HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di
ARCHIVIO GENERALE DEL DOSSIER ISRAELE/PALESTINA.
DAL 10 AL 31 GENNAIO 2008
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Scritto&parlato ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
Quarto giorno d'aria per i palestinesi di Gaza ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
La forza di resistere Un incontro a Roma ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
È morto George Habash ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
I palestinesi riconoscano Israele, rinuncino al terrore e
aprano alla democrazia ( da "Stampa, La" del 28-01-2008)
IL GIORNO DELLA MEMORIA LAUREA HONORIS CAUSA A FIRENZE 0 Grossman
'colomba della Shoah' in volo contro tutti i massacri ( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del
28-01-2008) + 1 altra fonte
Dal Gerrei alle Alpi per salvare gli ebrei ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)
Hamas detta l'agenda di Olmert e Abu Mazen ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)
Elie Wiesel: La Shoah resta il Male assoluto ( da "Unita, L'" del 28-01-2008)
La memoria - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Israeliana la guerra in Libano continua a far danni ( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)
GENERAZIONI A CONFRONTO UN CAFFE' CON MADGI ALLAM,
L'EGIZIANO CHE DISSE "VIVA ISRAELE" ( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)
"l'arte ci aiuta contro il male" - fulvio
paloscia ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Olmert promette aiuti umanitari ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
La bistecca fa male alla terra l'effetto serra ci cambia
la dieta - mark bittman new york ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)
Alfonso Arbib: <L'antisemitismo sottile è la minaccia
di oggi> ( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)
I religiosi pronti a impallinare Olmert ( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)
ROMA Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, parte
oggi per Israele, subito dopo le ( da "Messaggero, Il" del 28-01-2008)
La guerra che non si può vincere ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Morto George Habash, stratega dei dirottamenti ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Padre Desbois disseppellisce la <Shoah delle
pallottole> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Anche al piano Barenboim è autorevolezza ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Shoah, Milano al Binario 21 <Orrore da non
dimenticare> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
AnnaFrankconkeffiyah:<Oltraggio> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Israele: l'antisemitismo è in calo in Europa ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Ecco le tessere naziste di Herbert von Karajan ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
FORZE ARMATE ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)
Cala l'antisemitismo in Europa secondo un rapporto dello
Stato di Israele Shoah, ricordo indelebile Giornata della memoria Manifestazioni
in tutta Italia Oggi a Roma convegno su Ol ( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)
Vittima della ferocia d'una ideologia di sterminio, ma
anche ( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)
L'eroe di San Nicolò che salvò centinaia di ebrei ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)
Gaza, buio in scena vince la propaganda ( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)
Intervista a Franco Perlasca / Anche l'Italia ha il suo
"Schindler" ( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)
Israele e le nostre responsabilità ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)
IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI
ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ ( da "Stampa, La" del 28-01-2008)
Gaza una situazione sempre piu' complessa ( da "Voce d'Italia, La" del 28-01-2008)
( da "Manifesto, Il" del
28-01-2008)
Scritto&parlato Israele e
le nostre responsabilità La mia nota, sul manifesto del 24 gennaio, contro il boicottaggio
alla Fiera del libro di Torino, ha provocato molte reazioni negative, tutte -
schematizzo - concentrate su un punto: lo stato d'Israele
perseguita i palestinesi e quindi è giusto e doveroso boicottare la sua
presenza alla Fiera del libro. Le lettere sono molte. Non è possibile
pubblicarle tutte e alcune ho dovuto tagliarle. Chiedo scusa e vengo alla
risposta. Innanzitutto ringrazio perché la discussione che si apre è seria e
coinvolgente, e dovrebbe continuare. Certo l'attuale comportamento d'Israele porta acqua al mulino dei miei critici, ma possiamo
destoricizzare la questione? Caro Michele la persecuzione degli ebrei in tutto
il mondo non è un mito del recente passato. La persecuzione è antica e noi
cristiani siamo intervenuti con "il popolo deicida", responsabile
della crocifissione di Gesù Cristo e poi, vado a memoria, la cacciata dalla
Spagna a opera della cattolica Isabella e per ultimo (ma non definitivo) la
Shoah . Insomma - penso io - che sarebbe un grave errore destoricizzare la
questione ebraica e ridurla solo allo stato d'Israele,
perché, peraltro, sempre a mio parere, contrasta con l'essenza dell'ebraismo,
che è la diaspora. Insomma non possiamo ridurre la questione ebraica
all'attuale stato d'Israele, che pure è un'espressione
dell'ebraismo. E poi - aggiungo - dovremmo sforzarci di una riflessione storica
anche sui palestinesi, che - sempre a mio parere - sono gli ebrei del mondo
arabo: intelligenti e perseguitati; dall'imperialismo occidentale e dalla
feudalità araba. Tanto che io credo che la formula "due popoli uno
stato", cioè uno stato ebreo-palestinese sarebbe la soluzione naturale, ma
impossibile nel contesto dello scontro tra i poteri internazionali forti. Uno
stato ebraico-palestinese (lo propone Gheddafi) sarebbe una grande innovazione
di pace, ma nell'attuale contesto è impossibile. In tutti i modi critichiamo Israele e la sua politica, ma rinunziamo all'arma del
boicottaggio, che ci riporta indietro nei secoli e va contro gli scrittori
israeliani che criticano aspramente in governo. p.s. E poi se vogliamo
complicare la cosa ancora di più rileggiamoci "Il problema ebraico"
di Karl Marx. Valentino Parlato Schiavo del mito? Caro Valentino, ti sono molto
affezionato e conosci il grande rispetto che ho per il tuo lavoro. Devo però
dirti che sono rimasto senza parole leggendo il tuo intervento sulla Fiera del
libro. Senza offesa, mi sconvolge la banalità delle tue motivazioni. Non perché
sostengono che sia sbagliato boicottare, ma per il fatto che non sono vere
motivazioni. Appaiono un'artificiale difesa d'ufficio di uno stato che è ben
lontano dal mito che ti affascinò 60 anni fa. Nelle ragioni che elenchi manca
un filo di logica, un filo di analisi, rispetto a quello che accade sul
terreno. Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. Gli israeliani stanno
costruendo un nuovo apartheid che tu però neghi perché non vuoi accettare una
realtà che si scontra con il mito. Eppure il nostro amico Daniel Amit aveva
saputo spiegarcelo in modo così chiaro. A denunciarlo da anni è anche il maestro
Daniel Baremboim, che non è certo un pericoloso estremista. Gli israeliani non
sono afrikaner? Vero, ma si comportano allo stesso modo. Con il cuore colmo di
delusione. Michele Giorgio Insisti nell'errore Caro Parlato, ho letto il tuo
articolo di giovedì scorso. Mi ha colpito molto. Non posso pensare che le cose
dette siano frutto di ignoranza, quindi perché? Per sostenere di essere
contrario al boicottaggio dimentichi che anche associazioni democratiche
israeliane lo sostengono, che è "anche" il 60.mo anniversario della
Naqba palestinese (la "memoria" non è a senso unico), che un
israeliano non è sempre ebreo, tra gli israeliani ci sono musulmani (molti),
cristiani, drusi, atei; ci sono ebrei discriminati da altri ebrei, e è ipocrita
dire che boicottare lo stato di Israele per la
politica e le azioni contro i palestinesi che porta avanti è essere contro gli
ebrei tout court. E cosa c'entra tirare in ballo il ghetto di Varsavia con il
boicottaggio ? Non nascondiamoci dietro il dito degli scrittori di grande
levatura presenti, tre dei quali portatori accondiscendenti della politica
israeliana verso i palestinesi, quando la cultura del paese è molto variegata:
dove sono i cosidetti nuovi storici o dissenzienti dal sionismo o gli scrittori
palestinesi di Israele? Già sono discriminati in Israele e lo sono anche in Italia. Se fossero stati invitati
forse avresti avuto più frecce al tuo arco. E infine, caro Parlato, non è vero
che un libro va sempre rispettato, dipende da quello che trasmette e sono
sicuro che anche per te molti libri non vanno rispettati. Allora ho
l'impressione che usi questi argomenti solo per un pregiudizio, quello di
difendere sempre e comunque il governo israeliano. Lino Zambrano cooperante Ong
Cric Gaza Invecchi male L'articolo di Valentino Parlato in cui condanna quanti
sono impegnati a boicottare l'edizione della Fiera del Libro (dove si vorrebbe
ospite d'onore Israele) andrebbe stampato in milioni
di copie e fatto girare ovunque. E' un testo che offre molte ragioni proprio a
chi vuole boicottare la Fiera. Cosa dice Parlato? Qualunque cosa abbiano o
commettano, gli israeliani vanno giustificati. Non li si può condannare
oltremodo perché loro, gli israeliani, hanno subito forti persecuzioni da parte
dei cattolici prima e dei nazisti poi. Ora, ditemi quale uomo o donna con un
minimo di senno può pensare un abominio del genere. Io credo che nemmeno i
filo-israeliani che andranno alla Fiera (se rimarrà come voluto dal Comitato
che gestisce l'ente, il cui capo è iscritto alla loggia P2, tessera 2095)
possano prendere le parole di Parlato per recarsi a Torino senza vergogna. Il
"nostro" in un sol colpo è riuscito a spazzare via le idee di Primo
Levi, Franco Fortini, Luigi Pintor e infine Stefano Chiarini (che mi sembra un
bel modo di ricordarlo ad un anno dalla sua morte). Inoltre ha mandato a quel
paese quegli israeliani che si rifiutano di stare dalla parte dell'occupazione.
Ha stracciato, infine, molti vecchi articoli della Rossanda, di se stesso...
Una cosa ha dimostrato Valentino Parlato: non è sempre vero che si invecchia
bene, a volte lo si fa nel peggiore dei modi, come a esempio stare dalla parte
degli aguzzini contro le vittime. Francesco Giordano Gli ebrei non sono Israele Caro Valentino Parlato, in relazione al tu articolo,
"Un boicottaggio sbagliato", devo dire che condivido l'idea che il
boicottaggio possa essere uno strumento a volte discutibile, ma non era questo
il tema principale del tuo articolo. Tu sei entrato, mi sembra, proprio nel
merito dell'opportunità di contestare lo stato di Israele,
e non hai colto, mi sembra, quello che per molti di noi, almeno tra i lettori
del manifesto, è invece una discriminante che non viene colta neppure da altri
"compagni": l'esistenza di uno stato etnico, anzi, di più, uno stato
religioso. Mentre si lotta (forse non tutti) per conservare nel nostro paese
almeno il principio della laicità, si accetta che esista, e lo si sostiene, uno
stato basato sulla religione (quella ebraica in questo caso) come fosse la cosa
più naturale del mondo, anzi, siamo disposti a sostenere che la sua esistenza
difenda il diffondersi della democrazia nel mondo. Più volte nel tuo articolo
confondi lo stato di Israele con l'ebraismo; cito:
"riconoscere agli ebrei il diritto a avere un territorio e uno stato, era
obbligatorio", "Gli israeliani - che sono sempre ebrei...",
"la persecuzione del popolo ebraico" (a sostegno della necessità
dell'esistenza di uno stato ebraico), "non solo perché gli israeliani sono
ebrei e non afrikaner", tutte frasi estratte dal tuo articolo, e che, mi
sembra, sostengono la necessità dell'esistenza di uno stato appunto ebraico,
basato sull'appartenenza religiosa. Un assunto del genere, anche se, come dici
tu condiviso dal "compagno Stalin", non lo trovo affatto
condivisibile, almeno non dai "compagni" che leggono il manifesto
(sono tra l'altro abbonato da vari anni). Con affetto. Francesco Andreini
Ebraismo e sionismo Gentile signor Parlato, lei scrive che c'è boicottaggio e
boicottaggio... Si potrebbe aggiungere: c'è violenza e violenza, ci sono oppressori
e oppressori. E oppressi e oppressi. Per lei, evidentemente, Israele
è un oppressore autorizzato e quella israeliana una violenza doc. Perché il
boicottaggio contro lo stato razzista del Sudafrica andava bene, mentre quello
contro Israele, stato altrettanto razzista e basato
sull'apartheid, no? Perché continuare volutamente a confondere ebraismo con
sionismo e con la creazione di Israele? E' una
manipolazione, è scorretto e allontana qualsiasi giusta soluzione alla
questione palestinese. E non aiuta neanche gli ebrei, confusi con le feroci
scelte politiche e militari di uno degli stati più spietati del mondo. La
Redazione di www.infopal.it Peggio per Stalin Leggendo l'articolo di Valentino
Parlato in cui si schiera contro il boicottaggio della Fiera del libro ho
provato, confesso, un senso di sgomento. Sgomento che deriva in parte dal
difficile momento storico che il popolo palestinese sta attraversando, stretto
tra un'occupazione quanto mai feroce e una crescente indifferenza
internazionale, che ci impone urgenza nello schierarci in modo netto dalla
parte degli oppressi. Ma anche le argomentazioni addotte contro il boicottaggio
non mi convincono. In primo luogo viene ricordato che "dopo la seconda
guerra mondiale riconoscere agli ebrei il diritto di avere uno stato e un
territorio era obbligatorio". Riconoscere il diritto di fondare uno stato
ebraico in Palestina, in onore al vecchio testamento,
non era affatto obbligatorio e si è rivelato un colossale disastro storico
anche se, come ricorda Parlato, "anche Stalin fu a favore". La
domanda sorge spontanea: e con ciò? La nascita dello stato di Israele non fu un risarcimento al popolo ebraico per i torti
subiti durante la guerra ma il compimento di un progetto sionista studiato nei
dettagli, messo in moto da Herzl alla fine dell'800 e portato avanti in modo
continuo per tutta la prima metà del XX secolo. La fine della guerra e la
conoscenza in Europa degli orrori dell'olocausto determinarono un clima
favorevole alle risoluzioni che portano al riconoscimento di Israele.
Ben diverso dall'affermare l'obbligatorietà dell'atto. Mi sembra inoltre
importante sottolineare che non credo sia obiettivo del boicottaggio la
cancellazione del riconoscimento di Israele da parte
della comunità internazionale, semmai ricordare a Israele
che le risoluzioni della stessa comunità internazionale andrebbero applicate
anche quando contrarie ai propri interessi. I confini non dovrebbero essere
disegnati coi mattoni su percorsi decisi dal ministro della difesa e ci sono
convenzioni che si farebbe bene a rispettare. Chi è stato cacciato dalla
propria casa dovrebbe poterne far ritorno così come l'esercito israeliano non
dovrebbe poter arrestare delle persone nei territori occupati per poi portarle
in Israele e dimenticarle in gattabuia. L'assedio
medievale che costringe Gaza alla fame non dovrebbe essere permesso. Cosa
c'entri la seconda guerra mondiale con tutto questo non mi è del tutto chiaro.
Sicuramente c'entra tanto quanto l'aneddoto sugli ebrei del ghetto di Varsavia
che cantarono l'internazionale prima di essere massacrati. Apprezzo il racconto
e mi commuove intimamente, anche in virtù di mia nonna, ebrea polacca,
ricordare quell'orribile massacro. Ma continuo a non trovare il nesso. Al punto
crucialedell'articolo apprendo che "c'è boicottaggio e boicottaggio,
quello contro i razzisti sudafricani era più che giusto" ma "Gli
israeliani - che sono sempre ebrei - per quanti torti abbiano nei confronti del
popolo palestinese non sono in alcun modo paragonabili ai razzisti sudafricani".
E perché? Perché per quanti torti facciano, distinguendosi sulla base di
un'appartenenza razziale/religiosa, a un altro popolo, non sono paragonabili
agli afrikaner? Perché uno stato che ha come fondamento l'appartenenza alla
stirpe di Davide, che ritiene il colonialismo un diritto concesso dalla bibbia,
che riduce alla fame, alla prigionia, all'umiliazione, il popolo palestinese,
non può essere paragonato al Sudafrica razzista? Sia dalla costruzione
lessicale, sia da quanto segue nell'articolo, sembrerebbe che ciò che li
esonera dal confronto sia proprio la loro condizione di ebrei. Infatti ci viene
ricordato che "c'è la storica persecuzione del popolo ebraico, ci sono i
ghetti e i campi di sterminio". E oggi ci sono i campi profughi, i check
point, le carceri israeliane, l'occupazione, gli assasinii mirati e non. C'è il
muro. Credo che un segnale di ripudio forte, netto, e soprattutto non isolato
nel tempo contro queste politiche sia molto più importante che un qualsiasi
dibattito letterario, per quanto interessante e costruttivo. Mariano Heluani,
Caserta Boicottaggio opportuno Raramente non mi trovo in totale e convinta
sintonia con Valentino Parlato, ma il suo intervento sulle polemiche che stanno
accompagnando la Fiera internazionale del libro di Torino del prossimo maggio
non ha fugato tutti i miei dubbi. Non sono in grado di entrare nel merito della
querelle, non conoscendo la storia e l'opera degli autori ebraici invitati alla
Fiera di Torino. Mi sento però di affermare che, qualora le voci di dissenso,
non dico a "questo" governo israeliano ma a tutti gli esecutivi che
si sono là succeduti negli ultimi 10-15 anni, non fossero sufficientemente
ospitate nella manifestazione torinese allora una qualche forma di boicottaggio
sarebbe non solo tollerabile ma quantomeno auspicabile e opportuna. Se non
altro per ricordare la differenza (troppo spesso dimenticata) che c'è tra
oppressi e oppressori, e che quando un popolo che fu vittima si trasforma in
carnefice allora non può più invocare a sua difesa i torti subiti in passato.
Enzo Lanciano Il razzismo israeliano Nel suo articolo di giovedì scorso,
Valentino Parlato si oppone fermamente al ventilato boicottaggio della Fiera
internazionale del libro di Torino che avrà Israele
quale ospite d'onore. Le argomentazioni di Parlato (di cui sono un estimatore)
stavolta però non convincono. Nel taglio basso di prima pagina scrive d'essere
stato a favore del boicottaggio del Sudafrica, ma gli israeliani, sostiene, non
sono razzisti come lo erano gli afrikaner. A me pare fuorviante stare a pesare
il razzismo dell'uno o dell'altro (quando questo è un tratto comune). Sul razzismo di Israele mi limito a rinviare al
saggio "Le racisme de l'Etat d'Israel" di Israel Shahak, che fu
presidente della Lega dei diritti dell'uomo di Israele, e al più
recente "Shalom fratello arabo" di Nathan Susan. Sugli effetti del
razzismo israeliano parla ( almeno sul manifesto, per fortuna di noi lettori)
la cronaca quotidiana. Il boicottaggio ha senso quando non è solo contro
ma anche quando è per. Il boicottaggio del Sudafrica fu contro l'apartheid e
per sostenere la lotta di liberazione dei neri, come era stato chiesto da
Nelson Mandela. Il necessario boicottaggio della Fiera (ma non solo di questa)
sarebbe contro Israele, che pure pratica l'apartheid,
e per sostenere i diritti dei palestinesi, come chiedono quest'ultimi, (vedi
l'intervista a Omar Barghouti sul manifesto del 22 gennaio scorso). Israele andrà difeso, quando opererà realmente a favore
della pace, nel rispetto del diritto internazionale, e non perché gli ebrei
furono trucidati nei campi concentramento. Argomentazioni di questo tipo
nuocciono allo stesso Israele! E se la Fiera venisse
boicottata dagli stessi Oz, Grossman, Yehoushua, dagli scrittori israeliani e
ebrei che si dicono a favore dei diritti dei palestinesi, quei diritti che il
loro paese continua a calpestare da sessant'anni? Se questi intellettuali
(si)chiedessero: cosa mai dovremmo festeggiare? La storia, antica e moderna, è
ricca di esempi di intellettuali che, coerentemente alle proprie posizioni, si
sono opposti anche fino alle estreme conseguenze, a scelte, errate, e
scellerate, dei propri governanti. Gaddo Melani Riva San Vitale Svizzera.
( da "Manifesto, Il" del
28-01-2008)
A Rafah, la barriera fra l'Egitto e la Striscia è ancora
giù. Ma presto gli egiziani la rimetteranno in piedi e Gaza tornerà un lager.
Pacifisti israeliani e palestinesi manifestano insieme al valico di Erez
Michele Giorgio Inviato a Erez La frontiera ancora aperta a Rafah non deve
illudere nessuno. Gaza era e rimane un territorio sotto assedio, stretto nella
morsa del blocco israeliano. Quando gli egiziani chiuderanno il valico, questo
lembo di terra palestinese tornerà ad essere una prigione. A ricordarlo a tutti
sono stati ieri un migliaio di pacifisti israeliani, attivisti palestinesi e
stranieri che, in convoglio, da varie città israeliane e da Gerusalemme hanno
raggiunto il valico di Erez, tra Gaza e Israele, per
consegnare aiuti umanitari e, più di tutto, per gridare al mondo di liberare il
popolo di Gaza. Un grido che non si è levato solo ad Erez perché, nello stesso
momento, si sono svolte manifestazioni in sostegno di Gaza in una trentina di
città di tutto il mondo tra cui Parigi, Boston, New York, San Francisco, Londra
e le italiane Roma, Modena, Bologna, Grosseto, Napoli e Milano. Giunti ad Erez
con auto e bus, israeliani, palestinesi e stranieri si sono diretti, scadendo
slogan in ebraico ed arabo, a piedi verso il terminal. Un corteo colorato,
composto di persone di tutte le età. Tante le bandiere, anche quelle rosse con
la falce e il martello, e striscioni, tra cui quello delle donne ebree e palestinesi
(molte delle quali velate) unite nella lotta. Gli interventi più applauditi
sono stati quelli di Uri Avnery, della professoressa Nurit Peled Elhanan e del
medico palestinese Eyad Sarraj che, grazie ad un collegamento telefonico
amplificato, ha parlato da Gaza per sottolineare l'importanza di una saldatura
delle forze progressiste e pacifiste israeliane e palestinesi nella battaglia
per la fine dell'occupazione. Jeff Halper, coordinatore del "Comitato
israeliano contro la demolizione delle case", si è rivolto agli abitanti
di Sderot che subiscono i lanci di razzi dalla Striscia di Gaza. "Amici di
Sderot - ha detto -, il governo Olmert vi tiene in ostaggio, vi obbliga a
vivere in una condizione di difficoltà e paura. Hamas ha proposto una tregua immediata
ma il governo continua ad ignorarla allo scopo di proseguire la sua politica di
assedio di Gaza. Uscite dalle vostre case, unitevi a noi nella lotta nel
progetto di una pace giusta per entrambi i popoli". Ad una quarantina di
km di distanza, dall'altra parte di Gaza, migliaia di palestinesi continuavano
a riversarsi, per il quarto giorno consecutivo, in territorio egiziano
approfittando dei nuovi varchi aperti nella barriera di confine dai militanti
di Hamas. Si passa anche con le automobili e gli autocarri e i taxisti di Gaza
ora organizzano tour turistici fino alla cittadina egiziana di el-Arish,
distante una sessantina di chilometri, per la somma di 40 shekel (circa 8
euro). Da ieri c'è anche un flusso in senso contrario, con centinaia di commercianti
egiziani che vengono nella Striscia per concordare nuove forniture di generi
alimentari e merci di ogni tipo. Non mancano anche gli egiziani desiderosi di
visitare un territorio martoriato alle porte del loro paese. Si sono ripetuti
gli scontri tra palestinesi e polizia di confine egiziana - il Cairo riferisce
del ferimento di una quarantina di agenti, alcuni dei quali sarebbero in gravi
condizioni - ma allo stesso tempo dall'Egitto giunge la rassicurazione che la
frontiera rimarrà aperta fino a quando i palestinesi non avranno concluso i
loro approvvigionamenti. La linea egiziana è mutata più volte in questi giorni,
sotto la spinta delle pressioni interne sul regime di Mubarak, volte ad
ottenere un aiuto più concreto ai palestinesi, e di quelle di senso contrario
provenienti da Usa e Israele. Il Cairo ora sta
cercando una via d'uscita politica e se da un lato lancia accuse ad Hamas,
dall'altro, dietro le quinte, dialoga con il movimento islamico palestinese.
Ieri il ministro degli esteri Ahmed Aboul Gheit ha rinnovato l'offerta di
ospitare al Cairo una conferenza per la riconciliazione fra i gruppi
palestinesi, già accettata da Hamas ma alla quale il presidente dell'Anp, Abu
Mazen, ha risposto con un secco "no" e ha posto come condizione la
rinuncia immediata del movimento islamico al controllo della Striscia di Gaza. Aboul Gheit ieri ha incontrato il premier del governo di
Ramallah, Salam Fayaad. Di Gaza si parlerà oggi a Gerusalemme durante il nuovo
incontro tra Abu Mazen e il premier israeliano Olmert. Abu Mazen ieri ha
chiesto ai gruppi armati palestinesi di fermare i lanci di razzi su Israele.
( da "Manifesto, Il" del
28-01-2008)
Palestina La
forza di resistere Un incontro a Roma Geraldina Colotti Roma "La tenacia
di resistere, il coraggio di rifiutare". Questo il titolo dell'incontro,
promosso da un cartello di associazioni pacifiste (Donne in nero, Ebrei contro
l'occupazione, Fiom-Cgil, Prc-Se, Comunità palestinese Roma e Lazio, Arci) che
ieri a Roma per 4 ore ha tenuto alta l'attenzione nell'affollatissima sala
della rivista Carta. Sul grande schermo, la gente di Gaza che attraversa il
muro fatto saltare da Hamas con la dinamite: donne e bambini di quella società
civile, che è stata al centro della giornata globale dei Wsf. Al tavolo, i
pacifisti di Bil'in-Palestina (Basel Mansour), che
ogni venerdì manifestano mano nella mano. Bil'in è un piccolo villaggio che il
muro ha privato delle terre, nella colonia ebraica di Modi'in, in Cisgiordania:
una colonia importante, che prende le terre di cinque villaggi palestinesi.
Insediamenti che crescono rapidamente e stanno per ottenere lo statuto di
città, mostrando il ruolo del muro nella politica dei fatti compiuti di Israele. Sotto accusa, per questo, il silenzio colpevole
dell'Europa, incapace di una risposta efficace alle sollecitazioni degli
attivisti - ha detto Alessandra Mecozzi -, registrando "la regressione e
l'impotenza" dei movimenti di solidarietà per la Palestina,
sotto ricatto da parte di un'informazione "incapace di dire la verità su
quel che accade". Accenti ancora più amari quelli dell'europarlamentare
Luisa Morgantini, che ha riscontrato la perdita "di identità
nazionale" delle forze palestinesi, che si "presentano divise"
al tavolo della trattativa. E intanto, l'atteggiamento di Israele pone "un problema di legalità internazionale che travalica
il conflitto Israelo-Palestinese", e interroga l'efficacia e la
praticabilità degli obiettivi sostenuti fino ad ora da una parte dei movimenti
di solidarietà. "La soluzione due popoli due stati sta svanendo, anche i
pacifisti lo percepiscono - ha detto Lama Hourani (International women
commission, Gaza-Palestina)". Ma l'interrogativo
resta: "se Israele non accetta due stati divisi,
come potrebbe garantire pari diritti e opportunità ai palestinesi all'interno
di uno stesso stato?". Quanto Israele stia
diventando impermeabile alle richieste di pace che provengono anche dal suo
interno, lo ha mostrato il refusenik Noam Livne: "Abbiamo rifiutato il
servizio militare prima dello scoppio della seconda intifada dicendo: non
attraverseremo la linea verde con le uniformi militari. Quando siamo diventati
tanti, l'esercito al posto dei riservisti, più coscienti, ha mandato i soldati
di leva nei territori occupati. Oggi il rifiuto è meno netto. Dobbiamo trovare
altre modalità d'azione".
( da "Manifesto, Il" del
28-01-2008)
Era il fondatore dell'Fplp la formazione marxista dell'Olp.
Aveva 81 anni, era nato a Lydda (Lod), dal '48 non era mai più tornato in Palestina Michele Giorgio "George Habash per noi era la
coscienza della Palestina, l'uomo che aveva cercato
con la sua azione politica di tenere legate insieme la memoria collettiva del
nostro popolo con l'idea del progresso". Sono state queste le parole che
ci ha detto la parlamentare palestinese Khalida Jarrar dopo l'annuncio del
morte avvenuta ieri ad Amman del fondatore del Fronte popolare per la liberazione
della Palestina (Fplp), formazione di marxista, la più
importante dell'Olp subito dopo Fatah. E proprio di Fatah e del suo leader
Yasser Arafat (morto nel 2004), Habash era stato un acceso rivale mettendone in
continuo dubbio la linea politica che giudicava rinunciataria e dannosa alla
causa palestinese. A provocare la morte di Habash, 81 anni, è stato un attacco
cardiaco: da molti anni era gravemente ammalato e le sue condizioni erano
peggiorate in questi ultimi mesi. La sua scomparsa è
avvenuta alla vigilia della ripresa del processo in Israele ad Ahmad
Saadat, l'attuale segretario generale del Fplp. Israele ha ucciso
all'inizio della seconda Intifada il predecessore di Saadat, Abu Ali Mustafa.
George Habash in Palestina non è mai tornato dopo averla dovuta lasciare, come altre
centinaia di migliaia di palestinesi, nel 1948. Nato
( da "Stampa, La" del
28-01-2008)
LA PACE IN MEDIO ORIENTE COME SI
BATTONO I TERRORISTI "I palestinesi riconoscano Israele, rinuncino
al terrore e aprano alla democrazia" "Braccandoli, aumentando le
dimensioni dell'esercito e rafforzando l'intelligence".
( da "Resto del Carlino,
Il (Nazionale)" del 28-01-2008)
Pubblicato anche in: (Giorno, Il (Nazionale))
IL GIORNO DELLA MEMORIA LAUREA HONORIS CAUSA A FIRENZE
Grossman 'colomba della Shoah' in volo contro tutti i massacri di LEONARDO
STURIALE SERVE una "colomba della Shoah" perché il Giorno della
Memoria sfugga ai rischi dell'obbligo rituale, trovi il proprio
"significato universale, non esclusivamente ebraico", non diventi
"un tributo pagato dal senso di colpa europeo". "Ogni ebreo, che
lo voglia o no, è un colombo viaggiatore della Shoah", dice David Grossman
(nella foto). E pochi sanno volare alti come lui. Lo scrittore israeliano, 54
anni compiuti da due giorni, laureato ieri honoris causa dall'Università di
Firenze, sale sul podio per raccontare la "sua" memoria, o meglio la
nostra. E' UNA LEZIONE sull'umanità, sull'arte che riporta al presente i
testimoni della tragedia, rende attuali, personali, gli interrogativi della
storia. Grossman, amatissimo dai lettori italiani che da ieri a Firenze si
accalcano per stringergli la mano, non è mai sfuggito a questo compito. Ne ha
fatto, anzi, la sua bandiera, a partire da Vedi alla voce: amore, il suo primo
capolavoro. Scritto, racconta Grossman, perchè "non avrei potuto
comprendere appieno la mia vita di essere umano, di padre, di ebreo, di
israeliano e di scrittore, fintanto che non avessi sperimentato, grazie alla
scrittura, l'esistenza che non avevo avuto laggiù, all'epoca della Shoah.
Dovevo capire se, e in che modo, sarei stato in grado di mantenere una parvenza
umana qualora mi fossi trovato laggiù, come una delle vittime o, Dio non
voglia, uno dei carnefici. Volevo sapere cosa un uomo deve cancellare, o rimuovere,
dentro di sé per poter essere parte di un meccanismo omicida. Per poter
sopprimere altri, o anche "soltanto" accettare quella situazione in
silenzio". Interrogativi che non riguardano solo l'Olocausto, quella
Storia e chi ne è testimone, diretto o indiretto, ma che sono rivolte a tutti
noi, oggi, nella nostra storia. Domande che concernono "anche il nostro
rapporto con gli stranieri, i diversi, i deboli di ogni nazione del
globo", aggiunge Grossman mentre punta il dito contro "l'indifferenza
che il mondo mostra, di volta in volta, verso episodi di massacro in Ruanda, in
Congo, in Kosovo, in Cecenia, nel Darfur". QUI STA il significato
universale della Giornata della Memoria, come la interpreta la colomba
Grossman. Qui sta anche la differenza tra lo scrittore e il cronista, che segue
piatto gli eventi, mettendo al riparo il lettore dal messaggio. Grossman, che
giornalista è stato, sa bene quale sia il potere dell'arte, la sua, capace di
sradicare l'uomo dalla routine dell'orrore proposta dai mass media. Un costruttore
di pace, come Grossman, parte da qui. E dal dolore di un padre che ha perso il
figlio Uri in battaglia nel luglio
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 28-01-2008)
Primo Piano Pagina 105 Dal Gerrei alle Alpi per salvare
gli ebrei Una medaglia di Israele ricorda il
finanziere Salvatore Corrias --> Una medaglia di Israele
ricorda il finanziere Salvatore Corrias Fu ucciso nel gennaio '
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 28-01-2008)
Esteri Pagina 109 Medio Oriente Hamas detta l'agenda di
Olmert e Abu Mazen Medio Oriente --> GERUSALEMME La necessità di
ridimensionare Hamas dopo il prestigio guadagnato fra i palestinesi con il
blitz che ha cancellato il confine fra Gaza ed Egitto, è stata ieri al centro
di un incontro a Gerusalemme fra il premier israeliano Ehud
Olmert e il presidente dell'Anp Abu Mazen. Poco prima del vertice, il governo
israeliano ha informato la Corte Suprema (che esaminava due appelli contro il
prolungato blocco della Striscia) di essere pronto a ripristinare "con
effetto immediato" le forniture a Gaza di generi di prima necessità nonché
di una quantità di gasolio che dovrebbe bastare a garantire il fabbisogno
della centrale elettrica locale. Hamas ha già chiarito che non si lascerà
mettere con le spalle al muro. L'ex primo ministro Ismail Haniyeh ha anticipato
che una delegazione di Hamas si recherà mercoledì da Gaza al Cairo per esigere
che "l'assedio alla Striscia sia rimosso" e che al valico di Rafah sia
mantenuta l'attuale apertura fino a un accordo che garantisca la fine
dell'embargo israeliano. Olmert e Abu Mazen hanno constatato con preoccupazione
che l'iniziativa di Hamas sul confine di Rafah, rischia di scardinare
definitivamente gli accordi raggiunti due anni fa.
( da "Unita, L'" del
28-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Elie Wiesel: "La Shoah
resta il Male assoluto" di Umberto De Giovannangeli / Segue dalla prima R
icordare non è solo un tributo ai milioni di donne e uomini annientati nei
lager. "L'antisemitismo e l'odio razziale - riflette Wiesel - segnano
anche questo inizio secolo. Non posso perdonare gli aguzzini e coloro che ne
esaltano le gesta". Parla a ragion veduta, il grande scrittore, Lui il
mostro nazista l'ha visto negli occhi: "Non credo - afferma - che esista
il Bene assoluto, nella mia vita, almeno, non l'ho mai incontrato . Ma il Male
assoluto l'ho conosciuto e da allora non mi ha più abbandonato: l'ho visto
negli occhi dei nostri carnefici, e nelle pietose giustificazioni di chi
ripeteva: "Io non c'entro, non sapevo" e lo ritrovo anche oggi in chi
nega che l'Olocausto fu innanzitutto il tentativo di annientare gli
ebrei". Oggi ricorda Elie Wiesel, lo spettro di una nuova Shoah torna ad
essere agitato da "una figura che non può avere un posto nel panorama dei
leader politici internazionali. Dovrebbe diventare "persona non grata",
per ciò che sta facendo al suo Paese, al suo popolo, a tutta l'umanità. Il nome
di questa persona è Mahmoud Ahmadinejad: costui rappresenta la parte più buia
dell'orizzonte politico odierno". "Spero che il 2008 - afferma Elie
Wiesel - possa essere davvero l'anno della pace in Medio Oriente", ma lo
scenario internazionale, e non solo quello mediorientale, è segnato
pesantemente dalla crescente insicurezza globale dovuta al terrorismo.
"Stiamo lasciando alle nuove generazioni un mondo pieno di paura - riflette
il grande scrittore della Memoria - cosa ne faremo, lo trasformeremo in una
fortezza?". Nella Giornata della Memoria, è importante raccontare
soprattutto ai giovani cosa è stato l'Olocausto. Compito a cui lei non si è mai
sottratto. A un ragazzo di oggi che le chiedesse: cosa è stato l'Olocausto?,
che risposta darebbe? "È stato il Male assoluto. Ecco cosa è stato. Ciò
che ha caratterizzato quel periodo fu una determinazione assoluta nel
pianificare e condurre a compimento l'annientamento di un popolo. Questo è
stato l'Olocausto, in questo consiste la sua novità rispetto al passato: per la
prima volta nella storia, si intendeva eliminare completamente dalla faccia
della terra un popolo. Gli ebrei non furono perseguitati e sterminati per
motivi specifici, perché credevano o non credevano in Dio, perché erano ricchi
o poveri, o perché professavano ideologie nemiche: no, gli ebrei venivano
uccisi, umiliati, torturati per il semplice fatto di essere tali. Perché erano
colpevoli di esistere: questo è l'orrore incancellabile della Shoah". La
memoria dell'Olocausto sembra smarrirsi: c'è chi afferma che ciò è un bene, che
ricordare serve solo a perpetuare antiche divisioni. "No, no, sono
assolutamente contrario. Dimenticare le vittime significa null'altro che infliggere
loro una seconda morte! Una vera riconciliazione, inoltre, non può avvenire che
a partire dal ricordo, preservando la memoria di ciò che furono quegli anni. È
vero: oggi c'è chi esalta l'oblio, chi ritiene giunto il momento di archiviare
il passato. A questa operazione sento il dovere morale di ribellarmi, ieri come
oggi: perché per nessuna ragione al mondo è possibile cancellare la distinzione
tra il carnefice e la sua vittima. Ed ancor oggi l'Olocausto insegna che quando
una comunità viene perseguitata tutto il mondo ne risulta colpito". Molti
dei suoi libri hanno trattato il tema della memoria, del ricordo e dell'oblio,
e di come la tragedia dell'Olocausto si è trasmessa di padre in figlio nel
popolo ebraico, in Israele e nella Diaspora. "È
il tema dell'identità ebraica, della sua specificità che non va smarrita ma che
non deve mai essere vissuta come "separazione" dal mondo dei
"Gentili". In uno dei miei libri, L'oblio, (Bompiani), il
protagonista sintetizza così il suo essere ebreo: "Se sono ebreo, sono un
uomo. Se non lo sono, non sono nulla. Solo così potrò amare il mio popolo senza
odiare gli altri". Questo mi ripetevo allora, nei giorni di Buchenwald,
quando i nostri aguzzini volevano cancellare la nostra identità, prima di
negarci la vita, per ridurci solo a numeri, quelli marchiati a fuoco sulle
nostre braccia. Ma non ci sono riusciti: hanno ucciso sei milioni di ebrei ma
non sono riusciti a cancellare la nostra identità. Ed è per questo che oggi,
nella Giornata della Memoria, posso dire con il mio Malkiel (il protagonista
dell'Oblio, ndr.): è proprio perché amo il popolo ebraico che trovo in me la
forza per amare quelli che seguono altre tradizioni. Un ebreo che nega se
stesso non fa che scegliere la menzogna". Signor Wiesel, per chi ha vissuto
l'esperienza dei lager nazisti ha un senso la parola "perdono"?
"È la domanda che ha accompagnato la mia esistenza di sopravvissuto. Ma
parole come perdono o misericordia non trovano posto nell'inferno di Auschwitz,
di Buchenwald, di Dachau, di Treblinka.. No, non è possibile perdonare gli
aguzzini di un tempo e coloro che ancora oggi ne esaltano le gesta. In questi
sessantatre anni, ho pregato più volte Dio e la preghiera è la stessa che
recitavo quando ero rinchiuso nel lager: "Dio di misericordia, non avere
misericordia per gli assassini di bambini ebrei, non avere misericordia per
coloro che hanno creato Auschwitz, e Buchenwald, e Dachau, e Treblinka, e
Bergen-Belsen.Non perdonare coloro che qui hanno assassinato. Ma questo non
vuol dire condannare per sempre il popolo tedesco, perché noi ebrei, le
vittime, non crediamo nella colpa collettiva. Solo il colpevole è
colpevole". Dal passato che non passa, ad un presente inquietante. Lei ha
usato parole durissime contro il presidente iraniano Ahmadinejad. Perché?
"Perché costui, nel ridicolizzare le verità storicamente accertate,
nell'offendere la memoria dei sopravvissuti all'Olocausto ancora vivi,
glorifica l'arte della menzogna. Da numero uno dei negazionisti al mondo, da
antisemita con una mente disturbata, dichiara che la "soluzione
finale" di Hitler non è mai esistita. E non basta. Secondo Ahmadinejiad,
non c'è stato un Olocausto nel passato, ma vi sarà nel futuro. Elucubrazioni di
un fanatico? Sì, ma il fanatico si rivolge a folle che plaudono alle sue idee.
Parole vuote? Lui non parla per nulla. Sembra impegnato nel mantenere le sue
"promesse". Sarebbe un errore mettere in dubbio la sua
determinazione. Una persona non predica odio per niente. Appartengo a una
generazione che ha imparato a prendere sul serio le parole del nemico. Anche
perché queste parole sono accompagnate da fatti: chi c'è dietro
l'organizzazione terrorista degli Hezbollah? L'Iran. L'Iran li fornisce di
tutte le armi più sofisticate e degli ufficiali che addestrano le loro milizie.
Ma cosa vogliono gli Hezbollah? Concezioni territoriali? No. La creazione di uno Stato palestinese che viva fianco a fianco
con Israele, cosa che personalmente mi auguro? No. L'unico obiettivo di
questo movimento - e del presidente iraniano - è la distruzione di Israele. Ecco perché io sostengo che Ahmadinejad non può avere un posto
nel panorama dei leader politici internazionali. Dovrebbe diventare
"persona non grata", per quello che sta facendo al suo Paese, al suo
popolo, a tutta l'umanità". Nella sua visita in Israele,
il presidente Usa Bush, al museo dello Yad Vashem, si è chiesto del perché gli
Alleati non avessero bombardato prima Auschwitz. Secondo un filone
storiografico, ciò non avvenne perché gli Alleati temevano che bombardando
avrebbero ucciso migliaia di prigionieri del campo. "Questa motivazione
non regge. Prima però mi lasci dire che ho molto apprezzato le parole del
presidente Bush. Il suo è stato un atto di coraggio che è mancato ai suoi
predecessori.". Lei parlava di una scusa. "Io ero ad Auschwitz. E
posso dirle che ogni volta che assieme ai miei compagni di sventura sentivamo
gli aerei sorvolare Auschwitz, pregavamo che bombardassero: sarebbe stata una
morte preferibile alle camere a gas. La verità è che non solo gli
angloamericani ma anche i russi, avrebbero potuto bombardare i binari della
ferrovia che portava ad Auschwitz. In tal modo si poteva salvare la vita di
decine di migliaia di ebrei. Così non è stato. E credo che il rimorso per non
aver dato l'ordine di bombardare abbia accompagnato i responsabili per tutta la
loro vita". GIORNO DELLA MEMORIA Parla lo scrittore premio Nobel nel 1986:
"Dimenticare è impossibile e significherebbe uccidere una seconda volta le
vittime. Ma non c'è solo il rischio dell'oblio: Ahmadinejad e il terrorismo
sono pericoli reali".
( da "Repubblica, La" del
28-01-2008)
Cultura LA MEMORIA il discorso di david grossman all'università
di firenze i due ebrei salvati da una prostituta e la shoah Gli interrogativi
che quella tragedia ci pone riguardano anche i nostri rapporti con gli
stranieri, i diversi, i deboli di ogni nazione La storia di Leib ed Ester
Rochman non è fra le più terribili. Eppure racchiude una tale sofferenza che da
anni non mi dà pace (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Lo scrittore
israeliano ha ricevuto ieri a Firenze la laurea ad honorem. Pubblichiamo parte
del discorso che ha letto durante la cerimonia. E noi, rappresentanti di questa
generazione, di tutti i popoli e le religioni, comprendiamo l'incisività e
l'attualità degli interrogativi che la Shoah ci prospetta e la rilevanza che
hanno ancora oggi, soprattutto oggi? Queste domande concernono,
peraltro, anche il nostro rapporto con gli stranieri, i diversi, i deboli di
ogni nazione del globo; concernono l'indifferenza che il mondo mostra, di volta
in volta, verso episodi di massacro in Ruanda, in Congo, in Kosovo, in Cecenia,
nel Darfur; concernono la malvagità e la crudeltà del genere umano che nel
periodo della Shoah si profilarono come concreta possibilità di comportamento.
In che modo trovano espressione nella nostra vita e quale influenza hanno sulla
conformazione e sulla condotta del genere umano? In altre parole: la memoria
che serbiamo della Shoah può essere veramente una sorta di segnale
d'avvertimento morale? E siamo noi in grado di trasformare i suoi insegnamenti
in parte integrante della nostra vita? (...) Mentre gli altri popoli possono,
con relativa facilità, evitare di riflettere sulle conseguenze della Shoah ? e
dunque sfuggire a un dibattito profondo che le concerne ? noi, in Israele, siamo condannati a dibatterle ripetutamente, a
cadere talvolta nella trappola dell'angoscia esistenziale che la Shoah ha
scavato in noi, a definire gli aspetti significativi della nostra vita nei
termini categorici, estremi, che la Shoah ha lasciato impresso in noi. In un
certo senso si può dire che il popolo ebraico, e di fatto quasi ogni ebreo, sia
un colombo viaggiatore della Shoah, che lo voglia o no. Ma affinché questa
disquisizione non rimanga a un livello puramente teorico, non appaia come una
sorta di dissertazione filosofica distante dagli esseri umani, vorrei
raccontarvi una storia di quel periodo. Non è una storia particolarmente
traumatica. Ne ho sentite di più brutte e terribili. Eppure racchiude una tale
sofferenza e un tale dolore che da anni non mi dà pace. Si tratta della vicenda
di un giornalista ebreo polacco di nome Leib Rochman. Negli anni Trenta del
secolo scorso Rochman scriveva per un giornale in yiddish pubblicato a
Varsavia. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale fece ritorno alla
cittadina nella quale era nato, Minsk Mazowiecki, situata a est di Varsavia,
dove si attivò come "assistente sociale" tra gli ebrei del ghetto,
facendo meraviglie nel procacciare cibo agli affamati. Nel 1942 sposò Ester,
anch'ella nativa del luogo, e tre mesi dopo i nazisti sterminarono la comunità
ebraica. Dei seimila ebrei della cittadina ne rimasero meno di venti. Leib ed
Ester, insieme con la sorella minore di quest'ultima, riuscirono a mettersi in
salvo e a trovare rifugio presso una donna polacca il cui soprannome era
"Ciotka", zia in polacco, un'anziana prostituta cordiale e piena di
vita. (...) Nel suo salotto Ciotka costruì per Leib ed Ester una
parete-nascondiglio, a poca distanza da quella originaria. Leib, sua moglie e
sua cognata vissero nell'intercapedine tra le due pareti per quasi due anni. A
un certo punto decisero di portarvi anche Haim, il fratellino minore di Ester,
tenuto prigioniero in un campo dei dintorni, e consegnarono a Ciotka del denaro
affinché si recasse al campo, corrompesse le guardie, liberasse Haim e lo
conducesse da loro. Ciotka si mise in viaggio ma strada facendo bevve un po', divenne
allegra, passò accanto a una fiera, salì su una giostra, si divertì e quando
finì di spendere tutto il denaro che aveva con sé tornò a casa senza Haim.
Quella notte i tedeschi giustiziarono tutti i prigionieri del campo e anche
Haim morì. Quando Leib ed Ester vennero a sapere che Haim non era più in vita
decisero di salvare un altro ebreo che, per quanto non fosse loro amico
stretto, possedeva una vasta cultura ebraica e parlava la lingua della Bibbia.
Poiché credevano che non fossero quasi rimasti ebrei al mondo, ritennero
indispensabile tentare di salvare chi potesse perpetuare lo spirito e la
tradizione ebraica. (...) Rimasero nascosti fino alla fine della guerra, quando
poterono uscire. Leib Rochman era molto malato e debole. I cinque abbandonarono
il nascondiglio e si misero in viaggio, senza sapere per dove. (...) Ovunque
andassero la gente li indicava e diceva stupita, in tono di scherno: ma come,
sono rimasti così tanti ebrei? Una notte trovarono rifugio in un campo di
prigionieri vuoto, il cui recinto era stato sfondato, e lì trascorsero la
notte. C'erano giacigli e tavolacci e su quelli dormirono. La mattina, al loro
risveglio, scoprirono di essere nel campo di concentramento di Meidanek,
liberato un paio di giorni prima dai russi, e di aver dormito sui letti dei
prigionieri. Alla luce del giorno gironzolarono per il campo e all'improvviso
videro la Shoah. Non sapevano esattamente che cosa fosse avvenuto negli ultimi
due anni e ora vedevano davanti a sé mucchi di cadaveri e i cumuli di cenere di
chi era stato bruciato. Non riuscivano a crederci: tutto era lì, sotto i loro
occhi, eppure non riuscivano a capacitarsi che fosse successo veramente, che
una cosa simile fosse stata possibile. A quel punto si imbatterono in un gruppo
di ufficiali e di guardie del campo catturati dai russi. I soldati dell'Armata
rossa accerchiavano i tedeschi che stavano seduti al centro, prigionieri. Così,
nello stesso giorno, Leib e compagni videro le vittime e i carnefici. I
carnefici in carne ed ossa. Non qualcosa di astratto, un qualche simbolo del
male. Lì, davanti a loro, erano gli assassini che avevano messo in atto il
piano della "soluzione finale". Di colpo Leib Rochman non fu più in
grado di sopportarlo. Corse verso un soldato russo e gli strappò di mano il
fucile, con l'intenzione di sparare ai tedeschi. Fermo davanti a loro prese la
mira, ma non riuscì a premere il grilletto. Quasi impazzì, urlò, odiò se
stesso, ma non poté farlo. Allora gridò, in yiddish: Aufstein, Fallen! ? In
piedi! A terra! I tedeschi, sicuri che stesse per ucciderli, fecero ciò che
ordinava loro, terrorizzati. Scattarono in piedi e si lasciarono cadere a
terra, più volte. Leib capì che non sarebbe riuscito ad ammazzarli. Non sapendo
cosa fare buttò via il fucile, si ritirò in disparte e scoppiò a piangere, a
tossire e per la prima volta sputò sangue. Allora scoprì di essere malato di
tubercolosi. Leib ed Ester Rochman ebbero molte altre vicissitudini,
attraversarono numerose nazioni e alla fine giunsero nella terra di Israele. Si stabilirono a Gerusalemme ed ebbero un figlio e
una figlia. Quest'ultima, la poetessa Rivka Miriam Rochman, è una mia cara e
buona amica ed è da lei che ho appreso questa storia. Leib Rochman fu
giornalista dell'emittente radio israeliana "Kol Israel" ma per gran
parte della sua vita si dedicò alla scrittura. Pubblicò due romanzi e una
raccolta di racconti che ritengo esempi meravigliosi di letteratura innovativa,
profonda, che discende negli abissi dell'animo umano. Questa è la storia sua e
di sua moglie Ester. Ci sono altre milioni di storie come questa. Ogni persona
morta, o sopravvissuta, è una vicenda a sé e tutte queste storie, in apparenza,
si mantengono su un piano totalmente diverso da quello su cui sono dibattute
oggi le grandi "questioni" relative alla Shoah, sempre che siano
dibattute. Tali questioni vertono soprattutto sulla negazione della Shoah,
sull'incremento del numero dei neo-nazisti in diverse nazioni e sul
rafforzamento dell'antisemitismo nel mondo. Negli ultimi anni la discussione
circa il diritto dei tedeschi di considerarsi vittime di quella guerra al pari
di altri popoli, o addirittura di creare una simmetria ? errata e inammissibile
a mio parere ? tra la loro sofferenza e quella degli ebrei durante la Shoah, si
fa sempre più accesa. Le vicende personali di Leib ed Ester Rochman, così come
quelle di altri milioni di persone, si mantengono, come ho detto, su un piano
diverso, ma senza di esse un dibattito sulla Shoah non sarebbe completo e
sarebbe impossibile creare un legame emotivo tra le generazioni future e ciò
che avvenne allora. Dirò di più: senza quelle storie personali il dibattito
sulla Shoah potrebbe talvolta apparire un tentativo inconsapevole di difendersi
dall'orrore palese. E, spingendoci oltre, si potrebbe ipotizzare che senza di
esse il dibattito generico, di principio, si spegnerebbe lentamente. Proprio le
vicende individuali, private, sono il "luogo" più universale, la
dimensione entro la quale è possibile creare il senso di identificazione umana
e morale con le vittime che permette a chiunque di porsi ardui interrogativi:
come mi sarei comportato io se fossi vissuto a quell'epoca, in quella realtà?
Come mi sarei comportato se fossi stato una delle vittime, o un connazionale
degli aguzzini? Ho l'impressione che fino a che non risponderemo a queste
domande ? ognuno per conto proprio ? fino a che non ci sottoporremo a questo
auto-interrogatorio, non potremo dire a noi stessi di aver affrontato
pienamente ciò che avvenne laggiù. E se non lo faremo, dimenticheremo. Più si
assottiglia il numero dei sopravvissuti ? e malgrado il lavoro di
documentazione portato avanti da "Yad vaShem", il museo israeliano
dedicato alla memoria delle vittime della Shoah, e, nell'ultimo decennio,
dall'archivio Spielberg ? più cresce l'importanza dell'arte quale possibile
mezzo per affrontare questi interrogativi. La letteratura, la poesia, il
teatro, la musica, il cinema, la pittura e la scultura sono i
"luoghi" in cui l'individuo moderno può affrontare la Shoah e
sperimentare le sensazioni e la particolare esperienza umana che la ricerca e
il dibattito accademici solitamente non sono in grado di far rivivere.
Traduzione di Alessandra Shomroni.
( da "Riformista, Il" del
28-01-2008)
Israeliana la guerra in Libano continua a far danni
Olmert rischia grosso, il falco Bibi è già pronto Gerusalemme. La resa dei
conti ha una data precisa. Mercoledì 30 gennaio. Esce quel giorno la seconda e
ultima parte del rapporto Winograd, la relazione sul comportamento dei vertici
politico-militari israeliani durante la guerra in Libano dell'estate 2006. Non
che si aspettino grandi sorprese dal rapporto del comitato messo in piedi nell'autunno
di quello stesso anno, sotto la spinta del malumore popolare per le decisioni
prese negli ultimissimi giorni del conflitto. Giorni
cruciali, quando Israele lanciò un'operazione di terra disastrosa dal punto di vista militare,
inutile da quello diplomatico, dolorosa per i soldati morti quando il cessate
il fuoco era già stato deciso. L'entrata in guerra non viene messa in
discussione da nessuno, popolazione o leadership che sia. Ma il Winograd
seconda parte si occupa, nello specifico, dei giorni immediatamente precedenti
il 14 agosto. E, dicono tutte le indiscrezioni, sarà durissimo con gli uomini
che erano allora alla barra di comando. Dopo le dimissioni del capo di stato
maggiore Dan Halutz e del ministro della difesa Amir Peretz, resta ora solo
Ehud Olmert, al vertice della catena decisionale. Il suo destino, dunque, è il
vero rovello aperto dal comitato presieduto dal giudice a riposo Elyahu
Winograd. Resterà? Si dimetterà? Sarà messo in minoranza? C'è un gruppo ben preciso
che chiede a gran voce le dimissioni di Olmert. Sono i riservisti e le famiglie
che hanno perso i propri figli negli ultimi giorni della guerra. Figli mandati
a morire senza motivo, accusano. Ma questo giudizio, sostenuto dalla
maggioranza silenziosa d'Israele, nasconde anche un
retrogusto strettamente politico. Perché la figura più nota del gruppo è Uzi
Dayan, discusso leader di un partito, il Tafnit, che si è presentato alle
elezioni del 2006 proponendo di attuare la seconda parte del disimpegno voluto
da Ariel Sharon: costruzione veloce del Muro di separazione e frontiere decise
su basi demografiche, inglobando le grandi colonie israeliane in Cisgiordania.
