e
XX secolo: si possono così ammirare i grandi geni, troppo spesso dimenticati, dell'intaglio,
della laccatura, della dorata. Apertura della mostra fino al 29 febbraio. Enzo
Briscese GALLERIA ARIELE, VIA LAURO ROSSI 9, ANGOLO CORSO GIULIO CESARE,
ORARIO: DAL LUNEDI' AL SABATO DALLE 16 ALLE 19,30 "Paesaggio Urbano",
personale di tecniche miste e oli del 2006 e del 2007. L'esposizione è
aperta sino al 19 febbraio. Arte in mostra 3 SALOTTO DELL'ARTE, VIA ARGONNE
1/C, 339/ 6807922 Nella sala Tre espongono gli artisti Silvano Arboreo, Carla
Bovi, Flaviana Chiaretto, Silvana Gatti, Susie Hnilicka, Attilio Lauricella,
Laura Marietti, Silvana Nico, Luciano Penco, Sara Scalco, Giuseppe Tarantino,
Giovanna Ribaldi, Umberto Vaschetto, Graziella Voghera, Loredana Zucca. Segno
forma e colore BIASUTTI, VIA DELLA ROCCA 6/B, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10,30/12,30
E 15,30/19,30 Collettiva, Le opere rimarranno in esposizione sino al 29
febbraio. Giorgio Laveri GALLERIA TERRE D'ARTE, VIA M. VITTORIA 20/A, OR.:
10,30/12,30 E 16,30/19,30 Personale di opere in ceramica, dell'artista ligure
dal titolo: "Effetti personali". Oggetti comuni e commerciali
appartenenti alla realtà urbana ingranditi e impreziositi dagli smalti ceramici
a fuoco. Le opere rimarranno in esposizione sino all'8 marzo. Collettiva
GALLERIA 44, VIA DELLA ROCCA 4/I Fino al 9 febbraio prosegue la collettiva
"Artisti in galleria" con opere di Alessandri, Avogadro, Bedini,
Caamano, Capello, Chiavedale, Garelli, Gasparian, Gribaudo, Janson, Jervolino,
Mammoliti, Piva, Sassu, Savio, Sesia e Trigillo. Incisioni TEART, VIA GIOTTO
14, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 17/19 O SU APPUNTAMENTO 011/6966422 Fino al 9
febbraio, è esposta una collettiva d'incisioni con opere realizzate dai
seguenti autori: I. Barth, L. Caprioglio, A. Ciocca, L. Caravella, E. Guerra,
A. Guasco, G. Maccioni, E. Monaco, A. Nalli, C. Parsani Motti, L. Porporato, E.
Saraceno. Il lettore accanito LIBRERIA GANG DEL PENSIERO, CORSO TELESIO 99 Fino
al 23 febbraio è allestita la personale di Carlo Cammarota "Il lettore
accanito". Street Art CIRCOLO CULTURALE AMANTES, VIA PRINCIPE AMEDEO 38/A,
OR.: LUN-SAB.18-1,30 Mercoledì 6 alle 18,30 inaugura la mostra
"StreetArt", che rimane allestita fino al 29 febbraio. In mostra
opere degli artisti Br1, El Euro, Paolo e Ufo5. La mostra è un percorso di
avvicinamento alla terza edizione di "Rewriting", progetto dedicato
al fenomeno graffiti/street art. Luca Pepino ALCHIMISTA, VIA DELLE ROSINE 10
Fino al 7 febbraio sono esposte dieci opere 40x40 del giovane grafico torinese,
considerato una promessa nel suo modo di fare arte e "artista del
mese" a luglio 2007 sul sito di giovani artisti italiani
www.giovaniartisti.it. Ha uno stile tutto personale tra pop art e la minimale.
Knz ARCIRCOLOVIZIOSO, VIA SAN BERNARDINO 34C Dal 1° febbraio al 1 marzo
"personale-collettiva" del gruppo torinese Knz, formato da cinque
artisti provenienti da percorsi diversi che sono giunto a un unico punto di
convergenza: un mix creativo di contaminazioni, con radici ben ancorate ai
graffiti. Il collettivo, formato da Jaman, Deep, Dab1 , Hide e Shirk si
interessa a tutto ciò che è creativo, dai graffiti al graphic design, dai
restyling d'interni all'illustrazione. Sergio Spagnolo ATELIER
"ARTUPART" VIA MASSENA 42/A Personale, Le opere rimarranno in
esposizione sino al 28 febbraio. Illustrazione SPAZIO STEINER, LUNGO DORA
AGRIGENTO 20/A, ORARI: LUNEDI'-SABATO 9/13, FESTIVI ESCLUSI "Cosa fanno le
befane il resto dell'anno", viaggio fantastico nell'illustrazione per
l'infanzia; sino all'8 febbraio. Frammenti di storia GALLERIA ARTEREGINA, CORSO
REGINA MARGHERITA 191 Fino al 1° marzo si può visitare la mostra dedicata agli
artisti torinesi anni 60. Ciro Palumbo LA SMARRITA - ART RESTAURANT, VIA CESARE
BATTIST17/A. Personale dell'artista. Sono esposte le opere della sua nuova
produzione. Kurt Mair COOPERATIVA BORGO PO E DECORATORI, VIA LANFRANCHI 28.
ORARIO: 10/30/12,30 E 15/19,30, CHIUSO MERCOLEDI' Incisioni a colori; Le opere
rimarranno in esposizione sino al 12 febbraio. Collezioni private ACQUAMARINA,
CORSO FRANCIA 202 "La venditrice di mele" ed altre composizioni
provenienti da collezioni private. Leonardo Pivi e Paolo Schmidlin MARENA ROOM
GALLERY, VIA DEI MILLE 40/A, WWW.MARENAROOMSGALLERY.IT Mostra sui due artisti a
cura di Luca Beatrice. Fino al 1° marzo. Mondocane EVENTINOVE, VIA DELLA ROCCA
29a, OR.: MAR-SAB 13-19,30 Giovedì 7 alle 18 inaugurazione della mostra di
Gianfranco Asveri; fino al 22 marzo. IN PROVINCIA Dipingere la vita moderna
CASTELLO DI RIVOLI, PIAZZA MAFALDA DI SAVOIA, RIVOLI, OR.: DA MART. A GIOV.
10-17, VEN-SAB-DOM 10-21. BIGLIETTO: 6,50 EURO. RIDOTTI 4,50. TEL: 011/ 9565220.
Inaugurazione martedì 5 febbraio alle 19 per la grande collettiva che ha come
tema l'uso dell'immagine fotografica nel linguaggio pittorico. Le opere
rimarranno in esposizione sino al 4 marzo. Marc Chagall SALA DELLE ARTI,
CERTOSA REALE DI COLLEGNO, VIA TORINO 9, OR.: MAR-VEN 15/18,30 E FESTIVI 10/12
E 15/18,30 "Nicolaj Gogol' - Le anime morte", esposizione di 96
acqueforti, dal 1925 al 1948. Sino al 17 febbraio. Clizia e la femminilità
PALAZZO EINAUDI, PIAZZA D'ARMI 6, CHIVASSO E' stato da poco aperto al pubblico
il nuovo Museo Clizia di Chivasso. Il primo allestimento è dedicato al tema
della figura femminile. Clizia e la natura MUSEO ETNOGRAFICO DEL MULINO NUOVO,
VIA ARIOSTO 36 BIS, SETTIMO TORINESE. ORARIO: DOMENICA 15/19, LUNEDI'-VENERDI'
VISITE GUIDATE PER GRUPPI E SCUOLE SU PRENOTAZIONE 011/9103591 - 339/4673821
Sino al 23 marzo, prosegue la mostra dedicata al rapporto di Clizia (Mario
Giani) con la natura e gli animali. Body and soul BIBLIOTECA ARDUINO,
MONCALIERI. OR.: LUN.-VEN. 14/19, SAB. 9,30/13,30, SCUOLE SU PRENOTAZIONE
011/6401603 Il tema della corporeità nella visione di 40 artisti. Sino al 23/2.
Pensieri visivi ASSOCIAZIONE NATURA CASCINA BELLEZZA, VIA BELLEZZA 60/A,
POIRINO, FRAZ. FAVARIORARIO, TUTTE LE DOMENICHE, 9-16, INGRESSO GRATUITO E'
prorogata sino al 17 febbraio la mostra fotografica "Peniseri Visivi, la
notte, la cascina, l'acqua e il bosco. Immagini per scoprire, riflettere sulle
bellezze della natura" di Piero Di Leo ed Elisa Moretti. Colori nel mondo
GALLERIA CIVICA 'PALAZZO OPESSO', VIA SAN GIORGIO 3, CHIERI. OR: FERIALE 16/19,
SAB. E FESTIVI 10,30-12,30 e 16/19 La mostra della pinerolese Luciana Libralon
s'inaugura venerdì 1 febbraio alle 18 e prosegue fino al 17. In esposizione 50
dipinti dove si nota il suo interesse per le varie etnie del mondo. Arte in
mostra UGC CINE' CITE' 45° NORD, ZONA VADO', MONCALIERI. OR.: LUN-VEN 14-1. VEN
E SAB. APERTURA FINO ALLE 3. DOM 10,30-1. Sabato 2 alle 18,30 inaugurazione
delle mostre di Gian Paolo Abatecola, che propone una selezione di opere
astratto-geometriche, e a quella di Ester De Marchi e Rosy Petrelli, mix di
figure e paesaggi. Sino al 29 febbraio. Flavio Ullucci LIBRERIA &
CAFFETTERIA AREA, VIA FRATELLI PIOL 11, RIVOLI, OR.: MAR/MER/GIO 9-19,30 ; VEN
9/24; SAB/DOM 9/12,30 e 15,30/19,30. Sabato 2 alle 18,30 inaugurazione della
prima personale dell'artista dal titolo "Vive la Revelution". In
esposizioni oli su tela. Fino al 23 febbraio. Dario Grasso CASCINA ROLAND, V.
ANTICA DI FRANCIA 11, VILLAR FOCCHIARDO, OR: VEN 15/19, MER, GIO, SAB. E FEST.
SU APP. 328/8649957. INGR. LIBERO Venerdì 1 febbraio è l'ultimo giorno utile
per visitare "Il colore delle mie emozioni", acquerelli. Francesco
Preverino RELAIS BARRAGE, STR. SAN SECONDO, PINEROLO Personale; sino al 28
febbraio. Franco Frassoni PALAZZO COMUNALE, PIAZZA MATTEOTTI 50, GRUGLIASCO.
ORARIO: LUNEDI'-VENERDI' 9/18, SABATO 9/12 Mostra personale di arte figurativa
a settanta anni dall'esordio dell'artista, avvenuto nel 1938. Sino al 23
febbraio. Maurizio Sicchiero GALLERIA IL QUADRATO, VIA DELLA PACE 8, CHIERI
Personale incisioni. Sino al26/2. Roberto Simone DINOITRE LIBRERIA, VIA CAVOUR
2, ORBASSANO. ORARI DI APERTURA: LUN 15,30 - 19,30, MAR-SAB 9,30 - 12,30 ;
15,30 - 19,30 Esposizione personale di dipinti a olio. Sino a giovedì 7 febbraio.
Franco Galetto CAFFE' DELLA RIVA, PASSEGGIATA MARCONI 6, POIRINO. CHIUSO IL
MARTEDI' Sino a domenica 3 febbraio, mostra personale di opere astratte. Colori
e forme VILLA VALLERO, CORSO INDIPENDENZA 68, RIVAROLO CANAVESE. OR: SAB. E
DOM. 16-19 Sabato 2 febbraio alle 18 inaugurazione della mostra di Anna
Torriero e Elio Torrieri. Sino al 2/3. Voglia d'infinito SALE ESPOSITIVE DI
PIAZZA LITISETTO, RIVAROLO CANAVESE, OR.: MART-SAB 9-12 E 15-18, INGRESSO
LIBERO Sabato 2 alle 17 inaugurazione della personale di pittura di Gianmario
Quagliotto. Sino al 16/2.
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Rapporto sconfortante di
Human Rights Watch USA e Europa colpevoli
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Voce d'Italia, La" del
01-02-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.137 del
01/02/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Esteri L'organizazzione per la difesa dei diritti dell'uomo ha
pubblicato il suo rapporto annuale Rapporto sconfortante di Human Rights Watch:
USA e Europa colpevoli Troppi autocrati manipolano elezioni nell'indifferenza
dell'Occidente Milano, 1 feb.- Il rapporto annuale di Human Rights Watch,
l'organizazzione mondiale di difesa dei diritti umani punta il dito anche, e
soprattutto, contro gli Stati Uniti e l'Unione Europea. Il rapporto di HRW
denuncia l'irregolarità di numerose elezioni e si scaglia contro tutti quegli
autocratiche si atteggiano a democratici per il solo fatto di aver indetto
elezioni da far ritrasmettere dalle televisioni. "E quando si tratta di
partner strategici e commerciali gli Stati Uniti e l'Europa non esitano a
felicitarsi con il vincitore", ha dichiarato Kenneth Roth, direttore della
sezione americana di HRW. Il rapporto condanna gli abusi americani nella guerra
al terrorismo e il "lager" di Guantanamo. Gli Stati Uniti, insieme al
loro fido alleato britannico, sono ugualmente sotto accusa per aver concesso
ingenti aiuti al Pakistan di Musharraf, senza chiedere in contropartita alcuna
garanzia di regolarità per le elezioni previste a febbraio. Il rapporto
stigmatizza l'atteggiamento accondiscente dell'Unione Europea nei confronti
della Russia di Vladimir Putin,dove non si contano gli abusi contro i
dissidenti politici e il popolo ceceno. Nel mirino dell'Organizazzione, la
punizione collettiva inflitta da Israele al milione di palestinesi
stipati nel fazzoletto della Striscia di Gaza. L'Organizazzione ha inoltre
accusato apertamente il governo del Sudan di essere il principale responsabile
della tragedia del Darfur. Si parla anche del famigerato Regime militare
birmano, che nel 2007 ha
represso in modo tanto atroce le richieste di libertà e giustizia che si
levavano dai tanti cortei guidati dai monaci buddisti. La Cina merita
una menziona speciale per la repressione continua e sitematica degli
oppositori, per le vessazioni sui lavoratori immigrati e sull'utilizzo
massiccio della pena di morte. Secondo HRW "i Giochi Olimpici che si
terranno quest'estate in Cina rappresentano un opportunità storico di dimostrare
che il governo di Pechino può trasformare in realtà i diritti umani per 1
miliardo e 400 milioni di persone.".
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Amnesty boccia il
rapporto Winograd (sezione: Israele/Palestina)
( da "Manifesto, Il" del
01-02-2008)
Israele
Amnesty boccia il rapporto Winograd L'ong attacca "Il documento non
considera i civili uccisi e le distruzioni in Libano" Michele Giorgio
Gerusalemme "Tutti al lavoro, i nostri impegni ci aspettano". Un Olmert
con il sorriso stampato sul volto si è rivolto con queste parole ai suoi
collaboratori per dire che il rapporto Winograd sulla guerra in Libano ormai è
acqua passata. Il rischio di dimissioni è ridotto al minimo
dopo che la commissione d'inchiesta ha "assolto" il premier
israeliano dal fallimento della guerra e ha puntato l'indice contro le forze
armate. Olmert può dormire tranquillo. Tra qualche settimana in Israele della guerra in Libano avranno memoria solo le famiglie dei 119
soldati e 44 civili morti. Non la dimenticheranno invece i libanesi - 1.200
morti e distruzioni immense - ignorati dall'indagine svolta dalla Commissione
Winograd. Sui crimini di guerra commessi da Israele è
intervenuto Malcom Smart, direttore del programma di Amnesty International per
il Medio Oriente e il Nord Africa, denunciando che Winograd e i suoi colleghi
non hanno preso in alcuna considerazione i raid aerei e i cannoneggiamenti
indiscriminati contro i libanesi. "Alla uccisione di libanesi non
coinvolti nelle ostilità e alla distruzione deliberata e massiccia di proprietà
e infrastrutture civili, il rapporto ha dedicato un'attenzione minima", ha
protestato Smart. La commissione d'inchiesta, ha aggiunto, avrebbe potuto
indicare i responsabili di crimini contro i civili, ma ha preferito occuparsi
di strategie militari e di decisioni politiche e ha anche affermato che
l'interpretazione delle leggi umanitarie è "controversa". Amnesty
International - che non manca di condannare Hezbollah per aver sparato razzi
katiusha contro i centri abitati israeliani - ha chiesto al governo israeliano
di nominare una commissione indipendente con l'incarico di accertare i
responsabili di crimini di guerra e delle violazioni dei diritti umani. L'unico
vero passaggio del rapporto Winograd sui crimini di guerra è quello riguardante
le bombe a grappolo sganciate dall'aviazione israeliana in Libano del sud e che
continuano a fare morti 18 mesi dopo il conflitto: oltre trenta, tra cui alcuni
sminatori. La commissione ha raccomandato che l'esercito dello Stato ebraico
riconsideri il suo regolamento sull'uso delle bombe a grappolo ma evita nel
modo più assoluto di condannare di Israele che,
secondo Winograd, non avrebbe violato la legge internazionale ma mostrato solo
una carenza di "disciplina operativa e di controllo". Tutto ciò
mentre le Nazioni Unite e varie Ong sono impegnate in una gigantesca opera di
bonifica del Libano del sud, per disinnescare oltre un milione di piccoli ma
micidiali ordigni disseminati in un territorio ampio e popolato, peraltro senza
aver ancora ricevuto da Israele le mappe delle aree
dove sono state sganciate le bombe a grappolo. L'Irin, un'agenzia dell'Onu, ha
riferito fa che gli sminatori scoprono ogni mese almeno 10 nuovi siti
"infetti", ovvero pieni di ordigni. "Le forze armate israeliane
hanno sistemi di attacco computerizzati e sanno dove sono state sganciate le
bombe a grappolo. La mancanza delle mappe è l'ostacolo principale al nostro
lavoro", ha denunciato Dalya Farran, portavoce del Centro di coordinamento
delle Nazioni Unite per lo sminamento del Libano del sud. Sino ad oggi, ha
aggiunto Farran, sono stati individuati e disinnescati 137 mila ordigni, appena
il 10% delle bombe a grappolo sganciate dall'aviazione israeliana.
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Usa e Ue complici dei
violatori , Hrw (sezione: Israele/Palestina)
( da "Manifesto, Il" del
01-02-2008)
Diritti umani "Usa e Ue complici dei
violatori", Hrw "Despoti mascherati da democratici" è il titolo che
Human Rights Watch ha dato al suo Rapporto annuale sullo stato dei diritti
umani nel mondo, diffuso ieri. Oltre a stigmatizzare i leader a suo avviso più
brutali e repressivi, dal Pakistan alla Nigeria, alla Thailandia fino alla
Russia, l'organizzazione bacchetta severamente i governanti occidentali che non
fanno nulla per smascherare i despoti, o meglio coprono le malefatte di quelli
dai quali traggono vantaggi in termini di materie prime strategiche o di
geopolitica. Hrw coglie un punto chiave quando, nell'introduzione, scrive che
"raramente la democrazia è stata tanto acclamata ma anche tanto violata,
così promossa ma anche maltrattata". Non basta, osserva il rapporto, che
un paese indica elezioni, per poter essere considerato democratico.
"Consentendo agli autocrati di atteggiarsi a democratici senza chiedere
loro conto dei diritti civili e politici che sostanziano la democrazia, Usa, Ue
e altre influenti democrazie rischiano di indebolire i rapporti umani nel
mondo". Anche le stesse potenze cosiddette democratiche sono chiamate
direttamente in causa. Usa, Gran Bretagna, Francia sono criticate per aver
violato i diritti umani con le misure liberticide prese nella "guerra al
terrorismo". Nel mirino di Hrw c'è soprattutto Guantanamo. "Non vi
sono prove che vi sia alcun progresso nel trattamento dei cosiddetti nemici
combattenti a Guantanamo Bay o nell'uso di strutture segrete di
detenzione" in paesi stranieri, si legge nel rapporto, secondo il quale
275 persone sono ancora prigioniere nel campo e almeno 39 sono trattenute in
prigioni segrete Usa. Accuse dure anche alla Cina, che per ottenere le
Olimpiadi aveva promesso di migliorare il rispetto dei diritti. Invece la
situazione è, se possibile, peggiorata: sfratti brutali dei residenti per far
posto ai siti dei giochi, pessime condizioni di lavoro per i lavoratori
impegnati nelle costruzioni delle strutture e inasprimento nella repressione
dei dissidenti. Il direttore di Human Rights Watch, Kenneth Roth, ha chiesto al
mondo di premere su Pechino affinché mantenga gli impegni presi. Anche l'Italia è stata chiamata in causa, per le rendition dei cittadini
stranieri e per le espulsioni in massa dei cittadini rumeni. Gli eventi di
questi giorni hanno fatta guadagnare posti nella lista nera anche a Israele. Il blocco di Gaza, afferma il rapporto, è "una punizione
collettiva che viola il diritto internazionale.
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IL CAIRO - L'Egitto ha
condannato con molta asprezza Hamas per la violazione una settimana fa della (sezione: Israele/Palestina)
( da "Messaggero, Il" del
01-02-2008)
Frontiera di Rafah con la Striscia di Gaza, mettendo in
guardia il movimento islamico che sarà solo sua la responsabilità di un
eventuale fallimento dei colloqui sulla crisi, in corso a porte chiuse al
Cairo. E sembra difficile che i due rivali palestinesi, invitati a parlarsi con
la mediazione dell'Egitto preoccupato per la situazione al confine, trovino un
accordo. Mercoledì, il presidente palestinese Mahmud Abbas ha incassato il
sostegno dell'Egitto a riacquisire per l'Autorità nazionale palestinese il
controllo del confine, come era prima della presa di potere di Hamas su Gaza,
nel luglio dello scorso anno. Abu Mazen è ripartito senza concedere nulla, nè
dialogo nè accordi, se prima Hamas non rinuncerà al "colpo di stato".
Ieri, riferiscono fonti egiziane, il potente capo dei servizi segreti egiziani
Omar Soleiman ha espresso "furore e indignazione" per i recenti
avvenimenti incontrando il leader del movimento islamico in esilio Khaled
Meshaal. Soleiman ha messo in chiaro che l'Egitto non permetterà un'altra
penetrazione di palestinesi, come le centinaia di migliaia che nell'ultima
settimana si sono riversati a Rafah e nella vicina al Arish per acquistare i
beni di prima necessità irreperibili nella Striscia di Gaza, soggetta a embargo israeliano dal 17 gennaio, in risposta a tiri
di razzi. L'Egitto, aggiungono le fonti che hanno voluto mantenere l'anonimato,
ha chiesto a Hamas di "smettere ogni dimostrazione di forza alla
frontiera, di non innalzare più la bandiera palestinese a Rafah e di smettere
di parlare di una terza Intifada". Secondo fonti palestinesi,
Meshaal ha ribadito la richiesta di un controllo congiunto palestinese-egiziano
del valico di Rafah, senza i 92 osservatori dell'Unione europea, come prevede
un accordo del 2005, perchè questa missione non è in grado di impedire a Israele di chiudere a piacere il confine. Sempre ieri,
soldati israeliani hanno ucciso un membro delle Brigate di al Aqsa in una
sparatoria vicino a Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza, mentre l'uomo stava
per avvicinarsi al confine.
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Uso strumentale degli
intellettuali (sezione: Israele/Palestina)
( da "Corriere della Sera" del
01-02-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Terza Pagina
- data: 2008-02-01 num: - pag: 57 categoria: REDAZIONALE Il regista Davide
Ferrario Uso strumentale degli intellettuali "Io sono convinto che nel
conflitto medio-orientale non si possa fare a meno di stare con i palestinesi.
Ma proprio per la sua natura di incontro tra scrittori e pubblico, la Fiera è
l'occasione per parlare". Lo sostiene il regista
Davide Ferrario che, in una lettera inviata a "il Manifesto", si
schiera contro il boicottaggio di Israele a Torino e
critica l'uso strumentale degli intellettuali. Un uso che "rivela un
vecchio meccanismo inconscio nella storia della sinistra: considerare buoni
solo coloro che sono “utili alla causa”".
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Meshaal: <Gilat
Shalit sta bene> (sezione: Israele/Palestina)
( da "Corriere della
Sera" del 01-02-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data:
2008-02-01 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE Su "Panorama"
Meshaal: "Gilat Shalit sta bene" "Il soldato Gilat Shalit è
vivo. Sta bene ed è anche trattato con i guanti bianchi. Ma perché tanta ansia
per una vita sola?". è Khaled Meshaal, leader politico di Hamas in esilio
in Siria, a rassicurare sullo stato di salute del caporale
israeliano, rapito dalla milizie palestinesi nel giugno 2006. In un'intervista al
settimanale Panorama, oggi in edicola, Meshaal ha poi posto le condizioni del
suo movimento per arrivare a una tregua con lo Stato ebraico. "Se Israele si ritira - ha detto - se riconosce Gerusalemme e il ritorno del
nostro popolo e se smantella le colonie che ci occupano, siamo pronti a
una tregua di dieci anni almeno". Quanto al presidente Abu Mazen, il
leader di Hamas ha ricordato che "Israele si
nutre dell'agonia dei nostri per esistere politicamente. Il male è che oggi è
aiutato da chi fra i nostri fratelli lo appoggia con il silenzio e la
complicità". Commentando la drammatica situazione della Striscia di Gaza,
isolata dopo il blocco israeliano dei valichi, Meshaal ha dichiarato che
"il mondo intero sa che la gente di Gaza muore perché è Israele
che vuole questa morte giorno per giorno".
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Così Olmert è
sopravvissuto alla guerra
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Giornale.it, Il" del
01-02-2008)
Di Redazione - venerdì 01 febbraio 2008, 07:00 La
commissione d'inchiesta Winograd (dal nome del giudice che l'ha presieduta) ha
consegnato alla stampa le sue conclusioni sulla guerra del Libano, 629 pagine
che non aggiungono molto a quello che già si sapeva. E che possono riassumersi
in una sola frase: fallimento del governo e dei comandi militari. Per il
premier Olmert, maggiore indiziato da un'opinione pubblica in cerca di un capro
espiatorio, il rapporto finale della commissione è stato comunque motivo di
sollievo. La Corte suprema israeliana ha proibito alla Commissione di indicare
specificatamente responsabilità individuali, e poiché la commissione, nominata
dal governo e non dal Parlamento, non aveva il diritto di chiedere le
dimissioni di persone responsabili, il premier Olmert ha subito dichiarato -
come nel corso dei due anni passati - di non avere intenzione di dimettersi.
Questo provocherà una nuova ondata di proteste da parte di media, riservisti,
associazioni dei parenti dei caduti che chiedono la testa del primo ministro.
Ma c'è almeno una mezza dozzina di buone ragioni perché la crisi di governo sia
evitata, per lo meno nell'immediato. 1) Non c'è soluzione di ricambio
all'attuale coalizione e la maggior parte dei deputati temono elezioni
anticipate dalle quali potrebbero uscire malconci. 2) Tutta la dirigenza
politica israeliana è accusata di gravi responsabilità nella condotta di questa
guerra. Con Olmert, logicamente, dovrebbero dimettersi altri membri
dell'attuale governo che ha approvato la guerra e la sua condotta. E nessuno
dei ministri sembra interessato ad abbandonare il campo. 3) Gli ambienti
finanziari temono le ricadute negative sull'economia, in pieno sviluppo dopo
una lunga crisi. 4) La dirigenza militare ha già iniziato profonde riforme. Da
una caduta del governo potrebbe essere trascinata in una
crisi interna che scuoterebbe le strutture di comando delle forze armate, il
loro prestigio e la disciplina nelle unità combattenti. 5) Un Israele in preda a una nuova pubblica autocritica e in campagna
elettorale regalerebbe agli Hezbollah e a Hamas una vittoria d'immagine nel
momento in cui entrambe queste organizzazioni sono in difficoltà nel Libano e a
Gaza.
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Un infermiere confessa:
"Ho abusato di cento pazienti"
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Quotidiano.net" del
01-02-2008)
Mobile email stampa CHOC IN AMERICA Un infermiere
confessa: "Ho abusato di cento pazienti" La polizia indaga su
quattordici casi di violenze commesse dal 1980 ad oggi. Le vittime, sia maschi
che femmine, erano in gran parte di età avanzata Home prec succ Contenuti
correlati Hillary e Obama hanno fatto pace Anzi, forse correranno insieme
Focolaio di colera, 58 morti e oltre duemila ammalati Epidemia di meningite, 52
morti in due settimane In Florida vince McCain Giuliani lascia e lo sostiene
Anche Schwarzy punta su John Sequestro lampo per una italiana a Maracaibo
Trafitto con una spada da samurai per un pallone oltre la staccionata Sito di
fondamentalisti annuncia la morte del comandante di al Qaeda Sandusky (Ohio,
Usa), 1 febbraio 2008 - La polizia american sta cercando di accertare la verità
su quattordici casi di abusi sui circa cento pazienti di centri di cura che un
infermiere si autoaccusa di aver abusato dagli anni 1980. Lo hanno annunciato
le autorità locali. John Riems, che ora ha 49 anni, è stato arrestato la
settimana scorsa con l'accusa di stupro su un paziente parzialmente
paralizzato. Un parente del paziente ha avvertito la polizia che ha aperto
un'indagine. Tra le quattordici vittime, alcune erano fisicamente o mentalmente
nell'incapacità di denunciare i fatti, ha detto il capo della polizia di
Perkins, Tim McClung. Le vittime erano sia donne e sia uomini, la maggior parte
di età avanzata. Due sono deceduti. Riems ha lavorato come infermiere in una
equipe di notte in dodici cliniche e ospedali dell'Ohio settentrionale e in un
centro di cura di New York. L'infermiere ha confessato alla polizia che le sue
attività criminali sono cominciate poco dopo l'inizio della sua carriera, nel
1985. Per ora è stato incriminato formalmente per un solo caso. Le autorità non hanno voluto svelare se le altre accuse
riguardano abusi sessuali o di altra natura. Gli inquirenti hanno riferito
anche che Riems non si ricorda con precisione che di una ventina di casi sul
centinaio di cui si è accusato. L'indagine prosegue. MAURITANIA Blitz
all'ambasciata di Israele.
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Il passo indietro del
Cardinal Martini (sezione: Israele/Palestina)
( da "Opinione, L'" del
01-02-2008)
Oggi è Ven, 01 Feb 2008 Edizione 22 del 01-02-2008 I
rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo arrestati dalla "teoria della
sostituzione" Il passo indietro del Cardinal Martini Nell'ultimo saggio
del cardinale di Milano "Le tenebre e la luce" la religione ebraica
diventa frutto di una tradizione degradata perchè considerata come non
"autentica" di Giorgio De Neri Nella vita basta farsi una fama, o una
nomea, che poi uno se la porta dietro qualunque cosa accada. Anche contro
l'evidenza della realtà. E non fanno eccezione neanche gli alti prelati, cioè i
cardinali, e lo stesso Pontefice. Leggere per credere, su uno degli ultimi
numeri di "Shalom", la polemica messa in piedi dal professor Giorgio
Israel con il cardinale di Milano Carlo Maria Martini a proposito dei rapporti
tra cattolicesimo ed ebraismo. Che come è noto in passato non sono stati dei
migliori, avendo avuto proprio la Chiesa il monopolio, anzi il marchio di
fabbrica, dell'antisemitismo con la famosa dottrina del "deicidio".
Ebbene, dice Israel, l'attuale Papa Benedetto XVI porta, forse ingiustamente,
la fama di essere un "reazionario", mentre il cardinal Martini viene
incensato e venduto da tutti i luogo-comunisti che scrivono sui giornali di
sinistra come "l'uomo del dialogo inter-religioso". Ma le cose stanno
davvero così? A leggere l'ultimo saggio del cardinal Martini sull'evoluzione
dei rapporti tra le due religioni monoteiste sembrerebbe proprio di no, sostiene Israel. Che cita alcuni passi dell'ultimo libro del
porporato, "Le tenebre e la luce", accuratamente omessi
nell'entusiastica presentazione che gli ha dedicato "Repubblica"
qualche settimana or sono. Il professor Israel fa questa premessa:
"Dovrebbe essere superfluo ricordare che la "Nostra Aetate" si
limitava a dire degli ebrei che sono "ancora" carissimi a Dio
e da rispettare per "religiosa carità evangelica". Giovanni Paolo II
fece un deciso passo avanti affermando che "chi incontra Gesù, incontra
l'ebraismo". L'attuale Papa Benedetto XVI è andato ancora più in là
asserendo che i doni di Dio sono irrevocabili". Poi Israel spiega meglio
quale sia stato il passo avanti di Ratzinegr con l'ebraismo: "Non sembra
che sia stata sufficientemente valutata l'importanza storica di una simile
affermazione che mette in soffitta la "teologia della sostituzione",
ovvero la tesi secondo cui l'elezione di Israele è
stata revocata e sostituita con quella conferita al popolo cristiano ed alla
Chiesa: il recente libro del Papa (Gesù di Nazaret) prosegue su tale via,
perseguendo l'obbiettivo indicato nel discorso alla Sinagoga di Colonia, ovvero
di "fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del
rapporto fra ebraismo e cristianesimo", senza minimizzare o passare sotto
silenzio le differenze". Martini invece, sostiene Israel citando i passi
del libro recensito da "Repubblica", torna proprio indietro di un
secolo riproponendo proprio la minestra riscaldata della "teoria della
sostituzione". "Martini - scrive Israel - sostiene che il Vangelo di
Giovanni presenta il processo del Sinedrio a Gesù come una "farsa" e
una "caricatura" al fine di mettere in luce il crollo di
un'istituzione che avrebbe avuto il compito primario di riconoscere il Messia,
verificandone le prove. Sarebbe stato questo l'atto giuridico più alto di tutta
la sua storia. Invece fallisce proprio lo scopo fondamentale". "Dare
per scontato proprio quel che non lo è - spiega Israel - e cioè che il Sinedrio
fosse un'istituzione che "era sorta in vista" di questa
"occasione provvidenziale" e che l'avrebbe persa, permette a Martini,
con un salto logico sconcertante, di dedurre la fine storica
dell'ebraismo". "Non si tratta soltanto della "decadenza di
un'istituzione religiosa - scrive il cardinal Martini - si leggono ancora i
testi sacri, però non sono più compresi, non hanno più forza, accecano invece
di illuminare, si tratta della decadenza dell'intera tradizione ebraica che, in
quanto non più "autentica", va quindi radicalmente superata". Ed
ecco la citazione, per così dire incriminata, dal libro del cardinal Martini
che riporterebbe indietro di un secolo i rapporti tra cattolicesimo ed
ebraismo: "Molte volte ho insistito sulla necessità di giungere a superare
le tradizioni religiose quando non sono più autentiche". Traduzione per
chi non è addentro alle cose teologiche: l'ebraismo viene superato dalla parola
di Gesù quindi gli ebrei o si convertono oppure sono da considerare quasi alla
stregua degli infedeli. Secondo Martini (il cardinale tanto amato dai
progressisti e dai fautori del buonismo porporato) il quale dà implicitamente del
reazionario a Ratzinger un giorno sì e l'altro pure nelle proprie interviste,
"al di là di un dialogo spesso formale il nostro cammino inter-religioso
deve consistere soprattutto nel convertirci radicalmente alle parole di Gesù e,
a partire da esse, aiutare gli altri a compiere lo stesso percorso". Bel
dialogo interreligioso quindi: gli ebrei o si convertono .. o si convertono. E
Martini quando parla di ebraismo lo fa con sprezzo definendo il tutto
"frutto di una tradizione religiosa degradata". Conclusione del
ragionamento del professor Israel: "Non mi sono mai scandalizzato che
alcune religioni e religiosi vogliano convertire gli altri alla propria fede. È
legittimo proporre il valore del proprio percorso. Purché non lo si faccia con
la violenza, che non è soltanto quella fisica, ma anche quella consistente
nell'affermare il disvalore del percorso religioso altrui". "Nel caso
dei rapporti ebraico-cristiani , resi delicati da un passato tanto dolente -
ricorda Israel - affermare questo disvalore significa né più né meno sostenere
che il dono di Dio è stato revocato. Pertanto, il cardinale Martini ha
riproposto, e in termini molto brutali, insistendo su aggettivi spiacevoli, la
teologia della sostituzione, facendo un passo persino indietro alla "Nostra
Aetate". Chi voglia dialogare con lui (e con chi la pensa come lui) sa
quale sia l'intenzione e l'unico possibile esito di tale dialogo: la
conversione "radicale" alle parole di Gesù e il riconoscimento del
carattere ormai "degradato", "decaduto" e "non autentico"
dell'ebraismo." Eppure Martini passa da campione del dialogo
inter-religoso mentre la gente crede che sia l'attuale Papa il vero
reazionario. E tutto ciò "solo" perché il primo viene dipinto come
"di sinistra" e il secondo come "di destra".
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New York nostro inviato
A passi decisi verso il super martedì. L'uomo del momento è il senatore
repubblicano McCain, che dopo aver incassato l'appoggio di Rudy Giuliani si può
freg (sezione: Israele/Palestina)
( da "Liberazione" del
01-02-2008)
Dopo l'appoggio di Giuliani, il senatore repubblicano
incassa il sostegno del governatore della California Schwarzy incorona McCain
E' lui il frontman repubblicano New York nostro inviato A passi decisi verso il
super martedì. L'uomo del momento è il senatore repubblicano McCain, che dopo
aver incassato l'appoggio di Rudy Giuliani si può fregiare anche di quello del
governatore della California Arnold Schwarzenegger che ieri lo ha definito
"un eroe americano". Il sostegno dell'uomo che il Grand Old Party non
può candidare alla presidenza a causa dei natali austriaci aiuta molto: se il
veterano del Vietnam vincerà le primarie del suo partito, avere un governatore
che sull'ambiente si è battuto duramente contro l'amministrazione Bush sarà
molto utile per la conquista del voto moderato - tanto più che McCain è l'unico
a destra che dice qualcosa sull'effetto serra. L'ex Terminator pesa anche sul
voto bianco dell'America profonda, in questo caso sono i muscoli e non la
battaglia ambientalista a renderlo carismatico. Nel dibattito tra contendenti
repubblicani McCain ha braccato Mitt Romney sull'Iraq. Il candidato
dell'establishement repubblicano, l'unico in grado di tenere testa al senatore
dell'Arizona, avrebbe annunciato un piano per il ritiro quando le cose andavano
male e ora tenta di rimangiarselo. McCain gioca le sue carte cercando di far
tornare l'attenzione sulla guerra, il candidato mormone prova con l'economia.
La gara è serrata ma con la California quasi in tasca e l'appoggio di Giuliani
a New York, la bilancia pende senza dubbio per il candidato anziano. Il
miliardario mormone ha poi un problema sotto la croce: l'evangelista Huckabee
anche in Florida ha mostrato di avere le carte per fare bene in diversi Stati
del Sud e del centro dove il voto religioso è determinante. Non sono consensi
strappati a McCain quelli. Chi non è contento per come stanno andando le cose
nelle primarie repubblicane è il blocco di potere che ha retto il partito dalla
presidenza Reagan in poi. A Washington McCain è sempre stato un battitore
libero sgradito all'establishement - che gli preferì Bush nel 2000 e oggi punta
sul mormone. Un possibile svantaggio presso alcune fette di elettorato
particolarmente conservatore in materia di valori o economia (con i falchi in
politica estera non ci sono problemi). Il fatto è che nelle elezioni generali
molti di quegli elettori, specie quelli più motivati ed esaltati, voterebbero
chiunque pur di non vedere un Clinton alla Casa Bianca e probabilmente
andrebbero alle urne nonostante l'ex militare. Il fatto di essere un outsider
aiuta invece McCain con gli indipendenti. E questo è un guaio per Hillary
Rodham Clinton, la candidata che tutti indicano come di schieramento,
identificabile con quell'establishement di Washington che con la loro
partecipazione alle primarie in tanti sembrano voler punire. I sondaggi
continuano a dare un vantaggio chiaro alla senatrice di New York in molti Stati
determinanti. Un vantaggio che però si va assottigliando. Gli ultimi due
rilevamenti a livello nazionale regalano a Hillary 6 e 7 punti di vantaggio.
Per Clinton anche la brutta faccenda tirata fuori dal New York Times secondo
cui un suo donatore importante avrebbe ottenuto una commessa in Kazakistan dopo
aver visitato il Paese assieme a Bill, il quale aveva tenuto un discorso sulla
democrazia alla presenza dell'improbabile - se parliamo di credenziali
democratiche - presidente Nazarbayev. E come se non bastasse, ieri la Abc ha
mostrato un video nel quale l'allora membro del consiglio di amministrazione
della Wal Mart parla a una platea di azionisti dicendo: "Come membro della
direzione, sono sempre fiera di quello che facciamo a Wal Mart e del fatto che
lo facciamo meglio degli altri". L'uscita di due brutte notizie per
Hillary sembra far pensare che lo staff di Obama si sia messo al lavoro. Non
c'è niente di scorretto, di falso, come spesso avviene con i repubblicani, ma
sono brutti colpi da assorbire. Di contro c'è un
"Obama, il nemico di Israele" su un giornale newyorchese
famoso per il suo estremismo filo Tel Aviv - che ha però tra i suoi
"azionisti" un sostenitore di Hillary, oltre a parecchi repubblicani.
Parlando di numeri, ieri Obama ha annunciato di aver raccolto 32 milioni di
dollari in un mese. I nuovi donatori sono 70mila. Il successo
incredibile dei due candidati democratici era stato raggiungere i 100 milioni a
testa in un anno. Questo afflusso di cassa renderà ancora più pervasiva la
campagna del senatore dell'Illinois che ieri ha parlato a Phoenix, Arizona davanti
a 13mila persone. Con lui la governatrice Napolitano e Caroline Kennedy. Obama
ha anche annunicato che da presidente convocherà un summit con i leader arabi
"per discutere onestamente e ridurre le distanze tra Occidente e
Islam". Il senatore Ted sta facendo comizi pro Obama per conto suo in
California, dove può tentare di convincere i liberal dello Stato più popoloso e
ricco d'America e corteggiare il voto ispanico vantando il tentativo di far
approvare una sanatoria. Anche Hillary in California a fare comizi. Nella notte
i due si sono affrontati nell'ultimo dibattito televisivo prima del super
martedì. L'ultima volta sono state scintille. E sul palco c'era ancora Edwards.
01/02/2008.