Senza ottenere neanche un seggio in parlamento. Dayan fa gli interessi di
Benjamin Netanyahu, dice chi lo contesta, visto che "dimissioni significa
elezioni anticipate". E i sondaggi prevedono una valanga di consensi per i
pezzi da novanta della destra: Benjamin Netanyahu, Arkadi Gaydamak, Avigdor
Lieberman. Certo è che il gruppo dei riservisti e delle famiglie investite dal
lutto della guerra sta facendo lobby su tutti quelli che contano. Negli stessi
giorni in cui anche altri due attori, diversissimi tra di loro, hanno inciso
sul caso Winograd. L'ex ambasciatore Usa all'Onu, John Bolton, che nella sua
visita in Israele della scorsa settimana ha raccontato
una verità diversa su quei giorni d'agosto 2006, quando il telefono tra
Washington e Tel Aviv era rovente e al Palazzo di Vetro si cercava di metter su
una risoluzione che facesse tacere le armi. E Hassan Nasrallah, il leader
carismatico di Hezbollah, che ha usato la questione dei soldati israeliani nel
sud del Libano per incidere sul futuro del governo Olmert, sostenendo che
Tsahal si è lasciato alle spalle, ritirandosi, i corpi dei suoi uomini. È
questo il nodo cruciale del rapporto Winograd, quello sul quale Olmert rischia
di cadere. Mentre alle sue spalle c'è una lunga lista di pretendenti, volontari
o involontari che siano. Come Shaul Mofaz, durissimo contro chi ha condotto la
guerra del
( da "Riformista, Il" del
28-01-2008)
Sulle spalle di un gigante dai piedi d'argilla Il
problema dell'Onu è la mancanza di un'identità di base Per una serie di
peripezie che non sto qui a raccontarvi, nei giorni subito dopo le feste
natalizie mi sono ritrovato ad accettare, insieme a un gruppo di amici
fabrianesi, un invito a una tavola rotonda informale a casa di Magdi Allam.
Nell'elegante salotto straripante di libri e premi d'ogni sorta, attorno ad un
desco riccamente imbandito di bevande e cibarie per tutti i gusti, il discorso
non tarda a prender piede. Emergono prepotentemente i temi chiave dell'etica
del giornalismo e dell'uso corretto dei mezzi d'informazione: "Faccio
molta fatica a seguire quotidiani e telegiornali. Allo stato attuale è
veramente difficile parlare di giornalismo etico, specialmente quando ci si
ritrova bombardati da continue mistificazioni della realtà e da uno
sconcertante relativismo dell'informazione. Tutto diventa chiacchiera, mero
pettegolezzo. C'è spazio solo per cronaca nera e sensazionalismo".
Riscaldati gli animi con questo breve prodromo, ecco arrivare come una valanga
i più svariati interrogativi. In primo luogo urgono
chiarimenti su Viva Israele, l'ultimo libro del vice del Corriere della sera: "Il mio è
volutamente un titolo politicamente scorretto. Non pensate che "viva Israele" significhi abbasso Palestina, io sono
per il diritto alla vita di tutti. Ritengo che l'affermazione di un valore come
questo sia però realizzabile solo attraverso il riconoscimento dello Stato d'Israele e l'eliminazione di molti pregiudizi. Ci tengo poi a
precisare che non c'è alcun nesso tra la stesura di questo libro ed il
ricevimento del premio Dan David. Basta ripercorrere i miei articoli per
rendersi conto di come sostenessi la causa di Israele
già da molto prima". Nel giro di poco poi ci si ritrova a discutere della
questione mediorientale e dei problemi legati al mondo arabo. Ci si chiede
innanzitutto cosa sia cambiato nella mentalità di questi Paesi con il passare
del tempo: "Rispetto agli anni Cinquanta, periodo in cui, perlomeno in
Egitto, era diffuso un clima liberale, dove le donne non indossavano il velo e
non c'erano problemi a predicare religioni differenti da quella musulmana,
oggi, nei Paesi arabi si assiste ad un pressante ritorno all'integralismo.
Ricordo la scuola cristiana che frequentavo da ragazzo. Allora era circondata
solo da una recinzione a giorno che serviva unicamente a delimitarne il
cortile. Tornandoci poco tempo fa mi ritrovai di fronte ad un alto muro di
cemento armato, un chiaro simbolo di scissione tra due mondi, una trincea
difensiva innalzata contro le ostilità provenienti dal radicalismo e dal
terrorismo". Si arriva ad approfondire la questione degli attentati:
"Non crediate che i terroristi di cui tanto si parla oggi siano solo gente
povera e disperata. Basti pensare che molti sono di origine Saudita, originari
quindi di un paese alquanto benestante. Alcuni di questi suicidi sono
britannici e molti altri francesi, tutti comunque appartenenti a famiglie di
rango medio-alto. Oggi si diventa terroristi soprattutto su base
ideologica". Proseguiamo quindi in un crescendo di botta e risposta a
proposito degli innumerevoli conflitti scoppiati, delle varie personalità
susseguitesi nel vasto teatro del potere e dei trattati di pace mancati. Le
provocazioni da parte nostra non mancano, ma forte delle sue conoscenze nel
campo il padrone di casa contrappone alle nostre insidie un quadro personale
preciso ed estremamente nitido: "Sono contrario alla guerra, ma allo
stesso tempo ripudio la sottomissione a tiranni e carnefici. Ritengo
impensabile che si sia manifestato esclusivamente contro Bush e l'America,
quasi a voler intentare un processo, e che non si sia protestato invece contro
le migliaia di morti provocate dai regimi mediorientali". Giungiamo quasi
agli sgoccioli e nelle poche decine di minuti rimastici ci concediamo giusto un
paio di pareri conclusivi sulla situazione europea ed italiana: "L'Onu
oggi è un organismo fortemente screditato ed inefficace nella gestione delle
crisi internazionali. Il suo problema principale, che è poi lo stesso
dell'Unione Europea, consiste nella mancanza di un quadro di valori fondamentali
e quindi di un'identità di base. Già affermare su scala generale l'applicazione
di valori come il diritto alla vita e la democrazia sarebbe un buon inizio.
Allo stato attuale le Nazioni Unite e ancora meglio L'Unione europea con 27
paesi tanto eterogenei sono paragonabili solo ad un gigante dai piedi
d'argilla, una fragile mescolanza di adesioni indistinte". E prosegue:
"Della situazione italiana già avevo parlato nei miei articoli in cui
mostravo l'atteggiamento troppo accomodante adoperato dalle istituzioni nei
confronti di predicatori delle ideologie dell'odio, come nel caso di Abu Imad,
o circa le concessioni di poligamia, illegale nel territorio italiano, per non
riconoscimento dell'unione matrimoniale secondo rito musulmano. I motivi di
questa sorta di sottomissione sono essenzialmente due: la convinzione della
classe politica di non dover agire per evitare di acuire tensioni e di rompere
equilibri sociali ed in secondo luogo l'interesse economico per il fabbisogno
di petrolio e gas, una vera e propria dipendenza che può essere combattuta solo
rivalutando la questione del nucleare". Gioele Maria Pignati, 19 anni,
Fabriano (An) 28/01/2008.
( da "Repubblica, La" del
28-01-2008)
Pagina I - Firenze Grossman riceve la laurea honoris
causa nel giorno della Memoria "L'arte ci aiuta contro il male"
FULVIO PALOSCIA "I rapporti tra Israele e Palestina? Nutro sempre speranza, non posso permettermi il lusso di non
farlo. Ma è un momento difficile, e non posso certo dire che entrambi i leader
stiano facendo quello che serve per una pace possibile. Non ancora". Lo
scrittore israeliano David Grossman parla con pacatezza mista ad emozione
mentre nell'aula magna dell'ateneo risuona ancora l'interminabile
applauso, la lunga standing ovation che ha accolto la sua lectio magistralis e
che dal tavolo dei docenti universitari in pompa magna si è abbattuta come
un'onda di commozione su tutto il pubblico (tra gli altri, i senatori Massimo
Livi Bacci e Vittoria Franco, il deputato Valdo Spini, il rabbino capo di
Firenze Yoseph Levi). Grossman (che oggi terrà l'intervento di chiusura, alle
12.30, del convegno "Sterminio e stermini" al Mandela Forum) ha
ricevuto ieri dall'Università di Firenze la laurea honoris causa "per le
alte qualità artistiche e l'illuminato impegno civile". Un'onoreficenza
conferita proprio nel Giorno della Memoria: "Se non vogliamo che il
dibattito sulla Shoah diventi un obbligo - spiega l'autore di Vedi alla voce
amore - dobbiamo capire che l'arte è un mezzo che può restituire, a noi che non
l'abbiamo vissuta sulla nostra pelle, tutta la drammaticità e gli insegnamenti
della Shoah. Abbiamo senza dubbio bisogno di ricerche accademiche, ma certa
astrattezza deve calarsi nella realtà concreta delle storie". L'arte
"ci aiuta a stare in guardia contro il male. Dobbiamo stare sempre molto
attenti e individuare quando cominciamo a essere conniventi con il male, quando
ci abituiamo ai meccanismi di manipolazione: nella vita politica, nel
quotidiano, nel nostro rapporto con gli stranieri, con gli sconosciuti".
Il discorso vale sia per la narrazione che per il giornalismo: "Quando
scrivo per i giornali - dice Grossman - cerco di offrire un nuovo punto di
vista sulle cose e di non allontanare chi legge dalla verità. Come narratore,
racconto storie; come giornalista, le spiego".
( da "Repubblica, La" del
28-01-2008)
Gaza Il vertice Olmert promette aiuti umanitari
GERUSALEMME - La necessità di ridimensionare Hamas, cresciuto di popolarità fra
i palestinesi per aver aperto con la forza il confine fra Gaza e l'Egitto, è
stata al centro ieri dell'incontro fra il premier
israeliano Ehud Olmert e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu
Mazen. L'incontro è parte delle riunioni iniziate dopo il vertice di Annapolis
per far ripartire il processo di pace fra israeliani e palestinesi. Secondo un
portavoce, Olmert ha promesso ad Abu Mazen che non ci sarà una crisi umanitaria
nella Striscia di Gaza, dando assicurazioni che non verranno interrotte
le forniture di aiuti umanitari e di carburante. Il premier israeliano ha detto
anche che chiederà al presidente Hosni Mubarak di chiudere al più presto il
confine con Gaza. Abu Mazen che mercoledì sarà al Cairo per affrontare la
questione.
( da "Repubblica, La" del
28-01-2008)
Cronaca Secondo la Fao la produzione di bestiame
mondiale è responsabile di più gas dell'intero sistema dei trasporti Il consumo
di carne raddoppierà entro il 2050, se la popolazione mondiale non varierà
l'alimentazione La bistecca fa male alla Terra l'effetto serra ci cambia la
dieta MARK BITTMAN NEW YORK Un cambiamento epocale nell'uso di una risorsa che
si dà per scontata potrebbe essere imminente. No, non si tratta di petrolio, ma
di carne. Come il petrolio anche la carne è soggetta a una domanda crescente a
mano a mano che le nazioni diventano più ricche e ciò ne fa salire il prezzo. E
come il petrolio anche la carne è qualcosa che tutti sono incoraggiati a
consumare in quantità minori. La domanda globale di carne si è letteralmente
impennata negli ultimi anni, sulla scia di un benessere crescente, alimentata
dal proliferare di vaste operazioni di alimentazione forzata di animali
d'allevamento. Queste vere e proprie catene di montaggio della carne, che
partono dalle fattorie, consumano quantità smisurate di energia, inquinano
l'acqua e i pozzi, generano significative quantità di gas serra, e richiedono
sempre più montagne di mais, soia e altri cereali, un fatto che ha portato alla
distruzione di vaste aree delle foreste pluviali tropicali. Proprio questa
settimana il presidente brasiliano ha annunciato provvedimenti di emergenza per
fermare gli incendi controllati e l'abbattimento delle foreste pluviali del
Paese per creare nuovi pascoli e aree di coltura. Negli ultimi cinque mesi
soltanto, ha fatto sapere il governo, sono andate perse
( da "Giornale.it, Il" del
28-01-2008)
Alfonso Arbib: "L'antisemitismo sottile è la
minaccia di oggi" di Redazione - lunedì 28 gennaio 2008, 07:00 Abbiamo
chiesto un commento a caldo ad Alfonso Arbib, Rabbino capo della Comunità
ebraica di Milano, a proposito dell'articolo "Io, ebreo, dico agli ebrei
ora basta con i vittimismi" apparso ieri sul Giornale a firma di R. A.
Segre. Arbib, classe 1958, originario di Tripoli, è considerato da chi lo
conosce "una figura capace di riuscire a tenere insieme le diverse anime
degli ebrei milanesi". Il microcosmo più composito in Italia: askenaziti,
libici, laici, iraniani, hassidim, persiani e non solo. Professor Arbib, lei
ritiene che ci sia una forma di "vittimismo" da parte degli ebrei
quando si parla di Shoah? Cosa risponde a chi tempo fa ha sottolineato quello
che è un difetto dell'ebraismo italiano (ma non solo), cioè la contemplazione
narcisistica del passato, mentre ebraismo significa dare un sguardo sul mondo?
"Preciso che non ho letto l'articolo, dunque qualunque commento sarebbe
parziale o non corretto. Detto questo sono d'accordo e condivido quanto scritto
da Segre: che oggi gli ebrei in Europa siano tutelati e rispettati, che non vi
siano delle discriminazioni nei loro confronti, su questo non c'è alcun dubbio.
Però credo che vi siano alcuni segni preoccupanti da non sottovalutare. Sono
entrambe due realtà oggettive di cui bisogna prendere atto". Quando parla
di queste realtà intende l'antisemitismo? "Ripeto, sostenere che oggi ci
siano delle persecuzioni o delle discriminazioni nei confronti degli ebrei in
Europa e in Italia è falso e fuorviante. Esiste tuttavia una forma di
antisemitismo sottile, strisciante e mascherato che mi preoccupa non poco. Si manifesta attraverso la tendenza a tornare a una serie di
stereotipi che viene applicata quando si parla di Israele o degli
ebrei in quanto ritenuti "pericolosi". Oppure attraverso l'idea di un
complotto ebraico che ciclicamente all'occorrenza qualcuno tira fuori. Ma penso
anche agli atti vandalici che occasionalmente si manifestano in tutta Europa e
anche in Italia. La questione è di saper cogliere in tempo questi
segnali per non correre il rischio di non saper più gestire la situazione. L'ho
detto più volte e lo ripeto anche oggi: bisogna trasformare ciascuno di questi
episodi in un'occasione di monito e di allarme: un invito a non sottovalutare e
a non abbassare mai la guardia".
( da "Giornale.it, Il" del
28-01-2008)
Di Redazione - lunedì 28 gennaio 2008, 07:00 Più che un
accordo sembra un bluff. Il presidente palestinese Abu Mazen e i suoi
fedelissimi, gli stessi che a giugno si fecero buttare fuori dalla Striscia da
Hamas, giurano ora di poter risolvere il problema del confine con l'Egitto
riprendendo il controllo del valico di Rafah. Il più convinto sembra essere il
ministro degli Esteri palestinese, che assicura di aver raggiunto un accordo
con il presidente egiziano Hosni Mubarak. Con quel bluff tra le mani Abu Mazen
si presenta al vertice di Gerusalemme con il premier israeliano Ehud Olmert.
L'incontro è pura cerimonia organizzata per tenere in piedi le speranze di
Annapolis. Il presidente palestinese, ulteriormente spiazzato dall'abbattimento
della barriera di Rafah, non ha in verità nulla da offrire o pretendere da
Olmert. La fine del blocco della Striscia è stato già deciso dell'Alta Corte di
Gerusalemme che, proprio ieri, ha ordinato al governo
israeliano la ripresa delle forniture alle centrali elettriche di Gaza. Quanto
alla proposta di Abu Mazen di riprendere il controllo del valico di Rafah,
Olmert si guarda bene dal commentarla. Il premier israeliano in queste ore
pensa soprattutto alla propria sopravvivenza politica. La scorsa notte i
dodici rabbini del Consiglio dei Saggi riuniti a casa di Ovadia Yosef, padre
spirituale del partito ultraortodosso Shas, hanno discusso l'uscita in termini
di principio dal governo. Da oggi il capo del partito Eli Yishai potrebbe
decidere se abbandonare subito l'esecutivo o attendere ancora. Senza i dodici
deputati ortodossi l'esecutivo di Ehud Olmert è praticamente morto. Dopo
l'addio a metà gennaio di Avigdor Lieberman e dei suoi deputati, la maggioranza
controlla appena 67 dei 120 seggi del Parlamento. "La riunione è un primo
passo sulla strada dell'abbandono, ma non significa che questo avvenga
immediatamente", confermavano ieri i portavoce del partito. Per vedere
cadere l'esecutivo basterà, forse, attendere la presentazione annunciata per
dopodomani del rapporto sulla guerra in Libano dell'estate 2006 stillato dalla
commissione Winograd. Un giudizio troppo aspro sulle responsabilità del
premier, seguito dall'uscita dall'esecutivo dei laburisti, segnerà con tutta
probabilità il vero colpo di grazia per Olmert.
( da "Messaggero, Il" del
28-01-2008)
Consultazioni con il presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, al Quirinale. E a Gerusalemme, nelle vesti di presidente
dell'Unione interparlamentare, parlerà davanti al
parlamento israeliano, la Knesset, riunito per la giornata della Memoria, e
ricorderà la "Shoah", lo sterminio di sei milioni di ebrei in Europa
da parte dei nazifascisti. Nella stessa sessione, interverrà anche il premier
israeliano, Ehud Olmert. La visita di Casini durerà tre giorni, durante i quali
avrà incontri al massimo livello. Domani sarà a colloquio con il
presidente di Israele, Shimon Peres, con il ministro
degli Esteri, Tzipi Livni, e Silvan Shalom, presidente della delegazione
israeliana dell'Unione interparlamentare. Mercoledì, infine, il leader
centrista sarà ricevuto dal primo ministro, Ehud Olmert, e visiterà il museo
dell'Olocausto, lo Yad Vashem, interamente rinnovato, luogo di grande
suggestione e di profonde emozioni, dove viene ripercorsa la storia dello
sterminio degli ebrei in Europa, dalle leggi razziali, alle deportazioni nei
lager, alle camere a gas fino all'immigrazione clandestina nella Terra
promessa, sotto il protettorato inglese, e alla creazione dello Stato di Israele. Un viaggio, particolarmente significativo, dunque,
per Casini, da sempre molto interessato alla questione estere, in particolare
del Medio Oriente, che rinsalda il suo rapporto con Israele,
intessuto già quando era presidente della Camera, che si è ulteriormente
rinsaldato da quando presiede l'Unione interparlamentare. Questa volta, lo
accompagneranno alcuni amici ebrei romani, gli stessi che sono stati con lui
domenica scorsa ad ascoltare il Pontefice a San Pietro, dopo la mancata visita
all'università "La Sapienza". A unirli è la consapevolezza che
"solo il dialogo, anche tra le posizioni apparentemente più distanti, può
favorire il confronto e la costruzione della pace". E sabato sera, con gli
stessi amici, proprio in coincidenza con la Giornata della memoria, Casini e la
moglie, Azzurra Caltagirone, sono stati ospiti della Fondazione Schnerson, che
si occupa delle istituzioni benefiche ebraiche, fondate da Rav Hazan, rabbino
dei "Lubavitch", insieme all'ambasciatore di Israele,
Ghideon Meir, al Rabbino capo di Roma, Riccardo Pacifici e ai vertici
dell'ebraismo romano. R.P.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - MILANO - sezione: Tempo Libero -
data: 2008-01-27 num: - pag: 18 categoria: REDAZIONALE OLMETTO ULTIMA REPLICA
La guerra che non si può vincere Il dialogo, l'incontro, il riconoscimento del
dritto dell'altro. Eugenio de Giorgi, dammaturgo e regista, con un gruppo di giovani attori porta in scena il pensiero dello
scrittore israeliano David Grossman, facendo vivere in brevi scene momenti
della tragedia del conflitto israelo-palestinese. Storie ordinarie di vita, di
speranze, di paure, di adulti e ragazzi di entrambe le parti in guerra che
sognano la "normalità" della pace. Uno spettacolo per
conoscere e riflettere.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE A
81 anni Morto George Habash, stratega dei dirottamenti Morto a 81 anni George
Habash: fondò il Fronte popolare di liberazione della Palestina, fu
rivale di Arafat e stratega dei dirottamenti aerei. Tre giorni di lutto
proclamati dall'Autorità Palestinese.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri -
data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE Giornata della memoria
Qui i nazisti non ricorsero alle camere a gas, ma a fucilazioni di massa nei
boschi Padre Desbois disseppellisce la "Shoah delle pallottole" Un
prete francese riscrive la storia dell'Olocausto in Ucraina I testimoni:
"Sul bordo della fossa era stata sistemata una scala. Ad uno ad uno,
completamente nudi, scendevano i gradini e si sdraiavano sui corpi di quelli
che erano stati uccisi prima di loro" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI -
Il viaggio nella memoria, Patrick Desbois, prete francese, l'ha cominciato
nell' infanzia. "Da bambino, mio nonno raccontava gli anni della prigionia
in Ucraina. Quando veniva portato fuori dalla cella, per le ore di lavoro
forzato, assisteva tutti i giorni a esecuzioni sommarie di ebrei". Dopo
un'esperienza di professore di matematica nell'Alto Volta, Patrick Desbois,
oggi cinquantenne, decise di entrare in seminario. Ordinato sacerdote, ha speso
gli ultimi dieci anni alla ricerca di tracce e testimonianze che confermassero
il racconto del nonno. "Ho sempre sentito la Shoah come un dovere e una
responsabilità". Il viaggio nella memoria si è trasformato in missione di
giustizia ed eccezionale risultato storico, perché alza il velo su un capitolo
dell' Olocausto quasi ignorato e mai documentato nelle sue spaventose
dimensioni: la scomparsa di un milione e mezzo di ebrei dall'Ucraina occupata
dai nazisti. E' uno sterminio sistematico e pianificato, ma il sistema è più
rapido e tecnicamente meno complicato delle camere a gas: la fucilazione di
massa. "Quando si parla di fucilazione, si è portati a immaginare azioni
improvvise e condizionate dagli avvenimenti bellici. Invece - racconta padre
Desbois - ho potuto accertare che i nazisti verificavano identità dei prigionieri
e origini etniche della popolazione locale prima di passare all'azione. I
carnefici erano le truppe speciali inviate a questo scopo da Himmler, ma una
parte della popolazione locale fu costretta a collaborare allo sterminio.
C'erano gli addetti al trasporto dei cadaveri o alla preparazione delle fosse e
ragazzi incaricati di raccogliere i denti d'oro e gli abiti dei morti. I
prigionieri ebrei venivano ammassati nei boschi o al centro dei villaggi. Per
tenerli tranquilli, girava la voce che si stava preparando un grande trasferimento in Palestina. Fra i civili ucraini, chi
non ubbidiva o addirittura nascondeva ebrei veniva condannato a morte. Ma ci
sono state uccisioni di ebrei ancor prima che i nazisti occupassero
l'Ucraina". Dopo diversi viaggi in Ucraina, con una piccola troupe di
interpreti ed esperti balistici, dopo centinaia di interviste di ultimi
sopravvissuti e analisi di documenti che, fino alla dissoluzione
dell'Unione Sovietica, erano occultati o inaccessibili, padre Desbois ha
localizzato 2.200 luoghi di sterminio - fosse comuni, canali, cimiteri, boschi
- e condotto un'inchiesta dettagliata su 600. "Il lavoro continua. Ogni
viaggio aggiunge pezzi di questo orrendo mosaico. Ho anche trovato un cimitero
di prigionieri italiani fucilati - racconta -. All'inizio mi sembrava un'
impresa impossibile. I sopravvissuti sono pochi e ancora meno quelli disposti a
parlare. L'Ucraina ha subito anche le deportazioni staliniane e fino agli anni
Ottanta ci sono stati processi e fucilazioni per collaborazione con il nazismo.
La propaganda sovietica non metteva nel conto gli ebrei, ma parlava in generale
di vittime civili. Mi hanno aiutato preti locali, sindaci di villaggi sperduti.
Poi, a poco a poco, il velo si è squarciato, la gente ha cominciato a ricordare
l'orrore: "Dovevamo preparare il pranzo per i soldati incaricati delle
esecuzioni. Loro mangiavano sul bordo della fossa e sparavano. Alla fine del
pranzo c'erano un migliaio di ebrei in meno", questo è ad esempio il
racconto di una donna che lavorava alla mensa. Un altro mi ha raccontato che un
ufficiale accompagnava la fucilazione con un'armonica. E' stato incredibile
ritrovare quell'armonica dove c'era la fossa comune". Tutto è stato
verificato, filmato in 700 ore di registrazione e repertoriato. La "Shoah
delle pallottole" è stata presentata in una mostra a Parigi e raccontata
da padre Desbois in un libro ("Porteur de memoires", ed. Michel
Lafon) in cui sono raccolte le testimonianze più significative. "Sul bordo
della fossa era stata sistemata una scala. Gli ebrei del villaggio dovevano
spogliarsi. Ad uno ad uno, famiglia dopo famiglia, completamente nudi,
scendevano i gradini e si sdraiavano sui corpi di quelli che erano stati
fucilati prima di loro. C'erano uomini, donne e bambini. Un poliziotto tedesco,
di nome Humpel, marciava sui corpi e sparava un colpo alla nuca. Indossava un
camice bianco, forse per proteggere la divisa dagli schizzi di sangue. Poi
risaliva la scala, prendeva un sorso di grappa e ricominciava. Il massacro è
durato una giornata intera. Humpel uccise tutti gli ebrei del villaggio. Da
solo". Le imprese del soldato Humpel sono ricordate da due sorelle
ucraine, Vira e Luba, anziane abitanti del villaggio di Senkivishvka. "I
partigiani poi uccisero il soldato Humpel", ricordano. "Sono un prete
cattolico, cresciuto nella Bresse. Come sono arrivato fin qui per ascoltare il
racconto di poveri contadini su quanto accaduto nei loro villaggi? Come è stato
possibile che il sentiero della mia infanzia s'intrecciasse con il racconto dei
crimini nazisti? è ciò che provo a raccontarvi in queste pagine", scrive
padre Desbois nella prefazione. "Balbettando ", aggiunge. Ex
professore di matematica Padre Patrick Desbois ha dedicato gli ultimi dieci
anni alla documentazione dello sterminio di un milione e mezzo di ebrei
"dimenticato" dalla propaganda sovietica Colpo alla nuca Un SS spara
alla nuca a un ebreo ucraino inginocchiato sul bordo di una fossa comune. I
carnefici erano le truppe speciali inviate da Himmler, ma una parte della
popolazione locale fu costretta a collaborare allo sterminio. Chi non ubbidiva,
veniva condannato a morte Massimo Nava.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli -
data: 2008-01-27 num: - pag: 48 categoria: REDAZIONALE Beethoven Alla Scala
Anche al piano Barenboim è autorevolezza di ENRICO GIRARDI C i sono studenti
che seguono il concerto su sedie collocate sul palco attorno al pianoforte. E
il primo brano che si ascolta è proprio il primo della lunga serie, l'opera 2
n. 1, Sonata di un Beethoven che omaggia Haydn lasciando gli elementi del
proprio vocabolario a venire in una forma ancora potenziale. L'inizio del ciclo
di 8 concerti che fino a giugno vedranno Daniel Barenboim affrontare alla Scala
l'integrale delle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven ha vago sapore
di Hausmusik. Ma l'impressione dura il tempo di un amen. Un po' fa anche il modo semplice e irrituale con il quale il maestro
israelo-argentino entra in una Scala che pure è gremita come nelle migliori
occasioni: senza ostentare i tormenti di chi si trovi solo all'attacco
dell'altissima vetta ma nemmeno la apparente naturalezza di quanti vogliono
comunicare che sostenere l'impresa è cosa ovvia e facile. La verità è
che si entra immediatamente in medias res; il pianismo di Beethoven è tutta
sostanza, pensiero che dà forma e la testa, prima ancora delle mani, di
Barenboim lo dicono con la forza dell'evidenza. Non la ricerca di un'eleganza,
non la ricerca ossessiva di un "bel suono", ma il piacere di lasciar
parlare la cosa. Ecco allora l'umorismo dell'opera 31 n.3, ecco la follia e la
tensione dell'op.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - MILANO - sezione: Cronaca di
Milano - data: 2008-01-28 num: - pag: 2 categoria: REDAZIONALE Cerimonie Corteo
da San Babila in Stazione, manifestazione in piazza Duomo Shoah, Milano al
Binario 21 "Orrore da non dimenticare" Bertinotti agli studenti:
spetta a noi vincere il male "Sappiate cogliere i segnali
dell'antisemitismo", dice il rabbino Alfonso Arbib rivolto alla platea in
piazza Duomo. Perché "la Shoah non è nata dal nulla ma da una lunga storia
di pregiudizio ". Un applauso rompe il silenzio che aveva accompagnato il
corteo partito da San Babila. Un'ora più tardi, il presidente della Camera,
Fausto Bertinotti, parlando alla folla raccolta al Binario 21 della Centrale
per salutare i 700 studenti diretti ad Auschwitz con la Provincia, aggiungerà:
"Non si può comprendere la Shoah. Ma bisogna conoscere. Perché dipende da
noi se il male può ritornare ". La tentazione della retorica è forte nella
Giornata della Memoria, quando le bandiere degli ex deportati e sopravvissuti
ai campi di sterminio si mescolano a quelle dei giovani della sinistra della
Comunità ebrea, degli Amici di Israele bianche e
azzurre, dei sindacati confederali e dei rom, che sfilano in corso Vittorio
Emanuele. Ci sono i discorsi di rito ma anche il microfono offerto per la prima
volta ad Aurelio Mancuso, presidente Arcigay, che interviene accanto al
presidente del Consiglio comunale e al segretario Cgil Onorio Rosati. Si
consegna ai giovani il fardello del ricordo di una tragedia. E ai giovani era
andato in mattinata il pensiero di Haim Baharier, in un Teatro Parenti dove non
c'era più posto neanche in piedi. Per quanto se ne parla, ha aggiunto il
vicepresidente della Provincia, Mattioli, "non è mai abbastanza ".
Piccolo corteo, grande occasione per ricordare alle istituzioni che "si
trovi una sede per l'associazione degli ex deportati, sfrattata" come fa
Yasha Reibman, deciso a tenere unito il filo che lega il passato al presente.
Come farà Ferruccio de Bortoli, presidente della Fondazione Memoriale della
Shoah, leggendo una lettera ricevuta 10 anni fa, nel 60Ë? delle leggi razziali,
da un sopravvissuto. E l'emozione contagerà i liceali al binario 21, e
Bertinotti e i curiosi che seguono la cerimonia da un maxischermo in via
Aporti. Parole e musica - la fisarmonica del rom Jovic Jovica, e poi un
notturno di Chopin - per sigillare i ricordi. Paola D'Amico Giornata Il corteo
e l'arrivo in Duomo. Gli studenti al Binario 21.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache -
data: 2008-01-28 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE Olanda
AnnaFrankconkeffiyah:"Oltraggio" DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME - C'è
un innocuo chef con le cuffie che frigge un vinile, una ragazza in lacrime,
l'ombra della bimba che vola con i palloncini disegnata da Banksy sul muro
israeliano in Cisgiordania, un coniglio gigante, la riproduzione di una vecchia
caricatura di Hitler che porta all'altare Stalin vestito da sposa. E c'è pure
il volto di Anna Frank, la riproduzione della celebre foto in cui sorride e
guarda di lato, con un'aggiunta: al collo porta una keffiyah bianca e rossa
palestinese. Ironia e politica, arte e comunicazione. Provocazione e basta
secondo il Centro dell'Aja per l'Informazione e la Documentazione su Israele (Cidi): quella cartolina, infilata tra le altre in
offerta nei bar e nei ristoranti olandesi, deve essere ritirata perché
"offensiva, falsa, di cattivo gusto". "Anna Frank è il simbolo
dell'Olocausto e della persecuzione- spiega a nome del Cidi
Tuvit Shlomi al quotidiano israeliano Haaretz -. La keffiyah rappresenta la
resistenza palestinese all'occupazione dello Stato ebraico. Troviamo questo
accostamento inaccettabile". Il comunicato emesso dal Centro è anche più
esplicito: "Israele e i palestinesi sono coinvolti in un conflitto. I
palestinesi non sono perseguitati, non ci sono campi di sterminio, non c'è
genocidio". L'editore delle cartoline, Boomerang, non è d'accordo. Non
tanto su quest'ultimo punto, quanto piuttosto sul "cattivo gusto"
dell'immagine che ha scelto di stampare. Il ritratto rivisitato della bimba del
Diario morta a Bergen-Belsen, già da tempo graffito sui muri di Amsterdam, è stato
realizzato da un artista conosciuto come T. con tutt'altro obiettivo, spiega
ancora ad Haaretz il caporedattore Pascale Bosboom: "Creare un'immagine
ideale, in cui entrambi gli Stati esistono, l'uno accanto all'altro, in pace.
Un simbolo di fraternità e di riconciliazione". A. Cop. Palestinese Anna
Frank con al collo una keffiyah bianca e rossa palestinese.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache -
data: 2008-01-28 num: - pag: 16 categoria: REDAZIONALE
Giornata della memoria Rutelli: dobbiamo imparare dalla storia Israele: l'antisemitismo è in calo in Europa Bertinotti agli studenti:
il male può tornare Celebrazioni in tutti i Paesi. L'ex ambasciatore Horin: il
Papa non ne ha parlato all'Angelus ROMA - "C'è un paio di scarpette rosse
per la domenica a Buchenwald. Erano di un bambino di tre anni. Forse di
tre anni e mezzo. Chissà di che colore erano gli occhi bruciati nei forni. Ma
il suo pianto lo possiamo immaginare". Con la voce di una bimba che
recitava Joyce Lussu, si è aperta ieri alla Risiera di San Sabba, campo di sterminio
nazista a Trieste, la giornata della memoria celebrata in tutta Europa. Per non
dimenticare la Shoah, i sopravvissuti e le vittime. Comprese le più piccole
come Sergio De Simone: sette anni quando arrivò in Risiera, venne strappato
alla mamma, trasferito a Birkenau, torturato da Mengele e ucciso. I 63 anni
dalla liberazione di Auschwitz si aprono con una buona notizia. Cala in Europa
l'antisemitismo. A sostenerlo è un rapporto presentato dal governo israeliano
che vede una diminuzione di "incidenti" rilevati. Ma l'ottimismo si
scontra anche con alcuni dati negativi. In Germania, in Gran Bretagna, negli
Usa, in Australia e in Ucraina gli episodi di antisemitismo aumentano.
"Non abbiamo imparato la lezione della storia?" si chiede dunque alla
Conferenza internazionale sull'antisemitismo aperta ieri a Roma dal ministro
dei Beni Culturali Francesco Rutelli in assenza di Romano Prodi ("dovuta
alla crisi di governo - ha spiegato Rutelli - ma che non diminuisce l'intensità
e il significato di questo incontro"). Per il vicepremier "dobbiamo
lottare contro la neutralizzazione progressiva della memoria soprattutto mentre
i testimoni diretti della Shoah stanno via via scomparendo". Renzo
Gattegna, presidente dell'Unione comunità ebraiche, sottolinea che "la
Shoah non è solo degli ebrei. E nel giorno della memoria gli ebrei non sono e
non vogliono essere protagonisti". Anche se è lo stesso Elie Wiesel,
scrittore sopravvissuto al lager, a specificare che "senza l'antisemitismo
Auschwitz non ci sarebbe stato". Anche per il presidente della Camera,
Fausto Bertinotti "non è vero che il male non può tornare".
"Dipende da noi - avverte -. Dalle nostre scelte individuali e
collettive". A un gruppo di 700 studenti che ieri è partito per Auschwitz
dal binario 21 della stazione di Milano, prima tappa per l'inferno per milioni
di ebrei, dissidenti, zingari, gay, Bertinotti ha spiegato: "Esiste una
sola cosa peggiore dell'idea che ci sia un'etnia inferiore: l'idea che ce ne
sia una superiore". "Voi andate dove è morto l'uomo", ma
"credo che un ricordo indelebile possa ricostruire la pace insieme con il
dialogo fra le civiltà". A Venezia la ricorrenza si è unita al
settantesimo anniversario delle leggi razziali firmate da casa Savoia. E il
sindaco Cacciari ha invitato a non dimenticare questa "vergogna". I
nazisti "non agirono da soli ma trovarono un complice anche nel-l'Italia
fascista con l'adozione delle leggi razziali" ha rincarato il sindaco di
Trieste, Roberto Dipiazza. Anche la tv e le radio sono state mobilitate nel
ricordo. E c'è chi, come Nathan Ben Horin, ex ambasciatore di Israele presso la Santa Sede ha notato "con sorpresa e
dolore" che il Papa non ne ha fatto cenno nell'Angelus. "Mi ha
meravigliato - dice - la differenza con il presidente Napolitano che al
Quirinale ha fatto un discorso molto toccante". "Peccato - si
rammarica Furio Colombo - che proprio lui, al contrario di Angela Merkel e di
persone che in Germania hanno ruoli di responsabilità, ha lasciato questo vuoto
che almeno una parola avrebbe potuto riempire". "Si vede che la
memoria lui l'ha persa" sdrammatizza, amaro, Riccardo Di Segni chiedendosi
"come mai il Papa abbia mancato una celebrazione che non è solo degli
ebrei ma di tutto lo Stato". "Wojtyla non se lo sarebbe dimenticato"
affonda Viktor Majar. Di tutt'altro parere Riccardo Pacifici: "Qualcosa il
Papa l'ha già detta nei giorni scorsi. E di questa giornata si è parlato più di
quanto sognassimo. Sta diventando persino imbarazzante ". Virginia
Piccolillo GUARDA Video e foto su www.corriere.it.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache -
data: 2008-01-28 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE Berlino I documenti di
"Welt" sul passato del maestro Ecco le tessere naziste di Herbert von
Karajan DAL NOSTRO INVIATO BERLINO - Era, ed è, uno dei segreti aperti (e
tollerati) della Germania. Il passato con simpatie - e protezioni - naziste di
Herbert von Karajan, il più amato tra i direttori, quello che dopo la guerra è
diventato il simbolo non solo d'un suono moderno, ma anche della rinascita, e
non solo culturale, della Germania. E mentre il Paese si appresta a festeggiare
i 100 anni della sua nascita (1908-1989) con quello che sarà l'evento musicale
dell'anno (festival, concerti, e l'edizione completa delle sue direzioni in 156
Cd), qualche giornale torna a rivangare il suo passato. Del quale il maestro -
dice la biografia appena pubblicata dalla sua terza moglie, la modella Eliette,
"Mein Leben auf seiner Seite" (la mia vita al suo fianco) - perfino
con lei non ha mai voluto parlare. Ed ecco che la Welt, giornale conservatore,
tira fuori quello che si sapeva, ma che il pubblico non aveva mai visto. Due
tessere del partito nazionalsocialista di von Karajan, la prima del 1933, la
seconda del 1935 quando s'era riscritto al partito di Hitler. "Camerata
von Karajan ", è il titolo di un lungo servizio. N. 1607525 il primo,
quando ancora viveva a Salisburgo e l'Austria non era annessa dal Reich, n.
3430914 il secondo, iscritto alla sezione di Aachen. Peccati di carrierismo,
come s'è sempre detto? La voglia d'arrivare che lo portò a dirigere, a
trent'anni, e sotto la protezioni di GÖring e Goebbels, "Tristano e
Isotta" di Wagner alla Staatsoper? Von Karajan pagò quella scelta, quando
gli americani della Zona A gli impedirono fino agli anni Cinquanta di tornare
sul palco. Né gli ebrei dimenticarono, se nel 1955 al Carnegie Hall lo
accolsero con i manifesti "Lei ha aiutato Hitler a sterminare milioni di
persone ", e Israele si è
rifiutata di ospitare i Berliner Philarmoniker, lui direttore, fino alla sua
morte. Ma di questo, in Germania - nonostante qualche biografia - finora non
s'è voluto parlare molto. Ma. G. La tessera La prova del passato con simpatie
naziste del direttore d'orchestra Herbert von Karajan, pubblicata dal giornale
conservatore tedesco "Welt". Due tessere del partito
nazionalsocialista di von Karajan: la prima del 1933, la seconda del 1935,
quando s'era riscritto al partito di Hitler In concerto Herbert von Karajan
(1908-1989) è stato il più amato tra i direttori d'orchestra tedeschi, quello
che dopo la guerra è diventato il simbolo della rinascita della Germania.
( da "Corriere della
Sera" del 28-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Lettere al
Corriere - data: 2008-01-28 num: - pag: 27 categoria: BREVI FORZE ARMATE
Raccolta dei rifiuti Caro Romano, uno degli aspetti meno evidenti, ma non per
questo meno imbarazzante, della crisi della spazzatura in Campania è
rappresentato dall'impiego dell'Esercito nella raccolta dei rifiuti. Una
situazione a dir poco paradossale; infatti, mentre una parte delle Forze armate
è impegnata in missioni all'estero, impegnata talvolta in combattimento (come
in Afghanistan), un'altra parte viene impiegata in compiti che non le dovrebbero
spettare. Considerando poi che l'istituzione del modello professionale per le
Forze armate stesse si basava sul presupposto che queste ultime avrebbero
dovuto trasformarsi in uno strumento militare con compiti e ruoli diversi dal
passato e che la ventilata riduzione del numero di militari di cui si parla da
tempo avverrebbe proprio sulla base della necessità di ammodernarle
ulteriormente per far fronte alle minacce dei giorni nostri, vedere dei soldati
alle prese con i rifiuti sembrerebbe ben poco coerente con quanto è stato
detto, da più parti, fino ad ora. Giovanni Martinelli giova.mart@tin.it Lei ha
ragione naturalmente. Ma quella di Napoli era diventata ormai una emergenza
sanitaria e civile, con gravi rischi per la salute e l'ordine pubblico. A chi
dovrebbe rivolgersi il governo, in queste circostanze, se non alle Forze
armate? Ma il fatto che sia stato costretto a usare uno strumento improprio,
concepito per altri fini, rende la sua responsabilità ancora più evidente. STATO ISRAELIANO I confini Caro Romano, lei asserisce che la Palestina mandataria è "oggi inclusa per buona parte nei confini
dello Stato israeliano". Il mandato britannico non indicava con esattezza
i territori tuttavia precisava che le terre a Est del Giordano facevano parte
della Palestina. Dal 1922 questa zona, definita allora Transgiordania,
oggi Giordania, quasi l'ottanta per cento della superficie totale, pur
rimanendo sotto mandato britannico, fu gradualmente trasferita
all'amministrazione di un governo arabo. Ne risulta, quindi, che Israele, l'odierna Palestina e Gaza
messi assieme rappresentano circa il 22% dell'originale mandato. Stante
l'incertezza dell'attuale situazione è difficile stabilire con esattezza i
confini dello Stato d'Israele, ma siamo ben lontani
dall'includere in essi il territorio della Palestina
mandataria, come lei asserisce. Franco Ottolenghi franco.ottolenghi@ tiscali.it
L'originale mandato britannico sopravvisse fino al maggio 1923 quando la
Transgiordania venne organizzata come Stato autonomo sotto la guida dell'emiro
Abdullah Ibn Hussein, figlio dello sceriffo della Mecca. Da allora Palestina e Transgiordania divennero entità separate, anche
se soggette, ma in misura alquanto diversa, al controllo britannico. PARLAMENTO
Brutto spettacolo Dopo quanto è successo in questi giorni nel Parlamento la
reazione che mi viene immediata è di non andare a votare in caso di elezioni
anticipate. Se queste verranno indette spero tanto che nel frattempo avvenga
qualcosa che mi convinca del contrario. Vittorio Cravotta Selargius (Ca) IN
TRIBUNALE Difendersi da soli L'articolo 6.3.c della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con
legge 4 agosto 1955, numero 848, recita: "Ogni accusato ha diritto a difendersi
personalmente o ad avere l'assistenza di un difensore di sua scelta". Per
rispettare l'impegno che assumemmo, bisognerebbe permettere che un imputato si
possa difendere da solo. Allo scopo, occorrerebbe che il Codice di procedura
penale fosse modificato in modo che anche un profano possa difendersi senza
farsi rappresentare da un avvocato iscritto all'Ordine. Sarebbe interessante
sapere in quali altri Paesi europei esiste l'obbligo di farsi rappresentare, in
tribunale, da un avvocato. Mario Scarbocci San Donato Milanese DALLO SPAZIO
Caduta del satellite Gli Usa ci mettono in allarme: tra un mese cadrà sulla
Terra un satellite spia. C'è spazzatura anche lassù, tanta. Cerchiamo spazi
incontaminati ma meglio non metterci piede: l'uomo lascia dietro se una scia
pesante e l'entropia avanza. Filippo Testa Baldissero Torinese (To) UOMINI
POLITICI Il buon senso Dopo la caduta del governo Prodi il presidente della
Repubblica Napolitano, come consuetudine, ha avviato le consultazioni con i
leader dei vari partiti. Gli italiani aspettano e sperano che qualcosa cambi in
modo radicale soprattutto negli uomini politici e si auspicano che a
prescindere dall'appartenere al centro, alla destra o alla sinistra, chiunque
ci governi lo faccia con consapevolezza e responsabilità, usando soprattutto il
buon senso, altrimenti la caduta di Prodi rimane solo uno scherzo di carnevale.
Decimo Pilotto Tombolo (Pd) DORMITORIO PUBBLICO I telefonini Svolgo attività di
volontariato presso un dormitorio pubblico (servizio mensa serale). Noto che
molti ospiti sono dotati di telefonino. E' davvero così essenziale, anche per
persone che non hanno lavoro e vivono di sussidi? Più importante della stessa
casa, che non hanno, e vivono in un centro di accoglienza comunale? Daniele
Zocca, Bologna IMPRENDITORI Premi in busta paga Alcuni imprenditori hanno
iniziato a riconoscere ai dipendenti come premio alla produttività e alla
qualità del lavoro svolto un contributo economico in busta paga. Si riconosce
informalmente la perdita del potere di acquisto dei salari e le difficoltà di
arrivare a fine mese. Ma quello che non si è fatto con interventi diretti e
strutturali sul cuneo fiscale non può essere tamponato con qualche una tantum.
Andrea Sillioni Bolsena (Vt).
( da "Tempo, Il" del
28-01-2008)
Cala l'antisemitismo in Europa secondo un rapporto dello
Stato di Israele Shoah, ricordo indelebile Giornata
della memoria Manifestazioni in tutta Italia Oggi a Roma convegno su
"Olocausto e negazionismo" Cala in Europa l'antisemitismo, pur se con
qualche eccezione, come indica il rapporto presentato ieri
al governo israeliano in occasione del Giorno della Memoria che è stato
ricordato in tutta Italia come in gran parte della stessa Europa. E David
Grossman, lo scrittore israeliano che ieri ha ricevuto a Firenze la laurea
honoris causa, spiega che ogni ebreo è una sorta di "colombo
viaggiatore" della Shoah che lo "voglia o no". Home
Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Pizzi...cati al Senato Pirelli,
l'arte nel viaggio. Fotografia, grafica e design in mostra a Milano Napolitano,
via alle consultazioni Gaza, l'Egitto apre i varchi ai palestinesi Il Governo
supererà lo scoglio della fiducia? Silvia Mancinelli Una prova ... Ed anche il
presidente della Camera Fausto Bertinotti parlando a Milano - dove è partito
per una visita ad Auschwitz un treno di studenti - sottolinea l'importanza del
ricordo e del dialogo tra le civiltà. "Per la memoria della tragedia
irreparabile di Auschwitz, simbolo di tutti i mali del mondo - dice -, credo
che un ricordo indelebile possa ricostruire la pace insieme con il dialogo fra
le civiltà". A conclusione della giornata - che ricorda il 27 gennaio del
1945 la liberazione di Auschwitz da parte dei sovietici - si tiene a Roma, fino
a oggi, il convegno su "Antisemitismo e negazione dell'Olocausto. Moderni
crimini contro l'umanità. Il mondo non ha imparato la lezione?",
organizzato dal Ministero dei Beni Culturali, che vedrà la partecipazione del
vicepremier Francesco Rutelli e quella del presidente dell'Unione delle
Comunità ebraiche Renzo Gattegna. Un convegno che oggi vedrà, tra gli altri, le
testimonianze di Franco Frattini per la Ue, del ministro dell'interno Giuliano
Amato, ma anche quella di storici importanti come Anna Foa, Vittorio Dan Segre,
Riccardo Calimani, Deborah Lipstadt che ha spinto per l'incriminazione dello
storico negazionista David Irving, di Charles Small e del Nobel Elie Wiesel,
scampato ai campi di sterminio. Quest'anno la ricorrenza del Giorno della
Memoria si è intersecata con il 70/mo anniversario delle Leggi razziali del
1938, firmate da casa Savoia, e il sindaco di Venezia Massimo Cacciari
sottolinea quest'aspetto: "sono pochi anni - dice - che si sta studiando
quella vergogna, perch? poi l'enormità dello sterminio ha fatto sì che quasi si
potesse dimenticarla, come se non si potesse paragonare la discriminazione
delle leggi razziali alla persecuzione di Auschwitz". Anche il sindaco di
Trieste di Forza Italia Roberto Di Piazza - nella cerimonia di alla Risiera di
San Sabba unico campo di sterminio in Italia - ammonisce che i nazisti
"non agirono da soli ma trovarono un complice anche nell'Italia fascista
che con l'adozione delle leggi razziali si indirizz? su una strada di non
ritorno". Vai alla homepage 28/01/2008.
( da "Tempo, Il" del
28-01-2008)
Vittima della ferocia d'una ideologia di sterminio, ma
anche (soprattutto?) della viltà della gente per bene, che sapeva solo tacere,
che fingeva di non vedere. Ho ripensato al signor Orvieto ieri, mentre seguivo
le cerimonie del 27 gennaio. "Olocausto", nome sacrale; Shoah, parola
pesante come un macigno sulle coscienze. Home prec succ Contenuti correlati
Pizzi...cati al Senato Pirelli, l'arte nel viaggio. Fotografia, grafica e
design in mostra a Milano Napolitano, via alle consultazioni Gaza, l'Egitto
apre i varchi ai palestinesi Il Governo supererà lo scoglio della fiducia?
Hinkemann, il dramma di un reduce di guerra Le millenarie vicende del genere
umano sono piene di orrori. Ma a rendere particolarmente imperdonabili i
genocidi del XX secolo contribuiscono due cose: primo, il fatto ch'essi
riguardano da vicino le generazioni dei nostri padri, dei nostri nonni e anche
le nostre; secondo, essi non appartengono a chissà quale passato di barbarie
bensì a un presente che si ama tuttora dipingere come un'età di magnifiche
sorti e progressive. Infamie venute dopo i Diritti dell'Uomo; partorite dallo
stesso ventre che ha generato Illuminismo e Umanitarismo. Per questo sono tanto
più imperdonabili. Il mio studio fiorentino è un ambiente piccolo. Uno scaffale
è riempito dalle testimonianze dell'orrore del Novecento: grossi "Libri
Neri" (del comunismo, del capitalismo, del colonialismo, della guerra) e
una serie di monografie sulle stragi: degli ebrei, degli armeni, dei kulaki
russi, degli indiani d'America, dei popoli africani. Il 27 gennaio,
anniversario della scoperta del Lager di Auschwitz, è ricorrenza dedicata alla
Shoah: a proposito della quale si continua a discutere se essa sia stata
"unica" della sua immane tragedia, oppure "esemplare" nel
suo carattere di caso estremo magari ma tipico d'un orrore la concezione del quale
era del tutto moderna. Non facciamo questione di numeri: non c'è nulla di più
ripugnante della computisteria funebre. Il punto è un altro: intender sul
serio, e in concreto, il significato di quella frase che troppo spesso
pronunziamo distrattamente, come un mantra che rischia di tingersi di retorica
e di conformismo. "Dovere della memoria". Sì. Un dovere sacrosanto.
Ma che non può essere soltanto passivo. Non dimentichiamo che il ventre che ha
partorito quegli orrori è ancora gravido, ma capace di camuffarsi. E sono tante
le Auschwitz che funzionano ancora oggi. Nel Vicino e Medio Oriente, dove si
muore di guerra e di terrorismo. In Libano, in Israele, in Palestina, dove sarebbe sacrosanto eppure è quasi impossibile distinguere
tra vittime e carnefici. Nell'Estremo Sud-Est asiatico e in America latina,
dove tirannia e fanatismo falciano quotidianamente vite umane. In Africa, dove
si stanno combattendo guerre tribali con mezzi ultramoderni e dove si continua
a morire di Aids e di fame. E perfino nel nostro felice e libero
Occidente: dagli ospedali dai quali s'innalza verso Dio il grido silenzioso
degli innocenti assassinati per carenza o mancanza di cure, o soppressi prima
di nascere, fino all'orribile paradosso di luoghi come Guantanamo, nei quali si
consuma l'assurdo della violenza perpetrata nel nome della Libertà. Qui non si
tratta di esportar democrazia. Si tratta di lottare contro l'infelicità e
l'ingiustizia. Vai alla homepage 28/01/2008.
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 28-01-2008)
Prima Pagina Pagina 2 Gerrei. La medaglia di
"giusto" sarà conferita domani da Israele a
Roma L'eroe di San Nicolò che salvò centinaia di ebrei Gerrei.. La medaglia di
"giusto" sarà conferita domani da Israele a
Roma --> Aveva 36 anni quando fu fucilato: le Brigate nere fasciste avevano
scoperto che Salvatore Corrias, giovane finanziere di San Nicolò Gerrei, aveva
aiutato centinaia di ebrei a riparare in Svizzera. Nel suo paese fu dimenticato
e solo di recente si è ricostruita la storia di questo eroe della Resistenza.
Domani l'ambasciatore di Israele in Italia gli
conferirà la medaglia di giusto nella caserma della Finanza davanti a una
delegazione del Comune. La medaglia sarà esposta nel museo cittadino. SERRELI A
PAGINA 5.
( da "Opinione, L'" del
28-01-2008)
Oggi è Lun, 28 Gen 2008 Edizione 18 del 26-01-2008
Disinformazione di Hamas Gaza, buio in scena vince la propaganda di Dimitri
Buffa Lo sapevo. Ci siamo di nuovo cascati. Come su "Scherzi a parte"
. Ancora una volta i simpatici cineasti di Hollywood Palestina
l'hanno fatta in barba a tutti i media mondiali, molti dei quali ansiosi di
farsi fottere in questa maniera, con la simpatica balla di "Gaza al buio
perché quei boia degli israeliani ci hanno tolto la luce". A smascherare
la sceneggiata ancora una volta il Jerusalem Post che in un articolo dal titolo
molto significativo, "Luci spente, camera, azione", ha descritto la
conferenza stampa a lume di candela del leader golpista di Hamas Ismael Haniya,
che ha convocato all'uopo tutti i volenterosi giornalisti occidentali nel suo
ufficio mentre fuori dal palazzo però, piccolo particolare, le luci erano tutte
accese. A descrivere la ridicola messinscena anche una bravissima blogger
israeliana che scrive per informazionecorretta.com, Deborah Fait. Che ci
decrive la farsa con le parole usate da alcuni reporter israeliani:
"Haniya, ci ha convocati nel suo ufficio, siamo entrati e abbiamo trovato
lui e i suoi ministri, al buio, seduti intorno al tavolo e davanti a ognuno
c'era una candela accesa. Strano, abbiamo pensato, perché era giorno e sulle
scale c'era la luce elettrica! Avevano chiuso tutte le tende per rendere la
stanza completamente buia. Ci ha ordinato di fotografare e di ritornare la sera
stessa. Siamo ritornati e abbiamo trovato il quartiere al buio, nelle zone da
cui venivamo invece c'era la luce e decine di donne e bambini per la strada con
le candele accese in mano". Commento della Fait: "questi sono i
racconti dei giornalisti palestinesi arrivati ieri a Gerusalemme. Li abbiamo
visti e sentiti in diretta alla TV israeliana e stiamo ancora ridendo. Sembra
impossibile che i palestinesi siano tanto sicuri di poter prendere in giro il
mondo intero da arrivare a fare le sceneggiate "aiuto non abbiamo la luce,
Israele ci sta togliendo tutto!" persino durante
il giorno. Sono davvero arcisicuri che Eurabia creda ad ogni loro parola."
Scrive ancora la Fait sul proprio blog: "sembra impossibile ma hanno
ragione, il mondo gli crede, qualsiasi cosa dicano il mondo pende dalle loro
labbra e all'ONU ti schiaffano una bella risoluzione contro
Israele, senza nemmeno accennare ai bombardamenti su Sderot. Il mondo
urla "Israele affama i palestinesi" e li guarda, belli grassi, hanno
persino la pancia, i bambini hanno belle guanciotte rotonde però continuano a
gridare i soliti idioti "Israele affama i palestinesi, non
possiamo accettare una punizione collettiva". A Sderot invece si?
Sderot può essere punita collettivamente? I bambini di Sderot possono
im-pazzire di paura? Sparano 50 razzi al giorno, in poco più di 2 anni sono
caduti nel sud del Neghev più di 9000 Qassam". E a proposito di leggende
da sfatare ieri è caduta miseramente anche quella dell'umanitarismo di Moubarak
che avrebbe permesso ai sempre "poveri palestinesi" di
approvvigionarsi su territorio egiziano dopo avere fatto saltare il muro di cui
non parla nessuno, quello che chiude il valico di Rafah dalla parte egiziana.
Ieri infatti è stata la giornata dell'intervento massiccio delle unità anti
sommossa egiziane. Le agenzie riportano che "ieri mattina le autorità
egiziane avevano deciso di rafforzare il contingente di militari nella zona per
riprendere gradualmente il controllo della situazione e ripristinare il
confine". Secondo l'inviato della tv araba al-Jazeera, in realtà il valico
sarà chiuso oggi, mentre ieri i militari hanno avuto il compito di impedire
l'ingresso dei palestinesi in Egitto e di incoraggiare energicamente le decine
di migliaia ancora presenti nel loro territorio a tornarsene nella striscia di
Gaza. Appena ci scapperà il primo morto, e gli egiziani non vanno molto per il
sottile (loro gli omicidi non li mirano ma tendono a socializzarli), vedrete
che forse finirà anche la bella favola dell'Egitto equo e solidale.
( da "Opinione, L'" del
28-01-2008)
Oggi è Lun, 28 Gen 2008 Edizione 18 del 26-01-2008 Intervista
a Franco Perlasca / Anche l'Italia ha il suo "Schindler" Il figlio
del commerciante italiano, che fingendosi addetto all'ambasciata spagnola di
Budapest pose sotto la sua protezione e salvò da morte sicura circa 5000 ebrei,
racconta le gesta del padre di Stefano Magni Anche l'Italia ha il suo
"Schindler" da ricordare. Giorgio Perlasca, a Budapest, fingendosi
addetto all'ambasciata spagnola, pose sotto la sua protezione e salvò da morte
sicura circa 5000 ebrei. Impedì che venissero imbarcati sui vagoni della morte
che li avrebbero portati ai campi di sterminio, assicurò loro un rifugio sicuro
nelle abitazioni sulla riva del Danubio che erano di proprietà dell'ambasciata
(e dunque extra-territoriali) e fornì loro medicinali e viveri. Alla fine del 1944,
fingendosi sempre un diplomatico spagnolo e inventando minacce di ritorsioni da
parte del governo di Franco, riuscì a convincere il regime nazista ungherese a
non radere al suolo il ghetto ebraico di Budapest. Eppure Perlasca non era un
politico. Era un commerciante italiano, aveva combattuto come volontario in
Etiopia e poi in Spagna, era simpatizzante per il governo di destra ungherese
retto dall'ammiraglio Miklos Horthy, dal 1941 alleata con la Germania di
Hitler. La situazione cambiò drasticamente il 19 marzo del 1944, quando la
Germania occupò il paese e instaurò un regime-fantoccio. Fu allora che iniziò
la storia di Perlasca, una storia di eroismo che rimase completamente
sconosciuta fino al 1988, quando questo "eroe per caso" fu rintracciato
e ricontattato da alcune famiglie ebree ungheresi che aveva salvato. Che cosa
spinse Giorgio Perlasca a rischiare così tanto? Ne abbiamo parlato con suo
figlio, Franco Perlasca: "Non ci fu alcuna motivazione ideale o politica,
ma umanitaria - ci spiega - vedeva le persone che venivano prese e avviate
verso i campi di sterminio. Visto che aveva la possibilità di salvarle, lo fece
senza dubbi" Com'era la situazione in Ungheria fino alla primavera del
1944? Anche dopo lo scoppio della guerra, l'Ungheria era totalmente diversa
rispetto agli altri paesi dell'Europa orientale alleati dei nazisti. Gli ebrei
non venivano deportati. Venivano certamente discriminati. Anche in Ungheria
erano in vigore leggi razziali, erano state fissate delle quote che li
penalizzavano nelle scuole, nelle università e nell'impiego pubblico. Ma la
comunità ebraica locale, circa 800.000 individui, era intatta nel marzo del
'44. Merito dell'ammiraglio Horthy, una personalità forte che riuscì a tenere a
bada Hitler. Quando le Croci Frecciate, i nazisti ungheresi, presero il potere,
suo padre cambiò idea sugli ungheresi? La presa del potere dei nazisti fu un
vero e proprio colpo di Stato, non una scelta popolare. Naturalmente c'era chi
era filo-nazista, come in tutti i paesi dell'Europa in guerra. La società
ungherese era molto composita e anche multipartitica: fino ad allora c'erano
state elezioni, pur controllate. Il colpo di Stato avvenne dopo che Horty
lanciò alla radio il messaggio dell'uscita dell'Ungheria dalla guerra.
Probabilmente sbagliò i suoi calcoli e non immaginò quale sarebbe stata la
reazione nazista. Il regime che conquistò il potere raggiunse dei livelli di
violenza inauditi. I nazisti in Ungheria erano convinti di dover recuperare il
tempo perduto, di completare lo sterminio di tutta la comunità ebraica in pochi
mesi, quando negli altri paesi c'erano voluti anni. E in pochi mesi,
effettivamente, assassinarono i tre quarti dell'intera comunità. La
responsabilità del genocidio è di una minoranza fanatica, mentre mio padre ebbe
sempre una grandissima stima del popolo ungherese, di cui ammirava soprattutto
la fierezza. Un coraggio popolare che fu confermato anche dopo la II Guerra
Mondiale, quando l'Ungheria si sollevò contro il potere comunista: quella del
'56 fu realmente una sollevazione di popolo, in tutti i sensi. Proprio a
proposito dei sovietici: di solito la storia di suo padre finisce con l'arrivo
dei sovietici a Budapest. Ma fu veramente un lieto fine? Fu un lieto fine
perché l'Armata Rossa pose fine allo sterminio degli ebrei e alla dittatura
delle Croci Frecciate. Allo stesso tempo non fu un lieto fine, perché quando
l'Armata Rossa entrò in città, nelle prime due settimane scatenò l'inferno. Le
truppe d'assalto erano completamente ubriache per darsi coraggio. Tutte le
donne che incontrarono, dai 10 ai 90 anni, furono sistematicamente violentate.
La situazione fu veramente tragica finché non giunsero le forze di prima linea
a ristabilire un minimo di ordine, ma nei primi giorni si visse nel terrore.
Suo padre lottò contro tutti e due i totalitarismi del '900. Quali furono le
sue scelte politiche nel dopoguerra? Dopo la fine del conflitto mondiale si
trasferì a Trieste e partecipò anche attivamente al movimento per far ritornare
la città (allora zona occupata e amministrata dagli Alleati, ndr) sotto la
sovranità italiana. Non fece mai politica attiva. Aderì inizialmente al
Movimento dell'Uomo Qualunque, poi, quando questo scomparve, votò anche la Dc,
ma soprattutto il Pli di Malagodi. Dalla metà degli anni '70, si avvicinò anche
alla Destra Nazionale. Del fascismo non fu mai nostalgico, anche se sapeva
distinguere tra i lati positivi e negativi del regime. Condannava le leggi
razziali, l'alleanza con i nazisti e l'entrata in guerra, ma riconosceva la
crescita economica, le grandi opere, il riconoscimento dei primi diritti dei
lavoratori. Nel dopoguerra non cambiò assolutamente idea. Si riconosceva in
alcuni valori che, almeno una volta, era considerati di "destra":
amare la patria e anteporre i doveri ai diritti. Suo padre
ricevette riconoscimenti da Israele e dall'Ungheria e l'Italia
arrivò ultima a decorarlo. Quali furono le ragioni di questo ritardo, secondo
lei? La storia di mio padre è difficile da raccontare, anche per motivi
ideologici. Perché è la storia di una persona che era stata fascista, che smise
di essere fascista, ma non divenne "antifascista" nel senso classico
del termine. Non era facilmente inquadrabile da una storiografia che ha
sempre distinto in modo netto i buoni e i cattivi. Mio padre era bollato per
quel suo "peccato originale" e non era facile trovare una soluzione
per un suo pieno riconoscimento. Secondo me, ruppe un po' gli argini il
presidente Francesco Cossiga. L'assegnazione a mio padre della medaglia d'oro
al valor civile, fu una sua picconata e fu uno dei suoi ultimissimi atti da
presidente. Al resto pensò la burocrazia. La comunicazione della decorazione ci
arrivò nel settembre del 1992, quando mio padre era mancato in agosto.
( da "Manifesto, Il" del
28-01-2008)
Scritto&parlato Israele e
le nostre responsabilità Valentino Parlato La mia nota, sul manifesto del 24
gennaio, contro il boicottaggio alla Fiera del libro di Torino, ha provocato
molte reazioni negative, tutte - schematizzo - concentrate su un punto: lo
stato d'Israele perseguita i palestinesi e quindi è
giusto e doveroso boicottare la sua presenza alla Fiera del libro. Le lettere
sono molte. Non è possibile pubblicarle tutte e alcune ho dovuto tagliarle.
Chiedo scusa e vengo alla risposta. Innanzitutto ringrazio perché la
discussione che si apre è seria e coinvolgente, e dovrebbe continuare. Certo
l'attuale comportamento d'Israele porta acqua al
mulino dei miei critici, ma possiamo destoricizzare la questione? Caro Michele
la persecuzione degli ebrei in tutto il mondo non è un mito del recente
passato. La persecuzione è antica e noi cristiani siamo intervenuti con "il
popolo deicida", responsabile della crocifissione di Gesù Cristo e poi,
vado a memoria, la cacciata dalla Spagna a opera della cattolica Isabella e per
ultimo (ma non definitivo) la Shoah . Insomma - penso io - che sarebbe un grave
errore destoricizzare la questione ebraica e ridurla solo allo stato d'Israele, perché, peraltro, sempre a mio parere, contrasta
con l'essenza dell'ebraismo, che è la diaspora. Insomma non possiamo ridurre la
questione ebraica all'attuale stato d'Israele, che
pure è un'espressione dell'ebraismo. E poi - aggiungo - dovremmo sforzarci di
una riflessione storica anche sui palestinesi, che - sempre a mio parere - sono
gli ebrei del mondo arabo: intelligenti e perseguitati; dall'imperialismo
occidentale e dalla feudalità araba. Tanto che io credo che la formula
"due popoli uno stato", cioè uno stato ebreo-palestinese sarebbe la
soluzione naturale, ma impossibile nel contesto dello scontro tra i poteri
internazionali forti. Uno stato ebraico-palestinese (lo propone Gheddafi)
sarebbe una grande innovazione di pace, ma nell'attuale contesto è impossibile.
In tutti i modi critichiamo Israele e la sua politica,
ma rinunziamo all'arma del boicottaggio, che ci riporta indietro nei secoli e
va contro gli scrittori israeliani che criticano aspramente in governo. p.s. E
poi se vogliamo complicare la cosa ancora di più rileggiamoci "Il problema
ebraico" di Karl Marx. Valentino Parlato Schiavo del mito? Caro Valentino,
ti sono molto affezionato e conosci il grande rispetto che ho per il tuo lavoro.
Devo però dirti che sono rimasto senza parole leggendo il tuo intervento sulla
Fiera del libro. Senza offesa, mi sconvolge la banalità delle tue motivazioni.
Non perché sostengono che sia sbagliato boicottare, ma per il fatto che non
sono vere motivazioni. Appaiono un'artificiale difesa d'ufficio di uno stato
che è ben lontano dal mito che ti affascinò 60 anni fa. Nelle ragioni che
elenchi manca un filo di logica, un filo di analisi, rispetto a quello che
accade sul terreno. Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. Gli
israeliani stanno costruendo un nuovo apartheid che tu però neghi perché non
vuoi accettare una realtà che si scontra con il mito. Eppure il nostro amico
Daniel Amit aveva saputo spiegarcelo in modo così chiaro. A denunciarlo da anni
è anche il maestro Daniel Baremboim, che non è certo un pericoloso estremista.
Gli israeliani non sono afrikaner? Vero, ma si comportano allo stesso modo. Con
il cuore colmo di delusione. Michele Giorgio Insisti nell'errore Caro Parlato,
ho letto il tuo articolo di giovedì scorso. Mi ha colpito molto. Non posso
pensare che le cose dette siano frutto di ignoranza, quindi perché? Per
sostenere di essere contrario al boicottaggio dimentichi che anche associazioni
democratiche israeliane lo sostengono, che è "anche" il 60.mo
anniversario della Naqba palestinese (la "memoria" non è a senso
unico), che un israeliano non è sempre ebreo, tra gli israeliani ci sono
musulmani (molti), cristiani, drusi, atei; ci sono ebrei discriminati da altri
ebrei, e è ipocrita dire che boicottare lo stato di Israele
per la politica e le azioni contro i palestinesi che porta avanti è essere
contro gli ebrei tout court. E cosa c'entra tirare in ballo il ghetto di
Varsavia con il boicottaggio ? Non nascondiamoci dietro il dito degli scrittori
di grande levatura presenti, tre dei quali portatori accondiscendenti della
politica israeliana verso i palestinesi, quando la cultura del paese è molto
variegata: dove sono i cosidetti nuovi storici o dissenzienti dal sionismo o
gli scrittori palestinesi di Israele? Già sono
discriminati in Israele e lo sono anche in Italia. Se
fossero stati invitati forse avresti avuto più frecce al tuo arco. E infine,
caro Parlato, non è vero che un libro va sempre rispettato, dipende da quello
che trasmette e sono sicuro che anche per te molti libri non vanno rispettati.
Allora ho l'impressione che usi questi argomenti solo per un pregiudizio,
quello di difendere sempre e comunque il governo israeliano. Lino Zambrano
cooperante Ong Cric Gaza Invecchi male L'articolo di Valentino Parlato in cui
condanna quanti sono impegnati a boicottare l'edizione della Fiera del Libro
(dove si vorrebbe ospite d'onore Israele) andrebbe
stampato in milioni di copie e fatto girare ovunque. E' un testo che offre
molte ragioni proprio a chi vuole boicottare la Fiera. Cosa dice Parlato?
Qualunque cosa abbiano o commettano, gli israeliani vanno giustificati. Non li
si può condannare oltremodo perché loro, gli israeliani, hanno subito forti
persecuzioni da parte dei cattolici prima e dei nazisti poi. Ora, ditemi quale
uomo o donna con un minimo di senno può pensare un abominio del genere. Io
credo che nemmeno i filo-israeliani che andranno alla Fiera (se rimarrà come
voluto dal Comitato che gestisce l'ente, il cui capo è iscritto alla loggia P2,
tessera 2095) possano prendere le parole di Parlato per recarsi a Torino senza
vergogna. Il "nostro" in un sol colpo è riuscito a spazzare via le
idee di Primo Levi, Franco Fortini, Luigi Pintor e infine Stefano Chiarini (che
mi sembra un bel modo di ricordarlo ad un anno dalla sua morte). Inoltre ha
mandato a quel paese quegli israeliani che si rifiutano di stare dalla parte
dell'occupazione. Ha stracciato, infine, molti vecchi articoli della Rossanda,
di se stesso... Una cosa ha dimostrato Valentino Parlato: non è sempre vero che
si invecchia bene, a volte lo si fa nel peggiore dei modi, come a esempio stare
dalla parte degli aguzzini contro le vittime. Francesco Giordano Gli ebrei non
sono Israele Caro Valentino Parlato, in relazione al
tu articolo, "Un boicottaggio sbagliato", devo dire che condivido
l'idea che il boicottaggio possa essere uno strumento a volte discutibile, ma
non era questo il tema principale del tuo articolo. Tu sei entrato, mi sembra,
proprio nel merito dell'opportunità di contestare lo stato di Israele, e non hai colto, mi sembra, quello che per molti di
noi, almeno tra i lettori del manifesto, è invece una discriminante che non
viene colta neppure da altri "compagni": l'esistenza di uno stato
etnico, anzi, di più, uno stato religioso. Mentre si lotta (forse non tutti)
per conservare nel nostro paese almeno il principio della laicità, si accetta
che esista, e lo si sostiene, uno stato basato sulla religione (quella ebraica
in questo caso) come fosse la cosa più naturale del mondo, anzi, siamo disposti
a sostenere che la sua esistenza difenda il diffondersi della democrazia nel
mondo. Più volte nel tuo articolo confondi lo stato di Israele
con l'ebraismo; cito: "riconoscere agli ebrei il diritto a avere un
territorio e uno stato, era obbligatorio", "Gli israeliani - che sono
sempre ebrei...", "la persecuzione del popolo ebraico" (a
sostegno della necessità dell'esistenza di uno stato ebraico), "non solo
perché gli israeliani sono ebrei e non afrikaner", tutte frasi estratte
dal tuo articolo, e che, mi sembra, sostengono la necessità dell'esistenza di
uno stato appunto ebraico, basato sull'appartenenza religiosa. Un assunto del
genere, anche se, come dici tu condiviso dal "compagno Stalin", non
lo trovo affatto condivisibile, almeno non dai "compagni" che leggono
il manifesto (sono tra l'altro abbonato da vari anni). Con affetto. Francesco
Andreini Ebraismo e sionismo Gentile signor Parlato, lei scrive che c'è
boicottaggio e boicottaggio... Si potrebbe aggiungere: c'è violenza e violenza,
ci sono oppressori e oppressori. E oppressi e oppressi. Per lei, evidentemente,
Israele è un oppressore autorizzato e quella
israeliana una violenza doc. Perché il boicottaggio contro lo stato razzista
del Sudafrica andava bene, mentre quello contro Israele,
stato altrettanto razzista e basato sull'apartheid, no? Perché continuare
volutamente a confondere ebraismo con sionismo e con la creazione di Israele? E' una manipolazione, è scorretto e allontana
qualsiasi giusta soluzione alla questione palestinese. E non aiuta neanche gli
ebrei, confusi con le feroci scelte politiche e militari di uno degli stati più
spietati del mondo. La Redazione di www.infopal.it Peggio per Stalin Leggendo
l'articolo di Valentino Parlato in cui si schiera contro il boicottaggio della
Fiera del libro ho provato, confesso, un senso di sgomento. Sgomento che deriva
in parte dal difficile momento storico che il popolo palestinese sta
attraversando, stretto tra un'occupazione quanto mai feroce e una crescente
indifferenza internazionale, che ci impone urgenza nello schierarci in modo
netto dalla parte degli oppressi. Ma anche le argomentazioni addotte contro il
boicottaggio non mi convincono. In primo luogo viene ricordato che "dopo
la seconda guerra mondiale riconoscere agli ebrei il diritto di avere uno stato
e un territorio era obbligatorio". Riconoscere il diritto di fondare uno
stato ebraico in Palestina, in onore al vecchio
testamento, non era affatto obbligatorio e si è rivelato un colossale disastro
storico anche se, come ricorda Parlato, "anche Stalin fu a favore".
La domanda sorge spontanea: e con ciò? La nascita dello stato di Israele non fu un risarcimento al popolo ebraico per i torti
subiti durante la guerra ma il compimento di un progetto sionista studiato nei
dettagli, messo in moto da Herzl alla fine dell'800 e portato avanti in modo
continuo per tutta la prima metà del XX secolo. La fine della guerra e la
conoscenza in Europa degli orrori dell'olocausto determinarono un clima
favorevole alle risoluzioni che portano al riconoscimento di Israele.
Ben diverso dall'affermare l'obbligatorietà dell'atto. Mi sembra inoltre
importante sottolineare che non credo sia obiettivo del boicottaggio la
cancellazione del riconoscimento di Israele da parte
della comunità internazionale, semmai ricordare a Israele
che le risoluzioni della stessa comunità internazionale andrebbero applicate
anche quando contrarie ai propri interessi. I confini non dovrebbero essere
disegnati coi mattoni su percorsi decisi dal ministro della difesa e ci sono convenzioni
che si farebbe bene a rispettare. Chi è stato cacciato dalla propria casa
dovrebbe poterne far ritorno così come l'esercito israeliano non dovrebbe poter
arrestare delle persone nei territori occupati per poi portarle in Israele e dimenticarle in gattabuia. L'assedio medievale che
costringe Gaza alla fame non dovrebbe essere permesso. Cosa c'entri la seconda
guerra mondiale con tutto questo non mi è del tutto chiaro. Sicuramente c'entra
tanto quanto l'aneddoto sugli ebrei del ghetto di Varsavia che cantarono
l'internazionale prima di essere massacrati. Apprezzo il racconto e mi commuove
intimamente, anche in virtù di mia nonna, ebrea polacca, ricordare
quell'orribile massacro. Ma continuo a non trovare il nesso. Al punto
crucialedell'articolo apprendo che "c'è boicottaggio e boicottaggio,
quello contro i razzisti sudafricani era più che giusto" ma "Gli
israeliani - che sono sempre ebrei - per quanti torti abbiano nei confronti del
popolo palestinese non sono in alcun modo paragonabili ai razzisti sudafricani".
E perché? Perché per quanti torti facciano, distinguendosi sulla base di
un'appartenenza razziale/religiosa, a un altro popolo, non sono paragonabili
agli afrikaner? Perché uno stato che ha come fondamento l'appartenenza alla
stirpe di Davide, che ritiene il colonialismo un diritto concesso dalla bibbia,
che riduce alla fame, alla prigionia, all'umiliazione, il popolo palestinese,
non può essere paragonato al Sudafrica razzista? Sia dalla costruzione
lessicale, sia da quanto segue nell'articolo, sembrerebbe che ciò che li
esonera dal confronto sia proprio la loro condizione di ebrei. Infatti ci viene
ricordato che "c'è la storica persecuzione del popolo ebraico, ci sono i
ghetti e i campi di sterminio". E oggi ci sono i campi profughi, i check point,
le carceri israeliane, l'occupazione, gli assasinii mirati e non. C'è il muro.
Credo che un segnale di ripudio forte, netto, e soprattutto non isolato nel
tempo contro queste politiche sia molto più importante che un qualsiasi
dibattito letterario, per quanto interessante e costruttivo. Mariano Heluani,
Caserta Boicottaggio opportuno Raramente non mi trovo in totale e convinta
sintonia con Valentino Parlato, ma il suo intervento sulle polemiche che stanno
accompagnando la Fiera internazionale del libro di Torino del prossimo maggio
non ha fugato tutti i miei dubbi. Non sono in grado di entrare nel merito della
querelle, non conoscendo la storia e l'opera degli autori ebraici invitati alla
Fiera di Torino. Mi sento però di affermare che, qualora le voci di dissenso,
non dico a "questo" governo israeliano ma a tutti gli esecutivi che
si sono là succeduti negli ultimi 10-15 anni, non fossero sufficientemente
ospitate nella manifestazione torinese allora una qualche forma di boicottaggio
sarebbe non solo tollerabile ma quantomeno auspicabile e opportuna. Se non
altro per ricordare la differenza (troppo spesso dimenticata) che c'è tra
oppressi e oppressori, e che quando un popolo che fu vittima si trasforma in
carnefice allora non può più invocare a sua difesa i torti subiti in passato.
Enzo Lanciano Il razzismo israeliano Nel suo articolo di giovedì scorso,
Valentino Parlato si oppone fermamente al ventilato boicottaggio della Fiera
internazionale del libro di Torino che avrà Israele
quale ospite d'onore. Le argomentazioni di Parlato (di cui sono un estimatore)
stavolta però non convincono. Nel taglio basso di prima pagina scrive d'essere
stato a favore del boicottaggio del Sudafrica, ma gli israeliani, sostiene, non
sono razzisti come lo erano gli afrikaner. A me pare fuorviante stare a pesare
il razzismo dell'uno o dell'altro (quando questo è un tratto comune). Sul razzismo di Israele mi limito a rinviare al
saggio "Le racisme de l'Etat d'Israel" di Israel Shahak, che fu
presidente della Lega dei diritti dell'uomo di Israele, e al più
recente "Shalom fratello arabo" di Nathan Susan. Sugli effetti del
razzismo israeliano parla ( almeno sul manifesto, per fortuna di noi lettori)
la cronaca quotidiana. Il boicottaggio ha senso quando non è solo contro
ma anche quando è per. Il boicottaggio del Sudafrica fu contro l'apartheid e
per sostenere la lotta di liberazione dei neri, come era stato chiesto da
Nelson Mandela. Il necessario boicottaggio della Fiera (ma non solo di questa)
sarebbe contro Israele, che pure pratica l'apartheid,
e per sostenere i diritti dei palestinesi, come chiedono quest'ultimi, (vedi
l'intervista a Omar Barghouti sul manifesto del 22 gennaio scorso). Israele andrà difeso, quando opererà realmente a favore
della pace, nel rispetto del diritto internazionale, e non perché gli ebrei
furono trucidati nei campi concentramento. Argomentazioni di questo tipo
nuocciono allo stesso Israele! E se la Fiera venisse
boicottata dagli stessi Oz, Grossman, Yehoushua, dagli scrittori israeliani e
ebrei che si dicono a favore dei diritti dei palestinesi, quei diritti che il
loro paese continua a calpestare da sessant'anni? Se questi intellettuali
(si)chiedessero: cosa mai dovremmo festeggiare? La storia, antica e moderna, è
ricca di esempi di intellettuali che, coerentemente alle proprie posizioni, si
sono opposti anche fino alle estreme conseguenze, a scelte, errate, e
scellerate, dei propri governanti. Gaddo Melani Riva San Vitale Svizzera.
( da "Stampa, La" del
28-01-2008)
IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI
ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ 14,30/19,30, DA MARTEDÌ A DOMENICA
9,30/19,30, GIOVEDÌ E SABATO 9,30/22,30, INGRESSO: INTERO 7,50, RIDOTTO 5,50,
BAMBINI (6-14 ANNI) 3,50, TEL 011/5711811, WWW.PALAZZOBRICHERASIO.IT Dal 25
gennaio al 24 febbraio, le sale espositive ospitano un'antologica, curata da
Luca Beatrice e organizzata in collaborazione con il Mamac di Nizza, che
ripercorre attraverso 70 opere le vicende artistiche del principale esponente
del Nouveau Realisme. Francisco Goya BIBLIOTECA NAZIONALE UNIVERSITARIA DI
TORINO, PIAZZA CARLO ALBERTO 3, ORARI: LUNEDI', MERCOLEDI', VENERDI' E SABATO
9/13, MARTEDI' E GIOVEDI' 9/18 E' aperta sino al 15 marzo "Los Caprichos.
Goya Illuminista fra Settecento ed Europa napoleonica". In mostra,
l'intera opera di Francisco Goya "Los Caprichos": un insieme di tavole
in perfetto stato di conservazione, cui è affiancato un importante nucleo di
reperti librari di proprietà della biblioteca. Lo Spazio dell'uomo FONDAZIONE
MERZ, VIA LIMONE 24, ORARI: MARTEDI'-DOMENICA 11/19. INGRESSO: INTERO 5 EURO,
RIDOTTO 3,50, GRATIS BAMBINI SOTTO I 10 ANNI, MAGGIORI DI 65 , DISABILI E OGNI
PRIMA DOMENICA DEL MESE Fino all'11 maggio, un'indagine sulla scena artistica
contemporanea cilena, attraverso l'incontro tra storia del passato e realtà del
presente. Werner Herzog FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO, VIA MODANE 16, OR.:
12/20, GIOVEDI' 12/23, CHIUSO LUNEDI' Nell'ambito della manifestazione
"Segni di Vita. Werner Herzog e il cinema", la Fondazione ospita una
mostra ricca di strumenti che permettono di approfondire l'idea di cinema
dell'artista tedesco. Accanto alla sezione fotografica, l'esposizione, aperta
fino 10 febbraio, segue un itinerario composto da una serie di video. Novecento
- Trilogia dell'automobile TORINO ESPOSIZIONI, CORSO MASSIMO D'AZEGLIO 15, OR:
MARTEDI'-DOMENICA 10/18,30. Le più belle auto del '900; fino al 30 marzo. Why
Africa? PINACOTECA AGNELLI, VIA NIZZA 230, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/19. INGR.:
INT. 7 EURO, RID. E GRUPPI 6, SCUOLE E BAMBINI 6/12 ANNI 3,50. VISITE GUIDATE
011/0062713. WWW.PINACOTECA-AGNELLI.IT Esposta per la prima volta in Italia una
parte della più importante collezione al mondo di arte contemporanea africana.
Il tema più ricorrente nelle opere è il profondo legame con il territorio al
quale gli artisti si rivolgono proponendo la loro personale esperienza della
realtà. La mostra rimane aperta fino al 3 febbraio. Acquisizioni GAM, VIA
MAGENTA 31, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/18, LA BIGLIETTERIA CHIUDE UN'ORA PRIMA.
INGRESSO: 7,50 EURO, RIDOTTO 6; INFO 011/4429518. WWW.GAMTORINO.IT Fino al 27
gennaio, sono esposte 50 delle mille opere acquisite negli ultimi 5 lustri.
Tempeste polari MUSEO DELLA MONTAGNA, P.LE MONTE DEI CAPPUCCINI 7, OR.: 9/19,
LUNEDI' CHIUSO. WWW.MUSEOMONTAGNA.ORG Manifesti e film dei primi trent'anni di
cinema sulla grande avventura esplorativa in Artide e Antartide. Fino al 10
febbraio. Splendide preziosità quotidiane MUSEO DI ANTROPOLOGIA, VIA ACCADEMIA
ALBERTINA 17 La collezione si arricchisce di un centinaio di reperti del primo
'900 dell'Asia Centrale. Le opere rimarranno in esposizione sino al 31 marzo.
Torino inedita ARCHIVIO STORICO DELLA CITTÀ DI TORINO, VIA BARBAROUX 32, OR.:
LUNEDI'-VENERDI' 8,30/16,30 Quattro panorami di Luigi Vacca; in esposizione
fino al 31 marzo. (R)esistere per immagini MUSEO DIFFUSO DELLA RESISTENZA, CORSO
VALDOCCO 4/A, TUTTI I GIORNI DALLE 10 ALLE 18, IL GIOVEDÌ DALLE 14 ALLE 22;
CHIUSURA IL LUNEDÌ; INGRESSO LIBERO Mostra in omaggio a Germano Facetti:
all'uomo sopravvissuto alla Deportazione, al grafico che ha rivoluzionato la
Penguin Books, al creativo, attraverso i documenti privati e professionali del
ricco fondo acquisito dall'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e
della società contemporanea "Giorgio Agosti". La mostra sarà aperta
al pubblico sino al 25 aprile. Capitàn Germàn MIAAO, VIA MARIA VITTORIA 5, DAL
MARTEDÌ AL VENERDÌ ORE 16-19,30 SABATO E DOMENICA ORE 11/19, LUNEDÌ CHIUSO
Artefatti astrali di Germàn Impache, fino al 24 febbraio. Mario Lattes ARCHIVIO
DI STATO, PIAZZA CASTELLO 209, ORARIO: DA MARTEDÌ A SABATO 10/19; DOMENICA 10/14;
INGRESSO LIBERO "Di me e di altri possibili: Mario Lattes pittore,
scrittore, editore". La mostra è composta di tre parti: una parte
pittorica con un'antologia di quadri dipinti tra il 1960 e il 1995, una parte
narrativa comprendente le opere pubblicate (romanzi, poesie, autografi e diari)
ed una parte editoriale con alcune opere significative pubblicate nel periodo
in cui l'artista era amministratore delegato della casa editrice Lattes.
L'esposizione è aperta fino al 12 marzo. Paolo Guasco Cinque personali PIEMONTE
ARTISTICO CULTURALE, VIA ROMA 264, ORARI: LUNEDI' - SABATO 15,30/19,30,
INGRESSO LIBERO Fino al 26 gennaio, Piemonte Artistico Culturale propone una
antologica del pittore torinese Paolo Guasco. La mostra segue quella tenuta
alla Civica Galleria d'Arte Filippo Scroppo di Torre Pellice. Alle opere già
esposte si aggiunge un importante nucleo appartenente agli anni '70. Martedì 29
gennaio alle 18 s'inaugurano, poi, cinque mini-personali con opere di: Enrica
Berardi, Cristina Botta, Jessy Jacob, Giancarlo Morra e Rosella Porrati.
Resteranno esposte sino al 13 febbraio. Massimo Ghiotti RETTORATO, V. PO 17.
OR: 7.30/18 INGR. VIA PO E 7.30/19.30 INGR.V. VERDI.; SAB. E DOM. INGR. VIA PO
15.30/19.30. Sette sculture di grandi dimensioni (fino al 31 gennaio).
Un'ottava scultura è in Piazza Castello, tra le vie Po e Verdi. Mi è sembrato
di vedere un U.F.O. EX SCUDERIE DEL PARCO DELLA TESORIERA, CORSO FRANCIA 192,
ORARIO: TUTTI I GIORNI 15/18 Siamo soli nell'universo? Una libera e vivace
interpretazione di questa riflessione da parte degli artisti: Stefano
Gradaschi, Anna Bordignon, Giuseppe Scollo, Elena Mora, Fabio Mattia, Simona
Ilaria Di Michele, Teresa Bonaventura, Silvana Gatti, Vincenzo Vanin e Akira
Zakamoto. Sino al 31 gennaio. IoEspongo XI PASTIS, P.ZZA EMANUELE FILIBERTO 9B,
WWW.ASSOCIAZIONEAZIMUT.NET Fino al 29 gennaio, sono esposte le opere che
partecipano alla seconda tornata del concorso; il giorno successivo, dalle ore
22, serata di selezione e votazione del pubblico, con inaugurazione dell'esposizione
successiva. Love Artom FROM SPOON TO CITY, CORSO MORTARA 46 Giovedì 31 gennaio
alle 18,30, verranno messi all'asta pannelli, tele ed oggetti di design
realizzati per il progetto "Love Artom". Il ricavato sarà devoluto
all'iniziativa Tredicesima dell'Amicizia della Fondazione La Stampa - Specchio
dei Tempi, a favore degli anziani del quartiere. Stili a confronto San
Valentino in galleria ARTEINCORNICE, VIA VANCHIGLIA 11, OR.: 9/13 E 15/19,
ESCLUSO FEST. E LUN. MATTINA Da sabato 26 gennaio e fino all'8 marzo, la
collettiva "Stili a confronto" presenta ventiquattro opere di Piero
Gilardi, Giorgio Griffa ed Enrico Paulucci. Prosegue inoltre, sempre sino all'8
marzo, una esposizione pensata per l'avvicinarsi della festa di San Valentino e
la Festa della Donna, con una selezione rinnovata di opere degli artisti più
importanti della galleria. Mario Schifano - Gli anni '80 GALLERIA IN ARCO,
PIAZZA VITTORIO VENETO 3, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10/12,30 E 16/19,30 Dopo la
più nota produzione degli anni '60 e '70, Schifano negli anni '80 è stato
precursore di un cambiamento che ha segnato la storia dell'arte italiana,
promuovendo un recupero della tradizione pittorica. Le sue opere di questo
periodo sono in mostra fino al 15 marzo. Daniel Glaser Magdalena Kuntz Miha
Strukelj GAGLIARDI ART SYSTEM, CORSO VITTORIO EMANUELE II 90, ORARIO: 15/20
Daniel Glaser e Magdalena Kuntz presentano tre installazioni, mentre Miha
Strukelj indaga i confini tra pittura e disegno nell'era della tecnologia.
Entrambe le esposizioni terminano il 26 febbraio. Pierre-Yves Le Duc 41
ARTECONTEMPORANEA, VIA MAZZINI 41, ORARI: MARTEDI'-SABATO 15/19, MATTINO E
LUNEDI' SU APPUNTAMENTO 011/8129544 "Opera", prima personale a Torino
dell'artista francese. L'esposizione di disegni prosegue sino al 28 marzo. Neve
PIRRA, C.SO V. EMANUELE 82, OR.:LUN-SAB 9,30/12,30 E 15,30/19,30. DOM.
9,30/12,30 "Neve. Nel mondo di un solo colore", rassegna di
post-impressionisti russi; sino a fine gennaio. Ernesto Jannini e Fausto
Morviducci FUSION ART GALLERY, PIAZZA PEYRON 9/G, ORARIO: MARTEDI', GIOVEDI' E
VENERDI' 16,30/19,30 O SU APPUNTAMENTO 335/6398351 Personali a cura di Edoardo
Di Mauro e Walter Vallini; proseguono sino al 29 gennaio. Stanze-Salvatore
Astore ALLEGRETTI, VIA SAN FRANCESCO D'ASSISI 14, ORARIO: MAR-SAB 10/13 E 14/19
Personale; sino al 31 gennaio. Le opere del calendario SALOTTO DELL'ARTE, VIA
ARGONNE 1/C, ORARI: LUNEDÌ - VENERDÌ 16,30/19, SABATO 10,30/19,30 Esposizione
delle opere pittoriche e sculture pubblicate sul calendario 2008 del "Corriere
dell'arte". A queste, si aggiungono alcune altre di: Giancarlo Aleardo
Gasparin, Martino Bislacco, Alberto Maria Marchetti, Adri Mazzetti, Lia
Laterza, Anna Borgarelli, Adelma Mapelli, Massimo Alfano, Ines Daniela
Bertolino, Giorgio Flis, Dolores Dosio e Tatiana Veremejenko. Sino al 26
gennaio. Anni '60 ARTEREGINA, CORSO REGINA MARGHERITA 191, ORARI: MARTEDI' -
VENERDI' 15/19, SAB. 9,30/12,30 E 15/19 "Frammenti di storia - Anni '60 -
Artisti torinesi ", in esposizione sino al 31 gennaio. Opere di Sergio Agosti,
Nino Aimone, Alfredo Billetto, Romano Campagnoli, Antonio Carena, Francesco
Casorati, Mauro Chessa, Mario Davico, Pietro Gallina, Gino Gorza, Horiki
Katsutomi, Angelo Maggia, Pino Mantovani, Adriano Parisot, Piero Rambaudi,
Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Giacomo Soffiantino e Mario Surbone. Marcello
Giovannone FOGLIATO, VIA MAZZINI 9, OR.: 10/12,30 E 16/19,30, CHIUSO FESTIVI E
LUNEDI' MATTINA Fino al 29 gennaio, personale dal titolo: "Impronte del
tempo". David Gerstein ERMANNO TEDESCHI, VIA C. I. GIULIO 6, ORARI:
MARTEDI'-SABATO 11/13 E 16/20 O SU APP. 011/4369917
Personale dell'artista israeliano; sino al 29 febbraio. Sisto Giriodi Pangolino
VIRANDO, C.SO LANZA 105, OR.: LUN-SAB 16,30/20 Sino al 26 gennaio, personale di
Giriodi; dal 22 al 26 gennaio, è inoltre esposta una serie di carboncini che
ritraggono maschere tipiche della Sardegna. Mercoledì 30 gennaio, dalle
18 alle 23, s'inaugura "Cieli interiori", di Tiziano Bergamini, in
arte Pangolino; sino al 16 febbraio. Silvio Brunetto GALLERIA D'ARTE BERMAN,
VIA ARCIVESCOVADO 9/18, ORARIO: MARTEDI' - SABATO 10/12,30 E 16/19
"Inverno bianco", personale in esposizione sino al 9 febbraio.
Incisioni GALLERIA IL CALAMO, VIA DELLA ROCCA 4/L. ORARIO: 10,30/12,30 E
16,30/19,30 "Incisioni dal XV al XX secolo", rassegna di opere
grafiche di maestri antichi e moderni, tra cui alcuni giapponesi. Esposizione
sino a fine febbraio. Pippo Leocata FOGOLA, PIAZZA CARLO FELICE 15, ORARIO:
LUNEDI' 15,30/19,30, DAL MARTEDI' AL SABATO 10,30/19,30, DOMENICA 10,30/13
Esposizione di olii su tela ed acqueforti del pittore catanese; sino al 31
gennaio. Collezioni GALLERIA DEL PONTE, CORSO MONCALIERI 3, OR.: MAR-SAB
10/12,30 E 16/19,30 . Dai Sei di Torino a Carol Rama; le opere rimarranno in
esposizione fino al 26 gennaio. Sospensione GIORGIO PERSANO, VIA P. CLOTILDE
45, OR.: MAR.-SAB. 10/13 E 15,30/19 Installazioni di Marco Gastini ed Eliseo
Mattiacci. Fino al 29 marzo. Mathew Sawyer GALLERIA SONIA ROSSO, VIA GIULIA DI
BAROLO 11/H, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 15/19 O SU APPUNTAMENTO 011/8172478 Sino
al 31 gennaio prosegue la personale di collages "Don't tell the others
what we were singing". Quadreria GALLERIA MICRO', PIAZZA VITTORIO VENETO
10, ORARI: MARTEDI' - VENERDI' 16/19,30, SABATO 10,30/12,30 E 16/19,30
Esposizione di Natale della galleria, fino al 26 gennaio. Gabriele Arruzzo
GALLERIA ALBERTO PEOLA, VIA DELLA ROCCA 29, ORARIO: LUNEDI'-SABATO 15,30/19,30
O SU APPUNTAMENTO 011/8124460 "Hortus conclusus", personale
pittorica; in esposizione sino a sabato 26 gennaio. Paul Fryer GUIDO COSTA
PROJECTS, VIA MAZZINI 24, ORARIO: LUNEDI'-SABATO 11/13 E 15/19 "In Loving
Memory", prima personale italiana dell'artista britannico Paul Fryer. Le
opere rimarranno in esposizione sino al 31 gennaio. Incisioni IN-FOLIO, C.SO
AGNELLI 34 (2°PIANO), ORARIO: 10,30/12,30 E 15,30/19 200 opere originali di
maestri dal XV al XIX secolo; in esposizionesino al 31 gennaio. Enzo Briscese
GALLERIA ARIELE, VIA LAURO ROSSI 9, ANGOLO CORSO GIULIO CESARE, ORARIO: DAL
LUNEDI' AL SABATO DALLE 16 ALLE 19,30 "Paesaggio Urbano", personale
di tecniche miste e oli del 2006 e del
( da "Voce d'Italia, La" del
28-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.133 del
28/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Esteri Stamattina la chiusura di alcune delle breccie aperte nel
muro di confine tra Gaza e Egitto Gaza: una situazione sempre piu' complessa
Kamilah Khatib della LSE: "Due le preoccupazioni piu' rilevanti: il
possibile traffico di armi provenienti dall'egitto verso Gaza, e la fuoriuscita
di Militanti di Hamas che potrebbero compiere rapimenti di turisti Israeliani
in Egitto" Mentre la situazione al confine tra Gaza e l'Egitto sembra
andare verso la normalizzazione, con la chiusura parziale delle frontiere,
Gaza, come tutta la Palestina sembra ancora lontana da
una reale pacificazione. Mercoledì scorso alcuni miliziani di Hamas erano
riusciti a demolire parte del muro divisorio nel confine Sud con l'Egitto, a
Rafah, e poi ad aprire una breccia. Il fatto potrebbe aver generato nuovi
problemi tra le due principali fazioni palestinesi, Hams e Fatah. L'Egitto si
era detto ieri d'accordo con il piano del presidente palestinese Mahmoud Abbas
di assumere il controllo del confine di Gaza, escludendo Hamas, che gestisce il
territorio. Lo hanno riferito funzionari palestinesi ed egiziani, mentre Hamas
ha fatto sapere di non essere d'accordo."C'è un accordo con l'Egitto per
mettere fine alla crisi al confine applicando l'accordo del 2005 e il rinnovato
controllo delle guardie del presidente palestinesi a Rafah", ha detto il
ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Malki dal Cairo. Hamas aveva però
respinto il piano e aveva detto che terrà dei propri colloqui con
l'Egitto."Abbiamo una nostra visione di come il confine deve essere
gestito e la forniremo ai nostri fratelli egiziani", ha detto il
funzionario di Hamas Sami Abu Zuhri. Stamattina alcuni valichi aperti sono
stati chiusi congiuntamente dai militanti di Hamas e dall'esercito egiziano. Ma
secondo stime delle Nazioni Unite, almeno 350 mila palestinesi sono penetrati
oltre il confine in cerca di medicinali, cibo e materie prime. News ITALIA
PRESS ha chiesto a Kamilah Khatib, ricercatrice italiana di origine palestinese
con un dottorato conseguito presso la London School of Economics, attualmente
Assistente alla Ricerca presso l'Assemblea Parlamentare della NATO, se
potrebbero esserci conseguenze a medio e lungo termine di questa azione. Per
esempio parte della popolazione non sembra rientrata... qual è la situazione?
"Con alcune eccezioni la maggior parte delle persone che ha oltrepassato
il confine e' tornata a Gaza, anche perche' lo scopo di questo 'esodo' era la
ricerca di cibo, gas e medicinali per le proprie famiglie. Nonostante cio', il
Giornale Al Ahram (Egiziano) di oggi dichiari che ci sono almeno 3000 Palestinesi
che hanno cercato di entrare nelle province di Qana e il Cairo in modo 'non
regolare'e molto altri sono stati trovati in possesso di armi ed esplosivi.
Qomunque, questo via vai illegale e' sempre esistito: questa situazione ha solo
reso il tutto piu' facile". Israele è poi
preoccupata delle implicazioni dalle infiltrazioni di militanti di Hamas e
della Jihad Islamica al di fuori del territorio in cui erano confinati;
infiltrazioni che potrebbero comportare una riorganizzazione dei movimenti
palestinesi che hanno il controllo della Striscia... è una ipotesi probabile?
"Io credo che l'ipotesi di una 'riorganizzazione' sia improbabile per un
semplice motivo: come già detto qui i militanti di Hamas, e non solo, sono
sempre riusciti ad attraversare i confini con l'Egitto tramite tunnel
sotterranei percio' questa situazione non offre una occasione che non era
disponibile prima. l'occasione per muoversi ed incontrarsi con altri militanti
era gia' un opzione esistente resa solo piu' facile dalla situazione attuale.
Per quanto concerne le preoccupazioni Israeliane: al momento sussistono varie
ipotesi israeliane e possibili scenari sulle attivita' sul confine con
l'Egitto. Le due preoccupazioni piu' rilevanti potrebbero essere sia il
possibile traffico di armi provenienti dall'egitto verso Gaza, sia la
fuoriuscita di Militanti di Hamas che potrebbero compiere rapimenti di turisti
Israeliani in Egitto". Gli stessi Fratelli Musulmani egiziani hanno
manifestato la loro solidarietà ad Hamas ed alla popolazione della Striscia...
possibili futuri legami tra i due gruppi? "I legami con i fratelli
musulmani sono sempre esistiti, e non solo con loro. La popolazione egiziana ha
manifestato grande soliderieta'. Infatti e' per quest'ultimo motivo che Mubarak
non si e' seriamente mosso nel far chiudere in confini. Senza inoltrarci nei
dettagli della natura del legame che vige tra hamas ed i FM credo che per i
motivi sopra elencati questa situazione non sara' causa di mutamento di
rapporti, in altre parole gli incontri o dialoghi tra Hamas e FM si sono sempre
svolti in passato, questa non e' affatto una situazione nuova". Come
influisce la vicenda sulle relazioni tra Egitto e Israele?
"Certamente questi eventi non agevolano le relazioni tra Egitto e Israele. Israele ha spesso
giudicato poco producenti gli sforzi egiziani nell'impedire il contrabbando di
armi tra i confini. Recentemente, alla fine di gennaio, le autorita' egiziane
hanno permesso il passaggio tramite il collegamento di Rafah dei pellegrini di
ritorno dal Haj in contrasto con quanto accordato con Israele.
Da un lato l'Egitto affronta le pressioni Israeliane di mantenere confini
sicuri e dall'altro e' soggetto delle pressioni interne dell'opinione pubblica
per quanto concerne gli aiuti ai Palestinesi. Comunque, da un punto di vista
ufficiale il portavoce del Dipartimento di Stato americano Tom Casey ha
dichiarato che non ci sono indicazioni che gli ultimi avvenimenti abbiano
scalfitto le relazioni Egiziane-Israeliane. C'è chi sostiene che il Ministro
della Difesa Barak starebbe pensando ad una penetrazione profonda nella
Striscia (con il beneplacito di Washington), con l'obiettivo di riconsegnarla
alle Forze di Fatah, unica realtà palestinese con cui Gerusalemme ha
manifestato di voler dialogare.... cosa comporterebbe ciò per i palestinesi?
"E' necessaria una premessa: il portavoce del ministero degli esteri
Israeliano ha dichiarato che sta avendo luogo una diplomazia triangolare, Israele-Egitto-Autorita' palestinese, per trovare una
soluzione comune, non di natura bellica diciamo. I dettagli non sono ancora
stati divulgati. Credo che questa opzione (penetrazione..etc) sia da escludere.
Hamas ha 'conquistato' la striscia tramite elezione politiche che riflettono un
approvazione del popolo per questa organizzazione. Un intervento israeliano,
anche con lo scopo di aiutare Fatah, non avrebbe senso dato che Fatah ha perso
a Gaza: le gente ha voluto e tuttora vuole Hamas. E' interessante notare come
la situazione attuale nella Striscia faccia convergere e ravvicinare le due
forze (Hamas e Fatah) le quali convengono sul fatto che a Gaza esiste una
situazione di crisi che va affrontata". L'esplosiva situazione creatasi
dopo lo sfondamento del confine tra Gaza e l'Egitto rischia di minare alle
fondamenta il piano di pace negoziato ad Annapolis? "Annapolis e'
affondato prima di iniziare. Per esempio, ma non solo, Annapolis non ha
discusso temi critici come i profughi Palestinesi, la condivisione delle
risorse idriche ...etc. Detto cio' sicuramente non saranno gli eventi di Gaza a
impedire che Annapolis abbia successo". Potrebbe essere utile
un'iniziativa specifica coordinata da Tony Blair, inviato speciale della Ue per
il Medio Oriente? Escludere Hamas, per i noti motivi, da ogni bozza di
soluzione è ancora la soluzione giusta? "L'esclusione di Hamas o la sua
inclusione in qualsiasi negoziazione e' una questione basilare. Personalmente
credo che includere Hamas nelle negoziazioni e nel dialogo sia
"necessario" per andare avanti. Se si e' in guerra si ha a che fare
con i nemici, percio' se si vuole instaurare un contatto ed arrivare ad una
pace lo si fa con loro, o non si fa. Se cio' non bastasse Hamas (che ci piaccia
o no) e' stata legittimata dai Palestinesi di Gaza (sia Musulmani che
Cristiani) tramite elezioni regolari.Dialogare con il 'nemico' non vuol dire
necessariamente 'legittimarlo'." Arturo Varvelli.
Qaddura, braccio destro di Barghouti: <Marwan libero,
per liberare la pace> ( da "EUROPA.it" del 27-01-2008)
L'ESODO dalla Striscia verso il Sinai diventa una festa
paesana. Anche una s ( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del
27-01-2008) + 2 altre fonti
Morto Habash, capo del Fronte popolare ( da "Unita, L'" del 27-01-2008)
Le Chiese cristiane: porre fine al dolore di Gaza
L'appello a Ue, Israele e Anp. Ora i palestinesi passano il confine anche in
auto ( da "Unita, L'" del
27-01-2008)
Yehoshua: l'Europa ci aiuti a battere l'antisemitismo
anche nell'Islam ( da "Unita, L'" del 27-01-2008)
È morto Habash l'anima dura dei palestinesi ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 27-01-2008)
Rutka, 14 anni: <Il mio pianto per la libertà> ( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)
Per l'anniversario manifestazioni in tutta Italia ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Mr. Puma: <Ho girato il mondoora torno a casa e recito
da solo> ( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)
Ebrei in terra d'Israele ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
D ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Gaza, è caos al confine Olmert vede Abu Mazen ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
L'allarme di Barak: <L'Iran prepara un'altra
Hiroshima> ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Aretha e Beyoncé ai Grammy Awards ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
La bandiera di israele nella giornata della memoria -
davide romano ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Corteo della memoria ecco perché ci sarà la bandiera di
israele ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Il ciclone barenboim alla scala e in libreria - luigi di
fronzo ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
E' morto habbash, teorico dei dirottamenti - fabio scuto ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
"tutti devono poter scegliere referendum sullo stato
palestinese" - marco panara elena polidori ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
L'egitto rinuncia a fermare i profughi - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)
Gennaio 1946, da Vado la prima nave dell'esodo ( da "Stampa, La" del 27-01-2008)
27 gennaio 'Il Giorno della Memoria' ( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)
Un gioco pericoloso. Questa, per un dirigente egiziano
che abbiamo raggiunto al Cairo, l'ess ( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)
AMMAN George Habash, fondatore del Fronte popolare di
liberazione della Palestina (Fplp) è mor ( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)
Perché non si dimentichi. Anche la tv ricorda
dell'Olocausto. Con testimonianze, documenti ( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)
La guerra che non si può vincere ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Morto George Habash, stratega dei dirottamenti ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Corano, manager e night club. Un ebreo fantasma a Riad ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Anche al piano Barenboim è autorevolezza ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Un treno di folli contro la follia nazista ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)
Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) vuole ( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)
Si festeggia il capodanno degli alberi . Pace tra
comunità ebraica e tedeschi ( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)
L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra
Hiroshima" ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
Barak: l'Iran prepara un'altra Hiroshima ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)
E' morto Habash, fondatore del FPLP ( da "Quotidiano.net" del 27-01-2008)
27 gennaio: "Il Giorno della Memoria" ( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)
UN PASSO INDIETRO ( da "Stampa, La" del 27-01-2008)
Omaggio del Comune alle lapidi dei caduti ( da "Stampa, La" del 27-01-2008)
AMMAN. GEORGE HABASH, FONDATORE DEL FRONTE POPOLARE DI
LIBERAZIONE DELLA PALESTINA (FPLP) è MOR ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)
RESPINTA LA MEDIAZIONE DI MUBARAK RESTA APERTA LA
FRONTIERA CON L'EGITTO ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)
( da "EUROPA.it" del
27-01-2008)
Qaddura, braccio destro di Barghouti: "Marwan
libero, per liberare la pace" Fares Qaddura è uno degli uomini di ducia
del leader palestinese, condannato a cinque ergastoli. "Scarcerandolo, Israele guadagnerebbe un valido interlocutore", dice.