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Un infermiere confessa:
"Ho abusato di cento pazienti"
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Quotidiano.net" del
01-02-2008)
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confessa: "Ho abusato di cento pazienti" La polizia indaga su
quattordici casi di violenze commesse dal 1980 ad oggi. Le vittime, sia maschi
che femmine, erano in gran parte di età avanzata Home Esteri prec succ
Contenuti correlati Hillary e Obama hanno fatto pace Anzi, forse correranno
insieme Focolaio di colera, 58 morti e oltre duemila ammalati Epidemia di
meningite, 52 morti in due settimane In Florida vince McCain Giuliani lascia e
lo sostiene Anche Schwarzy punta su John Sequestro lampo per una italiana a
Maracaibo Trafitto con una spada da samurai per un pallone oltre la staccionata
Sito di fondamentalisti annuncia la morte del comandante di al Qaeda Sandusky
(Ohio, Usa), 1 febbraio 2008 - La polizia american sta cercando di accertare la
verità su quattordici casi di abusi sui circa cento pazienti di centri di cura
che un infermiere si autoaccusa di aver abusato dagli anni 1980. Lo hanno
annunciato le autorità locali. John Riems, che ora ha 49 anni, è stato
arrestato la settimana scorsa con l'accusa di stupro su un paziente
parzialmente paralizzato. Un parente del paziente ha avvertito la polizia che
ha aperto un'indagine. Tra le quattordici vittime, alcune erano fisicamente o
mentalmente nell'incapacità di denunciare i fatti, ha detto il capo della
polizia di Perkins, Tim McClung. Le vittime erano sia donne e sia uomini, la
maggior parte di età avanzata. Due sono deceduti. Riems ha lavorato come
infermiere in una equipe di notte in dodici cliniche e ospedali dell'Ohio
settentrionale e in un centro di cura di New York. L'infermiere ha confessato
alla polizia che le sue attività criminali sono cominciate poco dopo l'inizio
della sua carriera, nel 1985. Per ora è stato incriminato formalmente per un
solo caso. Le autorità non hanno voluto svelare se le altre
accuse riguardano abusi sessuali o di altra natura. Gli inquirenti hanno
riferito anche che Riems non si ricorda con precisione che di una ventina di
casi sul centinaio di cui si è accusato. L'indagine prosegue. MAURITANIA Blitz
all'ambasciata di Israele.
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ARTICOLI
DEL 28-1-2008
Scritto&parlato ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
Quarto giorno d'aria per i palestinesi di Gaza ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
La forza di resistere Un incontro a Roma ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
È morto George Habash ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
I palestinesi riconoscano Israele, rinuncino al terrore e
aprano alla democrazia ( da "Stampa, La" del 28-01-2008)
IL GIORNO DELLA MEMORIA LAUREA HONORIS CAUSA A FIRENZE 0
Grossman 'colomba della Shoah' in volo contro tutti i massacri ( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del
28-01-2008) + 1 altra fonte
Dal Gerrei alle Alpi per salvare gli ebrei ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)
Hamas detta l'agenda di Olmert e Abu Mazen ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)
Elie Wiesel: La Shoah resta il Male assoluto ( da "Unita, L'" del 28-01-2008)
La memoria - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Israeliana la guerra in Libano continua a far danni ( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)
GENERAZIONI A CONFRONTO UN CAFFE' CON MADGI ALLAM,
L'EGIZIANO CHE DISSE "VIVA ISRAELE" ( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)
"l'arte ci aiuta contro il male" - fulvio
paloscia ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Olmert promette aiuti umanitari ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
La bistecca fa male alla terra l'effetto serra ci cambia
la dieta - mark bittman new york ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Alfonso Arbib: <L'antisemitismo sottile è la minaccia
di oggi> ( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)
I religiosi pronti a impallinare Olmert ( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)
ROMA Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, parte
oggi per Israele, subito dopo le ( da "Messaggero, Il" del 28-01-2008)
La guerra che non si può vincere ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Morto George Habash, stratega dei dirottamenti ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Padre Desbois disseppellisce la <Shoah delle
pallottole> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Anche al piano Barenboim è autorevolezza ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Shoah, Milano al Binario 21 <Orrore da non
dimenticare> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
AnnaFrankconkeffiyah:<Oltraggio> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Israele: l'antisemitismo è in calo in Europa ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Ecco le tessere naziste di Herbert von Karajan ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
FORZE ARMATE ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Cala l'antisemitismo in Europa secondo un rapporto dello
Stato di Israele Shoah, ricordo indelebile Giornata della memoria
Manifestazioni in tutta Italia Oggi a Roma convegno su Ol ( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)
Vittima della ferocia d'una ideologia di sterminio, ma
anche ( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)
L'eroe di San Nicolò che salvò centinaia di ebrei ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)
Gaza, buio in scena vince la propaganda ( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)
Intervista a Franco Perlasca / Anche l'Italia ha il suo
"Schindler" ( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)
Israele e le nostre responsabilità ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI
ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ ( da "Stampa, La" del 28-01-2008)
Gaza una situazione sempre piu' complessa ( da "Voce d'Italia, La" del 28-01-2008)
Articoli
( da "Manifesto, Il" del
28-01-2008)
Scritto&parlato Israele e
le nostre responsabilità La mia nota, sul manifesto del 24 gennaio, contro il
boicottaggio alla Fiera del libro di Torino, ha provocato molte reazioni
negative, tutte - schematizzo - concentrate su un punto: lo stato d'Israele perseguita i palestinesi e quindi è giusto e
doveroso boicottare la sua presenza alla Fiera del libro. Le lettere sono
molte. Non è possibile pubblicarle tutte e alcune ho dovuto tagliarle. Chiedo
scusa e vengo alla risposta. Innanzitutto ringrazio perché la discussione che
si apre è seria e coinvolgente, e dovrebbe continuare. Certo l'attuale
comportamento d'Israele porta acqua al mulino dei miei
critici, ma possiamo destoricizzare la questione? Caro Michele la persecuzione
degli ebrei in tutto il mondo non è un mito del recente passato. La
persecuzione è antica e noi cristiani siamo intervenuti con "il popolo
deicida", responsabile della crocifissione di Gesù Cristo e poi, vado a
memoria, la cacciata dalla Spagna a opera della cattolica Isabella e per ultimo
(ma non definitivo) la Shoah . Insomma - penso io - che sarebbe un grave errore
destoricizzare la questione ebraica e ridurla solo allo stato d'Israele, perché, peraltro, sempre a mio parere, contrasta
con l'essenza dell'ebraismo, che è la diaspora. Insomma non possiamo ridurre la
questione ebraica all'attuale stato d'Israele, che
pure è un'espressione dell'ebraismo. E poi - aggiungo - dovremmo sforzarci di
una riflessione storica anche sui palestinesi, che - sempre a mio parere - sono
gli ebrei del mondo arabo: intelligenti e perseguitati; dall'imperialismo
occidentale e dalla feudalità araba. Tanto che io credo che la formula
"due popoli uno stato", cioè uno stato ebreo-palestinese sarebbe la
soluzione naturale, ma impossibile nel contesto dello scontro tra i poteri
internazionali forti. Uno stato ebraico-palestinese (lo propone Gheddafi)
sarebbe una grande innovazione di pace, ma nell'attuale contesto è impossibile.
In tutti i modi critichiamo Israele e la sua politica,
ma rinunziamo all'arma del boicottaggio, che ci riporta indietro nei secoli e
va contro gli scrittori israeliani che criticano aspramente in governo. p.s. E
poi se vogliamo complicare la cosa ancora di più rileggiamoci "Il problema
ebraico" di Karl Marx. Valentino Parlato Schiavo del mito? Caro Valentino,
ti sono molto affezionato e conosci il grande rispetto che ho per il tuo
lavoro. Devo però dirti che sono rimasto senza parole leggendo il tuo
intervento sulla Fiera del libro. Senza offesa, mi sconvolge la banalità delle
tue motivazioni. Non perché sostengono che sia sbagliato boicottare, ma per il
fatto che non sono vere motivazioni. Appaiono un'artificiale difesa d'ufficio
di uno stato che è ben lontano dal mito che ti affascinò 60 anni fa. Nelle
ragioni che elenchi manca un filo di logica, un filo di analisi, rispetto a
quello che accade sul terreno. Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Gli israeliani stanno costruendo un nuovo apartheid che tu però neghi perché
non vuoi accettare una realtà che si scontra con il mito. Eppure il nostro
amico Daniel Amit aveva saputo spiegarcelo in modo così chiaro. A denunciarlo
da anni è anche il maestro Daniel Baremboim, che non è certo un pericoloso
estremista. Gli israeliani non sono afrikaner? Vero, ma si comportano allo
stesso modo. Con il cuore colmo di delusione. Michele Giorgio Insisti
nell'errore Caro Parlato, ho letto il tuo articolo di giovedì scorso. Mi ha
colpito molto. Non posso pensare che le cose dette siano frutto di ignoranza,
quindi perché? Per sostenere di essere contrario al boicottaggio dimentichi che
anche associazioni democratiche israeliane lo sostengono, che è
"anche" il 60.mo anniversario della Naqba palestinese (la
"memoria" non è a senso unico), che un israeliano non è sempre ebreo,
tra gli israeliani ci sono musulmani (molti), cristiani, drusi, atei; ci sono
ebrei discriminati da altri ebrei, e è ipocrita dire che boicottare lo stato di
Israele per la politica e le azioni contro i
palestinesi che porta avanti è essere contro gli ebrei tout court. E cosa
c'entra tirare in ballo il ghetto di Varsavia con il boicottaggio ? Non
nascondiamoci dietro il dito degli scrittori di grande levatura presenti, tre
dei quali portatori accondiscendenti della politica israeliana verso i
palestinesi, quando la cultura del paese è molto variegata: dove sono i
cosidetti nuovi storici o dissenzienti dal sionismo o gli scrittori palestinesi
di Israele? Già sono discriminati in Israele e lo sono anche in Italia. Se fossero stati invitati
forse avresti avuto più frecce al tuo arco. E infine, caro Parlato, non è vero
che un libro va sempre rispettato, dipende da quello che trasmette e sono
sicuro che anche per te molti libri non vanno rispettati. Allora ho
l'impressione che usi questi argomenti solo per un pregiudizio, quello di
difendere sempre e comunque il governo israeliano. Lino Zambrano cooperante Ong
Cric Gaza Invecchi male L'articolo di Valentino Parlato in cui condanna quanti
sono impegnati a boicottare l'edizione della Fiera del Libro (dove si vorrebbe
ospite d'onore Israele) andrebbe stampato in milioni
di copie e fatto girare ovunque. E' un testo che offre molte ragioni proprio a
chi vuole boicottare la Fiera. Cosa dice Parlato? Qualunque cosa abbiano o
commettano, gli israeliani vanno giustificati. Non li si può condannare
oltremodo perché loro, gli israeliani, hanno subito forti persecuzioni da parte
dei cattolici prima e dei nazisti poi. Ora, ditemi quale uomo o donna con un
minimo di senno può pensare un abominio del genere. Io credo che nemmeno i filo-israeliani
che andranno alla Fiera (se rimarrà come voluto dal Comitato che gestisce
l'ente, il cui capo è iscritto alla loggia P2, tessera 2095) possano prendere
le parole di Parlato per recarsi a Torino senza vergogna. Il "nostro"
in un sol colpo è riuscito a spazzare via le idee di Primo Levi, Franco
Fortini, Luigi Pintor e infine Stefano Chiarini (che mi sembra un bel modo di
ricordarlo ad un anno dalla sua morte). Inoltre ha mandato a quel paese quegli
israeliani che si rifiutano di stare dalla parte dell'occupazione. Ha
stracciato, infine, molti vecchi articoli della Rossanda, di se stesso... Una
cosa ha dimostrato Valentino Parlato: non è sempre vero che si invecchia bene,
a volte lo si fa nel peggiore dei modi, come a esempio stare dalla parte degli aguzzini
contro le vittime. Francesco Giordano Gli ebrei non sono Israele
Caro Valentino Parlato, in relazione al tu articolo, "Un boicottaggio
sbagliato", devo dire che condivido l'idea che il boicottaggio possa
essere uno strumento a volte discutibile, ma non era questo il tema principale
del tuo articolo. Tu sei entrato, mi sembra, proprio nel merito
dell'opportunità di contestare lo stato di Israele, e
non hai colto, mi sembra, quello che per molti di noi, almeno tra i lettori del
manifesto, è invece una discriminante che non viene colta neppure da altri
"compagni": l'esistenza di uno stato etnico, anzi, di più, uno stato
religioso. Mentre si lotta (forse non tutti) per conservare nel nostro paese
almeno il principio della laicità, si accetta che esista, e lo si sostiene, uno
stato basato sulla religione (quella ebraica in questo caso) come fosse la cosa
più naturale del mondo, anzi, siamo disposti a sostenere che la sua esistenza
difenda il diffondersi della democrazia nel mondo. Più volte nel tuo articolo
confondi lo stato di Israele con l'ebraismo; cito:
"riconoscere agli ebrei il diritto a avere un territorio e uno stato, era
obbligatorio", "Gli israeliani - che sono sempre ebrei...",
"la persecuzione del popolo ebraico" (a sostegno della necessità dell'esistenza
di uno stato ebraico), "non solo perché gli israeliani sono ebrei e non
afrikaner", tutte frasi estratte dal tuo articolo, e che, mi sembra,
sostengono la necessità dell'esistenza di uno stato appunto ebraico, basato
sull'appartenenza religiosa. Un assunto del genere, anche se, come dici tu
condiviso dal "compagno Stalin", non lo trovo affatto condivisibile,
almeno non dai "compagni" che leggono il manifesto (sono tra l'altro
abbonato da vari anni). Con affetto. Francesco Andreini Ebraismo e sionismo
Gentile signor Parlato, lei scrive che c'è boicottaggio e boicottaggio... Si
potrebbe aggiungere: c'è violenza e violenza, ci sono oppressori e oppressori.
E oppressi e oppressi. Per lei, evidentemente, Israele
è un oppressore autorizzato e quella israeliana una violenza doc. Perché il
boicottaggio contro lo stato razzista del Sudafrica andava bene, mentre quello
contro Israele, stato altrettanto razzista e basato
sull'apartheid, no? Perché continuare volutamente a confondere ebraismo con
sionismo e con la creazione di Israele? E' una
manipolazione, è scorretto e allontana qualsiasi giusta soluzione alla
questione palestinese. E non aiuta neanche gli ebrei, confusi con le feroci
scelte politiche e militari di uno degli stati più spietati del mondo. La Redazione
di www.infopal.it Peggio per Stalin Leggendo l'articolo di Valentino Parlato in
cui si schiera contro il boicottaggio della Fiera del libro ho provato,
confesso, un senso di sgomento. Sgomento che deriva in parte dal difficile
momento storico che il popolo palestinese sta attraversando, stretto tra
un'occupazione quanto mai feroce e una crescente indifferenza internazionale,
che ci impone urgenza nello schierarci in modo netto dalla parte degli
oppressi. Ma anche le argomentazioni addotte contro il boicottaggio non mi
convincono. In primo luogo viene ricordato che "dopo la seconda guerra
mondiale riconoscere agli ebrei il diritto di avere uno stato e un territorio
era obbligatorio". Riconoscere il diritto di fondare uno stato ebraico in Palestina, in onore al vecchio testamento, non era affatto
obbligatorio e si è rivelato un colossale disastro storico anche se, come
ricorda Parlato, "anche Stalin fu a favore". La domanda sorge
spontanea: e con ciò? La nascita dello stato di Israele
non fu un risarcimento al popolo ebraico per i torti subiti durante la guerra
ma il compimento di un progetto sionista studiato nei dettagli, messo in moto
da Herzl alla fine dell'800 e portato avanti in modo continuo per tutta la
prima metà del XX secolo. La fine della guerra e la conoscenza in Europa degli
orrori dell'olocausto determinarono un clima favorevole alle risoluzioni che
portano al riconoscimento di Israele. Ben diverso
dall'affermare l'obbligatorietà dell'atto. Mi sembra inoltre importante
sottolineare che non credo sia obiettivo del boicottaggio la cancellazione del
riconoscimento di Israele da parte della comunità
internazionale, semmai ricordare a Israele che le
risoluzioni della stessa comunità internazionale andrebbero applicate anche
quando contrarie ai propri interessi. I confini non dovrebbero essere disegnati
coi mattoni su percorsi decisi dal ministro della difesa e ci sono convenzioni
che si farebbe bene a rispettare. Chi è stato cacciato dalla propria casa
dovrebbe poterne far ritorno così come l'esercito israeliano non dovrebbe poter
arrestare delle persone nei territori occupati per poi portarle in Israele e dimenticarle in gattabuia. L'assedio medievale che
costringe Gaza alla fame non dovrebbe essere permesso. Cosa c'entri la seconda
guerra mondiale con tutto questo non mi è del tutto chiaro. Sicuramente c'entra
tanto quanto l'aneddoto sugli ebrei del ghetto di Varsavia che cantarono
l'internazionale prima di essere massacrati. Apprezzo il racconto e mi commuove
intimamente, anche in virtù di mia nonna, ebrea polacca, ricordare
quell'orribile massacro. Ma continuo a non trovare il nesso. Al punto
crucialedell'articolo apprendo che "c'è boicottaggio e boicottaggio,
quello contro i razzisti sudafricani era più che giusto" ma "Gli
israeliani - che sono sempre ebrei - per quanti torti abbiano nei confronti del
popolo palestinese non sono in alcun modo paragonabili ai razzisti
sudafricani". E perché? Perché per quanti torti facciano, distinguendosi
sulla base di un'appartenenza razziale/religiosa, a un altro popolo, non sono
paragonabili agli afrikaner? Perché uno stato che ha come fondamento
l'appartenenza alla stirpe di Davide, che ritiene il colonialismo un diritto
concesso dalla bibbia, che riduce alla fame, alla prigionia, all'umiliazione,
il popolo palestinese, non può essere paragonato al Sudafrica razzista? Sia
dalla costruzione lessicale, sia da quanto segue nell'articolo, sembrerebbe che
ciò che li esonera dal confronto sia proprio la loro condizione di ebrei.
Infatti ci viene ricordato che "c'è la storica persecuzione del popolo
ebraico, ci sono i ghetti e i campi di sterminio". E oggi ci sono i campi
profughi, i check point, le carceri israeliane, l'occupazione, gli assasinii
mirati e non. C'è il muro. Credo che un segnale di ripudio forte, netto, e
soprattutto non isolato nel tempo contro queste politiche sia molto più
importante che un qualsiasi dibattito letterario, per quanto interessante e
costruttivo. Mariano Heluani, Caserta Boicottaggio opportuno Raramente non mi
trovo in totale e convinta sintonia con Valentino Parlato, ma il suo intervento
sulle polemiche che stanno accompagnando la Fiera internazionale del libro di
Torino del prossimo maggio non ha fugato tutti i miei dubbi. Non sono in grado
di entrare nel merito della querelle, non conoscendo la storia e l'opera degli
autori ebraici invitati alla Fiera di Torino. Mi sento però di affermare che,
qualora le voci di dissenso, non dico a "questo" governo israeliano
ma a tutti gli esecutivi che si sono là succeduti negli ultimi 10-15 anni, non
fossero sufficientemente ospitate nella manifestazione torinese allora una
qualche forma di boicottaggio sarebbe non solo tollerabile ma quantomeno
auspicabile e opportuna. Se non altro per ricordare la differenza (troppo spesso
dimenticata) che c'è tra oppressi e oppressori, e che quando un popolo che fu
vittima si trasforma in carnefice allora non può più invocare a sua difesa i
torti subiti in passato. Enzo Lanciano Il razzismo israeliano Nel suo articolo
di giovedì scorso, Valentino Parlato si oppone fermamente al ventilato
boicottaggio della Fiera internazionale del libro di Torino che avrà Israele quale ospite d'onore. Le argomentazioni di Parlato
(di cui sono un estimatore) stavolta però non convincono. Nel taglio basso di
prima pagina scrive d'essere stato a favore del boicottaggio del Sudafrica, ma
gli israeliani, sostiene, non sono razzisti come lo erano gli afrikaner. A me
pare fuorviante stare a pesare il razzismo dell'uno o dell'altro (quando questo
è un tratto comune). Sul razzismo di Israele mi limito a rinviare al saggio "Le racisme de l'Etat
d'Israel" di Israel Shahak, che fu presidente della Lega dei diritti
dell'uomo di Israele, e al più recente "Shalom fratello arabo" di Nathan
Susan. Sugli effetti del razzismo israeliano parla ( almeno sul manifesto, per
fortuna di noi lettori) la cronaca quotidiana. Il boicottaggio ha senso
quando non è solo contro ma anche quando è per. Il boicottaggio del Sudafrica
fu contro l'apartheid e per sostenere la lotta di liberazione dei neri, come
era stato chiesto da Nelson Mandela. Il necessario boicottaggio della Fiera (ma
non solo di questa) sarebbe contro Israele, che pure
pratica l'apartheid, e per sostenere i diritti dei palestinesi, come chiedono
quest'ultimi, (vedi l'intervista a Omar Barghouti sul manifesto del 22 gennaio
scorso). Israele andrà difeso, quando opererà
realmente a favore della pace, nel rispetto del diritto internazionale, e non
perché gli ebrei furono trucidati nei campi concentramento. Argomentazioni di
questo tipo nuocciono allo stesso Israele! E se la
Fiera venisse boicottata dagli stessi Oz, Grossman, Yehoushua, dagli scrittori
israeliani e ebrei che si dicono a favore dei diritti dei palestinesi, quei
diritti che il loro paese continua a calpestare da sessant'anni? Se questi
intellettuali (si)chiedessero: cosa mai dovremmo festeggiare? La storia, antica
e moderna, è ricca di esempi di intellettuali che, coerentemente alle proprie
posizioni, si sono opposti anche fino alle estreme conseguenze, a scelte, errate,
e scellerate, dei propri governanti. Gaddo Melani Riva San Vitale Svizzera.
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Quarto giorno d'aria per
i palestinesi di Gaza
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
A Rafah, la barriera fra l'Egitto e la Striscia è ancora
giù. Ma presto gli egiziani la rimetteranno in piedi e Gaza tornerà un lager.
Pacifisti israeliani e palestinesi manifestano insieme al valico di Erez
Michele Giorgio Inviato a Erez La frontiera ancora aperta a Rafah non deve
illudere nessuno. Gaza era e rimane un territorio sotto assedio, stretto nella
morsa del blocco israeliano. Quando gli egiziani chiuderanno il valico, questo
lembo di terra palestinese tornerà ad essere una prigione. A ricordarlo a tutti
sono stati ieri un migliaio di pacifisti israeliani, attivisti palestinesi e
stranieri che, in convoglio, da varie città israeliane e da Gerusalemme hanno
raggiunto il valico di Erez, tra Gaza e Israele, per
consegnare aiuti umanitari e, più di tutto, per gridare al mondo di liberare il
popolo di Gaza. Un grido che non si è levato solo ad Erez perché, nello stesso
momento, si sono svolte manifestazioni in sostegno di Gaza in una trentina di
città di tutto il mondo tra cui Parigi, Boston, New York, San Francisco, Londra
e le italiane Roma, Modena, Bologna, Grosseto, Napoli e Milano. Giunti ad Erez
con auto e bus, israeliani, palestinesi e stranieri si sono diretti, scadendo
slogan in ebraico ed arabo, a piedi verso il terminal. Un corteo colorato,
composto di persone di tutte le età. Tante le bandiere, anche quelle rosse con
la falce e il martello, e striscioni, tra cui quello delle donne ebree e
palestinesi (molte delle quali velate) unite nella lotta. Gli interventi più
applauditi sono stati quelli di Uri Avnery, della professoressa Nurit Peled
Elhanan e del medico palestinese Eyad Sarraj che, grazie ad un collegamento
telefonico amplificato, ha parlato da Gaza per sottolineare l'importanza di una
saldatura delle forze progressiste e pacifiste israeliane e palestinesi nella
battaglia per la fine dell'occupazione. Jeff Halper, coordinatore del
"Comitato israeliano contro la demolizione delle case", si è rivolto
agli abitanti di Sderot che subiscono i lanci di razzi dalla Striscia di Gaza.
"Amici di Sderot - ha detto -, il governo Olmert vi tiene in ostaggio, vi
obbliga a vivere in una condizione di difficoltà e paura. Hamas ha proposto una
tregua immediata ma il governo continua ad ignorarla allo scopo di proseguire
la sua politica di assedio di Gaza. Uscite dalle vostre case, unitevi a noi
nella lotta nel progetto di una pace giusta per entrambi i popoli". Ad una
quarantina di km di distanza, dall'altra parte di Gaza, migliaia di palestinesi
continuavano a riversarsi, per il quarto giorno consecutivo, in territorio
egiziano approfittando dei nuovi varchi aperti nella barriera di confine dai
militanti di Hamas. Si passa anche con le automobili e gli autocarri e i
taxisti di Gaza ora organizzano tour turistici fino alla cittadina egiziana di el-Arish,
distante una sessantina di chilometri, per la somma di 40 shekel (circa 8
euro). Da ieri c'è anche un flusso in senso contrario, con centinaia di
commercianti egiziani che vengono nella Striscia per concordare nuove forniture
di generi alimentari e merci di ogni tipo. Non mancano anche gli egiziani
desiderosi di visitare un territorio martoriato alle porte del loro paese. Si
sono ripetuti gli scontri tra palestinesi e polizia di confine egiziana - il
Cairo riferisce del ferimento di una quarantina di agenti, alcuni dei quali
sarebbero in gravi condizioni - ma allo stesso tempo dall'Egitto giunge la
rassicurazione che la frontiera rimarrà aperta fino a quando i palestinesi non
avranno concluso i loro approvvigionamenti. La linea egiziana è mutata più
volte in questi giorni, sotto la spinta delle pressioni interne sul regime di
Mubarak, volte ad ottenere un aiuto più concreto ai palestinesi, e di quelle di
senso contrario provenienti da Usa e Israele. Il Cairo
ora sta cercando una via d'uscita politica e se da un lato lancia accuse ad
Hamas, dall'altro, dietro le quinte, dialoga con il movimento islamico
palestinese. Ieri il ministro degli esteri Ahmed Aboul Gheit ha rinnovato
l'offerta di ospitare al Cairo una conferenza per la riconciliazione fra i gruppi
palestinesi, già accettata da Hamas ma alla quale il presidente dell'Anp, Abu
Mazen, ha risposto con un secco "no" e ha posto come condizione la
rinuncia immediata del movimento islamico al controllo della Striscia di Gaza. Aboul Gheit ieri ha incontrato il premier del governo di
Ramallah, Salam Fayaad. Di Gaza si parlerà oggi a Gerusalemme durante il nuovo
incontro tra Abu Mazen e il premier israeliano Olmert. Abu Mazen ieri ha
chiesto ai gruppi armati palestinesi di fermare i lanci di razzi su Israele.
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La forza di resistere Un
incontro a Roma (sezione: Israele/Palestina)
( da "Manifesto, Il" del
28-01-2008)
Palestina La
forza di resistere Un incontro a Roma Geraldina Colotti Roma "La tenacia
di resistere, il coraggio di rifiutare". Questo il titolo dell'incontro,
promosso da un cartello di associazioni pacifiste (Donne in nero, Ebrei contro
l'occupazione, Fiom-Cgil, Prc-Se, Comunità palestinese Roma e Lazio, Arci) che
ieri a Roma per 4 ore ha tenuto alta l'attenzione nell'affollatissima sala
della rivista Carta. Sul grande schermo, la gente di Gaza che attraversa il
muro fatto saltare da Hamas con la dinamite: donne e bambini di quella società
civile, che è stata al centro della giornata globale dei Wsf. Al tavolo, i
pacifisti di Bil'in-Palestina (Basel Mansour), che
ogni venerdì manifestano mano nella mano. Bil'in è un piccolo villaggio che il
muro ha privato delle terre, nella colonia ebraica di Modi'in, in Cisgiordania:
una colonia importante, che prende le terre di cinque villaggi palestinesi.
Insediamenti che crescono rapidamente e stanno per ottenere lo statuto di
città, mostrando il ruolo del muro nella politica dei fatti compiuti di Israele. Sotto accusa, per questo, il silenzio colpevole
dell'Europa, incapace di una risposta efficace alle sollecitazioni degli
attivisti - ha detto Alessandra Mecozzi -, registrando "la regressione e
l'impotenza" dei movimenti di solidarietà per la Palestina,
sotto ricatto da parte di un'informazione "incapace di dire la verità su
quel che accade". Accenti ancora più amari quelli dell'europarlamentare
Luisa Morgantini, che ha riscontrato la perdita "di identità nazionale"
delle forze palestinesi, che si "presentano divise" al tavolo della
trattativa. E intanto, l'atteggiamento di Israele pone "un problema di legalità internazionale che travalica
il conflitto Israelo-Palestinese", e interroga l'efficacia e la praticabilità
degli obiettivi sostenuti fino ad ora da una parte dei movimenti di
solidarietà. "La soluzione due popoli due stati sta svanendo, anche i
pacifisti lo percepiscono - ha detto Lama Hourani (International women
commission, Gaza-Palestina)". Ma l'interrogativo
resta: "se Israele non accetta due stati divisi,
come potrebbe garantire pari diritti e opportunità ai palestinesi all'interno
di uno stesso stato?". Quanto Israele stia
diventando impermeabile alle richieste di pace che provengono anche dal suo interno,
lo ha mostrato il refusenik Noam Livne: "Abbiamo rifiutato il servizio
militare prima dello scoppio della seconda intifada dicendo: non attraverseremo
la linea verde con le uniformi militari. Quando siamo diventati tanti,
l'esercito al posto dei riservisti, più coscienti, ha mandato i soldati di leva
nei territori occupati. Oggi il rifiuto è meno netto. Dobbiamo trovare altre
modalità d'azione".
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( da "Manifesto, Il" del
28-01-2008)
Era il fondatore dell'Fplp la formazione marxista
dell'Olp. Aveva 81 anni, era nato a Lydda (Lod), dal '48 non era mai più
tornato in Palestina Michele Giorgio "George
Habash per noi era la coscienza della Palestina,
l'uomo che aveva cercato con la sua azione politica di tenere legate insieme la
memoria collettiva del nostro popolo con l'idea del progresso". Sono state
queste le parole che ci ha detto la parlamentare palestinese Khalida Jarrar
dopo l'annuncio del morte avvenuta ieri ad Amman del fondatore del Fronte
popolare per la liberazione della Palestina (Fplp),
formazione di marxista, la più importante dell'Olp subito dopo Fatah. E proprio
di Fatah e del suo leader Yasser Arafat (morto nel 2004), Habash era stato un
acceso rivale mettendone in continuo dubbio la linea politica che giudicava
rinunciataria e dannosa alla causa palestinese. A provocare la morte di Habash,
81 anni, è stato un attacco cardiaco: da molti anni era gravemente ammalato e
le sue condizioni erano peggiorate in questi ultimi mesi. La
sua scomparsa è avvenuta alla vigilia della ripresa del processo in Israele ad Ahmad Saadat, l'attuale segretario generale del Fplp. Israele ha ucciso all'inizio della seconda Intifada il predecessore di
Saadat, Abu Ali Mustafa. George Habash in Palestina non è
mai tornato dopo averla dovuta lasciare, come altre centinaia di migliaia di
palestinesi, nel 1948. Nato 1926 a Lydda (l'attuale città israeliana di
Lod) in una famiglia di commercianti di fede greco-ortodossa aveva diviso in
gioventù le sue passioni tra lo studio della medicina e il nazionalismo
palestinese. Divenne medico a Beirut e per questo in politica ebbe il
soprannome di "il dottore". Convinto marxista, cercò di coniugare la
lotta per la liberazione dei lavoratori con quella del suo popolo. Nel 1952
creò il Movimento dei nazionalisti arabi (di ispirazione nasseriana) e nel
1967, dopo la disfatta araba nella Guerra dei sei giorni con Israele,
fondò il Fplp, marxista-leninista, in aperta contrapposizione ideologica con
Arafat che a sua volta aveva preso il pieno controllo di Fatah. Dal Fplp un
anno dopo si staccarono due nuovi gruppi, il più moderato Fronte democratico
per la liberazione della Palestina (Fdlp) e il
Fplp-Comando generale (Fplp-Cg) controllato (ancora oggi) della Siria. Habash
visse in quegli anni tra Libano, Giordania e Siria, spesso ponendosi in
contrasto con le autorità locali a causa della sua attività che abbinava la
lotta per la Palestina con l'ideale rivoluzionario.
Divenne un leader noto in tutto il mondo per le operazioni dei combattenti del
Fplp, alle quali partecipavano talvolta anche rivoluzionari di altri paesi. Nel
1970 i suoi guerriglieri, allo scopo di ottenere la liberazione di prigionieri
politici, dirottarono tre aerei di linea in Giordania e, dopo aver liberato i
passeggeri, li distrussero. Per Habash solo la trasformazione radicale del
Medio Oriente e il rovesciamento di monarchie ed emirati alleati degli Usa e
delle ex-potenze coloniali, avrebbero potuto ridare pieni diritti ai
palestinesi e portare allo stesso tempo alla liberazione delle masse
lavoratrici arabe. Entrò, ma non solo per questa ragione, in aperto conflitto
con il sovrano hashemita Hussein che ordinò una dura repressione contro i
guerriglieri palestinesi in Giordania: il "Settembre nero". Habash
allora si rifugiò come molti altri palestinesi in Libano. Dopo l'invasione
israeliana del 1982, si spostò a Damasco. Nel '92 fu colpito da un ictus che lo
limitò molto ma non ciò non gli impedì di riconoscere i gravi limiti e, quindi,
di respingere gli accordi di Oslo tra Olp e Israele
che Arafat avrebbe firmato nel 1993. Con Habash se ne va un altro pezzo di
storia palestinese. Lo riconosce anche l'Anp di Abu Mazen che ha proclamato tre
giorni di lutto nazionale.
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I palestinesi
riconoscano Israele, rinuncino al terrore e aprano alla democrazia (sezione: Israele/Palestina)
( da "Stampa, La" del
28-01-2008)
LA PACE IN MEDIO ORIENTE COME SI
BATTONO I TERRORISTI "I palestinesi riconoscano Israele,
rinuncino al terrore e aprano alla democrazia" "Braccandoli,
aumentando le dimensioni dell'esercito e rafforzando l'intelligence".
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IL GIORNO DELLA MEMORIA
LAUREA HONORIS CAUSA A FIRENZE 0 Grossman 'colomba della Shoah' in volo contro
tutti i massacri (sezione: Israele/Palestina)
( da "Resto del Carlino,
Il (Nazionale)" del 28-01-2008)
Pubblicato anche in: (Giorno, Il (Nazionale))
IL GIORNO DELLA MEMORIA LAUREA HONORIS CAUSA A FIRENZE
Grossman 'colomba della Shoah' in volo contro tutti i massacri di LEONARDO
STURIALE SERVE una "colomba della Shoah" perché il Giorno della
Memoria sfugga ai rischi dell'obbligo rituale, trovi il proprio
"significato universale, non esclusivamente ebraico", non diventi
"un tributo pagato dal senso di colpa europeo". "Ogni ebreo, che
lo voglia o no, è un colombo viaggiatore della Shoah", dice David Grossman
(nella foto). E pochi sanno volare alti come lui. Lo scrittore israeliano, 54
anni compiuti da due giorni, laureato ieri honoris causa dall'Università di
Firenze, sale sul podio per raccontare la "sua" memoria, o meglio la
nostra. E' UNA LEZIONE sull'umanità, sull'arte che riporta al presente i
testimoni della tragedia, rende attuali, personali, gli interrogativi della
storia. Grossman, amatissimo dai lettori italiani che da ieri a Firenze si
accalcano per stringergli la mano, non è mai sfuggito a questo compito. Ne ha
fatto, anzi, la sua bandiera, a partire da Vedi alla voce: amore, il suo primo
capolavoro. Scritto, racconta Grossman, perchè "non avrei potuto
comprendere appieno la mia vita di essere umano, di padre, di ebreo, di
israeliano e di scrittore, fintanto che non avessi sperimentato, grazie alla
scrittura, l'esistenza che non avevo avuto laggiù, all'epoca della Shoah.
Dovevo capire se, e in che modo, sarei stato in grado di mantenere una parvenza
umana qualora mi fossi trovato laggiù, come una delle vittime o, Dio non
voglia, uno dei carnefici. Volevo sapere cosa un uomo deve cancellare, o
rimuovere, dentro di sé per poter essere parte di un meccanismo omicida. Per
poter sopprimere altri, o anche "soltanto" accettare quella
situazione in silenzio". Interrogativi che non riguardano solo
l'Olocausto, quella Storia e chi ne è testimone, diretto o indiretto, ma che
sono rivolte a tutti noi, oggi, nella nostra storia. Domande che concernono
"anche il nostro rapporto con gli stranieri, i diversi, i deboli di ogni
nazione del globo", aggiunge Grossman mentre punta il dito contro
"l'indifferenza che il mondo mostra, di volta in volta, verso episodi di
massacro in Ruanda, in Congo, in Kosovo, in Cecenia, nel Darfur". QUI STA
il significato universale della Giornata della Memoria, come la interpreta la
colomba Grossman. Qui sta anche la differenza tra lo scrittore e il cronista,
che segue piatto gli eventi, mettendo al riparo il lettore dal messaggio.
Grossman, che giornalista è stato, sa bene quale sia il potere dell'arte, la
sua, capace di sradicare l'uomo dalla routine dell'orrore proposta dai mass
media. Un costruttore di pace, come Grossman, parte da qui. E dal dolore di un
padre che ha perso il figlio Uri in battaglia nel luglio 2006, l'ultimo giorno di
una guerra in Libano di cui Grossman, insieme ad Amos Oz e Abrham Yehoshoua
aveva appena chiesto la fine. Ma ci crede ancora alla pace David Grossman?
"Ho sempre speranza, non posso permettermi il lusso di non averla. Ma il
momento è molto difficile sia per gli israeliani che per i palestinesi. E non
posso dire che i leader di entrambe le parti, siano in grado di fare ciò che
dovrebbero. Non ancora, almeno". - -->.
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Dal Gerrei alle Alpi per
salvare gli ebrei (sezione: Israele/Palestina)
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 28-01-2008)
Primo Piano Pagina 105 Dal Gerrei alle Alpi per salvare
gli ebrei Una medaglia di Israele ricorda il
finanziere Salvatore Corrias --> Una medaglia di Israele
ricorda il finanziere Salvatore Corrias Fu ucciso nel gennaio '45 a 36 anni dalle Brigate
nere per aver aiutato centinaia di ebrei a fuggire in svizzera. Ora l'Italia
ricorda Salvatore Corrias, eroico finanziere di San Nicolò Gerrei. Una medaglia
d'oro al merito civile e la medaglia dei giusti tra le nazioni sarà consegnata
alla memoria dell'eroico finanziere di San Nicolò Gerrei Salvatore Corrias.
L'appuntamento è per domani alle 11 presso il salone d'onore della caserma
Sante Laria a Roma, in Piazza Armellini. La consegna verra fatta dal Comandante
generale della Guardia di Finanza e dall'ambasciatore dello Stato d'Israele. Saranno presenti il sindaco di San Nicolò Gerrei
Silvestro Furcas ed il vice sindaco Maddalena Soro. "Sarà un momento di
grande commozione-dice Furcas.- un riconoscimento per la memoria di un eroe che
ha dato lustro a San Nicolò Gerrei ma anche a tutta la Sardegna. Le sue gesta
di altruismo non potevano essere dimenticate". In realtà di Salvatore
Corrias sino a qualche anno fa si sapeva molto poco. Nel 2004 il Comune di San
Nicolò Gerrei dopo aver letto un articolo su un giornale della diocesi di Ales,
si è occupato di questo suo eroe, promuovendo ricerche tra il Distretto
militare, la Guardia di finanza e il Comune di Moltrasio in provincia di Como
dove l'eroe aveva vissuto. "Abbiamo parlato con i familiari ancora
residenti in paese-racconta l'ex sindaco Umberto Buccella- decidendo di
dedicare a Salvatore una lapide che realizzata dallo scultore di Donori, Angelo
Casula, è stata inaugurata tre anni fa. E il minimo che si potesse fare per
ricordare le sue gesta". Salvatore Corrias fu ucciso 63anni fa dai
fascisti che lo avevano accusato di aver favorito la fuga in Svizzera di
centinaia di ebrei. Partito soldato, qualche anno dopo indossò la divisa di
finanziere. È stato un grande benefattore. Smessi i gradi, restò al confine,
salvò famiglie intere, soprattutto ebree. Ma quando fu scoperto, fu fucilato.
Purtroppo fu dimenticato. Qui a San Nicolò Gerrei lo ricordano in pochi.
"L'ho visto una sola volta - ricorda la nipote Cristina Furcas - ero
piccola. Torno a San Nicolò Gerrei in licenza, per qualche giorno. Poi, non
l'ho più visto. Di lui conserviamo tutti un grande affetto. È stato sicuramente
un eroe". Corrias nacque a San Nicolò Gerrei il 18 novembre del 1909.
Vent'anni dopo si arruolò nella Guardia di finanza. Durante la seconda guerra
mondiale, fu trasferito nel decimo Battaglione. Fece servizio in Albania.
Quindi il ritorno in Italia con destinazione Olgiate Comasco prima, e Moltrasio
dopo. Nel 1944, si affiliò alla Brigata Emanuele Arton , una organizzazione
partigiana. Così, Salvatore Corrias iniziò a fare la spola sul confine
svizzero: molte persone si salvarono grazie al suo eroismo. Il giornale La
Provincia di Como si è occupato di lui scrivendo che il giovane sardo ebbe una
parte importante nella storia del Movimento di liberazione comasco. Scoperto
dai fascisti, Corrias venne fucilato dalle Brigate nere della Repubblica
sociale. Era il gennaio di 63 anni fa. Aveva 36 anni. Una storia che non fece
il giro di San Nicolò Gerrei. Anzi, Salvatore Corrias, eroico Schindler sardo,
fu dimenticato. A San Nicolò Gerrei dopo la sua morte arrivò invece la
fidanzata, poi ripartita. Oggi in paese vivono alcuni cugini di Salvatore. Una
storia straordinaria. San Nicolò aveva il suo eroe e molti, di questo giovane
non sapevano nulla. Ora la festa a Roma, la medaglia d'oro che il sindaco
Silvestro Furcas porterà a fine settimana in paese. "Stiamo pensando di
esporla al museo. Una storia, quella di Salvatore, destinata così ad essere
tramandata nei cuori del paese. San Nicolò Gerrei non dimenticherà il suo
soldato-finanziere-eroe". RAFFAELE SERRELI.