MAURIZIO DEBANNE Malgrado i cinque ergastoli, Marwan Barghouti resta una figura
chiave, nonché tra le più popolari, nel campo palestinese. Dalla sua cella nel
carcere Hadarim, a nord di Tel Aviv, intrattiene fitte relazioni con i leader
politici palestinesi, ma anche con parlamentari israeliani, come Haim Oron del
Meretz, formazione di sinistra. Fares Qaddura, che di anni nelle galere
israeliane ne ha passati quattordici, è uno dei suoi più stretti collaboratori.
Leader della cosiddetta "nuova guardia" di Al Fatah, ex ministro
dell'Anp nel 2003 (allora governava Abu Ala), Qaddura spiega a Europa che se
Barghouti fosse scarcerato Israele ne trarrebbe un
grande vantaggio, poiché si troverebbe presto a trattare con "un
interlocutore valido e capace di tenere insieme la galassia dei movimenti
palestinesi". A che punto sono le trattative per la sua liberazione?
Marwan, insieme al soldato israeliano Gilad Shalit, è uno
dei prigionieri al centro di un negoziato su un possibile scambio di detenuti
tra Israele e Hamas. Mi auguro davvero che l'accordo vada in porto molto
presto. In Medio Oriente è però purtroppo ancora prevalente l'idea che si
possano risolvere i problemi solo con l'uso della forza. Io, come
firmatario dell'accordo di Ginevra nel 2003, siglato dal palestinese Yasser
Abed Rabbo e dall'israeliano Yossi Beilin, ho provato a invertire questa
tendenza, ma debbo riconoscere che è veramente dura lavorare per il dialogo in
Medio Oriente. Secondo quanto sostiene Bush è possibile raggiungere la pace in
Medio Oriente entro i porssimi 12 mesi. Lei è ottimista o pessimista? Nessuno
di noi crede che la pace possa arrivare entro la fine del secondo mandato
presidenziale di Bush. Tuttavia si è creata una congiuntura favorevole per la
ripresa del dialogo, e non va lasciata cadere. Penso alla conferenza di
Annapolis, ma anche al rilancio del piano arabo di pace del 2002, che
rappresenta un'occasione unica per ridare vigore al processo di pace. In questo
quadro, il coinvolgimento della Siria è strategico. Dobbiamo portare Damasco
nel peace camp per toglierla dall'abbraccio dell'Iran. Per quanto riguarda i
palestinesi, Abu Mazen è seriamente intenzionato a raggiungere un'intesa molto
presto e posso assicurare che il nostro popolo è altrettanto pronto. La
maggioranza della popolazione è infatti stanca del conflitto e decisa ad
accettare dolorose concessioni pur di vivere in tranquillità. E sono convinto
che lo stesso sentimento si riscontri anche tra gli israeliani. Ciò detto, più
il tempo passa e più i rancori e le violenze sono destinate ad aumentare.
Stiamo dunque perdendo tempo prezioso. A Gaza la situazione si fa sempre più
drammatica. Israele è andato via da Gaza chiudendo
dietro di sé la porta e gettando via la chiave. Ma la striscia fa parte dei
territori palestinesi, quanto la Cisgiordania. In Israele
ritengono che Gaza, così come Hamas, sia però un vostro e non un loro problema.
Hamas non è un problema solo dei palestinesi, ma anche di Israele.
Lo stato ebraico vuole la fine del lancio dei razzi Qassam? Vuole che Hamas
riconosca il loro diritto all'esistenza? Allora ci deve aiutare. Israele è il principale responsabile della crescita di Hamas
e del fondamentalismo nei territori. La strategia del governo israeliano è
stata fino a oggi quella di amministrare il conflitto e non di risolverlo. In
che modo Israele è responsabile del radicalismo di
Hamas? Per prima cosa per aver contribuito al fallimento degli accordi della
Mecca tra Al Fatah e Hamas, che portarono alla formazione di un governo di
unità nazionale palestinese. Avendo insistito sulle tre condizioni
(riconoscimento di Israele e degli accordi pregressi e
fine della violenza, ndr), non ci hanno dato la possibilità di organizzarci
come volevamo. Cosa avrebbe dovuto fare Israele? La
strategia migliore da attuare è quella dei piccoli passi. Nessuno forse si
ricorda che l'Olp, poco più di venti anni fa, era come Hamas. E Olmert venti
anni fa era come Lieberman (leader di un partito di destra uscito due settimane
fa dal governo, ndr). Noi di Al Fatah e quelli di Kadima abbiamo cambiato idea
perché abbiamo fatto i conti con la realtà e abbandonato i sogni
irrealizzabili. Il cambiamento delle posizioni estremistiche del movimento
islamico avverrà solo attraverso un processo graduale e non interrotto. La
comunità internazionale è però da tempo impegnata a sostegno del fronte
moderato palestinese, in primis del presidente Abu Mazen. Israele
e Stati Uniti dicono che vogliono rafforzare i moderati, ma da quando Abu Mazen
è presidente dell'Anp non è stato smantellato nessun check point all'interno
della Cisgiordania. Al contrario ci danno tanti soldi e tante armi per
combattere Hamas. Ma se la mattina bambini palestinesi vengono uccisi in raid
israeliani nella Striscia di Gaza e la sera i nostri negoziatori si incontrano
con la Livni, cosa dovrebbe pensare il nostro popolo se non che questa è la
strategia peggiore per indebolire Hamas. Il movimento di resistenza islamico
sarà più debole solo se il processo di pace andrà avanti.
( da "Resto del Carlino,
Il (Nazionale)" del 27-01-2008)
Pubblicato anche in: (Nazione, La (Nazionale)) (Giorno, Il
(Nazionale))
Campagnata ha il sapore della liberazione dopo 40 anni
di confini arcigni e "prigionia". Centinaia di auto con la targa
verde della Palestina varcano per la prima volta il
confine, vanno all'estero, in Egitto. Tutti in colonna, anche sono per trovare
amici e parenti, per gustare un piatto di pesce a El Arish. E' festa; partono
perfino i militanti duri e puri che hanno smesso si sparare razzi Qassam verso Israele. Ci sono anche auto egiziane che fanno il percorso
inverso. Il confine non esiste più, i resti della barriera sono stati demoliti.
Tutto è tornato come nel '67, prima della guerra dei sei giorni. Per Hamas, che
controlla Gaza, è una vittoria storica. Il presidente
palestinese Abu Mazen oggi incontrerà il premier israeliano Ehud Olmert e gli
chiederà di passargli il controllo di tutti i valichi della Striscia, per
tentare di recuperare un minimo di autorità su Gaza. Israele terrà quei
valichi chiusi per tagliare tutti i ponti con Gaza e sbarazzarsene. E'
la fine di un mondo. Quello a cui apparteneva anche George Habbash, fondatore
del Fronte popolare di liberazione della Palestina,
morto ieri a 81 anni. Habbash e il suo Fplp sono stati l'anima del fronte del
rifiuto, del no a Israele. Oggi la loro bandiera è
degli islamisti di Hamas, padroni di Gaza e di nient'altro. - -->.
( da "Unita, L'" del
27-01-2008)
Stai consultando l'edizione del PALESTINA Morto Habash,
capo del Fronte popolare AMMAN È morto a Amman in Giordania George Habash, fu
il fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
(FPLP), in cui confluirono diverse organizzazioni preesistenti. Habash, nato
nel 1929 al Cairo , si laureò in medicina all'università americana di Beirut.
Era considerato un falco all'interno dell'Olp di Arafat con
cui ruppe nel 1993 dopo la firma degli accordi di Oslo. Habash si è sempre
rifiutato di riconoscere lo Stato di Israele ed ha
sempre sostenuto la lotta armata.. Nel
( da "Unita, L'" del
27-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Le Chiese cristiane:
porre fine al dolore di Gaza L'appello a Ue, Israele e Anp. Ora
i palestinesi passano il confine anche in auto "Nel nome di Dio, noi, capi
delle Chiese cristiane di Gerusalemme e della Terrasanta, chiediamo alla
comunità internazionale di porre fine alla sofferenza di Gaza". È
l'accorato appello lanciato dai patriarchi e dai capi delle Chiese cristiane in
Terrasanta in un documento che sottolinea la sofferenza della popolazione
palestinese nella Striscia di Gaza per l'assenza di servizi, acqua e medicine.
I leader cristiani ricordano che oltre mezzo milione di persone sono senza cibo
e assistenza medica e oltre ottocentomila prive di corrente elettrica.
"Questa è un'ingiusta punizione collettiva, un atto immorale in violazione
dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale. La chiusura di Gaza deve
finire". Nel testo si chiede alla comunità internazionale e alla Ue di
agire senza indugi dato che sono a rischio numerose vite umane. Un'esortazione estesa
anche a Palestina e a Israele:
"Chiediamo ai leader palestinesi di porre fine alle loro divisioni per il
bene della gente di Gaza. Mettete da parte le vostre differenze e risolvete la
crisi per il bene di tutti gli esseri umani, dimostrando di avere a cuore la
sorte dei vostri fratelli e sorelle che già hanno sofferto troppo". Mentre
ai governanti israeliani si chiede di "agire responsabilmente e a far
cessare il prima possibile questo assedio inumano. Negare ai bambini e ai
civili i beni di prima necessità non è un modo per garantire la sicurezza ma
serve solo a gettare la regione in condizioni di ulteriore pericoloso
deterioramento". Per evitare queste conseguenze occorre che da entrambe le
parti sia rispettato il diritto di ogni persona a vivere pacificamente,
"considerando - scrivono i patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di
Terrasanta - l'amore che Dio ha per ogni creatura umana". Solo una pace
giusta "proteggerà la dignità della vita civile e sociale di tutti e due i
popoli". Rivolgendosi quindi ai miliziani che continuano a sparare razzi ,
il documento invita gli estremisti a non insistere nelle loro operazioni
belliche per non incoraggiare l'opinione pubblica a pensare che tale assedio
sia giustificato. Sul terreno, è sempre esodo. Non più solo palestinesi che
dalla Striscia si riversano in Egitto attraverso la frontiera di Rafah, ma da
ieri anche un flusso in senso contrario, con centinaia, probabilmente migliaia,
di egiziani entrati nella Striscia approfittando dalla totale assenza di
controlli alla frontiera. In gran maggioranza sono commercianti, la cui
presenza è particolarmente visibile nel mercato cittadino di Gaza City,
stracolmo di gente e dove per la prima volta da molto tempo negozi e le
bancarelle, colpiti da mesi di stretto isolamento della Striscia, tornano a
riempirsi di prodotti. E la crisi di Gaza sarà al centro dell'incontro in
programma oggi a Gerusalemme tra il presidente dell'Anp Abu Mazen e il premier
israeliano Olmert. Fonti palestinesi hanno anticipato che Abu Mazen chiederà a
Olmert la fine dell'assedio della Striscia e si offrirà di assumere il
controllo dei valichi di confine con Gaza. Chiederà inoltre la fine delle
restrizioni ai movimenti di merci e persone in Cisgiordania, mediante la revoca
dei numerosi posti di blocco dell'esercito.u.d.g.
( da "Unita, L'" del
27-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Yehoshua: l'Europa ci
aiuti a battere l'antisemitismo anche nell'Islam di Umberto De Giovannangeli La
forza della Memoria nella Giornata della Memoria. Una cavalcata nel tempo. Per
non dimenticare. È quella condotta dal più grande scrittore israeliano contemporaneo:
Abraham Bet Yehoshua. Oggi viene commemorata in Europa la Giornata della
Memoria. Qual è, ai suoi occhi, il valore di questo evento? "Ho un grande
rispetto per questa decisione dell'Europa, e penso sia giusto che la
commemorazione della Shoah avvenga proprio là, nei luoghi, nelle strade, nelle
foreste, in cui tutto ciò è fisicamente avvenuto. La Shoah non è una questione
limitata alla Germania. I popoli europei che vi hanno preso parte sono molti,
ed è quindi giusto che questa consapevolezza penetri nelle coscienze di tutti
gli europei. Penso poi che sia giusto dare una propria identità ad ognuna delle
tragedie che rientrano nella triste categoria del genocidio. E sia chiaro che
dico questo non per diminuire la gravità degli altri genocidi - come ad esempio
quelli avvenuti in Ruanda o in Cambogia - ma per evitare che la specificità di
ognuno di questi venga offuscata o confusa. La specificità della Shoah sta -
fra l'altro - nella sua incomprensibilità, a meno che non si faccia un
semplicistico ricorso alla malvagità umana. Nel caso degli ebrei, non questioni
territoriali, ideologiche, etniche, economiche o religiose hanno rappresentato
il sostrato del genocidio, come è avvenuto in tutti gli altri casi. Gli ebrei
europei aspiravano all'integrazione nelle società in cui vivevano; non
rappresentavano alcuna minaccia teologica o religiosa né per le società più
vicine alla religione né tanto meno per un regime come quello nazista che era
laico e perfino anti-clericale; economicamente parlando, lo sfruttamento degli
ebrei vivi sarebbe senz'altro stato enormemente più vantaggioso rispetto
all'annientamento deciso nei loro confronti. L'inafferrabilità delle
motivazioni che hanno portato alla Shoah non può che rafforzare l'idea che -
dopo quanto è avvenuto - solo il popolo ebraico può essere responsabile del
proprio futuro". Quindi Israele come patria del
popolo ebraico è l'unica soluzione all'antisemitismo? "È così. Le nazioni
europee lo avevano già cominciato a capire prima dell'Olocausto, ma purtroppo
non abbastanza da precederlo. Dopo la Shoah in parte per convinzione e in parte
per l'orrore di cui erano stati testimoni, tutti - tanto l'Europa occidentale
quanto quella orientale - in un periodo molto problematico dei loro rapporti,
hanno avuto fra i pochi punti di concordia, il supporto alla nascita e allo
sviluppo dello Stato d'Israele. Avevano visto a che
cosa aveva portato l'antisemitismo, ne sono rimasti inorriditi e hanno compreso
che l'antisemitismo non era da combattere solo per salvare le vittime dalla
propria sorte di vittime, ma anche per salvare i carnefici dalla propria sorte
di carnefici". E la Giornata della Memoria deve aiutare ad approfondire
questo aspetto della Shoah? "Questo e tanti altri. Il valore
dell'assunzione di responsabilità è importante ma soprattutto per quanto
concerne l'approfondimento del significato degli atti del proprio popolo, della
comprensione delle motivazioni per cui le cose sono avvenute. In quanto a noi
ebrei, dobbiamo scavare nella nostra identità per capire in che modo la nostra
presenza nella storia possa avere creato quello oscuro spazio ideologico che è
stato colmato da quelle idee insane e farneticanti che sono state fatte proprie
da tanti e che hanno portato alla tragedia dell'Olocausto. Ma di quella
tragedia c'è un aspetto che non va sottovalutato". Quale? "Riusciamo
a capire meglio l'uomo, dopo l'Olocausto. È vero, abbiamo sempre saputo che
l'uomo è capace di compiere il male più efferato e il bene più straordinario;
ma nonostante questo l'Olocausto ci ha svelato un nuovo abisso di male a cui
l'uomo può giungere, ma anche la forza della sua resistenza. Degli scheletri
ambulanti nei campi di concentramento, che da un punto di vista biologico dovevano
quasi considerarsi come morti, davano ancora delle prove di moralità, dividendo
con gli altri l'ultimo pezzo di pane che restava. Dalla disperazione più
tremenda può perciò nascere anche la speranza. Noi che siamo stati lì, e che ne
siamo usciti, possiamo e secondo me dobbiamo alzare il vessillo della fede
nell'uomo". Questo evento - la stessa decisione di celebrare una Giornata
della Memoria - è senz'altro un passo importante sul piano della memoria
storica, ma i dati di indagini riportano che, nonostante tutto, l'antisemitismo
è in espansione. Quali misure si aspetta dall'Europa per debellare questo
virus? "Sono preoccupato del fatto che, purtroppo, il virus
dell'antisemitismo non è stato debellato. Si è indebolito; oggi non può
mostrarsi in tutta la sua virulenza perché considerato inadatto, sconveniente;
ma nelle sue nuove mutazioni continua ad essere presente e
a lanciare anatemi e accuse spesso ingiuste contro Israele. Io sono
il primo a sollevare critiche sugli errori dei governi israeliani, ma nello
stesso tempo individuo spessissimo in molti degli attacchi portati a Israele cose che con le divergenze politiche non hanno nulla a che fare
e che riportano invece a meccanismi che vorremmo cancellati. So che
debellare completamente l'antisemitismo è un obiettivo proibitivo. Ma non lo è
il combatterlo sotto ogni sua forma. L'Europa lo deve combattere con tutta la
sua forza. Non per il bene degli ebrei ma per il proprio bene. Per la salute
delle proprie società. Per non permettere che questo virus si espanda e
colpisca le parti vitali del proprio organismo. La Giornata della Memoria ha
dietro di sé una storia breve, ma mi sembra già di individuarne la sua
importanza. Una importanza che non sta, ovviamente, nelle cerimonie che
avvengono quel giorno, ma in tutto quello che c'è intorno, che la prepara: le
azioni educative; la trattazione dell'argomento da parte dei mass media. Con il
bombardamento di informazioni che ognuno vive ogni giorno, solo un
approfondimento morale e intellettuale del tema ha la possibilità di penetrare
il cuore e le menti. E gli ebrei continueranno ad aggiungere a questo
approfondimento, il proprio lutto, individuale e di popolo". Oggi - con
tutte le divergenze politiche esistenti e perfino con il sopra ricordato
aumento dell'antisemitismo - l'Europa non è certo ostile a Israele.
I pericoli all'esistenza di Israele vengono da altre
direzioni, soprattutto dall'Islam radicale e fondamentalista, che spesso
abbraccia le tesi negazioniste sull'Olocausto. Come va trattato questo
singolare antisemitismo? "In questo sta il doppio impegno dell'Europa.
Capire per sé stessa - per il proprio passato e per il proprio futuro - e
dall'altra parte aiutare altri - in questo caso il mondo islamico e arabo - a
capire fin dove può portare l'estremizzazione. Il Museo dell'Olocausto di
Gerusalemme - lo Yad Vashem - ha messo in rete alcuni giorni fa il proprio sito
in arabo. È un'iniziativa lodevole, importante, ma che avrà un senso solo se
sarà l'Europa a sostenere la tesi della pericolosità dell'antisemitismo per le
società che vogliono progredire civilmente. Solo l'Europa può convincere il
mondo arabo degli effetti distruttivi della demonizzazione e della volontà di
annientare un altro popolo. E qui entra in gioco la politica. Ma quella buona;
quella che potrebbe portare alla soluzione del conflitto fra arabi e
israeliani. Con un'Europa che nella sua equidistanza faccia capire al mondo
arabo la legittimità dell'esistenza di Israele come
patria del popolo ebraico, e a Israele la necessità di
dare ai palestinesi un proprio Stato in cui non ci sia alcuna sua ingerenza
nelle loro vite. Dopo aver giocato durante la Shoah il ruolo di portatrice di
guerra, l'Europa deve ora cercare di essere portatrice di pace. L'impegno in
Libano alimenta questa speranza". Il tema della pace ci porta alla più
stretta attualità. E al dramma di Gaza. Come uscirne? "Con una tregua. Da
negoziare. Subito. Non vedo altre strade, né per noi, tanto meno per i
palestinesi. Sia chiaro: lungi da me sottovalutare le responsabilità pesantissime
che i capi di Hamas hanno nell'aver determinato questa situazione. Penso che
quell'umanità disperata che si trascina in Egitto alla ricerca di cibo debba
chiedere conto dei propri patimenti ai leader di Hamas. I lanci continui,
martellanti, di razzi contro Sderot, Ashqelon e le altre città del sud di Israele sono alla base di questa situazione. Riconosciuto
ciò, resto convinto che la risposta militare, da sola, sia una non risposta.
Con Hamas occorre ricercare un cessate il fuoco. E non vale il discorso, riproposto
più volte dal primo ministro Ehud Olmert, che Israele
non negozia con chi non ci riconosce o vuole distruggerci. Non vale perché è la
storia a smentirlo. La storia d'Israele, dalla sua
fondazione ai giorni nostri, è segnata da guerre ma anche da accordi fatti con
chi non nascondeva, e spesso praticava, il proposito di rigettare a mare gli
ebrei. A Olmert dico: segui l'esempio non solo di un padre della patria, come
David Ben Gurion, ma anche di leader conservatori, come Menachem Begin, che non
considerarono prova di debolezza, ma semmai di forza, la ricerca di un accordo,
fosse anche una tregua, con il nemico". In ultimo, tornerei sul valore
della Memoria. In un suo libro, lei ha affermato, cito testualmente, che
"come figli delle vittime, ci incombe l'obbligo di enunciare al mondo
alcuni insegnamenti fondamentali". Qual è quello più attuale? "La
profonda repulsione, il rigetto più fermo, per il razzismo e per il
nazionalismo oltranzista. Abbiamo visto sulle nostre carni il prezzo del razzismo
e del nazionalismo estremisti, e perciò dobbiamo respingere queste
manifestazioni non solo per quanto riguarda il passato e noi stessi, ma per
ogni luogo e per ogni popolo".
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 27-01-2008)
Esteri Pagina 110 Lutto: 3 giorni È morto Habash l'anima
dura dei palestinesi Lutto: 3 giorni --> AMMAN Georges Habash è morto ieri ad
Amman, in ospedale, dove era stato ricoverato dieci giorni fa per problemi
cardiaci. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha proclamato in sua memoria
tre giorni di lutto nazionale nei Territori palestinesi. Habash ha fatto la
storia del movimento palestinese, di cui, attraverso il Fronte Popolare per la
liberazione della Palestina, ha rappresentato l'ala
più intransigente. Nome di battaglia il saggio , è nato nel villaggio di Lod
verso la fine degli anni '20, da dove la sua famiglia, cristiano-ortodossa, venne scacciata dopo la creazione dello stato di Israele nel 1948. Divenne un leader noto in tutto il mondo nel 1970,
quando i suoi guerriglieri dirottarono tre aerei di linea in Giordania e li
distrussero, innescando la dura repressione delle autorità giordane contro i
guerriglieri palestinesi, che prese il nome di Settembre Nero. Habash si
rifugiò come molti altri palestinesi in Libano opponendosi alla linea moderata
e arrendevole di Yasser Arafat. Rifiutò gli accordi di Oslo del 1993. La sua
salute intanto si era deteriorata notevolmente a causa di un ictus.
( da "Secolo XIX, Il" del
27-01-2008)
Rutka, 14 anni: "Il mio pianto per la libertà"
la "ANNA FRANK" polacca Morì ad Auschwitz: il suo diario nascosto in
casa, ritrovato solo nel 2005, adesso è stato pubblicato grazie alla
sorellastra 27/01/2008 daniela pizzagalli UNA ANNA FRANK polacca: cosìè stata
definita Rutka Laskier dopo la scoperta del suo diario, nascosto nel 1943 sotto
il pavimento di casa prima di essere mandata a morire ad Auschwitz in una
camera a gas. Diventato un libro, il "Diario" (Bompiani, 165 pagine,
12 euro) sta facendo il giro del mondo grazie all'impegno della sorellastra
Zahava Laskier Scherz. Oggi quasi sessantenne, Zahava è un'eminente studiosa
israeliana e ha una storia davvero romanzesca da raccontare: "Soltanto a
14 anni ho saputo di aver avuto una sorellastra e un fratellastro, quando
trovai delle vecchie foto nascoste in un armadio e chiesi turbata a mio padre
chi fossero i ragazzini ritratti insieme a lui. Mi confidò che in Polonia,
prima della guerra, aveva una moglie e due figli, con i quali fu internato ad
Auschwitz, ma lui solo sopravvisse. Immigrato nel
( da "Giornale.it, Il" del
27-01-2008)
Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 da Milano
Sarà un videosaluto di Elie Wiesel, oltre agli interventi del vicepresidente
del Consiglio e ministro per i Beni e le attività culturali Francesco Rutelli e
del presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna a
dare il via al convegno internazionale su "Antisemitismo e i moderni
crimini contro l'umanità", in programma oggi e domani a Palazzo Barberini.
L'incontro rappresenta il culmine delle manifestazioni, svoltesi anche in
settimana, per il Giorno della Memoria, data simbolo dello sterminio degli
ebrei europei. Si parlerà di antisemitismo, così come si è concretizzato
nell'Europa degli anni '30 e '40 ma anche di genocidi contemporanei, dai
Balcani al Rwanda, con un occhio al conflitto interreligioso. L'intera
settimana - accompagnata da una forte programmazione tv e radio, sia pubblica
sia privata - è stata comunque caratterizzata da una serie di manifestazioni e
di cerimonie, quasi tutte all'insegna di un doppio anniversario che si è
intersecato con il Giorno della memoria: i 60 anni della Costituzione e i 70
delle Leggi Razziali del novembre del 1938. E proprio questi due temi sono
stati, tra l'altro, al centro del discorso del presidente Napolitano al
Quirinale - nella manifestazione in onore dei "Giusti tra le
Nazioni": "Non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo mai la Shoah.
Non dimentichiamo gli orrori dell'antisemitismo, che è ancora presente in
alcune dottrine, e va contrastato qualunque forma assuma". Così come la
cerimonia nella Risiera di San Sabba a Trieste, nell'unico campo di sterminio
in territorio italiano, dove il ministro della pubblica istruzione Fioroni ha
sottolineato "la vergogna" e "le scuse" per le Leggi
Razziali. Per oggi altre manifestazioni sono programmate in tutta Italia. Tra le tante due si svolgeranno a Firenze: all'Università verrà
consegnata la laurea honoris causa allo scrittore israeliano David Grossman. A
Palazzo Medici Riccardi, in calendario è un convegno in onore di Alberto
Nirenstein, scrittore e storico, di recente scomparso.
( da "Secolo XIX, Il" del
27-01-2008)
Mr. Puma: "Ho girato il mondoora torno a casa e
recito da solo" teatro di sassello Nuova scommessa dell'artista savonese,
che ha lasciato Pippo Delbono LUCI, MUSICA, parole e gesti del corpo. Tutto
questo fa parte de "L'occhio del Puma", spettacolo teatrale che verrà
messo in scena questa sera al Teatro di Sassello (ore 21,30). Creatore e
interprete unico della rappresentazione è l'artista savonese Gianni Briano, in
arte Mr. Puma. Un personaggio conosciuto e apprezzato anche all'estero grazie a
numerose trionfali tournée in giro per il mondo con la compagnia del regista
teatrale Pippo Delbono. Mr. Puma è un personaggio eclettico e istrionico, nato
artisticamente a metà degli anni '80 come uno dei maggiori cultori amatoriali
della musica reggae. Nel 1986 dà vita al gruppo "Mr. Puma e i
Rompotodo", uno dei primi sound system nati in Italia. All'Officina, il
primo centro sociale genovese, inizia la sua esperienza rielaborando il modello
dei dj giamaicani. Tre anni dopo, dall'incontro con il bassista Roberto
Quadrelli, personaggio di spicco dell'underground genovese, nascono "Mr.
Puma e i Ragni", gruppo cult di quegli anni a Genova. Importante balzo
avanti nel '93 con la nascita di "Mr. Puma e i Raptus". Il progetto
dà vita ad uno spettacolo e a un cd, dal titolo "Dal virus alla
rivelazione", edito dalla Vox Pop, una delle più importanti etichette
discografiche indipendenti. Nel marzo del 1996 inizia la sua collaborazione artistica
con il regista teatrale Pippo Delbono, da cui nasce lo spettacolo
"Barboni", vincitore di molti premi tra cui il Premio Ubu '97 e il
Premio della Critica nel '98. Il successivo "Guerra" porterà Mr. Puma
a girare il mondo e a partecipare all'indimenticabile
tournée in Palestina e Israele. Nel luglio del 2000, alle Orestiadi di Gibellina, Mr. Puma
partecipa ad un nuovo spettacolo di Delbono dal titolo "Il Silenzio".
Quattro anni dopo al Festival d'Avignon debutta "Urlo". Lo spettacolo
viene accolto trionfalmente in tutta Francia e vince nel 2005 il premio
"Olimpici del Teatro". È un ritorno in provincia dopo i
successi raccolti in mezzo mondo con Pippo Delbono. "Con Pippo abbiamo
scritto pagine importanti - spiega Mr. Puma -. Ma è il momento di camminare da
solo". Lo spettacolo in programma a Sassello è la prima tappa di questa
evoluzione artistica? "Lo spettacolo è già andato in scena nei mesi scorsi
a Milano, Genova e a Parigi. È un working progress che ha trovato la sua forma
definitiva. Il progetto è nato tre anni fa in forma embrionale e con il passare
del tempo ha trovato la sua dimensione attuale. Torno per la prima volta ad
esibirmi nella mia provincia dopo un po' di anni di assenza". Ci descriva
lo show di questa sera. "È uno spettacolo multimediale. Unisce la
proiezione di video, alla musica, alle parole, alle luci e soprattutto alla
gestualità del corpo. È un'opera contemporanea, moderna, condita da monologhi e
riflessioni". Come è stato accolto lo spettacolo a Parigi? "È piaciuto
molto e sono stato invitato per una serie di esibizioni in cartellone a maggio.
Il pubblico francese è molto sensibile alle novità, al contrario di quello
italiano che è invece rimasto troppo legato alle rappresentazioni classiche. La
Liguria è ancora più chiusa, manca la curiosità e la voglia di assistere a
spettacoli innovativi". Come mai la scelta del palcoscenico è caduta sul
teatro di Sassello? "La scorsa estate ho messo in scena al Priamàr uno
spettacolo con Carlo Deprati, direttore del teatro sassellese. Ci siamo
conosciuti e a quel punto il passo è stato breve. A Savona poi non ci sono
spazi in grado di ospitare rappresentazioni alternative: il Chiabrera non è il
luogo adatto per "L'occhio del Puma", mi hanno invitato al Nuovo
Filmstudio, ma in questo caso il palco è troppo piccolo. Il teatro di Sassello
invece è la cornice giusta". Insieme a lei sono presenti nello spettacolo
altri due savonesi. "Si tratta di Maurizio Oliveri, che ha curato il
reparto video, e di Giovanni Astengo, dj con cui ho scelto le musiche".
Martin Cervelli 27/01/2008.
( da "Giornale.it, Il" del
27-01-2008)
Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Noi scordiamo
donde siamo \[venuti. I nostri nomi ebraici dell'esilio ci disvelano, ricordano
il fiore e il frutto, \[e città medievali, metalli, cavalieri diventati pietra,
\[e rose in abbondanza, profumi svaporati, gemme, \[molto rosso, lavori manuali
che non sono più \[al mondo. (E neanche le mani.) Il taglio del prepuzio ci
confonde, \[come dice la Bibbia nel racconto di Sichèm e dei figli \[di
Giacobbe: un dolore che dura finché viviamo. Che facciamo, tornando in questo
\[luogo con quel dolore. Le nostalgie sono state \[prosciugate con le paludi,
il deserto rifiorisce per noi, \[abbiamo figli leggiadri. Anche i relitti delle
navi \[naufragate in viaggio giungono a questa costa, anche i venti vi
giungono. \[Ma non tutte le vele. Che facciamo in quest'oscura terra che getta
ombre gialle che tagliano gli occhi (succede che qualcuno ancora \[dica dopo
quaranta o cinquant'anni: "questo sole mi uccide"). Che facciamo
delle anime \[di nebbia, dei nomi, degli occhi di selva, dei nostri figli
\[leggiadri, del nostro rapido sangue? Il sangue sparso non è radici ma è la
cosa più vicina alle radici che abbiano gli uomini.
( da "Giornale.it, Il" del
27-01-2008)
D di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Quasi
sessant'anni fa (era il maggio del 1948) nasceva lo stato d'Israele. Sorgeva
sul sangue sparso durante la persecuzione degli ebrei e altro sangue avrebbe
chiamato, dei popoli arabi decisi ad impedire l'usurpazione della terra che gli
ebrei consideravano "promessa". Popoli in lotta, fino ad oggi, che
fino ad oggi nel nome di quel sangue, del reciproco sangue sparso per cause
opposte, si fanno la guerra e insieme cercano la pace. Una pace
difficile, perché la morte chiama altra morte. Da poco è in libreria
un'antologia di poeti israeliani del Novecento edita da Einaudi. Tra di essi
Yehuda Amichai, scomparso il 22 settembre del 2000, considerato il maggiore dei
poeti israeliani moderni, la cui prima raccolta in italiano, Poesie, a cura di
Ariel Rathaus e con introduzione di Ted Hughes, fu pubblicata a Milano 2001.
Nato a Würzburg, in Germania, nel 1924, Amichai si trasferì in Palestina con la famiglia nel 1936. Fra i temi di questo
poeta c'è quello principe dell'amore, tanto che - è stato scritto - sembra che
riscriva il luminoso ed enigmatico archetipo del Cantico dei cantici. E d'altra
parte il sussulto, lo spasimo d'amore si trasferisce alla terra, considerata
una cosa vera e profondamente mistica, alla storia e ai simboli del popolo d'Israele. Tra i molti testi di Amichai su questi temi, quello
che qui pubblichiamo, tratto dalla raccolta E non per ricordare, del 1971, che
unisce il senso della dispersione, della diaspora, il colore e il sapore del
sangue con il sentimento dell'appartenenza, del radicamento sacro, del
ritrovamento di un luogo: è una poesia dolorante, scritta toccando i segni di
sutura delle ferite millenarie. Consapevole del nuovo tormento e dramma che
questa storia comporta: scritta da dentro il dramma, antico e perenne, come sua
interna voce.
( da "Giornale.it, Il" del
27-01-2008)
Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00
L'abbattimento del muro che divideva Gaza dall'Egitto ha aperto la strada a
interminabili colonne d'auto che ieri per la prima volta hanno potuto lasciare
Gaza riversandosi oltre la frontiera. A bordo di potenti fuoristrada, centinaia
di uomini appartenenti alle cellule armate hanno lasciato a casa kalahsnikov e
uniformi, viaggiando per la prima volta all'estero senza doversi nascondere.
Anche per questo le autorità militari israeliane riconoscono che il numero dei
lanci di razzi contro la cittadina di Sderot nelle ultime ore è drasticamente
calato. Il problema però è quale soluzione definitiva trovare alla situazione
creatasi. Il presidente palestinese Abu Mazen è tornato a respingere ieri
l'offerta di un negoziato diretto con Hamas mediato dall'Egitto. Il rais
egiziano Hosni Mubarak ha allora aggirato il diniego, proponendo
tavoli separati che entrambe le fazioni sembrano avere accettato. Oggi Abu
Mazen incontrerà anche il premier israeliano Ehud Olmert al quale chiederà
l'affidamento dei controlli sulle frontiere della Striscia: è fra le ultime
carte rimaste nel mazzo del presidente palestinese per rimanere in gioco.
( da "Giornale.it, Il" del
27-01-2008)
L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra
Hiroshima" di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 La
condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal
rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il
Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le
nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia,
invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e
dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in
un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano
l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati
dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio
di testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno
stadio avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto
Manhattan" spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò
alla costruzione degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario,
tratteggiato dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di
laboratori assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia
internazionale per l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già
lavorando a testate nucleari per missili terra terra - dichiara Barak - e con
molta probabilità hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino
oltre a quello di Natanz". Secondo Israele,
insomma, quanto l'Iran fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta
dell'iceberg, uno specchietto per le allodole, dietro cui operano impianti
assai più sofisticati con finalità esclusivamente militari. "Le più
importanti agenzie d'intelligence internazionali dovrebbero concentrare i loro
sforzi - auspica Barak - per capire dove siano l'eventuale centro
d'arricchimento clandestino e il gruppo che lavora alle tecnologie militari".
La nuova bozza di risoluzione - messa a punto a Berlino la scorsa settimana e
approdata ieri all'esame del Consiglio di sicurezza - è un altro sintomo della
diffidenza internazionale nei confronti di Teheran. La risoluzione chiede
l'immediata sospensione del programma di arricchimento e punta
all'introduzione, in caso contrario, di un terzo blocco di sanzioni capace di
garantire la sorveglianza degli esponenti alla guida del programma nucleare
iraniano. Dunque delle sanzioni ad personam.
( da "Giornale.it, Il" del
27-01-2008)
Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Aretha Franklin,
Beyoncé, Foo Fighters, Carrie Underwood, Mary J. Blige, Clark Sisters, Israel And New Breed, Trin-I-Tee 5:7, Rihanna e i Time (riunitisi
in occasione della cerimonia): saranno questi i primi artisti a salire sul
palco della 50esima edizione dei Grammy Awards. Lo ha reso noto la Recording
Academy. L'evento live andrà in onda dallo Staples Center di Los Angeles e per
il pubblico italiano sarà possibile il 10 febbraio assistere alla cerimonia in
diretta su Music Box (canale 717 di Sky). La produzione dei Grammy
Awards, in partnership con YouTube e Cbs.com, offrirà a 20 musicisti
l'opportunità di suonare con i Foo Fighters.
( da "Repubblica, La" del
27-01-2008)
Pagina I - Milano La celebrazione
Rappresenta i profughi più antichi e moderni del mondo La bandiera di Israele nella Giornata della Memoria DAVIDE ROMANO Anche quest'anno la
comunità ebraica milanese sfilerà nella Giornata della Memoria con le bandiere
israeliane. Ma qual è il legame tra sterminio e Stato ebraico? Molti credono
che Israele sia "figlio della Shoah", un risarcimento.
Invece è l'opposto: già dal
( da "Repubblica, La" del
27-01-2008)
Pagina VI - Milano CORTEO DELLA MEMORIA ECCO PERCHé CI SARà
LA BANDIERA DI ISRAELE SI PENSI AI TANTI EBREI DISPERATI CHE DAL 1938 - quando
il regime nazista iniziò a bruciare le sinagoghe - facevano la fila alle
ambasciate straniere per i pochi visti disponibili. Se ci fosse stata
un'ambasciata israeliana, avrebbe spalancato loro le porte, salvandoli da
Auschwitz. La storia di un mio conoscente, scomparso di recente, forse aiuta
ancora meglio a capire il legame tra ebrei, Israele, e
Shoah. Si chiamava Tuvia. Nato in Romania, giovanissimo fu catturato dai nazisti
e deportato in un campo di concentramento, da dove riuscì miracolosamente a
fuggire. Alla fine della guerra non aveva nulla: né una famiglia, né una casa
dove tornare. L'unica speranza era partire per Tel Aviv per rifarsi una vita.
Lo fece, ma da clandestino. L'Inghilterra infatti continuava a limitare
fortemente, anche nel dopoguerra, l'immigrazione ebraica. La sua nave fu una
delle tante che la marina britannica riuscì a intercettare. Tuvia si ritrovò
così internato, insieme a tanti scampati dai lager nazisti, in un campo di
raccolta a Cipro. Rimase detenuto in quell'isola fino al 1948, quando fu
riconosciuta l'indipendenza di Israele. Quell'anno
cambiò la storia: finalmente esisteva un rifugio per tutti gli ebrei del mondo.
Tuvia poté arrivare nello Stato ebraico, dove coronò il suo sogno: fu tra i
fondatori del kibbutz (cooperativa socialista) Hafikim, nel nord del paese. Fu
proprio lì che lo incontrai, qualche anno fa, e mi accennò la storia della sua
vita. Gli chiesi perché non avesse mai scritto un libro con le sue memorie. Mi
rispose: "Chi lo leggerebbe? Qui in Israele quasi ogni famiglia ha una storia simile". è tragicamente
vero. Israele è lo Stato ebraico, e in quanto tale è una nazione fatta di
profughi. I primi furono gli ebrei che fuggivano dai pogrom dell'Europa
dell'Est e della Russia, a cavallo tra l'800 e il '900. Poi fu la volta
degli scampati alla II guerra mondiale. E ancora, nel 1948, furono quasi un
milione i profughi ebrei che lasciarono i paesi arabi per raggiungere Israele. Arrivò poi il turno degli ebrei persiani (con
l'avvento di Khomeini), degli etiopi e infine, dal 1989, del milione di russi.
Per questo la bandiera israeliana sventola nella Giornata della Memoria: per
ricordare come si sarebbe potuta evitare la morte di tanti di quei sei milioni
di ebrei, e perché è la bandiera dei profughi più antichi e più moderni del
mondo. DAVIDE ROMANO.
( da "Repubblica, La" del
27-01-2008)
Pagina XI - Milano Folla e giovani seguono il maestro e
pianista nelle sue esibizioni Il ciclone Barenboim alla Scala e in libreria
Oggi in scena Ieri alla Feltrinelli "Tifo Obama" LUIGI DI FRONZO Un
altro bagno di folla per il maestro Daniel Barenboim. Ieri, all'incontro col
pubblico per il suo libro La musica sveglia il tempo, erano veramente in tanti:
quasi tutto il primo piano della Feltrinelli di piazza Piemonte stracolmo di appassionati,
e poi una coda lunghissima di persone in cerca di autografo. E lui, disponibile
come sempre, tra una battuta spiritosa e una dotta riflessione su temi politici
e sociali. Non ha parlato solo di musica, ma anche della "Giornata della
memoria", ammonendo che l'antisemitismo non è morto e va sempre
combattuto. E si è sbilanciato anche sulle lezioni americane. "Spero
veramente in Barack Obama - ha detto - Ma la comunità ebraica non lo voterà, perché le sue opinioni sul conflitto in Medioriente non vanno in
parallelo con le posizioni del governo israeliano". Il successo del
direttore d'altra parte si vede anche in teatro. Venerdì per la seconda serata
del Barenboim-pianista con le Sonate di Beethoven, folla di giovani hanno
occupato il palcoscenico scaligero per poi riunirsi festanti intorno
all'artista. E si ripeterà naturalmente oggi quando Barenboim scalerà le
vette della Sonata op.101, dopo la Patetica op.13, la Marche funèbre op.26 e
l'op.79. Ma al di là della pura sociologia, resta l'importanza artistica di un
messaggio elevato e profondo che Barenboim riesce a far arrivare. Esecutore
spavaldo, disinvolto, quasi istrionesco, che trova una benefica energia nel
pubblico ha imparato moltissimo dal podio. Smorza le sonorità, distende le
frasi, scava nel suono puro (usando pochissimo pedale); non solo, venerdì sera
ha accentuato l'incastro poliritmico nel finale dell'op.31 n.2, ha ritagliato
quasi effetti di swing nell'op.14, ha sottolineato il contrappunto delle due
mani nell'op.81a e ha tinto di nostalgia il segnale postale dei corni, nel
celebre incipit del Les Adieux. Più che magia pianistica, la sua è ormai
riflessione personale e filosofica sull'universo di Beethoven, con esiti di
travolgente bellezza. Ore 15 al Teatro alla Scala, piazza Scala. Ingresso da
( da "Repubblica, La" del
27-01-2008)
Fondatore del Fronte popolare, negli anni Settanta
organizzò decine di attacchi e raid contro Israele E'
morto Habbash, teorico dei dirottamenti Ex compagno d'armi contestò Arafat
quando firmò la pace di Oslo nel 1993 FABIO SCUTO Si è spento ieri, consumato
dall'età e dai malanni della vecchiaia, George Habbash fondatore del Fronte
popolare di Liberazione palestinese, uno dei gruppi più duri della galassia
palestinese, l'ala più radicale di orientamento marxista, teorico dei
dirottamenti aerei negli Anni Settanta e della lotta armata come unica
soluzione del conflitto con Israele, che ha sempre
rifiutato di riconoscere. Quando nel 1993 Arafat firmò a Oslo l'accordo di pace
che gli consentì di rientrare in Palestina dopo
decenni di esilio, definì quella pace un "tradimento" e avrebbe dato
ancora battaglia al suo ex-amico e compagno ma un ictus cerebrale ne ridusse la
verve e la capacità organizzativa, e nell'ottobre dello stesso anno si dimise
da ogni incarico nel Fronte che aveva fondato nel 1967, subito dopo la sconfitta
bruciante degli eserciti arabi nella Guerra dei Sei Giorni. Oratore
rivoluzionario, nazionalista acceso e intransigente, leader di un gruppo che ha
praticato il terrorismo, George Habbash - ma per la sua gente El Hakim (il
dottore) - è stato per quarant'anni una delle figure più controverse della
galassia palestinese. Con Yasser Arafat e Nayef Hawatmeh, è stato uno degli
ultimi leader storici; nei campi profughi il suo nome è stato sempre associato
al rifiuto di qualunque compromesso con Israele. Del
suo gruppo faceva parte Leila Khaled, l'eroina del terrorismo palestinese che
dirottò un jet americano in Siria. Il Fronte di Habbash mostrò subito la sua
propensione verso azioni spettacolari, un'attitudine sempre mal digerita da
Yasser Arafat, e per tutti i servizi segreti divenne "il Dottor
Terrore". Attentati contro gli aerei della "El Al", sabotaggi
agli oleodotti, attacchi alle ambasciate israeliane; fino ai dirottamenti
multipli degli aerei giordani nel deserto, mentre i feddayn palestinesi
fuggivano, cacciati da re Hussein che temeva per il suo fragile trono. Era il
settembre 1970, il "Settembre nero palestinese". Dirottamenti e
attentati hanno fatto per anni di George Habbash uno degli uomini più ricercati
del Medio Oriente. Sulla sua testa, a Tel Aviv come ad Amman c'è stata per
decenni una cospicua taglia. Gli uomini del Mossad, ma anche i mukhabarat
arabi, hanno cercato più volte di eliminarlo dalla scena. I caccia con la
stella di David, con un gesto di pirateria aerea, dirottarono nel 1973 un jet di
linea costringendolo ad atterrare, perché il Mossad era convinto che Habbash
fosse tra i passeggeri. Il Fronte è sempre stato fortemente rappresentato nei
campi profughi in Libano, soprattutto nel sud a Tiro e Sidone, e nei territori
arabi occupati dove molte cellule sono attive. E' infatti attorno al Fronte di
Habbash che per sette anni, fino al 1981, si costituirà con l'aiuto di alcuni
regimi arabi il "Fronte del rifiuto" che tenterà senza successo di
fermare l'evoluzione dell'Olp verso la partecipazione ai negoziati di pace.
Habbash, che aveva 82 anni, si è spento in un ospedale di Amman, dove era
tornato a vivere quando le accuse contro di lui erano cadute in prescrizione e
quando l'ospitalità di Damasco dove aveva vissuto per trent'anni si era fatta un
po' "stretta". Il presidente dell'Anp Abu Mazen ieri sera appresa la
notizia ha fatto annunciare dal suo ufficio tre giorni di lutto nazionale in
tutta la Palestina, ordinando che le bandiere
nazionali vengano listate a lutto.
( da "Repubblica, La" del
27-01-2008)
Parla il ministro degli Esteri iraniano Mottaki:
"La via della pace passa attraverso la giustizia" "Tutti devono
poter scegliere referendum sullo stato palestinese" "Il nostro
nucleare è pacifico: nuove sanzioni ci spingeranno solo a difenderci"
MARCO PANARA ELENA POLIDORI dai nostri inviati DAVOS - Il dramma di Gaza:
"Se ne esce solo con un referendum, dove la gente sceglie il regime che
desidera". I piani di pace in Medio Oriente? "Mancano di
giustizia". Le sanzioni? "Uno strumento d'altri tempi". Parla
Manouchehr Mottaki, ministro degli Esteri dell'Iran. Repubblica lo incontra nel
suo albergo, in una pausa del Forum di Davos. Come valuta
il processo di pace tra Israele e Palestina dopo il viaggio di Bush e quale sarà l'impatto dei fatti di
Gaza? "Sicuro che il signor Bush e Israele cerchino
la pace?" E lei? "Noi pensiamo di no. La vicenda della Palestina va avanti dal 1948: Annapolis e molte altre iniziative sono
state messe in campo senza alcun risultato. La principale ragione è che
tutti i piani mancano di giustizia, che è l'elemento principale" Che
significa giustizia? "Che dobbiamo avere uno sguardo sulla regione:
cristiani, musulmani ed ebrei sono i veri abitanti di quella terra e sono loro
a dover decidere il loro destino. 5 milioni di palestinesi sono lontani dalla
loro terra, devono tornare e partecipare ad un referendum per decidere sul loro
stato. Qualunque decisione prenderanno liberamente, noi la sosterremo".
Quindi qual è la prospettiva di questo processo di pace? "Bush ha detto
che entro il 2008 sarà completato. Olmert che probabilmente non sarà possibile.
Questo significa che non cercano una vera pace ma vogliono imporre la loro
volontà sulla Palestina". La soluzione allora?
"Si deve fare come in Sudafrica. Mandela ha speso la vita in prigione ma
alla fine la gente ha potuto decidere. Questo è il modello". Quale è la
posizione dell'Iran su Abu Mazen e Hamas? "Noi raccomandiamo a tutti i
leader palestinesi di sedersi intorno ad un tavolo e di agire insieme
nell'interesse della popolazione. E' responsabilità di tutta la comunità internazionale,
Iran compreso, aiutare i palestinesi". Quale sarà il ruolo dell'Egitto?
"L'Iran ha chiesto un incontro ministeriale ad hoc che si terrà il 3
febbraio a Gedda. Condanneremo l'aggressione dei sionisti a Gaza e
incoraggeremo i vicini, a cominciare dall'Egitto, a tenere aperto il confine
per il passaggio degli aiuti umanitari" Condannerete anche le azioni di
Hamas? "La battaglia per la libertà è un diritto essenziale di ogni
movimento di liberazione e per questo sin dall'inizio la lotta dei palestinesi
non è stata terrorismo". La Rice qui a Davos ha detto che se il suo paese
interromperà l'arricchimento uranio è pronta a dialogare in ogni momento, in
qualsiasi luogo e su qualsiasi argomento. Lei come risponde? "La posizione
dell'Iran è di lasciare il giudizio all'appropriato organismo delle Nazioni
Unite che è l'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica ndr.) Da
cinque mesi abbiamo accettato un accordo con loro. Sono stati fatti numerosi
passi avanti. Buona parte delle richieste sono state soddisfatte. Ci sono anche
tre rapporti. Resta da completare una piccola parte del lavoro. A questo punto
il Consiglio di sicurezza ha due responsabilità: avere pazienza fino al
completamento del lavoro dell'Agenzia, che avverrà in marzo. Poi se l'Aiea
confermasse che non ci sono divergenze con l'Iran, deve allora passare il
dossier all'Agenzia perché proceda nella collaborazione" Sulle sanzioni,
qual è la sua posizione? "Le sanzioni sono uno strumento del passato.
Negli ultimi due anni abbiamo stipulato accordi con vari paesi. Molte società
Usa, indirettamente, hanno cominciato a fare affari con l'Iran. Credo che
riconoscano che le sanzioni o ogni altra azione non basata sui fatti avrà
l'effetto di spingere l'Iran a difendere i suoi diritti. Noi non faremo nulla
contro le regole. Il Consiglio di sicurezza dovrà eventualmente spiegare
all'opinione pubblica del mondo su quali fatti intende basare provvedimenti
punitivi contro l'Iran".
( da "Repubblica, La" del
27-01-2008)
L'Egitto rinuncia a fermare i profughi Gaza, tre giorni
di frontiere aperte per scorte di cibo e combustibili Una quarantina di poliziotti
feriti e Il Cairo striglia Hamas: "Così non può durare" ALBERTO
STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - "I fratelli palestinesi
devono comprendere che la nostra volontà di ospitarli e aiutarli non può
tradursi in una minaccia alla vita delle forze di sicurezza egiziane". Una
quarantina di feriti tra i poliziotti antisommossa e le guardie di frontiera,
alcuni dei quali in stato critico, causati dalle "provocazioni di gruppi
palestinesi", sono un prezzo troppo alto da sopportare, dice il ministro
degli Esteri egiziano, Ahmed Abul Gheit, per aver mostrato generosità e
comprensione verso il dramma di Gaza. L'avvertimento alla dirigenza di Hamas,
senza il cui assenso a Gaza non si muove foglia, è implicito. "Queste
provocazioni ci preoccupano", continua Abul Gheit, quasi a sottolineare
che la pazienza egiziana ha un limite. E tuttavia la decisione del Cairo di
permettere l'ingresso alle masse bisognose di tutto provenienti dalla Striscia
verrà mantenuta, fino a quando i palestinesi non avranno soddisfatto i loro
bisogni (si dice ancora per tre giorni). Ma subito dopo bisognerà trovare una
soluzione "concordata attraverso colloqui fra le parti interessate".
Non sarà così facile. Per il quarto giorno consecutivo, decine di migliaia di persone,
spinte dal desiderio di approvvigionarsi dei beni essenziali che l'embargo
vieta loro da mesi, hanno varcato il confine con l'Egitto ormai ridotto a un
colabrodo. La novità è che molti sono entrati in macchina, altri hanno cercato
di portare dentro i camion, ma pare che non abbiamo potuto superare i posti di
blocco posti all'uscita della Rafah egiziana. Molte auto sono entrate cariche
di bidoni vuoti e sono tornate con benzina e gasolio, due
generi preziosi tuttora sottoposti al blocco israeliano. La polizia egiziana ha
prima cercato d'impedire l'ingresso delle macchine, formando catene umane
davanti ai varchi principali, poi s'è limitata a osservare da lontano. Nella
notte il contingente era stato ridotto per evitare ulteriori tensioni.
Ma è evidente che il Cairo non può accettare la situazione creata da Hamas al
confine con Gaza. Una situazione in cui le autorità egiziane hanno in sostanza
rinunciato a esercitare ogni autorità. Per Mubarak quella della soluzione
"concordata con le parti interessate", vale a dire tanto con Hamas,
quanto con l'Autorità Palestinese di Abu Mazen, la cui influenza è ormai
ridotta alla sola Cisgiordania, è una strada tanto obbligata quanto rischiosa.
Lo sfondamento della frontiera ha, se possibile, acuito i contrasti tra Hamas e
Abu Mazen. Il leader eletto dei palestinesi ha ieri affermato di avere un piano
per risolvere il problema del confine tra Gaza e l'Egitto. Ma per lui il
movimento islamico, prendendo nel giungo scorso il potere a Gaza con la forza
si è macchiato di un crimine che non può essere perdonato. A meno che gli
islamisti non restituiscano il potere all'autorità legittima. Il punto è che né
gli Stati Uniti, né Israele, né forse lo stesso
Mubarak credono che Abu Mazen abbia i mezzi militari e la forza politica di
imporre una soluzione. Insomma, è obbligatorio parlare con Hamas, che ieri, in
evidente polemica con Ramallah, si è offerta di riportare l'ordine al confine
coordinando direttamente con l'Egitto il funzionamento della frontiera. Un
offerta destinata a mettere Mubarak in ulteriore imbarazzo, perché se il Rais
non può permettersi di apparire agli occhi dell'opinione pubblica egiziana come
colui che appoggia il blocco di Gaza voluto da Israele
e assecondato dagli Stati Uniti, dall'altro lato, agli occhi dell'opinione
pubblica occidentale Mubarak non può apparire come un partner di Hamas. La
delicata situazione alla frontiera tra Gaza e l'Egitto sarà al centro
dell'incontro di oggi tra Abu Mazen e il premier israeliano Ehud Olmert. Il
leader palestinese rinnoverà la sua offerta di prendersi carico del confine Sud
di Gaza, chiedendo al tempo stesso a Olmert di togliere il blocco contro la
Striscia e contro la Cisgiordania. Ipotesi assai improbabile.