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Hamas detta l'agenda di
Olmert e Abu Mazen (sezione: Israele/Palestina)
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 28-01-2008)
Esteri Pagina 109 Medio Oriente Hamas detta l'agenda di
Olmert e Abu Mazen Medio Oriente --> GERUSALEMME La necessità di
ridimensionare Hamas dopo il prestigio guadagnato fra i palestinesi con il
blitz che ha cancellato il confine fra Gaza ed Egitto, è stata ieri al centro
di un incontro a Gerusalemme fra il premier israeliano Ehud
Olmert e il presidente dell'Anp Abu Mazen. Poco prima del vertice, il governo
israeliano ha informato la Corte Suprema (che esaminava due appelli contro il
prolungato blocco della Striscia) di essere pronto a ripristinare "con
effetto immediato" le forniture a Gaza di generi di prima necessità nonché
di una quantità di gasolio che dovrebbe bastare a garantire il fabbisogno
della centrale elettrica locale. Hamas ha già chiarito che non si lascerà
mettere con le spalle al muro. L'ex primo ministro Ismail Haniyeh ha anticipato
che una delegazione di Hamas si recherà mercoledì da Gaza al Cairo per esigere
che "l'assedio alla Striscia sia rimosso" e che al valico di Rafah
sia mantenuta l'attuale apertura fino a un accordo che garantisca la fine
dell'embargo israeliano. Olmert e Abu Mazen hanno constatato con preoccupazione
che l'iniziativa di Hamas sul confine di Rafah, rischia di scardinare
definitivamente gli accordi raggiunti due anni fa.
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Elie Wiesel: La Shoah
resta il Male assoluto
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Unita, L'" del
28-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Elie Wiesel: "La
Shoah resta il Male assoluto" di Umberto De Giovannangeli / Segue dalla
prima R icordare non è solo un tributo ai milioni di donne e uomini annientati
nei lager. "L'antisemitismo e l'odio razziale - riflette Wiesel - segnano
anche questo inizio secolo. Non posso perdonare gli aguzzini e coloro che ne
esaltano le gesta". Parla a ragion veduta, il grande scrittore, Lui il
mostro nazista l'ha visto negli occhi: "Non credo - afferma - che esista
il Bene assoluto, nella mia vita, almeno, non l'ho mai incontrato . Ma il Male
assoluto l'ho conosciuto e da allora non mi ha più abbandonato: l'ho visto
negli occhi dei nostri carnefici, e nelle pietose giustificazioni di chi
ripeteva: "Io non c'entro, non sapevo" e lo ritrovo anche oggi in chi
nega che l'Olocausto fu innanzitutto il tentativo di annientare gli
ebrei". Oggi ricorda Elie Wiesel, lo spettro di una nuova Shoah torna ad
essere agitato da "una figura che non può avere un posto nel panorama dei
leader politici internazionali. Dovrebbe diventare "persona non
grata", per ciò che sta facendo al suo Paese, al suo popolo, a tutta
l'umanità. Il nome di questa persona è Mahmoud Ahmadinejad: costui rappresenta
la parte più buia dell'orizzonte politico odierno". "Spero che il
2008 - afferma Elie Wiesel - possa essere davvero l'anno della pace in Medio
Oriente", ma lo scenario internazionale, e non solo quello mediorientale,
è segnato pesantemente dalla crescente insicurezza globale dovuta al terrorismo.
"Stiamo lasciando alle nuove generazioni un mondo pieno di paura -
riflette il grande scrittore della Memoria - cosa ne faremo, lo trasformeremo
in una fortezza?". Nella Giornata della Memoria, è importante raccontare
soprattutto ai giovani cosa è stato l'Olocausto. Compito a cui lei non si è mai
sottratto. A un ragazzo di oggi che le chiedesse: cosa è stato l'Olocausto?,
che risposta darebbe? "È stato il Male assoluto. Ecco cosa è stato. Ciò
che ha caratterizzato quel periodo fu una determinazione assoluta nel
pianificare e condurre a compimento l'annientamento di un popolo. Questo è
stato l'Olocausto, in questo consiste la sua novità rispetto al passato: per la
prima volta nella storia, si intendeva eliminare completamente dalla faccia
della terra un popolo. Gli ebrei non furono perseguitati e sterminati per
motivi specifici, perché credevano o non credevano in Dio, perché erano ricchi
o poveri, o perché professavano ideologie nemiche: no, gli ebrei venivano
uccisi, umiliati, torturati per il semplice fatto di essere tali. Perché erano
colpevoli di esistere: questo è l'orrore incancellabile della Shoah". La
memoria dell'Olocausto sembra smarrirsi: c'è chi afferma che ciò è un bene, che
ricordare serve solo a perpetuare antiche divisioni. "No, no, sono
assolutamente contrario. Dimenticare le vittime significa null'altro che
infliggere loro una seconda morte! Una vera riconciliazione, inoltre, non può
avvenire che a partire dal ricordo, preservando la memoria di ciò che furono
quegli anni. È vero: oggi c'è chi esalta l'oblio, chi ritiene giunto il momento
di archiviare il passato. A questa operazione sento il dovere morale di
ribellarmi, ieri come oggi: perché per nessuna ragione al mondo è possibile
cancellare la distinzione tra il carnefice e la sua vittima. Ed ancor oggi
l'Olocausto insegna che quando una comunità viene perseguitata tutto il mondo
ne risulta colpito". Molti dei suoi libri hanno trattato il tema della
memoria, del ricordo e dell'oblio, e di come la tragedia dell'Olocausto si è trasmessa
di padre in figlio nel popolo ebraico, in Israele e
nella Diaspora. "È il tema dell'identità ebraica, della sua specificità
che non va smarrita ma che non deve mai essere vissuta come
"separazione" dal mondo dei "Gentili". In uno dei miei
libri, L'oblio, (Bompiani), il protagonista sintetizza così il suo essere
ebreo: "Se sono ebreo, sono un uomo. Se non lo sono, non sono nulla. Solo
così potrò amare il mio popolo senza odiare gli altri". Questo mi ripetevo
allora, nei giorni di Buchenwald, quando i nostri aguzzini volevano cancellare
la nostra identità, prima di negarci la vita, per ridurci solo a numeri, quelli
marchiati a fuoco sulle nostre braccia. Ma non ci sono riusciti: hanno ucciso
sei milioni di ebrei ma non sono riusciti a cancellare la nostra identità. Ed è
per questo che oggi, nella Giornata della Memoria, posso dire con il mio
Malkiel (il protagonista dell'Oblio, ndr.): è proprio perché amo il popolo
ebraico che trovo in me la forza per amare quelli che seguono altre tradizioni.
Un ebreo che nega se stesso non fa che scegliere la menzogna". Signor
Wiesel, per chi ha vissuto l'esperienza dei lager nazisti ha un senso la parola
"perdono"? "È la domanda che ha accompagnato la mia esistenza di
sopravvissuto. Ma parole come perdono o misericordia non trovano posto
nell'inferno di Auschwitz, di Buchenwald, di Dachau, di Treblinka.. No, non è
possibile perdonare gli aguzzini di un tempo e coloro che ancora oggi ne
esaltano le gesta. In questi sessantatre anni, ho pregato più volte Dio e la
preghiera è la stessa che recitavo quando ero rinchiuso nel lager: "Dio di
misericordia, non avere misericordia per gli assassini di bambini ebrei, non
avere misericordia per coloro che hanno creato Auschwitz, e Buchenwald, e
Dachau, e Treblinka, e Bergen-Belsen.Non perdonare coloro che qui hanno
assassinato. Ma questo non vuol dire condannare per sempre il popolo tedesco,
perché noi ebrei, le vittime, non crediamo nella colpa collettiva. Solo il
colpevole è colpevole". Dal passato che non passa, ad un presente inquietante.
Lei ha usato parole durissime contro il presidente iraniano Ahmadinejad.
Perché? "Perché costui, nel ridicolizzare le verità storicamente
accertate, nell'offendere la memoria dei sopravvissuti all'Olocausto ancora
vivi, glorifica l'arte della menzogna. Da numero uno dei negazionisti al mondo,
da antisemita con una mente disturbata, dichiara che la "soluzione
finale" di Hitler non è mai esistita. E non basta. Secondo Ahmadinejiad,
non c'è stato un Olocausto nel passato, ma vi sarà nel futuro. Elucubrazioni di
un fanatico? Sì, ma il fanatico si rivolge a folle che plaudono alle sue idee.
Parole vuote? Lui non parla per nulla. Sembra impegnato nel mantenere le sue
"promesse". Sarebbe un errore mettere in dubbio la sua
determinazione. Una persona non predica odio per niente. Appartengo a una
generazione che ha imparato a prendere sul serio le parole del nemico. Anche
perché queste parole sono accompagnate da fatti: chi c'è dietro
l'organizzazione terrorista degli Hezbollah? L'Iran. L'Iran li fornisce di tutte
le armi più sofisticate e degli ufficiali che addestrano le loro milizie. Ma
cosa vogliono gli Hezbollah? Concezioni territoriali? No. La
creazione di uno Stato palestinese che viva fianco a fianco con Israele, cosa che personalmente mi auguro? No. L'unico obiettivo di
questo movimento - e del presidente iraniano - è la distruzione di Israele. Ecco perché io sostengo che Ahmadinejad non può avere un posto
nel panorama dei leader politici internazionali. Dovrebbe diventare
"persona non grata", per quello che sta facendo al suo Paese, al suo
popolo, a tutta l'umanità". Nella sua visita in Israele,
il presidente Usa Bush, al museo dello Yad Vashem, si è chiesto del perché gli
Alleati non avessero bombardato prima Auschwitz. Secondo un filone
storiografico, ciò non avvenne perché gli Alleati temevano che bombardando
avrebbero ucciso migliaia di prigionieri del campo. "Questa motivazione
non regge. Prima però mi lasci dire che ho molto apprezzato le parole del
presidente Bush. Il suo è stato un atto di coraggio che è mancato ai suoi
predecessori.". Lei parlava di una scusa. "Io ero ad Auschwitz. E
posso dirle che ogni volta che assieme ai miei compagni di sventura sentivamo
gli aerei sorvolare Auschwitz, pregavamo che bombardassero: sarebbe stata una
morte preferibile alle camere a gas. La verità è che non solo gli
angloamericani ma anche i russi, avrebbero potuto bombardare i binari della
ferrovia che portava ad Auschwitz. In tal modo si poteva salvare la vita di
decine di migliaia di ebrei. Così non è stato. E credo che il rimorso per non
aver dato l'ordine di bombardare abbia accompagnato i responsabili per tutta la
loro vita". GIORNO DELLA MEMORIA Parla lo scrittore premio Nobel nel 1986:
"Dimenticare è impossibile e significherebbe uccidere una seconda volta le
vittime. Ma non c'è solo il rischio dell'oblio: Ahmadinejad e il terrorismo
sono pericoli reali".
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La memoria - (segue
dalla prima pagina) (sezione: Israele/Palestina)
( da "Repubblica, La" del
28-01-2008)
Cultura LA MEMORIA il discorso di david grossman
all'università di firenze i due ebrei salvati da una prostituta e la shoah Gli
interrogativi che quella tragedia ci pone riguardano anche i nostri rapporti
con gli stranieri, i diversi, i deboli di ogni nazione La storia di Leib ed
Ester Rochman non è fra le più terribili. Eppure racchiude una tale sofferenza
che da anni non mi dà pace (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Lo
scrittore israeliano ha ricevuto ieri a Firenze la laurea ad honorem.
Pubblichiamo parte del discorso che ha letto durante la cerimonia. E noi,
rappresentanti di questa generazione, di tutti i popoli e le religioni,
comprendiamo l'incisività e l'attualità degli interrogativi che la Shoah ci
prospetta e la rilevanza che hanno ancora oggi, soprattutto oggi? Queste
domande concernono, peraltro, anche il nostro rapporto con gli stranieri, i
diversi, i deboli di ogni nazione del globo; concernono l'indifferenza che il
mondo mostra, di volta in volta, verso episodi di massacro in Ruanda, in Congo,
in Kosovo, in Cecenia, nel Darfur; concernono la malvagità e la crudeltà del
genere umano che nel periodo della Shoah si profilarono come concreta
possibilità di comportamento. In che modo trovano espressione nella nostra vita
e quale influenza hanno sulla conformazione e sulla condotta del genere umano?
In altre parole: la memoria che serbiamo della Shoah può essere veramente una
sorta di segnale d'avvertimento morale? E siamo noi in grado di trasformare i
suoi insegnamenti in parte integrante della nostra vita? (...) Mentre gli altri
popoli possono, con relativa facilità, evitare di riflettere sulle conseguenze
della Shoah ? e dunque sfuggire a un dibattito profondo che le concerne ? noi,
in Israele, siamo condannati a dibatterle ripetutamente,
a cadere talvolta nella trappola dell'angoscia esistenziale che la Shoah ha
scavato in noi, a definire gli aspetti significativi della nostra vita nei
termini categorici, estremi, che la Shoah ha lasciato impresso in noi. In un
certo senso si può dire che il popolo ebraico, e di fatto quasi ogni ebreo, sia
un colombo viaggiatore della Shoah, che lo voglia o no. Ma affinché questa
disquisizione non rimanga a un livello puramente teorico, non appaia come una
sorta di dissertazione filosofica distante dagli esseri umani, vorrei
raccontarvi una storia di quel periodo. Non è una storia particolarmente
traumatica. Ne ho sentite di più brutte e terribili. Eppure racchiude una tale
sofferenza e un tale dolore che da anni non mi dà pace. Si tratta della vicenda
di un giornalista ebreo polacco di nome Leib Rochman. Negli anni Trenta del
secolo scorso Rochman scriveva per un giornale in yiddish pubblicato a
Varsavia. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale fece ritorno alla
cittadina nella quale era nato, Minsk Mazowiecki, situata a est di Varsavia,
dove si attivò come "assistente sociale" tra gli ebrei del ghetto,
facendo meraviglie nel procacciare cibo agli affamati. Nel 1942 sposò Ester,
anch'ella nativa del luogo, e tre mesi dopo i nazisti sterminarono la comunità
ebraica. Dei seimila ebrei della cittadina ne rimasero meno di venti. Leib ed
Ester, insieme con la sorella minore di quest'ultima, riuscirono a mettersi in
salvo e a trovare rifugio presso una donna polacca il cui soprannome era "Ciotka",
zia in polacco, un'anziana prostituta cordiale e piena di vita. (...) Nel suo
salotto Ciotka costruì per Leib ed Ester una parete-nascondiglio, a poca
distanza da quella originaria. Leib, sua moglie e sua cognata vissero
nell'intercapedine tra le due pareti per quasi due anni. A un certo punto
decisero di portarvi anche Haim, il fratellino minore di Ester, tenuto
prigioniero in un campo dei dintorni, e consegnarono a Ciotka del denaro
affinché si recasse al campo, corrompesse le guardie, liberasse Haim e lo
conducesse da loro. Ciotka si mise in viaggio ma strada facendo bevve un po',
divenne allegra, passò accanto a una fiera, salì su una giostra, si divertì e
quando finì di spendere tutto il denaro che aveva con sé tornò a casa senza
Haim. Quella notte i tedeschi giustiziarono tutti i prigionieri del campo e
anche Haim morì. Quando Leib ed Ester vennero a sapere che Haim non era più in
vita decisero di salvare un altro ebreo che, per quanto non fosse loro amico
stretto, possedeva una vasta cultura ebraica e parlava la lingua della Bibbia.
Poiché credevano che non fossero quasi rimasti ebrei al mondo, ritennero
indispensabile tentare di salvare chi potesse perpetuare lo spirito e la
tradizione ebraica. (...) Rimasero nascosti fino alla fine della guerra, quando
poterono uscire. Leib Rochman era molto malato e debole. I cinque abbandonarono
il nascondiglio e si misero in viaggio, senza sapere per dove. (...) Ovunque
andassero la gente li indicava e diceva stupita, in tono di scherno: ma come,
sono rimasti così tanti ebrei? Una notte trovarono rifugio in un campo di
prigionieri vuoto, il cui recinto era stato sfondato, e lì trascorsero la
notte. C'erano giacigli e tavolacci e su quelli dormirono. La mattina, al loro
risveglio, scoprirono di essere nel campo di concentramento di Meidanek,
liberato un paio di giorni prima dai russi, e di aver dormito sui letti dei
prigionieri. Alla luce del giorno gironzolarono per il campo e all'improvviso
videro la Shoah. Non sapevano esattamente che cosa fosse avvenuto negli ultimi
due anni e ora vedevano davanti a sé mucchi di cadaveri e i cumuli di cenere di
chi era stato bruciato. Non riuscivano a crederci: tutto era lì, sotto i loro
occhi, eppure non riuscivano a capacitarsi che fosse successo veramente, che
una cosa simile fosse stata possibile. A quel punto si imbatterono in un gruppo
di ufficiali e di guardie del campo catturati dai russi. I soldati dell'Armata
rossa accerchiavano i tedeschi che stavano seduti al centro, prigionieri. Così,
nello stesso giorno, Leib e compagni videro le vittime e i carnefici. I
carnefici in carne ed ossa. Non qualcosa di astratto, un qualche simbolo del
male. Lì, davanti a loro, erano gli assassini che avevano messo in atto il
piano della "soluzione finale". Di colpo Leib Rochman non fu più in
grado di sopportarlo. Corse verso un soldato russo e gli strappò di mano il
fucile, con l'intenzione di sparare ai tedeschi. Fermo davanti a loro prese la
mira, ma non riuscì a premere il grilletto. Quasi impazzì, urlò, odiò se
stesso, ma non poté farlo. Allora gridò, in yiddish: Aufstein, Fallen! ? In
piedi! A terra! I tedeschi, sicuri che stesse per ucciderli, fecero ciò che
ordinava loro, terrorizzati. Scattarono in piedi e si lasciarono cadere a
terra, più volte. Leib capì che non sarebbe riuscito ad ammazzarli. Non sapendo
cosa fare buttò via il fucile, si ritirò in disparte e scoppiò a piangere, a
tossire e per la prima volta sputò sangue. Allora scoprì di essere malato di
tubercolosi. Leib ed Ester Rochman ebbero molte altre vicissitudini, attraversarono
numerose nazioni e alla fine giunsero nella terra di Israele.
Si stabilirono a Gerusalemme ed ebbero un figlio e una figlia. Quest'ultima, la
poetessa Rivka Miriam Rochman, è una mia cara e buona amica ed è da lei che ho
appreso questa storia. Leib Rochman fu giornalista dell'emittente radio
israeliana "Kol Israel" ma per gran parte della sua vita si dedicò
alla scrittura. Pubblicò due romanzi e una raccolta di racconti che ritengo
esempi meravigliosi di letteratura innovativa, profonda, che discende negli
abissi dell'animo umano. Questa è la storia sua e di sua moglie Ester. Ci sono
altre milioni di storie come questa. Ogni persona morta, o sopravvissuta, è una
vicenda a sé e tutte queste storie, in apparenza, si mantengono su un piano
totalmente diverso da quello su cui sono dibattute oggi le grandi
"questioni" relative alla Shoah, sempre che siano dibattute. Tali
questioni vertono soprattutto sulla negazione della Shoah, sull'incremento del
numero dei neo-nazisti in diverse nazioni e sul rafforzamento
dell'antisemitismo nel mondo. Negli ultimi anni la discussione circa il diritto
dei tedeschi di considerarsi vittime di quella guerra al pari di altri popoli,
o addirittura di creare una simmetria ? errata e inammissibile a mio parere ?
tra la loro sofferenza e quella degli ebrei durante la Shoah, si fa sempre più
accesa. Le vicende personali di Leib ed Ester Rochman, così come quelle di
altri milioni di persone, si mantengono, come ho detto, su un piano diverso, ma
senza di esse un dibattito sulla Shoah non sarebbe completo e sarebbe
impossibile creare un legame emotivo tra le generazioni future e ciò che
avvenne allora. Dirò di più: senza quelle storie personali il dibattito sulla
Shoah potrebbe talvolta apparire un tentativo inconsapevole di difendersi
dall'orrore palese. E, spingendoci oltre, si potrebbe ipotizzare che senza di
esse il dibattito generico, di principio, si spegnerebbe lentamente. Proprio le
vicende individuali, private, sono il "luogo" più universale, la
dimensione entro la quale è possibile creare il senso di identificazione umana
e morale con le vittime che permette a chiunque di porsi ardui interrogativi:
come mi sarei comportato io se fossi vissuto a quell'epoca, in quella realtà?
Come mi sarei comportato se fossi stato una delle vittime, o un connazionale
degli aguzzini? Ho l'impressione che fino a che non risponderemo a queste
domande ? ognuno per conto proprio ? fino a che non ci sottoporremo a questo
auto-interrogatorio, non potremo dire a noi stessi di aver affrontato pienamente
ciò che avvenne laggiù. E se non lo faremo, dimenticheremo. Più si assottiglia
il numero dei sopravvissuti ? e malgrado il lavoro di documentazione portato
avanti da "Yad vaShem", il museo israeliano dedicato alla memoria
delle vittime della Shoah, e, nell'ultimo decennio, dall'archivio Spielberg ?
più cresce l'importanza dell'arte quale possibile mezzo per affrontare questi
interrogativi. La letteratura, la poesia, il teatro, la musica, il cinema, la
pittura e la scultura sono i "luoghi" in cui l'individuo moderno può
affrontare la Shoah e sperimentare le sensazioni e la particolare esperienza
umana che la ricerca e il dibattito accademici solitamente non sono in grado di
far rivivere. Traduzione di Alessandra Shomroni.
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Israeliana la guerra in
Libano continua a far danni
(sezione: Israele/Palestina)
( da "Riformista, Il" del
28-01-2008)
Israeliana la guerra in Libano continua a far danni
Olmert rischia grosso, il falco Bibi è già pronto Gerusalemme. La resa dei
conti ha una data precisa. Mercoledì 30 gennaio. Esce quel giorno la seconda e
ultima parte del rapporto Winograd, la relazione sul comportamento dei vertici
politico-militari israeliani durante la guerra in Libano dell'estate 2006. Non
che si aspettino grandi sorprese dal rapporto del comitato messo in piedi
nell'autunno di quello stesso anno, sotto la spinta del malumore popolare per
le decisioni prese negli ultimissimi giorni del conflitto. Giorni
cruciali, quando Israele lanciò un'operazione di terra disastrosa dal punto di vista
militare, inutile da quello diplomatico, dolorosa per i soldati morti quando il
cessate il fuoco era già stato deciso. L'entrata in guerra non viene messa in
discussione da nessuno, popolazione o leadership che sia. Ma il Winograd
seconda parte si occupa, nello specifico, dei giorni immediatamente precedenti
il 14 agosto. E, dicono tutte le indiscrezioni, sarà durissimo con gli uomini
che erano allora alla barra di comando. Dopo le dimissioni del capo di stato
maggiore Dan Halutz e del ministro della difesa Amir Peretz, resta ora solo
Ehud Olmert, al vertice della catena decisionale. Il suo destino, dunque, è il
vero rovello aperto dal comitato presieduto dal giudice a riposo Elyahu
Winograd. Resterà? Si dimetterà? Sarà messo in minoranza? C'è un gruppo ben
preciso che chiede a gran voce le dimissioni di Olmert. Sono i riservisti e le
famiglie che hanno perso i propri figli negli ultimi giorni della guerra. Figli
mandati a morire senza motivo, accusano. Ma questo giudizio, sostenuto dalla
maggioranza silenziosa d'Israele, nasconde anche un
retrogusto strettamente politico. Perché la figura più nota del gruppo è Uzi
Dayan, discusso leader di un partito, il Tafnit, che si è presentato alle
elezioni del 2006 proponendo di attuare la seconda parte del disimpegno voluto
da Ariel Sharon: costruzione veloce del Muro di separazione e frontiere decise
su basi demografiche, inglobando le grandi colonie israeliane in Cisgiordania.
Senza ottenere neanche un seggio in parlamento. Dayan fa gli interessi di
Benjamin Netanyahu, dice chi lo contesta, visto che "dimissioni significa
elezioni anticipate". E i sondaggi prevedono una valanga di consensi per i
pezzi da novanta della destra: Benjamin Netanyahu, Arkadi Gaydamak, Avigdor
Lieberman. Certo è che il gruppo dei riservisti e delle famiglie investite dal
lutto della guerra sta facendo lobby su tutti quelli che contano. Negli stessi
giorni in cui anche altri due attori, diversissimi tra di loro, hanno inciso
sul caso Winograd. L'ex ambasciatore Usa all'Onu, John Bolton, che nella sua
visita in Israele della scorsa settimana ha raccontato
una verità diversa su quei giorni d'agosto 2006, quando il telefono tra
Washington e Tel Aviv era rovente e al Palazzo di Vetro si cercava di metter su
una risoluzione che facesse tacere le armi. E Hassan Nasrallah, il leader
carismatico di Hezbollah, che ha usato la questione dei soldati israeliani nel
sud del Libano per incidere sul futuro del governo Olmert, sostenendo che
Tsahal si è lasciato alle spalle, ritirandosi, i corpi dei suoi uomini. È
questo il nodo cruciale del rapporto Winograd, quello sul quale Olmert rischia
di cadere. Mentre alle sue spalle c'è una lunga lista di pretendenti, volontari
o involontari che siano. Come Shaul Mofaz, durissimo contro chi ha condotto la
guerra del 2006. L'ex
capo di stato maggiore ed ex ministro della difesa sta cercando da tempo di
essere il candidato di Kadima, il partito del premier, ipotetica fase del
dopo-Olmert. Un tentativo insidiato da Tzipi Livni, che domenica ha incontrato
- ultima di una serie di leader - proprio il gruppo delle famiglie dei
riservisti morti. La scelta deve aver irritato il premier, a giudicare dal
comunicato stizzito emesso prima dell'incontro, ma ha anche evidenziato che
qualcosa dentro Kadima si sta muovendo. Chi perderebbe dalle dimissioni di
Olmert è Ehud Barak, e il Labour. Barak aveva promesso di lasciare il governo
se il rapporto Winograd fosse stato duro. Ma ora non è più così sicuro. Perché
i sondaggi parlano di una debacle per il Labour in caso di elezioni anticipate.
E poi, se Olmert facesse un passo indietro, Barak potrebbe aspirare a
sostituirlo, in un governo di emergenza nazionale. Meglio stare a guardare,
dunque. Chi non starà a guardare è lo Shas, il partito dei sefarditi religiosi
che ha già espresso la sua contrarietà a negoziati israelo-palestinesi sulla
divisione di Gerusalemme. Domenica, a casa di Rabbi Ovadia Yosef, il leader
spirituale del partito, si è riunito il consiglio rabbinico, i saggi dello
Shas. Si dice che l'uscita dal governo ormai sia questione di giorni. E senza
quei voti, Olmert perderebbe la maggioranza già erosa dall'abbandono di Yisrael
Beitenu. 28/01/2008.
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GENERAZIONI A CONFRONTO UN
CAFFE' CON MADGI ALLAM, L'EGIZIANO CHE DISSE "VIVA ISRAELE" (sezione: Israele/Palestina
)
( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)
Sulle spalle di un gigante dai piedi d'argilla Il
problema dell'Onu è la mancanza di un'identità di base Per una serie di
peripezie che non sto qui a raccontarvi, nei giorni subito dopo le feste
natalizie mi sono ritrovato ad accettare, insieme a un gruppo di amici
fabrianesi, un invito a una tavola rotonda informale a casa di Magdi Allam.
Nell'elegante salotto straripante di libri e premi d'ogni sorta, attorno ad un
desco riccamente imbandito di bevande e cibarie per tutti i gusti, il discorso
non tarda a prender piede. Emergono prepotentemente i temi chiave dell'etica
del giornalismo e dell'uso corretto dei mezzi d'informazione: "Faccio
molta fatica a seguire quotidiani e telegiornali. Allo stato attuale è
veramente difficile parlare di giornalismo etico, specialmente quando ci si
ritrova bombardati da continue mistificazioni della realtà e da uno
sconcertante relativismo dell'informazione. Tutto diventa chiacchiera, mero
pettegolezzo. C'è spazio solo per cronaca nera e sensazionalismo".
Riscaldati gli animi con questo breve prodromo, ecco arrivare come una valanga
i più svariati interrogativi. In primo luogo urgono
chiarimenti su Viva Israele, l'ultimo libro del vice del Corriere della sera: "Il mio è
volutamente un titolo politicamente scorretto. Non pensate che "viva Israele" significhi abbasso Palestina, io sono
per il diritto alla vita di tutti. Ritengo che l'affermazione di un valore come
questo sia però realizzabile solo attraverso il riconoscimento dello Stato d'Israele e l'eliminazione di molti pregiudizi. Ci tengo poi a
precisare che non c'è alcun nesso tra la stesura di questo libro ed il
ricevimento del premio Dan David. Basta ripercorrere i miei articoli per
rendersi conto di come sostenessi la causa di Israele
già da molto prima". Nel giro di poco poi ci si ritrova a discutere della
questione mediorientale e dei problemi legati al mondo arabo. Ci si chiede
innanzitutto cosa sia cambiato nella mentalità di questi Paesi con il passare
del tempo: "Rispetto agli anni Cinquanta, periodo in cui, perlomeno in
Egitto, era diffuso un clima liberale, dove le donne non indossavano il velo e
non c'erano problemi a predicare religioni differenti da quella musulmana,
oggi, nei Paesi arabi si assiste ad un pressante ritorno all'integralismo.
Ricordo la scuola cristiana che frequentavo da ragazzo. Allora era circondata
solo da una recinzione a giorno che serviva unicamente a delimitarne il
cortile. Tornandoci poco tempo fa mi ritrovai di fronte ad un alto muro di
cemento armato, un chiaro simbolo di scissione tra due mondi, una trincea
difensiva innalzata contro le ostilità provenienti dal radicalismo e dal
terrorismo". Si arriva ad approfondire la questione degli attentati:
"Non crediate che i terroristi di cui tanto si parla oggi siano solo gente
povera e disperata. Basti pensare che molti sono di origine Saudita, originari
quindi di un paese alquanto benestante. Alcuni di questi suicidi sono
britannici e molti altri francesi, tutti comunque appartenenti a famiglie di
rango medio-alto. Oggi si diventa terroristi soprattutto su base
ideologica". Proseguiamo quindi in un crescendo di botta e risposta a
proposito degli innumerevoli conflitti scoppiati, delle varie personalità
susseguitesi nel vasto teatro del potere e dei trattati di pace mancati. Le
provocazioni da parte nostra non mancano, ma forte delle sue conoscenze nel
campo il padrone di casa contrappone alle nostre insidie un quadro personale
preciso ed estremamente nitido: "Sono contrario alla guerra, ma allo
stesso tempo ripudio la sottomissione a tiranni e carnefici. Ritengo
impensabile che si sia manifestato esclusivamente contro Bush e l'America,
quasi a voler intentare un processo, e che non si sia protestato invece contro
le migliaia di morti provocate dai regimi mediorientali". Giungiamo quasi
agli sgoccioli e nelle poche decine di minuti rimastici ci concediamo giusto un
paio di pareri conclusivi sulla situazione europea ed italiana: "L'Onu
oggi è un organismo fortemente screditato ed inefficace nella gestione delle
crisi internazionali. Il suo problema principale, che è poi lo stesso
dell'Unione Europea, consiste nella mancanza di un quadro di valori
fondamentali e quindi di un'identità di base. Già affermare su scala generale
l'applicazione di valori come il diritto alla vita e la democrazia sarebbe un buon
inizio. Allo stato attuale le Nazioni Unite e ancora meglio L'Unione europea
con 27 paesi tanto eterogenei sono paragonabili solo ad un gigante dai piedi
d'argilla, una fragile mescolanza di adesioni indistinte". E prosegue:
"Della situazione italiana già avevo parlato nei miei articoli in cui
mostravo l'atteggiamento troppo accomodante adoperato dalle istituzioni nei
confronti di predicatori delle ideologie dell'odio, come nel caso di Abu Imad,
o circa le concessioni di poligamia, illegale nel territorio italiano, per non
riconoscimento dell'unione matrimoniale secondo rito musulmano. I motivi di
questa sorta di sottomissione sono essenzialmente due: la convinzione della
classe politica di non dover agire per evitare di acuire tensioni e di rompere
equilibri sociali ed in secondo luogo l'interesse economico per il fabbisogno
di petrolio e gas, una vera e propria dipendenza che può essere combattuta solo
rivalutando la questione del nucleare". Gioele Maria Pignati, 19 anni,
Fabriano (An) 28/01/2008.
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( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Pagina I - Firenze Grossman riceve la laurea honoris
causa nel giorno della Memoria "L'arte ci aiuta contro il male"
FULVIO PALOSCIA "I rapporti tra Israele e Palestina? Nutro sempre speranza, non posso permettermi il lusso di non
farlo. Ma è un momento difficile, e non posso certo dire che entrambi i leader
stiano facendo quello che serve per una pace possibile. Non ancora". Lo
scrittore israeliano David Grossman parla con pacatezza mista ad emozione
mentre nell'aula magna dell'ateneo risuona ancora l'interminabile
applauso, la lunga standing ovation che ha accolto la sua lectio magistralis e
che dal tavolo dei docenti universitari in pompa magna si è abbattuta come
un'onda di commozione su tutto il pubblico (tra gli altri, i senatori Massimo
Livi Bacci e Vittoria Franco, il deputato Valdo Spini, il rabbino capo di
Firenze Yoseph Levi). Grossman (che oggi terrà l'intervento di chiusura, alle
12.30, del convegno "Sterminio e stermini" al Mandela Forum) ha
ricevuto ieri dall'Università di Firenze la laurea honoris causa "per le
alte qualità artistiche e l'illuminato impegno civile". Un'onoreficenza
conferita proprio nel Giorno della Memoria: "Se non vogliamo che il
dibattito sulla Shoah diventi un obbligo - spiega l'autore di Vedi alla voce
amore - dobbiamo capire che l'arte è un mezzo che può restituire, a noi che non
l'abbiamo vissuta sulla nostra pelle, tutta la drammaticità e gli insegnamenti
della Shoah. Abbiamo senza dubbio bisogno di ricerche accademiche, ma certa
astrattezza deve calarsi nella realtà concreta delle storie". L'arte
"ci aiuta a stare in guardia contro il male. Dobbiamo stare sempre molto
attenti e individuare quando cominciamo a essere conniventi con il male, quando
ci abituiamo ai meccanismi di manipolazione: nella vita politica, nel quotidiano,
nel nostro rapporto con gli stranieri, con gli sconosciuti". Il discorso
vale sia per la narrazione che per il giornalismo: "Quando scrivo per i
giornali - dice Grossman - cerco di offrire un nuovo punto di vista sulle cose
e di non allontanare chi legge dalla verità. Come narratore, racconto storie;
come giornalista, le spiego".
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( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Gaza Il vertice Olmert promette aiuti umanitari
GERUSALEMME - La necessità di ridimensionare Hamas, cresciuto di popolarità fra
i palestinesi per aver aperto con la forza il confine fra Gaza e l'Egitto, è
stata al centro ieri dell'incontro fra il premier
israeliano Ehud Olmert e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu
Mazen. L'incontro è parte delle riunioni iniziate dopo il vertice di Annapolis
per far ripartire il processo di pace fra israeliani e palestinesi. Secondo un
portavoce, Olmert ha promesso ad Abu Mazen che non ci sarà una crisi umanitaria
nella Striscia di Gaza, dando assicurazioni che non verranno interrotte
le forniture di aiuti umanitari e di carburante. Il premier israeliano ha detto
anche che chiederà al presidente Hosni Mubarak di chiudere al più presto il
confine con Gaza. Abu Mazen che mercoledì sarà al Cairo per affrontare la
questione.
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( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Cronaca Secondo la Fao la produzione di bestiame
mondiale è responsabile di più gas dell'intero sistema dei trasporti Il consumo
di carne raddoppierà entro il 2050, se la popolazione mondiale non varierà
l'alimentazione La bistecca fa male alla Terra l'effetto serra ci cambia la
dieta MARK BITTMAN NEW YORK Un cambiamento epocale nell'uso di una risorsa che
si dà per scontata potrebbe essere imminente. No, non si tratta di petrolio, ma
di carne. Come il petrolio anche la carne è soggetta a una domanda crescente a
mano a mano che le nazioni diventano più ricche e ciò ne fa salire il prezzo. E
come il petrolio anche la carne è qualcosa che tutti sono incoraggiati a
consumare in quantità minori. La domanda globale di carne si è letteralmente
impennata negli ultimi anni, sulla scia di un benessere crescente, alimentata
dal proliferare di vaste operazioni di alimentazione forzata di animali
d'allevamento. Queste vere e proprie catene di montaggio della carne, che
partono dalle fattorie, consumano quantità smisurate di energia, inquinano
l'acqua e i pozzi, generano significative quantità di gas serra, e richiedono
sempre più montagne di mais, soia e altri cereali, un fatto che ha portato alla
distruzione di vaste aree delle foreste pluviali tropicali. Proprio questa
settimana il presidente brasiliano ha annunciato provvedimenti di emergenza per
fermare gli incendi controllati e l'abbattimento delle foreste pluviali del
Paese per creare nuovi pascoli e aree di coltura. Negli ultimi cinque mesi
soltanto, ha fatto sapere il governo, sono andate perse 1.250 miglia quadrate
di foreste. Nel 1961 il fabbisogno complessivo di carne nel mondo era di 71
milioni di tonnellate. Nel 2007 si stima che sia arrivato a 284 milioni di
tonnellate. Il consumo pro-capite di carne è più che raddoppiato in questo arco
di tempo. Nel mondo in via di sviluppo è cresciuto del doppio, ed è raddoppiato
in venti anni. Il consumo mondiale di carne si prevede che sia destinato a
raddoppiare entro il 2050. Produrre carne comporta il consumo di tali e tante
risorse che è una vera impresa citarle tutte. Ma si consideri: secondo la Fao,
la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite, le terre destinate
all'allevamento del bestiame costituiscono il 30 per cento delle terre emerse
non ricoperte da ghiacci del pianeta. Questa stessa produzione di bestiame è
responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra della Terra, più di
quelle emesse dai trasporti nel loro complesso. Uno studio dello scorso anno
dell'Istituto nazionale di scienze dell'allevamento in Giappone ha stimato che
ogni taglio di carne di manzo da un chilogrammo è responsabile dell'equivalente
in termini di diossido di carbonio alle emissioni di una vettura media europea
ogni 250 chilometri circa e brucia l'energia sufficiente a tenere accesa per 20
giorni una lampadina da 100 watt. Cereali, carne e perfino energia sono collegati
tra loro in un rapporto di interdipendenza che potrebbe avere spaventose
conseguenze. Benché circa 800 milioni di persone di questo pianeta soffrano la
fame o siano affette da malnutrizione, la maggior parte dei raccolti di mais e
soia coltivati finiscono a nutrire bestiame, maiali e galline. Ciò avviene
malgrado un'implicita inefficienza: per produrre le stesse calorie assimilate
tramite il consumo di carni di bestiame allevato e il consumo diretto di
cereali occorrono da due a cinque volte più cereali, secondo quanto afferma
Rosamond Naylor, docente associato di economia all'università di Stanford. Nel
caso di bestiame allevato negli Stati Uniti con cereali questo dato deve essere
moltiplicato ancora per dieci. Negli Stati Uniti l'agricoltura praticata per
soddisfare la domanda di carne contribuisce, secondo l'Agenzia per la
Protezione Ambientale, a circa tre quarti dei problemi di qualità dell'acqua
che caratterizzano i fiumi e i corsi d'acqua della nazione. Considerato poi che
lo stomaco delle bestie allevate è fatto per digerire erba e non cereali il
bestiame allevato a livello industriale prospera soltanto nel senso che
acquista peso rapidamente. Questo regime alimentare ha reso possibile
allontanare il bestiame dal suo ambiente naturale e incoraggiare l'efficienza
dell'allevamento e della macellazione in serie. è tuttavia una prassi che
provoca problemi di salute tali che la somministrazione di antibiotici è da
ritenersi usuale, al punto da dar vita a batteri resistenti agli antibiotici.
Questi animali nutriti a cereali contribuiscono oltre tutto a una serie di
problemi sanitari tra gli abitanti più benestanti del pianeta, quali malattie
cardiache, alcuni tipi di cancro e diabete. La tesi secondo cui la carne
fornisce un apporto proteico è giusta, purché le quantità siano limitate.
L'esortazione americana quotidiana a consumare carne - del tipo "guai a te
se non mangi la bistecca" - è negativa. Che cosa si può fare? Risposte
facili non ce ne sono. Tanto per cominciare occorre una migliore gestione degli
sprechi. A ciò contribuirebbe l'abolizione dei sussidi: le Nazioni Unite
stimano che questi costituiscono il 31 per cento dei guadagni globali
dell'agricoltura. Anche migliori tecniche di allevamento sarebbero utili. Mark
W. Rosengrant, direttore della tecnologia ambientale e della produzione presso
l'istituto senza fini di lucro International Food Policy Research afferma:
"Occorrerebbe investire nell'allevamento e nella gestione del bestiame,
per ridurre la filiera necessaria a produrre un livello qualsiasi di
carne". E poi c'è la tecnologia. Israele e Corea sono tra i Paesi che
stanno sperimentando tecniche di sfruttamento delle scorie e del letame animale
per generare elettricità. Altro suggerimento utile potrebbe essere quello di
far ritorno al pascolo. Mentre la domanda interna di carne è ormai uguale
ovunque, la produzione industriale di bestiame è cresciuta due volte più
rapidamente dei metodi di base di sfruttamento delle terre, secondo
quanto risulta alle Nazioni Unite. I prezzi reali di carne bovina, di maiali e
pollame si sono mantenuti costanti, forse sono perfino scesi, per 40 anni e
più, anche se ora stiamo assistendo a un loro aumento di prezzo. Se i prezzi
elevati non costringono a cambiare le abitudini alimentari, forse sarà tutto l'insieme
- la combinazione di deforestazione, inquinamento, cambiamento del clima,
carestia, malattie cardiache e crudeltà sugli animali - a incoraggiare
gradualmente qualcosa di molto semplice: mangiare più vegetali e meno animali.
Nel suo studio del 2006 sull'impatto dei consumi di carne sul pianeta,
intitolato "La lunga ombra del bestiame", la Fao dice: "è motivo
di ottimismo prendere atto che la domanda di prodotti animali e di servizi
ambientali sono in conflitto tra loro ma possono essere riconciliate". Gli
americani, in effetti, stanno comprando sempre più prodotti eco-compatibili,
scegliendo carni, uova e latticini prodotti con metodi sostenibili. Il numero
dei prodotti e dei mercati di questo tipo si è più che raddoppiato negli ultimi
10 anni. Se gli attuali trend continueranno, invece, la carne diventerà una
minaccia più che un'abitudine. Non diventerebbe del tutto insolito consumare
carne, ma proprio come i SUV dovranno cedere il passo a vetture ibride, l'epoca
dei 220 grammi al giorno di carne sarà giunta alla fine. Forse, dopotutto, non
sarà poi così drammatico. (copyright The New York Times) (Traduzione di Anna
Bissanti).
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( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)
Alfonso Arbib: "L'antisemitismo sottile è la
minaccia di oggi" di Redazione - lunedì 28 gennaio 2008, 07:00 Abbiamo
chiesto un commento a caldo ad Alfonso Arbib, Rabbino capo della Comunità
ebraica di Milano, a proposito dell'articolo "Io, ebreo, dico agli ebrei
ora basta con i vittimismi" apparso ieri sul Giornale a firma di R. A.