( da "Stampa, La" del
27-01-2008)
La storia Mille ebrei emigrarono in Palestina
SILVANO GODANI Gennaio 1946, da Vado la prima nave dell'esodo VADO LIGURE Legge
20 luglio 2000, n. 211, ex art. 1 e art. 2: "La Repubblica Italiana
riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di
Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoàh (sterminio del
popolo ebraico).affinché simili eventi non possano mai più accadere". Per
l'occasione l'ISREC (Istituto Storico della Resistenza e dell'Età
Contemporanea), attraverso le ricerche di Antonio Martino ha ritrovato tracce e
immagini di una straordinaria storia di "Exodus alla savonese", raccontata
con qualche coloritura nei libri di Ada Sereni ("I clandestini del
mare") e Mario Toscano ("La porta di Sion"), entrambi sull'immigrazione clandestina di Ebrei europei nel neonato stato di Israele. Un anno prima della nave Exodus (raccontata da Otto Preminger
in un film avvincente) che nel 1947 trasporta profughi da Cipro in Palestina, ben due navi partono da Vado per Israele, a
dispetto degli Inglesi che osteggiavano l'ingresso degli Ebrei nella
"terra promessa". La prima nave, il motoveliero "Rondine"
forse costruito dai Cantieri Solimano e ribattezzato "Enzo Sereni"
(marito di Ada morto a Dachau nel '44), salpa all'inizio di gennaio del '46 da
una banchina di Porto Vado vicino al Faro con un carico di 900 profughi sotto
la protezione della polizia partigiana, come ricorda Adriano Scaglia. La
seconda, la corvetta canadese "Beauharnois" dismessa nel 1945 ma
acquistata dai servizi segreti israeliani del Mossad e poi impiegata nella 1^
flottiglia di 4 navi nello scontro con gli Arabi col nome "Hashomer" (La
Guardia), nella notte fra il 18 e il 19 giugno imbarca ben 1294 Ebrei
provenienti dai lager via Tarvisio e concentrati nel campo di Tradate, forzando
il blocco dei carabinieri schierati sul pontile. Un'operazione imponente resa
possibile dalla perfetta organizzazione della Brigata Ebraica in forza
all'esercito inglese dotata di automezzi e supporti per le comunicazioni.
Perché proprio Savona? Forse perché è più favorevole l'ambiente, visto che a
gennaio è l'agente marittimo Giuseppe Musso, repubblicano, a mettere in
contatto Ada Sereni con l'armatore e le autorità locali, a giugno, si limitano
a prendere atto della situazione. "In un momento così delicato -conclude
Umberto Scardaoni presidente dell'ISREC a titolo personale- è giusto ricordare
che, nel nome della pace, occorre riconoscere anche ai Palestinesi il diritto
di avere una patria, così come abbiamo contribuito a farlo con gli Ebrei".
Nel prossimo 19 giugno, perciò, a Vado Ligure si ricorderà l'episodio insieme
alla Comunità Ebraica di Genova, all'Ambasciata di Israele
e alla Associazione Italia-Israele in collaborazione
col Comune.
( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.132 del
27/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Cultura In ricordo delle vittime del nazismo 27 gennaio: "Il
Giorno della Memoria" Tutte le attivita' della "Casa della Memoria e
della Storia" di Roma Il 27 gennaio di 63 anni fa, nel 1945, il campo di
sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, veniva liberato dall'Armata Rossa,
l'esercito russo bolscevico. Dal 2000 questa data è stata scelta dal Parlamento
Italiano per istituire "Il Giorno della Memoria" in ricordo dello
sterminio del popolo ebraico e di tutti i deportati nei campi nazisti. Molte le
attività organizzate anche quest'anno dalla Casa della Memoria e della Storia
per la giornata odierna. Già giovedì scorso è stata inaugurata un'installazione
fotografica di Giuliano Pastori nello Spazio mostre e sulla Terrazza, dal
titolo "Berlino 06: Memorie Quotidiane", che sarà visitabile fino
al'8 febbraio. Ma la maggior parte delle attività si concentrano proprio oggi:
a partire dalle ore 15.00, nella Sala Multimediale, verrà proiettato il film di
Davide Ferrario e Marco Belpoliti "La Strada di Levi", che ripercorre
dopo sessant'anni l'itinerario dello scrittore Primo Levi per ritornare a casa dopo
la liberazione di Auschwitz. Alle 16.30 "Verso la Memoria", una
lettura di poesie sul tema della Deportazione, della Resistenza e della
Libertà. A seguire, alle 18.05, proiezione del film-documentario "Io
c'ero", ricco di testimonianze di superstiti dei campi nazisti che
raccontano la cruda realtà della vita nei lager. Per concludere, alle 19.30,
"Canzoni della Resistenza, della Guerra e della tradizione democratica del
nostro paese", un intervento musicale di Sara Modiglioni, Piero Brega e
del Laboratorio di canti popolari, politici e sociali della Scuola di Musiche
del Circolo Gianni Bosio. Contemporaneamente, presso il Centro Telematico, a
partire dalle ore 15.00 verrà proiettato il filmato "La deportazione e
l'internamento nei lager nazisti dei militari italiani", storia della
situazione dei militari italiani dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943,
quando durante l'internamento non furono considerati prigionieri di guerra in
modo che gli venisse sottratta l'assistenza prevista dalla Convenzione di
Ginevra. A seguire, alle 15.50, la proiezione dell'intervita/testimonianza a
Franco Venturelli, partigiano che nel 1944 venne deportato a Mathausen. Alle
16.30 proiezione del filmato di Sebastiano Rendina "Un popolo per la
libertà. La Resistenza in Italia", che ripercorre gli avvenimenti storici
che hanno dato forma alla Resistenza Italiana. Alle 17.15 il film-documentario
"Memoria presente: ebrei e città di Roma durante l'occupazione
nazista", che ricostruisce la persecuzione antisemita nella Capitale anche
attraverso interviste a cittadini ebrei. Infine, alle 18.25, la proiezione del film del regista israeliano Eyal Sivan
"Uno specialista: ritratto di un criminale moderno", ricostruzione
del processo al gerarca nazista Adolf Eichmann svoltosi a Gerusalemme nel 1961.
Le attività conclusive si svolgeranno il prossimo martedì: alle 15.00, presso
la Sala Multimediale, verrà presentato il libro "Roma la città della
memoria – Guida agli archivi della città contemporanea",
censimento degli archivi cittadini. Seguirà, alle 17.00, la presentazione del
saggio di Giovanna De Angelis "Le donne e la Shoah", un omaggio al
coraggio e alla resistenza delle donne internate nei ghetti e nei campi
nazisti. Numerosissime dunque le attività fra le quali scegliere per chi desidera
ricordare degnamente questo giorno, e rendere onore ai ricordi e alla memoria
di pagine ancora incredibilmente vicine della nostra storia più violenta e
dolorosa. Il giorno della memoria Fino al 29 gennaio Casa della Memoria e della
Storia Via San Francesco di Sales 5, Roma Ingresso libero Orari: dal lunedì al
sabato, dalle 10.00 alle 18.00 (mostra fotografica) Info: tel. 066876543
www.casadellamemoria.culturaroma.it Valentina Ricci.
( da "Messaggero, Il" del
27-01-2008)
Di ERIC SALERNO Un gioco pericoloso. Questa, per un
dirigente egiziano che abbiamo raggiunto al Cairo, l'essenza di quanto sta
accadendo a Gaza. Con rabbia, il ministro degli Esteri Ahmed Abul Gheit ha
parlato di "provocazioni" e rilevato che sono una quarantina i
soldati e le guardie di frontiera feriti negli scontri con i palestinesi, molti
dei quali armati e appartenenti alle milizie fedeli a Hamas. Due ufficiali sono
in fin di vita. E sembra perdere quota la pazienza del presidente Mubarak. Ha
offerto di mediare la ripresa del dialogo tra Hamas e il presidente palestinese
ottenendo, come risposta, due quasi no. I dirigenti del movimento islamico si
sono detti disponibili ma poi offrono contatti diretti con il Cairo per gestire
insieme, questa la loro formula, il transito sul confine comune. Per Mahmoud
Abbas, l'ipotesi dialogo è da scartare fino a quando i "golpisti"
manterranno il controllo di Gaza. E stato chiaro: non permetterà a Hamas di
servirsi del blocco del confine per guadagnare un riconoscimento ufficiale del
suo ruolo nella Striscia. Il presidente intende insistere, invece, con il premier
Olmert (si vedranno oggi) perché sia l'Autorità palestinese a gestire tutti i
varchi della Striscia. Lui dice che le sue forze sono in grado di farlo. Israele non n'è così convinta. Hamas, nonostante
l'isolamento, mostra una capacità organizzativa e politica sorprendente. Alla
ricerca di uno sbocco non violento, Mubarak ha deciso di invitare al Cairo per
incontri separati, i rappresentanti di Hamas e di Fatah. Il rischio che la
situazione possa deteriorare è evidente. Mezzi blindati egiziani si sono
avvicinati al confine per impedire alle auto dei palestinesi di continuare a
fare avanti e indietro mentre le guardie di frontiera rimandano a casa decine
di migliaia d'abitanti di Gaza ancora nell'area che va dal confine a El Arish.
Le botteghe di questa città, quaranta chilometri a sud delle barriere abbattute
dai militanti islamici, hanno fatto affari d'oro ma ieri la polizia ha ordinato
la loro chiusura per far capire a tutti che la grande spesa è finita. Poche decine di chilometri più a nord, al posto di transito di
Erez, sul confine tra Gaza e Israele, un migliaio di pacifisti
israeliani ha manifestato contro il blocco imposto da Israele e contro
il continuo, seppure ridotto, lancio di missili in direzione di Sderot. La loro
protesta è stata fatta propria dal presidente palestinese. In un
discorso a Ramallah, Abbas ha esortato i gruppi armati a cessare i tiri di
razzi e ha accusato Israele di infliggere una
"punizione collettiva" alla popolazione della Striscia. "Noi
diciamo a tutti quelli che lanciano i razzi: cessate, non date a Israele un pretesto per mostrarsi al mondo come vittima e
affermare che Sderot è una vittima".
( da "Messaggero, Il" del
27-01-2008)
To ieri ad Amman, dove viveva da alcuni anni. Aveva 81
anni. Habash era nato
( da "Messaggero, Il" del
27-01-2008)
Film tratti dalla storia ed entrari in quella del
cinema. A mezzanotte e mezzo, Tg2 Dossier, intervista a Chantal Maas, l'unica
ebrea che ha deciso di vivere ad Auschwitz, dove sta allestendo una casa della
Memoria. E dell'incubo di Auschwitz parla anche Shlomo Venezia, che fu
costretto a far parte di squadra speciale che cremava i corpi degli israeliti massacrati nelle camere a gas. Mentre "I giusti e
gli Ingiusti", è il titolo dell'appuntamento con Terra! Il settimanale di
Toni Capuozzo e Sandro Provvisionato stavolta inizia con un reportage di Marco
corrias da Altavilla Silentina, comune campano dove sparirono una ventina di
passaporti per aiutare una ventina di ebrei ungheresi che nonostante i
documenti non riuscirono a sfuggire alla deportazione. Quindi sarà
Provvisionato a raccontare la Shoa, nella Germania di Trutzhain (a nord di
Francoforte), dove esiste ancora il famigerato lager Stalag IX, rimasto tale e
quale ad allora. Ma, tutte le emittenti, satellitari e non, dedicano l'intera
giornata alle vittime di quel terribile periodo storico. Retequattro e La 7
scelgono il cinema. Stasera Retequattro alle 21,10, ripropone il capolavoro di
Spielberg: Schindler's List. Mentre la 7 manda in onda il bellissimo Giardinio
dei Finzi Contini di Vittorio De Sica e, e alle 18, Train de vie, il geniale
racconto di Radu Mihaileanu.
( da "Corriere della
Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - MILANO - sezione: Tempo Libero -
data: 2008-01-27 num: - pag: 18 categoria: REDAZIONALE OLMETTO ULTIMA REPLICA
La guerra che non si può vincere Il dialogo, l'incontro, il riconoscimento del
dritto dell'altro. Eugenio de Giorgi, dammaturgo e regista, con un gruppo di giovani attori porta in scena il pensiero dello
scrittore israeliano David Grossman, facendo vivere in brevi scene momenti
della tragedia del conflitto israelo-palestinese. Storie ordinarie di vita, di
speranze, di paure, di adulti e ragazzi di entrambe le parti in guerra che
sognano la "normalità" della pace. Uno spettacolo per
conoscere e riflettere.
( da "Corriere della
Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE A
81 anni Morto George Habash, stratega dei dirottamenti Morto a 81 anni George
Habash: fondò il Fronte popolare di liberazione della Palestina, fu
rivale di Arafat e stratega dei dirottamenti aerei. Tre giorni di lutto
proclamati dall'Autorità Palestinese.
( da "Corriere della
Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri -
data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE Arabia Saudita Il
drammaturgo Tuvia Tenenbom racconta la visita con il
presidente Bush in un Paese dove Israele non esiste
Corano, manager e night club. Un ebreo fantasma a Riad Qualche giorno fa ho
tentato di recarmi in Arabia Saudita o Saudia, com'è chiamata in Medio Oriente,
terra che aveva stregato la mia immaginazione. Mi sono dunque collegato al sito
web del governo saudita, per avviare la procedura di richiesta del visto.
Un sito interessante, non c'è dubbio. Desiderano sapere, ad esempio, "Qual
è la tua religione?". Io non professo alcuna religione, ma ho ricevuto
un'educazione ebraica ultra-ortodossa, pertanto mi pareva opportuno selezionare
"Giudaismo". Ehi, ma come? C'è un problema: il Giudaismo non è tra le
opzioni disponibili. Pazienza: salto la domanda sulla "religione " e
passo alla successiva: "Luogo di nascita". Ottimo: sono nato in Israele. Come, non lo sapete? Questo Paese non esiste nella
mentalità saudita. Così, senza dover troppo attendere, ho definitivamente
archiviato il mio sogno saudita. Finché, un giorno, arriva una chiamata dalla
Casa Bianca: mi invitano ad accompagnare il presidente Bush nel suo viaggio in
Medio Oriente. E, poiché nel tempo libero faccio anche il giornalista, si
offrono di risolvere loro il problema del visto. Accetto senza indugi e, in
meno di una settimana - hurrà! - sono pronti i documenti. "Accompagnatore
del presidente americano", recita il timbro saudita sul passaporto. Che
cosa significa? Dovrò partire assieme a Bush? Non lo so né me ne curo, mi
limito a prendere l'aereo. Un uomo come me, il cui principale titolo
professionale è quello di "Direttore artistico del Teatro Ebraico di New
York", è in Arabia Saudita! In qualsiasi altra occasione i sauditi
preferirebbero patire un infarto anziché vedere la mia faccia nella loro
patria, ma stavolta hanno dovuto fare un'eccezione e io mi sento strafelice.
Poi Bush se n'è andato e l'ebreo è rimasto tutto solo all'Holiday Inn di Riad.
Ma non a lungo. Più o meno nel medesimo istante in cui l'Air Force One ha
toccato il suolo americano, qualcuno mi chiama invitandomi a raggiungere una
"persona importante che desidera parlarle". Mi accompagnano, passando
per una porta segreta, a un piano sottostante. Il posto sembra avvolto nel buio
e nella sporcizia. La targhetta sulla porta recita: "Mohammad Al-Mallah -
Human Resources Manager". Che cosa succede? Non sto cercando un lavoro, o
sbaglio? Risorse umane?!? "Si sieda", dice l'uomo. "I
giornalisti - inizia a farfugliare - fanno domande ma non sanno dove trovare le
risposte". Tutte le risposte sono racchiuse "in questo libro",
scandisce additando una copia del Corano rilegata in pelle verde. Faccio per
aprire il libro, ma il mio interlocutore pare non si diverta, e mi dice in un
inglese sgrammaticato: "Tu non sei musulmano, non hai le mani pulite, non
toccare il Libro Sacro". Aspetta un secondo, mi dico, come diavolo fa a
sapere che sono ebreo? Prima che riesca a trovare una risposta, però, il
Responsabile delle Risorse umane enumera in tutta fretta le regole che sono
tenuto a rispettare: "Niente foto né riprese, niente interviste, niente
discorsi politici. Domande? ". Molto stupidamente rispondo: "Sì, ho
una domanda. Pensa che ci potrà mai essere la pace tra israeliani e
palestinesi?". "Sì", risponde. "Come è scritto in questo
Libro Sacro, muoiano tutti gli ebrei e sul mondo intero regnerà la pace".
A questo punto risalgo in camera e scrivo una e-mail all'ambasciata saudita di
Washington. Sono l'unico ebreo in Arabia Saudita. Strano, no? Persino nella
Germania nazista gli ebrei erano più numerosi... Finalmente mi alzo ed esco a
fare due passi. Proviamo a capire dove finisce un ebreo e comincia un saudita,
dico tra me e me. Attraverso solitario King Abdulaziz Street. E vedo volare a
bassissima quota una squadriglia di quattro aerei militari. è da quando ero
bambino in Israele, al tempo della Guerra dei Sei
giorni, che non vedo un aereo militare così da vicino. è come se uno spirito
magico, fantastico e inspiegabile, mi facesse tornare bambino. Sì, questi
velivoli mi rapiscono e, d'incanto, mi riportano indietro di 40 anni, in
Prophet Jonah Street a Tel Aviv. Rallento il passo, totalmente ipnotizzato,
quando un'altra squadriglia inizia a volare sopra di me. Sento un'irresistibile
euforia! Inizio a contare: quattro qui, quattro laggiù, eccone altri quattro, e
ancora quattro... e, quando arrivo a
( da "Corriere della
Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli -
data: 2008-01-27 num: - pag: 48 categoria: REDAZIONALE Beethoven Alla Scala
Anche al piano Barenboim è autorevolezza di ENRICO GIRARDI C i sono studenti
che seguono il concerto su sedie collocate sul palco attorno al pianoforte. E
il primo brano che si ascolta è proprio il primo della lunga serie, l'opera 2
n. 1, Sonata di un Beethoven che omaggia Haydn lasciando gli elementi del
proprio vocabolario a venire in una forma ancora potenziale. L'inizio del ciclo
di 8 concerti che fino a giugno vedranno Daniel Barenboim affrontare alla Scala
l'integrale delle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven ha vago sapore
di Hausmusik. Ma l'impressione dura il tempo di un amen. Un po' fa anche il modo semplice e irrituale con il quale il maestro
israelo-argentino entra in una Scala che pure è gremita come nelle migliori
occasioni: senza ostentare i tormenti di chi si trovi solo all'attacco
dell'altissima vetta ma nemmeno la apparente naturalezza di quanti vogliono
comunicare che sostenere l'impresa è cosa ovvia e facile. La verità è
che si entra immediatamente in medias res; il pianismo di Beethoven è tutta
sostanza, pensiero che dà forma e la testa, prima ancora delle mani, di
Barenboim lo dicono con la forza dell'evidenza. Non la ricerca di un'eleganza,
non la ricerca ossessiva di un "bel suono", ma il piacere di lasciar
parlare la cosa. Ecco allora l'umorismo dell'opera 31 n.3, ecco la follia e la
tensione dell'op.
( da "Corriere della
Sera" del 27-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli TV
- data: 2008-01-27 num: - pag: 69 categoria: BREVI Un treno di folli contro la
follia nazista Europa dell'Est, 1941. Per salvare il loro
villaggio dai tedeschi, un matto e un mercante organizzano un treno di finti
deportati diretti verso Israele. Dialoghi italiani curati da Moni Ovadia, musiche di Goran
Bregovic. Regia del rumeno Mihaleanu. Train de vie Cult, ore 21.
( da "Tempo, Il" del
27-01-2008)
Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) vuole
che il controllo dei valichi di frontiera nella Striscia di Gaza ritorni alle
forze dell'Autorità palestinese. Il presidente solleverà questa richiesta nel
corso del colloquio che avrà oggi a Gerusalemme col premier
israeliano Ehud Olmert. Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati
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Valerio Minotti Ranieri vuole subito Mellberg e Sissoko Festa di S.
Antonio, Miele presidente del comitato Israele aveva
imposto la chiusura di tutti i valichi di confine della Striscia dopo la presa
del potere da parte di Hamas, che nega allo Stato ebraico il diritto stesso
all'esistenza. La richiesta di Abu Mazen dipende però dall'assenso di Hamas. Al
riguardo, un autorevole esponente di Hamas a Gaza, Sami Abu Zuhri, ha detto che
il movimento islamico si è offerto di ristabilire il confine tra Gaza e
l'Egitto - sfondato mercoledì scorso a Rafah da centinaia di migliaia di
palestinesi dopo l'abbattimento della barriera eretta da Israele
da parte di miliziani di Hamas - mediante un dialogo diretto col Cairo. A questo
scopo Hamas, ha detto Abu Zuhri, è pronto a coordinarsi con l'Egitto. La
situazione che si è creata a Rafah, ha assicurato, è "temporanea e
eccezionale". Ieri la Palestina ha pianto la
morte di George Habash, il fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp) deceduto ad Amman in Giordania dove s'era
trasferito da alcuni anni. Aveva 81 anni. Il Fplp fu per anni uno dei punti di
riferimento delle organizzazioni radicali palestinesi e sempre rifiutò di
riconoscere lo Stato di Israele. Incessante il flusso
di auto che per la prima volta hanno potuto lasciare Gaza riversandosi oltre la
frontiera. A bordo di potenti fuoristrada, centinaia di uomini appartenenti
alle cellule armate hanno lasciato a casa kalahsnikov e uniformi, viaggiando
per la prima volta all'estero senza doversi nascondere. "Niente razzi
Qassam in queste ore - ha spiegato un miliziano della Jihad islamica che si
presenta con il nome di Abu Obama - andiamo tutti ad El-Arish, sulla costa
egiziana: mangiamo il pesce dei nostri e sogni e ci godiamo tranquilli il
giorno della vittoria". Anche gli uomini di Hamas che hanno aperto nuove
brecce nel muro cancellando ogni ostacolo sul confine, hanno voluto brindare al
successo banchettando in terra egiziana. "Qui siamo tranquilli perchè i
razzi israeliani in Egitto non ci possono colpire". La polizia egiziana,
che consente ai palestinesi libero movimento ma non oltre la cittadina costiera
di El-Arish, evita accuratamente ogni controllo sull'identità dei viaggiatori.
E mentre migliaia di palestinesi corrono verso l'Egitto, centinaia di egiziani
compiono invece il percorso contrario: vogliono tornare nella Striscia per
incontrare amici che non vedono da anni, ritrovare parenti dispersi, vendere
mercanzie o semplicemente scoprire cosa sia cambiato in tanto tempo oltre la
frontiera. Sembrano tornati i confini di 40 anni fa, quando Gaza era sotto il
controllo egiziano. Poi nel 1967 ci fu l'invasione israeliana: la zona oltre il
canale di Suez rimase tagliata fuori, ma gli scambi tra la gente del Sinai e
quella della Striscia proseguirono grazie alla continuità territoriale imposta
dall'occupazione. Infine nel 1982 per l'Egitto giunse la restituzione del
Sinai, la città di Rafah venne divisa tra egiziani e palestinesi e per la
Striscia iniziò l'epoca della barriera. La stessa abbattuta cinque giorni fa.
Vai alla homepage 27/01/2008.
( da "Tempo, Il" del
27-01-2008)
Si festeggia il "capodanno degli alberi". Pace
tra comunità ebraica e tedeschi Daniel Della Seta Sembrano tutti uguali lì
assieme nell'auditorium sorridenti, spontanei, divertenti. Eppure gli occhi dei
bambini raccontano pur tra mille diversi colori, mille diverse storie di
famiglia, di origini, usi e tradizioni. Home Spettacoli prec succ Contenuti
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Arriva la lingerie di Dita Von Teese Il Governo supererà lo scoglio della
fiducia? Sbanda e investe due anziani Cosimo Bove Indifferenza verso i ... Sono
oltre cento i presenti tra gli studenti della Scuola Elementare ebraica Angelo
Polacco, della Media Sacerdoti e del Liceo Renzo Levi, presenti con i loro
colleghi della Scuola Germanica di Roma, in occasione della festività ebraica
di Tu Bishvat, il capodanno degli alberi. Un evento organizzato dal KKL, Fondo
Nazionale Ebraico per l'ambiente, dall'ambasciata tedesca e dalla Scuola tedesca.
L'addetto culturale dell'ambasciata Schmit Neuerburg, accanto al Preside Ulrich
Berner, gli insegnanti Gerhard Moses mostrano grande soddisfazione. La Germania
dal '68 è cambiata e, oggi, si è voluto prendere piena coscienza di questa
pagina buia del '900. "Anche il nostro governo partecipa alle
manifestazioni in chiave educativa e culturale - commenta Wagner - Per la prima
volta un'istituzione ebraica è entrata nella scuola germanica, e ne siamo
felici perché solo costruendo una storia comune che si nutre per il futuro
dell'esperienza passata e del presente sarà possibile combattere i mali del
nostro tempo". Un albero di ulivo proveniente dalle colline di Gerusalemme
è stato messo a dimora nel giardino della Scuola Germanica, dagli studenti dei due istituti e dal procuratore del KKL
israeliano, l'israeliano Rafael Ovadia. Anche in chiave europea la Task Force
contro l'antisemitismo ha potuto contare sempre sul sostegno tedesco e
italiano. Una cerimonia commovente scandita dalle preghiere nell'atto della piantagione,
dai mille simbolismi della tradizione ebraica, e dai canti Shemà Israel,
Gerusalemme d'oro e Gam Gam che, uniti al gospel e dall'introduzione di Bach
eseguiti non senza emozione dai ragazzi, accompagnati dal maestro Spizzichino e
dal maestro Martin Weber e dai giovani musicisti della "Deutsche Schule
Rom". Vai alla homepage 27/01/2008.
( da "Giornale.it, Il" del
27-01-2008)
Di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 La
condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal
rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il
Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le
nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia,
invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e
dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in
un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano
l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati
dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio
di testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno
stadio avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto
Manhattan" spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò
alla costruzione degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario,
tratteggiato dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di
laboratori assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia
internazionale per l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già
lavorando a testate nucleari per missili terra terra – dichiara Barak - e con
molta probabilità hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino
oltre a quello di Natanz". Secondo Israele,
insomma, quanto l'Iran fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta
dell'iceberg, uno specchietto per le allodole, dietro cui operano impianti
assai più sofisticati con finalità esclusivamente militari. "Le più
importanti agenzie d'intelligence internazionali dovrebbero concentrare i loro sforzi
- auspica Barak - per capire dove siano l'eventuale centro d'arricchimento
clandestino e il gruppo che lavora alle tecnologie militari". La nuova
bozza di risoluzione - messa a punto a Berlino la scorsa settimana e approdata
ieri all'esame del Consiglio di sicurezza – è un altro sintomo della diffidenza
internazionale nei confronti di Teheran. La risoluzione chiede l'immediata
sospensione del programma di arricchimento e punta all'introduzione, in caso
contrario, di un terzo blocco di sanzioni capace di garantire la sorveglianza
degli esponenti alla guida del programma nucleare iraniano. Dunque delle
sanzioni ad personam per impedire viaggi all'estero, incontri internazionali o
trasferimenti finanziari effettuati da scienziati e comandanti dei Guardiani della
Rivoluzione coinvolti nella ricerca nucleare. La messa al bando di alcune
personalità del regime era già stata introdotta con due precedenti pacchetti di
sanzioni, ma stavolta le restrizioni dovrebbero rivelarsi particolarmente
stringenti grazie ad un sistema di controlli e garanzie internazionali.
( da "Giornale.it, Il" del
27-01-2008)
L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra
Hiroshima" di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 La
condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal
rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il
Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le
nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia,
invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e
dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in
un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano
l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati
dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio di
testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno stadio
avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto Manhattan"
spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò alla costruzione
degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario, tratteggiato
dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di laboratori
assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia internazionale per
l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già lavorando a testate
nucleari per missili terra terra – dichiara Barak - e con molta probabilità
hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino oltre a quello di
Natanz". Secondo Israele, insomma, quanto l'Iran
fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta dell'iceberg, uno specchietto per
le allodole, dietro cui operano impianti assai più sofisticati con finalità
esclusivamente militari. "Le più importanti agenzie d'intelligence
internazionali dovrebbero concentrare i loro sforzi - auspica Barak - per capire
dove siano l'eventuale centro d'arricchimento clandestino e il gruppo che
lavora alle tecnologie militari". La nuova bozza di risoluzione - messa a
punto a Berlino la scorsa settimana e approdata ieri all'esame del Consiglio di
sicurezza – è un altro sintomo della diffidenza internazionale nei confronti di
Teheran. La risoluzione chiede l'immediata sospensione del programma di
arricchimento e punta all'introduzione, in caso contrario, di un terzo blocco
di sanzioni capace di garantire la sorveglianza degli esponenti alla guida del
programma nucleare iraniano. Dunque delle sanzioni ad personam per impedire
viaggi all'estero, incontri internazionali o trasferimenti finanziari
effettuati da scienziati e comandanti dei Guardiani della Rivoluzione coinvolti
nella ricerca nucleare. La messa al bando di alcune personalità del regime era
già stata introdotta con due precedenti pacchetti di sanzioni, ma stavolta le
restrizioni dovrebbero rivelarsi particolarmente stringenti grazie ad un
sistema di controlli e garanzie internazionali.
( da "Quotidiano.net" del
27-01-2008)
Mobile email stampa MEDIO ORIENTE E' morto Habash, fondatore
del FPLP Fu il fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Era considerato un falco all'interno dell'Olp di
Yasser Arafat con cui ruppe definitivamente nel 1993 dopo la firma degli
accordi di Oslo. Habbash si è sempre rifiutato di riconoscere lo Stato di Israele ed ha sempre sostenuto la lotta armata nella guerra contro lo
Stato ebraico Home Esteri prec succ Contenuti correlati Bomba in bar di
Amsterdam, un morto e quattro feriti Italiano travolto da un fiume in piena
Elicottero si schianta in autostrada, un morto Carolina del Sud, è il giorno di
Obama I sondaggi: 37% contro il 30 di Hillary Primo distributore automatico di
farmaci con marijuana A fuoco l'hotel Montecarlo di Las Vegas Uno degli
alberghi più grandi del mondo Venduto per 275 mila euro un murales di Banksy
Amman, 26 gennaio 2008 - è morto a Amman in Giordania George Habash, fu il
fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina
(FPLP), in cui confluirono diverse organizzazioni preesistenti. Habash, nato
nel 1929 al Cairo di origine greco-ortodossa, si laureò in medicina
all'università americana di Beirut. Era considerato un falco all'interno
dell'Olp di Yasser Arafat con cui ruppe definitivamente nel 1993 dopo la firma
degli accordi di Oslo. Habash si è sempre rifiutato di riconoscere lo Stato di Israele ed ha sempre sostenuto la lotta armata nella guerra
contro lo Stato ebraico. Per anni è stato il punto di riferimento per tutti i
gruppi di opposizione radicali della OLP e ha goduto di un grande prestigio tra
le popolazioni palestinesi ed arabe. Nel
( da "Voce d'Italia, La" del
27-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.132 del
27/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Cultura In ricordo delle vittime del nazismo 27 gennaio: "Il
Giorno della Memoria" Tutte le attivita' della "Casa della Memoria e
della Storia" di Roma Il 27 gennaio di 63 anni fa, nel 1945, il campo di
sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, veniva liberato dall'Armata Rossa,
l'esercito russo bolscevico. Dal 2000 questa data è stata scelta dal Parlamento
Italiano per istituire "Il Giorno della Memoria" in ricordo dello
sterminio del popolo ebraico e di tutti i deportati nei campi nazisti. Molte le
attività organizzate anche quest'anno dalla Casa della Memoria e della Storia
per la giornata odierna. Già giovedì scorso è stata inaugurata un'installazione
fotografica di Giuliano Pastori nello Spazio mostre e sulla Terrazza, dal
titolo "Berlino 06: Memorie Quotidiane", che sarà visitabile fino
al'8 febbraio. Ma la maggior parte delle attività si concentrano proprio oggi:
a partire dalle ore 15.00, nella Sala Multimediale, verrà proiettato il film di
Davide Ferrario e Marco Belpoliti "La Strada di Levi", che ripercorre
dopo sessant'anni l'itinerario dello scrittore Primo Levi per ritornare a casa
dopo la liberazione di Auschwitz. Alle 16.30 "Verso la Memoria", una
lettura di poesie sul tema della Deportazione, della Resistenza e della
Libertà. A seguire, alle 18.05, proiezione del film-documentario "Io
c'ero", ricco di testimonianze di superstiti dei campi nazisti che
raccontano la cruda realtà della vita nei lager. Per concludere, alle 19.30,
"Canzoni della Resistenza, della Guerra e della tradizione democratica del
nostro paese", un intervento musicale di Sara Modiglioni, Piero Brega e
del Laboratorio di canti popolari, politici e sociali della Scuola di Musiche
del Circolo Gianni Bosio. Contemporaneamente, presso il Centro Telematico, a
partire dalle ore 15.00 verrà proiettato il filmato "La deportazione e
l'internamento nei lager nazisti dei militari italiani", storia della
situazione dei militari italiani dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943,
quando durante l'internamento non furono considerati prigionieri di guerra in
modo che gli venisse sottratta l'assistenza prevista dalla Convenzione di
Ginevra. A seguire, alle 15.50, la proiezione dell'intervita/testimonianza a
Franco Venturelli, partigiano che nel 1944 venne deportato a Mathausen. Alle
16.30 proiezione del filmato di Sebastiano Rendina "Un popolo per la
libertà. La Resistenza in Italia", che ripercorre gli avvenimenti storici
che hanno dato forma alla Resistenza Italiana. Alle 17.15 il film-documentario
"Memoria presente: ebrei e città di Roma durante l'occupazione
nazista", che ricostruisce la persecuzione antisemita nella Capitale anche
attraverso interviste a cittadini ebrei. Infine, alle 18.25, la proiezione del film del regista israeliano Eyal Sivan
"Uno specialista: ritratto di un criminale moderno", ricostruzione
del processo al gerarca nazista Adolf Eichmann svoltosi a Gerusalemme nel 1961.
Le attività conclusive si svolgeranno il prossimo martedì: alle 15.00, presso
la Sala Multimediale, verrà presentato il libro "Roma la città della
memoria – Guida agli archivi della città contemporanea",
censimento degli archivi cittadini. Seguirà, alle 17.00, la presentazione del
saggio di Giovanna De Angelis "Le donne e la Shoah", un omaggio al
coraggio e alla resistenza delle donne internate nei ghetti e nei campi
nazisti. Numerosissime dunque le attività fra le quali scegliere per chi
desidera ricordare degnamente questo giorno, e rendere onore ai ricordi e alla
memoria di pagine ancora incredibilmente vicine della nostra storia più
violenta e dolorosa. Il giorno della memoria Fino al 29 gennaio Casa della
Memoria e della Storia Via San Francesco di Sales 5, Roma Ingresso libero
Orari: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 18.00 (mostra fotografica) Info:
tel. 066876543 www.casadellamemoria.culturaroma.it Valentina Ricci.
( da "Stampa, La" del
27-01-2008)
DI la settimana GABRIELE FERRARIS UN PASSO INDIETRO
Abbiamo anche noi la nostra Sapienza. Nel senso dell'università romana, perché
in quanto a virtù sapienziali ne scorgiamo poche, nell'alzata d'ingegno di
Vincenzo Chieppa, consigliere regionale dei Comunisti Italiani: egli ha pensato bene di sindacare la decisione della Fiera del
Libro, che ha scelto Israele come ospite d'onore della prossima edizione. Chieppa ha scritto
al presidente della Fiera, Rolando Picchioni, chiedendogli di invitare (per una
sorta di "par condicio": è un dramma, quando i politici apprendono
uno straccio di latinorum...) anche l'Autorità Palestinese, sempre come
ospite d'onore. A far buon peso, un altrimenti ignoto "presidente della
Lega degli scrittori giordani" ha invitato gli intellettuali italiani a
boicottare la Fiera. Il presidente Picchioni e il direttore Ferrero hanno dato
prova di civiltà prendendo quasi sul serio Chieppa (il giordano, era proprio
impossibile...), e rispondendogli che il ruolo particolare di Israele alla Fiera di quest'anno non esclude la
partecipazione di nessuno, neppure dell'Autorità Palestinese. Ma si sono ben
guardati dal considerare l'ipotesi di un "invito cerchiobottista"
che, a questo punto, suonerebbe quantomeno imbarazzante. Peccano però
d'ottimismo, ritenendo bastevole tale spiegazione. Bisognava partire dai
fondamentali, spiegando che: 1) certe derive portano dritte al grottesco (se in
futuro l'ospite d'onore fossero gli Stati Uniti, chi convocare per
"contrappeso"? L'Iran? La guerriglia irachena?); 2) Israele può avere, come ogni governo, torti gravi, ma è uno
Stato democratico, riconosciuto dal consorzio civile; 3) tra i tanti scrittori
israeliani di talento, molti manifestano liberamente nel loro Paese dissenso
dalle politiche del loro Paese. Le ingerenze dei politici devastano ogni sfera
della vita sociale; ancor più quando aggrediscono - spregiando logica, buon
senso e sintassi - la cultura. Almeno lì, facciano un passo indietro, non
essendo attrezzati per avventurarsi in quei territori. La Fiera è sana e ben
gestita: la lascino in pace, baloccandosi piuttosto con i numerosi carrozzoni
che sono già riusciti a mandare a ramengo.
( da "Stampa, La" del
27-01-2008)
COMMEMORAZIONI Omaggio del Comune alle lapidi dei caduti
Commemorazione ufficiale domenica 27 al cimitero monumentale. Il Comune, in
collaborazione con l'Associazione nazionale ex deportati politici nei campi
nazisti, Associazione nazionale ex internati, Comunità Ebraica di Torino e la
Fondazione Teatro Stabile organizza infatti tre momenti di riflessione per il
giorno della memoria. Alle 9,30 commemorazione e omaggio alle lapidi dei
caduti. Sempre domenica, ma alle
( da "Mattino, Il
(Nazionale)" del 27-01-2008)
Amman. George Habash, fondatore del Fronte popolare di
liberazione della Palestina (Fplp) è morto ad Amman,
dove viveva da alcuni anni. Aveva 81 anni. Habash era nato
( da "Mattino, Il
(Nazionale)" del 27-01-2008)
Respinta la mediazione di Mubarak Resta aperta la
frontiera con l'Egitto MICHELE GIORGIO Gerusalemme. La frontiera tra Gaza e
l'Egitto rimarrà aperta sino a quando i palestinesi avranno bisogno di
rifornirsi. Lo assicurano le autorità del Cairo che tuttavia cercano una via
d'uscita alla crisi esplosa lungo il confine e sono perciò tornate ad offrire
una mediazione tra Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen, e il
movimento islamico Hamas. Offerta rispedita subito al mittente. Abu Mazen ha
denunciato come "un crimine" la presa del potere, lo scorso giugno, a
Gaza da parte di Hamas e ha messo in chiaro che non dialogherà con gli
islamisti. Il rais palestinese non ha fatto alcun riferimento all'incontro al
Cairo tra rappresentanti di Fatah e Hamas proposto dall'Egitto, ma le sue
parole sono state ugualmente chiare. Il movimento islamico sperava di potersi
sedere ad un tavolo di trattative su una riapertura concordata del valico di
Rafah e, quindi, di cogliere un riconoscimento politico di sicuro rilievo. Abu
Mazen è intenzionato a impedire che ciò accada e nell'entourage del presidente
non nascondono il disappunto per le aperture fatte dagli egiziani ad Hamas. Abu
Mazen, ha spiegato uno dei suoi più stretti collaboratori, non vuole cambiare
le carte in tavola e chiede il rispetto dell'accordo raggiunto nel novembre
2005 che prevede la gestione del valico di Rafah con l'Egitto affidata solo
alle forze di sicurezza dell'Anp, con la supervisione degli osservatori
dell'Unione europea (attualmente sotto il comando del generale dei carabinieri
Pietro Pistolese). E allo scopo evidente di aggirare l'iniziativa egiziana, il
presidente dell'Anp solleverà la questione della frontiera di Rafah e di tutti
i valichi durante i colloqui che avrà oggi a Gerusalemme col premier israeliano
Ehud Olmert con il quale intende verificare la partnership stabilita alla
conferenza di Annapolis dello scorso novembre. In anticipo
sui colloqui di oggi il presidente palestinese ha esortato i gruppi armati a
Gaza a cessare i tiri di razzi Qassam su Israele e lanciato
nuove accuse agli islamisti. "Hamas - ha detto - ha commesso un crimine a
Gaza...a tutti coloro che lanciano i razzi diciamo: fermatevi, non date a Israele un pretesto per mostrarsi al mondo come vittima". Intanto a
Rafah regna la confusione. La frontiera è rimasta aperta anche ieri, per
il quarto giorno consecutivo, e il passaggio sta consentendo a centinaia di
migliaia di palestinesi di attraversare il valico e recarsi senza alcun
controllo in Egitto. Ieri per qualche ora è entrato in funzione anche un
servizio di taxi che collegava - per la prima volta - Gaza alla città egiziana
di al-Arish al prezzo di 40 shekel (circa sette euro). Il passaggio delle auto
è stato a un certo punto della giornata interrotto dalle forze di sicurezza
egiziane, ma quello dei pedoni è andato avanti normalmente e con esso il flusso
di merci dall'Egitto verso Gaza. Anche numerosi egiziani hanno compiuto il
tragitto inverso, alcuni per vendere le loro merci, altri per curiosità.
Dall'altra parte di Gaza, al valico di Erez con Israele,
ieri almeno 2000 pacifisti hanno manifestato in segno di solidarietà con il
popolo palestinese giungendo da diverse città israeliane. Un lungo corteo di
autobus e macchine ha scortato alcuni camion carichi di generi di prima
necessità destinati agli abitanti della Striscia.
Bush lascia
la terra santa: tornerò a maggio. ora tappa in kuwait. Il (
da "Foglio, Il"
del 12-01-2008)
Springborg:
<In Medio Oriente Bush cerca la sua exit strategy> (
da "EUROPA.it"
del 12-01-2008)
Veltroni, un
vero leader (ancora) poco federalista ( da "EUROPA.it" del 12-01-2008)
W.
"Rambo" con Teheran non piace agli arabi moderati (
da "EUROPA.it"
del 12-01-2008)
Dollaro
Usa1,4792<TD class= ( da "Stampa, La" del 12-01-2008)
Un biglietto
della Rice a Bush "Stai zitto" (
da "Stampa, La"
del 12-01-2008)
Negozi e case
dove sorgeva il ghetto Protestano gli ebrei di Senigallia Quel vuoto resti come
memoria . Cervellati: difendo il mio progetto (
da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)"
del 12-01-2008)
"dovevamo
bombardare auschwitz" - alberto flores d'arcais (
da "Repubblica, La"
del 12-01-2008)
Un horror
alla lumiq per la figlia geraldine - clara caroli (
da "Repubblica, La"
del 12-01-2008)
Il
"dopomorte" dei folli un giallo senza giallo - alfonso cipolla (
da "Repubblica, La"
del 12-01-2008)
Pagina XV -
Torino Una spugna che passa, un'onda che nasce e passa. Questa è l'idea che
anima la pri... ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)
Bush in
israele, a roma allarme anti-terrorismo ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)
Israele, Bush
in lacrime al museo Hamas gela le speranze di pace E la Rice zittisce il
presidente: imbarazzo alla cena con Olmert (
da "Nazione, La (Nazionale)"
del 12-01-2008) + 2 altre fonti
La
"cantata" di barra per la gente della sanità (
da "Repubblica, La"
del 12-01-2008)
Ivan
cattaneo, rock d'autore un concerto al "fellini '70" (
da "Repubblica, La"
del 12-01-2008)
Bush in
Medioriente tra storia e politica ( da "Voce d'Italia, La" del 12-01-2008)
Jesus christ
superstar una notte con la storia - titti tummino (
da "Repubblica, La"
del 12-01-2008)
Spy game 1
intelligence contro intelligence ( da "Riformista, Il" del 12-01-2008)
Wiesel:
sentivamo gli aerei sulle nostre teste e pregavamo che attaccassero il lager (
da "Corriere della Sera"
del 12-01-2008)
Bush:
<Dovevamo bombardare Auschwitz> ( da "Corriere della Sera" del 12-01-2008)
Bush in
Kuwait cerca consensi ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 12-01-2008)
Il
Medioriente secondo Bush. Per il futuro Stato palestinese non funziona il
modello del fo ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)
Caracciolo:
Alleati contro Hitler non a difesa degli ebrei (
da "Unita, L'"
del 12-01-2008)
Agli Usa
diciamo, non lasceremo le colonie ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)
Bush si
commuove nel museo della Shoah Avremmo dovuto bombardare Auschwitz commenta il
presidente. A cena con i ministri israeliani li aveva spronati a sostenere
Olmert ma Rice gli ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)
Un viaggio
nella memoria per il capo della Casa Bianca Prima di ripartire annuncia:
tornerò a maggio in Israele ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)
90 minuti per
ricordare meglio ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 12-01-2008)
GERUSALEMME
Gli Stati Uniti avrebbero dovuto bombardare il (
da "Tempo, Il"
del 12-01-2008)
Alessandro
Austini a.austini@iltempo.it Il più silenzioso (
da "Tempo, Il"
del 12-01-2008)
Scuola di bon
ton con la Carlucci Al Bano tra gli allievi del reality (
da "Tempo, Il"
del 12-01-2008)
Il Museo
Nazionale del Cinema organizza la personale di uno degli autori più controversi
del ci ( da "Stampa, La" del 12-01-2008)
Israele, Bush
parla troppo Condy Rice: chiudi il becco pag.1 (
da "Giornale.it, Il"
del 12-01-2008)
Israele, Bush
parla troppo Condy Rice: chiudi il becco (
da "Giornale.it, Il"
del 12-01-2008)
IN CITTA'
Werner Herzog FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO, VIA MODANE 16, OR.: 12/20,
GIOVED ( da "Stampa, La" del 12-01-2008)
Comincia la
festa, via dockers e proteste ( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)
Dagli alleati
arabi inchini e scetticismo ( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)
Programmi di
oggi ( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)
Alla cena
ufficiale,Condoleezza Rice (a destra)ha passato un bigliettoa Bush. E il
presidentene ha rivelato il contenuto: Mi dicedi chiudere la bocca .Il motivo?
Bush rischiava una ( da "Messaggero, Il" del 12-01-2008)
I marrani?
erano dei veri cattolici - adriano prosperi (
da "Repubblica, La"
del 12-01-2008)
In gioco armi
e petrolio ( da "Giornale.it, Il" del 12-01-2008)
Bush avverte
Iran e Siria: "Basta aiutare i terroristi" ( da
"Quotidiano.net"
del 12-01-2008)
CHIUDETE
GUANTANAMO, PRIGIONE DELL'ORRORE ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)
BUSH:
DOVEVAMO BOMBARDARE AUSCHWITZ ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)
TELLER,
L'UOMO CHE DIVENNE STRANAMORE ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)
Stefania
Podda ( da "Liberazione" del 12-01-2008)
( da "Foglio, Il" del
12-01-2008)
Presidente americano è partito ieri da Gerusalemme
chiudendo la prima parte della missione in medio oriente. "Ci sono buone
possibilità per la pace", ha detto George W. Bush. Il
presidente americano ha visitato il museo dell'Olocausto di Geruslamme.
"Avremmo dovuto bombardare Auschwitz", ha detto, con le lacrime agli
occhi. L'inquilino della Casa Bianca ha annunciato un nuovo viaggio in medio
oriente a maggio, per il sessantesimo anniversario dello stato d'Israele.
( da "EUROPA.it" del
12-01-2008)
Springborg: "In Medio Oriente Bush cerca la sua
exit strategy" Per il direttore del London Middle East Institute, il
presidente Usa spera in un'intesa sul con itto palestinese per far dimenticare
il fallimento iracheno e trovare un'intesa comune contro l'Iran. LAZZARO
PIETRAGNOLI Londra Sono tre gli obiettivi del viaggio del presidente Bush in
Medio Oriente secondo Robert Springborg, ex diplomatico
americano attualmente direttore del London Middle East Institute: Iran, Israele-Palestina ed Iraq. "In quest'ordine ? sottolinea con Europa al
ritorno da un viaggio a Riyadh ? e tutti in una visione strategica, non tanto
con l'obiettivo immediato di portare a casa qualche risultato". Perché
tiene a sottolineare un ordine preciso nelle priorità del presidente?
Perché l'anno scorso e fino a qualche mese fa le priorità erano diverse: ora
invece il primo pensiero di Bush è l'Iran, di cui non a caso ha parlato proprio
durante il suo primo giorno in Israele.
L'amministrazione Bush è in grande difficoltà su questo fronte dopo la
pubblicazione del rapporto dei servizi segreti di qualche settimana fa, che
negava il pericolo di armi atomiche in Iran: questa difficoltà
dell'amministrazione americana si riflette in confusione e disillusione nel
mondo arabo, poiché non è più chiaro quale sia la politica americana in questo
momento. L'ho potuto constatare in prima persona durante i miei incontri a
Riyadh. Bush ha cercato di sminuire la portata di quel rapporto, ma ora, con
questa sua visita ai paesi del Golfo, cercherà di ristabilire una politica
comune contro Teheran. Non so se ce la farà ma sicuramente la sua prima
preoccupazione è qualla di mantenere alto il livello di guardia e di attenzione
verso l'Iran, impedendo a questo stato di costruirsi nuove alleanze con i paesi
arabi moderati. Il tema è stato un'ombra nei primi giorni della visita di Bush,
ma nelle prossime tappe verrà fuori con maggiore peso, così come alla fine del
suo viaggio, il presidente ritornerà ad affrontare la questione irachena. In
questi giorni, però, la questione al centro della visita è stata quella
israeliano-palestinese. Che cosa spera di ottenere Bush e che cosa può
realmente ottenere? Come dicevo prima, gli obiettivi di Bush sono strategici,
non immediati. Egli non mira ad un accordo di pace, che in questa fase egli sa
essere impossibile, ma almeno a un'intesa sulle questioni da discutere per
raggiungere in futuro un accordo di pace. Vuole, in questo modo, ristabilire la
supremazia del ruolo americano su qualsiasi attività diplomatica nella regione,
dopo il parziale stop dei colloqui di Annapolis. Al momento, egli sa che questo
è il massimo che può ottenere: c'è un presidente palestinese debole, che non
controlla metà dei suoi territori e che resta in piedi solo grazie al supporto
occidentale; c'è un premier israeliano altrettanto debole internamente e che
non ha alcuna intenzione di chiudere un accordo di pace con i palestinesi in
tempi brevi. Olmert non ha alcun interesse, al momento, a raggiungere un'intesa
con Abbas, che lo costringerebbe a mediazioni e concessioni che non sono ben
viste dalla maggior parte dei suoi concittadini. In queste condizioni l'unica
cosa che Bush può fare è mantenere una posizione di equidistanza e forzare le
due parti a dialogare, a raggiungere un primo accordo sulle questioni che
devono essere messe al centro delle future trattative di pace. Dopo Annapolis,
questo viaggio. Perché Bush sta caratterizzando la parte finale della sua
amministrazione con una particolare attenzione alla questione
israelopalestinese? Dopo il disastro della guerra all'Iraq, c'è stata
all'interno dell'amministrazione Bush una frattura: da un lato Condoleezza Rice
e l'ala moderata, che spingevano il presidente ad uscire dall'impasse iracheno
con una politica di ampia visione dell'intera regione, e dall'altra il
vicepresidente Cheney e "i falchi" che invece lo invitavano a
proseguire nella azione militare in Iraq. All'inizio quest'ultima linea è stata
vincente, ma nel corso dell'ultimo anno, anche grazie alla vittoria dei
democratici al Congresso, il presidente è stato costretto a cambiare
impostazione. Bush sa che il momentum è stato ormai perso, che non sarà
possibile durante il suo mandato trovare una soluzione al conflitto
israelopalestinese, ma forza almeno per mandare dei segnali, che gli permettano
di concludere il suo mandato presidenziale potendo dire che sono stati fatti
passi avanti anche per la soluzione di questo problema. Sa che quest'anno
scorrerà molto veloce, ma al tempo stesso cinicamente sa anche che Olmert e
Abbas sono deboli e dipendono entrambi dall'amministrazione americana e quindi
cerca una qualsiasi intesa di principio per poterla usare come bilanciamento al
fallimento iracheno. La questione dell'Iraq era al terzo punto dell'agenda di
Bush? Si, il presidente, nella parte finale del suo viaggio, in Arabia Saudita
e in Egitto, tornerà ad affrontare con maggiore insistenza la questione
dell'Iraq, perché deve ricostruire un'alleanza con i paesi arabi moderati,
convincerli ad assumere un ruolo più forte nella soluzione del problema
iracheno. Ha capito che senza un diretto intervento dei paesi arabi, non ci
sarà possibilità per gli Usa di uscire dall'Iraq in tempi brevi e con una
situazione di stabilità accettabile.
( da "EUROPA.it" del
12-01-2008)
GIUSEPPE ADAMOLI * Sono passati tre mesi dalla grande
mobilitazione elettorale del 14 ottobre ed è come se fossero passati degli
anni. Quel giorno avevo sostenuto Enrico Letta. Mi convinceva per l'immagine moderna
e lo sguardo rivolto al futuro e all'Europa, oltre che per la stessa radice
culturale. Non avevo votato Walter Veltroni, pur stimandolo come persona, per
vari motivi. Mi appariva troppo propenso a piacere a tutti e a dire di sì a
cose diverse e contraddittorie. Troppo sindaco di Roma. Soprattutto la sua
politica costituzionale era molto distante dalle mie idee. Era stato
sostenitore del "sindaco d'Italia", il progetto dell'elezione diretta
del capo del governo, attuato in Europa soltanto da Israele e ripudiato dopo una brevissima esperienza. Ed io ho sempre
considerato la politica costituzionale il cuore del progetto di un partito
politico. In questi tre mesi Veltroni ha dissolto molta della mia diffidenza
dicendo dei sì (alla sicurezza) e dei no (ai taxisti), per esempio. Ma
in modo particolare perseguendo la "democrazia decidente" non più sul
piano dell'elezione diretta del premier, ma di regole elettorali che premiano
le coalizioni omogenee capaci di governare e in particolare i partiti più
grandi. Quando Veltroni afferma che il sistema francese sarebbe il migliore, ma
purtroppo oggi non raccoglie i consensi sufficienti, offre una suggestione
importante e insieme dà la misura di un realismo costruttivo. Si è spinto
troppo in là, come dice qualcuno nel Pd? Ma perché abbiamo portato tre milioni
e mezzo di cittadini alle urne se non per conferire al vincitore una leadership
forte da far valere nel partito e nella società? No, non mi sento di
condividere questa critica. Abbiamo scelto una strada, dobbiamo percorrerla
fino in fondo. Semmai Veltroni dovrebbe essere spronato a concludere le cose
che inizia in modo da poterlo giudicare sui risultati concreti. Che potranno
venire soltanto se non sarà un leader forte solo in apparenza. Tra le
perplessità che mi restano c'è quella sulla forma strutturale che, sotto la sua
guida, prenderà il Partito democratico. Veltroni non ha ancora dimostrato di
credere nell'organizzazione federale che invece può essere un fattore decisivo
di modernizzazione politica e di responsabilizzazione delle classi dirigenti.
Quanto è lontano il 14 ottobre! Se si rivotasse oggi gli schieramenti sarebbero
probabilmente diversi. Le carte si stanno rimescolando profondamente. In cuor
mio era ciò che avevo sperato subito dopo il congresso unitario di Milano.