Segre. Arbib, classe 1958, originario di Tripoli, è considerato da chi lo conosce
"una figura capace di riuscire a tenere insieme le diverse anime degli
ebrei milanesi". Il microcosmo più composito in Italia: askenaziti,
libici, laici, iraniani, hassidim, persiani e non solo. Professor Arbib, lei
ritiene che ci sia una forma di "vittimismo" da parte degli ebrei
quando si parla di Shoah? Cosa risponde a chi tempo fa ha sottolineato quello
che è un difetto dell'ebraismo italiano (ma non solo), cioè la contemplazione
narcisistica del passato, mentre ebraismo significa dare un sguardo sul mondo?
"Preciso che non ho letto l'articolo, dunque qualunque commento sarebbe
parziale o non corretto. Detto questo sono d'accordo e condivido quanto scritto
da Segre: che oggi gli ebrei in Europa siano tutelati e rispettati, che non vi
siano delle discriminazioni nei loro confronti, su questo non c'è alcun dubbio.
Però credo che vi siano alcuni segni preoccupanti da non sottovalutare. Sono
entrambe due realtà oggettive di cui bisogna prendere atto". Quando parla
di queste realtà intende l'antisemitismo? "Ripeto, sostenere che oggi ci
siano delle persecuzioni o delle discriminazioni nei confronti degli ebrei in
Europa e in Italia è falso e fuorviante. Esiste tuttavia una forma di
antisemitismo sottile, strisciante e mascherato che mi preoccupa non poco. Si manifesta attraverso la tendenza a tornare a una serie di
stereotipi che viene applicata quando si parla di Israele o degli
ebrei in quanto ritenuti "pericolosi". Oppure attraverso l'idea di un
complotto ebraico che ciclicamente all'occorrenza qualcuno tira fuori. Ma penso
anche agli atti vandalici che occasionalmente si manifestano in tutta Europa e
anche in Italia. La questione è di saper cogliere in tempo questi
segnali per non correre il rischio di non saper più gestire la situazione. L'ho
detto più volte e lo ripeto anche oggi: bisogna trasformare ciascuno di questi
episodi in un'occasione di monito e di allarme: un invito a non sottovalutare e
a non abbassare mai la guardia".
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( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)
Di Redazione - lunedì 28 gennaio 2008, 07:00 Più che
un accordo sembra un bluff. Il presidente palestinese Abu Mazen e i suoi
fedelissimi, gli stessi che a giugno si fecero buttare fuori dalla Striscia da
Hamas, giurano ora di poter risolvere il problema del confine con l'Egitto
riprendendo il controllo del valico di Rafah. Il più convinto sembra essere il
ministro degli Esteri palestinese, che assicura di aver raggiunto un accordo
con il presidente egiziano Hosni Mubarak. Con quel bluff tra le mani Abu Mazen
si presenta al vertice di Gerusalemme con il premier israeliano Ehud Olmert.
L'incontro è pura cerimonia organizzata per tenere in piedi le speranze di
Annapolis. Il presidente palestinese, ulteriormente spiazzato dall'abbattimento
della barriera di Rafah, non ha in verità nulla da offrire o pretendere da
Olmert. La fine del blocco della Striscia è stato già deciso dell'Alta Corte di
Gerusalemme che, proprio ieri, ha ordinato al governo
israeliano la ripresa delle forniture alle centrali elettriche di Gaza. Quanto
alla proposta di Abu Mazen di riprendere il controllo del valico di Rafah,
Olmert si guarda bene dal commentarla. Il premier israeliano in queste ore
pensa soprattutto alla propria sopravvivenza politica. La scorsa notte i
dodici rabbini del Consiglio dei Saggi riuniti a casa di Ovadia Yosef, padre
spirituale del partito ultraortodosso Shas, hanno discusso l'uscita in termini
di principio dal governo. Da oggi il capo del partito Eli Yishai potrebbe
decidere se abbandonare subito l'esecutivo o attendere ancora. Senza i dodici
deputati ortodossi l'esecutivo di Ehud Olmert è praticamente morto. Dopo
l'addio a metà gennaio di Avigdor Lieberman e dei suoi deputati, la maggioranza
controlla appena 67 dei 120 seggi del Parlamento. "La riunione è un primo
passo sulla strada dell'abbandono, ma non significa che questo avvenga
immediatamente", confermavano ieri i portavoce del partito. Per vedere
cadere l'esecutivo basterà, forse, attendere la presentazione annunciata per
dopodomani del rapporto sulla guerra in Libano dell'estate 2006 stillato dalla
commissione Winograd. Un giudizio troppo aspro sulle responsabilità del
premier, seguito dall'uscita dall'esecutivo dei laburisti, segnerà con tutta
probabilità il vero colpo di grazia per Olmert.
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( da "Messaggero, Il" del 28-01-2008)
Consultazioni con il presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, al Quirinale. E a Gerusalemme, nelle vesti di presidente dell'Unione
interparlamentare, parlerà davanti al parlamento
israeliano, la Knesset, riunito per la giornata della Memoria, e ricorderà la
"Shoah", lo sterminio di sei milioni di ebrei in Europa da parte dei
nazifascisti. Nella stessa sessione, interverrà anche il premier israeliano,
Ehud Olmert. La visita di Casini durerà tre giorni, durante i quali avrà
incontri al massimo livello. Domani sarà a colloquio con il presidente
di Israele, Shimon Peres, con il ministro degli
Esteri, Tzipi Livni, e Silvan Shalom, presidente della delegazione israeliana
dell'Unione interparlamentare. Mercoledì, infine, il leader centrista sarà
ricevuto dal primo ministro, Ehud Olmert, e visiterà il museo dell'Olocausto,
lo Yad Vashem, interamente rinnovato, luogo di grande suggestione e di profonde
emozioni, dove viene ripercorsa la storia dello sterminio degli ebrei in
Europa, dalle leggi razziali, alle deportazioni nei lager, alle camere a gas
fino all'immigrazione clandestina nella Terra promessa, sotto il protettorato
inglese, e alla creazione dello Stato di Israele. Un
viaggio, particolarmente significativo, dunque, per Casini, da sempre molto
interessato alla questione estere, in particolare del Medio Oriente, che
rinsalda il suo rapporto con Israele, intessuto già
quando era presidente della Camera, che si è ulteriormente rinsaldato da quando
presiede l'Unione interparlamentare. Questa volta, lo accompagneranno alcuni
amici ebrei romani, gli stessi che sono stati con lui domenica scorsa ad
ascoltare il Pontefice a San Pietro, dopo la mancata visita all'università
"La Sapienza". A unirli è la consapevolezza che "solo il
dialogo, anche tra le posizioni apparentemente più distanti, può favorire il
confronto e la costruzione della pace". E sabato sera, con gli stessi
amici, proprio in coincidenza con la Giornata della memoria, Casini e la
moglie, Azzurra Caltagirone, sono stati ospiti della Fondazione Schnerson, che
si occupa delle istituzioni benefiche ebraiche, fondate da Rav Hazan, rabbino
dei "Lubavitch", insieme all'ambasciatore di Israele,
Ghideon Meir, al Rabbino capo di Roma, Riccardo Pacifici e ai vertici
dell'ebraismo romano. R.P.
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( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - MILANO - sezione: Tempo Libero
- data: 2008-01-27 num: - pag: 18 categoria: REDAZIONALE OLMETTO ULTIMA REPLICA
La guerra che non si può vincere Il dialogo, l'incontro, il riconoscimento del
dritto dell'altro. Eugenio de Giorgi, dammaturgo e regista, con un gruppo di giovani attori porta in scena il pensiero dello
scrittore israeliano David Grossman, facendo vivere in brevi scene momenti
della tragedia del conflitto israelo-palestinese. Storie ordinarie di vita, di
speranze, di paure, di adulti e ragazzi di entrambe le parti in guerra che
sognano la "normalità" della pace. Uno spettacolo per
conoscere e riflettere.
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Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE A
81 anni Morto George Habash, stratega dei dirottamenti Morto a 81 anni George
Habash: fondò il Fronte popolare di liberazione della Palestina, fu
rivale di Arafat e stratega dei dirottamenti aerei. Tre giorni di lutto
proclamati dall'Autorità Palestinese.
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( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri -
data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE Giornata della memoria
Qui i nazisti non ricorsero alle camere a gas, ma a fucilazioni di massa nei
boschi Padre Desbois disseppellisce la "Shoah delle pallottole" Un
prete francese riscrive la storia dell'Olocausto in Ucraina I testimoni:
"Sul bordo della fossa era stata sistemata una scala. Ad uno ad uno,
completamente nudi, scendevano i gradini e si sdraiavano sui corpi di quelli
che erano stati uccisi prima di loro" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI -
Il viaggio nella memoria, Patrick Desbois, prete francese, l'ha cominciato
nell' infanzia. "Da bambino, mio nonno raccontava gli anni della prigionia
in Ucraina. Quando veniva portato fuori dalla cella, per le ore di lavoro
forzato, assisteva tutti i giorni a esecuzioni sommarie di ebrei". Dopo
un'esperienza di professore di matematica nell'Alto Volta, Patrick Desbois,
oggi cinquantenne, decise di entrare in seminario. Ordinato sacerdote, ha speso
gli ultimi dieci anni alla ricerca di tracce e testimonianze che confermassero
il racconto del nonno. "Ho sempre sentito la Shoah come un dovere e una
responsabilità". Il viaggio nella memoria si è trasformato in missione di
giustizia ed eccezionale risultato storico, perché alza il velo su un capitolo
dell' Olocausto quasi ignorato e mai documentato nelle sue spaventose
dimensioni: la scomparsa di un milione e mezzo di ebrei dall'Ucraina occupata
dai nazisti. E' uno sterminio sistematico e pianificato, ma il sistema è più
rapido e tecnicamente meno complicato delle camere a gas: la fucilazione di
massa. "Quando si parla di fucilazione, si è portati a immaginare azioni
improvvise e condizionate dagli avvenimenti bellici. Invece - racconta padre
Desbois - ho potuto accertare che i nazisti verificavano identità dei
prigionieri e origini etniche della popolazione locale prima di passare
all'azione. I carnefici erano le truppe speciali inviate a questo scopo da
Himmler, ma una parte della popolazione locale fu costretta a collaborare allo
sterminio. C'erano gli addetti al trasporto dei cadaveri o alla preparazione
delle fosse e ragazzi incaricati di raccogliere i denti d'oro e gli abiti dei
morti. I prigionieri ebrei venivano ammassati nei boschi o al centro dei
villaggi. Per tenerli tranquilli, girava la voce che si stava preparando un
grande trasferimento in Palestina. Fra i
civili ucraini, chi non ubbidiva o addirittura nascondeva ebrei veniva
condannato a morte. Ma ci sono state uccisioni di ebrei ancor prima che i
nazisti occupassero l'Ucraina". Dopo diversi viaggi in Ucraina, con una
piccola troupe di interpreti ed esperti balistici, dopo centinaia di interviste
di ultimi sopravvissuti e analisi di documenti che, fino alla
dissoluzione dell'Unione Sovietica, erano occultati o inaccessibili, padre
Desbois ha localizzato 2.200 luoghi di sterminio - fosse comuni, canali,
cimiteri, boschi - e condotto un'inchiesta dettagliata su 600. "Il lavoro
continua. Ogni viaggio aggiunge pezzi di questo orrendo mosaico. Ho anche
trovato un cimitero di prigionieri italiani fucilati - racconta -. All'inizio
mi sembrava un' impresa impossibile. I sopravvissuti sono pochi e ancora meno
quelli disposti a parlare. L'Ucraina ha subito anche le deportazioni staliniane
e fino agli anni Ottanta ci sono stati processi e fucilazioni per
collaborazione con il nazismo. La propaganda sovietica non metteva nel conto
gli ebrei, ma parlava in generale di vittime civili. Mi hanno aiutato preti
locali, sindaci di villaggi sperduti. Poi, a poco a poco, il velo si è
squarciato, la gente ha cominciato a ricordare l'orrore: "Dovevamo
preparare il pranzo per i soldati incaricati delle esecuzioni. Loro mangiavano
sul bordo della fossa e sparavano. Alla fine del pranzo c'erano un migliaio di
ebrei in meno", questo è ad esempio il racconto di una donna che lavorava
alla mensa. Un altro mi ha raccontato che un ufficiale accompagnava la fucilazione
con un'armonica. E' stato incredibile ritrovare quell'armonica dove c'era la
fossa comune". Tutto è stato verificato, filmato in 700 ore di
registrazione e repertoriato. La "Shoah delle pallottole" è stata
presentata in una mostra a Parigi e raccontata da padre Desbois in un libro
("Porteur de memoires", ed. Michel Lafon) in cui sono raccolte le
testimonianze più significative. "Sul bordo della fossa era stata
sistemata una scala. Gli ebrei del villaggio dovevano spogliarsi. Ad uno ad uno,
famiglia dopo famiglia, completamente nudi, scendevano i gradini e si
sdraiavano sui corpi di quelli che erano stati fucilati prima di loro. C'erano
uomini, donne e bambini. Un poliziotto tedesco, di nome Humpel, marciava sui
corpi e sparava un colpo alla nuca. Indossava un camice bianco, forse per
proteggere la divisa dagli schizzi di sangue. Poi risaliva la scala, prendeva
un sorso di grappa e ricominciava. Il massacro è durato una giornata intera.
Humpel uccise tutti gli ebrei del villaggio. Da solo". Le imprese del soldato
Humpel sono ricordate da due sorelle ucraine, Vira e Luba, anziane abitanti del
villaggio di Senkivishvka. "I partigiani poi uccisero il soldato
Humpel", ricordano. "Sono un prete cattolico, cresciuto nella Bresse.
Come sono arrivato fin qui per ascoltare il racconto di poveri contadini su
quanto accaduto nei loro villaggi? Come è stato possibile che il sentiero della
mia infanzia s'intrecciasse con il racconto dei crimini nazisti? è ciò che
provo a raccontarvi in queste pagine", scrive padre Desbois nella
prefazione. "Balbettando ", aggiunge. Ex professore di matematica
Padre Patrick Desbois ha dedicato gli ultimi dieci anni alla documentazione
dello sterminio di un milione e mezzo di ebrei "dimenticato" dalla
propaganda sovietica Colpo alla nuca Un SS spara alla nuca a un ebreo ucraino
inginocchiato sul bordo di una fossa comune. I carnefici erano le truppe
speciali inviate da Himmler, ma una parte della popolazione locale fu costretta
a collaborare allo sterminio. Chi non ubbidiva, veniva condannato a morte
Massimo Nava.
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Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli
- data: 2008-01-27 num: - pag: 48 categoria: REDAZIONALE Beethoven Alla Scala
Anche al piano Barenboim è autorevolezza di ENRICO GIRARDI C i sono studenti
che seguono il concerto su sedie collocate sul palco attorno al pianoforte. E
il primo brano che si ascolta è proprio il primo della lunga serie, l'opera 2
n. 1, Sonata di un Beethoven che omaggia Haydn lasciando gli elementi del
proprio vocabolario a venire in una forma ancora potenziale. L'inizio del ciclo
di 8 concerti che fino a giugno vedranno Daniel Barenboim affrontare alla Scala
l'integrale delle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven ha vago sapore
di Hausmusik. Ma l'impressione dura il tempo di un amen. Un po' fa anche il modo semplice e irrituale con il quale il maestro
israelo-argentino entra in una Scala che pure è gremita come nelle migliori
occasioni: senza ostentare i tormenti di chi si trovi solo all'attacco
dell'altissima vetta ma nemmeno la apparente naturalezza di quanti vogliono
comunicare che sostenere l'impresa è cosa ovvia e facile. La verità è
che si entra immediatamente in medias res; il pianismo di Beethoven è tutta
sostanza, pensiero che dà forma e la testa, prima ancora delle mani, di
Barenboim lo dicono con la forza dell'evidenza. Non la ricerca di un'eleganza,
non la ricerca ossessiva di un "bel suono", ma il piacere di lasciar
parlare la cosa. Ecco allora l'umorismo dell'opera 31 n.3, ecco la follia e la
tensione dell'op. 106, l'"impossibile" Hammerklavier. Sì perché tra
l'idea di percorrere le 32 "stazioni" in ordine cronologico o in
ordine sparso - l'una come diario di una lenta evoluzione, l'altra che
sintetizza lo stesso principio anche nello spazio della serata singola:
entrambe legittime -, Barenboim opta per quest'ultima, e ogni serata c'è un
titolo almeno per ciascuna delle tre fasi in cui la musicologia storica
suddivide la parabola creativa del Gigante. Come del direttore d'orchestra
Barenboim non si guarda il gesto (o meglio, lo si guarda, ma non come prima cosa),
così nel caso del Barenboim pianista non si segue la musica in termini di mera
tecnica pianistica, se non quando incappa in frasi un po' fallose (la fuga a
tre dell'op. 106 qualche grattacapo lo pone sempre, a chiunque). Prima di ciò
emerge il fascino per la prepotente musicalità, il carisma e l'autorevolezza
con cui questo interprete smonta e rimonta il testo (forme, linee, pesi,
colori, fraseggi, idiomi pianistici e orchestrali) per raccontare un Beethoven
alto, nobile, imperiale, alieno da mode e filologie. Si sente anche quanto il
pubblico ne sia coinvolto e quanto il trionfo conclusivo non giunga annunciato
ma autentico. Maestro scaligero Barenboim al piano Sonate per pianoforte di
Beethoven Pianista Daniel Barenboim Teatro alla Scala di Milano.
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Corriere della Sera - MILANO - sezione: Cronaca di
Milano - data: 2008-01-28 num: - pag: 2 categoria: REDAZIONALE Cerimonie Corteo
da San Babila in Stazione, manifestazione in piazza Duomo Shoah, Milano al
Binario 21 "Orrore da non dimenticare" Bertinotti agli studenti:
spetta a noi vincere il male "Sappiate cogliere i segnali
dell'antisemitismo", dice il rabbino Alfonso Arbib rivolto alla platea in
piazza Duomo. Perché "la Shoah non è nata dal nulla ma da una lunga storia
di pregiudizio ". Un applauso rompe il silenzio che aveva accompagnato il
corteo partito da San Babila. Un'ora più tardi, il presidente della Camera,
Fausto Bertinotti, parlando alla folla raccolta al Binario 21 della Centrale
per salutare i 700 studenti diretti ad Auschwitz con la Provincia, aggiungerà:
"Non si può comprendere la Shoah. Ma bisogna conoscere. Perché dipende da
noi se il male può ritornare ". La tentazione della retorica è forte nella
Giornata della Memoria, quando le bandiere degli ex deportati e sopravvissuti ai
campi di sterminio si mescolano a quelle dei giovani della sinistra della
Comunità ebrea, degli Amici di Israele bianche e
azzurre, dei sindacati confederali e dei rom, che sfilano in corso Vittorio
Emanuele. Ci sono i discorsi di rito ma anche il microfono offerto per la prima
volta ad Aurelio Mancuso, presidente Arcigay, che interviene accanto al
presidente del Consiglio comunale e al segretario Cgil Onorio Rosati. Si
consegna ai giovani il fardello del ricordo di una tragedia. E ai giovani era
andato in mattinata il pensiero di Haim Baharier, in un Teatro Parenti dove non
c'era più posto neanche in piedi. Per quanto se ne parla, ha aggiunto il
vicepresidente della Provincia, Mattioli, "non è mai abbastanza ".
Piccolo corteo, grande occasione per ricordare alle istituzioni che "si
trovi una sede per l'associazione degli ex deportati, sfrattata" come fa
Yasha Reibman, deciso a tenere unito il filo che lega il passato al presente.
Come farà Ferruccio de Bortoli, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah,
leggendo una lettera ricevuta 10 anni fa, nel 60Ë? delle leggi razziali, da un
sopravvissuto. E l'emozione contagerà i liceali al binario 21, e Bertinotti e i
curiosi che seguono la cerimonia da un maxischermo in via Aporti. Parole e
musica - la fisarmonica del rom Jovic Jovica, e poi un notturno di Chopin - per
sigillare i ricordi. Paola D'Amico Giornata Il corteo e l'arrivo in Duomo. Gli
studenti al Binario 21.
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Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache -
data: 2008-01-28 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE Olanda
AnnaFrankconkeffiyah:"Oltraggio" DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME - C'è
un innocuo chef con le cuffie che frigge un vinile, una ragazza in lacrime,
l'ombra della bimba che vola con i palloncini disegnata da Banksy sul muro
israeliano in Cisgiordania, un coniglio gigante, la riproduzione di una vecchia
caricatura di Hitler che porta all'altare Stalin vestito da sposa. E c'è pure
il volto di Anna Frank, la riproduzione della celebre foto in cui sorride e
guarda di lato, con un'aggiunta: al collo porta una keffiyah bianca e rossa
palestinese. Ironia e politica, arte e comunicazione. Provocazione e basta
secondo il Centro dell'Aja per l'Informazione e la Documentazione su Israele (Cidi): quella cartolina, infilata tra le altre in
offerta nei bar e nei ristoranti olandesi, deve essere ritirata perché "offensiva,
falsa, di cattivo gusto". "Anna Frank è il simbolo dell'Olocausto e della persecuzione- spiega a nome del Cidi Tuvit
Shlomi al quotidiano israeliano Haaretz -. La keffiyah rappresenta la
resistenza palestinese all'occupazione dello Stato ebraico. Troviamo questo
accostamento inaccettabile". Il comunicato emesso dal Centro è anche più
esplicito: "Israele e i palestinesi sono coinvolti in un conflitto. I
palestinesi non sono perseguitati, non ci sono campi di sterminio, non c'è
genocidio". L'editore delle cartoline, Boomerang, non è d'accordo. Non
tanto su quest'ultimo punto, quanto piuttosto sul "cattivo gusto"
dell'immagine che ha scelto di stampare. Il ritratto rivisitato della bimba del
Diario morta a Bergen-Belsen, già da tempo graffito sui muri di Amsterdam, è
stato realizzato da un artista conosciuto come T. con tutt'altro obiettivo,
spiega ancora ad Haaretz il caporedattore Pascale Bosboom: "Creare
un'immagine ideale, in cui entrambi gli Stati esistono, l'uno accanto all'altro,
in pace. Un simbolo di fraternità e di riconciliazione". A. Cop.
Palestinese Anna Frank con al collo una keffiyah bianca e rossa palestinese.
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Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache -
data: 2008-01-28 num: - pag: 16 categoria: REDAZIONALE Giornata
della memoria Rutelli: dobbiamo imparare dalla storia Israele:
l'antisemitismo è in calo in Europa Bertinotti agli studenti: il male può
tornare Celebrazioni in tutti i Paesi. L'ex ambasciatore Horin: il Papa non ne
ha parlato all'Angelus ROMA - "C'è un paio di scarpette rosse per la
domenica a Buchenwald. Erano di un bambino di tre anni. Forse di tre
anni e mezzo. Chissà di che colore erano gli occhi bruciati nei forni. Ma il
suo pianto lo possiamo immaginare". Con la voce di una bimba che recitava
Joyce Lussu, si è aperta ieri alla Risiera di San Sabba, campo di sterminio
nazista a Trieste, la giornata della memoria celebrata in tutta Europa. Per non
dimenticare la Shoah, i sopravvissuti e le vittime. Comprese le più piccole
come Sergio De Simone: sette anni quando arrivò in Risiera, venne strappato
alla mamma, trasferito a Birkenau, torturato da Mengele e ucciso. I 63 anni
dalla liberazione di Auschwitz si aprono con una buona notizia. Cala in Europa
l'antisemitismo. A sostenerlo è un rapporto presentato dal governo israeliano
che vede una diminuzione di "incidenti" rilevati. Ma l'ottimismo si
scontra anche con alcuni dati negativi. In Germania, in Gran Bretagna, negli
Usa, in Australia e in Ucraina gli episodi di antisemitismo aumentano.
"Non abbiamo imparato la lezione della storia?" si chiede dunque alla
Conferenza internazionale sull'antisemitismo aperta ieri a Roma dal ministro
dei Beni Culturali Francesco Rutelli in assenza di Romano Prodi ("dovuta
alla crisi di governo - ha spiegato Rutelli - ma che non diminuisce l'intensità
e il significato di questo incontro"). Per il vicepremier "dobbiamo
lottare contro la neutralizzazione progressiva della memoria soprattutto mentre
i testimoni diretti della Shoah stanno via via scomparendo". Renzo Gattegna,
presidente dell'Unione comunità ebraiche, sottolinea che "la Shoah non è
solo degli ebrei. E nel giorno della memoria gli ebrei non sono e non vogliono
essere protagonisti". Anche se è lo stesso Elie Wiesel, scrittore
sopravvissuto al lager, a specificare che "senza l'antisemitismo Auschwitz
non ci sarebbe stato". Anche per il presidente della Camera, Fausto
Bertinotti "non è vero che il male non può tornare". "Dipende da
noi - avverte -. Dalle nostre scelte individuali e collettive". A un
gruppo di 700 studenti che ieri è partito per Auschwitz dal binario 21 della
stazione di Milano, prima tappa per l'inferno per milioni di ebrei, dissidenti,
zingari, gay, Bertinotti ha spiegato: "Esiste una sola cosa peggiore
dell'idea che ci sia un'etnia inferiore: l'idea che ce ne sia una
superiore". "Voi andate dove è morto l'uomo", ma "credo che
un ricordo indelebile possa ricostruire la pace insieme con il dialogo fra le
civiltà". A Venezia la ricorrenza si è unita al settantesimo anniversario
delle leggi razziali firmate da casa Savoia. E il sindaco Cacciari ha invitato
a non dimenticare questa "vergogna". I nazisti "non agirono da
soli ma trovarono un complice anche nel-l'Italia fascista con l'adozione delle
leggi razziali" ha rincarato il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza.
Anche la tv e le radio sono state mobilitate nel ricordo. E c'è chi, come
Nathan Ben Horin, ex ambasciatore di Israele presso la
Santa Sede ha notato "con sorpresa e dolore" che il Papa non ne ha
fatto cenno nell'Angelus. "Mi ha meravigliato - dice - la differenza con
il presidente Napolitano che al Quirinale ha fatto un discorso molto
toccante". "Peccato - si rammarica Furio Colombo - che proprio lui,
al contrario di Angela Merkel e di persone che in Germania hanno ruoli di
responsabilità, ha lasciato questo vuoto che almeno una parola avrebbe potuto
riempire". "Si vede che la memoria lui l'ha persa" sdrammatizza,
amaro, Riccardo Di Segni chiedendosi "come mai il Papa abbia mancato una
celebrazione che non è solo degli ebrei ma di tutto lo Stato".
"Wojtyla non se lo sarebbe dimenticato" affonda Viktor Majar. Di
tutt'altro parere Riccardo Pacifici: "Qualcosa il Papa l'ha già detta nei
giorni scorsi. E di questa giornata si è parlato più di quanto sognassimo. Sta
diventando persino imbarazzante ". Virginia Piccolillo GUARDA Video e foto
su www.corriere.it.
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( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache -
data: 2008-01-28 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE Berlino I documenti di
"Welt" sul passato del maestro Ecco le tessere naziste di Herbert von
Karajan DAL NOSTRO INVIATO BERLINO - Era, ed è, uno dei segreti aperti (e
tollerati) della Germania. Il passato con simpatie - e protezioni - naziste di
Herbert von Karajan, il più amato tra i direttori, quello che dopo la guerra è
diventato il simbolo non solo d'un suono moderno, ma anche della rinascita, e
non solo culturale, della Germania. E mentre il Paese si appresta a festeggiare
i 100 anni della sua nascita (1908-1989) con quello che sarà l'evento musicale
dell'anno (festival, concerti, e l'edizione completa delle sue direzioni in 156
Cd), qualche giornale torna a rivangare il suo passato. Del quale il maestro -
dice la biografia appena pubblicata dalla sua terza moglie, la modella Eliette,
"Mein Leben auf seiner Seite" (la mia vita al suo fianco) - perfino
con lei non ha mai voluto parlare. Ed ecco che la Welt, giornale conservatore,
tira fuori quello che si sapeva, ma che il pubblico non aveva mai visto. Due
tessere del partito nazionalsocialista di von Karajan, la prima del 1933, la
seconda del 1935 quando s'era riscritto al partito di Hitler. "Camerata
von Karajan ", è il titolo di un lungo servizio. N. 1607525 il primo,
quando ancora viveva a Salisburgo e l'Austria non era annessa dal Reich, n.
3430914 il secondo, iscritto alla sezione di Aachen. Peccati di carrierismo,
come s'è sempre detto? La voglia d'arrivare che lo portò a dirigere, a
trent'anni, e sotto la protezioni di GÖring e Goebbels, "Tristano e
Isotta" di Wagner alla Staatsoper? Von Karajan pagò quella scelta, quando
gli americani della Zona A gli impedirono fino agli anni Cinquanta di tornare
sul palco. Né gli ebrei dimenticarono, se nel 1955 al Carnegie Hall lo
accolsero con i manifesti "Lei ha aiutato Hitler a sterminare milioni di
persone ", e Israele si è
rifiutata di ospitare i Berliner Philarmoniker, lui direttore, fino alla sua
morte. Ma di questo, in Germania - nonostante qualche biografia - finora non
s'è voluto parlare molto. Ma. G. La tessera La prova del passato con simpatie
naziste del direttore d'orchestra Herbert von Karajan, pubblicata dal giornale
conservatore tedesco "Welt". Due tessere del partito
nazionalsocialista di von Karajan: la prima del 1933, la seconda del 1935,
quando s'era riscritto al partito di Hitler In concerto Herbert von Karajan
(1908-1989) è stato il più amato tra i direttori d'orchestra tedeschi, quello
che dopo la guerra è diventato il simbolo della rinascita della Germania.
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( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Lettere al
Corriere - data: 2008-01-28 num: - pag: 27 categoria: BREVI FORZE ARMATE Raccolta
dei rifiuti Caro Romano, uno degli aspetti meno evidenti, ma non per questo
meno imbarazzante, della crisi della spazzatura in Campania è rappresentato
dall'impiego dell'Esercito nella raccolta dei rifiuti. Una situazione a dir
poco paradossale; infatti, mentre una parte delle Forze armate è impegnata in
missioni all'estero, impegnata talvolta in combattimento (come in Afghanistan),
un'altra parte viene impiegata in compiti che non le dovrebbero spettare.
Considerando poi che l'istituzione del modello professionale per le Forze
armate stesse si basava sul presupposto che queste ultime avrebbero dovuto
trasformarsi in uno strumento militare con compiti e ruoli diversi dal passato
e che la ventilata riduzione del numero di militari di cui si parla da tempo
avverrebbe proprio sulla base della necessità di ammodernarle ulteriormente per
far fronte alle minacce dei giorni nostri, vedere dei soldati alle prese con i
rifiuti sembrerebbe ben poco coerente con quanto è stato detto, da più parti,
fino ad ora. Giovanni Martinelli giova.mart@tin.it Lei ha ragione naturalmente.
Ma quella di Napoli era diventata ormai una emergenza sanitaria e civile, con
gravi rischi per la salute e l'ordine pubblico. A chi dovrebbe rivolgersi il
governo, in queste circostanze, se non alle Forze armate? Ma il fatto che sia
stato costretto a usare uno strumento improprio, concepito per altri fini,
rende la sua responsabilità ancora più evidente. STATO
ISRAELIANO I confini Caro Romano, lei asserisce che la Palestina mandataria è "oggi inclusa per buona parte nei confini
dello Stato israeliano". Il mandato britannico non indicava con esattezza
i territori tuttavia precisava che le terre a Est del Giordano facevano parte
della Palestina. Dal 1922 questa zona, definita allora Transgiordania,
oggi Giordania, quasi l'ottanta per cento della superficie totale, pur
rimanendo sotto mandato britannico, fu gradualmente trasferita
all'amministrazione di un governo arabo. Ne risulta, quindi, che Israele, l'odierna Palestina e Gaza
messi assieme rappresentano circa il 22% dell'originale mandato. Stante
l'incertezza dell'attuale situazione è difficile stabilire con esattezza i
confini dello Stato d'Israele, ma siamo ben lontani
dall'includere in essi il territorio della Palestina
mandataria, come lei asserisce. Franco Ottolenghi franco.ottolenghi@ tiscali.it
L'originale mandato britannico sopravvisse fino al maggio 1923 quando la
Transgiordania venne organizzata come Stato autonomo sotto la guida dell'emiro
Abdullah Ibn Hussein, figlio dello sceriffo della Mecca. Da allora Palestina e Transgiordania divennero entità separate, anche
se soggette, ma in misura alquanto diversa, al controllo britannico. PARLAMENTO
Brutto spettacolo Dopo quanto è successo in questi giorni nel Parlamento la
reazione che mi viene immediata è di non andare a votare in caso di elezioni
anticipate. Se queste verranno indette spero tanto che nel frattempo avvenga
qualcosa che mi convinca del contrario. Vittorio Cravotta Selargius (Ca) IN
TRIBUNALE Difendersi da soli L'articolo 6.3.c della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con
legge 4 agosto 1955, numero 848, recita: "Ogni accusato ha diritto a
difendersi personalmente o ad avere l'assistenza di un difensore di sua
scelta". Per rispettare l'impegno che assumemmo, bisognerebbe permettere
che un imputato si possa difendere da solo. Allo scopo, occorrerebbe che il
Codice di procedura penale fosse modificato in modo che anche un profano possa
difendersi senza farsi rappresentare da un avvocato iscritto all'Ordine.
Sarebbe interessante sapere in quali altri Paesi europei esiste l'obbligo di
farsi rappresentare, in tribunale, da un avvocato. Mario Scarbocci San Donato
Milanese DALLO SPAZIO Caduta del satellite Gli Usa ci mettono in allarme: tra
un mese cadrà sulla Terra un satellite spia. C'è spazzatura anche lassù, tanta.
Cerchiamo spazi incontaminati ma meglio non metterci piede: l'uomo lascia
dietro se una scia pesante e l'entropia avanza. Filippo Testa Baldissero Torinese
(To) UOMINI POLITICI Il buon senso Dopo la caduta del governo Prodi il
presidente della Repubblica Napolitano, come consuetudine, ha avviato le
consultazioni con i leader dei vari partiti. Gli italiani aspettano e sperano
che qualcosa cambi in modo radicale soprattutto negli uomini politici e si
auspicano che a prescindere dall'appartenere al centro, alla destra o alla
sinistra, chiunque ci governi lo faccia con consapevolezza e responsabilità,
usando soprattutto il buon senso, altrimenti la caduta di Prodi rimane solo uno
scherzo di carnevale. Decimo Pilotto Tombolo (Pd) DORMITORIO PUBBLICO I
telefonini Svolgo attività di volontariato presso un dormitorio pubblico
(servizio mensa serale). Noto che molti ospiti sono dotati di telefonino. E'
davvero così essenziale, anche per persone che non hanno lavoro e vivono di
sussidi? Più importante della stessa casa, che non hanno, e vivono in un centro
di accoglienza comunale? Daniele Zocca, Bologna IMPRENDITORI Premi in busta
paga Alcuni imprenditori hanno iniziato a riconoscere ai dipendenti come premio
alla produttività e alla qualità del lavoro svolto un contributo economico in
busta paga. Si riconosce informalmente la perdita del potere di acquisto dei
salari e le difficoltà di arrivare a fine mese. Ma quello che non si è fatto
con interventi diretti e strutturali sul cuneo fiscale non può essere tamponato
con qualche una tantum. Andrea Sillioni Bolsena (Vt).
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( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)
Cala l'antisemitismo in Europa secondo un rapporto
dello Stato di Israele Shoah, ricordo indelebile
Giornata della memoria Manifestazioni in tutta Italia Oggi a Roma convegno su
"Olocausto e negazionismo" Cala in Europa l'antisemitismo, pur se con
qualche eccezione, come indica il rapporto presentato ieri
al governo israeliano in occasione del Giorno della Memoria che è stato
ricordato in tutta Italia come in gran parte della stessa Europa. E David
Grossman, lo scrittore israeliano che ieri ha ricevuto a Firenze la laurea
honoris causa, spiega che ogni ebreo è una sorta di "colombo
viaggiatore" della Shoah che lo "voglia o no". Home
Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Pizzi...cati al Senato Pirelli,
l'arte nel viaggio. Fotografia, grafica e design in mostra a Milano Napolitano,
via alle consultazioni Gaza, l'Egitto apre i varchi ai palestinesi Il Governo
supererà lo scoglio della fiducia? Silvia Mancinelli Una prova ... Ed anche il
presidente della Camera Fausto Bertinotti parlando a Milano - dove è partito
per una visita ad Auschwitz un treno di studenti - sottolinea l'importanza del
ricordo e del dialogo tra le civiltà. "Per la memoria della tragedia
irreparabile di Auschwitz, simbolo di tutti i mali del mondo - dice -, credo
che un ricordo indelebile possa ricostruire la pace insieme con il dialogo fra
le civiltà". A conclusione della giornata - che ricorda il 27 gennaio del
1945 la liberazione di Auschwitz da parte dei sovietici - si tiene a Roma, fino
a oggi, il convegno su "Antisemitismo e negazione dell'Olocausto. Moderni
crimini contro l'umanità. Il mondo non ha imparato la lezione?",
organizzato dal Ministero dei Beni Culturali, che vedrà la partecipazione del
vicepremier Francesco Rutelli e quella del presidente dell'Unione delle
Comunità ebraiche Renzo Gattegna. Un convegno che oggi vedrà, tra gli altri, le
testimonianze di Franco Frattini per la Ue, del ministro dell'interno Giuliano
Amato, ma anche quella di storici importanti come Anna Foa, Vittorio Dan Segre,
Riccardo Calimani, Deborah Lipstadt che ha spinto per l'incriminazione dello
storico negazionista David Irving, di Charles Small e del Nobel Elie Wiesel,
scampato ai campi di sterminio. Quest'anno la ricorrenza del Giorno della
Memoria si è intersecata con il 70/mo anniversario delle Leggi razziali del
1938, firmate da casa Savoia, e il sindaco di Venezia Massimo Cacciari
sottolinea quest'aspetto: "sono pochi anni - dice - che si sta studiando
quella vergogna, perch? poi l'enormità dello sterminio ha fatto sì che quasi si
potesse dimenticarla, come se non si potesse paragonare la discriminazione
delle leggi razziali alla persecuzione di Auschwitz". Anche il sindaco di
Trieste di Forza Italia Roberto Di Piazza - nella cerimonia di alla Risiera di
San Sabba unico campo di sterminio in Italia - ammonisce che i nazisti
"non agirono da soli ma trovarono un complice anche nell'Italia fascista
che con l'adozione delle leggi razziali si indirizz? su una strada di non
ritorno". Vai alla homepage 28/01/2008.
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( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)
Vittima della ferocia d'una ideologia di sterminio,
ma anche (soprattutto?) della viltà della gente per bene, che sapeva solo
tacere, che fingeva di non vedere. Ho ripensato al signor Orvieto ieri, mentre
seguivo le cerimonie del 27 gennaio. "Olocausto", nome sacrale;
Shoah, parola pesante come un macigno sulle coscienze. Home prec succ Contenuti
correlati Pizzi...cati al Senato Pirelli, l'arte nel viaggio. Fotografia,
grafica e design in mostra a Milano Napolitano, via alle consultazioni Gaza,
l'Egitto apre i varchi ai palestinesi Il Governo supererà lo scoglio della
fiducia? Hinkemann, il dramma di un reduce di guerra Le millenarie vicende del
genere umano sono piene di orrori. Ma a rendere particolarmente imperdonabili i
genocidi del XX secolo contribuiscono due cose: primo, il fatto ch'essi
riguardano da vicino le generazioni dei nostri padri, dei nostri nonni e anche
le nostre; secondo, essi non appartengono a chissà quale passato di barbarie
bensì a un presente che si ama tuttora dipingere come un'età di magnifiche
sorti e progressive. Infamie venute dopo i Diritti dell'Uomo; partorite dallo
stesso ventre che ha generato Illuminismo e Umanitarismo. Per questo sono tanto
più imperdonabili. Il mio studio fiorentino è un ambiente piccolo. Uno scaffale
è riempito dalle testimonianze dell'orrore del Novecento: grossi "Libri
Neri" (del comunismo, del capitalismo, del colonialismo, della guerra) e
una serie di monografie sulle stragi: degli ebrei, degli armeni, dei kulaki
russi, degli indiani d'America, dei popoli africani. Il 27 gennaio,
anniversario della scoperta del Lager di Auschwitz, è ricorrenza dedicata alla
Shoah: a proposito della quale si continua a discutere se essa sia stata
"unica" della sua immane tragedia, oppure "esemplare" nel
suo carattere di caso estremo magari ma tipico d'un orrore la concezione del
quale era del tutto moderna. Non facciamo questione di numeri: non c'è nulla di
più ripugnante della computisteria funebre. Il punto è un altro: intender sul
serio, e in concreto, il significato di quella frase che troppo spesso
pronunziamo distrattamente, come un mantra che rischia di tingersi di retorica
e di conformismo. "Dovere della memoria". Sì. Un dovere sacrosanto.
Ma che non può essere soltanto passivo. Non dimentichiamo che il ventre che ha
partorito quegli orrori è ancora gravido, ma capace di camuffarsi. E sono tante
le Auschwitz che funzionano ancora oggi. Nel Vicino e Medio Oriente, dove si
muore di guerra e di terrorismo. In Libano, in Israele, in Palestina, dove sarebbe sacrosanto eppure è quasi impossibile distinguere
tra vittime e carnefici. Nell'Estremo Sud-Est asiatico e in America latina,
dove tirannia e fanatismo falciano quotidianamente vite umane. In Africa, dove
si stanno combattendo guerre tribali con mezzi ultramoderni e dove si continua
a morire di Aids e di fame. E perfino nel nostro felice e libero
Occidente: dagli ospedali dai quali s'innalza verso Dio il grido silenzioso
degli innocenti assassinati per carenza o mancanza di cure, o soppressi prima
di nascere, fino all'orribile paradosso di luoghi come Guantanamo, nei quali si
consuma l'assurdo della violenza perpetrata nel nome della Libertà. Qui non si
tratta di esportar democrazia. Si tratta di lottare contro l'infelicità e
l'ingiustizia. Vai alla homepage 28/01/2008.
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( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)
Prima Pagina Pagina 2 Gerrei. La medaglia di
"giusto" sarà conferita domani da Israele a
Roma L'eroe di San Nicolò che salvò centinaia di ebrei Gerrei.. La medaglia di
"giusto" sarà conferita domani da Israele a
Roma --> Aveva 36 anni quando fu fucilato: le Brigate nere fasciste avevano
scoperto che Salvatore Corrias, giovane finanziere di San Nicolò Gerrei, aveva
aiutato centinaia di ebrei a riparare in Svizzera. Nel suo paese fu dimenticato
e solo di recente si è ricostruita la storia di questo eroe della Resistenza.
Domani l'ambasciatore di Israele in Italia gli
conferirà la medaglia di giusto nella caserma della Finanza davanti a una
delegazione del Comune. La medaglia sarà esposta nel museo cittadino. SERRELI A
PAGINA 5.
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( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)
Oggi è Lun, 28 Gen 2008 Edizione 18 del 26-01-2008 Disinformazione
di Hamas Gaza, buio in scena vince la propaganda di Dimitri Buffa Lo sapevo. Ci
siamo di nuovo cascati. Come su "Scherzi a parte" . Ancora una volta
i simpatici cineasti di Hollywood Palestina l'hanno
fatta in barba a tutti i media mondiali, molti dei quali ansiosi di farsi
fottere in questa maniera, con la simpatica balla di "Gaza al buio perché
quei boia degli israeliani ci hanno tolto la luce". A smascherare la
sceneggiata ancora una volta il Jerusalem Post che in un articolo dal titolo molto
significativo, "Luci spente, camera, azione", ha descritto la
conferenza stampa a lume di candela del leader golpista di Hamas Ismael Haniya,
che ha convocato all'uopo tutti i volenterosi giornalisti occidentali nel suo
ufficio mentre fuori dal palazzo però, piccolo particolare, le luci erano tutte
accese. A descrivere la ridicola messinscena anche una bravissima blogger
israeliana che scrive per informazionecorretta.com, Deborah Fait. Che ci
decrive la farsa con le parole usate da alcuni reporter israeliani:
"Haniya, ci ha convocati nel suo ufficio, siamo entrati e abbiamo trovato
lui e i suoi ministri, al buio, seduti intorno al tavolo e davanti a ognuno
c'era una candela accesa. Strano, abbiamo pensato, perché era giorno e sulle
scale c'era la luce elettrica! Avevano chiuso tutte le tende per rendere la
stanza completamente buia. Ci ha ordinato di fotografare e di ritornare la sera
stessa. Siamo ritornati e abbiamo trovato il quartiere al buio, nelle zone da
cui venivamo invece c'era la luce e decine di donne e bambini per la strada con
le candele accese in mano". Commento della Fait: "questi sono i
racconti dei giornalisti palestinesi arrivati ieri a Gerusalemme. Li abbiamo
visti e sentiti in diretta alla TV israeliana e stiamo ancora ridendo. Sembra impossibile
che i palestinesi siano tanto sicuri di poter prendere in giro il mondo intero
da arrivare a fare le sceneggiate "aiuto non abbiamo la luce, Israele ci sta togliendo tutto!" persino durante il
giorno. Sono davvero arcisicuri che Eurabia creda ad ogni loro parola."
Scrive ancora la Fait sul proprio blog: "sembra impossibile ma hanno
ragione, il mondo gli crede, qualsiasi cosa dicano il mondo pende dalle loro
labbra e all'ONU ti schiaffano una bella risoluzione contro
Israele, senza nemmeno accennare ai bombardamenti su Sderot. Il mondo
urla "Israele affama i palestinesi" e li guarda, belli grassi, hanno
persino la pancia, i bambini hanno belle guanciotte rotonde però continuano a
gridare i soliti idioti "Israele affama i palestinesi, non
possiamo accettare una punizione collettiva". A Sderot invece si?
Sderot può essere punita collettivamente? I bambini di Sderot possono
im-pazzire di paura? Sparano 50 razzi al giorno, in poco più di 2 anni sono
caduti nel sud del Neghev più di 9000 Qassam". E a proposito di leggende
da sfatare ieri è caduta miseramente anche quella dell'umanitarismo di Moubarak
che avrebbe permesso ai sempre "poveri palestinesi" di
approvvigionarsi su territorio egiziano dopo avere fatto saltare il muro di cui
non parla nessuno, quello che chiude il valico di Rafah dalla parte egiziana.
Ieri infatti è stata la giornata dell'intervento massiccio delle unità anti
sommossa egiziane. Le agenzie riportano che "ieri mattina le autorità
egiziane avevano deciso di rafforzare il contingente di militari nella zona per
riprendere gradualmente il controllo della situazione e ripristinare il
confine". Secondo l'inviato della tv araba al-Jazeera, in realtà il valico
sarà chiuso oggi, mentre ieri i militari hanno avuto il compito di impedire
l'ingresso dei palestinesi in Egitto e di incoraggiare energicamente le decine
di migliaia ancora presenti nel loro territorio a tornarsene nella striscia di
Gaza. Appena ci scapperà il primo morto, e gli egiziani non vanno molto per il
sottile (loro gli omicidi non li mirano ma tendono a socializzarli), vedrete
che forse finirà anche la bella favola dell'Egitto equo e solidale.
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( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)
Oggi è Lun, 28 Gen 2008 Edizione 18 del 26-01-2008
Intervista a Franco Perlasca / Anche l'Italia ha il suo "Schindler" Il
figlio del commerciante italiano, che fingendosi addetto all'ambasciata
spagnola di Budapest pose sotto la sua protezione e salvò da morte sicura circa
5000 ebrei, racconta le gesta del padre di Stefano Magni Anche l'Italia ha il
suo "Schindler" da ricordare. Giorgio Perlasca, a Budapest,
fingendosi addetto all'ambasciata spagnola, pose sotto la sua protezione e
salvò da morte sicura circa 5000 ebrei. Impedì che venissero imbarcati sui
vagoni della morte che li avrebbero portati ai campi di sterminio, assicurò
loro un rifugio sicuro nelle abitazioni sulla riva del Danubio che erano di
proprietà dell'ambasciata (e dunque extra-territoriali) e fornì loro medicinali
e viveri. Alla fine del 1944, fingendosi sempre un diplomatico spagnolo e
inventando minacce di ritorsioni da parte del governo di Franco, riuscì a
convincere il regime nazista ungherese a non radere al suolo il ghetto ebraico
di Budapest. Eppure Perlasca non era un politico. Era un commerciante italiano,
aveva combattuto come volontario in Etiopia e poi in Spagna, era simpatizzante
per il governo di destra ungherese retto dall'ammiraglio Miklos Horthy, dal
1941 alleata con la Germania di Hitler. La situazione cambiò drasticamente il
19 marzo del 1944, quando la Germania occupò il paese e instaurò un
regime-fantoccio. Fu allora che iniziò la storia di Perlasca, una storia di
eroismo che rimase completamente sconosciuta fino al 1988, quando questo
"eroe per caso" fu rintracciato e ricontattato da alcune famiglie
ebree ungheresi che aveva salvato. Che cosa spinse Giorgio Perlasca a rischiare
così tanto? Ne abbiamo parlato con suo figlio, Franco Perlasca: "Non ci fu
alcuna motivazione ideale o politica, ma umanitaria - ci spiega - vedeva le
persone che venivano prese e avviate verso i campi di sterminio. Visto che
aveva la possibilità di salvarle, lo fece senza dubbi" Com'era la
situazione in Ungheria fino alla primavera del 1944? Anche dopo lo scoppio
della guerra, l'Ungheria era totalmente diversa rispetto agli altri paesi
dell'Europa orientale alleati dei nazisti. Gli ebrei non venivano deportati.
Venivano certamente discriminati. Anche in Ungheria erano in vigore leggi
razziali, erano state fissate delle quote che li penalizzavano nelle scuole,
nelle università e nell'impiego pubblico. Ma la comunità ebraica locale, circa
800.000 individui, era intatta nel marzo del '44. Merito dell'ammiraglio
Horthy, una personalità forte che riuscì a tenere a bada Hitler. Quando le
Croci Frecciate, i nazisti ungheresi, presero il potere, suo padre cambiò idea
sugli ungheresi? La presa del potere dei nazisti fu un vero e proprio colpo di
Stato, non una scelta popolare. Naturalmente c'era chi era filo-nazista, come
in tutti i paesi dell'Europa in guerra. La società ungherese era molto
composita e anche multipartitica: fino ad allora c'erano state elezioni, pur
controllate. Il colpo di Stato avvenne dopo che Horty lanciò alla radio il
messaggio dell'uscita dell'Ungheria dalla guerra. Probabilmente sbagliò i suoi
calcoli e non immaginò quale sarebbe stata la reazione nazista. Il regime che
conquistò il potere raggiunse dei livelli di violenza inauditi. I nazisti in
Ungheria erano convinti di dover recuperare il tempo perduto, di completare lo
sterminio di tutta la comunità ebraica in pochi mesi, quando negli altri paesi
c'erano voluti anni. E in pochi mesi, effettivamente, assassinarono i tre
quarti dell'intera comunità. La responsabilità del genocidio è di una minoranza
fanatica, mentre mio padre ebbe sempre una grandissima stima del popolo
ungherese, di cui ammirava soprattutto la fierezza. Un coraggio popolare che fu
confermato anche dopo la II Guerra Mondiale, quando l'Ungheria si sollevò
contro il potere comunista: quella del '56 fu realmente una sollevazione di
popolo, in tutti i sensi. Proprio a proposito dei sovietici: di solito la
storia di suo padre finisce con l'arrivo dei sovietici a Budapest. Ma fu
veramente un lieto fine? Fu un lieto fine perché l'Armata Rossa pose fine allo
sterminio degli ebrei e alla dittatura delle Croci Frecciate. Allo stesso tempo
non fu un lieto fine, perché quando l'Armata Rossa entrò in città, nelle prime
due settimane scatenò l'inferno. Le truppe d'assalto erano completamente
ubriache per darsi coraggio. Tutte le donne che incontrarono, dai 10 ai 90
anni, furono sistematicamente violentate. La situazione fu veramente tragica
finché non giunsero le forze di prima linea a ristabilire un minimo di ordine,
ma nei primi giorni si visse nel terrore. Suo padre lottò contro tutti e due i
totalitarismi del '900. Quali furono le sue scelte politiche nel dopoguerra?
Dopo la fine del conflitto mondiale si trasferì a Trieste e partecipò anche
attivamente al movimento per far ritornare la città (allora zona occupata e
amministrata dagli Alleati, ndr) sotto la sovranità italiana. Non fece mai
politica attiva. Aderì inizialmente al Movimento dell'Uomo Qualunque, poi,
quando questo scomparve, votò anche la Dc, ma soprattutto il Pli di Malagodi.
Dalla metà degli anni '70, si avvicinò anche alla Destra Nazionale. Del
fascismo non fu mai nostalgico, anche se sapeva distinguere tra i lati positivi
e negativi del regime. Condannava le leggi razziali, l'alleanza con i nazisti e
l'entrata in guerra, ma riconosceva la crescita economica, le grandi opere, il
riconoscimento dei primi diritti dei lavoratori. Nel dopoguerra non cambiò
assolutamente idea. Si riconosceva in alcuni valori che, almeno una volta, era
considerati di "destra": amare la patria e anteporre i doveri ai
diritti. Suo padre ricevette riconoscimenti da Israele e dall'Ungheria e l'Italia arrivò ultima a decorarlo. Quali
furono le ragioni di questo ritardo, secondo lei? La storia di mio padre è
difficile da raccontare, anche per motivi ideologici. Perché è la storia di una
persona che era stata fascista, che smise di essere fascista, ma non divenne "antifascista"
nel senso classico del termine. Non era facilmente inquadrabile da una
storiografia che ha sempre distinto in modo netto i buoni e i cattivi. Mio
padre era bollato per quel suo "peccato originale" e non era facile
trovare una soluzione per un suo pieno riconoscimento. Secondo me, ruppe un po'
gli argini il presidente Francesco Cossiga. L'assegnazione a mio padre della
medaglia d'oro al valor civile, fu una sua picconata e fu uno dei suoi
ultimissimi atti da presidente. Al resto pensò la burocrazia. La comunicazione
della decorazione ci arrivò nel settembre del 1992, quando mio padre era
mancato in agosto.
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( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
Scritto&parlato Israele
e le nostre responsabilità Valentino Parlato La mia nota, sul manifesto del 24
gennaio, contro il boicottaggio alla Fiera del libro di Torino, ha provocato
molte reazioni negative, tutte - schematizzo - concentrate su un punto: lo
stato d'Israele perseguita i palestinesi e quindi è
giusto e doveroso boicottare la sua presenza alla Fiera del libro. Le lettere
sono molte. Non è possibile pubblicarle tutte e alcune ho dovuto tagliarle.
Chiedo scusa e vengo alla risposta. Innanzitutto ringrazio perché la
discussione che si apre è seria e coinvolgente, e dovrebbe continuare. Certo
l'attuale comportamento d'Israele porta acqua al
mulino dei miei critici, ma possiamo destoricizzare la questione? Caro Michele
la persecuzione degli ebrei in tutto il mondo non è un mito del recente
passato. La persecuzione è antica e noi cristiani siamo intervenuti con
"il popolo deicida", responsabile della crocifissione di Gesù Cristo
e poi, vado a memoria, la cacciata dalla Spagna a opera della cattolica
Isabella e per ultimo (ma non definitivo) la Shoah . Insomma - penso io - che
sarebbe un grave errore destoricizzare la questione ebraica e ridurla solo allo
stato d'Israele, perché, peraltro, sempre a mio
parere, contrasta con l'essenza dell'ebraismo, che è la diaspora. Insomma non
possiamo ridurre la questione ebraica all'attuale stato d'Israele,
che pure è un'espressione dell'ebraismo. E poi - aggiungo - dovremmo sforzarci
di una riflessione storica anche sui palestinesi, che - sempre a mio parere -
sono gli ebrei del mondo arabo: intelligenti e perseguitati; dall'imperialismo
occidentale e dalla feudalità araba. Tanto che io credo che la formula
"due popoli uno stato", cioè uno stato ebreo-palestinese sarebbe la
soluzione naturale, ma impossibile nel contesto dello scontro tra i poteri
internazionali forti. Uno stato ebraico-palestinese (lo propone Gheddafi)
sarebbe una grande innovazione di pace, ma nell'attuale contesto è impossibile.
In tutti i modi critichiamo Israele e la sua politica,
ma rinunziamo all'arma del boicottaggio, che ci riporta indietro nei secoli e
va contro gli scrittori israeliani che criticano aspramente in governo. p.s. E
poi se vogliamo complicare la cosa ancora di più rileggiamoci "Il problema
ebraico" di Karl Marx. Valentino Parlato Schiavo del mito? Caro Valentino,
ti sono molto affezionato e conosci il grande rispetto che ho per il tuo
lavoro. Devo però dirti che sono rimasto senza parole leggendo il tuo
intervento sulla Fiera del libro. Senza offesa, mi sconvolge la banalità delle
tue motivazioni. Non perché sostengono che sia sbagliato boicottare, ma per il
fatto che non sono vere motivazioni. Appaiono un'artificiale difesa d'ufficio
di uno stato che è ben lontano dal mito che ti affascinò 60 anni fa. Nelle
ragioni che elenchi manca un filo di logica, un filo di analisi, rispetto a
quello che accade sul terreno. Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Gli israeliani stanno costruendo un nuovo apartheid che tu però neghi perché
non vuoi accettare una realtà che si scontra con il mito. Eppure il nostro
amico Daniel Amit aveva saputo spiegarcelo in modo così chiaro. A denunciarlo
da anni è anche il maestro Daniel Baremboim, che non è certo un pericoloso
estremista. Gli israeliani non sono afrikaner? Vero, ma si comportano allo
stesso modo. Con il cuore colmo di delusione. Michele Giorgio Insisti
nell'errore Caro Parlato, ho letto il tuo articolo di giovedì scorso. Mi ha
colpito molto. Non posso pensare che le cose dette siano frutto di ignoranza,
quindi perché? Per sostenere di essere contrario al boicottaggio dimentichi che
anche associazioni democratiche israeliane lo sostengono, che è
"anche" il 60.mo anniversario della Naqba palestinese (la
"memoria" non è a senso unico), che un israeliano non è sempre ebreo,
tra gli israeliani ci sono musulmani (molti), cristiani, drusi, atei; ci sono
ebrei discriminati da altri ebrei, e è ipocrita dire che boicottare lo stato di
Israele per la politica e le azioni contro i
palestinesi che porta avanti è essere contro gli ebrei tout court. E cosa
c'entra tirare in ballo il ghetto di Varsavia con il boicottaggio ? Non
nascondiamoci dietro il dito degli scrittori di grande levatura presenti, tre
dei quali portatori accondiscendenti della politica israeliana verso i
palestinesi, quando la cultura del paese è molto variegata: dove sono i
cosidetti nuovi storici o dissenzienti dal sionismo o gli scrittori palestinesi
di Israele? Già sono discriminati in Israele e lo sono anche in Italia. Se fossero stati invitati
forse avresti avuto più frecce al tuo arco. E infine, caro Parlato, non è vero
che un libro va sempre rispettato, dipende da quello che trasmette e sono
sicuro che anche per te molti libri non vanno rispettati. Allora ho
l'impressione che usi questi argomenti solo per un pregiudizio, quello di
difendere sempre e comunque il governo israeliano. Lino Zambrano cooperante Ong
Cric Gaza Invecchi male L'articolo di Valentino Parlato in cui condanna quanti
sono impegnati a boicottare l'edizione della Fiera del Libro (dove si vorrebbe
ospite d'onore Israele) andrebbe stampato in milioni
di copie e fatto girare ovunque. E' un testo che offre molte ragioni proprio a
chi vuole boicottare la Fiera. Cosa dice Parlato? Qualunque cosa abbiano o
commettano, gli israeliani vanno giustificati. Non li si può condannare
oltremodo perché loro, gli israeliani, hanno subito forti persecuzioni da parte
dei cattolici prima e dei nazisti poi. Ora, ditemi quale uomo o donna con un
minimo di senno può pensare un abominio del genere. Io credo che nemmeno i
filo-israeliani che andranno alla Fiera (se rimarrà come voluto dal Comitato
che gestisce l'ente, il cui capo è iscritto alla loggia P2, tessera 2095)
possano prendere le parole di Parlato per recarsi a Torino senza vergogna. Il
"nostro" in un sol colpo è riuscito a spazzare via le idee di Primo
Levi, Franco Fortini, Luigi Pintor e infine Stefano Chiarini (che mi sembra un
bel modo di ricordarlo ad un anno dalla sua morte). Inoltre ha mandato a quel
paese quegli israeliani che si rifiutano di stare dalla parte dell'occupazione.
Ha stracciato, infine, molti vecchi articoli della Rossanda, di se stesso...
Una cosa ha dimostrato Valentino Parlato: non è sempre vero che si invecchia
bene, a volte lo si fa nel peggiore dei modi, come a esempio stare dalla parte
degli aguzzini contro le vittime. Francesco Giordano Gli ebrei non sono Israele Caro Valentino Parlato, in relazione al tu articolo,
"Un boicottaggio sbagliato", devo dire che condivido l'idea che il
boicottaggio possa essere uno strumento a volte discutibile, ma non era questo
il tema principale del tuo articolo. Tu sei entrato, mi sembra, proprio nel
merito dell'opportunità di contestare lo stato di Israele,
e non hai colto, mi sembra, quello che per molti di noi, almeno tra i lettori
del manifesto, è invece una discriminante che non viene colta neppure da altri
"compagni": l'esistenza di uno stato etnico, anzi, di più, uno stato
religioso. Mentre si lotta (forse non tutti) per conservare nel nostro paese
almeno il principio della laicità, si accetta che esista, e lo si sostiene, uno
stato basato sulla religione (quella ebraica in questo caso) come fosse la cosa
più naturale del mondo, anzi, siamo disposti a sostenere che la sua esistenza
difenda il diffondersi della democrazia nel mondo. Più volte nel tuo articolo
confondi lo stato di Israele con l'ebraismo; cito:
"riconoscere agli ebrei il diritto a avere un territorio e uno stato, era
obbligatorio", "Gli israeliani - che sono sempre ebrei...",
"la persecuzione del popolo ebraico" (a sostegno della necessità
dell'esistenza di uno stato ebraico), "non solo perché gli israeliani sono
ebrei e non afrikaner", tutte frasi estratte dal tuo articolo, e che, mi
sembra, sostengono la necessità dell'esistenza di uno stato appunto ebraico,
basato sull'appartenenza religiosa. Un assunto del genere, anche se, come dici
tu condiviso dal "compagno Stalin", non lo trovo affatto
condivisibile, almeno non dai "compagni" che leggono il manifesto
(sono tra l'altro abbonato da vari anni). Con affetto. Francesco Andreini
Ebraismo e sionismo Gentile signor Parlato, lei scrive che c'è boicottaggio e
boicottaggio... Si potrebbe aggiungere: c'è violenza e violenza, ci sono
oppressori e oppressori. E oppressi e oppressi. Per lei, evidentemente, Israele è un oppressore autorizzato e quella israeliana una
violenza doc. Perché il boicottaggio contro lo stato razzista del Sudafrica
andava bene, mentre quello contro Israele, stato
altrettanto razzista e basato sull'apartheid, no? Perché continuare volutamente
a confondere ebraismo con sionismo e con la creazione di Israele?
E' una manipolazione, è scorretto e allontana qualsiasi giusta soluzione alla
questione palestinese. E non aiuta neanche gli ebrei, confusi con le feroci
scelte politiche e militari di uno degli stati più spietati del mondo. La
Redazione di www.infopal.it Peggio per Stalin Leggendo l'articolo di Valentino
Parlato in cui si schiera contro il boicottaggio della Fiera del libro ho
provato, confesso, un senso di sgomento. Sgomento che deriva in parte dal
difficile momento storico che il popolo palestinese sta attraversando, stretto
tra un'occupazione quanto mai feroce e una crescente indifferenza
internazionale, che ci impone urgenza nello schierarci in modo netto dalla
parte degli oppressi. Ma anche le argomentazioni addotte contro il boicottaggio
non mi convincono. In primo luogo viene ricordato che "dopo la seconda
guerra mondiale riconoscere agli ebrei il diritto di avere uno stato e un
territorio era obbligatorio". Riconoscere il diritto di fondare uno stato
ebraico in Palestina, in onore al vecchio testamento,
non era affatto obbligatorio e si è rivelato un colossale disastro storico
anche se, come ricorda Parlato, "anche Stalin fu a favore". La
domanda sorge spontanea: e con ciò? La nascita dello stato di Israele non fu un risarcimento al popolo ebraico per i torti
subiti durante la guerra ma il compimento di un progetto sionista studiato nei
dettagli, messo in moto da Herzl alla fine dell'800 e portato avanti in modo
continuo per tutta la prima metà del XX secolo. La fine della guerra e la
conoscenza in Europa degli orrori dell'olocausto determinarono un clima
favorevole alle risoluzioni che portano al riconoscimento di Israele.
Ben diverso dall'affermare l'obbligatorietà dell'atto. Mi sembra inoltre
importante sottolineare che non credo sia obiettivo del boicottaggio la
cancellazione del riconoscimento di Israele da parte
della comunità internazionale, semmai ricordare a Israele
che le risoluzioni della stessa comunità internazionale andrebbero applicate
anche quando contrarie ai propri interessi. I confini non dovrebbero essere
disegnati coi mattoni su percorsi decisi dal ministro della difesa e ci sono
convenzioni che si farebbe bene a rispettare. Chi è stato cacciato dalla
propria casa dovrebbe poterne far ritorno così come l'esercito israeliano non
dovrebbe poter arrestare delle persone nei territori occupati per poi portarle
in Israele e dimenticarle in gattabuia. L'assedio
medievale che costringe Gaza alla fame non dovrebbe essere permesso. Cosa
c'entri la seconda guerra mondiale con tutto questo non mi è del tutto chiaro.
Sicuramente c'entra tanto quanto l'aneddoto sugli ebrei del ghetto di Varsavia
che cantarono l'internazionale prima di essere massacrati. Apprezzo il racconto
e mi commuove intimamente, anche in virtù di mia nonna, ebrea polacca,
ricordare quell'orribile massacro. Ma continuo a non trovare il nesso. Al punto
crucialedell'articolo apprendo che "c'è boicottaggio e boicottaggio,
quello contro i razzisti sudafricani era più che giusto" ma "Gli
israeliani - che sono sempre ebrei - per quanti torti abbiano nei confronti del
popolo palestinese non sono in alcun modo paragonabili ai razzisti
sudafricani". E perché? Perché per quanti torti facciano, distinguendosi
sulla base di un'appartenenza razziale/religiosa, a un altro popolo, non sono
paragonabili agli afrikaner? Perché uno stato che ha come fondamento
l'appartenenza alla stirpe di Davide, che ritiene il colonialismo un diritto
concesso dalla bibbia, che riduce alla fame, alla prigionia, all'umiliazione,
il popolo palestinese, non può essere paragonato al Sudafrica razzista? Sia
dalla costruzione lessicale, sia da quanto segue nell'articolo, sembrerebbe che
ciò che li esonera dal confronto sia proprio la loro condizione di ebrei.
Infatti ci viene ricordato che "c'è la storica persecuzione del popolo
ebraico, ci sono i ghetti e i campi di sterminio". E oggi ci sono i campi
profughi, i check point, le carceri israeliane, l'occupazione, gli assasinii
mirati e non. C'è il muro. Credo che un segnale di ripudio forte, netto, e
soprattutto non isolato nel tempo contro queste politiche sia molto più
importante che un qualsiasi dibattito letterario, per quanto interessante e
costruttivo. Mariano Heluani, Caserta Boicottaggio opportuno Raramente non mi
trovo in totale e convinta sintonia con Valentino Parlato, ma il suo intervento
sulle polemiche che stanno accompagnando la Fiera internazionale del libro di
Torino del prossimo maggio non ha fugato tutti i miei dubbi. Non sono in grado
di entrare nel merito della querelle, non conoscendo la storia e l'opera degli
autori ebraici invitati alla Fiera di Torino. Mi sento però di affermare che,
qualora le voci di dissenso, non dico a "questo" governo israeliano
ma a tutti gli esecutivi che si sono là succeduti negli ultimi 10-15 anni, non
fossero sufficientemente ospitate nella manifestazione torinese allora una
qualche forma di boicottaggio sarebbe non solo tollerabile ma quantomeno
auspicabile e opportuna. Se non altro per ricordare la differenza (troppo
spesso dimenticata) che c'è tra oppressi e oppressori, e che quando un popolo
che fu vittima si trasforma in carnefice allora non può più invocare a sua
difesa i torti subiti in passato. Enzo Lanciano Il razzismo israeliano Nel suo
articolo di giovedì scorso, Valentino Parlato si oppone fermamente al ventilato
boicottaggio della Fiera internazionale del libro di Torino che avrà Israele quale ospite d'onore. Le argomentazioni di Parlato
(di cui sono un estimatore) stavolta però non convincono. Nel taglio basso di
prima pagina scrive d'essere stato a favore del boicottaggio del Sudafrica, ma
gli israeliani, sostiene, non sono razzisti come lo erano gli afrikaner. A me
pare fuorviante stare a pesare il razzismo dell'uno o dell'altro (quando questo
è un tratto comune). Sul razzismo di Israele mi limito a rinviare al saggio "Le racisme de l'Etat
d'Israel" di Israel Shahak, che fu presidente della Lega dei diritti
dell'uomo di Israele, e al più recente "Shalom fratello arabo" di Nathan Susan.
Sugli effetti del razzismo israeliano parla ( almeno sul manifesto, per fortuna
di noi lettori) la cronaca quotidiana. Il boicottaggio ha senso quando
non è solo contro ma anche quando è per. Il boicottaggio del Sudafrica fu
contro l'apartheid e per sostenere la lotta di liberazione dei neri, come era
stato chiesto da Nelson Mandela. Il necessario boicottaggio della Fiera (ma non
solo di questa) sarebbe contro Israele, che pure
pratica l'apartheid, e per sostenere i diritti dei palestinesi, come chiedono
quest'ultimi, (vedi l'intervista a Omar Barghouti sul manifesto del 22 gennaio
scorso). Israele andrà difeso, quando opererà
realmente a favore della pace, nel rispetto del diritto internazionale, e non
perché gli ebrei furono trucidati nei campi concentramento. Argomentazioni di
questo tipo nuocciono allo stesso Israele! E se la
Fiera venisse boicottata dagli stessi Oz, Grossman, Yehoushua, dagli scrittori
israeliani e ebrei che si dicono a favore dei diritti dei palestinesi, quei
diritti che il loro paese continua a calpestare da sessant'anni? Se questi
intellettuali (si)chiedessero: cosa mai dovremmo festeggiare? La storia, antica
e moderna, è ricca di esempi di intellettuali che, coerentemente alle proprie
posizioni, si sono opposti anche fino alle estreme conseguenze, a scelte,
errate, e scellerate, dei propri governanti. Gaddo Melani Riva San Vitale
Svizzera.
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( da "Stampa, La" del 28-01-2008)
IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI
ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ 14,30/19,30, DA MARTEDÌ A DOMENICA
9,30/19,30, GIOVEDÌ E SABATO 9,30/22,30, INGRESSO: INTERO 7,50, RIDOTTO 5,50,
BAMBINI (6-14 ANNI) 3,50, TEL 011/5711811, WWW.PALAZZOBRICHERASIO.IT Dal 25
gennaio al 24 febbraio, le sale espositive ospitano un'antologica, curata da
Luca Beatrice e organizzata in collaborazione con il Mamac di Nizza, che
ripercorre attraverso 70 opere le vicende artistiche del principale esponente
del Nouveau Realisme. Francisco Goya BIBLIOTECA NAZIONALE UNIVERSITARIA DI
TORINO, PIAZZA CARLO ALBERTO 3, ORARI: LUNEDI', MERCOLEDI', VENERDI' E SABATO
9/13, MARTEDI' E GIOVEDI' 9/18 E' aperta sino al 15 marzo "Los Caprichos.
Goya Illuminista fra Settecento ed Europa napoleonica". In mostra, l'intera
opera di Francisco Goya "Los Caprichos": un insieme di tavole in
perfetto stato di conservazione, cui è affiancato un importante nucleo di
reperti librari di proprietà della biblioteca. Lo Spazio dell'uomo FONDAZIONE
MERZ, VIA LIMONE 24, ORARI: MARTEDI'-DOMENICA 11/19. INGRESSO: INTERO 5 EURO,
RIDOTTO 3,50, GRATIS BAMBINI SOTTO I 10 ANNI, MAGGIORI DI 65 , DISABILI E OGNI
PRIMA DOMENICA DEL MESE Fino all'11 maggio, un'indagine sulla scena artistica
contemporanea cilena, attraverso l'incontro tra storia del passato e realtà del
presente. Werner Herzog FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO, VIA MODANE 16, OR.:
12/20, GIOVEDI' 12/23, CHIUSO LUNEDI' Nell'ambito della manifestazione
"Segni di Vita. Werner Herzog e il cinema", la Fondazione ospita una
mostra ricca di strumenti che permettono di approfondire l'idea di cinema
dell'artista tedesco. Accanto alla sezione fotografica, l'esposizione, aperta
fino 10 febbraio, segue un itinerario composto da una serie di video. Novecento
- Trilogia dell'automobile TORINO ESPOSIZIONI, CORSO MASSIMO D'AZEGLIO 15, OR:
MARTEDI'-DOMENICA 10/18,30. Le più belle auto del '900; fino al 30 marzo. Why
Africa? PINACOTECA AGNELLI, VIA NIZZA 230, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/19. INGR.:
INT. 7 EURO, RID. E GRUPPI 6, SCUOLE E BAMBINI 6/12 ANNI 3,50. VISITE GUIDATE
011/0062713. WWW.PINACOTECA-AGNELLI.IT Esposta per la prima volta in Italia una
parte della più importante collezione al mondo di arte contemporanea africana.
Il tema più ricorrente nelle opere è il profondo legame con il territorio al
quale gli artisti si rivolgono proponendo la loro personale esperienza della
realtà. La mostra rimane aperta fino al 3 febbraio. Acquisizioni GAM, VIA
MAGENTA 31, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/18, LA BIGLIETTERIA CHIUDE UN'ORA PRIMA.
INGRESSO: 7,50 EURO, RIDOTTO 6; INFO 011/4429518. WWW.GAMTORINO.IT Fino al 27
gennaio, sono esposte 50 delle mille opere acquisite negli ultimi 5 lustri.
Tempeste polari MUSEO DELLA MONTAGNA, P.LE MONTE DEI CAPPUCCINI 7, OR.: 9/19,
LUNEDI' CHIUSO. WWW.MUSEOMONTAGNA.ORG Manifesti e film dei primi trent'anni di
cinema sulla grande avventura esplorativa in Artide e Antartide. Fino al 10
febbraio. Splendide preziosità quotidiane MUSEO DI ANTROPOLOGIA, VIA ACCADEMIA
ALBERTINA 17 La collezione si arricchisce di un centinaio di reperti del primo
'900 dell'Asia Centrale. Le opere rimarranno in esposizione sino al 31 marzo.
Torino inedita ARCHIVIO STORICO DELLA CITTÀ DI TORINO, VIA BARBAROUX 32, OR.:
LUNEDI'-VENERDI' 8,30/16,30 Quattro panorami di Luigi Vacca; in esposizione
fino al 31 marzo. (R)esistere per immagini MUSEO DIFFUSO DELLA RESISTENZA,
CORSO VALDOCCO 4/A, TUTTI I GIORNI DALLE 10 ALLE 18, IL GIOVEDÌ DALLE 14 ALLE
22; CHIUSURA IL LUNEDÌ; INGRESSO LIBERO Mostra in omaggio a Germano Facetti:
all'uomo sopravvissuto alla Deportazione, al grafico che ha rivoluzionato la
Penguin Books, al creativo, attraverso i documenti privati e professionali del
ricco fondo acquisito dall'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e
della società contemporanea "Giorgio Agosti". La mostra sarà aperta
al pubblico sino al 25 aprile. Capitàn Germàn MIAAO, VIA MARIA VITTORIA 5, DAL
MARTEDÌ AL VENERDÌ ORE 16-19,30 SABATO E DOMENICA ORE 11/19, LUNEDÌ CHIUSO
Artefatti astrali di Germàn Impache, fino al 24 febbraio. Mario Lattes ARCHIVIO
DI STATO, PIAZZA CASTELLO 209, ORARIO: DA MARTEDÌ A SABATO 10/19; DOMENICA
10/14; INGRESSO LIBERO "Di me e di altri possibili: Mario Lattes pittore,
scrittore, editore". La mostra è composta di tre parti: una parte
pittorica con un'antologia di quadri dipinti tra il 1960 e il 1995, una parte
narrativa comprendente le opere pubblicate (romanzi, poesie, autografi e diari)
ed una parte editoriale con alcune opere significative pubblicate nel periodo
in cui l'artista era amministratore delegato della casa editrice Lattes.
L'esposizione è aperta fino al 12 marzo. Paolo Guasco Cinque personali PIEMONTE
ARTISTICO CULTURALE, VIA ROMA 264, ORARI: LUNEDI' - SABATO 15,30/19,30,
INGRESSO LIBERO Fino al 26 gennaio, Piemonte Artistico Culturale propone una
antologica del pittore torinese Paolo Guasco. La mostra segue quella tenuta
alla Civica Galleria d'Arte Filippo Scroppo di Torre Pellice. Alle opere già
esposte si aggiunge un importante nucleo appartenente agli anni '70. Martedì 29
gennaio alle 18 s'inaugurano, poi, cinque mini-personali con opere di: Enrica
Berardi, Cristina Botta, Jessy Jacob, Giancarlo Morra e Rosella Porrati.
Resteranno esposte sino al 13 febbraio. Massimo Ghiotti RETTORATO, V. PO 17.
OR: 7.30/18 INGR. VIA PO E 7.30/19.30 INGR.V. VERDI.; SAB. E DOM. INGR. VIA PO
15.30/19.30. Sette sculture di grandi dimensioni (fino al 31 gennaio).
Un'ottava scultura è in Piazza Castello, tra le vie Po e Verdi. Mi è sembrato
di vedere un U.F.O. EX SCUDERIE DEL PARCO DELLA TESORIERA, CORSO FRANCIA 192,
ORARIO: TUTTI I GIORNI 15/18 Siamo soli nell'universo? Una libera e vivace
interpretazione di questa riflessione da parte degli artisti: Stefano
Gradaschi, Anna Bordignon, Giuseppe Scollo, Elena Mora, Fabio Mattia, Simona
Ilaria Di Michele, Teresa Bonaventura, Silvana Gatti, Vincenzo Vanin e Akira Zakamoto.
Sino al 31 gennaio. IoEspongo XI PASTIS, P.ZZA EMANUELE FILIBERTO 9B,
WWW.ASSOCIAZIONEAZIMUT.NET Fino al 29 gennaio, sono esposte le opere che
partecipano alla seconda tornata del concorso; il giorno successivo, dalle ore
22, serata di selezione e votazione del pubblico, con inaugurazione
dell'esposizione successiva. Love Artom FROM SPOON TO CITY, CORSO MORTARA 46
Giovedì 31 gennaio alle 18,30, verranno messi all'asta pannelli, tele ed
oggetti di design realizzati per il progetto "Love Artom". Il ricavato
sarà devoluto all'iniziativa Tredicesima dell'Amicizia della Fondazione La
Stampa - Specchio dei Tempi, a favore degli anziani del quartiere. Stili a
confronto San Valentino in galleria ARTEINCORNICE, VIA VANCHIGLIA 11, OR.: 9/13
E 15/19, ESCLUSO FEST. E LUN. MATTINA Da sabato 26 gennaio e fino all'8 marzo,
la collettiva "Stili a confronto" presenta ventiquattro opere di
Piero Gilardi, Giorgio Griffa ed Enrico Paulucci. Prosegue inoltre, sempre sino
all'8 marzo, una esposizione pensata per l'avvicinarsi della festa di San
Valentino e la Festa della Donna, con una selezione rinnovata di opere degli
artisti più importanti della galleria. Mario Schifano - Gli anni '80 GALLERIA
IN ARCO, PIAZZA VITTORIO VENETO 3, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10/12,30 E 16/19,30
Dopo la più nota produzione degli anni '60 e '70, Schifano negli anni '80 è
stato precursore di un cambiamento che ha segnato la storia dell'arte italiana,
promuovendo un recupero della tradizione pittorica. Le sue opere di questo
periodo sono in mostra fino al 15 marzo. Daniel Glaser Magdalena Kuntz Miha
Strukelj GAGLIARDI ART SYSTEM, CORSO VITTORIO EMANUELE II 90, ORARIO: 15/20
Daniel Glaser e Magdalena Kuntz presentano tre installazioni, mentre Miha
Strukelj indaga i confini tra pittura e disegno nell'era della tecnologia.
Entrambe le esposizioni terminano il 26 febbraio. Pierre-Yves Le Duc 41
ARTECONTEMPORANEA, VIA MAZZINI 41, ORARI: MARTEDI'-SABATO 15/19, MATTINO E
LUNEDI' SU APPUNTAMENTO 011/8129544 "Opera", prima personale a Torino
dell'artista francese. L'esposizione di disegni prosegue sino al 28 marzo. Neve
PIRRA, C.SO V. EMANUELE 82, OR.:LUN-SAB 9,30/12,30 E 15,30/19,30. DOM.
9,30/12,30 "Neve. Nel mondo di un solo colore", rassegna di
post-impressionisti russi; sino a fine gennaio. Ernesto Jannini e Fausto
Morviducci FUSION ART GALLERY, PIAZZA PEYRON 9/G, ORARIO: MARTEDI', GIOVEDI' E
VENERDI' 16,30/19,30 O SU APPUNTAMENTO 335/6398351 Personali a cura di Edoardo
Di Mauro e Walter Vallini; proseguono sino al 29 gennaio. Stanze-Salvatore
Astore ALLEGRETTI, VIA SAN FRANCESCO D'ASSISI 14, ORARIO: MAR-SAB 10/13 E 14/19
Personale; sino al 31 gennaio. Le opere del calendario SALOTTO DELL'ARTE, VIA
ARGONNE 1/C, ORARI: LUNEDÌ - VENERDÌ 16,30/19, SABATO 10,30/19,30 Esposizione
delle opere pittoriche e sculture pubblicate sul calendario 2008 del
"Corriere dell'arte". A queste, si aggiungono alcune altre di:
Giancarlo Aleardo Gasparin, Martino Bislacco, Alberto Maria Marchetti, Adri
Mazzetti, Lia Laterza, Anna Borgarelli, Adelma Mapelli, Massimo Alfano, Ines Daniela
Bertolino, Giorgio Flis, Dolores Dosio e Tatiana Veremejenko. Sino al 26
gennaio. Anni '60 ARTEREGINA, CORSO REGINA MARGHERITA 191, ORARI: MARTEDI' -
VENERDI' 15/19, SAB. 9,30/12,30 E 15/19 "Frammenti di storia - Anni '60 -
Artisti torinesi ", in esposizione sino al 31 gennaio. Opere di Sergio
Agosti, Nino Aimone, Alfredo Billetto, Romano Campagnoli, Antonio Carena,
Francesco Casorati, Mauro Chessa, Mario Davico, Pietro Gallina, Gino Gorza,
Horiki Katsutomi, Angelo Maggia, Pino Mantovani, Adriano Parisot, Piero
Rambaudi, Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Giacomo Soffiantino e Mario Surbone.
Marcello Giovannone FOGLIATO, VIA MAZZINI 9, OR.: 10/12,30 E 16/19,30, CHIUSO
FESTIVI E LUNEDI' MATTINA Fino al 29 gennaio, personale dal titolo:
"Impronte del tempo". David Gerstein ERMANNO TEDESCHI, VIA C. I.
GIULIO 6, ORARI: MARTEDI'-SABATO 11/13 E 16/20 O SU APP. 011/4369917
Personale dell'artista israeliano; sino al 29 febbraio. Sisto Giriodi Pangolino
VIRANDO, C.SO LANZA 105, OR.: LUN-SAB 16,30/20 Sino al 26 gennaio, personale di
Giriodi; dal 22 al 26 gennaio, è inoltre esposta una serie di carboncini che
ritraggono maschere tipiche della Sardegna. Mercoledì 30 gennaio, dalle
18 alle 23, s'inaugura "Cieli interiori", di Tiziano Bergamini, in
arte Pangolino; sino al 16 febbraio. Silvio Brunetto GALLERIA D'ARTE BERMAN,
VIA ARCIVESCOVADO 9/18, ORARIO: MARTEDI' - SABATO 10/12,30 E 16/19
"Inverno bianco", personale in esposizione sino al 9 febbraio.
Incisioni GALLERIA IL CALAMO, VIA DELLA ROCCA 4/L. ORARIO: 10,30/12,30 E 16,30/19,30
"Incisioni dal XV al XX secolo", rassegna di opere grafiche di
maestri antichi e moderni, tra cui alcuni giapponesi. Esposizione sino a fine
febbraio. Pippo Leocata FOGOLA, PIAZZA CARLO FELICE 15, ORARIO: LUNEDI'
15,30/19,30, DAL MARTEDI' AL SABATO 10,30/19,30, DOMENICA 10,30/13 Esposizione
di olii su tela ed acqueforti del pittore catanese; sino al 31 gennaio.