Sarebbe stato un errore cristallizzare il 14 ottobre con le sue alleanze
privilegiate, i suoi antagonismi preconcetti, i rischi impliciti di vecchie
correnti tradizionali. Quando la fase di voto a livello locale, purtroppo molto
burocratica, sarà finalmente terminata, Veltroni avrà la responsabilità di
assumere l'iniziativa politica per non permettere che il partito resti
ingessato in attesa dei "mitici" congressi. Se questo accadrà saremo
travolti dal pessimismo e non ci sarà più un esame di riparazione. *
consigliere regionale della Lombardia.
( da "EUROPA.it" del
12-01-2008)
IRAN-USA PAESI COME L'EGITTO E LA SIRIA
PREFERISCONO LA POLITICA DEL DIALOGO ALLE MINACCE ISOLAZIONISTE W.
"Rambo" con Teheran non piace agli arabi moderati SIAVUSH RANDJBAR
DAEMI La Siria lo definisce un "Rambo" che è giunto in Medio Oriente con
lo scopo di seminare zizzania tra l'Iran e il mondo arabo. Il ministro degli
esteri saudita lo ha intimato a non mettere a repentaglio il delicato processo
di ravvicinamento con Teheran messo in moto di recente. Persino i ministri
dell'amico egiziano, Hosni Mubarak, gli hanno parzialmente voltato le spalle
accogliendo calorosamente nei giorni scorsi un alto emissario iraniano. Le
cancellerie arabe hanno dato chiari segnali di fastidio sulla linea dura di
George Bush contro l'Iran, che si è inasprita in seguito alla controversa
scaramuccia della settimana scorsa tra unità navali dei due paesi a ridosso
dello Stretto di Hormuz. Non appena giunto in Israele, Bush ha subito posto l'Iran al centro dell'attenzione,
definendolo una "minaccia per la pace mondiale". Non sembra essere dello
stesso avviso la gran parte dei partecipanti alla recente conferenza di pace di
Annapolis, il cui andamento fu interpretato da fonti vicine all'amministrazione
Bush come un chiaro segno del desiderio di gran parte del Medio Oriente arabo ?
Siria inclusa ? di isolare l'Iran. La pubblicazione dell'Nie prima e una
rinvigorita iniziativa diplomatica da parte di Teheran poi hanno però
contribuito all'indebolimento, perlomeno nel breve termine, di questa ipotesi.
Mentre l'Iran riannodava negli ultimi mesi i fili del dialogo sul nucleare con
l'Agenzia atomica di Vienna ? il cui direttore generale El Baradei è atteso
oggi nella capitale iraniana per dirimire il contenzioso tecnico tra l'Aiea e
l'Iran ? il Ccg, Consiglio di cooperazione del Golfo (l'organismo fondato nel
1981 dalle monarchie del Golfo Persico con lo scopo di contrastare la crescente
onda rivoluzionaria proveniente dall'Iran neo-khomeinista) invitava per la
prima volta un capo distato iraniano alla sua riunione plenaria, svoltasi a
dicembre nel Qatar. Il più influente dei regimi arabi conservatori, l'Arabia
Saudita, ha allo stesso tempo compiuto un gesto altamente simbolico, invitando
Mahmoud Ahmadinejad a prender parte alla cerimonia dell'Haj, il pellegrinaggio
annuo dei musulmani alla Mecca. Il presidente iraniano ha contraccambiato
l'imprevista apertura di Re Abdullah assentandosi dalle manifestazioni
anti-occidentali organizzate ogni anno ai margini dell'Haj da radicali
filoiraniani. Pure l'Egitto di Hosni Mubarak, che non intrattiene rapporti diplomatici
formali con l'Iran dai tempi della fuga dello Shah dall'Iran nel
( da "Stampa, La" del
12-01-2008)
Quot. BCE x Euro Var. % Dollaro Usa 1,4792 1 0,6760
-0.88 Yen giapponese 161,1800 100 0,6204 -0.06 Sterlina inglese 0,7555 1 1,3236
-0.82 Franco Svizzero 1,6312 1 0,6130 -0.11 Corona ceca 25,908 100 3,860 -0.20
Corona danese 7,447 10 1,343 0,02 Corona estone 15,647 100 6,391 0,00 Corona
islandese 93,650 100 1,068 -1.31 Corona norvegese 7,819 10 1,279 0,26 Corona
slovacca 33,268 100 3,006 0,14 Corona svedese 9,398 10 1,064 0,11 Dollaro
australiano 1,655 1 0,604 0,40 Dollaro canadese 1,508 1 0,663 -1.96 Dollaro
Hong Kong 11,542 1 0,087 -0.86 Dollaro neozelandese 1,882 1 0,531 0,55 Dollaro
Singapore 2,119 1 0,472 -0.93 Fiorino ungherese 253,700 100 0,394 0,19 Lat
lettone 0,699 1 1,431 -0.04 Leu rumeno 4 10000 2718,204 0,03 Lev bulgaro 1,956
1 0,511 0,00 Lira cipriota 1 Lira maltese 1 Lira turca 1,703 1 0,587 -0.06
Litas lituano 3,453 1 0,290 0,00 Rand sudafricano 10,100 1 0,099 -0.22 Won Sud
coreano 1386,820 1000 0,721 -0.84 Zloty polacco 3,582 10 2,792 0,42 Bolivar
venezuelano 3,176 1000 314,833 -0.88 Dinaro algerino 98,949 100 1,011 -0.93
Dinaro giordano 1,049 1 0,954 -0.88 Dirham Emirati Arabi 5,433 10 1,841 -0.88
Dollaro bermuda 1,479 1 0,676 -0.88 Dollaro giamaicano 104,387 100 0,958 -0.75
Gourde haitiano 54,161 100 1,846 -1.87 Lek albanese 123,080 1000 8,125 -0.19
Lira egiziana 8,107 10 1,233 -1.06 Peso argentino 4,628 1 0,216 -0.88 Peso
colombiano 2954,414 10000 3,385 -0.52 Peso cubano 1,479 100 67,604 -0.88 Peso
filippino 60,240 100 1,660 -0.84 Peso messicano 16,193 10 0,618 -0.85 Real brasiliano 2,600 10 3,846 -0.50 Rublo bielorusso 3182,499
10000 3,142 -0.88 Rublo russia 36,048 100 2,774 -0.41 Rupia pakistana 92,700
100 1,079 -0.91 Rupia indiana 58,119 100 1,721 -0.89 Scellino keniota 97,534
100 1,025 -1.73 Shekel israeliano 5,573 10 1,794 -0.01.
( da "Stampa, La" del
12-01-2008)
A GERUSALEMME Un biglietto della Rice a Bush "Stai
zitto" GERUSALEMME Una cena rilassata, fin troppo, tanto da culminare in
grandi confidenze tra George W. Bush e Tzipi Livni e in un'inedito rimbrotto di
Condoleezza Rice al suo capo: "sta zitto". La serata che Bush ha
trascorso a Gerusalemme con una cerchia ristretta di fidati di Ehud Olmert è
raccontata nel blog del quotidiano spagnolo "El Mundo". Come i due
vigorosi baci stampati dal presidente americano sulle guance della ministra
degli Esteri quando la Livni gli aveva solo cortesemente teso la mano e
l'equivocatile invito di Bush: "Visto che vieni anche tu da Olmert vieni
in macchina con me". Nella residenza del premier
israeliano Olmert ha reso pan per focaccia abbracciando e baciando la Rice con
inconsueto trasporto. Ma il piatto forte era di là da venire. Bush è andato a
ruota libera affrontando senza freni la complessità della politica
statunitense. E quando si è avventurato in un terreno minato come il futuro
politico di Olmert, la Rice è passata dalle smorfie a una misura più
concreta: ha preso carta e penna ha passato un biglietto al suo capo.
Immediato, mentre Bush leggeva, è calato il silenzio e il Presidente non ha
mancato l'occasione di stupire ancora una volta i commensali. "Mi dice -
ha confessato - di chiudere il becco".\.
( da "Resto del Carlino,
Il (Nazionale)" del 12-01-2008)
Negozi e case dove sorgeva il ghetto Protestano gli
ebrei di Senigallia "Quel vuoto resti come memoria". Cervellati:
difendo il mio progetto di SANDRO GALLI ? SENIGALLIA ? LEVATA di scudi della
Comunità ebraica contro il progetto di edificare piazza Simoncelli, nel cuore
Senigallia, dove sorgeva nell'Ottocento il ghetto ebraico. Sulla piazza si
affaccia la Sinagoga, visitata lo scorso settembre dal ministro Rutelli in
occasione della Giornata europea della cultura ebraica. Il Piano
particolareggiato del centro storico, affidato dall'amministrazione comunale
all'architetto bolognese Pierluigi Cervellati, urbanista di fama
internazionale, prevede nella piazza la realizzazione di abitazioni e botteghe.
Un vero e proprio 'schiaffo'. Già i rappresentanti della Comunità ebraica
ebbero modo di criticare il progetto quando venne presentato in città, a fine
2004, dallo stesso Cervellati. Critiche che sono proseguite in questi anni e
che ora ritornano di attualità, visto che il piano dovrebbe essere a breve
discusso in consiglio comunale. Tra i più fermi oppositori al progetto, Ettore
Coen: "Sarebbe come utilizzare l'area dove sorgeva un campo di
concentramento per un centro commerciale? accusa ? Come
israelita sono indignato, mi disgusta che ci sia chi voglia operare una
speculazione edilizia, poichè a mio avviso di questo si tratterebbe, nella
piazza dove tredici nostri concittadini sono stati uccisi solo perché di
religione ebraica. Nel 1753 vennero censiti a Senigallia 650 ebrei residenti
che, sommati a quelli che vi soggiornavano durante la Fiera Franca,
raggiungevano le mille unità, tutti concentrati nell'attuale piazza Simoncelli.
Il dato è enorme se paragonato all'allora popolazione senigalliese di 6mila
abitanti. Nel 1799 con il saccheggio del ghetto, tredici furono trucidati; gli
altri, temendo per la loro vita, scapparono". La demolizione degli edifici
del ghetto iniziò nel 1848 sotto Pio IX, papa nativo di Senigallia. "Non
fu certo un evento naturale a creare quel vuoto ? dice Coen ? Un vuoto
architettonico che, a mio avviso, simboleggia meglio di ogni altra cosa una
comunità che non c'è più, essendo rimasti a Senigallia non più di venti
ebrei". L'architetto Cervellati difende la sua visione progettuale, dopo
una minuziosa ricerca catastale e iconografica, trovando fonti anche alla
British Library sull'antico assetto di piazza Simoncelli. "Nessuna
mancanza di rispetto e nessuna intenzione di ricostruire il ghetto ? spiega ?.
Ma quello è, appunto, un vuoto nel tessuto urbanistico che va sanato. Il piano
mira a valorizzare la città storica dentro le mura, che non deve essere ridotta
a un centro direzionale, e attrarre nuovi residenti". Cervellati vorrebbe
nella piazza edilizia economica popolare. - -->.
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
La memoria "Dovevamo bombardare Auschwitz"
Bush in lacrime al museo della Shoah. "L'Iraq? Potremmo restarci dieci
anni" Il presidente sconfessa le scelte strategiche degli alleati nel
'44-'45 Oggi l'incontro con il generale Petraeus, capo delle forze Usa a Bagdad
ALBERTO FLORES D'ARCAIS dal nostro inviato KUWAIT CITY - Si è commosso e per
due volte le lacrime gli sono scese sul volto; si è commosso come chiunque
abbia visitato Yad Vashem, il memoriale-museo che a Gerusalemme ricorda i sei
milioni di morti dell'Olocausto, uccisi per volontà di Hitler e della macchina
sterminatrice nazista: "Il male esiste e dobbiamo resistergli". Con
una kippà nera in testa, George W. Bush ha rinfocolato la fiamma perenne che
arde nella Sala della Rimembranza e insieme a Condoleezza Rice si è mosso lungo
le sale che ricordano al mondo il più grave crimine contro l'umanità. Ed è
stato di fronte alle immagini (riprese dagli aerei alleati) del più grande
campo di sterminio che il presidente americano, dopo aver scambiato qualche
parola con il segretario di Stato, è quasi sbottato: "Avremmo dovuto
bombardare Auschwitz". I dettagli li ha raccontati più tardi la stessa
Condoleezza, mentre l'Air Force One della Casa Bianca, lasciata la Terra Santa,
stava volando verso il Kuwait, seconda tappa del lungo viaggio mediorientale di
Bush. Guardando quelle immagini il presidente le aveva chiesto come mai in quel
lontano 1944, quando americani, inglesi e russi già erano a conoscenza delle
atrocità che venivano commesse nei lager nazisti, le forze alleate non avessero
bombardato i campi di concentramento, limitandosi a sorvolarli. Il Segretario
di Stato, che in passato ha insegnato scienze politiche all'università di
Stanford, ha risposto riproponendo uno dei motivi storicamente noti: "Non
pensavano che sarebbe servito a fermare lo sterminio degli ebrei". Il
direttore di Yad Vashem, Avner Shalev, che accompagnava Bush e la Rice, ha dato
al presidente la sua versione ("Non volevano distrarsi dall'obiettivo
della guerra, né dare a vedere che stavano combattendo per gli ebrei") ed
è stato a quel punto che Bush ha scandito le parole: "Avremmo dovuto
bombardarlo". "Spero che molte persone del mondo vengano qui, è un
momento di riflessione per ricordare che il male esiste", ha detto Bush al
termine della visita, aggiungendo che "quando incontriamo il male dobbiamo
resistergli; sono stato colpito dal fatto che la gente di fronte all'orrore e
al male non ha dimenticato Dio, che di fronte a crimini indicibili contro
l'umanità, persone coraggiose, giovani e vecchie, siano rimaste ferme nei loro
convincimenti". Prima di lasciare Yad Vashem il presidente americano ha
firmato il libro degli ospiti con una semplice frase: "Che Dio benedica Israele". Nell'ultima giornata
in Terra Santa Bush si è poi recato in elicottero a visitare le rovine di
Capernaum (Cafarnao), il villaggio di pescatori dove Gesù di Nazareth aveva
vissuto nel primo periodo della sua missione in Galilea, per poi chiudere nel
segno della spiritualità, passando dalle acque del lago di Tiberiade fino al
Monte delle Beatitudini, il luogo dove Cristo aveva tenuto il
"Discorso della Montagna". Accompagnato, racconterà più tardi al pool
di giornalisti, da un frate francescano del Texas. Meno spirituale era stata la
cena di giovedì, quando dopo gli incontri avuti a Ramallah con i leader palestinesi
e lo statement con cui ha tracciato le linee guida per "una pace entro il
2008", Bush si è rilassato lasciandosi andare a qualche confidenza di
troppo con il ministro degli Esteri israeliano, signora Tzipi Livni
("Visto che vieni anche tu a cena da Olmert, vieni in macchina con
me") e parlando di politica americana: "è come il karate: quando
credi di avere schivato il colpo ne arriva uno all'improvviso. Sopravvivere è
quasi impossibile". Un po' troppo rilassato, quando si è messo a parlare
di politica israeliana, del futuro politico di Olmert. è stato a quel punto che
Condoleezza Rice ha preso carta e penna e ha prontamente girato al suo boss un
bigliettino. Mentre Bush leggeva, attorno a lui è calato il silenzio. Per nulla
intimorito il presidente, sorridendo, ha stupito tutti i presenti rivelando
all'istante cosa c'era scritto nella piccola missiva: "Mi dice di stare
zitto, di chiudere il becco". Da ieri sera il presidente è in Kuwait, dove
questa mattina incontrerà a Camp Arifjan (la più grande base militare Usa nel
paese del Golfo) il generale David Petraeus, comandante della forza
multinazionale in Iraq. E proprio dell'Iraq ha parlato in un'intervista alla
rete televisiva Nbc: "McCain dice che resteremo in Iraq cento anni? Mi
sembrano troppi. Ma certamente potremmo restare a lungo, dieci anni".
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
Pagina XII - Torino UN HORROR ALLA LUMIQ PER LA FIGLIA
GERALDINE Sfortunatamente non ho fede altrimenti sarebbe più facile accettare
l'idea di andarsene nel paese senza carta geografica Il nuovo anno di
FilmCommission con Argento Bellocchio e Martone tra cinema e teatro Io qui sono
soprattutto andata al cinema - ho amato Cronenberg e l'israeliano
"Meduse" - la mia ragazza nei vostri locali notturni Quando ho
cominciato a leggere la sceneggiatura non sono riuscita a smettere. Alla fine
mi sono addormentata sognando mio padre CLARA CAROLI lla fine dell'intervista,
breve, attesa, in coda alle tv e alle radio, quando ormai nella saletta dei
Lumiq sono rimasti in pochi e tra questi pochi, felici pochi, le due
signore Chaplin, Geraldine e Oona, madre e figlia, per la prima volta insieme
in un film, che ancora hanno voglia di concedersi ai microfoni e ai taccuini e
chiacchierare di cinema; alla fine dell'intervista, dopo aver divagato su Imago
Mortis (ma anche su Cronenberg, sul cinema muto, sulle primarie in Usa e sulla
Spagna di Zapatero) e ipnotizzato i cronisti con gli occhi verdi da gatto, con
la magrezza ascetica, con le rughe esibite fieramente e un sublime accento
poliglotta, la figlia di Charlot si alza, ti abbraccia, ti bacia e ti augura
buona fortuna. Tu ringrazi ma lei ringrazia di più, tu sorridi e lei sorride di
più. E ti rimane addosso l'impressione di una donna magica. Misses Chaplin,
perché ha accettato di girare il film di Stefano Bessoni? "Quando ho letto
la sceneggiatura per la prima volta era sera tardi. Finisco domani mattina, mi
sono detta. E invece non sono riuscita a smettere. Ho passato la notte a
leggere poi quando finalmente mi sono addormentata ho sognato mio padre che
tentava di fissare l'emozione ripetendo all'infinito una scena. Che mi spiegava
come catturarla fosse una questione di inquadratura?". E poi? "Poi ho
capito che lo script di Stefano, che all'inizio pensavo fosse un pazzo, era
stato capace di catturare un universo. Così pur detestando gli horror, ho
deciso che sarei stata in questo film". Anche suo padre, Charlie Chaplin,
era ossessionato dall'idea di fissare il momento della morte, l'imago mortis
attorno alla quale ruota la storia? "No, per niente. Non pensava alla
morte, almeno non credo. Non ne abbiamo mai parlato. A casa nostra di sesso,
soldi e morte non si poteva parlare, era tabù". E lei ha paura della
morte? "Non ho paura della morte, ho paura di morire. Del paese senza
mappa, senza carta geografica che c'è dopo". Ha fede?
"Sfortunatamente no, altrimenti sarebbe più facile accettare l'idea".
E in cosa crede? "Non credo in molto, di questi tempi così orribili, di
gravi ingiustizie sociali, alimentati dall'odio e dal conflitto. Forse credo
nell'amore, nell'arte. La mia è una generazione cresciuta con l'idea che il
cinema potesse cambiare il mondo. Ci credo ancora, ma come la gente che
continua ad andare in chiesa senza più vera fede". Cosa avrebbe detto suo
padre di questi tempi orribili? "Ci avrebbe fatto un film, Tempi moderni.
Ma mio padre era un grande ottimista. Se pensate che nel discorso finale del
Grande dittatore, nel '39, riesce a far passare uno spiraglio di luce".
Come è stato lavorare con sua figlia? "Non pensavo sarebbe stato così
difficile. Il mio personaggio è quello di una vecchia, ricchissima signora,
eccentrica, appartenente ad una setta, che colleziona rettili e oggetti antichi
legati alle origini della fotografia, tema di fondo della trama di Imago
mortis. Vi svelerò un aneddoto. Ho dovuto lavorare con due serpenti, animali
che odio e di cui ho il terrore. Ma molto più spaventoso è stato recitare
accanto a Oona. In una scena avrei dovuto guardarla e non ci riuscivo, avevo
paura, continuavo a guardare Alberto (Amarilla, ndr). Dopo alcuni ciak il
regista mi ha imposto: voltati verso di lei. Mi aspettavo di vedere mia figlia
e invece ho visto il suo personaggio e da questo ho capito che è una brava
attrice". Dove vive? "In Spagna, da 29 anni. In un quartiere di
Madrid che è la mia oasi di piacere". Che genere di cinema ama? Sorride.
"Alla mia età riesco a ricordare solo i film che ho visto nelle ultime
settimane. E in queste ultime settimane ho amato l'israeliano Meduse, il turco
Ai confini del Paradiso e Eastern Promises di David Cronenberg, splatter, quasi
horror, talmente B-movie da essere geniale". Che progetti ha adesso?
"Mi hanno chiamato poco fa, al telefono. Pochi minuti prima della
conferenza stampa. Quando mi è squillato il cellulare, prima (un siparietto
molto divertente, con una marcetta che suona nel silenzio generale mentre la
figlia Oona la sgrida: "Shame on you" e lei si inginocchia sotto il
tavolo, ndr) pensavo fossero di nuovo loro. Ho accettato di recitare accanto a
Maria Grazia Cucinotta in L'imbroglio del lenzuolo di Alfonso Arau, per Rai
Cinema". E qual è il personaggio che le hanno chiesto di interpretare?
"La storia è ambientata nel 1905, nel sud Italia poverissimo. Io sono la
madre di un ragazzino che non ha mezzi per studiare ma sogna di fare il
regista. In casa non ci sono soldi e lei, per racimolare qualcosa, poiché è
pianista, suona dal vivo alle proiezioni di film muti. E intanto si ripete, un
po' come mi ripeto io: "Se il mio povero padre mi vedesse?"".
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
Pagina XV - Torino Da Tedeschi l'israeliano
Gerstein Dall'Accademia una pièce premiata da molti applausi malgrado i limiti
IL "DOPOMORTE" DEI FOLLI UN GIALLO SENZA GIALLO Seguendo l'onda della
"Soap Opera" Le icone ridipinte nella Grande Mela Resta alla fine un
testo disgiunto dalla scena e una scena affannata a inseguire il testo invece
di condurlo ALFONSO CIPOLLA Un luogo non luogo, personaggi
apparentemente in transito ancorati al proprio passato, un'incomunicabilità
sorda seppure loquace, l'impossibilità di sottrarsi alla coercizione d'un
destino coatto: sono questi gli ingredienti d'ascendenza beckettiana intorno a
cui ruota Nevermore, una serie di variazioni sull'ipotetico dopo-morte saldate
insieme dalla drammaturgia di Eric Minetto e Emiliano Poddi e portate in scena,
in prima nazionale alla Cavallerizza, dall'Accademia dei Folli. Il testo trae
spunto da pagine di Giovanni Arpino, Edgar Allan Poe, Cesare Pavese, Woody
Allen, Edgar Lee Masters, Wislawa Szymborska e prende corpo in una sorte di
Limbo-sala d'aspetto in cui si ritrovano solitudini diverse ancora ignare della
soglia varcata. è un po' una caratteristica dell'Accademia dei Folli -
compagnia composta da giovani attori, ma già di lungo corso - quella di
misurarsi con la drammaturgia contemporanea. Ma qui la scommessa è maggiore,
dato che viene scelto il lavoro di due autori a loro coetanei, usciti dalla
scuderia Holden. Ciò che colpisce, vedendo questa ennesima prova dell'Accademia
dei Folli, è come questa rimanga ancorata a un sistema di produzione che non
riesce a scrollarsi dall'idea di prendere un libro e di metterlo in scena. Ci
si domanda perché, potendo lavorare a stretto contatto con chi ha la
responsabilità della drammaturgia, non si sia potuto in alternativa immaginare
un progetto di scrittura scenica nel senso più ampio, con interscambi
costruttivi. L'impressione è che la regia di Carlo Roncaglia abbia
esclusivamente cercato un bandolo per puntellare le carenze di un copione senza
aver avuto la forza di incidervi. Resta alla fine un giallo senza giallo, un
aforisma che rimodula se stesso, un testo disgiunto dalla scena e una scena
affannata a inseguire un testo invece di condurlo, invece di prenderlo o farsi
prendere per mano. Ma resta anche la fatica degli attori salutata con generosi
applausi.
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
Pagina XV - Torino Una spugna che passa, un'onda che
nasce e passa. Questa è l'idea che anima la prima personale a Torino dell'artista
francese Pierre Yves Le Duc che espone una serie di disegni del ciclo
"Soap Opera" da Federica Rosso. I disegni, commentati da un testo di
James Putnam, sono su carta e seguono l'evoluzione di un'onda e il suo
sciogliersi nello scorrere del tempo. L'immaginario si origina dalle tracce di
schiuma prodotte dal movimento circolare di una spugna insaponata, passata su
una superficie nera specchiante. Una serie di minimi cambiamenti foglio dopo
foglio, come frame di una sequenza, che assomigliano a un'incisione, dove il
segno figurativo diventa si avvicina all'astrazione. SOAP OPERA di Pierre Yves
Le Duc, inaugurazione venerdì 18 gennaio alle 18, galleria 41artecontemporanea,
via Mazzini 41. Info 011/8129544, www.41artecontemporanea.com, fino al 29 marzo
La galleria Glance inizia l'anno nella sua nuova sede in un cortile di via San
Massimo con la personale di pittura di Scott Grodesky, curata da Norma
Mangione. L'artista newyorchese, nato nel 1968 e con un curriculum dove
compaiono presenze al Ps1 e alla Biennale di Venezia del 1993, afferma di
essere stato ispirato dal pittore di icone Andrej RublËv, monaco russo del XIV
secolo la cui vita è stata raccontata dal regista Tarkovskij. Suoi temi sono
l'architettura e la famiglia, la città e la casa, il dentro e il fuori. Sono
dipinti spesso imperfetti, a volte non finiti, con parti a matita, colori
trasparenti e altri vivaci. BOUNCING AROUND THE SUN di Scott Grodesky, galleria
Glance, via San Massimo 45. Info 348/9249217, www.galleriaglance.com L'artista israeliano David Gerstein presenta una nuova serie di
opere realizzate su lastre d'acciaio poi dipinte con colori vivaci, ispirate a
Matisse e al Fauvismo. Ironiche e serene interpretazioni della quotidianità. Le
sagome variopinte di mucche, sciatori e fiori sono ritagliate secondo i
contorni di scene dal tratto cartoonistico, che si mescolano con il
design. Immagini che, attraverso l'ombra, diventano corpi tridimensionali.
DAVID GERSTEIN, galleria Ermanno Tedeschi, via Giulio 6, inaugurazione il 17
gennaio 2008 alle 18.30. Info 011/4369917, www.etgallery.it (ol.gam.).
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
Pagina IV - Roma PIANO DI ALLERTA Bush
in Israele, a Roma allarme anti-terrorismo Roma blindata per un allarme
terrorismo lanciato dai servizi segreti. La segnalazione è arrivata sulle
scrivanie del Viminale giovedì notte: il piano di massima allerta è scattato
all'alba e durerà altri due giorni. La visita di Bush in Israele, secondo l'Antitorrorismo, avrebbe innalzato il
rischio di un attentato a Roma. Mobilitati centinaia di poliziotti, carabinieri
e finanzieri, in servizi straordinari a Termini e nelle metropolitane del
centro, all'aeroporto da Vinci e attorno ai palazzi del potere. Dotate di cani
antisabotaggio, le forze dell'ordine sono a caccia di zaini carichi di tritolo
e di automobili imbottite di esplosivo. La segnalazione dei Servizi pare
infatti faccia riferimento ad attacchi alla Capitale con uomini kamikaze e auto
pronte ad esplodere.
( da "Nazione, La
(Nazionale)" del 12-01-2008)
Pubblicato anche in: (Giorno, Il (Nazionale)) (Resto del
Carlino, Il (Nazionale))
Dall'inviato GIAMPAOLO PIOLI ? NEW YORK ? HA BISOGNO di
Condoleeza Rice al suo fianco che gli tiri la giacca e gli mandi un bigliettino
con scritto "chiuda la bocca", quando si avventura con
"passione" all'interno dei pericoli intrecci della politica
israeliana, ma George Bush da anche il meglio di se quando parla più col cuore
che con la ragion di stato. Per questo, nonostante la gaffe
alla cena offerta dal premier israeliano, anche se mancano solo 11 mesi reali
alla fine del suo mandato, il Capo della Casa Bianca ha compiuto uno dei viaggi
più significativi della sua intera presidenza fermandosi due giorni in Israele e Cisgiordania. La sua è stata una vera "spinta" al
processo di pace. La denuncia di un'"insofferenza americana"
che covava da tempo verso chi vuole solo perdere tempo. Può darsi che quel
riferimento così diretto, fatto lunedì dal presidente
all'"occupazione" di Israele del
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
Pagina XVI - Napoli LA COMMEDIA La "Cantata"
di Barra per la gente della Sanità Una volta tanto, grazie alla commedia
dell'arte, il rione Sanità alza la testa. Territorio impervio, dove
scarseggiano eventi e contenuti artistici, che oggi e domani diventa piazza
ideale per incontrarsi e ridere. Ecco perché l'associazione "Altra
Napoli" guidata da Ernesto Albanese, con l'Istituto Ozanam, ha deciso di
organizzarvi una replica molto speciale - poiché fuori tournée - della
"Cantata dei pastori". Lo spettacolo scritto nel Seicento da Andrea
Perrucci, e man mano adattato grazie alle improvvisazioni del pubblico che
negli anni ha completamente riscritto il testo originale, alle 20 sarà
rappresentato nella Basilica di San Vincenzo dalla compagnia di Peppe Barra. Con
l'attore-cantante, nel ruolo dello scrivano Razzullo perso
in Palestina, il comico Umberto Bellissimo, che incarna il ruolo di
Sarchiapone. Sul palco anche diavoli, mangiafuoco, il pastore Benino e,
naturalmente, il cast che interpreta la Madonna, San Giuseppe, osti e
contadini. Domani alla stessa ora l'unica replica, ingresso libero.
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
Pagina XII - Genova LA MUSICA BALLETTO Ivan Cattaneo,
rock d'autore un concerto al "Fellini '70" "Bolero" e
"Carmina Burana" per l'esordio di Verdindanza Ivan Cattaneo è il
protagonista della serata al Fellini '70 Chic di via XII Ottobre di Luca Risso.
Con la sua band proporrà la produzione recente e un'antologia del repertorio
classico. Il musicista bergamasco, classe
( da "Voce d'Italia, La" del
12-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.117 del
12/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Esteri Il Presidente visita anche i luoghi storici, culturali e
spirituali Bush in Medioriente tra storia e politica Gli obiettivi della
missione: favorire la pace tra Israele e Palestina e convincere gli arabi ad isolare l'Iran Tel Aviv,
12 gen.- Un tour iniziato tra le zone più calde del Medioriente, ma che
proseguirà anche nelle zone dell'oro nero, con due obiettivi principali: quello di favorire il processo di pace tra Israele e Palestina e, nello stesso tempo, convincere gli Stati Arabi sulla strategia
internazionale per isolare l'Iran. Questo sembra l'intento delle visite del
presidente degli Stati Uniti Gerge W. Bush, iniziate in Israele e Cisgiordania, ma che continueranno in Kuwait, Bahrein, Emirati
Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto. Bush ha iniziato il suo tour
mediorientale concentrandosi sulla zona a più alta tensione: quella
israeliana-palestinese. Al termine di una serie di colloqui con i dirigenti
israeliani e palestinesi, ha auspicato che si arrivi ad un accordo di pace
entro il 2009, invitando Israele a porre fine
all'occupazione dei territori. Ma nello stesso tempo il presidente americano ha
anche precisato che Israele dovrà avere confini sicuri
e difendibili e una migliore garanzia contro gli attacchi terroristici e
l'attività di Hamas a Gaza. Queste due condizioni, e cioè fine dell'occupazione
dei territori palestinesi e sicurezza di Israele, sono
le pietre basilari su cui costruire un accordo di pace che sia duraturo. Bush è
giunto anche a Gerusalemme dove ha visitato il museo della storia
dell'olocausto. Con una certa commozione il presidente Usa ha dichiarato:
“Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento che
il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di
fronte ai tremendi crimini contro l'umanità gli animi coraggiosi, giovani e
vecchi, devono restare saldi a ciò in cui credono”. Sul futuro Stato
Palestinese, Bush ha evidenziato la necessità che lo stesso abbia le
caratteristiche di continuità territoriale, rispetto ai tradizionali confini
del 1967. Sulla questione dei rifugiati palestinesi il Presidente degli States
è apparso ottimista nel trovare una soluzione, lanciando una prima proposta
basata su un meccanismo di risarcimento internazionale. Il viaggio in Medioriente
di Bush sembra assumere, quindi, svariate sembianze: una storico-culturale, con
la visita al museo dell'olocausto, che continuerà anche con lo spostamento in
Galilea per una tappa spirituale alla Chiesa delle Beatitudini eretta nel luogo
dove Gesù avrebbe tenuto il sermone della montagna; una politico-diplomatica
con uno sguardo attento e da vicino sull'andamento dei negoziati tra israeliani
e palestinesi e soprattutto sul clima che si respira in questi giorni nei
territori più altamente contesi quale la città di Gerusalemme; una
politico-strategica alla ricerca di una forte alleanza con gli altri stati
arabi, che avverrà nei prossimi giorni, e sarà determinante per contenere la
politica espansionistica dell'Iran. Felice Marra.
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
Pagina XVI - Bari IL CARTELLONE Jesus Christ Superstar
una notte con la storia Un fenomeno esploso a Londra nel '72 e consacrato da
oltre tremila repliche La Compagnia della Rancia porta in scena stasera la
versione italiana TITTI TUMMINO Arriva al Teatroteam di Bari Jesus Christ
Superstar, il più popolare musical-opera rock al mondo: il capolavoro di Andrew
Lloyd Webber e Tim Rice nella nuova versione in italiano realizzata dalla
Compagnia della Rancia e firmata da Fabrizio Angelini va in scena stasera alle
21 e domani alle 18,30 nell'ambito della rassegna "The musical show".
L'opera di Webber e Rice che racconta in musica gli ultimi sette giorni della
vita di Gesù di Nazareth è messa in scena per la prima volta interamente
tradotta, nella filosofia della Compagnia della Rancia, che dall'88 produce in
versione italiana i maggiori musical internazionali. Discusso, contestato, ma
indiscutibilmente amato dagli appassionati del rock come dai melomani, Jesus
Christ Superstar debuttò sul palcoscenico del Mark Hellinger Theatre di
Broadway nel 1971, dopo aver conquistato il pubblico in versione album (la voce
di Gesù era quella di Ian Gillan dei Deep Purple). Il fenomeno esplose a Londra
nel 1972, dove rimase in scena per 3mila 358 repliche, cambiando per sempre
l'immagine del musical. Da allora, Jesus Christ Superstar è stato rappresentato
in decine di paesi nel mondo, compresi Kenya, Messico, Zimbabwe e Israele, e le liriche di Tim Rice sono state tradotte in oltre dieci
lingue fra le quali tedesco, francese, spagnolo, portoghese, russo, ungherese e
giapponese. La versione italiana, con la regia e le coreografie di Fabrizio
Angelini, oggi tra i registi italiani specializzati nel musical, porta in scena
oltre 20 interpreti che danno vita a uno dei più straordinari successi della
storia del teatro musicale di tutti i tempi: un cast selezionato con grande
cura dopo due audizioni a Milano e Roma, al quale hanno preso parte quasi mille
performer, per scoprire voci straordinarie e intense capacità interpretative.
La sfida raccolta da Angelini è quella di un'ambientazione lontana dalle
atmosfere hippie degli anni Settanta: Gesù si ritroverà a predicare, soffrire e
morire ai giorni nostri, per trasmettere profonde e universali verità. Si
potranno così cogliere finalmente tutte le sfumature di quest'autentica "musicalissima"
rievocazione, per rivivere le indimenticabili canzoni, diventate autentici
cult, accompagnati da un'orchestra dal vivo che unisce sonorità leggere con
altre dal timbro più duro. Lo spettacolo, prodotto dalla Compagnia della
Rancia, si avvale delle musiche di Webber e delle liriche di Rice. Le liriche
italiane sono di Michele Renzullo e Franco Travaglio. Il ricco cast è composto
da Simone Sibillano (Jesus), Edoardo Luttazzi (Giuda), Valentina Gullace
(Maddalena), Marco Romano (Hannas), Andrea Croci (Caifa), Lorenzo Scuda
(Pilato), Raffaele Latagliata (Erode), Emiliano Geppetti (Simone), Luca Notari
(Pietro) ed è completato da Valentina Buttafarro, Laura Carusino, Gaetano
Caruso, Fabrizio Checcacci, Gianluca Ciatti, Enrico D'Amore, Kate Kelly, Brunella
Platania, Daniela Pobega, Giorgio Rauchi e Alessandro Salvatori. La direzione
musicale è affidata a Giovanni Monti (info 080.521.08.77).
( da "Riformista, Il" del
12-01-2008)
Spy game 1 intelligence contro intelligence La Cia
"scopre" l'atomica israeliana Ma Tel Aviv smentisce il rapporto Nie
Gerusalemme. In realtà, si tratterebbe soltanto di un dettaglio.
Un'informazione buona per gli studiosi e, soprattutto, per i topi di archivio,
alla ricerca di materiale desecretato, come si dice in gergo. Israele aveva, nel 1974, "armamenti in fieri" di
tipo nucleare, e una piccola parte era già stata "prodotta e immagazzinata".
Roba da storici, insomma. Ma poi non tanto, visto che le informazioni contenute
nello Special National Intelligence Assesment, Prospects for further
proliferation of nuclear weapons , presumibilmente redatto dalla Cia, erano top
secret. E sono state declassificate e dunque rese di dominio pubblico proprio
mentre George W. Bush era in Israele, a parlare
di Iran, di dossier nucleare, della strategia di contenimento israelo-americana
nei confronti di Teheran. Perché mai? Perché una tale tempistica nella
pubblicazione di un vecchio documento d'archivio, si chiede Haaretz , che ieri
pubblicava la notizia chiedendosi se questa decisione non fosse da mettere in
relazione a un altro assessment sul nucleare. L'esplosivo rapporto Nie
(National Intelligence Estimate) dello scorso dicembre, in sostanza, quello
redatto da 16 agenzie di sicurezza, che ha costretto a ricalibrare le pressioni
sull'Iran e congelare, almeno per il momento, l'opzione militare. La
tempistica, in effetti, ricorda molto le trame di libri alla Le Carrè, le
battaglie tra spie, gli sgambetti tra intelligence, i dispetti che si sono
sempre fatti, anche tra servizi di paesi amici. Il documento d'archivio,
infatti, non esce solamente a un mese di distanza dal rapporto Nie. Esce anche
in contemporanea con un viaggio in gran parte "iraniano", come la
visita di Bush in Israele conclusasi ieri con una
coda, prima allo Yad Vashem e poi a Cafarnao, sul lago di Tiberiade. I bene
informati, prima e durante la visita di Bush, hanno fatto sapere a più riprese
- infatti - che uno dei punti cruciali nell'agenda degli incontri tra il
presidente americano e gli alti dirigenti politici israeliani, sarebbe stato
non tanto il dossier iraniano, quanto le informazioni in possesso
dell'intelligence israeliana sulla potenzialità nucleare di Teheran. Per
alcuni, informazioni in linea con quelle contenute nel rapporto Nie, che
diminuiva la portata del pericolo nucleare iraniano, fermando il perseguimento
di un programma offensivo al 2003. Per altri, gli uomini vicini a Ehud Olmert
contattati dallo Yediot Ahronot , il premier israeliano avrebbe presentato a
Bush "informazioni classificate e aggiornate ottenute a rischio della
vita" che mostrano che il pericolo iraniano aumenta ogni giorno che passa.
Informazioni dell'intelligence americana contro informazioni dell'intelligente
israeliana. Tutte convogliate su Bush, in una battaglia a distanza che non è
più di intelligence, ma politica. E per pura coincidenza, da oltre oceano,
arriva un documento che mostra come gli Stati Uniti sapessero da più di
trent'anni del nucleare israeliano. Di per sé, non una notizia così
sconvolgente, visto che di documenti declassificati sul nucleare israeliano è
pieno, per esempio, un archivio prezioso e online come quello dei National
Security Archives sul sito della George Washington University. E che la storia
della cosiddetta "opacità" nucleare israeliana è contenuta nella
ricerca più importante, Israel and the bomb , ormai sugli scaffali da tempo,
condotta da Avner Cohen e pubblicata nel 1999. Eppure, quel documento assume -
che sia stato volontario o meno l'averlo desecretato proprio ora - il valore di
uno sgambetto. E di una condotta che già il rapporto Nie aveva fatto emergere.
Le agenzie di intelligence americane sono diventate oggettivamente un attore
politico. Niente a che vedere, insomma, con il profilo tenuto soprattutto prima
dell'attacco anglo-americano all'Iraq, quando proprio i documenti delle
intelligence americane - branditi da Colin Powell al consiglio di sicurezza
dell'Onu - furono usati come arieti per sostenere la necessità dell'invasione e
della via bellica contro Saddam Hussein. Il rapporto Nie dello scorso dicembre,
aveva fatto già comprendere che l'aria è diversa, ora, verso l'Iran. E che la
decisione per un attacco militare deve essere solamente e unicamente politica,
senza avvalersi del bastone dei servizi di sicurezza. Il sottile scontro di
questi ultimi due giorni aggiunge, però, un ulteriore ingrediente a una storia
già di per sé avvincente. Che il confronto a distanza non è concluso, perché
l'opzione militare non è stata del tutto esclusa dalla discussione. 12/01/2008.
( da "Corriere della
Sera" del 12-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri -
data: 2008-01-12 num: - pag: 13 categoria: REDAZIONALE Lo scrittore premio
Nobel per la pace Wiesel: sentivamo gli aerei sulle nostre teste e pregavamo
che attaccassero il lager DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - "Conosco
molto bene le foto aeree di Auschwitz che hanno fatto piangere George W. Bush:
sono stato io a regalarle a Yad Vashem. Ne possedevo due copie; l'altra l'ho
regalata al Museo dell'Olocausto di Washington". Il Nobel per la pace Elie
Wiesel, che ad Auschwitz ha perso la madre, il padre e la sorellina, ha
aspettato tutta la vita questo momento: il mea culpa di un presidente americano
per l'America che non ha fermato prima l'orrore. "Il presidente Jimmy
Carter mi aveva regalato quelle drammatiche foto nel 1978, quando mi propose di
diventare presidente della prima Commissione sull'Olocausto", racconta lo
scrittore de "La Notte". "Aveva chiesto all'allora direttore
della Cia, Ammiraglio Stansfield Turner, che cosa l'America avesse saputo,
allora, "del luogo dove è stato Elie". Fu così che Turner aveva
tirato fuori dagli archivi Cia quelle foto che non lasciano alcun dubbio: gli
Usa sapevano ma hanno lasciato fare". Perché c'è voluto tanto per giungere
a questa ammissione? "Bisognava domandarlo a Carter, Reagan, Bush Sr e
Clinton. A tutti loro io chiesi personalmente e più volte di spiegarmi perché
gli Stati Uniti, pur sapendo da tanto tempo quanto avveniva nel lager, non
fecero nulla per fermare lo sterminio quotidiano di ebrei. Nessuno ha saputo
rispondermi. Bush è stato il primo a farlo e lo applaudo per il suo
coraggio". Perché proprio lui? "Perché è un uomo molto emotivo che
sente profondamente il dramma dell'Olocausto e si è lasciato guidare dal cuore.
Da oggi in Israele, dove è già popolare, sarà
ancora più amato e rispettato. Soprattutto tra i sopravvissuti". Secondo
alcuni storici gli Alleati temevano, bombardando Auschwitz, di uccidere
migliaia di prigionieri nel campo. "è una vecchia scusa. Ogni volta che i
miei amici ed io sentivamo gli aerei alleati sopra le nostre teste ci
auguravamo che le bombe cadessero. Sarebbe stata una morte preferibile
alle camere a gas. E comunque gli Alleati avevano altre alternative ".
Quali? "Bombardare i binari della ferrovia diretta ad Auschwitz. Ciò
avrebbe salvato la vita di migliaia e migliaia di ebrei ungheresi, gli ultimi
spediti nel lager quando tutto il mondo ne conosceva gli orrori. Ma è giunta
l'ora di rivolgere la stessa domanda ai russi". Cosa intende dire?
"L'armata rossa era molto più vicina degli americani ad Auschwitz. Era già
in Polonia e nel 1944 aveva liberato il campo di Majdanek. I russi avrebbero
benissimo potuto liberare anche il nostro lager dove nel '44, al culmine della
mattanza, quasi 10 mila ebrei finivano tutti i giorni nei forni". è vero
che Roosevelt e i leader dell'ebraismo temevano di essere accusati di voler
trasformare il conflitto in una "guerra ebraica "? "Quel timore
esistette solo all'inizio della guerra, non certo nel mezzo. Non dimenticherò
mai l'incontro con l'allora presidente del World Jewish Congress, Nahum
Goldman, che dopo la guerra mi disse: "Sapevamo ma abbiamo taciuto".
Il rimorso l'ha perseguitato per tutta la vita". Alessandra Farkas
L'INTERVENTO di Madeleine Albright nelle Opinioni \\ Ebbi quelle foto da
Carter.
( da "Corriere della Sera" del
12-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri -
data: 2008-01-12 num: - pag: 13 categoria: REDAZIONALE In Medio Oriente Si
riapre la polemica sul mancato intervento. La cena con Ehud Olmert e il
bigliettino della Rice Bush: "Dovevamo bombardare Auschwitz" La
reazione (e le lacrime) del presidente Usa dopo la visita al Museo
dell'Olocausto Condi: "Ha visto foto aeree e immagini delle ferrovie, e
abbiamo discusso del perché non avessimo attaccato" KUWAIT CITY - Per la
prima volta un presidente americano si è rammaricato che nella Seconda guerra
mondiale gli Stati Uniti non abbiano tentato di porre fine allo sterminio degli
ebrei attaccando Auschwitz e altri campi di concentramento nazisti.
"Avremmo dovuto bombardarlo", ha detto George W. Bush, le lacrime
agli occhi, rivolgendosi al segretario di Stato "Condi" Rice e a
Avner Shalev, direttore del Museo dell' Olocausto a Gerusalemme, lo Yad Vashem.
"Guardavamo le foto aeree di Auschwitz scattate dai piloti alleati - ha riferito
Shalev - e il presidente si è commosso". La Rice lo ha confermato:
"C' erano anche foto delle ferrovie che portavano ai campi. Abbiamo
discusso del perché non le bombardammo. Esistono varie spiegazioni. Non c'è
stata polemica, solo un riesame di quell'orrendo genocidio". Bush, che nel
corso della visita ha alimentato la Fiamma eterna che onora le vittime
dell'Olocausto, ha ceduto all'emozione dopo aver pregato alla memoria del
milione e mezzo di bambini ebrei sterminati. Con il presidente
israeliano Peres e il premier Olmert, ha deposto una corona di fiori. Poi, tra
la sorpresa di tutti, ha deprecato che Auschwitz non fosse stata bombardata. Ha
commentato lo storico israeliano Tom Segev: "Oggi sappiamo che gli Stati
Uniti erano al corrente dello sterminio degli ebrei. Se avessero
attaccato i campi di concentramento o le loro ferrovie, forse avrebbero salvato
gli ungheresi, gli ultimi internati ad Auschwitz ". In America, l'inattesa
protesta del presidente ha riaperto una vecchia ferita: da anni si polemizza
sul rifiuto di Washington e Londra di bombardare i lager. Quando si è recato in
Galilea, sul Monte delle Beatitudini, Bush ha solo detto all'ospite, il vescovo
Skakar, di essere "un pellegrino". Ma congedandosi da Peres e Olmert
per andare nel Kuwait, ha promesso loro di tornare a maggio, per il
sessantesimo anniversario dello Stato di Israele. Con
la devozione dimostrata in Terra Santa, e il velato mea culpa sul silenzio
sull'Olocausto al tempo della guerra, Bush ha rafforzato l'impegno assunto a
promuovere la pace tra israeliani e palestinesi. Il presidente, che oggi
incontrerà il generale David Petraeus, "proconsole " in Iraq, è
venuto nel Golfo da un lato per indurre i Paesi arabi a partecipare al dialogo
di pace, dall'altro per indurli a formare un fronte comune contro l'Iran.
"Condi" (che per evitare gaffes presidenziali durante la cena con
Olmert avrebbe zittito Bush scrivendogli su un bigliettino di "chiudere la
bocca") ha ammonito che il viaggio del presidente - Bahrein, poi Emirati
Arabi e Arabia Saudita - "non illuminerà di luce accecante " gli
ospiti. Ma ha insistito che entro l'anno si convertiranno alla causa della
pace. Intervistato alla tv Nbc sulla fede, così ostentata a Gerusalemme, Bush
ha risposto che facilita il suo rapporto con l'Islam: "La religiosità ci
unisce ". Ennio Caretto GUARDA Il video della visita allo Yad Vashem
www.corriere.it La notte Bush con Olmert al Memoriale dell'Olocausto a
Gerusalemme. Sul libro ha scritto: "God bless Israel".
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 12-01-2008)
Esteri Pagina 113 Medio Oriente. Procede la missione del
presidente americano che oggi incontra il generale Petraeus Bush in Kuwait
cerca consensi Medio Oriente.. Procede la missione del presidente americano che
oggi incontra il generale Petraeus In gioco il piano di pace tra arabi e
israeliani --> In gioco il piano di pace tra arabi e israeliani Dopo essersi
commosso al museo dell'Olocausto il presidente Bush lascia Gerusalemme e vola
in Kuwait, paese dove il padre è un eroe. KUWAIT CITY Lacrime sul volto di Bush
davanti al memoriale della Shoah a Gerusalemme. Subito dopo il presidente è volato
in Kuwait. Comincia da qui, un luogo importante per la famiglia Bush, il blitz
del presidente statunitense in cinque paesi arabi per discutere Iraq, Iran e i
negoziati di pace tra israeliani e palestinesi. Comincia dal paese dove George
Bush senior è considerato un eroe: fu lui a lanciare la guerra di liberazione
del Kuwait dopo l'occupazione da parte dell'Iraq. Ma la decisione dell'ex
inquilino della Casa Bianca di non perseguire fino a Baghdad le forze armate in
rotta fu anche alla base della sopravvivenza al potere di Saddam Hussein,
creando le premesse del successivo conflitto in Iraq, guidato da George Bush
junior, con esiti ancora controversi. E la situazione in Iraq sarà esaminata da
Bush oggi nell'incontro alla base militare americana di Camp Arifjan, situata
circa
( da "Unita, L'" del
12-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Il Medioriente secondo
Bush. "Per il futuro Stato palestinese non funziona il modello del
formaggio svizzero... ". "Sono completamente d'accordo
con quello che lei sta dicendo (rivolto ad Abu Mazen), anche se non ho capito
niente perché non parlo arabo... ". "Condi, ma perché non bombardammo
il campo di Auschwitz? Avremmo dovuto farlo". George Bush, frasi
pronunciate dal presidente americano durante la sua visita in Israele e nei territori palestinesi, Ansa 11 gennaio.
( da "Unita, L'" del
12-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Caracciolo: Alleati
contro Hitler non a difesa degli ebrei Umberto De Giovannangeli "Quella
dei mancati bombardamenti sui campi di sterminio nazisti, è una questione non
ancora risolta. Si può dire questo: è certo che gli Alleati volevano battere la
Germania, abbattere Hitler e il Terzo Reich, e in questo quadro consideravano il
problema di salvare gli ebrei come una cosa giusta ma di minore
importanza". Le considerazioni di George W.Bush allo Yad Vashem rivisitate
dallo storico e documentarista Nicola Caracciolo. "Nell'agire in questo
modo - riflette Caracciolo - gli Alleati non si rendevano conto o forse non
volevano rendersi conto, dell'immensa gravità che la loro scelta portava con
sé. Ci sono molte cose che dimostrano un loro atteggiamento molto tiepido nei
confronti degli ebrei che rischiavano lo sterminio. A testimoniare questa
colpevole sottovalutazione non c'è solo la questione dei bombardamenti, non
avvenuti, dei lager nazisti e, soprattutto, delle via di accesso...". Non
solo i bombardamenti, dunque. Nicola Caracciolo elenca altri fatti emblematici.
"C'è - ricorda - lo sbarco e l'arrivo dei rifugiati
ebrei in Palestina: fu spesso impedito e impedito con la forza dagli inglesi. Una
vecchia carretta del mare con a bordo centinaia di rifugiati ebrei provenienti
dai Balcani non potè far sbarcare i profughi in Palestina e affondò
con tante vittime. Un altro esempio ancora: la possibilità per ebrei minacciati
dal nazismo di trovare rifugio in Inghilterra o negli Stati Uniti, è
stata severamente limitata". "Insomma - è la prima, amara conclusione
di Nicola Caracciolo - sono cose che rappresentano una grave colpa per
l'Occidente democratico". Un ripensamento critico e autocritico ha segnato
la storiografia moderna. "Penso - spiega in proposito Caracciolo - al
lavoro prezioso dello storico inglese Martin Gilbert, che ha scritto un libro
molto serio e approfondito sull'Olocausto, oltre a essere il più importante
biografo di Winston Churchill. Tuttavia....". Quel "tuttavia" ci
riporta ad un nervo ancora scoperto nella coscienza, oltre che nella memoria,
collettiva. "Va detto - sottolinea in proposito Caracciolo - un certo filo
di antisemitismo, che non prenderà certo la forma delle terribili
discriminazione di Hitler e non sfocerà nell'Olacausto, era tuttavia presente
nei Paesi anglosassoni, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, e questo
contribuirà a far sì che questi Paesi si impegnassero meno del dovuto per
evitare quello che oggi ci appare essere uno dei più grandi, se non il più
grande, tra i crimini della storia umana". Le considerazioni finali
investono l'Italia. "Qui - annota Nicola Caracciolo - il discorso si fa
più complesso e coglie un comportamento del regime fascista, e dell'Italia,
estremamente ambiguo. Il regime di Mussolini ha la forte, incancellabile,
responsabilità delle leggi razziali e, dopo l'8 settembre, la Repubblica
sociale italiana collaborò con i nazisti nell'arrestare gli ebrei che furono
poi deportati nei campi di sterminio nazisti. Fino all'8 settembre, la politica
italiana era connotata da una discriminazione molto dura ma non prevedeva lo
sterminio. Di modo che gli italiani poterono nelle zone di occupazione che
controllavano - in Francia, Grecia, Jugoslavia - far sì che gli ebrei non
venissero deportati nei campi di sterminio nazisti". "Direi -
conclude Caracciolo - che oggi l'intera storiografia italiana abbia
riconosciuta questo ambiguità, comunque colpevole, dell'Italia del
ventennio". Il colloquio.
( da "Unita, L'" del
12-01-2008)
Stai consultando l'edizione del DANY DAYANIl leader del
movimento degli insediamenti che ha guidato le contestazioni anti-Bush
"Agli Usa diciamo, non lasceremo le colonie" / Roma u.d.g. È stato
l'organizzatore delle manifestazioni anti-Bush. È il leader incontrastato del
movimento dei coloni. Su Ehud Olmert ha idee molto chiare. E definitive:
"Olmert non ha né capacità né autorità. È il peggior
primo ministro nella storia di Israele. La sua politica è un grave
errore, provocherà un danno terribile a Israele e
destabilizzerà la regione".. A sentenziarlo è Dany Dayan, il leader dei
coloni ebraici. Il presidente Bush chiede a Israele di
accelerare i tempi per giungere ad una pace con i palestinesi...