Collezioni GALLERIA DEL PONTE, CORSO MONCALIERI 3, OR.: MAR-SAB 10/12,30 E
16/19,30 . Dai Sei di Torino a Carol Rama; le opere rimarranno in esposizione
fino al 26 gennaio. Sospensione GIORGIO PERSANO, VIA P. CLOTILDE 45, OR.:
MAR.-SAB. 10/13 E 15,30/19 Installazioni di Marco Gastini ed Eliseo Mattiacci.
Fino al 29 marzo. Mathew Sawyer GALLERIA SONIA ROSSO, VIA GIULIA DI BAROLO
11/H, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 15/19 O SU APPUNTAMENTO 011/8172478 Sino al 31
gennaio prosegue la personale di collages "Don't tell the others what we
were singing". Quadreria GALLERIA MICRO', PIAZZA VITTORIO VENETO 10,
ORARI: MARTEDI' - VENERDI' 16/19,30, SABATO 10,30/12,30 E 16/19,30 Esposizione
di Natale della galleria, fino al 26 gennaio. Gabriele Arruzzo GALLERIA ALBERTO
PEOLA, VIA DELLA ROCCA 29, ORARIO: LUNEDI'-SABATO 15,30/19,30 O SU APPUNTAMENTO
011/8124460 "Hortus conclusus", personale pittorica; in esposizione
sino a sabato 26 gennaio. Paul Fryer GUIDO COSTA PROJECTS, VIA MAZZINI 24,
ORARIO: LUNEDI'-SABATO 11/13 E 15/19 "In Loving Memory", prima
personale italiana dell'artista britannico Paul Fryer. Le opere rimarranno in
esposizione sino al 31 gennaio. Incisioni IN-FOLIO, C.SO AGNELLI 34 (2°PIANO),
ORARIO: 10,30/12,30 E 15,30/19 200 opere originali di maestri dal XV al XIX
secolo; in esposizionesino al 31 gennaio. Enzo Briscese GALLERIA ARIELE, VIA
LAURO ROSSI 9, ANGOLO CORSO GIULIO CESARE, ORARIO: DAL LUNEDI' AL SABATO DALLE
16 ALLE 19,30 "Paesaggio Urbano", personale di tecniche miste e oli
del 2006 e del 2007. L'esposizione è aperta sino al 19 febbraio. Incisioni di
Grandi Maestri SALAMON, VIA VOLTA 9, ORARIO: 10/12,30 E 16/19,30, CHIUSO
DOMENICA E LUNEDI' MATTINA Fino al 26 gennaio, stampe di M. Schongauer, I. Van
Meckenem, Durer, Rembrandt, Casorati e altri. Segno forma e colore BIASUTTI,
VIA DELLA ROCCA 6/B, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10,30/12,30 E 15,30/19,30
Collettiva, fino al 29 febbraio. Giorgio Laveri GALLERIA TERRE D'ARTE, VIA M.
VITTORIA 20/A, OR.: 10,30/12,30 E 16,30/19,30 Giovedì 31 gennaio alle 18
s'inaugura la mostra personale di opere in ceramica, dal titolo: "Effetti
personali" che resterà in esposizione sino all'8 marzo. Eraldo Taliano
GALLERIA PAOLO TONIN, VIA SAN TOMMASO 6, ORARIO: LUNEDI'-VENERDI' 10,30/12,30 E
15,30/19,30 Personale, sino al 31 gennaio. L'insostenibile leggerezza dell'eros
Leonardo Pivi Paolo Schmidlin MARENA ROOMS, VIA DEI MILLE 38, ORARIO:
MARTEDI'-SABATO 15,30/19,30 Sino al 26, collettiva sull'eros. Giovedì 31
(19-21), presenti gli artisti, inaugurazione delle sculture di Leonardo Pivi e
Paolo Schmidlin (quest'ultima sino all'1/3). Art away NON PERMANENT GALLERY,
VIA MONTEMAGNO 37, ORARIO: MARTEDI' - SABATO 15,30/19,30 OPPURE SU APPUNTAMENTO
011/3724084 Collettiva pittorica e fotografica dal titolo: "Sit number 7:
Art away - non conventional Xmas". Espongono: Fernando Montà, Mariella
Bogliacino, Mauro Trucano, Nëri Ceccarelli, Nicola Boursier, Oscar Bagnoli,
Paolo Cotza, Piero Ariotti, Pier De Felice, Radà e Umberto Grati. Sino al 26
gennaio. Non è tutto oro quello che luccica CATARTICA, VIA GARIBALDI 9 BIS,
ORARIO: MARTEDI'-SABATO 16/20 Mostra-boutique con gioielli e bijoux di 15
artisti. Fino al 26.. Rambaudi GALLERIA ROCCATRE, VIA DELLA ROCCA 3 Prosegue
fino a sabato 26 la personale di Piero Rambaudi. Incisioni TEART, VIA GIOTTO
14, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 17/19 O SU APPUNTAMENTO 011/6966422 Fino al 9
febbraio, è esposta una collettiva d'incisioni . Gli autori: I. Barth, L.
Caprioglio, A. Ciocca, L. Caravella, E. Guerra, A. Guasco, G. Maccioni, E.
Monaco, A. Nalli, C. Parsani Motti, L. Porporato, E. Saraceno. Sergio Spagnolo
ATELIER "ARTUPART" VIA MASSENA 42/A Prosegue fino al 28 febbraio la
personale dell'artista. Dalla Romania AMICI PER L'ARTE, VIA PO 45 Venerdì 25
gennaio è l'ultimo giorno per visitare la mostra collettiva di artisti rumeni.
Illustrazione SPAZIO STEINER, LUNGO DORA AGRIGENTO 20/A, ORARI: LUNEDI'-SABATO
9/13, FESTIVI ESCLUSI "Cosa fanno le befane il resto dell'anno",
viaggio fantastico nell'illustrazione per l'infanzia; sino all'8 febbraio.
Segno, traccia, simbolo LIBRERIA LEGOLIBRI, VIA M. VITTORIA 31, OR.: MAR.-SAB.
9,30/13 E 15,30/19,30 Sino a fine gennaio, una collettiva ispirata al libro
"L'uomo senza paura" di Rosanna Rutigliano. Oscar Bagnoli Neri
Ceccarelli ALLOCCO ARREDAMENTI, CORSO GALILEO FERRARIS 26 Doppia personale
pittorica; sino al 26 gennaio. Carlotta Tararbra CAFFE' FIORIO, VIA PO 8
Dipinti su Torino ed interpretazioni dei grandi maestri; l'esposizione prosegue
fino al 10 febbraio. Kurt Mair COOPERATIVA BORGO PO E DECORATORI, VIA
LANFRANCHI 28. ORARIO: 10/30/12,30 E 15/19,30, CHIUSO MERCOLEDI' Incisioni a
colori; sino al 12/2. Pink art UNICREDIT, C.SO GIULIO CESARE 109 Collettiva,
sino a fine gennaio. UniRebum UNICREDIT, V. NIZZA 148 Collettiva, fino al 30
gennaio. IN PROVINCIA Marc Chagall SALA DELLE ARTI, CERTOSA REALE DI COLLEGNO,
VIA TORINO 9, OR.: MAR-VEN 15/18,30 E FESTIVI 10/12 E 15/18,30 "Nicolaj
Gogol' - Le anime morte", esposizione di 96 acqueforti, dal 1925 al 1948.
Sino al 17 febbraio. Clizia e la femminilità PALAZZO EINAUDI, PIAZZA D'ARMI 6,
CHIVASSO E' stato da poco aperto al pubblico il nuovo Museo Clizia di Chivasso.
Il primo allestimento è dedicato al tema della figura femminile. Clizia e la
natura MUSEO ETNOGRAFICO DEL MULINO NUOVO, VIA ARIOSTO 36 BIS, SETTIMO
TORINESE. ORARIO: DOMENICA 15/19, LUNEDI'-VENERDI' VISITE GUIDATE PER GRUPPI E
SCUOLE SU PRENOTAZIONE 011/9103591 - 339/4673821 Sino al 23 marzo, prosegue la
mostra dedicata al rapporto di Clizia (Mario Giani) con la natura e gli
animali. Enrico Reycend VILLA VALLERO, CORSO INDIPENDENZA 168, RIVAROLO
CANAVESE ORARIO: SABATO16/19 E DOMENICA15/19; SCUOLE E GRUPPI 0124/454680
Retrospettiva; nato a Torino nel 1855, dove è morto nel 1928, Reycend ha
inizialmente studiato con Enrico Ghisolfi all'Accademia Albertina e
successivamente ha incontrato Lorenzo Delleani, Antonio Fontanesi, Marco
Calderini, Filippo Carcano e Leonardo Bazzaro a Milano. Abbandonata
l'Accademia, ha esordito nel 1873 alla Promotrice delle Belle Arti di Torino.
L'esposizione che lo riguarda è aperta sino al 27 gennaio. 2008. infinite
emozioni! GALLERIA CIVICA PALAZZO OPESSO, VIA SAN GIORGIO 3, CHIERI. ORARIO:
FERIALE 16/19, SABATO E FESTIVI 10,30/12,30 E 16/19 Inconsueti calendari
fotografici per il 2008. Sono presentati, inoltre, alcuni "incontri"
tra fotografia ed incisione. Le immagini sono di: Enrico Aliberti, Maurizio
Bachis, Elisabetta Bersezio & Federico Ponzetto, Dino Mammola, Matteo Maso,
Cesare Matta, Renato Paviglianiti, Andrea Quaglino & Sophie Ancel. Le opere
rimarranno in esposizione sino al 27 gennaio. Body and soul BIBLIOTECA ARDUINO,
MONCALIERI. OR.: LUN.-VEN. 14/19, SAB. 9,30/13,30, SCUOLE SU PRENOTAZIONE
011/6401603 Il tema della corporeità nella visione di 40 artisti. Le opere
rimarranno in esposizione siino al 23/2. Tony Cragg TUCCI RUSSO, V. STAMPERIA
9, T. PELLICE. OR.: ME-DO 10,30/13-15/19 "Sculptures and Drawings",
di Tony Cragg, uno tra i più importanti interpreti dell'arte contemporanea internazionale;
sino al 30 gennaio. Nelle sale 1 e 2, opere di Merz, Paolini, Penone,
Vercruysse e altri. Dario Grasso CASCINA ROLAND, V. ANTICA DI FRANCIA 11,
VILLAR FOCCHIARDO, OR: VEN 15/19, MER, GIO, SAB. E FEST. SU APP. 328/8649957.
INGR. LIBERO Sino al 1/2 "Il colore delle mie emozioni", acquerelli.
Francesco Preverino RELAIS BARRAGE, STR. SAN SECONDO, PINEROLO Personale, le
opere rimarranno in esposizione sino al 28 febbraio. Franco Frassoni PALAZZO
COMUNALE, PIAZZA MATTEOTTI 50, GRUGLIASCO. ORARIO: LUNEDI'-VENERDI' 9/18,
SABATO 9/12 Mostra personale di arte figurativa a settanta anni dall'esordio
dell'artista, avvenuto nel 1938. Inaugurazione venerdì 25 gennaio alle 12;
prosegue sino al 23 febbraio. Maurizio Sicchiero GALLERIA IL QUADRATO, VIA DELLA
PACE 8, CHIERI Sabato 26 gennaio alle 18 s'inaugura la mostra personale
d'incisioni di Maurizio Sicchiero. Resterà aperta sino al 26 febbraio. Roberto
Simone DINOITRE LIBRERIA, VIA CAVOUR 2, ORBASSANO. ORARI DI APERTURA: LUN 15,30
- 19,30, MAR-SAB 9,30 - 12,30 ; 15,30 - 19,30 Esposizione personale di dipinti
a olio. Aperta sino a giovedì 7 febbraio. Opere Recenti GRAN CAFFÈ ROMA, PIAZZA
S. LORENZO 23, GIAVENO. ORARI: LUNEDÌ- SABATO 8/21, MARTEDÌ CHIUSO Espongono:
Giuseppe Arizio, Pippo Ciarlo, Adriano Franco e Giorgio Viotto. Aperta sino al
25 gennaio. Franco Galetto CAFFE' DELLA RIVA, PASSEGGIATA MARCONI 6, POIRINO.
CHIUSO IL MARTEDI' Sino al 3 febbraio, mostra personale di opere astratte.
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( da "Voce d'Italia, La" del 28-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.133 del
28/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Esteri Stamattina la chiusura di alcune delle breccie aperte nel
muro di confine tra Gaza e Egitto Gaza: una situazione sempre piu' complessa
Kamilah Khatib della LSE: "Due le preoccupazioni piu' rilevanti: il
possibile traffico di armi provenienti dall'egitto verso Gaza, e la fuoriuscita
di Militanti di Hamas che potrebbero compiere rapimenti di turisti Israeliani
in Egitto" Mentre la situazione al confine tra Gaza e l'Egitto sembra
andare verso la normalizzazione, con la chiusura parziale delle frontiere,
Gaza, come tutta la Palestina sembra ancora lontana da
una reale pacificazione. Mercoledì scorso alcuni miliziani di Hamas erano
riusciti a demolire parte del muro divisorio nel confine Sud con l'Egitto, a
Rafah, e poi ad aprire una breccia. Il fatto potrebbe aver generato nuovi
problemi tra le due principali fazioni palestinesi, Hams e Fatah. L'Egitto si
era detto ieri d'accordo con il piano del presidente palestinese Mahmoud Abbas
di assumere il controllo del confine di Gaza, escludendo Hamas, che gestisce il
territorio. Lo hanno riferito funzionari palestinesi ed egiziani, mentre Hamas
ha fatto sapere di non essere d'accordo."C'è un accordo con l'Egitto per
mettere fine alla crisi al confine applicando l'accordo del 2005 e il rinnovato
controllo delle guardie del presidente palestinesi a Rafah", ha detto il
ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Malki dal Cairo. Hamas aveva però
respinto il piano e aveva detto che terrà dei propri colloqui con
l'Egitto."Abbiamo una nostra visione di come il confine deve essere
gestito e la forniremo ai nostri fratelli egiziani", ha detto il
funzionario di Hamas Sami Abu Zuhri. Stamattina alcuni valichi aperti sono
stati chiusi congiuntamente dai militanti di Hamas e dall'esercito egiziano. Ma
secondo stime delle Nazioni Unite, almeno 350 mila palestinesi sono penetrati
oltre il confine in cerca di medicinali, cibo e materie prime. News ITALIA
PRESS ha chiesto a Kamilah Khatib, ricercatrice italiana di origine palestinese
con un dottorato conseguito presso la London School of Economics, attualmente
Assistente alla Ricerca presso l'Assemblea Parlamentare della NATO, se
potrebbero esserci conseguenze a medio e lungo termine di questa azione. Per esempio
parte della popolazione non sembra rientrata... qual è la situazione? "Con
alcune eccezioni la maggior parte delle persone che ha oltrepassato il confine
e' tornata a Gaza, anche perche' lo scopo di questo 'esodo' era la ricerca di
cibo, gas e medicinali per le proprie famiglie. Nonostante cio', il Giornale Al
Ahram (Egiziano) di oggi dichiari che ci sono almeno 3000 Palestinesi che hanno
cercato di entrare nelle province di Qana e il Cairo in modo 'non regolare'e
molto altri sono stati trovati in possesso di armi ed esplosivi. Qomunque,
questo via vai illegale e' sempre esistito: questa situazione ha solo reso il
tutto piu' facile". Israele è poi preoccupata
delle implicazioni dalle infiltrazioni di militanti di Hamas e della Jihad
Islamica al di fuori del territorio in cui erano confinati; infiltrazioni che
potrebbero comportare una riorganizzazione dei movimenti palestinesi che hanno
il controllo della Striscia... è una ipotesi probabile? "Io credo che
l'ipotesi di una 'riorganizzazione' sia improbabile per un semplice motivo:
come già detto qui i militanti di Hamas, e non solo, sono sempre riusciti ad
attraversare i confini con l'Egitto tramite tunnel sotterranei percio' questa
situazione non offre una occasione che non era disponibile prima. l'occasione
per muoversi ed incontrarsi con altri militanti era gia' un opzione esistente
resa solo piu' facile dalla situazione attuale. Per quanto concerne le
preoccupazioni Israeliane: al momento sussistono varie ipotesi israeliane e
possibili scenari sulle attivita' sul confine con l'Egitto. Le due
preoccupazioni piu' rilevanti potrebbero essere sia il possibile traffico di
armi provenienti dall'egitto verso Gaza, sia la fuoriuscita di Militanti di
Hamas che potrebbero compiere rapimenti di turisti Israeliani in Egitto".
Gli stessi Fratelli Musulmani egiziani hanno manifestato la loro solidarietà ad
Hamas ed alla popolazione della Striscia... possibili futuri legami tra i due
gruppi? "I legami con i fratelli musulmani sono sempre esistiti, e non solo
con loro. La popolazione egiziana ha manifestato grande soliderieta'. Infatti
e' per quest'ultimo motivo che Mubarak non si e' seriamente mosso nel far
chiudere in confini. Senza inoltrarci nei dettagli della natura del legame che
vige tra hamas ed i FM credo che per i motivi sopra elencati questa situazione
non sara' causa di mutamento di rapporti, in altre parole gli incontri o
dialoghi tra Hamas e FM si sono sempre svolti in passato, questa non e' affatto
una situazione nuova". Come influisce la vicenda sulle relazioni tra
Egitto e Israele? "Certamente questi eventi non
agevolano le relazioni tra Egitto e Israele. Israele ha spesso giudicato poco producenti gli sforzi
egiziani nell'impedire il contrabbando di armi tra i confini. Recentemente,
alla fine di gennaio, le autorita' egiziane hanno permesso il passaggio tramite
il collegamento di Rafah dei pellegrini di ritorno dal Haj in contrasto con
quanto accordato con Israele. Da un lato l'Egitto
affronta le pressioni Israeliane di mantenere confini sicuri e dall'altro e'
soggetto delle pressioni interne dell'opinione pubblica per quanto concerne gli
aiuti ai Palestinesi. Comunque, da un punto di vista ufficiale il portavoce del
Dipartimento di Stato americano Tom Casey ha dichiarato che non ci sono
indicazioni che gli ultimi avvenimenti abbiano scalfitto le relazioni
Egiziane-Israeliane. C'è chi sostiene che il Ministro della Difesa Barak
starebbe pensando ad una penetrazione profonda nella Striscia (con il
beneplacito di Washington), con l'obiettivo di riconsegnarla alle Forze di
Fatah, unica realtà palestinese con cui Gerusalemme ha manifestato di voler
dialogare.... cosa comporterebbe ciò per i palestinesi? "E' necessaria una
premessa: il portavoce del ministero degli esteri Israeliano ha dichiarato che
sta avendo luogo una diplomazia triangolare, Israele-Egitto-Autorita'
palestinese, per trovare una soluzione comune, non di natura bellica diciamo. I
dettagli non sono ancora stati divulgati. Credo che questa opzione
(penetrazione..etc) sia da escludere. Hamas ha 'conquistato' la striscia
tramite elezione politiche che riflettono un approvazione del popolo per questa
organizzazione. Un intervento israeliano, anche con lo scopo di aiutare Fatah,
non avrebbe senso dato che Fatah ha perso a Gaza: le gente ha voluto e tuttora
vuole Hamas. E' interessante notare come la situazione attuale nella Striscia
faccia convergere e ravvicinare le due forze (Hamas e Fatah) le quali
convengono sul fatto che a Gaza esiste una situazione di crisi che va
affrontata". L'esplosiva situazione creatasi dopo lo sfondamento del
confine tra Gaza e l'Egitto rischia di minare alle fondamenta il piano di pace
negoziato ad Annapolis? "Annapolis e' affondato prima di iniziare. Per
esempio, ma non solo, Annapolis non ha discusso temi critici come i profughi
Palestinesi, la condivisione delle risorse idriche ...etc. Detto cio'
sicuramente non saranno gli eventi di Gaza a impedire che Annapolis abbia
successo". Potrebbe essere utile un'iniziativa specifica coordinata da
Tony Blair, inviato speciale della Ue per il Medio Oriente? Escludere Hamas,
per i noti motivi, da ogni bozza di soluzione è ancora la soluzione giusta?
"L'esclusione di Hamas o la sua inclusione in qualsiasi negoziazione e'
una questione basilare. Personalmente credo che includere Hamas nelle
negoziazioni e nel dialogo sia "necessario" per andare avanti. Se si
e' in guerra si ha a che fare con i nemici, percio' se si vuole instaurare un
contatto ed arrivare ad una pace lo si fa con loro, o non si fa. Se cio' non
bastasse Hamas (che ci piaccia o no) e' stata legittimata dai Palestinesi di
Gaza (sia Musulmani che Cristiani) tramite elezioni regolari.Dialogare con il
'nemico' non vuol dire necessariamente 'legittimarlo'." Arturo Varvelli.
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Qaddura,
braccio destro di Barghouti: <Marwan libero, per liberare la pace> ( da "EUROPA.it" del 27-01-2008)
L'ESODO
dalla Striscia verso il Sinai diventa una festa paesana. Anche una s ( da "Resto del
Carlino, Il (Nazionale)" del
27-01-2008) + 2 altre fonti
Morto
Habash, capo del Fronte popolare ( da "Unita, L'" del 27-01-2008)
Le
Chiese cristiane: porre fine al dolore di Gaza L'appello a Ue, Israele e Anp.
Ora i palestinesi passano il confine anche in auto ( da "Unita, L'" del 27-01-2008)
Yehoshua:
l'Europa ci aiuti a battere l'antisemitismo anche nell'Islam ( da "Unita, L'" del 27-01-2008)
È
morto Habash l'anima dura dei palestinesi ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 27-01-2008)
Rutka,
14 anni: <Il mio pianto per la libertà> ( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)
Per
l'anniversario manifestazioni in tutta Italia ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Mr.
Puma: <Ho girato il mondoora torno a casa e recito da solo> ( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)
Ebrei
in terra d'Israele ( da "Giornale.it,
Il" del 27-01-2008)
D ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Gaza,
è caos al confine Olmert vede Abu Mazen ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
L'allarme
di Barak: <L'Iran prepara un'altra Hiroshima> ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Aretha
e Beyoncé ai Grammy Awards ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
La
bandiera di israele nella giornata della memoria - davide romano ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Corteo
della memoria ecco perché ci sarà la bandiera di israele ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Il
ciclone barenboim alla scala e in libreria - luigi di fronzo ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
E'
morto habbash, teorico dei dirottamenti - fabio scuto ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
"tutti
devono poter scegliere referendum sullo stato palestinese" - marco panara
elena polidori ( da "Repubblica,
La" del 27-01-2008)
L'egitto
rinuncia a fermare i profughi - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Gennaio
1946, da Vado la prima nave dell'esodo ( da "Stampa, La" del 27-01-2008)
27
gennaio 'Il Giorno della Memoria' ( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)
Un
gioco pericoloso. Questa, per un dirigente egiziano che abbiamo raggiunto al
Cairo, l'ess ( da "Messaggero,
Il" del 27-01-2008)
AMMAN
George Habash, fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina
(Fplp) è mor ( da "Messaggero,
Il" del 27-01-2008)
Perché
non si dimentichi. Anche la tv ricorda dell'Olocausto. Con testimonianze,
documenti ( da "Messaggero,
Il" del 27-01-2008)
La
guerra che non si può vincere ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Morto
George Habash, stratega dei dirottamenti ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Corano,
manager e night club. Un ebreo fantasma a Riad ( da "Corriere della
Sera" del 27-01-2008)
Anche
al piano Barenboim è autorevolezza ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Un
treno di folli contro la follia nazista ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Il
presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) vuole ( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)
Si
festeggia il capodanno degli alberi . Pace tra comunità ebraica e tedeschi ( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)
L'allarme
di Barak: "L'Iran prepara un'altra Hiroshima" ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Barak:
l'Iran prepara un'altra Hiroshima ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
E'
morto Habash, fondatore del FPLP ( da "Quotidiano.net" del 27-01-2008)
27
gennaio: "Il Giorno della Memoria" ( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)
UN
PASSO INDIETRO ( da "Stampa,
La" del 27-01-2008)
Omaggio
del Comune alle lapidi dei caduti ( da "Stampa, La" del 27-01-2008)
AMMAN.
GEORGE HABASH, FONDATORE DEL FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA
(FPLP) è MOR ( da "Mattino,
Il (Nazionale)" del
27-01-2008)
RESPINTA
LA MEDIAZIONE DI MUBARAK RESTA APERTA LA FRONTIERA CON L'EGITTO ( da "Mattino, Il
(Nazionale)" del 27-01-2008)
( da "EUROPA.it" del 27-01-2008)
Qaddura, braccio destro di Barghouti: "Marwan
libero, per liberare la pace" Fares Qaddura è uno degli uomini di ducia del
leader palestinese, condannato a cinque ergastoli. "Scarcerandolo, Israele guadagnerebbe un valido interlocutore", dice.
MAURIZIO DEBANNE Malgrado i cinque ergastoli, Marwan Barghouti resta una figura
chiave, nonché tra le più popolari, nel campo palestinese. Dalla sua cella nel
carcere Hadarim, a nord di Tel Aviv, intrattiene fitte relazioni con i leader
politici palestinesi, ma anche con parlamentari israeliani, come Haim Oron del
Meretz, formazione di sinistra. Fares Qaddura, che di anni nelle galere
israeliane ne ha passati quattordici, è uno dei suoi più stretti collaboratori.
Leader della cosiddetta "nuova guardia" di Al Fatah, ex ministro
dell'Anp nel 2003 (allora governava Abu Ala), Qaddura spiega a Europa che se
Barghouti fosse scarcerato Israele ne trarrebbe un
grande vantaggio, poiché si troverebbe presto a trattare con "un
interlocutore valido e capace di tenere insieme la galassia dei movimenti
palestinesi". A che punto sono le trattative per la sua liberazione?
Marwan, insieme al soldato israeliano Gilad Shalit, è uno
dei prigionieri al centro di un negoziato su un possibile scambio di detenuti
tra Israele e Hamas. Mi auguro davvero che l'accordo vada in porto molto
presto. In Medio Oriente è però purtroppo ancora prevalente l'idea che si possano
risolvere i problemi solo con l'uso della forza. Io, come firmatario
dell'accordo di Ginevra nel 2003, siglato dal palestinese Yasser Abed Rabbo e
dall'israeliano Yossi Beilin, ho provato a invertire questa tendenza, ma debbo
riconoscere che è veramente dura lavorare per il dialogo in Medio Oriente.
Secondo quanto sostiene Bush è possibile raggiungere la pace in Medio Oriente
entro i porssimi 12 mesi. Lei è ottimista o pessimista? Nessuno di noi crede
che la pace possa arrivare entro la fine del secondo mandato presidenziale di
Bush. Tuttavia si è creata una congiuntura favorevole per la ripresa del
dialogo, e non va lasciata cadere. Penso alla conferenza di Annapolis, ma anche
al rilancio del piano arabo di pace del 2002, che rappresenta un'occasione unica
per ridare vigore al processo di pace. In questo quadro, il coinvolgimento
della Siria è strategico. Dobbiamo portare Damasco nel peace camp per toglierla
dall'abbraccio dell'Iran. Per quanto riguarda i palestinesi, Abu Mazen è
seriamente intenzionato a raggiungere un'intesa molto presto e posso assicurare
che il nostro popolo è altrettanto pronto. La maggioranza della popolazione è
infatti stanca del conflitto e decisa ad accettare dolorose concessioni pur di
vivere in tranquillità. E sono convinto che lo stesso sentimento si riscontri
anche tra gli israeliani. Ciò detto, più il tempo passa e più i rancori e le
violenze sono destinate ad aumentare. Stiamo dunque perdendo tempo prezioso. A
Gaza la situazione si fa sempre più drammatica. Israele
è andato via da Gaza chiudendo dietro di sé la porta e gettando via la chiave.
Ma la striscia fa parte dei territori palestinesi, quanto la Cisgiordania. In Israele ritengono che Gaza, così come Hamas, sia però un
vostro e non un loro problema. Hamas non è un problema solo dei palestinesi, ma
anche di Israele. Lo stato ebraico vuole la fine del
lancio dei razzi Qassam? Vuole che Hamas riconosca il loro diritto
all'esistenza? Allora ci deve aiutare. Israele è il
principale responsabile della crescita di Hamas e del fondamentalismo nei
territori. La strategia del governo israeliano è stata fino a oggi quella di
amministrare il conflitto e non di risolverlo. In che modo Israele
è responsabile del radicalismo di Hamas? Per prima cosa per aver contribuito al
fallimento degli accordi della Mecca tra Al Fatah e Hamas, che portarono alla
formazione di un governo di unità nazionale palestinese. Avendo insistito sulle
tre condizioni (riconoscimento di Israele e degli
accordi pregressi e fine della violenza, ndr), non ci hanno dato la possibilità
di organizzarci come volevamo. Cosa avrebbe dovuto fare Israele?
La strategia migliore da attuare è quella dei piccoli passi. Nessuno forse si
ricorda che l'Olp, poco più di venti anni fa, era come Hamas. E Olmert venti
anni fa era come Lieberman (leader di un partito di destra uscito due settimane
fa dal governo, ndr). Noi di Al Fatah e quelli di Kadima abbiamo cambiato idea
perché abbiamo fatto i conti con la realtà e abbandonato i sogni
irrealizzabili. Il cambiamento delle posizioni estremistiche del movimento
islamico avverrà solo attraverso un processo graduale e non interrotto. La
comunità internazionale è però da tempo impegnata a sostegno del fronte
moderato palestinese, in primis del presidente Abu Mazen. Israele
e Stati Uniti dicono che vogliono rafforzare i moderati, ma da quando Abu Mazen
è presidente dell'Anp non è stato smantellato nessun check point all'interno
della Cisgiordania. Al contrario ci danno tanti soldi e tante armi per
combattere Hamas. Ma se la mattina bambini palestinesi vengono uccisi in raid
israeliani nella Striscia di Gaza e la sera i nostri negoziatori si incontrano
con la Livni, cosa dovrebbe pensare il nostro popolo se non che questa è la
strategia peggiore per indebolire Hamas. Il movimento di resistenza islamico
sarà più debole solo se il processo di pace andrà avanti.
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( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)
Pubblicato anche in: (Nazione, La
(Nazionale)) (Giorno, Il (Nazionale))
Campagnata ha il sapore della liberazione dopo 40
anni di confini arcigni e "prigionia". Centinaia di auto con la targa
verde della Palestina varcano per la prima volta il
confine, vanno all'estero, in Egitto. Tutti in colonna, anche sono per trovare
amici e parenti, per gustare un piatto di pesce a El Arish. E' festa; partono perfino
i militanti duri e puri che hanno smesso si sparare razzi Qassam verso Israele. Ci sono anche auto egiziane che fanno il percorso
inverso. Il confine non esiste più, i resti della barriera sono stati demoliti.
Tutto è tornato come nel '67, prima della guerra dei sei giorni. Per Hamas, che
controlla Gaza, è una vittoria storica. Il presidente
palestinese Abu Mazen oggi incontrerà il premier israeliano Ehud Olmert e gli
chiederà di passargli il controllo di tutti i valichi della Striscia, per
tentare di recuperare un minimo di autorità su Gaza. Israele terrà quei
valichi chiusi per tagliare tutti i ponti con Gaza e sbarazzarsene. E'
la fine di un mondo. Quello a cui apparteneva anche George Habbash, fondatore
del Fronte popolare di liberazione della Palestina,
morto ieri a 81 anni. Habbash e il suo Fplp sono stati l'anima del fronte del
rifiuto, del no a Israele. Oggi la loro bandiera è
degli islamisti di Hamas, padroni di Gaza e di nient'altro. - -->.
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( da "Unita, L'" del 27-01-2008)
Stai consultando l'edizione del PALESTINA Morto Habash,
capo del Fronte popolare AMMAN È morto a Amman in Giordania George Habash, fu
il fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
(FPLP), in cui confluirono diverse organizzazioni preesistenti. Habash, nato
nel 1929 al Cairo , si laureò in medicina all'università americana di Beirut.
Era considerato un falco all'interno dell'Olp di Arafat con
cui ruppe nel 1993 dopo la firma degli accordi di Oslo. Habash si è sempre
rifiutato di riconoscere lo Stato di Israele ed ha
sempre sostenuto la lotta armata.. Nel 1992, a Tunisi, rimase colpito da un
ictus cerebrale e annunciò il ritiro da tutte le attività politiche per motivi
di salute.
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( da "Unita, L'" del 27-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Le Chiese cristiane:
porre fine al dolore di Gaza L'appello a Ue, Israele e Anp. Ora
i palestinesi passano il confine anche in auto "Nel nome di Dio, noi, capi
delle Chiese cristiane di Gerusalemme e della Terrasanta, chiediamo alla
comunità internazionale di porre fine alla sofferenza di Gaza". È
l'accorato appello lanciato dai patriarchi e dai capi delle Chiese cristiane in
Terrasanta in un documento che sottolinea la sofferenza della popolazione
palestinese nella Striscia di Gaza per l'assenza di servizi, acqua e medicine.
I leader cristiani ricordano che oltre mezzo milione di persone sono senza cibo
e assistenza medica e oltre ottocentomila prive di corrente elettrica.
"Questa è un'ingiusta punizione collettiva, un atto immorale in violazione
dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale. La chiusura di Gaza deve
finire". Nel testo si chiede alla comunità internazionale e alla Ue di
agire senza indugi dato che sono a rischio numerose vite umane. Un'esortazione estesa
anche a Palestina e a Israele:
"Chiediamo ai leader palestinesi di porre fine alle loro divisioni per il
bene della gente di Gaza. Mettete da parte le vostre differenze e risolvete la
crisi per il bene di tutti gli esseri umani, dimostrando di avere a cuore la
sorte dei vostri fratelli e sorelle che già hanno sofferto troppo". Mentre
ai governanti israeliani si chiede di "agire responsabilmente e a far
cessare il prima possibile questo assedio inumano. Negare ai bambini e ai
civili i beni di prima necessità non è un modo per garantire la sicurezza ma
serve solo a gettare la regione in condizioni di ulteriore pericoloso
deterioramento". Per evitare queste conseguenze occorre che da entrambe le
parti sia rispettato il diritto di ogni persona a vivere pacificamente,
"considerando - scrivono i patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di
Terrasanta - l'amore che Dio ha per ogni creatura umana". Solo una pace
giusta "proteggerà la dignità della vita civile e sociale di tutti e due i
popoli". Rivolgendosi quindi ai miliziani che continuano a sparare razzi ,
il documento invita gli estremisti a non insistere nelle loro operazioni
belliche per non incoraggiare l'opinione pubblica a pensare che tale assedio
sia giustificato. Sul terreno, è sempre esodo. Non più solo palestinesi che
dalla Striscia si riversano in Egitto attraverso la frontiera di Rafah, ma da
ieri anche un flusso in senso contrario, con centinaia, probabilmente migliaia,
di egiziani entrati nella Striscia approfittando dalla totale assenza di
controlli alla frontiera. In gran maggioranza sono commercianti, la cui
presenza è particolarmente visibile nel mercato cittadino di Gaza City,
stracolmo di gente e dove per la prima volta da molto tempo negozi e le
bancarelle, colpiti da mesi di stretto isolamento della Striscia, tornano a
riempirsi di prodotti. E la crisi di Gaza sarà al centro dell'incontro in
programma oggi a Gerusalemme tra il presidente dell'Anp Abu Mazen e il premier
israeliano Olmert. Fonti palestinesi hanno anticipato che Abu Mazen chiederà a
Olmert la fine dell'assedio della Striscia e si offrirà di assumere il
controllo dei valichi di confine con Gaza. Chiederà inoltre la fine delle
restrizioni ai movimenti di merci e persone in Cisgiordania, mediante la revoca
dei numerosi posti di blocco dell'esercito.u.d.g.
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( da "Unita, L'" del 27-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Yehoshua: l'Europa ci
aiuti a battere l'antisemitismo anche nell'Islam di Umberto De Giovannangeli La
forza della Memoria nella Giornata della Memoria. Una cavalcata nel tempo. Per
non dimenticare. È quella condotta dal più grande scrittore israeliano
contemporaneo: Abraham Bet Yehoshua. Oggi viene commemorata in Europa la
Giornata della Memoria. Qual è, ai suoi occhi, il valore di questo evento?
"Ho un grande rispetto per questa decisione dell'Europa, e penso sia giusto
che la commemorazione della Shoah avvenga proprio là, nei luoghi, nelle strade,
nelle foreste, in cui tutto ciò è fisicamente avvenuto. La Shoah non è una
questione limitata alla Germania. I popoli europei che vi hanno preso parte
sono molti, ed è quindi giusto che questa consapevolezza penetri nelle
coscienze di tutti gli europei. Penso poi che sia giusto dare una propria
identità ad ognuna delle tragedie che rientrano nella triste categoria del
genocidio. E sia chiaro che dico questo non per diminuire la gravità degli
altri genocidi - come ad esempio quelli avvenuti in Ruanda o in Cambogia - ma
per evitare che la specificità di ognuno di questi venga offuscata o confusa.
La specificità della Shoah sta - fra l'altro - nella sua incomprensibilità, a
meno che non si faccia un semplicistico ricorso alla malvagità umana. Nel caso
degli ebrei, non questioni territoriali, ideologiche, etniche, economiche o
religiose hanno rappresentato il sostrato del genocidio, come è avvenuto in
tutti gli altri casi. Gli ebrei europei aspiravano all'integrazione nelle
società in cui vivevano; non rappresentavano alcuna minaccia teologica o
religiosa né per le società più vicine alla religione né tanto meno per un
regime come quello nazista che era laico e perfino anti-clericale; economicamente
parlando, lo sfruttamento degli ebrei vivi sarebbe senz'altro stato enormemente
più vantaggioso rispetto all'annientamento deciso nei loro confronti.
L'inafferrabilità delle motivazioni che hanno portato alla Shoah non può che
rafforzare l'idea che - dopo quanto è avvenuto - solo il popolo ebraico può
essere responsabile del proprio futuro". Quindi Israele
come patria del popolo ebraico è l'unica soluzione all'antisemitismo? "È
così. Le nazioni europee lo avevano già cominciato a capire prima dell'Olocausto,
ma purtroppo non abbastanza da precederlo. Dopo la Shoah in parte per
convinzione e in parte per l'orrore di cui erano stati testimoni, tutti - tanto
l'Europa occidentale quanto quella orientale - in un periodo molto problematico
dei loro rapporti, hanno avuto fra i pochi punti di concordia, il supporto alla
nascita e allo sviluppo dello Stato d'Israele. Avevano
visto a che cosa aveva portato l'antisemitismo, ne sono rimasti inorriditi e
hanno compreso che l'antisemitismo non era da combattere solo per salvare le
vittime dalla propria sorte di vittime, ma anche per salvare i carnefici dalla
propria sorte di carnefici". E la Giornata della Memoria deve aiutare ad
approfondire questo aspetto della Shoah? "Questo e tanti altri. Il valore
dell'assunzione di responsabilità è importante ma soprattutto per quanto
concerne l'approfondimento del significato degli atti del proprio popolo, della
comprensione delle motivazioni per cui le cose sono avvenute. In quanto a noi
ebrei, dobbiamo scavare nella nostra identità per capire in che modo la nostra
presenza nella storia possa avere creato quello oscuro spazio ideologico che è
stato colmato da quelle idee insane e farneticanti che sono state fatte proprie
da tanti e che hanno portato alla tragedia dell'Olocausto. Ma di quella
tragedia c'è un aspetto che non va sottovalutato". Quale? "Riusciamo
a capire meglio l'uomo, dopo l'Olocausto. È vero, abbiamo sempre saputo che
l'uomo è capace di compiere il male più efferato e il bene più straordinario;
ma nonostante questo l'Olocausto ci ha svelato un nuovo abisso di male a cui
l'uomo può giungere, ma anche la forza della sua resistenza. Degli scheletri
ambulanti nei campi di concentramento, che da un punto di vista biologico
dovevano quasi considerarsi come morti, davano ancora delle prove di moralità,
dividendo con gli altri l'ultimo pezzo di pane che restava. Dalla disperazione
più tremenda può perciò nascere anche la speranza. Noi che siamo stati lì, e
che ne siamo usciti, possiamo e secondo me dobbiamo alzare il vessillo della
fede nell'uomo". Questo evento - la stessa decisione di celebrare una
Giornata della Memoria - è senz'altro un passo importante sul piano della
memoria storica, ma i dati di indagini riportano che, nonostante tutto,
l'antisemitismo è in espansione. Quali misure si aspetta dall'Europa per
debellare questo virus? "Sono preoccupato del fatto che, purtroppo, il
virus dell'antisemitismo non è stato debellato. Si è indebolito; oggi non può
mostrarsi in tutta la sua virulenza perché considerato inadatto, sconveniente;
ma nelle sue nuove mutazioni continua ad essere presente e
a lanciare anatemi e accuse spesso ingiuste contro Israele. Io sono
il primo a sollevare critiche sugli errori dei governi israeliani, ma nello
stesso tempo individuo spessissimo in molti degli attacchi portati a Israele cose che con le divergenze politiche non hanno nulla a che fare
e che riportano invece a meccanismi che vorremmo cancellati. So che
debellare completamente l'antisemitismo è un obiettivo proibitivo. Ma non lo è
il combatterlo sotto ogni sua forma. L'Europa lo deve combattere con tutta la
sua forza. Non per il bene degli ebrei ma per il proprio bene. Per la salute
delle proprie società. Per non permettere che questo virus si espanda e
colpisca le parti vitali del proprio organismo. La Giornata della Memoria ha
dietro di sé una storia breve, ma mi sembra già di individuarne la sua
importanza. Una importanza che non sta, ovviamente, nelle cerimonie che
avvengono quel giorno, ma in tutto quello che c'è intorno, che la prepara: le
azioni educative; la trattazione dell'argomento da parte dei mass media. Con il
bombardamento di informazioni che ognuno vive ogni giorno, solo un
approfondimento morale e intellettuale del tema ha la possibilità di penetrare
il cuore e le menti. E gli ebrei continueranno ad aggiungere a questo
approfondimento, il proprio lutto, individuale e di popolo". Oggi - con
tutte le divergenze politiche esistenti e perfino con il sopra ricordato
aumento dell'antisemitismo - l'Europa non è certo ostile a Israele.
I pericoli all'esistenza di Israele vengono da altre
direzioni, soprattutto dall'Islam radicale e fondamentalista, che spesso
abbraccia le tesi negazioniste sull'Olocausto. Come va trattato questo
singolare antisemitismo? "In questo sta il doppio impegno dell'Europa.
Capire per sé stessa - per il proprio passato e per il proprio futuro - e
dall'altra parte aiutare altri - in questo caso il mondo islamico e arabo - a
capire fin dove può portare l'estremizzazione. Il Museo dell'Olocausto di
Gerusalemme - lo Yad Vashem - ha messo in rete alcuni giorni fa il proprio sito
in arabo. È un'iniziativa lodevole, importante, ma che avrà un senso solo se
sarà l'Europa a sostenere la tesi della pericolosità dell'antisemitismo per le
società che vogliono progredire civilmente. Solo l'Europa può convincere il
mondo arabo degli effetti distruttivi della demonizzazione e della volontà di
annientare un altro popolo. E qui entra in gioco la politica. Ma quella buona;
quella che potrebbe portare alla soluzione del conflitto fra arabi e
israeliani. Con un'Europa che nella sua equidistanza faccia capire al mondo
arabo la legittimità dell'esistenza di Israele come
patria del popolo ebraico, e a Israele la necessità di
dare ai palestinesi un proprio Stato in cui non ci sia alcuna sua ingerenza
nelle loro vite. Dopo aver giocato durante la Shoah il ruolo di portatrice di
guerra, l'Europa deve ora cercare di essere portatrice di pace. L'impegno in
Libano alimenta questa speranza". Il tema della pace ci porta alla più
stretta attualità. E al dramma di Gaza. Come uscirne? "Con una tregua. Da
negoziare. Subito. Non vedo altre strade, né per noi, tanto meno per i
palestinesi. Sia chiaro: lungi da me sottovalutare le responsabilità
pesantissime che i capi di Hamas hanno nell'aver determinato questa situazione.
Penso che quell'umanità disperata che si trascina in Egitto alla ricerca di
cibo debba chiedere conto dei propri patimenti ai leader di Hamas. I lanci
continui, martellanti, di razzi contro Sderot, Ashqelon e le altre città del sud
di Israele sono alla base di questa situazione.
Riconosciuto ciò, resto convinto che la risposta militare, da sola, sia una non
risposta. Con Hamas occorre ricercare un cessate il fuoco. E non vale il
discorso, riproposto più volte dal primo ministro Ehud Olmert, che Israele non negozia con chi non ci riconosce o vuole
distruggerci. Non vale perché è la storia a smentirlo. La storia d'Israele, dalla sua fondazione ai giorni nostri, è segnata da
guerre ma anche da accordi fatti con chi non nascondeva, e spesso praticava, il
proposito di rigettare a mare gli ebrei. A Olmert dico: segui l'esempio non
solo di un padre della patria, come David Ben Gurion, ma anche di leader
conservatori, come Menachem Begin, che non considerarono prova di debolezza, ma
semmai di forza, la ricerca di un accordo, fosse anche una tregua, con il
nemico". In ultimo, tornerei sul valore della Memoria. In un suo libro,
lei ha affermato, cito testualmente, che "come figli delle vittime, ci
incombe l'obbligo di enunciare al mondo alcuni insegnamenti fondamentali".
Qual è quello più attuale? "La profonda repulsione, il rigetto più fermo,
per il razzismo e per il nazionalismo oltranzista. Abbiamo visto sulle nostre
carni il prezzo del razzismo e del nazionalismo estremisti, e perciò dobbiamo
respingere queste manifestazioni non solo per quanto riguarda il passato e noi
stessi, ma per ogni luogo e per ogni popolo".
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( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 27-01-2008)
Esteri Pagina 110 Lutto: 3 giorni È morto Habash
l'anima dura dei palestinesi Lutto: 3 giorni --> AMMAN Georges Habash è
morto ieri ad Amman, in ospedale, dove era stato ricoverato dieci giorni fa per
problemi cardiaci. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha proclamato in sua
memoria tre giorni di lutto nazionale nei Territori palestinesi. Habash ha
fatto la storia del movimento palestinese, di cui, attraverso il Fronte
Popolare per la liberazione della Palestina, ha
rappresentato l'ala più intransigente. Nome di battaglia il saggio , è nato nel
villaggio di Lod verso la fine degli anni '20, da dove la sua famiglia,
cristiano-ortodossa, venne scacciata dopo la creazione
dello stato di Israele nel 1948. Divenne un leader noto in tutto il mondo nel 1970,
quando i suoi guerriglieri dirottarono tre aerei di linea in Giordania e li
distrussero, innescando la dura repressione delle autorità giordane contro i
guerriglieri palestinesi, che prese il nome di Settembre Nero. Habash si
rifugiò come molti altri palestinesi in Libano opponendosi alla linea moderata
e arrendevole di Yasser Arafat. Rifiutò gli accordi di Oslo del 1993. La sua
salute intanto si era deteriorata notevolmente a causa di un ictus.
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( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)
Rutka, 14 anni: "Il mio pianto per la
libertà" la "ANNA FRANK" polacca Morì ad Auschwitz: il suo
diario nascosto in casa, ritrovato solo nel 2005, adesso è stato pubblicato
grazie alla sorellastra 27/01/2008 daniela pizzagalli UNA ANNA FRANK polacca:
cosìè stata definita Rutka Laskier dopo la scoperta del suo diario, nascosto
nel 1943 sotto il pavimento di casa prima di essere mandata a morire ad
Auschwitz in una camera a gas. Diventato un libro, il "Diario"
(Bompiani, 165 pagine, 12 euro) sta facendo il giro del mondo grazie
all'impegno della sorellastra Zahava Laskier Scherz. Oggi quasi sessantenne,
Zahava è un'eminente studiosa israeliana e ha una storia davvero romanzesca da
raccontare: "Soltanto a 14 anni ho saputo di aver avuto una sorellastra e
un fratellastro, quando trovai delle vecchie foto nascoste in un armadio e
chiesi turbata a mio padre chi fossero i ragazzini ritratti insieme a lui. Mi
confidò che in Polonia, prima della guerra, aveva una moglie e due figli, con i
quali fu internato ad Auschwitz, ma lui solo sopravvisse. Immigrato
nel 1946 in Israele, si era risposato con mia madre e quando nacqui io, di comune
accordo stabilirono di lasciarmi ignara della precedente tragedia
familiare". "La memoria di quella ragazzina, morta a 14 anni - prosegue
Zahava - mi è rimasta nel cuore, tanto che ho dato poi il suo nome a mia
figlia, ma mai più mi sarei aspettata di vedermela balzare davanti agli occhi,
quarant'anni dopo, attraverso le pagine del diario, che fa rivivere la sua
personalità intelligente e sensibile, un po' volubile come tutti gli
adolescenti, e sempre più straziata dalla crescente persecuzione, della cui
meta finale era ben consapevole, tanto che avvisò un'amica non ebrea del
nascondiglio del diario, affinché lo recuperasse nel caso, che riteneva
probabile, non fosse ritornata. Questa signora polacca l'ha tenuto per sé fino
al 2005, quando un nipote le chiese notizie su quel periodo sconvolgente, e lei
gli mostrò il diario. Resosi conto dell'importanza del documento, la convinse a
portarlo al museo storico cittadino, e da lì partirono le ricerche che
condussero alla telefonata da me ricevuta in Israele
nel 2006, un vero fulmine a ciel sereno. Mi sono assunta il compito di far
tradurre e pubblicare il diario per tener vivo il ricordo di Rutka e far
sentire la sua voce sgomenta, uscita dal ghetto: "Bisogna farsi forza, non
bagnare di notte i cuscini di lacrime. Per chi, per che cosa piango? Forse
piango per la libertà". Per reagire al clima di violenza e di minaccia che
la circonda e illudersi di avere ancora un'esistenza normale, Rutka scrive
fittamente dei rapporti con le amiche e con i ragazzi: "A quanto pare io
piaccio a Janek, ma a me lui non fa né caldo né freddo". Invece ne parla
continuamente, e si comprende che negare le proprie emozioni è il solo gesto di
difesa che le rimane: "Sono già così impregnata delle crudeltà della
guerra che persino le notizie più terribili non mi fanno effetto alcuno.
Semplicemente, non riesco più a credere che potrò mai uscire per strada senza
la "Judenstern" e che la guerra finirà." Sottolinea Zahava:
"Quello che impressiona maggiormente è la consapevolezza di quello che
accadeva nei campi di sterminio, infatti dice apertamente: "La
deportazione è la morte". Pur essendo una ragazzina, era informata di
quanto accadeva perché teneva i contatti con il movimento clandestino
comunista, come mi ha confermato la signora polacca depositaria del
diario". 27/01/2008.
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( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 da
Milano Sarà un videosaluto di Elie Wiesel, oltre agli interventi del
vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni e le attività culturali
Francesco Rutelli e del presidente dell'Unione delle comunità ebraiche
italiane, Renzo Gattegna a dare il via al convegno internazionale su
"Antisemitismo e i moderni crimini contro l'umanità", in programma
oggi e domani a Palazzo Barberini. L'incontro rappresenta il culmine delle
manifestazioni, svoltesi anche in settimana, per il Giorno della Memoria, data
simbolo dello sterminio degli ebrei europei. Si parlerà di antisemitismo, così
come si è concretizzato nell'Europa degli anni '30 e '40 ma anche di genocidi
contemporanei, dai Balcani al Rwanda, con un occhio al conflitto
interreligioso. L'intera settimana - accompagnata da una forte programmazione
tv e radio, sia pubblica sia privata - è stata comunque caratterizzata da una
serie di manifestazioni e di cerimonie, quasi tutte all'insegna di un doppio
anniversario che si è intersecato con il Giorno della memoria: i 60 anni della
Costituzione e i 70 delle Leggi Razziali del novembre del 1938. E proprio
questi due temi sono stati, tra l'altro, al centro del discorso del presidente
Napolitano al Quirinale - nella manifestazione in onore dei "Giusti tra le
Nazioni": "Non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo mai la Shoah.
Non dimentichiamo gli orrori dell'antisemitismo, che è ancora presente in
alcune dottrine, e va contrastato qualunque forma assuma". Così come la
cerimonia nella Risiera di San Sabba a Trieste, nell'unico campo di sterminio
in territorio italiano, dove il ministro della pubblica istruzione Fioroni ha
sottolineato "la vergogna" e "le scuse" per le Leggi
Razziali. Per oggi altre manifestazioni sono programmate in tutta Italia. Tra le tante due si svolgeranno a Firenze: all'Università verrà
consegnata la laurea honoris causa allo scrittore israeliano David Grossman. A
Palazzo Medici Riccardi, in calendario è un convegno in onore di Alberto
Nirenstein, scrittore e storico, di recente scomparso.
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( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)
Mr. Puma: "Ho girato il mondoora torno a casa e
recito da solo" teatro di sassello Nuova scommessa dell'artista savonese,
che ha lasciato Pippo Delbono LUCI, MUSICA, parole e gesti del corpo. Tutto
questo fa parte de "L'occhio del Puma", spettacolo teatrale che verrà
messo in scena questa sera al Teatro di Sassello (ore 21,30). Creatore e
interprete unico della rappresentazione è l'artista savonese Gianni Briano, in
arte Mr. Puma. Un personaggio conosciuto e apprezzato anche all'estero grazie a
numerose trionfali tournée in giro per il mondo con la compagnia del regista
teatrale Pippo Delbono. Mr. Puma è un personaggio eclettico e istrionico, nato
artisticamente a metà degli anni '80 come uno dei maggiori cultori amatoriali
della musica reggae. Nel 1986 dà vita al gruppo "Mr. Puma e i
Rompotodo", uno dei primi sound system nati in Italia. All'Officina, il
primo centro sociale genovese, inizia la sua esperienza rielaborando il modello
dei dj giamaicani. Tre anni dopo, dall'incontro con il bassista Roberto
Quadrelli, personaggio di spicco dell'underground genovese, nascono "Mr.
Puma e i Ragni", gruppo cult di quegli anni a Genova. Importante balzo
avanti nel '93 con la nascita di "Mr. Puma e i Raptus". Il progetto
dà vita ad uno spettacolo e a un cd, dal titolo "Dal virus alla
rivelazione", edito dalla Vox Pop, una delle più importanti etichette
discografiche indipendenti. Nel marzo del 1996 inizia la sua collaborazione
artistica con il regista teatrale Pippo Delbono, da cui nasce lo spettacolo
"Barboni", vincitore di molti premi tra cui il Premio Ubu '97 e il
Premio della Critica nel '98. Il successivo "Guerra" porterà Mr. Puma
a girare il mondo e a partecipare all'indimenticabile
tournée in Palestina e Israele. Nel luglio del 2000, alle Orestiadi di Gibellina, Mr. Puma
partecipa ad un nuovo spettacolo di Delbono dal titolo "Il Silenzio".
Quattro anni dopo al Festival d'Avignon debutta "Urlo". Lo spettacolo
viene accolto trionfalmente in tutta Francia e vince nel 2005 il premio
"Olimpici del Teatro". È un ritorno in provincia dopo i
successi raccolti in mezzo mondo con Pippo Delbono. "Con Pippo abbiamo
scritto pagine importanti - spiega Mr. Puma -. Ma è il momento di camminare da
solo". Lo spettacolo in programma a Sassello è la prima tappa di questa
evoluzione artistica? "Lo spettacolo è già andato in scena nei mesi scorsi
a Milano, Genova e a Parigi. È un working progress che ha trovato la sua forma
definitiva. Il progetto è nato tre anni fa in forma embrionale e con il passare
del tempo ha trovato la sua dimensione attuale. Torno per la prima volta ad
esibirmi nella mia provincia dopo un po' di anni di assenza". Ci descriva
lo show di questa sera. "È uno spettacolo multimediale. Unisce la
proiezione di video, alla musica, alle parole, alle luci e soprattutto alla
gestualità del corpo. È un'opera contemporanea, moderna, condita da monologhi e
riflessioni". Come è stato accolto lo spettacolo a Parigi? "È
piaciuto molto e sono stato invitato per una serie di esibizioni in cartellone
a maggio. Il pubblico francese è molto sensibile alle novità, al contrario di
quello italiano che è invece rimasto troppo legato alle rappresentazioni
classiche. La Liguria è ancora più chiusa, manca la curiosità e la voglia di
assistere a spettacoli innovativi". Come mai la scelta del palcoscenico è
caduta sul teatro di Sassello? "La scorsa estate ho messo in scena al
Priamàr uno spettacolo con Carlo Deprati, direttore del teatro sassellese. Ci
siamo conosciuti e a quel punto il passo è stato breve. A Savona poi non ci
sono spazi in grado di ospitare rappresentazioni alternative: il Chiabrera non
è il luogo adatto per "L'occhio del Puma", mi hanno invitato al Nuovo
Filmstudio, ma in questo caso il palco è troppo piccolo. Il teatro di Sassello
invece è la cornice giusta". Insieme a lei sono presenti nello spettacolo
altri due savonesi. "Si tratta di Maurizio Oliveri, che ha curato il
reparto video, e di Giovanni Astengo, dj con cui ho scelto le musiche".
Martin Cervelli 27/01/2008.
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( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Noi
scordiamo donde siamo \[venuti. I nostri nomi ebraici dell'esilio ci disvelano,
ricordano il fiore e il frutto, \[e città medievali, metalli, cavalieri
diventati pietra, \[e rose in abbondanza, profumi svaporati, gemme, \[molto
rosso, lavori manuali che non sono più \[al mondo. (E neanche le mani.) Il
taglio del prepuzio ci confonde, \[come dice la Bibbia nel racconto di Sichèm e
dei figli \[di Giacobbe: un dolore che dura finché viviamo. Che facciamo,
tornando in questo \[luogo con quel dolore. Le nostalgie sono state
\[prosciugate con le paludi, il deserto rifiorisce per noi, \[abbiamo figli
leggiadri. Anche i relitti delle navi \[naufragate in viaggio giungono a questa
costa, anche i venti vi giungono. \[Ma non tutte le vele. Che facciamo in
quest'oscura terra che getta ombre gialle che tagliano gli occhi (succede che
qualcuno ancora \[dica dopo quaranta o cinquant'anni: "questo sole mi
uccide"). Che facciamo delle anime \[di nebbia, dei nomi, degli occhi di
selva, dei nostri figli \[leggiadri, del nostro rapido sangue? Il sangue sparso
non è radici ma è la cosa più vicina alle radici che abbiano gli uomini.
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( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
D di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Quasi
sessant'anni fa (era il maggio del 1948) nasceva lo stato d'Israele. Sorgeva
sul sangue sparso durante la persecuzione degli ebrei e altro sangue avrebbe
chiamato, dei popoli arabi decisi ad impedire l'usurpazione della terra che gli
ebrei consideravano "promessa". Popoli in lotta, fino ad oggi, che
fino ad oggi nel nome di quel sangue, del reciproco sangue sparso per cause
opposte, si fanno la guerra e insieme cercano la pace. Una pace
difficile, perché la morte chiama altra morte. Da poco è in libreria
un'antologia di poeti israeliani del Novecento edita da Einaudi. Tra di essi
Yehuda Amichai, scomparso il 22 settembre del 2000, considerato il maggiore dei
poeti israeliani moderni, la cui prima raccolta in italiano, Poesie, a cura di
Ariel Rathaus e con introduzione di Ted Hughes, fu pubblicata a Milano 2001.
Nato a Würzburg, in Germania, nel 1924, Amichai si trasferì in Palestina con la famiglia nel 1936. Fra i temi di questo
poeta c'è quello principe dell'amore, tanto che - è stato scritto - sembra che
riscriva il luminoso ed enigmatico archetipo del Cantico dei cantici. E d'altra
parte il sussulto, lo spasimo d'amore si trasferisce alla terra, considerata
una cosa vera e profondamente mistica, alla storia e ai simboli del popolo d'Israele. Tra i molti testi di Amichai su questi temi, quello
che qui pubblichiamo, tratto dalla raccolta E non per ricordare, del 1971, che
unisce il senso della dispersione, della diaspora, il colore e il sapore del
sangue con il sentimento dell'appartenenza, del radicamento sacro, del
ritrovamento di un luogo: è una poesia dolorante, scritta toccando i segni di
sutura delle ferite millenarie. Consapevole del nuovo tormento e dramma che
questa storia comporta: scritta da dentro il dramma, antico e perenne, come sua
interna voce.
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( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00
L'abbattimento del muro che divideva Gaza dall'Egitto ha aperto la strada a
interminabili colonne d'auto che ieri per la prima volta hanno potuto lasciare
Gaza riversandosi oltre la frontiera. A bordo di potenti fuoristrada, centinaia
di uomini appartenenti alle cellule armate hanno lasciato a casa kalahsnikov e
uniformi, viaggiando per la prima volta all'estero senza doversi nascondere.
Anche per questo le autorità militari israeliane riconoscono che il numero dei
lanci di razzi contro la cittadina di Sderot nelle ultime ore è drasticamente
calato. Il problema però è quale soluzione definitiva trovare alla situazione
creatasi. Il presidente palestinese Abu Mazen è tornato a respingere ieri
l'offerta di un negoziato diretto con Hamas mediato dall'Egitto. Il rais
egiziano Hosni Mubarak ha allora aggirato il diniego, proponendo
tavoli separati che entrambe le fazioni sembrano avere accettato. Oggi Abu
Mazen incontrerà anche il premier israeliano Ehud Olmert al quale chiederà
l'affidamento dei controlli sulle frontiere della Striscia: è fra le ultime
carte rimaste nel mazzo del presidente palestinese per rimanere in gioco.
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( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra
Hiroshima" di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 La
condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal
rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il
Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le
nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia,
invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e
dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in
un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano
l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati
dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio
di testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno
stadio avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto
Manhattan" spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò
alla costruzione degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario, tratteggiato
dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di laboratori
assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia internazionale per
l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già lavorando a testate
nucleari per missili terra terra - dichiara Barak - e con molta probabilità
hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino oltre a quello di
Natanz". Secondo Israele, insomma, quanto l'Iran
fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta dell'iceberg, uno specchietto per
le allodole, dietro cui operano impianti assai più sofisticati con finalità
esclusivamente militari. "Le più importanti agenzie d'intelligence
internazionali dovrebbero concentrare i loro sforzi - auspica Barak - per
capire dove siano l'eventuale centro d'arricchimento clandestino e il gruppo
che lavora alle tecnologie militari". La nuova bozza di risoluzione -
messa a punto a Berlino la scorsa settimana e approdata ieri all'esame del
Consiglio di sicurezza - è un altro sintomo della diffidenza internazionale nei
confronti di Teheran. La risoluzione chiede l'immediata sospensione del
programma di arricchimento e punta all'introduzione, in caso contrario, di un
terzo blocco di sanzioni capace di garantire la sorveglianza degli esponenti
alla guida del programma nucleare iraniano. Dunque delle sanzioni ad personam.
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( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Aretha
Franklin, Beyoncé, Foo Fighters, Carrie Underwood, Mary J. Blige, Clark
Sisters, Israel And New Breed, Trin-I-Tee 5:7, Rihanna e i
Time (riunitisi in occasione della cerimonia): saranno questi i primi artisti a
salire sul palco della 50esima edizione dei Grammy Awards. Lo ha reso noto la
Recording Academy. L'evento live andrà in onda dallo Staples Center di Los
Angeles e per il pubblico italiano sarà possibile il 10 febbraio assistere alla
cerimonia in diretta su Music Box (canale 717 di Sky). La produzione dei
Grammy Awards, in partnership con YouTube e Cbs.com, offrirà a 20 musicisti
l'opportunità di suonare con i Foo Fighters.
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( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Pagina I - Milano La celebrazione
Rappresenta i profughi più antichi e moderni del mondo La bandiera di Israele nella Giornata della Memoria DAVIDE ROMANO Anche quest'anno la
comunità ebraica milanese sfilerà nella Giornata della Memoria con le bandiere
israeliane. Ma qual è il legame tra sterminio e Stato ebraico? Molti credono
che Israele sia "figlio della Shoah", un risarcimento.
Invece è l'opposto: già dal 1917 l'Onu di allora riconobbe allo Stato ebraico
il diritto di nascere. Se non lo si fosse impedito, Israele
sarebbe stato il miglior "antidoto" alla Shoah. SEGUE A PAGINA VI
APPUNTAMENTI IN GIORNO E NOTTE.
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( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Pagina VI - Milano CORTEO DELLA MEMORIA ECCO PERCHé
CI SARà LA BANDIERA DI ISRAELE SI PENSI AI TANTI EBREI DISPERATI CHE DAL 1938 -
quando il regime nazista iniziò a bruciare le sinagoghe - facevano la fila alle
ambasciate straniere per i pochi visti disponibili. Se ci fosse stata
un'ambasciata israeliana, avrebbe spalancato loro le porte, salvandoli da
Auschwitz. La storia di un mio conoscente, scomparso di recente, forse aiuta
ancora meglio a capire il legame tra ebrei, Israele, e
Shoah. Si chiamava Tuvia. Nato in Romania, giovanissimo fu catturato dai
nazisti e deportato in un campo di concentramento, da dove riuscì
miracolosamente a fuggire. Alla fine della guerra non aveva nulla: né una
famiglia, né una casa dove tornare. L'unica speranza era partire per Tel Aviv
per rifarsi una vita. Lo fece, ma da clandestino. L'Inghilterra infatti
continuava a limitare fortemente, anche nel dopoguerra, l'immigrazione ebraica.
La sua nave fu una delle tante che la marina britannica riuscì a intercettare.
Tuvia si ritrovò così internato, insieme a tanti scampati dai lager nazisti, in
un campo di raccolta a Cipro. Rimase detenuto in quell'isola fino al 1948,
quando fu riconosciuta l'indipendenza di Israele.
Quell'anno cambiò la storia: finalmente esisteva un rifugio per tutti gli ebrei
del mondo. Tuvia poté arrivare nello Stato ebraico, dove coronò il suo sogno:
fu tra i fondatori del kibbutz (cooperativa socialista) Hafikim, nel nord del
paese. Fu proprio lì che lo incontrai, qualche anno fa, e mi accennò la storia
della sua vita. Gli chiesi perché non avesse mai scritto un libro con le sue
memorie. Mi rispose: "Chi lo leggerebbe? Qui in Israele quasi ogni famiglia ha una storia simile". è tragicamente
vero. Israele è lo Stato ebraico, e in quanto tale è una nazione fatta di
profughi. I primi furono gli ebrei che fuggivano dai pogrom dell'Europa
dell'Est e della Russia, a cavallo tra l'800 e il '900. Poi fu la volta
degli scampati alla II guerra mondiale. E ancora, nel 1948, furono quasi un
milione i profughi ebrei che lasciarono i paesi arabi per raggiungere Israele. Arrivò poi il turno degli ebrei persiani (con
l'avvento di Khomeini), degli etiopi e infine, dal 1989, del milione di russi.
Per questo la bandiera israeliana sventola nella Giornata della Memoria: per
ricordare come si sarebbe potuta evitare la morte di tanti di quei sei milioni
di ebrei, e perché è la bandiera dei profughi più antichi e più moderni del
mondo. DAVIDE ROMANO.
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( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Pagina XI - Milano Folla e giovani seguono il maestro
e pianista nelle sue esibizioni Il ciclone Barenboim alla Scala e in libreria
Oggi in scena Ieri alla Feltrinelli "Tifo Obama" LUIGI DI FRONZO Un
altro bagno di folla per il maestro Daniel Barenboim. Ieri, all'incontro col
pubblico per il suo libro La musica sveglia il tempo, erano veramente in tanti:
quasi tutto il primo piano della Feltrinelli di piazza Piemonte stracolmo di
appassionati, e poi una coda lunghissima di persone in cerca di autografo. E
lui, disponibile come sempre, tra una battuta spiritosa e una dotta riflessione
su temi politici e sociali. Non ha parlato solo di musica, ma anche della
"Giornata della memoria", ammonendo che l'antisemitismo non è morto e
va sempre combattuto. E si è sbilanciato anche sulle lezioni americane.
"Spero veramente in Barack Obama - ha detto - Ma la comunità ebraica non
lo voterà, perché le sue opinioni sul conflitto in
Medioriente non vanno in parallelo con le posizioni del governo israeliano".
Il successo del direttore d'altra parte si vede anche in teatro. Venerdì per la
seconda serata del Barenboim-pianista con le Sonate di Beethoven, folla di
giovani hanno occupato il palcoscenico scaligero per poi riunirsi festanti
intorno all'artista. E si ripeterà naturalmente oggi quando Barenboim
scalerà le vette della Sonata op.101, dopo la Patetica op.13, la Marche funèbre
op.26 e l'op.79. Ma al di là della pura sociologia, resta l'importanza
artistica di un messaggio elevato e profondo che Barenboim riesce a far
arrivare. Esecutore spavaldo, disinvolto, quasi istrionesco, che trova una
benefica energia nel pubblico ha imparato moltissimo dal podio. Smorza le
sonorità, distende le frasi, scava nel suono puro (usando pochissimo pedale);
non solo, venerdì sera ha accentuato l'incastro poliritmico nel finale
dell'op.31 n.2, ha ritagliato quasi effetti di swing nell'op.14, ha
sottolineato il contrappunto delle due mani nell'op.81a e ha tinto di nostalgia
il segnale postale dei corni, nel celebre incipit del Les Adieux. Più che magia
pianistica, la sua è ormai riflessione personale e filosofica sull'universo di
Beethoven, con esiti di travolgente bellezza. Ore 15 al Teatro alla Scala,
piazza Scala. Ingresso da 50 a 5 euro. 02/72003744.
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( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Fondatore del Fronte popolare, negli anni Settanta
organizzò decine di attacchi e raid contro Israele E'
morto Habbash, teorico dei dirottamenti Ex compagno d'armi contestò Arafat
quando firmò la pace di Oslo nel 1993 FABIO SCUTO Si è spento ieri, consumato
dall'età e dai malanni della vecchiaia, George Habbash fondatore del Fronte
popolare di Liberazione palestinese, uno dei gruppi più duri della galassia
palestinese, l'ala più radicale di orientamento marxista, teorico dei
dirottamenti aerei negli Anni Settanta e della lotta armata come unica
soluzione del conflitto con Israele, che ha sempre
rifiutato di riconoscere. Quando nel 1993 Arafat firmò a Oslo l'accordo di pace
che gli consentì di rientrare in Palestina dopo
decenni di esilio, definì quella pace un "tradimento" e avrebbe dato
ancora battaglia al suo ex-amico e compagno ma un ictus cerebrale ne ridusse la
verve e la capacità organizzativa, e nell'ottobre dello stesso anno si dimise
da ogni incarico nel Fronte che aveva fondato nel 1967, subito dopo la
sconfitta bruciante degli eserciti arabi nella Guerra dei Sei Giorni. Oratore
rivoluzionario, nazionalista acceso e intransigente, leader di un gruppo che ha
praticato il terrorismo, George Habbash - ma per la sua gente El Hakim (il
dottore) - è stato per quarant'anni una delle figure più controverse della
galassia palestinese. Con Yasser Arafat e Nayef Hawatmeh, è stato uno degli
ultimi leader storici; nei campi profughi il suo nome è stato sempre associato
al rifiuto di qualunque compromesso con Israele. Del
suo gruppo faceva parte Leila Khaled, l'eroina del terrorismo palestinese che
dirottò un jet americano in Siria. Il Fronte di Habbash mostrò subito la sua
propensione verso azioni spettacolari, un'attitudine sempre mal digerita da
Yasser Arafat, e per tutti i servizi segreti divenne "il Dottor
Terrore". Attentati contro gli aerei della "El Al", sabotaggi
agli oleodotti, attacchi alle ambasciate israeliane; fino ai dirottamenti
multipli degli aerei giordani nel deserto, mentre i feddayn palestinesi fuggivano,
cacciati da re Hussein che temeva per il suo fragile trono. Era il settembre
1970, il "Settembre nero palestinese". Dirottamenti e attentati hanno
fatto per anni di George Habbash uno degli uomini più ricercati del Medio
Oriente. Sulla sua testa, a Tel Aviv come ad Amman c'è stata per decenni una
cospicua taglia. Gli uomini del Mossad, ma anche i mukhabarat arabi, hanno
cercato più volte di eliminarlo dalla scena. I caccia con la stella di David,
con un gesto di pirateria aerea, dirottarono nel 1973 un jet di linea
costringendolo ad atterrare, perché il Mossad era convinto che Habbash fosse
tra i passeggeri. Il Fronte è sempre stato fortemente rappresentato nei campi
profughi in Libano, soprattutto nel sud a Tiro e Sidone, e nei territori arabi
occupati dove molte cellule sono attive. E' infatti attorno al Fronte di
Habbash che per sette anni, fino al 1981, si costituirà con l'aiuto di alcuni
regimi arabi il "Fronte del rifiuto" che tenterà senza successo di
fermare l'evoluzione dell'Olp verso la partecipazione ai negoziati di pace.
Habbash, che aveva 82 anni, si è spento in un ospedale di Amman, dove era
tornato a vivere quando le accuse contro di lui erano cadute in prescrizione e
quando l'ospitalità di Damasco dove aveva vissuto per trent'anni si era fatta
un po' "stretta". Il presidente dell'Anp Abu Mazen ieri sera appresa
la notizia ha fatto annunciare dal suo ufficio tre giorni di lutto nazionale in
tutta la Palestina, ordinando che le bandiere
nazionali vengano listate a lutto.
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( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Parla il ministro degli Esteri iraniano Mottaki:
"La via della pace passa attraverso la giustizia" "Tutti devono
poter scegliere referendum sullo stato palestinese" "Il nostro
nucleare è pacifico: nuove sanzioni ci spingeranno solo a difenderci"
MARCO PANARA ELENA POLIDORI dai nostri inviati DAVOS - Il dramma di Gaza:
"Se ne esce solo con un referendum, dove la gente sceglie il regime che
desidera". I piani di pace in Medio Oriente? "Mancano di
giustizia". Le sanzioni? "Uno strumento d'altri tempi". Parla
Manouchehr Mottaki, ministro degli Esteri dell'Iran. Repubblica lo incontra nel
suo albergo, in una pausa del Forum di Davos. Come valuta
il processo di pace tra Israele e Palestina dopo il viaggio di Bush e quale sarà l'impatto dei fatti di
Gaza? "Sicuro che il signor Bush e Israele cerchino
la pace?" E lei? "Noi pensiamo di no. La vicenda della Palestina va avanti dal 1948: Annapolis e molte altre iniziative sono
state messe in campo senza alcun risultato. La principale ragione è che
tutti i piani mancano di giustizia, che è l'elemento principale" Che
significa giustizia? "Che dobbiamo avere uno sguardo sulla regione:
cristiani, musulmani ed ebrei sono i veri abitanti di quella terra e sono loro
a dover decidere il loro destino. 5 milioni di palestinesi sono lontani dalla
loro terra, devono tornare e partecipare ad un referendum per decidere sul loro
stato. Qualunque decisione prenderanno liberamente, noi la sosterremo".
Quindi qual è la prospettiva di questo processo di pace? "Bush ha detto che
entro il 2008 sarà completato. Olmert che probabilmente non sarà possibile.
Questo significa che non cercano una vera pace ma vogliono imporre la loro
volontà sulla Palestina". La soluzione allora?
"Si deve fare come in Sudafrica. Mandela ha speso la vita in prigione ma
alla fine la gente ha potuto decidere. Questo è il modello". Quale è la
posizione dell'Iran su Abu Mazen e Hamas? "Noi raccomandiamo a tutti i
leader palestinesi di sedersi intorno ad un tavolo e di agire insieme
nell'interesse della popolazione. E' responsabilità di tutta la comunità
internazionale, Iran compreso, aiutare i palestinesi". Quale sarà il ruolo
dell'Egitto? "L'Iran ha chiesto un incontro ministeriale ad hoc che si
terrà il 3 febbraio a Gedda. Condanneremo l'aggressione dei sionisti a Gaza e
incoraggeremo i vicini, a cominciare dall'Egitto, a tenere aperto il confine
per il passaggio degli aiuti umanitari" Condannerete anche le azioni di
Hamas? "La battaglia per la libertà è un diritto essenziale di ogni
movimento di liberazione e per questo sin dall'inizio la lotta dei palestinesi
non è stata terrorismo". La Rice qui a Davos ha detto che se il suo paese
interromperà l'arricchimento uranio è pronta a dialogare in ogni momento, in
qualsiasi luogo e su qualsiasi argomento. Lei come risponde? "La posizione
dell'Iran è di lasciare il giudizio all'appropriato organismo delle Nazioni
Unite che è l'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica ndr.) Da
cinque mesi abbiamo accettato un accordo con loro. Sono stati fatti numerosi
passi avanti. Buona parte delle richieste sono state soddisfatte. Ci sono anche
tre rapporti. Resta da completare una piccola parte del lavoro. A questo punto
il Consiglio di sicurezza ha due responsabilità: avere pazienza fino al
completamento del lavoro dell'Agenzia, che avverrà in marzo. Poi se l'Aiea
confermasse che non ci sono divergenze con l'Iran, deve allora passare il
dossier all'Agenzia perché proceda nella collaborazione" Sulle sanzioni,
qual è la sua posizione? "Le sanzioni sono uno strumento del passato. Negli
ultimi due anni abbiamo stipulato accordi con vari paesi. Molte società Usa,
indirettamente, hanno cominciato a fare affari con l'Iran. Credo che
riconoscano che le sanzioni o ogni altra azione non basata sui fatti avrà
l'effetto di spingere l'Iran a difendere i suoi diritti. Noi non faremo nulla
contro le regole. Il Consiglio di sicurezza dovrà eventualmente spiegare
all'opinione pubblica del mondo su quali fatti intende basare provvedimenti
punitivi contro l'Iran".
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( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
L'Egitto rinuncia a fermare i profughi Gaza, tre
giorni di frontiere aperte per scorte di cibo e combustibili Una quarantina di
poliziotti feriti e Il Cairo striglia Hamas: "Così non può durare"
ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - "I fratelli
palestinesi devono comprendere che la nostra volontà di ospitarli e aiutarli
non può tradursi in una minaccia alla vita delle forze di sicurezza
egiziane". Una quarantina di feriti tra i poliziotti antisommossa e le
guardie di frontiera, alcuni dei quali in stato critico, causati dalle
"provocazioni di gruppi palestinesi", sono un prezzo troppo alto da
sopportare, dice il ministro degli Esteri egiziano, Ahmed Abul Gheit, per aver
mostrato generosità e comprensione verso il dramma di Gaza. L'avvertimento alla
dirigenza di Hamas, senza il cui assenso a Gaza non si muove foglia, è
implicito. "Queste provocazioni ci preoccupano", continua Abul Gheit,
quasi a sottolineare che la pazienza egiziana ha un limite. E tuttavia la
decisione del Cairo di permettere l'ingresso alle masse bisognose di tutto provenienti
dalla Striscia verrà mantenuta, fino a quando i palestinesi non avranno
soddisfatto i loro bisogni (si dice ancora per tre giorni). Ma subito dopo
bisognerà trovare una soluzione "concordata attraverso colloqui fra le
parti interessate". Non sarà così facile. Per il quarto giorno
consecutivo, decine di migliaia di persone, spinte dal desiderio di
approvvigionarsi dei beni essenziali che l'embargo vieta loro da mesi, hanno
varcato il confine con l'Egitto ormai ridotto a un colabrodo. La novità è che
molti sono entrati in macchina, altri hanno cercato di portare dentro i camion,
ma pare che non abbiamo potuto superare i posti di blocco posti all'uscita
della Rafah egiziana. Molte auto sono entrate cariche di bidoni vuoti e sono
tornate con benzina e gasolio, due generi preziosi tuttora
sottoposti al blocco israeliano. La polizia egiziana ha prima cercato
d'impedire l'ingresso delle macchine, formando catene umane davanti ai varchi
principali, poi s'è limitata a osservare da lontano. Nella notte il contingente
era stato ridotto per evitare ulteriori tensioni. Ma è evidente che il
Cairo non può accettare la situazione creata da Hamas al confine con Gaza. Una
situazione in cui le autorità egiziane hanno in sostanza rinunciato a
esercitare ogni autorità. Per Mubarak quella della soluzione "concordata
con le parti interessate", vale a dire tanto con Hamas, quanto con
l'Autorità Palestinese di Abu Mazen, la cui influenza è ormai ridotta alla sola
Cisgiordania, è una strada tanto obbligata quanto rischiosa. Lo sfondamento
della frontiera ha, se possibile, acuito i contrasti tra Hamas e Abu Mazen. Il
leader eletto dei palestinesi ha ieri affermato di avere un piano per risolvere
il problema del confine tra Gaza e l'Egitto. Ma per lui il movimento islamico,
prendendo nel giungo scorso il potere a Gaza con la forza si è macchiato di un
crimine che non può essere perdonato. A meno che gli islamisti non
restituiscano il potere all'autorità legittima. Il punto è che né gli Stati
Uniti, né Israele, né forse lo stesso Mubarak credono
che Abu Mazen abbia i mezzi militari e la forza politica di imporre una
soluzione. Insomma, è obbligatorio parlare con Hamas, che ieri, in evidente
polemica con Ramallah, si è offerta di riportare l'ordine al confine
coordinando direttamente con l'Egitto il funzionamento della frontiera. Un
offerta destinata a mettere Mubarak in ulteriore imbarazzo, perché se il Rais
non può permettersi di apparire agli occhi dell'opinione pubblica egiziana come
colui che appoggia il blocco di Gaza voluto da Israele
e assecondato dagli Stati Uniti, dall'altro lato, agli occhi dell'opinione
pubblica occidentale Mubarak non può apparire come un partner di Hamas. La
delicata situazione alla frontiera tra Gaza e l'Egitto sarà al centro
dell'incontro di oggi tra Abu Mazen e il premier israeliano Ehud Olmert. Il
leader palestinese rinnoverà la sua offerta di prendersi carico del confine Sud
di Gaza, chiedendo al tempo stesso a Olmert di togliere il blocco contro la
Striscia e contro la Cisgiordania. Ipotesi assai improbabile.
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( da "Stampa, La" del 27-01-2008)
La storia Mille ebrei emigrarono in Palestina SILVANO GODANI Gennaio 1946, da Vado la prima nave
dell'esodo VADO LIGURE Legge 20 luglio 2000, n. 211, ex art. 1 e art. 2:
"La Repubblica Italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data
dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di
ricordare la Shoàh (sterminio del popolo ebraico).affinché simili eventi non
possano mai più accadere". Per l'occasione l'ISREC (Istituto Storico della
Resistenza e dell'Età Contemporanea), attraverso le ricerche di Antonio Martino
ha ritrovato tracce e immagini di una straordinaria storia di "Exodus alla
savonese", raccontata con qualche coloritura nei libri di Ada Sereni
("I clandestini del mare") e Mario Toscano ("La porta di
Sion"), entrambi sull'immigrazione clandestina di
Ebrei europei nel neonato stato di Israele. Un anno
prima della nave Exodus (raccontata da Otto Preminger in un film avvincente)
che nel 1947 trasporta profughi da Cipro in Palestina, ben due
navi partono da Vado per Israele, a dispetto degli Inglesi che osteggiavano l'ingresso degli
Ebrei nella "terra promessa". La prima nave, il motoveliero
"Rondine" forse costruito dai Cantieri Solimano e ribattezzato
"Enzo Sereni" (marito di Ada morto a Dachau nel '44), salpa
all'inizio di gennaio del '46 da una banchina di Porto Vado vicino al Faro con
un carico di 900 profughi sotto la protezione della polizia partigiana, come
ricorda Adriano Scaglia. La seconda, la corvetta canadese
"Beauharnois" dismessa nel 1945 ma acquistata dai servizi segreti
israeliani del Mossad e poi impiegata nella 1^ flottiglia di 4 navi nello
scontro con gli Arabi col nome "Hashomer" (La Guardia), nella notte
fra il 18 e il 19 giugno imbarca ben 1294 Ebrei provenienti dai lager via
Tarvisio e concentrati nel campo di Tradate, forzando il blocco dei carabinieri
schierati sul pontile. Un'operazione imponente resa possibile dalla perfetta
organizzazione della Brigata Ebraica in forza all'esercito inglese dotata di
automezzi e supporti per le comunicazioni. Perché proprio Savona? Forse perché
è più favorevole l'ambiente, visto che a gennaio è l'agente marittimo Giuseppe
Musso, repubblicano, a mettere in contatto Ada Sereni con l'armatore e le
autorità locali, a giugno, si limitano a prendere atto della situazione.
"In un momento così delicato -conclude Umberto Scardaoni presidente
dell'ISREC a titolo personale- è giusto ricordare che, nel nome della pace,
occorre riconoscere anche ai Palestinesi il diritto di avere una patria, così
come abbiamo contribuito a farlo con gli Ebrei". Nel prossimo 19 giugno,
perciò, a Vado Ligure si ricorderà l'episodio insieme alla Comunità Ebraica di
Genova, all'Ambasciata di Israele e alla Associazione
Italia-Israele in collaborazione col Comune.