"Con chi dovremmo fare questa pace e quale ne sarebbe il prezzo? Quale
credibilità può avere un personaggio (Abu Mazen, ndr.) che controlla a fatica
qualche città della Cisgiordania? Nessuna. Posso non contestare la sua buona
fede ma il suo peso è eguale a zero. Guardiamo cosa è accaduto a Gaza: appena Israele molla un territorio, i terroristi di Hamas ne
assumono il controllo e lo usano per lanciare missili contro le nostre città. È
avvenuto a Gaza, potrebbe avvenire in Giudea e Samaria (la Cisgiordania,
ndr.)..". Ma per la pace si è pronunciata anche la Conferenza di
Annapolis. "Quella conferenza ha creato molte aspettative, e le
frustrazioni saranno grandi. Annapolis non condurrà alla pace ma a una nuova
ondata di violenza. La nostra evacuazione (dai territori) è impossibile, e
Olmert non lo farà". Olmert ha ribadito a Bush di voler mantenere gli
impegni assunti, tra i quali lo smantellamento degli insediamenti illegali.
"Olmert non lo farà, non ne ha la forza. Se procede su questa strada, il
suo governo si spacca, e le piazze si riempiranno per contestarlo. Se davvero
Olmert intende scacciare dalle loro abitazioni 100-120mila coloni ciò
significherebbe la lacerazione definitiva della società". Perché questo
rifiuto che non accetta compromessi? "Per ragioni di sicurezza,
innanzitutto, perché sappiamo che lasceremo le nostre terre in mano a coloro
che non hanno mai smesso l'idea di distruggerci. E poi c'è un'altra ragione che
va al cuore della nostra storia: Giudea e Samaria sono parte integrante di
Eretz Israel (Cisgiordania, ndr.), sono nella storia del popolo ebraico, più di
Tel Aviv. Ai palestinesi possiamo concedere un'ampia autonomia amministrativa,
ma uno Stato no, mai, sarebbe un suicidio per Israele.
Al ritiro dalla Giudea e Samaria ci opporremo con tutta la forza, senza
concessioni e con tutti i mezzi, eccetto la violenza. Attività di lobby
politica, manifestazioni, pressioni. È in gioco il futuro di Israele".
Lei è stato uno degli organizzatori della protesta contro Bush. "Abbiamo
contestato Bush per le sue affermazioni, non certo per quello che rappresenta.
Comunque sia, la storia ci ha insegnato che alla fine gli ebrei devono far
conto solo su se stessi".
( da "Unita, L'" del
12-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Bush si commuove nel
museo della Shoah "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz" commenta il
presidente. A cena con i ministri israeliani li aveva spronati a sostenere
Olmert ma Rice gli invia un bigliettino: "Chiudi la bocca" di Umberto
De Giovannangeli LE LACRIME agli occhi e una frase, dalla quale riemerge un
rimorso collettivo: "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz". Parola di
George W. Bush, presidente degli Stati Uniti d'America. Una convinzione che
Bush esprime durante una commossa visita al Museo della Shoah Yad Vashem, di
Gerusalemme. La sua ultima giornata in Israele è stata
dedicata a questioni di carattere filosofico-spirituale: da Gerusalemme Bush ha
proseguito per il Lago di Tiberiade (Galilea), nei luoghi di Capernaum e del
Monte della Beatitudine dove Gesù predicò ed operò miracoli. Proprio una
drammatica questione storica gli si è parata davanti mentre a Gerusalemme,
accompagnato dal capo dello Stato Shimon Peres e dal premier Ehud Olmert
visitava con occhi lucidi di commozione il museo dell'Olocausto. A colpirlo in
modo particolare sono state alcune immagini fotografiche di Auschwitz scattate
da velivoli della aviazione Usa. Secondo il direttore di Yad Vashem, Avner
Shalev, Bush ha scambiato allora qualche parola con la segretaria di Stato
Condoleezza Rice, domandandosi per quale ragione non fosse stato deciso un
bombardamento che mettesse fine alle atrocità: "Condi, ma perché non
bombardammo il campo di Auschwitz? Avremmo dovuto farlo?", chiede Bush
alla Rice. Si tratta di una questione che da decenni appassiona gli storici.
Informazioni di prima mano sul genocidio degli ebrei in corso ad Auschwitz
erano giunte in Occidente dopo la fuga di due internati (Rudolf Vrba e Alfred
Wetzler), nell'aprile 1944. Nel giugno 1944 quegli orrori erano stati descritti
da organi di informazione fra cui la Bbc e il New York Times. In quei mesi le
forze alleate controllavano i cieli di Europa. Come mai dunque le potenze
alleate decisero di non intervenire sui campi di sterminio, di preferire altri
obiettivi? Bush, secondo Shalev, ha soppesato la questione e poi ha affermato:
"Avremmo dovuto bombardare Auschwitz". Poi, ancora scosso, Bush ha
scritto nel libro degli ospiti: "Che Dio benedica Israele".
Poco prima, Bush, in testa una kippah, aveva ascoltato commosso una poesia scritta
da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai nazisti:
"Dio mio, Dio mio, che questa canzone non finisca mai...". Il
presidente americano, con il capo chino e gli occhi pieni di lacrime ha deposto
una corona presso la fiamma eterna di Yad Vashem e ha commentato: "Spero
che molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento che il male
esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di fronte ai
tremendi crimini contro l'umanità - ha continuato - gli animi coraggiosi,
giovani e vecchi, devono restare saldi davanti a ciò in cui credono". Dopo
appena mezz'ora di volo in elicottero il presidente era già immerso in
un'atmosfera molto più serena, guidato sulle orme di Gesù fra le rovine del
villaggio di pescatori di Capernaum. "Un'esperienza stupefacente" ha
affermato il presidente, che è un cristiano praticante. Dalle pacate acque del
lago di Tiberiade è risalito quindi sul vicino Monte della Beatitudine, dove lo
attendevano frati francescani. Fra l'altro gli è stato indicato il passaggio:
"Beati siano quanti operano per la pace perchè saranno chiamati figli di
Dio". Parole che hanno certo avuto un impatto particolare dopo che nei
giorni scorsi, fra Gerusalemme, Ramallah e Betlemme, Bush ha cercato di individuare
un terreno comune sul quale edificare nei prossimi mesi un trattato di pace che
metta fine al conflitto israelo-palestinese.La pacifica e benefica pausa in
Galilea è durata poco più di un'ora. Dopo di che Bush è stato prelevato da un
elicottero che lo ha portato all'aeroporto di Tel Aviv, da dove a bordo
dell'Air Force One ha subito proseguito la sua missione in altre zone calde del
Medio Oriente: prima tappa, il Kuwait, dove è giunto nel tardo pomeriggio.
Dalle lacrime allo Yad Vashem alla "gaffe della cena".. Durante la
cena offerta l'altra sera dal premier israeliano Ehud Olmert, Condoleezza Rice
passa un biglietto al Presidente che le sedeva vicina. Dopo alcuni istanti di
riflessione, Bush decide di condividere con i commensali il contenuto del messaggio:
"Mi dice di chiudere la bocca", precisa, fra le risate generali. In
precedenza Bush, particolarmente galante con la ministra degli Esteri Tzipi
Livni, era entrato in modo pesante nei giochi politici israeliani, nel
tentativo di persuadere i leader del partito laburista Ehud Barak, di Israel
Beitenu Avigdor Lieberman e di Shas Ely Yishai a non lasciare la coalizione di
governo guidata da Olmert. "Sono a conoscenza - rivela Bush - delle
questioni che vengono discusse, anche da parte di persone che siedono qua con
noi. Non voglio immischiarmi ma penso che Olmert sia un leader importante e che
debba essere aiutato. Siamo in un periodo importante e decisivo. Non dobbiamo
lasciarci sfuggire la occasione di pace. Se non lo faremo adesso, poi sarà
tutto più difficile". Dalla "gaffe" alla promessa di ritornare.
In una breve dichiarazione all'aeroporto di Tel Aviv, prima di lasciare Israele alla volta di Kuwait City, Bush ha definito
"molto positiva" la sua visita ed ha ribadito di essere convinto,
dopo due giorni di colloqui, "che vi sia una buona possibilità di
raggiungere la pace". Il presidente Usa, che è stato
salutato all'aeroporto dal suo omologo israeliano Shimon Peres e dal premier
Olmert, ha detto di aver accettato l'invito di tornare in maggio in maggio per
le celebrazioni dei 60 anni di Israele. "Vi ringrazio molto
per l'invito - è il commiato di Bush - lo accetto volentieri".
( da "Unita, L'" del
12-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Un
viaggio nella memoria per il capo della Casa Bianca Prima di ripartire
annuncia: tornerò a maggio in Israele.
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 12-01-2008)
> Bastano 90 minuti di sonno per studiare o ricordare
meglio qualcosa. Sono le conclusioni di uno studio
realizzato dall'università di Haifa (Israele): dopo
aver memorizzato una sequenza di dati, a un gruppo di individui era consentito
di dormire un'ora e mezza, ad altri no. Solo i primi hanno mostrato di
ricordare senza problemi.
( da "Tempo, Il" del 12-01-2008)
GERUSALEMME Gli Stati Uniti avrebbero dovuto bombardare
il campo di sterminio nazista di Auschwitz (Polonia): questa la convinzione
espressa ieri dal presidente statunitense George Bush durante una commossa
visita al Museo della Shoah Yad va-Shem, di Gerusalemme. Home Interni Esteri
prec succ Contenuti correlati Fa a pezzi la ragazza per mangiarla: 'È stato Dio
a dirmelo' Rubano giocattoli Arrestati Bush in israele:
"Occasione per la pace" Da un tavolo intorno al quale si sono riuniti
tre soggetti ... Ritiro attestati del Pd, bassa affluenza MASSA MARITTIMA
Avrebbero usato dei kalashnikov i cinque ... La sua ultima giornata in Israele è stata dedicata a questioni di carattere filosofico-spirituale:
da Gerusalemme Bush ha proseguito per il Lago di Tiberiade (Galilea),
nei luoghi di Capernaum e del Monte della Beatitudine dove Gesù predicò ed
operò miracoli. Proprio una drammatica questione storica gli si è parata
davanti mentre a Gerusalemme, accompagnato dal capo dello stato Shimon Peres e
dal premier Ehud Olmert visitava con occhi lucidi di commozione il museo
dell'Olocausto. A colpirlo in modo particolare sono state alcune immagini
fotografiche di Auschwitz scattate da velivoli della aviazione Usa. Secondo il
direttore di Yad va-Shem, Avner Shalev, Bush ha scambiato allora qualche parola
con il segretario di stato Condoleezza Rice, domandandosi per quale ragione non
fosse stato deciso un bombardamento che mettesse fine alle atrocità.
12/01/2008.
( da "Tempo, Il" del
12-01-2008)
Alessandro Austini a.austini@iltempo.it Il più silenzioso
dei brasiliani, un uomo di poche parole e tanti fatti. La miscela vincente per
far dimenticare in fretta un certo Cristian Chivu: Juan ci è riuscito al primo
intervento in campo. Da quel momento Roma e la Roma hanno capito di aver preso
un campione. Home Sport prec succ Contenuti correlati Fa a pezzi la ragazza per
mangiarla: 'È stato Dio a dirmelo' Video sexy, ministro malesiano si dimette
Egitto, muoiono due italiane Alle materne anche i figli dei
stranieri irregolari La saga degli Agnelli tra eredità e gelosie Bush in
israele: "Occasione per la pace" Il centrale della Seleçao non vede
l'ora di riprendere l'inseguimento all'Inter e non risparmia consigli per gli
acquisti. Brasiliani, ovviamente. Si riparte domenica da Bergamo. Che Roma
ritroveremo? "Una squadra più forte di quella che ha chiuso il 2007.
Ci siamo riposati dopo tanti impegni ravvicinati e in questi giorni abbiamo
avuto il tempo di allenarci bene e recuperare giocatori importanti". è
vero che mercoledì Spalletti ha annullato la seduta pomeridiana perché vi ha
visto distratti? "No, prima di iniziare l'allenamento al mattino sapevamo
già che sarebbe stato l'unico della giornata e proprio per questo siamo rimasti
in campo più a lungo". Qualcuno pensa che vi siate già arresi in campionato.
"Voglio rassicurare i tifosi: la Roma allo scudetto ci crede ancora. Da
parte nostra dobbiamo pensare a fare il massimo e, al tempo stesso, sperare in
qualche risultato negativo dell'Inter. Insomma, non dipende solo da noi".
Come dice De Rossi, è così frustrante rincorrere i nerazzurri? "No, anche
se non è facile giocare con l'obbligo di vincere sempre. Ma vedrete che ora
l'Inter si fermerà: non è possibile che una squadra vinca tutte le
partite". La Roma è piena di brasiliani, Roberto Mancini ha tanti argentini.
Una sfida nella sfida? "Non direi, perché l'Inter è una vera e propria
"multi-nazionale". Mettiamola così: è come giocare Brasile-Resto del
Mondo". Ronaldo e Adriano che fine faranno? "Sono convinto che presto
li rivedremo a grandi livelli, anche in Nazionale". A proposito di
Seleçao, lei chi porterebbe dei suoi compagni di nazionale a Trigoria? "è
difficile scegliere tra così tanti campioni. Gilberto dell'Herta Berlino è uno
di questi. Non è un giocatore comune e se lo fosse non farebbe parte del
Brasile". E la Roma lo sta seguendo. Le piacerebbe giocare in coppia con
Lucio anche in giallorosso? "Lui è un altro grande difensore e non posso
nascondere che con lui mi trovo a meraviglia. Ora ha un contratto col Bayern ma
chissà cosa accadrà in futuro. Detto questo, non voglio togliere nulla a Mexes
e Ferrari: per me sono due ottimi compagni". Mancini, invece, sembra
sempre più lontano dalla Roma. "è un grande calciatore ma se deve rimanere
o meno è una decisione in cui non voglio entrare: spetta soltanto a lui e alla
società". Col Real che sfida sarà? "Un confronto tra due grandi
squadre, sarà bello incontrare il mio amico Robinho. Per noi è un ostacolo
difficile, ma ce la giocheremo sia in casa che al Bernabeu: abbiamo tutte le
carte in regola per passare il turno". Come procede l'ambientamento in
Italia? "Il campionato è molto più competitivo rispetto alla Bundesliga.
Avversarie così forti le puoi incontrare solo qui, in Inghilterra e Spagna. Lo
sapevo prima di arrivare, ma per fortuna mi sono inserito subito senza troppi
problemi". Il segreto? "L'esperienza e la maturità acquisita negli
anni. Questo mi aiuta a fare in campo la cosa giusta al momento giusto".
Cosa ha dovuto imparare? "La cultura della tattica è una cosa nuova per me
e mi sono dovuto adattare. Poi ci sono tanti grandi attaccanti da
marcare". Il più forte che ha incontrato? "Non so dirlo". Totti
è il più bravo in quel ruolo? "Lui non è solo un grande attaccante ma un
campione a 360 gradi: sicuramente è tra i primissimi in Italia". è stato
difficile dover rimpiazzare Chivu? "Ad essere sincero non mi sono mai
posto il problema. Stiamo parlando di un grande giocatore, lo rispetto, ma sono
venuto a Roma convinto di poter dimostrare il mio valore. Fino ad ora ci sono
riuscito e l'affetto dei tifosi nei miei confronti lo dimostra". Ha già
segnato tre gol in giallorosso. Per caso da bambino faceva l'attaccante?
"Come tutti i brasiliani da piccolo pensavo solo a segnare. Ma da quando
ho iniziato a giocare a certi livelli ho sempre fatto il difensore". Ha
iniziato a conoscere la città? "Roma mi piace, è bellissima, accogliente e
mi trovo molto bene con la gente. A volte mi sembra di essere in Brasile".
Come va con l'italiano? "Così così....Ma se ho imparato il tedesco ci
riuscirò anche stavolta". La prime parole che ha imparato? "Forza
Roma....". è vero che stava per finire alla Lazio? "Sì, qualche anno
fa c'è stato un contatto con la società allora gestita da Cragnotti: non se ne
fece nulla". 11/01/2008.
( da "Tempo, Il" del
12-01-2008)
Tommaso Gandino Dal 25 gennaio, inizierà il nuovo
periodo di garanzia che vedrà il venerdì sera Rai Uno e Canale 5 più agguerrite
che mai: "Uomo e Gentiluomo", sulla rete ammiraglia di viale Mazzini,
si proporrà di rieducare un gruppo di otto uomini, palesemente a digiuno di
"buone maniere" e naturalmente incapaci di esprimere la parte
sensibile di se stessi, trasformandoli nel partner che ogni donna desidera al
proprio fianco. Home Spettacoli prec succ Contenuti correlati Sport e scuola,
convegno promosso dall'Einaudi Rubano giocattoli Arrestati La scuola chiude o
no? "Giallo" svelato Una scuola a Borgo S. Maria
Lega araba "Il Libano è a rischio collasso" Bush in Israele, razzi dal Libano Lo show proporrà un corso accelerato di
romanticismo e misura, seguendo i progressi dei partecipanti di settimana in
settimana e sottoponendoli a prove pratiche e test da cui una giuria
prettamente al femminile, selezionerà i migliori. Alla conduzione, un
nome una garanzia di galateo televisivo Milly Carlucci: nel ruolo di maestra di
bon ton, insegnerà a otto personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e
del giornalismo, come bisogna comportarsi in determinate situazioni. Tra gli
allievi della scuola di buone maniere di "Uomo e Gentiluomo", ci
saranno il cantante Al Bano Carrisi, lo "scugnizzo" napoletano Nino
D'Angelo, il pugile campione europeo Vincenzo Cantatore e il critico del
quotidiano "Libero", Alessandro Rostagno. Un programma apparentemente
audace per una rete istituzionale, vista la formula di nuova generazione, che
si scontrerà il venerdì sera con il collaudatissimo "Ciao Darwin" di
Marco Luci e Federico Moccia. Chi avrà la meglio tra il volto istituzionale
della Rai Milly Carlucci e l'onnipresenza televisiva delle reti Mediaset, Paolo
Bonolis? 12/01/2008.
( da "Stampa, La" del
12-01-2008)
Nema internazionale, Eyal Sivan. Emblematico il titolo
della rassegna di film a lui dedicata sino al 16 gennaio nella sala Tre del
Massimo: "Dubitare, disobbedire, combattere. Il cinema di Eyal
Sivan". Nato nel 1964 ad Haifa, in Israele, Sivan è
un documentarista noto per le sue posizioni antisioniste. Pochi i suoi lavori
approdati nelle sale italiane: svetta "Uno specialista. Ritratto di un
criminale moderno", ricostruzione del processo svoltosi nel 1961 nella
Casa del Popolo di Gerusalemme nei confronti di Adolf Eichmann, gerarca nazista
a capo del dipartimento della sicurezza interna del Terzo Reich. Sivan
avrebbe dovuto incontrare il pubblico venerdì 11, alla "prima"
italiana del documentario "I volti dei caduti - L'esercito dei morti"
sui soldati americani che hanno perso la vita in Iraq, ma è impegnato su un set
e ha quindi annullato l'appuntamento. \.
( da "Giornale.it, Il" del
12-01-2008)
Israele, Bush parla troppo Condy Rice: chiudi il becco di Gian
Micalessin - sabato 12 gennaio 2008, 07:00 L'imbarazzo si stempera in una
colossale risata, riconsegna al presidente la serata. Otto ore più tardi le
risate della cena diventano pianto e commozione davanti alla fiamma eterna del
Museo dell'Olocausto. "Spero molti vengano qui da tutto
il mondo, questo luogo - sussurra il presidente in lacrime - deve diventare un
monito per far capire che il male esiste e quando viene individuato, bisogna
resistergli". Davanti ad una cartina aerea di Auschwitz parlotta con la
Rice e conclude: "Avremmo dovuto bombardarlo". Infine, prima di
volare in Kuwait, Bush visita i resti di Capernaum, dove Gesù stupì i sacerdoti
del Tempio, e la Chiesa delle Beatitudini, sorta sui luoghi del Sermone della
Montagna. Partendo dall'emirato invaso da Saddam e liberato a suo tempo dal
padre, il presidente punta a rilanciare i temi di Annapolis, guadagnare
l'appoggio delle nazioni arabe ai piani di pace e consolidare la politica anti
iraniana.
( da "Giornale.it, Il" del
12-01-2008)
Di Gian Micalessin - sabato 12 gennaio 2008, 07:00 Imbarazzo,
ilarità, commozione. Le ultime dodici ore di George Bush in Israele
sono una recita senza copione, un'esibizione senza rete durante la quale il
presidente riesce a farsi zittire da Condoleezza Rice, ma anche a travolgere
ogni schema. Prima trasforma una cena inabissatasi nei gorghi dell'imbarazzo
politico in un esilarante cabaret. Poi, prima di volare in Kuwait, commuove se
stesso e il mondo suggellando nel raccoglimento e nell'emozione le visite al
museo dell'Olocausto e ai luoghi santi della Cristianità. Il meglio, per chi
ama la sua fama di gaffeur, lo offre giovedì sera durante la cena con il
premier Ehud Olmert e i ministri del governo israeliano.
Quella del premier israeliano non è proprio una compagine di fedelissimi. Il
rapporto finale della commissione Winograd, incaricata di far luce sulle
responsabilità che hanno contribuito agli insuccessi della guerra ad Hezbollah
nell'estate 2006, è in dirittura d'arrivo e molti ministri si preparano ad
abbandonare il capo al proprio destino. Senza Olmert i piani di pace
mediorientali, disegnati ad Annapolis e perfezionati a Gerusalemme, rischiano,
però, di diventare lettera morta. George dunque si stringe al fianco dell'amico
Ehud, s'infila a gamba tesa nella complessa mischia della politica israeliana,
tenta di persuadere i leader del partito laburista Ehud Barak, del partito
Israel Beitenu, Avigdor Lieberman e del partito Shas, Ely Yishai a non
abbandonare la barca che affonda. "Sono a conoscenza delle questioni in
discussione - butta lì mentre Condoleezza vorrebbe tirargli un calcio - non
vorrei immischiarmi, ma penso che Olmert sia un leader importante e debba venir
aiutato. Non dobbiamo lasciarci sfuggire l'occasione della pace. Se non lo
facciamo adesso, dopo sarà tutto più difficile". Il tavolo si gela. Barak
guarda nel piatto, Lieberman finge di non sentire, Condoleezza tira fuori carta
e penna, butta giù un breve appunto. Il presidente ammutolisce, gli occhi dei
commensali incuriositi fissano, congelano, inseguono il passaggio di quel
flagrante "pizzino". Bush se lo rigira tra le dita, lo sillaba come
un messaggio da baci Perugina, poi alza lo sguardo, allarga le braccia, indica
l'imperturbabile Condoleezza e confessa tutto: "Mi dice di chiudere la
bocca".
( da "Stampa, La" del
12-01-2008)
I' 12/23, CHIUSO LUNEDI' Nell'ambito della
manifestazione "Segni di Vita. Werner Herzog e il cinema", la
Fondazione ospita una mostra ricca di strumenti che permettono di approfondire
l'idea di cinema dell'artista tedesco. Accanto alla sezione fotografica,
l'esposizione segue un itinerario composto da una serie di video. Inaugurazione
martedì 15 gennaio; è aperta fino 10 febbraio. Luci d'artista INFO.
TORINOCULTURA: 800 015475 Le 19 installazioni saranno illuminate fino al 13
gennaio. Novecento - Trilogia dell'automobile TORINO ESPOSIZIONI, CORSO MASSIMO
D'AZEGLIO 15, OR: MARETDI'-DOMENICA 10/18,30. Le più belle auto del '900; fino
al 30 marzo. Why Africa? PINACOTECA AGNELLI, VIA NIZZA 230, OR:
MARTEDI'-DOMENICA 10/19. INGR.: INT. 7 EURO, RID. E GRUPPI 6, SCUOLE E BAMBINI
6/12 ANNI 3,50. APERTO 8 DIC. E 6 GENN. VISITE GUIDATE 011/0062713.
WWW.PINACOTECA-AGNELLI.IT Esposta per la prima volta in Italia una parte della
più importante collezione al mondo di arte contemporanea africana. Il tema più
ricorrente nelle opere è il profondo legame con il territorio al quale gli
artisti si rivolgono proponendo la loro personale esperienza della realtà. La
mostra rimane aperta fino al 3 febbraio. Racconti fotografici GAM, VIA MAGENTA
31, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/18, LA BIGLIETTERIA CHIUDE UN'ORA PRIMA. INGRESSO:
7,50 EURO, RIDOTTO 6; INFO 011/4429518. WWW.GAMTORINO.IT Fino al 27 gennaio,
sono esposte 50 delle mille opere acquisite negli ultimi 5 lustri. Nella sala
didattica, al piano interrato, è ospitata poi, sino al 20 gennaio, la mostra
fotografica scaturita dal workshop di Bruna Biamino. Tempeste polari MUSEO
DELLA MONTAGNA, P.LE MONTE DEI CAPPUCCINI 7, OR.: 9/19, LUNEDI' CHIUSO.
WWW.MUSEOMONTAGNA.ORG Manifesti e film dei primi trent'anni di cinema sulla
grande avventura esplorativa in Artide e Antartide. Fino al 10 febbraio. Dragone
e Torino ARCHIVIO DI STATO, VIA PIAVE 21, OR.: MARTEDI'-SABATO 12,30/18,
DOMENICA 15/18 "Dragone e Torino. Cinquant'anni d'arte e di vita",
esposizione di documenti storici che testimoniano della vita culturale
torinese, raccolti da Jolanda e Angelo Dragone. L'esposizione prosegue sino al
13 gennaio. Splendide preziosità quotidiane MUSEO DI ANTROPOLOGIA, VIA
ACCADEMIA ALBERTINA 17 La collezione si arricchisce di un centinaio di reperti
del primo '900 dell'Asia Centrale. Le opere rimarranno in esposizione sino al
31 marzo. Torino inedita ARCHIVIO STORICO DELLA CITTÀ DI TORINO, VIA BARBAROUX
32, OR.: LUNEDI'-VENERDI' 8,30/16,30 Quattro panorami di Luigi Vacca, fino al
31 marzo. Massimo Ghiotti RETTORATO, VIA PO 17. OR: 7.30/18 (INGRESSO VIA PO) E
7,30/19,30 INGRESSO VIA VERDI.; SABATO E DOMENICA INGRESSO VIA PO 15,30/19,30.
La mostra comprende sette opere monumentali dai titoli: "Triade
dialettica", "Origo", "Tristan und", "Le ruote
torinesi del carro di Fetonte", "Signum", "Kouros
metallurgico" ed "Esprit de gèomètrie", che dà il titolo alla
esposizione. Un'ottava scultura dal titolo: "Scultura modulare urbana 3002
", costituita da 46 putrelle della medesima lunghezza, è collocata in
Piazza Castello, nell'area alla convergenza delle vie Po e G.Verdi. L'esposizione
è stata prorogata sino a martedì 15 gennaio. Paolo Guasco PIEMONTE ARTISTICO
CULTURALE, VIA ROMA 264, ORARI: LUNEDI' - SABATO 15,30/19,30, INGRESSO LIBERO
Fino al 26 gennaio, Piemonte Artistico Culturale propone una antologica del
pittore torinese Paolo Guasco. La mostra segue quella tenuta alla Civica
Galleria d'Arte Filippo Scroppo di Torre Pellice. Alle opere già esposte si
aggiunge un importante nucleo appartenente agli anni '
( da "Manifesto, Il" del
12-01-2008)
La città dei Beatles e dei portuali in lotta raccontati
da Ken Loach, inaugura l'anno da capitale della cultura con un concerto di
Ringo Starr. Ma il restyling non risolve i gravi problemi di disoccupazione e
emigrazione. E intensifica l'azione della polizia. Oggi una manifestazione
contro gli ultimi arresti Orsola Casagrande Liverpool Non potevano che essere i
Beatles ad inaugurare il primo giorno di Liverpool, capitale della cultura
2008. Ringo Starr si è esibito sul tetto della St George's Hall di fronte a
migliaia di cittadini e curiosi giunti da tutta l'Inghilterra. Nei prossimi
mesi ci sarà spazio anche per Paul McCartney, l'altro pezzo di Beatles. È
certamente una Liverpool tirata a lucido quella che si presenta davanti agli
occhi. In effetti il restyling della città è iniziato anni fa. Volendo dare una
data, dopo la fine dello sciopero dei suoi dockers, nel 1998. Anzi proprio in
quell'anno il comune ha presentato la sua candidatura a capitale della cultura.
Quasi a voler segnare la fine di un capitolo. Un simbolico voltare pagina. Ma
quella pagina è ancora ben presente nella vita della città e dei suoi
cittadini. È vero, tanta acqua è passata sotto i ponti, i docks non sembrano
nemmeno più quelli della fine degli anni '90. Oggi assomigliano più a una
romantica promenade. Eppure, calpestando quei moli non si può non scavare nella
memoria. Nel vento tagliente riemergono, avvolte nella nebbie, le immagini dei
portuali che formano i picchetti. Si intravede la fiamma tremolante che
scaldava le notti dei dockers in sciopero permanente. Si vedono le donne che
portano fiere le pentole di minestra ai loro uomini. Tornano alla mente le
immagini del film-documentario di Ken Loach, The flickering flame. Liverpool
celebra quest'anno la sua nomina a capitale della cultura e i dockers non sono
presenti in questa festa. Almeno a livello ufficiale. Perché per esempio,
proprio in occasione dell'opening, la rivista Nerve ha pubblicato un calendario
che ripropone le tappe più significative della Merseyside Resistance, le lotte
operaie e studentesche degli ultimi trent'anni. Liverpool che come città
industriale (il dopoguerra ha segnato il declino della cantieristica navale e
in città sono state aperte fabbriche di automobili) non è vissuta mezzo secolo
ha provato dunque a reinventarsi sin dalla fine degli anni '80. Città di
immigrati, molti irlandesi, è vissuta del porto e delle attività ad esso
connesse fino alla seconda guerra mondiale. Quindi ha provato la via
dell'industria. E fino agli anni '
( da "Manifesto, Il" del
12-01-2008)
George Bush Dagli alleati arabi inchini e scetticismo
George W. Bush ieri, ultimo giorno della sua visita in Israele,
ha visitato il Museo dell'Olocausto dove, di fronte alle immagini dello
sterminio degli ebrei, ha commentato: "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz"
e si è ripetutamente domandato perché, all'epoca, non venne presa una decisione
simile. Poco dopo ha lasciato lo Stato ebraico per il Kuwait, la prima delle
tappe in programma tra i suoi alleati nel Golfo. L'evidente scopo del tour è
quello di consolidare il fronte anti-iraniano scosso dal recente rapporto dei
servizi di sicurezza Usa che ha ridimensionato le capacità nucleari di Tehran,
frenando così in conseguenza il desiderio di una nuova guerra del presidente
americano. Nel mondo arabo Bush troverà regimi disposti ad assecondarlo e
popolazioni scettiche - se non ostili - verso la sua politica in Medioriente.
Sondaggi svolti ieri da alcune televisioni satellitari hanno messo in evidenza
che buona parte dei cittadini arabi pensa che il viaggio di George W. Bush non
stia favorendo la pace, anzi. Il 56% dei telespettatori al Arabiya è convinto
che Bush sia venuto nella regione solo per aiutare gli israeliani. "Bush
chiede agli Stati arabi di sostenere Israele e intanto
annulla sia il diritto dei profughi che la validità delle risoluzioni dell'Onu
sulla questione palestinese", ha scritto il quotidiano al Quds al Arabi.
"Per consolidare la patria ebraica, Bush cancella il diritto al ritorno
dei palestinesi", ha rincarato il libanese a-Safir. Giudizi che vanno alla
sostanza degli obiettivi del presidente statunitense, volti a terminare il
capitolo palestinese alle condizioni poste dagli alleati israeliani. Non
sorprende perciò la soddisfazione di Tel Aviv e la cautela dell'Anp nei
confronti della "visione" di Bush. Fonti israeliane hanno parlato di
proposte "in linea con quanto ci siamo detti con gli americani". La
soddisfazione ostentata giovedì sera dal premier israeliano
Olmert è legittima, perché il presidente americano ha confermato ciò che aveva
scritto nella "lettera di garanzie" consegnata nel 2004 al suo
precedessore Ariel Sharon: ovvero che Israele non dovrà
tornare alle linee del 1967. Nella visione di Bush, lo Stato ebraico deve
mettere termine all'occupazione ma avrà il diritto di annettersi quelle
porzioni di Cisgiordania dove sono situate le principali concentrazioni
di insediamenti colonici. Bush ha evitato riferimenti al muro costruito in
Cisgiordania e che, di fatto, segna il confine futuro tra Israele
e Palestina alle condizioni dettate da Tel Aviv, e,
più di tutto, ha avanzato l'idea di un meccanismo di indennizzo internazionale
alternativo al diritto al ritorno per i profughi. Infine, non facendo proposte
per Gerusalemme, ha avallato l'attuale controllo israeliano sull'intera città,
inclusa la sua parte araba (Est), occupata nel 1967. Più chiaro di così non si
può, eppure ciò non ha impedito ad Abdallah Abdallah, capo della commissione
Esteri del Parlamento dell'Anp, di applaudire Bush. Abdallah sa bene che la
continuità territoriale dello Stato palestinese di cui ha parlato il capo della
Casa Bianca è un sogno, data la situazione sul terreno. La Cisgiordania è
spaccata in quattro zone a causa della incessante espansione delle colonie
ebraiche: Nablus e Jenin (nel nord), Ramallah (a ovest), Gerico (a est),
Betlemme ed Hebron (a sud). Gerusalemme Est, che i palestinesi rivendicano come
la loro capitale, è tagliata fuori dal resto del territorio del futuro Stato,
essendo circondata da insediamenti israeliani. Per il presidente dell'Anp Abu Mazen
è il momento delle scelte. Bush e Olmert gli chiedono di accettare quello che
nel
( da "Manifesto, Il" del
12-01-2008)
Programmi di oggi CHE TEMPO CHE FA SHOW RAITRE Infiamma
la polemica, ma Adriano Sofri partecipa alla puntata serale dello show che
torna dopo una settimana di sosta per parlare di "Chi è il mio
prossimo", il suo ultimo saggio. Ospite anche Flavio Insinna che
approfitterà di una breve pausa nella conduzione di Affari tuoi per tornare al
suo punto di partenza artistico ed alla sua passione, il teatro, con il nuovo
spettacolo "Senza swing". Chiude, imperdibile, Antonio Albanese. I
MIGLIORI ANNI VARIETÀ RAIUNO Non si sono sforzati molto in Rai per le otto
puntate del nuovo varietà del sabato sera. Conduce Carlo Conti (ormai è
ovunque) in un "viaggio" fra i vari decenni della storia italiana
messi a confronto fra canzoni, film, varietà e eventi. Motivetti tanti, si
inizia con gli anni '50 con ospite Johnny Dorelli a confronto (!) con gli '80
di Toto Cutugno... Madrine Pamela Camassa e Maria Elena Vandone. TGR
MEDITERRANEO ATTUALITÀ RAITRE Oltre diecimila palestinesi sono reclusi nelle
carceri israeliane "Una violazione della Quarta Convenzione di
Ginevra" denunciano gli organizzatori. Se ne parla nella puntata odierna.
Dalla Cisgiordania ci si sposta poi in Israele per
un'altra iniziativa culturale, il Museo del Fumetto e della Caricatura di
Holon, inaugurato in un paese simbolo dei conflitti e delle tensioni politiche
in Medio Oriente. UN GIORNO IN PRETURA ATTUALITA' RAITRE Ultima puntata de
" Le colpe degli altri",dedicata all'Argentina. Mostrerà il processo
celebrato nell'aula della seconda Corte di Assise del Tribunale di Roma e il
dolore delle madri di Plaza de Mayo. Il ciclo si chiude con la sentenza dei
cinque imputati tutti contumace, che si difendono e giustificano le loro colpe
con la scusa dell'obbedienza "dovuta".
( da "Messaggero, Il" del
12-01-2008)
"STRIGLIATA" DELLA RICE
Alla cena ufficiale, Condoleezza Rice (a destra) ha passato un biglietto a
Bush. E il presidente ne ha rivelato il contenuto: "Mi dice di chiudere la
bocca". Il motivo? Bush rischiava una gaffe su questioni interne al
governo israeliano. A sinistra, Bush con Olmert e Peres al museo
dell'Olocausto.
( da "Repubblica, La" del
12-01-2008)
Cultura Il libro di Fritz Heymann, studioso tedesco
vittima della Shoah I MARRANI? ERANO DEI VERI CATTOLICI Secondo il ricercatore,
gli ebrei battezzati emigrarono da Spagna e Portogallo che li perseguitavano
con l'Inquisizione, per motivi economici e sociali, non religiosi ADRIANO
PROSPERI orte o battesimo. Una storia dei marrani di Fritz Heymann (Giuntina,
pagg.153, euro 13) è un relitto, il frammento residuo di una vasta indagine
storica: uno dei tanti frammenti affioranti dal mondo sommerso della Shoah. Ed
è un libro importante. C'è solo un particolare da correggere: la scelta
editoriale del titolo. Bisognerebbe scrivere non "Morte o battesimo",
ma "Battesimo e morte". Perché nella storia dei marrani non ci fu
un'alternativa se battezzarsi o morire, ma al contrario: proprio in quanto
battezzati il tribunale religioso dell'Inquisizione li poté accusare di
apostasia e condannarli a morte. Marrano è un insulto: lo si usava per indicare
ebrei e islamici all'interno del mondo cristiano. La cosa è, in generale,
tutt'altro che insolita. La lingua di comunicazione registra, impassibile ma
non imparziale, sconfitte e abiezioni. L'infamia dei vinti può sbiadire, può
anche trasformarsi in un titolo glorioso se cambiano i rapporti di forza. Ma in
questo caso insulto era e insulto resta. Viene in mente il Don Giovanni di
Mozart: "Sta mangiando, quel marrano...". E viene in mente che chi
scrisse questa frase, Lorenzo Da Ponte, era egli stesso un marrano, cioè
propriamente un ebreo battezzato. Il sospetto e l'odio verso uomini come lui
prendevano argomento dal fatto che quel battesimo era stato originariamente
imposto a minoranze ebraiche in paese cristiano. Il ricordo di quella violenza
alimentava il sospetto e l'odio. Si immaginava che tutti gli ebrei battezzati
continuassero a serbarsi segretamente fedeli all'antica religione - tutti,
anche a distanza di diverse generazioni. Così si giustificavano le vessazioni,
i pogrom, le radici dell'antisemitismo. Oggi, finita l'epoca dei pogrom, il
marrano continua ad essere nei libri di storia ancora quella stessa figura
inquieta, portatrice di un'identità di confine, spinta a muoversi sul crinale
di fedi diverse, perennemente in movimento tra paesi diversi - l'Ebreo errante,
insomma, che battezzato cerca di tornare all'antica fede e intanto abbandona e
tradisce ogni fede. Azzardiamo un'ipotesi rozza e grossolana: il senso di colpa
collettivo, alimentato dalle radici cristiane europee, ha portato a cancellare
i sentimenti antichi ma non gli antichi pensieri. Il marrano degli storici è
ancora l'ebreo mascherato da cristiano che vedevano in lui gli uomini
dell'Inquisizione. L'opera di Fritz Heymann propone una tesi diversa: questo
libro andrà letto perciò non solo come quel messaggio da un continente
inabissato che di fatto è ma anche come un punto di vista nuovo e importante.
Intorno al 1937, Fritz Heymann, pubblicista affermato, si dedicò a ricerche
sulla storia dei marrani. Aveva lasciato quella Germania a cui aveva dedicato
tutto se stesso e per la quale, giovanissimo, era andato volontario nella prima
guerra mondiale. Si era rifugiato ad Amsterdam. Considerava la persecuzione
antisemita tedesca iniziata nel 1933 come uno di quei grandi cicli della storia
ebraica segnati dall'esodo: dall'Egitto, da Gerusalemme, dalla Spagna nel 1492
e ora, dal 1933, dalla Germania. Dove sarebbero andati ora non era chiaro:
forse in America, forse in Eretz Israel. Con questi pensieri
si dedicò alla storia dei marrani: esplorò molti archivi soprattutto spagnoli,
raccolse una gran quantità di documenti in vista di una storia esauriente della
questione che però non scrisse. Scelse la forma di una narrazione storica in
forma di conferenze che tenne - forse - ad Amsterdam davanti ad altri emigranti
come lui. Dopo l'occupazione tedesca visse nascosto in Olanda finché,
catturato nel 1942 dalle SS, finì i suoi giorni ad Auschwitz. Ci resta il testo
delle conferenze: sua madre, per la quale Heymann riuscì a ottenere un visto
per l'Argentina, lo portò con sé e lo mise a disposizione del Leo Baeck
Institute nel 1959. Il libro è importante per l'idea che lo regge. Per Friz
Heymann era evidente un fatto: i marrani erano generalmente dei cristiani
cattolici, vivevano in un mondo cristiano e chiedevano soltanto di fare il loro
lavoro. Perché emigrarono? Non per motivi religiosi, ma per motivi economici e
sociali. Ve li costrinse l'ostilità del contesto spagnolo e portoghese, dove un
popolo miserabile e una nobiltà invidiosa del loro livello di ricchezza e di
cultura si servirono dell'Inquisizione per eliminarli. E dove andarono? Anche
qui Heymann rovescia lo stereotipo tradizionale che, vedendo nell'ebreo il
diverso, lo associava al vitello d'oro della Bibbia e immaginava che il marrano
creasse ricchezza dove andava: la Spagna decadde economicamente perché i
marrani se ne andarono? No: i marrani lasciarono la Spagna fiutando la
decadenza del paese; Livorno e Amsterdam fiorirono perché gli ebrei vi si
trasferirono? No: i marrani seguivano le correnti del commercio e della finanza
di cui erano esperti e se lasciavano un luogo per un altro era perché
percepivano tempestivamente i mutamenti in atto. Gli argomenti concreti e gli
esempi che l'autore ricava dalle fonti che ha esplorato meritano di essere
attentamente considerati. Ma il libro è una lettura emozionante per la tensione
che lo percorre. La domanda che apre la quinta conferenza ha risonanze forti
nel nostro presente: "Perché grandi gruppi etnici emigrino, abbandonino la
loro patria e ne cerchino una nuova è una domanda che anche oggi, in questo
stadio della guerra, mi sembra sia attuale...". Heymann era un uomo
coraggioso e dotato di grande libertà intellettuale. Se si dedicò alla ricerca
storica lo fece perché - scrisse - "il destino degli ebrei dell'Europa
centrale aveva spazzato via la polvere dai documenti e gettato un raggio di
luce nell'oscurità". Con parole quasi identiche un altro ebreo tedesco -
Walter Benjamin - definiva proprio allora la sua idea della ricerca storica.
( da "Giornale.it, Il" del
12-01-2008)
Di Fiamma Nirenstein - sabato 12 gennaio 2008, 09:14 Il
viaggio di George Bush negli Stati arabi è cominciato ieri nel Kuwait, dove è arrivato proveniente da Israele. Andrà poi
nel Bahrain, negli Emirati Arabi Uniti, in Arabia Saudita e in Egitto. Qualcuno
dice che potrebbe recarsi anche in Irak. Scrive il Jerusalem Post che a Riyad
Bush berrà il tè con il re saudita Abdullah nel palazzo Nasirya, al cui interno
vi sono pavimenti di marmo, candelieri di cristallo, pareti nelle quali
sono stati incastonati oro e pietre preziose. Questo lusso è possibile grazie alla
produzione petrolifera saudita. Riyad è certo soddisfatta del prezzo raggiunto
per barile: 100 dollari. I sauditi hanno ridotto la vendita a 450mila barili al
giorno, nonostante le richieste degli Usa. Costo del greggio ed estremismo
politico si intrecciano. Washington ha ripetutamente esortato alcune capitali
arabe a manovrare in modo da reprimere quei circoli e quei movimenti che
incitano all'estremismo, all'odio. Bush deve agire con circospezione: c'è da
risolvere il problema del petrolio, diventato per il suo Paese troppo caro. Il
capo della Casa Bianca si presenta quindi ai sauditi con un pacchetto di armi,
la cui vendita certo non sarà gradita a Israele: si
tratta di un accordo da 20 miliardi di dollari di cui fanno parte le Jdams
(Joint direct attack munitions), "bombe intelligenti" guidate dal
laser. Gli americani cercano con questo contratto non solo di ricevere il
petrolio di cui hanno bisogno,ma anche di ottenere la fedeltà del reame che,
nella strategia Usa, è destinato a divenire il punto di riferimento della
coalizione anti- Iran. L'Iran e la jihad islamica sono i protagonisti di una
guerra che mette in pericolo il mondo intero. Bush sa benissimo che dipende
dalla sua abilità in questa visita in Medio Oriente se la pace può tentare di
spiccare il volo. La strategia del presidente non riguarda solo "due Stati
per due popoli", le bombe, i missili, i terroristi dell'Iran e di Al
Qaida, siriani, Hamas, Hezbollah e altri. Agli arabi Bush appare debole con le
sue "bombe intelligenti" se, mentre si trova a Gerusalemme, i sauditi
inviano un messaggio di autonomia, quasi di minaccia: qualunque cosa il
presidente americano e Olmert dicano dell'Iran, Riyad stabilirà da sola e senza
influenze esterne le proprie posizioni. Nei giorni della permanenza del capo
della Casa Bianca in terra israeliana, Hamas, armato da Teheran, intensificava
i lanci dei suoi razzi contro le case degli ebrei. E i capi sciiti libanese
Nasrallah e iracheno Al Sadr invitavano i leader arabi a boicottare Bush.
( da "Quotidiano.net" del
12-01-2008)
Mobile email stampa MEDIO ORIENTE Bush avverte Iran e
Siria: "Basta aiutare i terroristi" Se è vero che al Qaeda "ha
subito duri colpi in Iraq" negli ultimi mesi, allora non bisogna abbassare
la guardia. Il presidente americano ha lanciato un avvertimento a Damasco e
Teheran: "Cessare il sostegno alle milizie integraliste" responsabili
degli attacchi contro le truppe della coalizione Home Esteri prec succ
Contenuti correlati Il viaggio di Bush in Medio Oriente Jenna Bush chiama il
padre durante uno show tv Bush a cena fa la corte alla Livni e viene zittito
dalla Rice Il presidente Bush nei Paesi del Golfo In lacrime al museo
dell'Olocausto Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio
mandato" Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Al
Qaeda: "Accogliete Bush con le bombe" Kuwait City, 12 gennaio 2008 -
Ancora nessuna decisione sul ritiro delle truppe Usa dall'Iraq. Ma la strategia
militare americana nel paese Mediorientale è in linea con gli obiettivi e i
programmi prefissati: è dunque plausibile che la riduzione di 30.000 uomini
del contingente americano possa avvenire secondo il calendario prefissato, e
cioè entro il mese di luglio del 2008. E' questa la sostanza del discorso che
il presidente George W. Bush ha rivolto questa mattina ai militari Usa a Camp
Arifjan, la principale base americana in Kuwait. Bush non ha fornito date
precise, ma ha confermato: "siamo sulla buona strada per fare quello che
avevamo promesso di fare". Il presidente ha avuto un colloquio con il
comandante in capo delle truppe Usa in Iraq, il generale Petraeus. Sarà lui, ha
detto, a decidere se e quando sarà il caso di ridurre il contingente americano.
Una decisione che sarà presa sulla base dei progressi registrati sul terreno.
Progressi già visibili, ha detto Bush. Con la nuova strategia militare, adottata
l'anno scorso, l'Iraq è infatti diventato un paese in cui "sta tornando la
speranza". "Dobbiamo fare tutto quanto è in nostro potere per
ottenere ulteriori passi avanti nel 2008", è stato l'invito di Bush ai
militari. E se è vero che al Qaeda "ha subito duri colpi in Iraq"
negli ultimi mesi, allora non bisogna abbassare la guardia. "L'Iraq è
adesso un paese diverso rispetto a un anno fa", ha sottolineato il
presidente americano, che ha lanciato un avvertimento a Damasco e Teheran. La
Siria deve "ridurre la sua flotta di terroristi" che si infiltrano in
Iraq, ha detto Bush, mentre l'Iran deve "cessare il suo sostegno alle
milizie integraliste" responsabili degli attacchi contro le truppe della
coalizione. L'inquilino della Casa Bianca, infine, non dimentica nemmeno le
autorità di Baghdad, a cui rende merito e rivolge un monito. "Sono stati
compiuti dei progressi. Ma non ci saranno scuse per loro: devono fare di
più", ha concluso.
( da "Mattino, Il
(Nazionale)" del 12-01-2008)
"Chiudete Guantanamo, prigione dell'orrore"
Washington. Chiudere Guantanamo, il campo di detenzione divenuto il simbolo dei
metodi adoperati dagli Usa nella lotta al terrorismo. Manifestazioni di
protesta e sit-in - organizzata dall'organizzazione per i diritti umani Amnesty
International - si sono svolti ieri in città e capitali di tutto il mondo, a
sei anni di distanza dall'inaugurazione del famigerato centro di prigionia,
allestito nella base militare che si trova sulla piccola porzione di territorio
cubano sotto gestione americana. Una manifestazione di protesta si è svolta
anche a Washington ed è stata duramente repressa: la polizia ha arrestato 71
manifestanti presso la sede della Corte Suprema degli Stati Uniti. Gli arresti
sono avvenuti all'interno e all'esterno dell'edificio e sono stati motivati
dalla violazione del divieto di dar vita a dimostrazioni non autorizzate alla
Corte Suprema. Amnesty International, col sostegno di oltre 1.200 parlamentari
di ogni parte del mondo, ha presentato ieri all'amministrazione Bush un piano
d'azione per porre fine alle detenzioni illegali e alle torture nel contesto
della "guerra al terrore". Il piano d'azione, si legge in una nota,
consiste in 13 raccomandazioni per far cessare queste pratiche che violano i
diritti umani, senza compromettere la capacità del governo di combattere il
terrorismo. L'organizzazione fornisce inoltre consigli pratici, come
sollecitato dal governo di Washington, per chiudere Guantanamo.
"Guantanamo è un'anomalia che dev'essere immediatamente corretta. Il solo
modo per farlo è chiudere il centro di detenzione", ha dichiarato Irene
Khan, segretaria generale di Amnesty International. Il piano d'azione,
sottoscritto da parlamentari di numerosi paesi - tra cui Giappone, Israele, Regno Unito e Italia - chiede il ripristino
dell'"habeas corpus", la fine delle detenzioni segrete, l'incriminazione
e il processo di fronte a tribunali indipendenti e imparziali oppure il
rilascio di tutti i detenuti. Al momento, infatti, i poteri straordinari
conferiti al presidente americano dopo l'11 settembre, consentono
l'incarcerazione di semplici sospettati, dei quali può anche non essere resa
nota l'identità. I detenuti non godono di garanzie per il diritto di difesa,
vivono del tutto isolati, in celle strette e senza alcun genere di conforto. E,
soprattutto, la denominazione di "nemici combattenti illegittimi"
tiene i prigionieri in un limbo giuridicamente indefinito. "Le pratiche
illegali adottate dal governo americano, esemplificate da Guantanamo e dal
programma Cia di detenzioni segrete, hanno promosso il pericoloso concetto che
i diritti umani fondamentali possono essere messi da parte in nome della
sicurezza nazionale", ha sottolineato Khan. La popolazione carceraria di
Guantanamo è adesso intorno a quota 270, dopo che in questi sei anni sono stati
circa 800 i presunti terroristi transitati nella base militare americana. Una
settantina di prigionieri sono destinati ad andarsene, non appena gli Usa
troveranno governi disposti ad accoglierli. A Washington ieri una Corte
d'appello federale ha respinto la richiesta di quattro britannici che sostengono
di essere stati sistematicamente torturati per due anni a Guantanamo. I quattro
volevano citare in giudizio esponenti del Pentagono, ma i giudici di Washington
hanno detto no. r.m.
( da "Mattino, Il
(Nazionale)" del 12-01-2008)
Bush: "Dovevamo bombardare Auschwitz" MICHELE
GIORGIO Gerusalemme. George W. Bush ha lasciato, ieri, Israele ed è giunto in Kuwait per proseguire nelle capitali del Golfo un
viaggio che, affrontato il negoziato israelo-palestinese, ora si concentra
sulla questione del programma nucleare iraniano. Nei prossimi giorni sarà in
Bahrein, negli Emirati, in Arabia Saudita ed Egitto. Potrebbe anche
recarsi in visita a sorpresa in Iraq. Un tour intenso per verificare il
sostegno dei Paesi arabi moderati alla sua strategia di isolamento di Teheran
e, forse, alla possibilità di un attacco militare contro le centrali atomiche
iraniane. Prima di partire da Tel Aviv, il presidente americano ha annunciato
che tornerà a maggio, per partecipare alle celebrazioni per il 60esimo
anniversario della fondazione dello Stato ebraico. È stata la visita al museo
dell'Olocausto di Gerusalemme, la tappa più importante delle ultime ore di Bush
in Israele. Con gli occhi lucidi per la commozione e
il capo chino, il presidente degli Stati Uniti si è raccolto in meditazione di
fronte alla fiamma eterna che ricorda i sei milioni di ebrei sterminati dai
nazisti. In completo blu e con in testa la kippà ebraica, Bush è stato
accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Ehud Olmert.
Dietro c'erano il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, e il
segretario di Stato Condoleezza Rice. Quest'ultima è stata protagonista durante
la cena ufficiale di giovedì di un episodio insolito quando ha passato un
biglietto a George Bush che le sedeva vicino. Dopo alcuni istanti di
riflessione, il presidente ha deciso di condividere con i commensali il
contenuto del messaggio: "Mi dice di chiudere la bocca" ha precisato,
fra le risate generali. In precedenza Bush era entrato in modo pesante nei
giochi politici israeliani, nel tentativo di persuadere i leader del partito
laburista Ehud Barak, del partito Israel Beitenu Avigdor Lieberman e del
partito Shas Ely Yishai a non lasciare la coalizione di governo. Visitando il
museo dell'Olocausto il presidente americano ha osservato: "Ciò che più mi
impressiona è che queste persone di fronte all'orrore e alla malvagità non
abbandonarono il loro Dio". "Di fronte a inauditi crimini contro
l'umanità, spiriti coraggiosi, giovani e anziani, sono rimasti ancorati con
fermezza in ciò che credevano", ha aggiunto. "Avremmo dovuto
bombardare Auschwitz" ha affermato subito dopo, secondo il racconto di
Avner Shalev il presidente del museo dell'Olocausto. Ad un certo punto - ha
raccontato Shalev - Bush si è rivolto a Condoleezza Rice per chiederle le
ragioni per cui l'amministrazione Roosevelt all'epoca decise di non bombardare
il campo. Si tratta di una questione che da decenni appassiona gli storici. Le
forze alleate controllavano i cieli di Europa, come mai non colpirono i campi
di sterminio? La Rice, che è docente di scienze politiche, ha spiegato che gli
Usa non ritenevano allora che una tale azione avrebbe fermato lo sterminio
degli ebrei. Il presidente americano, ascoltate le risposte, ha insistito:
"Avremmo dovuto bombardare". Mezz'ora dopo, a bordo dell'elicottero,
il presidente americano era già immerso in un'atmosfera più serena. Dal lago di
Tiberiade è risalito sul vicino Monte della Beatitudine, dove lo attendevano
frati francescani. Poi è stato prelevato nuovamente dall'elicottero che lo ha
portato all'aeroporto di Tel Aviv da dove, a bordo dell'Air Force One, ha
proseguito per il Kuwait. Prima della partenza il presidente Usa israeliani e
palestinesi a lavorare con intensità per raggiungere un accordo di pace
definitivo entro il 2008 ed ha affermato che la soluzione per i profughi
palestinesi verrà trovata con la creazione dello Stato di Palestina.