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( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.132 del
27/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport
Focus Cultura In ricordo delle vittime del nazismo 27 gennaio: "Il Giorno
della Memoria" Tutte le attivita' della "Casa della Memoria e della
Storia" di Roma Il 27 gennaio di 63 anni fa, nel 1945, il campo di
sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, veniva liberato dall'Armata Rossa,
l'esercito russo bolscevico. Dal 2000 questa data è stata scelta dal Parlamento
Italiano per istituire "Il Giorno della Memoria" in ricordo dello
sterminio del popolo ebraico e di tutti i deportati nei campi nazisti. Molte le
attività organizzate anche quest'anno dalla Casa della Memoria e della Storia
per la giornata odierna. Già giovedì scorso è stata inaugurata un'installazione
fotografica di Giuliano Pastori nello Spazio mostre e sulla Terrazza, dal
titolo "Berlino 06: Memorie Quotidiane", che sarà visitabile fino
al'8 febbraio. Ma la maggior parte delle attività si concentrano proprio oggi:
a partire dalle ore 15.00, nella Sala Multimediale, verrà proiettato il film di
Davide Ferrario e Marco Belpoliti "La Strada di Levi", che ripercorre
dopo sessant'anni l'itinerario dello scrittore Primo Levi per ritornare a casa
dopo la liberazione di Auschwitz. Alle 16.30 "Verso la Memoria", una
lettura di poesie sul tema della Deportazione, della Resistenza e della
Libertà. A seguire, alle 18.05, proiezione del film-documentario "Io
c'ero", ricco di testimonianze di superstiti dei campi nazisti che
raccontano la cruda realtà della vita nei lager. Per concludere, alle 19.30,
"Canzoni della Resistenza, della Guerra e della tradizione democratica del
nostro paese", un intervento musicale di Sara Modiglioni, Piero Brega e
del Laboratorio di canti popolari, politici e sociali della Scuola di Musiche
del Circolo Gianni Bosio. Contemporaneamente, presso il Centro Telematico, a
partire dalle ore 15.00 verrà proiettato il filmato "La deportazione e
l'internamento nei lager nazisti dei militari italiani", storia della
situazione dei militari italiani dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943,
quando durante l'internamento non furono considerati prigionieri di guerra in
modo che gli venisse sottratta l'assistenza prevista dalla Convenzione di
Ginevra. A seguire, alle 15.50, la proiezione dell'intervita/testimonianza a
Franco Venturelli, partigiano che nel 1944 venne deportato a Mathausen. Alle 16.30
proiezione del filmato di Sebastiano Rendina "Un popolo per la libertà. La
Resistenza in Italia", che ripercorre gli avvenimenti storici che hanno
dato forma alla Resistenza Italiana. Alle 17.15 il film-documentario
"Memoria presente: ebrei e città di Roma durante l'occupazione
nazista", che ricostruisce la persecuzione antisemita nella Capitale anche
attraverso interviste a cittadini ebrei. Infine, alle 18.25, la proiezione del film del regista israeliano Eyal Sivan
"Uno specialista: ritratto di un criminale moderno", ricostruzione
del processo al gerarca nazista Adolf Eichmann svoltosi a Gerusalemme nel 1961.
Le attività conclusive si svolgeranno il prossimo martedì: alle 15.00, presso
la Sala Multimediale, verrà presentato il libro "Roma la città della
memoria – Guida agli archivi della città contemporanea",
censimento degli archivi cittadini. Seguirà, alle 17.00, la presentazione del
saggio di Giovanna De Angelis "Le donne e la Shoah", un omaggio al
coraggio e alla resistenza delle donne internate nei ghetti e nei campi
nazisti. Numerosissime dunque le attività fra le quali scegliere per chi
desidera ricordare degnamente questo giorno, e rendere onore ai ricordi e alla
memoria di pagine ancora incredibilmente vicine della nostra storia più violenta
e dolorosa. Il giorno della memoria Fino al 29 gennaio Casa della Memoria e
della Storia Via San Francesco di Sales 5, Roma Ingresso libero Orari: dal
lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 18.00 (mostra fotografica) Info: tel.
066876543 www.casadellamemoria.culturaroma.it Valentina Ricci.
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( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)
Di ERIC SALERNO Un gioco pericoloso. Questa, per un
dirigente egiziano che abbiamo raggiunto al Cairo, l'essenza di quanto sta
accadendo a Gaza. Con rabbia, il ministro degli Esteri Ahmed Abul Gheit ha
parlato di "provocazioni" e rilevato che sono una quarantina i
soldati e le guardie di frontiera feriti negli scontri con i palestinesi, molti
dei quali armati e appartenenti alle milizie fedeli a Hamas. Due ufficiali sono
in fin di vita. E sembra perdere quota la pazienza del presidente Mubarak. Ha
offerto di mediare la ripresa del dialogo tra Hamas e il presidente palestinese
ottenendo, come risposta, due quasi no. I dirigenti del movimento islamico si
sono detti disponibili ma poi offrono contatti diretti con il Cairo per gestire
insieme, questa la loro formula, il transito sul confine comune. Per Mahmoud
Abbas, l'ipotesi dialogo è da scartare fino a quando i "golpisti"
manterranno il controllo di Gaza. E stato chiaro: non permetterà a Hamas di
servirsi del blocco del confine per guadagnare un riconoscimento ufficiale del
suo ruolo nella Striscia. Il presidente intende insistere, invece, con il
premier Olmert (si vedranno oggi) perché sia l'Autorità palestinese a gestire
tutti i varchi della Striscia. Lui dice che le sue forze sono in grado di
farlo. Israele non n'è così convinta. Hamas,
nonostante l'isolamento, mostra una capacità organizzativa e politica
sorprendente. Alla ricerca di uno sbocco non violento, Mubarak ha deciso di
invitare al Cairo per incontri separati, i rappresentanti di Hamas e di Fatah.
Il rischio che la situazione possa deteriorare è evidente. Mezzi blindati
egiziani si sono avvicinati al confine per impedire alle auto dei palestinesi
di continuare a fare avanti e indietro mentre le guardie di frontiera rimandano
a casa decine di migliaia d'abitanti di Gaza ancora nell'area che va dal
confine a El Arish. Le botteghe di questa città, quaranta chilometri a sud
delle barriere abbattute dai militanti islamici, hanno fatto affari d'oro ma
ieri la polizia ha ordinato la loro chiusura per far capire a tutti che la
grande spesa è finita. Poche decine di chilometri più a
nord, al posto di transito di Erez, sul confine tra Gaza e Israele, un migliaio di pacifisti israeliani ha manifestato contro il
blocco imposto da Israele e contro il continuo, seppure ridotto, lancio di missili in
direzione di Sderot. La loro protesta è stata fatta propria dal presidente
palestinese. In un discorso a Ramallah, Abbas ha esortato i gruppi
armati a cessare i tiri di razzi e ha accusato Israele
di infliggere una "punizione collettiva" alla popolazione della
Striscia. "Noi diciamo a tutti quelli che lanciano i razzi: cessate, non
date a Israele un pretesto per mostrarsi al mondo come
vittima e affermare che Sderot è una vittima".
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( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)
To ieri ad Amman, dove viveva da alcuni anni. Aveva
81 anni. Habash era nato 1926 a Lydda (l'attuale città israeliana di Lod) in
una famiglia di mercanti di religione greco-ortodossa. Era un medico e il suo
nome di battaglia era "al Hakim", che significa "il
dottore", ma anche "il saggio". Aveva creato
nel 1967 l'Fplp, che fu per anni uno dei punti di riferimento delle
organizzazioni radicali palestinesi e sempre rifiutò di riconoscere lo Stato di
Israele. Nel 1992 era stato colpito da ictus a Tunisi e da allora si era
ritirato dall'attività politica.
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( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)
Film tratti dalla storia ed entrari in quella del
cinema. A mezzanotte e mezzo, Tg2 Dossier, intervista a Chantal Maas, l'unica ebrea
che ha deciso di vivere ad Auschwitz, dove sta allestendo una casa della
Memoria. E dell'incubo di Auschwitz parla anche Shlomo Venezia, che fu
costretto a far parte di squadra speciale che cremava i corpi degli israeliti massacrati nelle camere a gas. Mentre "I giusti e
gli Ingiusti", è il titolo dell'appuntamento con Terra! Il settimanale di
Toni Capuozzo e Sandro Provvisionato stavolta inizia con un reportage di Marco
corrias da Altavilla Silentina, comune campano dove sparirono una ventina di
passaporti per aiutare una ventina di ebrei ungheresi che nonostante i
documenti non riuscirono a sfuggire alla deportazione. Quindi sarà
Provvisionato a raccontare la Shoa, nella Germania di Trutzhain (a nord di
Francoforte), dove esiste ancora il famigerato lager Stalag IX, rimasto tale e
quale ad allora. Ma, tutte le emittenti, satellitari e non, dedicano l'intera
giornata alle vittime di quel terribile periodo storico. Retequattro e La 7
scelgono il cinema. Stasera Retequattro alle 21,10, ripropone il capolavoro di
Spielberg: Schindler's List. Mentre la 7 manda in onda il bellissimo Giardinio
dei Finzi Contini di Vittorio De Sica e, e alle 18, Train de vie, il geniale
racconto di Radu Mihaileanu.
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( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - MILANO - sezione: Tempo Libero -
data: 2008-01-27 num: - pag: 18 categoria: REDAZIONALE OLMETTO ULTIMA REPLICA
La guerra che non si può vincere Il dialogo, l'incontro, il riconoscimento del
dritto dell'altro. Eugenio de Giorgi, dammaturgo e regista, con un gruppo di giovani attori porta in scena il pensiero dello
scrittore israeliano David Grossman, facendo vivere in brevi scene momenti
della tragedia del conflitto israelo-palestinese. Storie ordinarie di vita, di
speranze, di paure, di adulti e ragazzi di entrambe le parti in guerra che
sognano la "normalità" della pace. Uno spettacolo per
conoscere e riflettere.
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( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE A
81 anni Morto George Habash, stratega dei dirottamenti Morto a 81 anni George
Habash: fondò il Fronte popolare di liberazione della Palestina, fu
rivale di Arafat e stratega dei dirottamenti aerei. Tre giorni di lutto
proclamati dall'Autorità Palestinese.
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( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri -
data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE Arabia Saudita Il drammaturgo
Tuvia Tenenbom racconta la visita con il presidente Bush in
un Paese dove Israele non esiste Corano, manager e night club. Un ebreo fantasma a
Riad Qualche giorno fa ho tentato di recarmi in Arabia Saudita o Saudia, com'è
chiamata in Medio Oriente, terra che aveva stregato la mia immaginazione. Mi
sono dunque collegato al sito web del governo saudita, per avviare la procedura
di richiesta del visto. Un sito interessante, non c'è dubbio. Desiderano
sapere, ad esempio, "Qual è la tua religione?". Io non professo
alcuna religione, ma ho ricevuto un'educazione ebraica ultra-ortodossa,
pertanto mi pareva opportuno selezionare "Giudaismo". Ehi, ma come?
C'è un problema: il Giudaismo non è tra le opzioni disponibili. Pazienza: salto
la domanda sulla "religione " e passo alla successiva: "Luogo di
nascita". Ottimo: sono nato in Israele. Come, non
lo sapete? Questo Paese non esiste nella mentalità saudita. Così, senza dover
troppo attendere, ho definitivamente archiviato il mio sogno saudita. Finché,
un giorno, arriva una chiamata dalla Casa Bianca: mi invitano ad accompagnare
il presidente Bush nel suo viaggio in Medio Oriente. E, poiché nel tempo libero
faccio anche il giornalista, si offrono di risolvere loro il problema del
visto. Accetto senza indugi e, in meno di una settimana - hurrà! - sono pronti
i documenti. "Accompagnatore del presidente americano", recita il
timbro saudita sul passaporto. Che cosa significa? Dovrò partire assieme a
Bush? Non lo so né me ne curo, mi limito a prendere l'aereo. Un uomo come me,
il cui principale titolo professionale è quello di "Direttore artistico
del Teatro Ebraico di New York", è in Arabia Saudita! In qualsiasi altra
occasione i sauditi preferirebbero patire un infarto anziché vedere la mia
faccia nella loro patria, ma stavolta hanno dovuto fare un'eccezione e io mi
sento strafelice. Poi Bush se n'è andato e l'ebreo è rimasto tutto solo
all'Holiday Inn di Riad. Ma non a lungo. Più o meno nel medesimo istante in cui
l'Air Force One ha toccato il suolo americano, qualcuno mi chiama invitandomi a
raggiungere una "persona importante che desidera parlarle". Mi
accompagnano, passando per una porta segreta, a un piano sottostante. Il posto
sembra avvolto nel buio e nella sporcizia. La targhetta sulla porta recita:
"Mohammad Al-Mallah - Human Resources Manager". Che cosa succede? Non
sto cercando un lavoro, o sbaglio? Risorse umane?!? "Si sieda", dice
l'uomo. "I giornalisti - inizia a farfugliare - fanno domande ma non sanno
dove trovare le risposte". Tutte le risposte sono racchiuse "in
questo libro", scandisce additando una copia del Corano rilegata in pelle
verde. Faccio per aprire il libro, ma il mio interlocutore pare non si diverta,
e mi dice in un inglese sgrammaticato: "Tu non sei musulmano, non hai le
mani pulite, non toccare il Libro Sacro". Aspetta un secondo, mi dico,
come diavolo fa a sapere che sono ebreo? Prima che riesca a trovare una
risposta, però, il Responsabile delle Risorse umane enumera in tutta fretta le
regole che sono tenuto a rispettare: "Niente foto né riprese, niente
interviste, niente discorsi politici. Domande? ". Molto stupidamente
rispondo: "Sì, ho una domanda. Pensa che ci potrà mai essere la pace tra
israeliani e palestinesi?". "Sì", risponde. "Come è scritto
in questo Libro Sacro, muoiano tutti gli ebrei e sul mondo intero regnerà la
pace". A questo punto risalgo in camera e scrivo una e-mail all'ambasciata
saudita di Washington. Sono l'unico ebreo in Arabia Saudita. Strano, no?
Persino nella Germania nazista gli ebrei erano più numerosi... Finalmente mi
alzo ed esco a fare due passi. Proviamo a capire dove finisce un ebreo e
comincia un saudita, dico tra me e me. Attraverso solitario King Abdulaziz
Street. E vedo volare a bassissima quota una squadriglia di quattro aerei
militari. è da quando ero bambino in Israele, al tempo
della Guerra dei Sei giorni, che non vedo un aereo militare così da vicino. è
come se uno spirito magico, fantastico e inspiegabile, mi facesse tornare
bambino. Sì, questi velivoli mi rapiscono e, d'incanto, mi riportano indietro
di 40 anni, in Prophet Jonah Street a Tel Aviv. Rallento il passo, totalmente
ipnotizzato, quando un'altra squadriglia inizia a volare sopra di me. Sento
un'irresistibile euforia! Inizio a contare: quattro qui, quattro laggiù, eccone
altri quattro, e ancora quattro... e, quando arrivo a 50, mi fermo e basta.
Come potrò appurare nei giorni seguenti, questi voli stravaganti sono una
routine quotidiana a Riad. Perché si faccia tanto sfoggio di potere sopra
un'area densamente popolata, e in un Paese che vanta un immenso spazio aereo
nel deserto, Dio solo lo sa. Con un cenno della mano fermo un taxi e faccio
ritorno in albergo. Mi sintonizzo su Al Jazeera, che addita gli ebrei come
carnefici. Stanno parlando di me?!? Esco fuori e chiamo di nuovo un taxi. Ma tu
guarda - penso - è lo stesso tassista che mi ha accompagnato prima! Ben presto
scopro che non appena chiamo un taxi in questa città di 5 milioni di abitanti,
nove volte su dieci mi imbatto, come per magia, nello stesso conducente.
"Dove vuole andare?". "Mi porti in un night". No, davvero
non me lo sarei mai sognato. In una terra in cui le donne non possono mostrare
altro che due occhi, dieci dita e un enorme sacco nero, neppure il tuo tassista
"personale" può accompagnarti in un posto del genere. Benvenuti in
Arabia Saudita. Un ebreo, un tassista, niente donne. Ma in quanto ad aeroplani,
signori miei, non c'è che da chiedere! Islam e Occidente Donne saudite in un
McDonald's a Riad (Ap) Tuvia Tenenbom Tuvia Tenenbom scrittore teatrale e
direttore artistico del Teatro Ebraico di New York Traduzione di Enrico Del
Sero.
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( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli
- data: 2008-01-27 num: - pag: 48 categoria: REDAZIONALE Beethoven Alla Scala
Anche al piano Barenboim è autorevolezza di ENRICO GIRARDI C i sono studenti
che seguono il concerto su sedie collocate sul palco attorno al pianoforte. E
il primo brano che si ascolta è proprio il primo della lunga serie, l'opera 2
n. 1, Sonata di un Beethoven che omaggia Haydn lasciando gli elementi del
proprio vocabolario a venire in una forma ancora potenziale. L'inizio del ciclo
di 8 concerti che fino a giugno vedranno Daniel Barenboim affrontare alla Scala
l'integrale delle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven ha vago sapore
di Hausmusik. Ma l'impressione dura il tempo di un amen. Un po' fa anche il modo semplice e irrituale con il quale il maestro
israelo-argentino entra in una Scala che pure è gremita come nelle migliori
occasioni: senza ostentare i tormenti di chi si trovi solo all'attacco
dell'altissima vetta ma nemmeno la apparente naturalezza di quanti vogliono
comunicare che sostenere l'impresa è cosa ovvia e facile. La verità è
che si entra immediatamente in medias res; il pianismo di Beethoven è tutta
sostanza, pensiero che dà forma e la testa, prima ancora delle mani, di
Barenboim lo dicono con la forza dell'evidenza. Non la ricerca di un'eleganza,
non la ricerca ossessiva di un "bel suono", ma il piacere di lasciar
parlare la cosa. Ecco allora l'umorismo dell'opera 31 n.3, ecco la follia e la
tensione dell'op. 106, l'"impossibile" Hammerklavier. Sì perché tra
l'idea di percorrere le 32 "stazioni" in ordine cronologico o in
ordine sparso - l'una come diario di una lenta evoluzione, l'altra che
sintetizza lo stesso principio anche nello spazio della serata singola: entrambe
legittime -, Barenboim opta per quest'ultima, e ogni serata c'è un titolo
almeno per ciascuna delle tre fasi in cui la musicologia storica suddivide la
parabola creativa del Gigante. Come del direttore d'orchestra Barenboim non si
guarda il gesto (o meglio, lo si guarda, ma non come prima cosa), così nel caso
del Barenboim pianista non si segue la musica in termini di mera tecnica
pianistica, se non quando incappa in frasi un po' fallose (la fuga a tre
dell'op. 106 qualche grattacapo lo pone sempre, a chiunque). Prima di ciò
emerge il fascino per la prepotente musicalità, il carisma e l'autorevolezza
con cui questo interprete smonta e rimonta il testo (forme, linee, pesi,
colori, fraseggi, idiomi pianistici e orchestrali) per raccontare un Beethoven
alto, nobile, imperiale, alieno da mode e filologie. Si sente anche quanto il
pubblico ne sia coinvolto e quanto il trionfo conclusivo non giunga annunciato
ma autentico. Maestro scaligero Barenboim al piano Sonate per pianoforte di
Beethoven Pianista Daniel Barenboim Teatro alla Scala di Milano.
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( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli
TV - data: 2008-01-27 num: - pag: 69 categoria: BREVI Un treno di folli contro
la follia nazista Europa dell'Est, 1941. Per salvare il
loro villaggio dai tedeschi, un matto e un mercante organizzano un treno di
finti deportati diretti verso Israele. Dialoghi italiani curati da
Moni Ovadia, musiche di Goran Bregovic. Regia del rumeno Mihaleanu. Train de
vie Cult, ore 21.
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( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)
Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) vuole
che il controllo dei valichi di frontiera nella Striscia di Gaza ritorni alle
forze dell'Autorità palestinese. Il presidente solleverà questa richiesta nel
corso del colloquio che avrà oggi a Gerusalemme col premier
israeliano Ehud Olmert. Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati
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Valerio Minotti Ranieri vuole subito Mellberg e Sissoko Festa di S.
Antonio, Miele presidente del comitato Israele aveva
imposto la chiusura di tutti i valichi di confine della Striscia dopo la presa
del potere da parte di Hamas, che nega allo Stato ebraico il diritto stesso
all'esistenza. La richiesta di Abu Mazen dipende però dall'assenso di Hamas. Al
riguardo, un autorevole esponente di Hamas a Gaza, Sami Abu Zuhri, ha detto che
il movimento islamico si è offerto di ristabilire il confine tra Gaza e l'Egitto
- sfondato mercoledì scorso a Rafah da centinaia di migliaia di palestinesi
dopo l'abbattimento della barriera eretta da Israele
da parte di miliziani di Hamas - mediante un dialogo diretto col Cairo. A
questo scopo Hamas, ha detto Abu Zuhri, è pronto a coordinarsi con l'Egitto. La
situazione che si è creata a Rafah, ha assicurato, è "temporanea e
eccezionale". Ieri la Palestina ha pianto la
morte di George Habash, il fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp) deceduto ad Amman in Giordania dove s'era
trasferito da alcuni anni. Aveva 81 anni. Il Fplp fu per anni uno dei punti di
riferimento delle organizzazioni radicali palestinesi e sempre rifiutò di
riconoscere lo Stato di Israele. Incessante il flusso
di auto che per la prima volta hanno potuto lasciare Gaza riversandosi oltre la
frontiera. A bordo di potenti fuoristrada, centinaia di uomini appartenenti
alle cellule armate hanno lasciato a casa kalahsnikov e uniformi, viaggiando
per la prima volta all'estero senza doversi nascondere. "Niente razzi
Qassam in queste ore - ha spiegato un miliziano della Jihad islamica che si
presenta con il nome di Abu Obama - andiamo tutti ad El-Arish, sulla costa
egiziana: mangiamo il pesce dei nostri e sogni e ci godiamo tranquilli il giorno
della vittoria". Anche gli uomini di Hamas che hanno aperto nuove brecce
nel muro cancellando ogni ostacolo sul confine, hanno voluto brindare al
successo banchettando in terra egiziana. "Qui siamo tranquilli perchè i
razzi israeliani in Egitto non ci possono colpire". La polizia egiziana,
che consente ai palestinesi libero movimento ma non oltre la cittadina costiera
di El-Arish, evita accuratamente ogni controllo sull'identità dei viaggiatori.
E mentre migliaia di palestinesi corrono verso l'Egitto, centinaia di egiziani
compiono invece il percorso contrario: vogliono tornare nella Striscia per
incontrare amici che non vedono da anni, ritrovare parenti dispersi, vendere
mercanzie o semplicemente scoprire cosa sia cambiato in tanto tempo oltre la
frontiera. Sembrano tornati i confini di 40 anni fa, quando Gaza era sotto il
controllo egiziano. Poi nel 1967 ci fu l'invasione israeliana: la zona oltre il
canale di Suez rimase tagliata fuori, ma gli scambi tra la gente del Sinai e
quella della Striscia proseguirono grazie alla continuità territoriale imposta
dall'occupazione. Infine nel 1982 per l'Egitto giunse la restituzione del
Sinai, la città di Rafah venne divisa tra egiziani e palestinesi e per la
Striscia iniziò l'epoca della barriera. La stessa abbattuta cinque giorni fa.
Vai alla homepage 27/01/2008.
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( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)
Si festeggia il "capodanno degli alberi".
Pace tra comunità ebraica e tedeschi Daniel Della Seta Sembrano tutti uguali lì
assieme nell'auditorium sorridenti, spontanei, divertenti. Eppure gli occhi dei
bambini raccontano pur tra mille diversi colori, mille diverse storie di
famiglia, di origini, usi e tradizioni. Home Spettacoli prec succ Contenuti
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fiducia? Sbanda e investe due anziani Cosimo Bove Indifferenza verso i ... Sono
oltre cento i presenti tra gli studenti della Scuola Elementare ebraica Angelo
Polacco, della Media Sacerdoti e del Liceo Renzo Levi, presenti con i loro
colleghi della Scuola Germanica di Roma, in occasione della festività ebraica
di Tu Bishvat, il capodanno degli alberi. Un evento organizzato dal KKL, Fondo
Nazionale Ebraico per l'ambiente, dall'ambasciata tedesca e dalla Scuola
tedesca. L'addetto culturale dell'ambasciata Schmit Neuerburg, accanto al
Preside Ulrich Berner, gli insegnanti Gerhard Moses mostrano grande
soddisfazione. La Germania dal '68 è cambiata e, oggi, si è voluto prendere
piena coscienza di questa pagina buia del '900. "Anche il nostro governo
partecipa alle manifestazioni in chiave educativa e culturale - commenta Wagner
- Per la prima volta un'istituzione ebraica è entrata nella scuola germanica, e
ne siamo felici perché solo costruendo una storia comune che si nutre per il
futuro dell'esperienza passata e del presente sarà possibile combattere i mali
del nostro tempo". Un albero di ulivo proveniente dalle colline di
Gerusalemme è stato messo a dimora nel giardino della Scuola Germanica, dagli studenti dei due istituti e dal procuratore del KKL
israeliano, l'israeliano Rafael Ovadia. Anche in chiave europea la Task Force
contro l'antisemitismo ha potuto contare sempre sul sostegno tedesco e
italiano. Una cerimonia commovente scandita dalle preghiere nell'atto della
piantagione, dai mille simbolismi della tradizione ebraica, e dai canti Shemà
Israel, Gerusalemme d'oro e Gam Gam che, uniti al gospel e
dall'introduzione di Bach eseguiti non senza emozione dai ragazzi, accompagnati
dal maestro Spizzichino e dal maestro Martin Weber e dai giovani musicisti
della "Deutsche Schule Rom". Vai alla homepage 27/01/2008.
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( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00
La condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal
rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il Consiglio
di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le nuove
sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia,
invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e
dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in
un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano
l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati
dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio
di testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno
stadio avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto
Manhattan" spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò
alla costruzione degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario,
tratteggiato dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di
laboratori assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia
internazionale per l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già
lavorando a testate nucleari per missili terra terra – dichiara Barak - e con
molta probabilità hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino
oltre a quello di Natanz". Secondo Israele,
insomma, quanto l'Iran fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta
dell'iceberg, uno specchietto per le allodole, dietro cui operano impianti
assai più sofisticati con finalità esclusivamente militari. "Le più
importanti agenzie d'intelligence internazionali dovrebbero concentrare i loro
sforzi - auspica Barak - per capire dove siano l'eventuale centro
d'arricchimento clandestino e il gruppo che lavora alle tecnologie
militari". La nuova bozza di risoluzione - messa a punto a Berlino la
scorsa settimana e approdata ieri all'esame del Consiglio di sicurezza – è un
altro sintomo della diffidenza internazionale nei confronti di Teheran. La
risoluzione chiede l'immediata sospensione del programma di arricchimento e
punta all'introduzione, in caso contrario, di un terzo blocco di sanzioni
capace di garantire la sorveglianza degli esponenti alla guida del programma
nucleare iraniano. Dunque delle sanzioni ad personam per impedire viaggi
all'estero, incontri internazionali o trasferimenti finanziari effettuati da
scienziati e comandanti dei Guardiani della Rivoluzione coinvolti nella ricerca
nucleare. La messa al bando di alcune personalità del regime era già stata
introdotta con due precedenti pacchetti di sanzioni, ma stavolta le restrizioni
dovrebbero rivelarsi particolarmente stringenti grazie ad un sistema di controlli
e garanzie internazionali.
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( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra
Hiroshima" di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 La
condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal
rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il
Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le
nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia,
invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e
dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in
un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano
l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati
dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio
di testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno
stadio avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto
Manhattan" spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò
alla costruzione degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario,
tratteggiato dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di
laboratori assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia
internazionale per l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già
lavorando a testate nucleari per missili terra terra – dichiara Barak - e con
molta probabilità hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino
oltre a quello di Natanz". Secondo Israele,
insomma, quanto l'Iran fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta
dell'iceberg, uno specchietto per le allodole, dietro cui operano impianti
assai più sofisticati con finalità esclusivamente militari. "Le più
importanti agenzie d'intelligence internazionali dovrebbero concentrare i loro
sforzi - auspica Barak - per capire dove siano l'eventuale centro
d'arricchimento clandestino e il gruppo che lavora alle tecnologie
militari". La nuova bozza di risoluzione - messa a punto a Berlino la
scorsa settimana e approdata ieri all'esame del Consiglio di sicurezza – è un
altro sintomo della diffidenza internazionale nei confronti di Teheran. La
risoluzione chiede l'immediata sospensione del programma di arricchimento e
punta all'introduzione, in caso contrario, di un terzo blocco di sanzioni
capace di garantire la sorveglianza degli esponenti alla guida del programma
nucleare iraniano. Dunque delle sanzioni ad personam per impedire viaggi
all'estero, incontri internazionali o trasferimenti finanziari effettuati da
scienziati e comandanti dei Guardiani della Rivoluzione coinvolti nella ricerca
nucleare. La messa al bando di alcune personalità del regime era già stata
introdotta con due precedenti pacchetti di sanzioni, ma stavolta le restrizioni
dovrebbero rivelarsi particolarmente stringenti grazie ad un sistema di
controlli e garanzie internazionali.
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( da "Quotidiano.net" del 27-01-2008)
Mobile email stampa MEDIO ORIENTE E' morto Habash,
fondatore del FPLP Fu il fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina. Era considerato un falco all'interno
dell'Olp di Yasser Arafat con cui ruppe definitivamente nel 1993 dopo la firma
degli accordi di Oslo. Habbash si è sempre rifiutato di riconoscere lo Stato di
Israele ed ha sempre sostenuto la lotta armata nella guerra contro lo
Stato ebraico Home Esteri prec succ Contenuti correlati Bomba in bar di
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alberghi più grandi del mondo Venduto per 275 mila euro un murales di Banksy
Amman, 26 gennaio 2008 - è morto a Amman in Giordania George Habash, fu il
fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
(FPLP), in cui confluirono diverse organizzazioni preesistenti. Habash, nato
nel 1929 al Cairo di origine greco-ortodossa, si laureò in medicina
all'università americana di Beirut. Era considerato un falco all'interno
dell'Olp di Yasser Arafat con cui ruppe definitivamente nel 1993 dopo la firma
degli accordi di Oslo. Habash si è sempre rifiutato di riconoscere lo Stato di Israele ed ha sempre sostenuto la lotta armata nella guerra
contro lo Stato ebraico. Per anni è stato il punto di riferimento per tutti i
gruppi di opposizione radicali della OLP e ha goduto di un grande prestigio tra
le popolazioni palestinesi ed arabe. Nel 1992, a Tunisi, rimase colpito da un
ictus cerebrale e fu immediatamente trasferito in un ospedale di Parigi Nello
stesso anno, ad ottobre, Habash annunciò il ritiro da tutte le attività
politiche per motivi di salute. Idranti contro i palestinesi a Rafah.
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( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.132 del
27/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Cultura In ricordo delle vittime del nazismo 27 gennaio: "Il Giorno
della Memoria" Tutte le attivita' della "Casa della Memoria e della
Storia" di Roma Il 27 gennaio di 63 anni fa, nel 1945, il campo di
sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, veniva liberato dall'Armata Rossa,
l'esercito russo bolscevico. Dal 2000 questa data è stata scelta dal Parlamento
Italiano per istituire "Il Giorno della Memoria" in ricordo dello
sterminio del popolo ebraico e di tutti i deportati nei campi nazisti. Molte le
attività organizzate anche quest'anno dalla Casa della Memoria e della Storia
per la giornata odierna. Già giovedì scorso è stata inaugurata un'installazione
fotografica di Giuliano Pastori nello Spazio mostre e sulla Terrazza, dal
titolo "Berlino 06: Memorie Quotidiane", che sarà visitabile fino
al'8 febbraio. Ma la maggior parte delle attività si concentrano proprio oggi:
a partire dalle ore 15.00, nella Sala Multimediale, verrà proiettato il film di
Davide Ferrario e Marco Belpoliti "La Strada di Levi", che ripercorre
dopo sessant'anni l'itinerario dello scrittore Primo Levi per ritornare a casa
dopo la liberazione di Auschwitz. Alle 16.30 "Verso la Memoria", una
lettura di poesie sul tema della Deportazione, della Resistenza e della
Libertà. A seguire, alle 18.05, proiezione del film-documentario "Io c'ero",
ricco di testimonianze di superstiti dei campi nazisti che raccontano la cruda
realtà della vita nei lager. Per concludere, alle 19.30, "Canzoni della
Resistenza, della Guerra e della tradizione democratica del nostro paese",
un intervento musicale di Sara Modiglioni, Piero Brega e del Laboratorio di
canti popolari, politici e sociali della Scuola di Musiche del Circolo Gianni
Bosio. Contemporaneamente, presso il Centro Telematico, a partire dalle ore
15.00 verrà proiettato il filmato "La deportazione e l'internamento nei
lager nazisti dei militari italiani", storia della situazione dei militari
italiani dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943, quando durante l'internamento
non furono considerati prigionieri di guerra in modo che gli venisse sottratta
l'assistenza prevista dalla Convenzione di Ginevra. A seguire, alle 15.50, la
proiezione dell'intervita/testimonianza a Franco Venturelli, partigiano che nel
1944 venne deportato a Mathausen. Alle 16.30 proiezione del filmato di
Sebastiano Rendina "Un popolo per la libertà. La Resistenza in
Italia", che ripercorre gli avvenimenti storici che hanno dato forma alla
Resistenza Italiana. Alle 17.15 il film-documentario "Memoria presente:
ebrei e città di Roma durante l'occupazione nazista", che ricostruisce la
persecuzione antisemita nella Capitale anche attraverso interviste a cittadini
ebrei. Infine, alle 18.25, la proiezione del film del
regista israeliano Eyal Sivan "Uno specialista: ritratto di un criminale
moderno", ricostruzione del processo al gerarca nazista Adolf Eichmann
svoltosi a Gerusalemme nel 1961. Le attività conclusive si svolgeranno il
prossimo martedì: alle 15.00, presso la Sala Multimediale, verrà presentato il
libro "Roma la città della memoria – Guida agli archivi
della città contemporanea", censimento degli archivi cittadini. Seguirà,
alle 17.00, la presentazione del saggio di Giovanna De Angelis "Le donne e
la Shoah", un omaggio al coraggio e alla resistenza delle donne internate
nei ghetti e nei campi nazisti. Numerosissime dunque le attività fra le quali
scegliere per chi desidera ricordare degnamente questo giorno, e rendere onore
ai ricordi e alla memoria di pagine ancora incredibilmente vicine della nostra
storia più violenta e dolorosa. Il giorno della memoria Fino al 29 gennaio Casa
della Memoria e della Storia Via San Francesco di Sales 5, Roma Ingresso libero
Orari: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 18.00 (mostra fotografica) Info:
tel. 066876543 www.casadellamemoria.culturaroma.it Valentina Ricci.
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( da "Stampa, La" del 27-01-2008)
DI la settimana GABRIELE FERRARIS UN PASSO INDIETRO
Abbiamo anche noi la nostra Sapienza. Nel senso dell'università romana, perché
in quanto a virtù sapienziali ne scorgiamo poche, nell'alzata d'ingegno di
Vincenzo Chieppa, consigliere regionale dei Comunisti Italiani: egli ha pensato bene di sindacare la decisione della Fiera del
Libro, che ha scelto Israele come ospite d'onore della prossima edizione. Chieppa ha scritto
al presidente della Fiera, Rolando Picchioni, chiedendogli di invitare (per una
sorta di "par condicio": è un dramma, quando i politici apprendono
uno straccio di latinorum...) anche l'Autorità Palestinese, sempre come
ospite d'onore. A far buon peso, un altrimenti ignoto "presidente della
Lega degli scrittori giordani" ha invitato gli intellettuali italiani a
boicottare la Fiera. Il presidente Picchioni e il direttore Ferrero hanno dato
prova di civiltà prendendo quasi sul serio Chieppa (il giordano, era proprio
impossibile...), e rispondendogli che il ruolo particolare di Israele alla Fiera di quest'anno non esclude la
partecipazione di nessuno, neppure dell'Autorità Palestinese. Ma si sono ben
guardati dal considerare l'ipotesi di un "invito cerchiobottista"
che, a questo punto, suonerebbe quantomeno imbarazzante. Peccano però
d'ottimismo, ritenendo bastevole tale spiegazione. Bisognava partire dai
fondamentali, spiegando che: 1) certe derive portano dritte al grottesco (se in
futuro l'ospite d'onore fossero gli Stati Uniti, chi convocare per
"contrappeso"? L'Iran? La guerriglia irachena?); 2) Israele può avere, come ogni governo, torti gravi, ma è uno
Stato democratico, riconosciuto dal consorzio civile; 3) tra i tanti scrittori
israeliani di talento, molti manifestano liberamente nel loro Paese dissenso
dalle politiche del loro Paese. Le ingerenze dei politici devastano ogni sfera
della vita sociale; ancor più quando aggrediscono - spregiando logica, buon
senso e sintassi - la cultura. Almeno lì, facciano un passo indietro, non
essendo attrezzati per avventurarsi in quei territori. La Fiera è sana e ben
gestita: la lascino in pace, baloccandosi piuttosto con i numerosi carrozzoni
che sono già riusciti a mandare a ramengo.
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( da "Stampa, La" del 27-01-2008)
COMMEMORAZIONI Omaggio del Comune alle lapidi dei
caduti Commemorazione ufficiale domenica 27 al cimitero monumentale. Il Comune,
in collaborazione con l'Associazione nazionale ex deportati politici nei campi
nazisti, Associazione nazionale ex internati, Comunità Ebraica di Torino e la
Fondazione Teatro Stabile organizza infatti tre momenti di riflessione per il
giorno della memoria. Alle 9,30 commemorazione e omaggio alle lapidi dei
caduti. Sempre domenica, ma alle 11, a Palazzo Civico, invece, "Celebrazioni
in Sala Rossa" alla presenza del sindaco Sergio Chiamparino e del
presidente del consiglio comunale Giuseppe Castronovo: è prevista la
testimonianza di Pensiero Acutis, presidente regionale Anei, e di Tullio Levi,
presidente della Comunità ebraica. Segue un momento
musicale "In memoriam" con l'Ensemble da Camera Meitar, che viene da Israele. Partecipa anche il mandolinista Avi Avital. Lunedì 28 alle
17,30 al Teatro Vittoria, via Gramsci 4, si conclude con lo spettacolo
"Zingari: l'Olocausto dimenticato", un monologo di e con Pino
Petruzzelli a cura del Centro Teatro Ipotesi. Ingresso libero fino a
esaurimento posti. Per info Gabinetto del Sindaco 011/442.32.05. \.
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( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)
Amman. George Habash, fondatore del Fronte popolare
di liberazione della Palestina (Fplp) è morto ad
Amman, dove viveva da alcuni anni. Aveva 81 anni. Habash era nato 1926 a Lydda
(l'attuale città israeliana di Lod) in una famiglia di mercanti di religione
greco-ortodossa. Era un medico e aveva preso come nome di battaglia "Al Hakim",
che significa "il dottore", ma anche "il saggio". Aveva
creato nel 1967 l'Fplp, che fu per anni uno dei punti di
riferimento delle organizzazioni radicali palestinesi. La sua fazione si era
sempre rifiutata di riconoscere lo Stato di Israele. Nel 1992
era stato colpito da ictus nel suo esilio di Tunisi e da allora si era ritirato
dall'attività politica. Successivamente si era stabilito in Giordania.
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( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)
Respinta la mediazione di Mubarak Resta aperta la frontiera
con l'Egitto MICHELE GIORGIO Gerusalemme. La frontiera tra Gaza e l'Egitto
rimarrà aperta sino a quando i palestinesi avranno bisogno di rifornirsi. Lo
assicurano le autorità del Cairo che tuttavia cercano una via d'uscita alla
crisi esplosa lungo il confine e sono perciò tornate ad offrire una mediazione
tra Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen, e il movimento
islamico Hamas. Offerta rispedita subito al mittente. Abu Mazen ha denunciato
come "un crimine" la presa del potere, lo scorso giugno, a Gaza da
parte di Hamas e ha messo in chiaro che non dialogherà con gli islamisti. Il
rais palestinese non ha fatto alcun riferimento all'incontro al Cairo tra
rappresentanti di Fatah e Hamas proposto dall'Egitto, ma le sue parole sono state
ugualmente chiare. Il movimento islamico sperava di potersi sedere ad un tavolo
di trattative su una riapertura concordata del valico di Rafah e, quindi, di
cogliere un riconoscimento politico di sicuro rilievo. Abu Mazen è intenzionato
a impedire che ciò accada e nell'entourage del presidente non nascondono il
disappunto per le aperture fatte dagli egiziani ad Hamas. Abu Mazen, ha
spiegato uno dei suoi più stretti collaboratori, non vuole cambiare le carte in
tavola e chiede il rispetto dell'accordo raggiunto nel novembre 2005 che
prevede la gestione del valico di Rafah con l'Egitto affidata solo alle forze
di sicurezza dell'Anp, con la supervisione degli osservatori dell'Unione
europea (attualmente sotto il comando del generale dei carabinieri Pietro Pistolese).
E allo scopo evidente di aggirare l'iniziativa egiziana, il presidente dell'Anp
solleverà la questione della frontiera di Rafah e di tutti i valichi durante i
colloqui che avrà oggi a Gerusalemme col premier israeliano Ehud Olmert con il
quale intende verificare la partnership stabilita alla conferenza di Annapolis
dello scorso novembre. In anticipo sui colloqui di oggi il
presidente palestinese ha esortato i gruppi armati a Gaza a cessare i tiri di
razzi Qassam su Israele e lanciato nuove accuse agli islamisti. "Hamas - ha detto -
ha commesso un crimine a Gaza...a tutti coloro che lanciano i razzi diciamo:
fermatevi, non date a Israele un pretesto per mostrarsi al mondo come vittima". Intanto a
Rafah regna la confusione. La frontiera è rimasta aperta anche ieri, per
il quarto giorno consecutivo, e il passaggio sta consentendo a centinaia di
migliaia di palestinesi di attraversare il valico e recarsi senza alcun
controllo in Egitto. Ieri per qualche ora è entrato in funzione anche un
servizio di taxi che collegava - per la prima volta - Gaza alla città egiziana
di al-Arish al prezzo di 40 shekel (circa sette euro). Il passaggio delle auto
è stato a un certo punto della giornata interrotto dalle forze di sicurezza
egiziane, ma quello dei pedoni è andato avanti normalmente e con esso il flusso
di merci dall'Egitto verso Gaza. Anche numerosi egiziani hanno compiuto il
tragitto inverso, alcuni per vendere le loro merci, altri per curiosità.
Dall'altra parte di Gaza, al valico di Erez con Israele,
ieri almeno 2000 pacifisti hanno manifestato in segno di solidarietà con il
popolo palestinese giungendo da diverse città israeliane. Un lungo corteo di
autobus e macchine ha scortato alcuni camion carichi di generi di prima
necessità destinati agli abitanti della Striscia.
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