Idee che però appaiono difficilmente applicabili nel giro di un anno. Proteste
anche a Washington contro il campo di prigionia di Guantanamo In alto, Bush al
Museo dell'Olocausto.
( da "Mattino, Il
(Nazionale)" del 12-01-2008)
A CENT'ANNI DALLA NASCITA Teller, l'uomo che divenne Stranamore
Ugo Cundari La storia dell'umanità annovera più di una figura di scienziato che
magari anche giocando sulla propria presunta pazzia ha vestito i panni
dell'astuto provocatore. Tra i più noti appartenenti a questa cerchia di
eletti, le cui invenzioni hanno inciso profondamente sul corso della storia,
bisogna ricordare il fisico Edward Teller, di cui martedì ricorre il centenario
della nascita. Ebreo di origini ungheresi, si laureò in fisica in Germania
sotto la guida di Heisenberg. Dopo poco, per sfuggire a Hitler, si trasferì
negli Stati Uniti iniziando una rapida e brillante carriera scientifica, tanto
che, durante la Seconda guerra mondiale partecipò attivamente al progetto
Manhattan per la realizzazione della bomba atomica. Celebre il suo ricordo del
primo test a cui assistette: "Dovevamo sdraiarci a terra con la schiena al
ground zero. Ma io disobbedii. Indossai degli occhiali neri sotto altri da
saldatore e un paio di spessi guanti per proteggermi ulteriormente la vista, mi
spalmai il volto di una potente crema antisolare contro le bruciature.
Intravidi un enorme anello luminoso, sollevai il guanto da un occhio e fu come
se un sole cocente illuminasse una stanza buia". Successivamente, nel '52,
costruì la bomba H contro la volontà della comunità scientifica, ormai votata
alla "pace della guerra fredda". Poco dopo la bomba all'idrogeno
provocò l'opinione pubblica mondiale sostenendo che le sue scoperte potevano
anche essere usate a scopi pacifici e civili: le sue bombe potevano essere
fatte esplodere sotto terra per sbancare e movimentare grandissime quantità di
terra e un'operazione simile la battezzò "operazione Plowshare" nei
primi anni '60, con lo scopo di ampliare in poco tempo il canale di Panama. Ma
l'allora presidente Kennedy accolse con scetticismo la sua proposta, tanto che
il fisico sbottò: "Impiegherei meno tempo a realizzare il mio piano di
quanto impiegherei a indurre lei ad approvarlo". Con il presidente Reagan,
però, ebbe più fortuna, diventando suo personale consigliere in merito alla
difesa e allo scudo spaziale, convincendolo a fare grossi investimenti nel
progetto che poi sarà battezzate "guerre stellari"; si impegnò poi
per la costruzione di centrali nucleari per la produzione di energia. Follia o
strenua volontà di dare un senso civile alle sue scoperte mortali? Di certo, si
sa che il regista Stanley Kunbrick, proprio a Teller si ispirò per dare vita
allo splendido personaggio del dottor Stranamore nell'omonima pellicola del
1964. Teller nella sua vita ha ricevuto numerose onorificenze, fra le quali
l'"Albert Einstein Award", l'"Enrico Fermi Award",
l'"Harvey Prize from the Technion-Israel Institute" e il
"National Medal of Science". Fu un uomo di coraggio - da giovane
perse un piede sotto un tram, ma non se ne lamentò mai - un cultore di Platone
e dei altri classici dell'antichità, nonché un discreto pianista. È morto
cinque anni fa all'età di novantacinque anni.
( da "Liberazione" del
12-01-2008)
Il vicepres. Confindustria ci risponde Sulla sicurezza
siamo sempre in prima linea Stefania Podda I fatti: la prossima Fiera del
Libro, che si svolgerà a maggio a Torino, è dedicata ad Israele.
In quel mese, Israele celebrerà i sessant'anni dalla
nascita del suo Stato, ma in quegli stessi giorni i palestinesi ricorderanno la
nakba, la tragedia di un intero popolo. E' dunque partita una campagna di
boicottaggio e a Liberazione è stato chiesto di aderire ad un'iniziativa contrapposta
(la lettera del Direttore di La Rinascita la potete leggere a pagina 14) che
abbia al suo centro quanto - secondo i promotori - a Torino verrà invece
passato sotto silenzio: ossia la durissima politica di occupazione, le
terribili condizioni di vita nei Territori, l'embargo che sta strangolando Gaza
e le discriminazioni subìte dagli arabo-israeliani. Realtà di cui questo questo
giornale si occupa, e che questo giornale denuncia e continuerà sempre a
denunciare. Il punto è però un altro, e per nulla sovrapponibile a tutte le
buone ragioni di cui si è parlato. Il punto è questo: il boicottaggio culturale
è un'arma politica? No, non lo è. E' una risposta sbagliata e pericolosa, che
porta all'isolamento e alla radicalizzazione delle posizioni, che porta a
chiusure identitarie vanificando quelle aperture e quelle libertà di cui la
cultura è portatrice. E che non giova a nessuna causa. Nemmeno a quella
palestinese. Boicottare la Fiera del Libro è la giusta risposta alla politica
di Israele? Secondo noi, no. Come non lo è la proposta
di tagliare i contatti con le università israeliane, di escluderne i professori
da ogni collaborazione con gli atenei europei, di cancellarli dai progetti di
ricerca, dalle conferenze. Se ne parla spesso, se ne è parlato di nuovo nei
mesi scorsi con la mozione votata in Gran Bretagna dall'Ucu, il principale
sindacato di docenti e lettori. Iniziative diverse, con uno stesso comune
denominatore. Non è difficile infatti cogliere la pericolosità dell'equazione
che vuole che gli intellettuali siano responsabili della pessima politica del
proprio paese, dell'idea di soffocare la loro voce in nome di un presunto
peccato originale, ascrivibile di diritto alla loro nazionalità. La
letteratura, se è buona letteratura, è lo specchio della società che la
produce, ma è uno specchio infranto. Non rimanda un'immagine intera, ma
frammenti che si ricompongono a rifletterne le contraddizioni, le diverse
pulsioni e anime. La letteratura israeliana non fa eccezione. Grossman,
Yehoshua, Oz, e il più giovane Keret: sono i nomi che saranno a Torino. Con
sfumature diverse, sono la coscienza critica d'Israele.
L'orazione di David Grossman al funerale del figlio Uri, morto in Libano, è uno
dei più bei testi sull'assurdità della guerra e sulla sconfitta di una società
che ha perso i suoi ideali. Davvero non è interessante e non è giusto ascoltare
la sua voce? Confrontarsi con loro nei dibattiti che ci saranno? E quale
potrebbe essere la logica prosecuzione di questa scelta?Boicottare i libri? E
perché - in base alla stessa logica di primazia della politica - non fare a
meno della cultura americana? Infine, un'ultima considerazione: chiamare al
boicottaggio culturale di Israele, sovrapponendo piani
diversi, rischia di alimentare l'antisemitismo. E stavolta - basta fare un giro
su molti siti - il giusto diritto di critica alla politica israeliana non
c'entra nulla. Bisognerebbe tenerne conto. 12/01/2008.
Intanto Bush
vola alto ( da "EUROPA.it" del 11-01-2008)
Bush nei
territori: "Voglio la pace entro la fine del mio mandato" (
da "Stampa, La"
del 11-01-2008)
Bush ai
palestinesi: pace nel 2008 e uno Stato vero Il presidente incontra Abu Mazen:
Israele lasci i territori. Voi combattete il terrorismo (
da "Nazione, La (Nazionale)"
del 11-01-2008) + 2 altre fonti
Bush in
palestina "la pace entro un anno" (
da "Repubblica, La"
del 11-01-2008)
Il soccorso
dell'"amico americano" ma olmert è ora a un passo dal k.o. - alberto
stabile ( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)
Bush preme su
israeliani e palestinesi "scelte difficili, ma la pace è possibile" -
alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)
La pace in
medio oriente sulla via di damasco - marek halter (
da "Repubblica, La"
del 11-01-2008)
Insieme a
Condoleezza nella chiesa della natività ( da "Unita, L'" del 11-01-2008)
Il presidente
americano questa volta ha parlato chiaro (
da "Unita, L'"
del 11-01-2008)
Bush a
Ramallah: Palestina entro il 2008 Il presidente americano incontra Abu Mazen
alla Muqata, il vecchio quartier generale di Arafat Monito a Israele: La pace
va facilitata . Og ( da "Unita, L'" del 11-01-2008)
<Io che
intervistai Bin Laden vi dico: prepara un attentato come quello dell'11
settembre> pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)
Bush:
<Entro l'anno la pace in Palestina> (
da "Giornale.it, Il"
del 11-01-2008)
Bush:
<Entro l'anno la pace in Palestina> pag.1 (
da "Giornale.it, Il"
del 11-01-2008)
La palestinese:
aspetto i fattil'israeliano: serve il dialogo (
da "Secolo XIX, Il"
del 11-01-2008)
MO: BUSH;
PACE NEL 2008,NO A STATO PALESTINESE GROVIERA/ANSA (
da "Secolo XIX, Il"
del 11-01-2008)
Bush a
Ramallah: <Pace entro l'anno> ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 11-01-2008)
"Pane
per Betlemme": i biglietti vincenti della lotteria (
da "Unione Sarda, L' (Nazionale)"
del 11-01-2008)
Gli
israeliani sperano nelle pressioni di Bush per trovare la pace (
da "Unione Sarda, L' (Nazionale)"
del 11-01-2008)
Visita di
Bush a Ramallah ( da "Voce d'Italia, La" del 11-01-2008)
Il sindaco
(cristiano) di Betlemme escluso dal ricevimento (
da "Manifesto, Il"
del 11-01-2008)
L'Europa nel
kibbutz lungo la frontiera ( da "Manifesto, Il" del 11-01-2008)
Bulldozer
Bush a Ramallah ( da "Manifesto, Il" del 11-01-2008)
Guerra e pace
1 per i due stati, nuovi confini e indennizzi ai profughi (
da "Riformista, Il"
del 11-01-2008)
<Gaza
collegata alla Cisgiordania Così George W. mette in crisi l'alleato> (
da "Corriere della Sera"
del 11-01-2008)
Bush: pace e
fine dell'occupazione israeliana ( da "Corriere della Sera" del 11-01-2008)
Pace
Israele-Palestina La spinta di Bush ( da "Corriere della Sera" del 11-01-2008)
La Carta
Islamica aprirà l'Europa ai fondamentalisti (
da "Libero"
del 11-01-2008)
In Iraq
500mila falsi morti Scoperti i dossier truccati (
da "Libero"
del 11-01-2008)
Bush ai
palestinesi: <Voglio la pace entro l'anno> (
da "Libero"
del 11-01-2008)
Aldo Baquis
TEL AVIV Nell'incontro privato di mercoledì (
da "Tempo, Il"
del 11-01-2008)
Benedetto XVI
potrebbe fare il suo viaggio in Terra Santa (
da "Tempo, Il"
del 11-01-2008)
Bush a
Ramallah, nel bunker che fu di Arafat ( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)
Il pm
Boccassini lascia il sindacato delle toghe (
da "Tempo, Il"
del 11-01-2008)
Bush visita
il museo dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi (
da "Quotidiano.net"
del 11-01-2008)
Bush visita
il museo dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi (
da "Quotidiano.net"
del 11-01-2008)
Israele, Bush
in lacrime al museo della Shoah ( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)
Bush a
Ramallah, nel bunker che fu di Arafat ( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)
Testimonianze (
da "Voce d'Italia, La"
del 11-01-2008)
Bush in
lacrime visita il museo dell'Olocausto ( da "Voce d'Italia, La" del 11-01-2008)
( da "EUROPA.it" del
11-01-2008)
JANIKI CINGOLI Bush arriva a Gerusalemme in un momento
in cui numerose incognite e molte polemiche si addensano sulla ripresa dei negoziati,
sia riguardo agli insediamenti israeliani, sia per la ripresa degli attacchi
dei miliziani legati ad al Fatah in Cisgiordania. È la sua prima visita in
Terra Santa come presidente, e ci si attende che egli ribadisca la sua
determinazione a sostenere il negoziato di pace. Per Israele l'alleanza con gli Usa è strategica e vitale. Ma lo è anche per
i palestinesi. Quindi i suoi interventi possono avere un peso non secondario.
Ma, al di là degli effetti immediati, quali possono essere gli sviluppi a medio
termine per il processo di pace? Annapolis ha sbloccato il processo
diplomatico, facendo procedere in parallelo la trattativa sulle misure di
fiducia e quella sull'accordo finale. Quindi, non ci sono più ostacoli a
negoziare. Ma è concretamente possibile, il negoziato? I palestinesi certo non
sono privi di problemi, data la situazione a Gaza e con Hamas, ma Abu Mazen
sembra determinato a procedere con la trattativa. Più difficile la situazione
israeliana, con Olmert insidiato dalla prossima pubblicazione del rapporto
Winograd e dalle reiterate minacce di crisi di Liberman e del partito religioso
Shas. Olmert d'altronde è stretto anche da Barak, che tende a scavalcarlo a
destra sui temi della sicurezza per posizionarsi al centro in vista delle
future elezioni. Nelle scorse settimane sono stato in Medio Oriente e ho avuto
modo di parlare con molti esperti e policy makers delle due parti, traendone
valutazioni anche molto discordanti. Sono sul tappeto tre possibili scenari: 1.
Il negoziato sul Final Status va bene, così come quello sulle misure di
fiducia, e si arriva all'accordo finale entro il 2008. 2. Il negoziato sul
Final Status si trascina, senza risultati concreti, mentre si ottengono
sviluppi sulle misure di fiducia (rimozione dei blocchi stradali e degli
avamposti illegali, rilascio dei prigionieri da parte israeliana; più incisivo
impegno contro il terrorismo da parte palestinese). In più arrivano gli ingenti
finanziamenti annunciati a Parigi (7,4 miliardi di dollari), che consentono un
rilancio dell'economia palestinese e un rafforzamento di Abu Mazen. 3. Entrambe
le fasi negoziali si trascinano senza risultati sostanziali, i blocchi stradali
e gli avamposti illegali restano salvo rare eccezioni, i prigionieri vengono
rilasciati con il contagocce. Arrivano un po' di soldi, quel tanto che basta
per alimentare la sopravvivenza e lo statu quo palestinese. La maggioranza
degli interlocutori palestinesi che ho incontrato ondeggiano tra il secondo e
il terzo scenario. Un importante consigliere di Fayad, il premier palestinese,
ha espresso invece un cauto ottimismo. Il governo Fayad, mi è stato
sottolineato, è sostanzialmente un governo di indipendenti, che non include
nessuna autorevole personalità di al Fatah, il che ovviamente genera tensioni e
ricorrenti richieste di rimpasto. Abu Mazen utilizza Fayad per arginare la
vecchia guardia di Fatah e Fatah per contenere l'indipendenza di Fayad. Un
autorevole analista, sotto condizione di anonimato, opta invece decisamente per
lo scenario più pessimista: non si procederà neanche sulle misure di fiducia,
perché Fayad può arrivare a ristabilire un po' di law and order nelle maggiori
città palestinesi, come ha già fatto a Nablus, ma non può e neanche vuole
smantellare la struttura militare palestinese, non solo le milizie ma anche le
fabbriche di armi. I servizi israeliani lo sanno, e quindi non rimuoveranno i
blocchi stradali e le altre misure di sicurezza. Quindi ci si limiterà a
qualche gesto simbolico, e ad alimentare quel rivolo di denaro sufficiente a
mantenere lo statu quo. Da parte israeliana, alcuni tra i più autorevoli
commentatori optano per lo scenario intermedio. Pare loro improbabile che si
proceda sul Final Status. Va detto, però, che da parte di altri primari policy
maker, di diverso orientamento politico, dal centro alla sinistra, si dà per
possibile un nuovo scenario. Olmert e Abu Mazen, che hanno stabilito una forte
intesa tra loro, procederebbero su un binario parallelo rispetto ai negoziati
ufficiali sul Final Status: mentre questi seguono il consueto iter stop and go
, essi per conto loro arriverebbero a concordare almeno una bozza di accordo
globale, attraverso canali informali, come ai tempi dei negoziati segreti di
Oslo, mentre a Washington si perdeva tempo nei negoziati ufficiali. Olmert, se
a fine gennaio riuscirà a superare lo scoglio del rapporto Winograd,
attenderebbe a fino a metà luglio, quando la Knesset è chiusa fino a novembre,
in modo da evitare immediate mozioni di sfiducia alla Knesset, e poi
eventualmente andare alle elezioni sulla base della bozza di accordo raggiunto,
e quindi di una pace possibile. Diversi fra loro affermano che Olmert potrebbe
spingersi non solo a fare proprie le proposte di Clinton a Camp David, ma anche
la sostanza dello stesso accordo di Ginevra. Abu Mazen, per conto suo, sa che a
un certo punto dovrà tornare al tavolo negoziale con Hamas, anche per le forti
pressioni saudite e egiziane, ma vuole tornarci su un piano di forza, avendo
ricevuto i soldi dei donor e avendo trovato una piattaforma di possibile accordo,
e non di debolezza come accadrebbe ora. L'impressione che ho ricevuto è che è
in moto un meccanismo di negoziato parallelo, con elementi concreti di
approfondimento, anche se nessuno può dire se questo tentativo potrà andare in
porto, essendo troppe le incognite sul tappeto.
( da "Stampa, La" del
11-01-2008)
Sharh al Quds, la strada insolitamente deserta che
collega il check point di Khalandia al centro di Ramallah, è tappezzata di
manifesti pubblicitari "Cowboy 2000". Una marca di jeans americana.
L'unico, involontario, benvenuto locale a George W. Bush che ieri mattina ha fatto
visita al presidente palestinese Abu Mazen e al premier Salam Fayad, prima
tappa del blindatissimo mini-tour cisgiordano terminato nel pomeriggio nella
Basilica della Natività a Betlemme. Non una bandiera a stelle e strisce, se non
all'interno del palazzo governativo della Muqata al sicuro da piromani
agit-prop, balconi e finestre inanimati secondo l'ordine della Guardia
Nazionale, nessuna aspettativa. Una città silenziosamente ostile per
"l'amico di Ariel Sharon". Eppure, ammette in serata l'avvocato Sami
Khoury, "il texano ha detto cose importanti e sorprendenti per uno come
lui". La tv palestinese ripropone fino a notte fonda i servizi con le
frasi che, dal punto di vista locale, riassumono il suo discorso. "Stop
all'occupazione israeliana iniziata nel '67". "Blocco degli
insediamenti e rimozione degli avamposti illegali". "Uno Stato
palestinese sovrano, indipendente, senza discontinuità territoriale, entro
gennaio 2009". "Nuovi meccanismi di sostegno internazionale alla
pace, comprese le compensazioni, per risolvere la questione dei profughi".
L'inquilino della Casa Bianca parla ai palestinesi perché intendano i Paesi
arabi che visiterà nei prossimi giorni, Egitto, Arabia Saudita, Kuwait,
Bahrein, Emirati Arabi. Il loro aiuto nella sfida globale contro l'Iran è fondamentale
e Bush è disposto a ricambiarlo scendendo direttamente in campo in Terra Santa.
Al termine di un incontro di un'ora con Abu Mazen e otto ministri, George W.
Bush, il secondo presidente americano in carica a recarsi nei Territori dopo
Bill Clinton nel 1998, formalizza il suo impegno per la
soluzione del conflitto israelo-palestinese: "L'accordo di pace sarà una
realtà entro la fine del mio mandato". Certo, sono necessarie
"concessioni dolorose da entrambe le parti", "l'aiuto dei Paesi
arabi", "una soluzione per lo status di Gerusalemme". Ma, almeno
sulla carta, la promessa rafforza quello fatta mercoledì a Gerusalemme al
premier israeliano Olmert. Il neoincaricato generale William Fraser si
occuperà di monitorare i progressi della Road Map. Sono le nove quando Bush, a
bordo dell'automobile presidenziale, attraversa di gran carriera il check point
di Khalandia diretto a Ramallah. Avrebbe dovuto viaggiare in elicottero, ma non
è stato possibile a causa della nebbia, malinconica come l'umore degli abitanti
che l'aspettano loro malgrado. La città, solitamente caotica, appare inanimata,
spettrale. Il presidente arriva in Cisgiordania dopo la duplice colazione con
il leader dell'opposizione israeliana Bibi Netanyahu e con i due figli di Ariel
Sharon, ai quali ha spiegato che la nuova politica americana non è un
tradimento del sostegno incondizionato dato al padre quando era primo ministro.
"The Times They are A-Changing": sono i tempi che stanno cambiando.
Alla Muquata, sul piazzale adiacente al mausoleo di Arafat, l'accoglie un Abu
Mazen cordiale alla maniera di un vecchio amico, tappeti rossi, il picchetto
d'onore. Qualche isolato più in là, nei pressi di piazza al Manar, duecento
manifestanti brandiscono cartelli polemici ("Afghanistan, Iran, Palestine,
Iran?", "It is the occupation, stupid", "Gaza on my
mind") spintonati dai poliziotti ai quali, come i sessantottini europei,
urlano che "la nostra protesta è la vostra protesta". "Credo che
le forze palestinesi si stiano rafforzando e gli israeliani debbano aiutarli,
non ostacolarli, in questo percorso", dice George Bush prima di
accomodarsi a tavola alla Muqata, un pranzo per settanta persone fornito dal
prestigioso ristorante Darna ma supervisionato, piatto per piatto, dalla
scrupolosa security americana. Ricche "mezze", gli antipasti arabi,
gamberi, riso, carne di montone, filetto, cheese cake, insalata di frutta e
tremila sandwiches per militari e bodyguard: 90 mila schekel di cibo, circa 24
mila dollari, un terzo degli stipendi mensili dell'intera Ramallah. Il
presidente americano apprezza il pasto e incoraggia l'economia palestinese che
"ha bisogno di uno Stato omogeneo, senza posti di blocco". Per
questo, per garantire la sicurezza "sacrosanta" d'Israele,
Abu Mazen è chiamato a "combattere il terrorismo e smantellare le
infrastrutture dei terroristi". Il convitato di pietra è il partito
islamico Hamas che da Gaza partecipa al banchetto con violente manifestazioni
di protesta, una bomba alla scuola americana di Gaza City, un razzo Qassam
lanciato nella caffetteria del kibbutz Yad Mordechai, vicino Sderot. "Il
presidente palestinese, il nostro presidente, ha dimenticato un terzo del suo
popolo sotto assedio quotidiano a Gaza" attacca Ismail Radwan, uno dei
portavoce di Hamas. "La visita di Bush serve solo a rafforzare
l'occupazione israeliana e forzare una spaccatura tra i palestinesi che non si
sentono rappresentati da questa leadership" incalza da Ramallah Ahmad
Bahar, dirigente del Palestinian Legislative Council. Ma Abu Mazen tira dritto.
Il presidente palestinese giudica quella di George W. Bush "una visita
storica che dischiude grandi speranze per la nostra gente". Se, come ha
annunciato il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Stephen
Hadley, il presidente americano tornerà una seconda volta prima della fine
dell'anno sarà il benvenuto. La Muquata è pronta: "La pace è un'opzione
strategica per i palestinesi. Questo governo sta adottando passi concreti verso
l'istituzione di un regime democratico in vista della costituzione di uno stato
palestinese indipendente con Gerusalemme Est per capitale". Bush ascolta
le parole del collega tradotte dall'arabo e annuisce. A tratti appare
perplesso, oltre la lingua c'è un mondo che ignora e sta appostato, silenzioso,
scettico, nella città deserta.
( da "Nazione, La
(Nazionale)" del 11-01-2008)
Pubblicato anche in: (Giorno, Il (Nazionale)) (Resto del
Carlino, Il (Nazionale))
Bush ai palestinesi: pace nel 2008 e uno Stato vero Il
presidente incontra Abu Mazen: "Israele lasci i
territori. Voi combattete il terrorismo" dall'inviato GIAMPAOLO PIOLI ?
NEW YORK ? MOLTI NEL MONDO arabo rimangono scettici, ma le parole di Bush sono
forti. "Un accordo di pace tra israeliani e palestinesi comporta la fine
dell'occupazione militare iniziata nel 1967 da Israele ? dice il presidente Usa ? Si deve prevedere la fine
dell'espansione degli insediamenti e la rimozione degli avamposti illegali. La Palestina deve diventare la patria dei palestinesi e Israele quella del popolo ebreo". Non sono frasi nuove, ma pronunciate
invece che a Washington nel cuore del Medio Oriente, dove continuano a
piovere razzi su kibbuz israeliani, hanno un significato e un impatto molto più
profondo. A Ramallah di fianco al presidente Abu Mazen, Bush aggiunge: "La
sicurezza è un problema fondamentale. Nessun accordo e nessuno stato
palestinese può nascere dal terrore e i palestinesi devono combattere il
terrorismo e smantellare le infrastrutture dei terroristi". Centinaia di
persone protestano e gridano "Bush criminale di guerra", ma le parole
non arrivano alle orecchie del capo della Casa Bianca, che crede possibile
"la pace entro l'anno". Nel palazzo del governo palestinese, alle
spalle dei due leader, durante la conferenza stampa è stato appeso una grande
ritratto di Arafat, che però le telecamere ufficiali non inquadrano. La tomba
provvisoria del leader palestinese è a soli
( da "Repubblica, La" del
11-01-2008)
Abu Mazen: aperta una speranza Bush in Palestina "La pace entro un anno" GERUSALEMME -
"Pace entro un anno". Così durante la sua visita in Palestina Bush ha promesso che l'accordo in Medio Oriente
dovrà sancire la "fine dell'occupazione cominciata nel 1967" da Israele. Secondo Bush l'intesa "dovrà stabilire che la Palestina è la patria del popolo palestinese, come Israele è la patria del popolo ebraico". E nel primo viaggio
ufficiale in Israele e nei Territori il presidente americano ha ribadito che
israeliani e palestinesi firmeranno un accordo di pace entro la fine del suo mandato,
nel gennaio 2009. Secondo Abu Mazen "si è aperta una speranza".
FLORES D'ARCAIS E STABILE A PAGINA 11.
( da "Repubblica, La" del
11-01-2008)
Gli abbracci a Bush a venti giorni dal temuto rapporto
sulla fallimentare guerra in Libano Il soccorso dell'"amico
americano" ma Olmert è ora a un passo dal k.o. ALBERTO STABILE dal nostro
corrispondente GERUSALEMME - Undici mesi per concludere con un "trattato
di pace" un conflitto che va avanti da sessant'anni, sono un periodo
estremamente breve in rapporto ad un obiettivo così ambizioso. Ma per il primo
ministro Ehud Olmert, i tempi potrebbero essere molto più stretti: il suo
destino politico, e con esso la possibilità di arrivare alla pace entro la
scadenza stabilita da Bush, si gioca nei prossimi venti giorni. Quanti ne
rimangono prima che la commissione Winograd, sull'esito fallimentare della
seconda guerra del Libano, consegnerà le sue conclusioni. Già chi parla di uno
tsunami in procinto di scatenarsi sulla scena politica israeliana. Una delle
chiavi suggerita dai commentatori israeliani per interpretare le molte cose non
dette, fra le tanti roboanti dichiarazioni, che hanno accompagnato la visita di
Bush è proprio questa: la debolezza politica di Olmert (alla quale Ben Caspit,
di Maariv ha fatto corrispondere la debolezza di Bush, paragonato ad un
"elefante in ginocchio" incapace di rialzarsi, e alla quale si deve
aggiungere la fragilità di Abu Mazen). Nell'arco di due settimane e mezzo, il primo ministro israeliano potrebbe ritrovarsi abbandonato
dagli alleati e, quel che è peggio, isolato nel suo stesso partito. Almeno un
terzo del gruppo dirigente di Kadima, secondo Yedioth Aaronoth, sarebbe pronto
ad eleggere un nuovo leader se le posizione di Olmert dovesse, alla luce del
rapporto Winograd, risultare insostenibile. In questo quadro, la visita
di Bush, che Olmert ha presentato come "partner e amico personale",
sarebbe offerto al premier la possibilità di presentarsi agli occhi
dell'opinione israeliana come un leader affidabile e munito della necessaria
statura internazionale. Persino l'insistenza con cui, d'accordo con il
presidente Shimon Peres, Olmert ha sottoposto al presidente americano il
dossier iraniano, farebbe parte di questa strategia. Nel corso di un lungo
incontro a quattr'occhi con Bush, il premier ha dettagliatamente illustrato
all'ospite un dossier elaborato dai servizi segreti israeliani, la cui finalità
era di dimostrare che il regime degli Ayatollah continua a coltivare i piani
per dotarsi dell'arma nucleare. Le conclusioni opposte raggiunte
dall'intelligence americana, secondo cui Teheran ha cessato già nel 2003 i
programmi per costruire la bomba atomica, sarebbero, dunque, sbagliate. Ma
perché sollevare con forza questo tema proprio mentre l'Amministrazione
americana sembra finalmente impegnarsi a rivitalizzare il processo di pace con
i palestinesi? Olmert, si dice a Gerusalemme, vede la questione iraniana e la
questione palestinese politicamente collegate. Sarebbe più facile, ha scritto
Aluf Benn su Haartez, vendere (all'opposizione di destra e agli alleati
recalcitranti di Olmert) le inevitabili concessioni implicite nella nascita di
uno stato palestinese se gli Stati Uniti decidessero di rimuovere con decisione
la minaccia iraniana. Parallelamente, Bush potrebbe più facilmente imporre
all'opinione pubblica americana un'azione di forza contro il regime di Teheran
se potesse, al tempo stesso, vantare progressi sul versante del conflitto tra Israele e i palestinesi. Al di là di questi retroscena,
resta il fatto che davanti alla telecamere tutti i protagonisti della scena
israeliana, e segnatamente i "cavalli di razza" di Kadima, hanno
cercato di presentarsi in almeno un fotogramma come persone assai vicine al
presidente americano. Momento clou di questa tendenza, le paroline sussurrate
dalla ministra degli Esteri, nonché candidata alla leadership di Kadima, Tzipi
Livni all'orecchio dei Bush durante la cerimonia di benvenuto all'aeroporto Ben
Gurion. Molti si sono chiesti quale era il messaggio che la Livni doveva
urgentemente trasmettere all'orecchio di Bush, davanti ad un Olmert non si
capisce se divertito o esterrefatto, e se non potesse esserci un momento più
opportuno. La corsa ad apparire "in touch" col presidente è
proseguita alla cena ufficiale di ieri sera, quando a forza di proteste, la
speaker della Knesset Dalia Yitzhik, laburista, vicina a Shimon Peres, è
risucita a trovare un posto a tavola al posto del segretario del governo
Yekhezkel.
( da "Repubblica, La" del
11-01-2008)
La foto di Arafat Bush preme su israeliani e palestinesi
"Scelte difficili, ma la pace è possibile" A Ramallah l'incontro con
Abu Mazen: "Finirà l'occupazione del '67" "Ma la risoluzione del
problema dei profughi sarà a carico del futuro Stato palestinese" ALBERTO
FLORES D'ARCAIS dal nostro inviato RAMALLAH - Il primo, forte, segnale lo
lancia da Ramallah, da quella Muqata che fu residenza-quartier generale (ed oggi
anche mausoleo) di Arafat: la pace si può fare "entro il 2008". Poi,
rientrato a Gerusalemme dopo aver visitato uno dei luoghi più cari alla
cristianità (Betlemme), George W. Bush detta dalla Città Santa i punti chiave
perché venga risolto una volta per tutte l'eterno conflitto tra israeliani e
palestinesi: fine "dell'occupazione israeliana del 1967", ma con una
revisione (favorevole ad Israele) dei
confini del 1949; creazione di una "Palestina che
abbia una continuità territoriale" (tra Cisgiordania e Gaza); certezza che
Israele abbia "confini sicuri, riconoscibili e difendibili";
risoluzione del problema dei profughi (a carico del nuovo Stato palestinese)
con l'aiuto e la compensazione della comunità internazionale. In una
fredda giornata di nebbia che lo ha costretto a rinunciare al previsto volo in
elicottero da Gerusalemme a Ramallah, facendogli toccare da vicino "la
frustrazione dei posti di blocco", il presidente americano ha spinto
decisamente il piede sull'acceleratore della diplomazia nella convinzione di
poter lasciare in eredità ("prima della fine del mio mandato") una
pace vera e reale in una regione che di fatto non l'ha mai vista nei sessanta
anni di vita dello Stato ebraico; lo fa con una chiarezza di linguaggio
destinata a provocare qualche inevitabile malumore in entrambe le parti e
qualche feroce discussione in sede di negoziato, ma con una notevole dote di
realismo nell'invitare sia gli israeliani che i palestinesi a prendere atto che
è giunto il tempo "delle scelte difficili, servono concessioni dolorose da
entrambe le parti"; invitando Olmert ed Abbas all'apertura di negoziati
"seri e immediati": "Un accordo di pace deve e può avvenire
entro la fine di quest'anno". "Si deve mettere fine all'occupazione iniziata
nel 1967". Non è la prima volta che il presidente americano usa un termine
(occupazione) che gli israeliani non amano e che è considerato quasi uno slogan
palestinese, ma è forse la prima volta che viene usato con un accento così
preciso: "Si deve mettere fine all'occupazione del
( da "Repubblica, La" del
11-01-2008)
Cultura La pace in medio oriente sulla via di damasco
MAREK HALTER a pace in Medio Oriente passa per Damasco. So bene che la mia
affermazione stupirà più d'uno e ne irriterà altri. Tuttavia, questa è la mia
convinzione al ritorno dal mio primo viaggio nella Siria di Bachar el-Assad.
Alla partenza sono stato criticato per la mia decisione: la Siria non fa parte
dell'Asse del Male, secondo la definizione del presidente Bush? Dovrebbe essere
del tutto logico che la pace si negozi tra nemici, ma non tutti l'intendono
così. L'unica vera questione è sapere in che momento avviare il dialogo,
questione che ha più a che vedere con la politica che con la morale. La Siria è
matura per la pace. Lo attesta la presenza di un vice-ministro siriano alla conferenza di Annapolis al fianco di Israele e dell'Arabia
Saudita, nemici giurati del suo alleato, l'Iran. Sarebbe un errore continuare a
isolare la Siria, Paese che ha lunghi chilometri di confine in comune con Israele, Turchia, Libano e Giordania: l'Occidente deve convincersene,
nel momento in cui l'America è impantanata in Iraq e procede a fatica nella
ricerca di una pace israelo-palestinese accettabile dalle due
controparti. Una politica di ostracismo accentua la dipendenza della Siria
dall'Iran di Ahmadinejad, condanna il Libano al regime degli Hezbollah, ovvero
?sul lungo periodo ? a scomparire. Infine, conduce inevitabilmente alla guerra
tra Siria e Israele. "Politica e teologia sono le
sole due grandi questioni" diceva, ormai più di un secolo fa, il
britannico William Ewart Gladstone. Ebbene, con la Siria, unico Paese laico del
mondo arabo, è ancora possibile fare politica tenendosi alla larga dalla
teologia. I siriani tengono molto alla loro laicità. Perfino il gran mufti del
Paese, Ahmad Badr Al-Din Hassoun, si professa laico ? il che, secondo lui,
impone di rispettare le altre religioni. Ha invitato il sottoscritto ? un ebreo
polacco e scrittore francese ? a rivolgersi ai fedeli in occasione della
preghiera del venerdì in una delle Moschee più famose del mondo musulmano, la
moschea delle Omayyadi a Damasco. Lo ha fatto, ha spiegato, perché "lei è
un khakham", termine che tanto in arabo quanto in ebraico significa
erudito. In Siria vivono ancora alcune centinaia di ebrei. A Damasco sono
un'ottantina e solo nella capitale si contano venti sinagoghe, benché per
mancanza di fedeli soltanto una sia aperta. Gli ebrei in Siria hanno un'unica
restrizione: non possono aver alcun tipo di rapporto con Israele.
Siria e Israele sono in guerra. Ho fatto visita al
Centro della loro comunità in compagnia dell'Ambasciatore di Francia, Michel
Duclos. Non appena siamo scesi dall'automobile, ci siamo ritrovati circondati.
C'erano tutti gli ebrei di Damasco. Erano tutti presenti, ci aspettavano, ci
hanno applaudito. Mi hanno commosso. Anche il loro presidente, Albert Caméo si
è commosso: sono molto rari i visitatori. Alla testa di un Paese nel quale sul
piano religioso l'80 per cento degli abitanti aderisce al movimento sunnita,
Bachar el-Assad non ha avvenire alcuno nell'Iran sciita. La popolazione siriana
osserva con angoscia le migliaia di pellegrini iraniani ? tra i quali spiccano
le donne coperte da capo a piedi di nero, chiuse nelle loro prigioni ambulanti
? che vengono a raccogliersi in preghiera sul reliquiario nel quale, secondo la
tradizione, è conservata la testa di Hossein, figlio di Ali, primo imam sciita
assassinato a Karbala nel
( da "Unita, L'" del
11-01-2008)
Stai consultando l'edizione del BETLEMME Insieme a
Condoleezza nella chiesa della natività Le telecamere scrutano il suo volto. Commosso.
Come quello di Condoleezza Rice. Sul piano emozionale, due sono le tappe più
significative della visita di George W.Bush in Israele e nei Territori: ieri Betlemme, oggi lo Yad Vashem, il Museo
dell'Olocausto a Gerusalemme Betlemme, ovvero la visita alla chiesa della
Natività. Il Presidente, confidano i suoi più stretti collaboratori, ha
fortemente voluto che questa tappa fosse inserita nel programma del viaggio.
Durante la sua visita alla ciesa della Natività, Bush si è chinato per varcare
la Porta dell'umilità, l'ingresso di pietra alto appena un metro e
( da "Unita, L'" del
11-01-2008)
Stai consultando l'edizione del YAEL DAYANLa figlia del
generale della guerra dei sei giorni: nella tappa israeliana mi ha delusa ma
con i palestinesi ha preso impegni precisi "Il presidente americano questa
volta ha parlato chiaro" di Umberto De Giovannangeli "Più che il
sostegno al processo di pace, George W.Bush ha voluto rafforzare la leadership
traballante sia di Ehud Olmert sia di Abu Mazen. Devo dire che ero rimasta
delusa dalla genericità delle affermazioni fatte dopo gli incontri con Peres e
Olmert, delusione che è stata in parte fugata dalle impegnative considerazioni
fatte dal presidente Bush nel suo incontro con Abu Mazen. Se quelle espresse a
Ramallah sono le reali intenzioni degli Stati Uniti, il processo di pace ha
speranza di svilupparsi". A parlare è Yael Dayan, scrittrice, più volte
deputata laburista, figlia dell'eroe della Guerra dei Sei giorni: il generale
Moshe Dayan. Come valuta i due giorni in Israele e Cisgiordania di George W.Bush? "Deludente nella sua parte
israeliana, incoraggiante in quella palestinese. La mia speranza è che a
prevalere nei fatti sia questa seconda "versione" degli intendimenti
americani". Procediamo con ordine. Perché la delusione? "Ho
avuto l'impressione che la preoccupazione maggiore del presidente Bush sia
stata di dare una mano ad un primo ministro, Olmert, in gravissima difficoltà e
atteso tra poche settimane alla prova del fuoco quando sarà reso pubblico
l'intero rapporto della Commissione Winograd sulla conduzione della guerra in
Libano. Per questo ha evitato di calcare la mano su questioni cruciali per lo
sviluppo del processo di pace, come il blocco della colonizzazione nei
Territori e a Gerusalemme Est. L'altra preoccupazione che ha mosso Bush è stata
quella di rassicurare Israele sul fatto che l'America
non sottovaluta la minaccia iraniana. Diciamo che a Gerusalemme abbiamo visto
all'opera un Bush "difensivo", col freno a mano tirato." Mentre
a Ramallah? "Anche a Ramallah, come a Gerusalemme, Bush ha sostenuto un
leader in difficoltà, ma lo ha fatto alzando il tiro, con affermazioni
impegnative che mi auguro siano supportate dai fatti: penso all'impegno di
giungere ad un accordo di pace entro il 2008. Non meno significativa è stata la
sottolineatura che lo Stato palestinese deve avere una contiguità territoriale:
un messaggio lanciato a Israele per ciò che concerne
il futuro degli insediamenti, non solo quelli illegali. Lo Stato palestinese
non può essere una finzione formale né un assemblaggio di cantoni. Ed è in
questo contesto che il presidente Usa ha giustamente collocato la questione
della sicurezza d'Israele. D'altro canto, Bush e
ancora di più Condoleezza Rice sono consapevoli che la leadership di Abu Mazen
può reggere alla sfida di Hamas solo se avanza il processo di pace e se in
questo procedere la popolazione palestinese vede modificarsi in meglio la
propria condizione di vita. Non voglio certo tessere le lodi di Bush, da lui mi
dividono tantissime cose, ma ho avuto l'impressione che la ferita della guerra
in Iraq lo abbia portato a capire che la democrazia non può essere imposta
dall'esterno con la forza ma deve crescere dall'interno e gli Stati Uniti
possono dare un contributo importante in questo processo, se però puntano sulla
politica e non sulla forza militare, recuperando così quel credito, in
particolare nel mondo arabo, venuto meno con la guerra in Iraq". E Israele come dovrebbe favorire questo processo? "Con il
coraggio del più forte. Che usa questa forza non per imporre il suo punto di
vista ma per promuovere diritti e giustizia. E nel far questo, si dimostra
lungimirante, perché solo riconoscendo i diritti degli altri è possibile
custodire i propri. Giungere ad una pace giusta, e per ciò duratura, con i
palestinesi è il miglior regalo che Israele può fare a
se stesso, perché solo con la pace è possibile conciliare la necessaria
sicurezza con l'indispensabile mantenimento dei caratteri democratici della
nostra esperienza nazionale". Una pace giusta. Quale? "Non c'è niente
da inventare. Le basi esistono: le risoluzioni Onu, la Road Map, l'Iniziativa
di Ginevra.Su ogni questione cruciale - i confini, Gerusalemme, la sicurezza, i
rifugiati, le risorse idriche.- sono stati indicate soluzioni di compromesso
ragionevoli, che il negoziato dovrebbe solo articolare meglio, tenendo conto di
una realtà diversa da quella di trent'anni fa e facendo della reciprocità la
bussola che orienta la trattativa. Il punto non è il contenuto della pace, ma
la volontà politica di raggiungerla. E questo può avvenire solo parlando ai
rispettivi popoli il linguaggio della verità". Il che rimanda alla statura
politica dei leader. "So che molti israeliani rimpiangono i "grandi
vecchi", quelli che incutevano rispetto e trasmettevano sicurezza. Ma di
quella generazione siamo ormai "orfani". Dobbiamo saper elaborare il
lutto e crescere come coscienza collettiva che dalla società influenzi le
scelte vitali della dirigenza politica. La pace significa normalità, e normalità
vuol dire anche fare a meno dell'"uomo della provvidenza"".
( da "Unita, L'" del
11-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Bush a Ramallah: Palestina entro il 2008 Il presidente americano incontra Abu
Mazen alla Muqata, il vecchio quartier generale di Arafat Monito a Israele: "La pace va facilitata". Oggi la visita
al museo dell'Olocausto di Umberto De Giovannangeli LA PRIMA VOLTA di George W.
Bush in Palestina. Tra speranze, promesse e impegni
concreti. E da Ramallah, il presidente Usa assicura i palestinesi: il vostro
non sarà uno "Stato groviera".E fissa anche i tempi per uno storico
accordo di pace: entro il 2008. Bush è accolto a Ramallah, "capitale
" della Cisgiordania, da un picchetto armato davanti al quale sfila al
fianco di Abu Mazen su un lungo tappeto rosso. Se pur ospite della Muqata (l'ex
storico quartier generale del defunto Yasser Arafat), il presidente Usa come
previsto sin dalla vigilia evita accuratamente di volgere lo sguardo verso il
mausoleo che custodisce le spoglie del rais, e che sorge a meno di
( da "Giornale.it, Il" del
11-01-2008)
"Io che intervistai Bin Laden vi dico: prepara un
attentato come quello dell'11 settembre" di Stefano Zurlo - venerdì 11
gennaio 2008, 07:00 Adesso Atwan ride quasi divertito. "A Jalalalabad mi
fecero salire su un pick up, s'inerpicò sulle montagne in direzione Tora Bora.
Mi trovai infine davanti a una caverna, l'ingresso, in legno, ben mimetizzato.
Bin Laden vestiva una sorta di poncho dalle fogge afghane, era molto alto,
all'altezza del personaggio che si stava costruendo. Affascinante, carismatico
Mi disse subito di non registrare perché temeva gli errori, sia quelli
grammaticali che teologici". L'intervista, che si svolge nella sede della
Link University di Roma, si interrompe un attimo: un
giornale arabo chiede ad Atwan un breve commento sulla visita di Bush in Israele. L'autore del libro La storia segreta di Al Qaida - presto
tradotto in italiano da Eurilink, la casa editrice dell'ateneo - sgrana gli
occhi scuri: "Ricordo che dentro quella caverna c'erano tredici o
quattordici persone, tutte armate. A un certo punto si sentirono rumori
assordanti e tutti si precipitarono fuori impugnando fucili o pistole. Anche
Osama prese il kalashnikov che aveva strappato ad un generale russo e corse
fuori. Invece dopo un quarto d'ora erano tutti indietro: Osama si scusò e mi
spiegò che quella era un'esercitazione, poi entrò nel vivo della conversazione:
la sua ossessione era cacciare gli americani dall'Arabia. Mi spiegò tranquillamente
che si preparava alla Guerra santa contro gli Usa e aggiunse che c'era lui
dietro l'attentato in Somalia che era costato la vita a 19 soldati
americani". Sembra incredibile ma quella intervista andò avanti per tre
giorni: "Dormimmo nella stessa stanza, nel retro della grotta. Mangiammo
piatti poverissimi, uova e patate o poco altro. Faceva freddo, avevo paura, ma
intanto lui si preparava a una nuova fuga. "Chissà", mi disse prima
di congedarmi, "potrei andare nello Yemen, dove ci sono montagne che ricordano
quelle di qua"". Dal '98, quando il suo emissario fu arrestato a
Londra, Atwan ha smarrito il gomitolo che lo portava da qualche parte nel mondo
fino a Bin Laden. "Ma sono sicuro: è ancora vivo. Solo che non ha più un
esercito, una gerarchia sotto di lui. Al Qaida ormai è un marchio, ci sono
tante cellule, idealmente legate in un network planetario. Al Qaida farà ancora
parlare di sé". E lui, il profeta invisibile del terrore mondiale?
"Non è più un comandante militare, è una sorta di guru, di grande vecchio,
di leader spirituale. E vive in una grande città del Pakistan, O forse nello
Yemen come un uomo qualunque, anonimo, ma capace di tenere in scacco il
mondo".
( da "Giornale.it, Il" del
11-01-2008)
Bush: "Entro l'anno la pace in Palestina"
di Fiamma Nirenstein - venerdì 11 gennaio 2008, 07:00 da Ramallah "Alla
fine del mio secondo mandato, il trattato di pace sarà pronto". Sorrisi e
applausi nel salone della Mukata risistemata e abbellita, dove tante volte
Arafat e i suoi uomini, ancora tutti là con Abu Mazen molto contento di
accogliere Bush, hanno comunicato le loro risoluzioni ai giornalisti: stavolta,
George Bush a fianco di Abu Mazen lo riscalda e fortifica con la sua presenza,
e promette la pace in tempo per godersela. Ma, al di là delle cerimonie, alla
fine l'atmosfera non è più la stessa. I check point, i confini del '67, le
costruzioni negli insediamenti, la sicurezza di Israele, la lotta contro Hamas. La logica di Bush non combacia con
quella palestinese. La lotta al terrorismo chiede il suo tributo, e Bush glielo
concede. Per esempio, a una domanda sui check point la logica americana di Bush
fa scandalo: "So che gli israeliani vi fermano anche per due ore, e mi
dispiace. Ma il motivo è la sicurezza. A me, non mi hanno fermato. Con
la pace, i check point chiuderanno". Dignitari e giornalisti erano
stupefatti. E Hamas? Bush non ha avuto pietà per Fatah: "Sta a voi e solo
a voi fermarlo, o volete che questa feroce organizzazione che ha distribuito
assassinii agli israeliani e disgrazie al proprio popolo, determini il vostro
destino?". Troppo americano? Forse, ma Bush ha cercato di compensare i
palestinesi con la promessa del suo impegno, che vuol dire denaro e pressione
su Israele, e fede in Abu Mazen: lo ha chiamato più
volte "president" e non "chairman" come nel passato, mentre
eguali, l'una accanto all'altra, si levavano le bandiere americana e palestinese.
Molte le parole di fede nella pace ("ci credo perché vedo la forza dei due
leader"), le promesse a essere là a sostenere lo sforzo ("con l'aiuto
necessario, nell'interesse non solo dei palestinesi e degli israeliani ma di
tutto il mondo"). Bush ha cercato di apparire imparziale, dando un colpo
al cerchio ("l'occupazione deve finire... parliamo di uno Stato con
territori contigui, non di un gruviera svizzero") e uno alla botte
("la sicurezza degli israeliani deve essere assicurata... potete rimanere
inchiodati al passato ma questo non porterà niente di buono ai
palestinesi").
( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)
Bush: "Entro l'anno la pace in Palestina"
di Fiamma Nirenstein - venerdì 11 gennaio 2008, 07:00 Abu Mazen ha ribadito il
suo impegno a raggiungere un accordo, ha detto che la visita riflette il
desiderio di pace dei palestinesi: ha sfidato l'odio di Hamas e di chi ha
sparato. durante la visita. ben 20 missili su Sderot. Alle sette, quando Bush
ha incontrato i figli di Ariel Sharon e poi Bibi Netanyahu, avrebbe dovuto
godere l'aurora sulla Città vecchia. Invece Gerusalemme gli ha mostrato un volto
impenetrabile, candido. Bagnato. Bush così, invece di usare l'elicottero, ha
dovuto viaggiare attraverso i check point di Ramallah, mentre la Sicurezza
impazziva e gli abitanti della cittadina venivano bloccati in casa; ha pagato
la mancata visita alla tomba di Arafat con un grande ritratto del raìs piazzato
proprio dove parlava ai giornalisti; la gente per strada osannava uno strano
sosia del raìs, con keffiah e divisa. Dopo la visita Bush è volato a Betlemme e
ha visitato la chiesa della Mangiatoia. A sera la sorpresa, un discorso di cui
i palestinesi non saranno contenti: i due Stati devono convivere l'uno accanto
all'altro lo Stato palestinese patria dei palestinesi,
quello d'Israele per il popolo ebraico, ovvero: nessun sogno di distruggere Israele; per la suddivisione territoriale, Bush non ha fatto riferimento
ai confini del 1967: ha parlato di accordi che riflettano i cambiamenti
avvenuti sul terreno, ovvero di possibili scambi territoriali. Bush
inoltre non ha più parlato di "diritto al ritorno" ma di
"soluzione per il problema dei profughi" e di "compensazioni
economiche necessarie". Di nuovo, della sicurezza di Israele.
Non ha detto una parola sulla richiesta di fermare ogni costruzione soprattutto
a Gerusalemme est. Andandosene, ha detto in sostanza "fate voi, ma fatelo
entro l'anno". E così comincia una nuova, terribile mischia.
( da "Secolo XIX, Il" del
11-01-2008)
Le opinioni nMilano. Il presidente Bush incontra Abu
Mazen a Ramallah e si dice "fiducioso che uno Stato palestinese possa
nascere presto." Ma nelle terre che incorniciano Geusalemme lo scetticismo
prevale, anche se nessuno vuole chiudere la porta alla speranza. Amina Odeh,
giornalista palestinese esperta in diritti umani, prova a spiegarci la
prospettiva dei suoi "compaesani senza Paese": "Bush jr. non è
il primo presidente americano che viene in visita qui, prima ci sono stati
Clinton e Carter. Quindi considero questo incontro come gli altri. Rimangono
molti problemi da risolvere: il muro, l'acqua come risorsa, Gerusalemme, le
frontiere, i rifugiati e i prigionieri, gli insediamenti dei coloni... Certo, è
benvenuta ogni iniziativa che miri alla creazione di uno Stato palestinese
indipendente, come è peraltro stabilito dalle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Bush da tempo parla della sua visione riguardo alla creazione di uno Stato
palestinese; sentiamo sempre le stesse cose, ma per ora non ci sono stati
progressi. Parlare non è abbastanza , non è come prendere impegni. Poi ha
cercato di evitare il ricordo di Arafat, nostro storico leader: non sarebbe
stato più saggio rispettare i sentimenti popolari?". Per Amina Odeh,
"la cosa più urgente, in tutti i casi, rimane la considerazione di cosa
succede sul territorio: credo perciò che la pace in Medio Oriente debba essere
fatta con il supporto indispensabile dell'Onu". Mentre si aspetta la
costituzione di una Palestina riconosciuta dagli
israeliani "è necessario creare, in tempi stretti, misure di salvaguardia
e di sicurezza per il benessere del popolo. Non ci sono problemi con nessuno
dei coadiuvanti il dialogo, cioè con americani e europei; ma vorrei che Bush
avanzasse proposte concrete, in primis, per risolvere la questione dei coloni.
Sarei fiera di lui se lo facesse, e anche se tenesse sempre aperta la porta tra
le due parti che negoziano". Infatti si è sempre sul filo del rasoio.
"Occorrerà tempo per chiudere le questioni aperte. Serve la massima
attenzione. Ma rimane bene accetta ogni delegazione Usa che possa aiutarci, che
lavori per il ritiro dell'occupazione israeliana, per fermare la violenza e la
privazione dei diritti umani: tematiche che spesso diventano tabù a causa di veti
incrociati. Vorrei sentire che lo Stato palestinese sarà realtà nei prossimi
anni: sarebbe un obiettivo centrato. Forse non succederà durante l'epoca Bush,
che si chiude nel 2008. Magari nel prossimo anno?". Tutto sommato è quello
che si augurano anche alcuni israeliani. Una minoranza, forse. Yaron Frost è"deputy editor" di Yedoth Ahronoth, primo
quotidiano israeliano. Suona l'altra campana. Indipendentemente dalle
risoluzioni Onu e dagli interventi Usa, dice, è a livello di popoli che deve
crescere il sostegno. Troppo spesso israeliani e palestinesi non comunicano e
non ascoltano le ragioni dell'altro. Lo ha spiegato al convegno
internazionale per la Pace in Medio Oriente organizzato dalla Fondazione Peres
e dal Museo Picasso di Malaga. Presenti giornalisti e adolescenti da tutti i
Paesi dell'area del Mediterraneo. Scopo dell'iniziativa: favorire la
cooperazione, la comunicazione e il rispetto. "Niente è più importante del
dialogo tra i popoli. Purtroppo molti israeliani, ad esempio, non si interrogano
sulle condizioni di vita difficili dei palestinesi. Come è vero che per ogni
rivendicazione o lamentela dei palestinesi, si può contrapporre il punto di
vista, anche questo legittimo, del mio popolo. Bisogna andare avanti".
Valerio Venturi 11/01/2008.
( da "Secolo XIX, Il" del
11-01-2008)
RAMALLAH. "La pace entro il 2008 è possibile.
Possiamo farcela". Il presidente americano George W. Bush, dopo una
storica visita a Ramallah all'ex-quartier generale di Yasser Arafat, ha
impresso ieri una brusca accelerata ai negoziati di pace tra israeliani e
palestinesi con una raffica di proposte centrate sui problemi più delicati.
Bush, dopo due giorni di colloqui in Israele e in
Giordania, ha affrontato il problema dei rifugiati proponendo un meccanismo di
compensazione internazionale collegato alla nascita dello Stato palestinese. E
ha preso di petto la questione dei futuri confini di uno Stato palestinese
ammonendo che Israele dovrà porre fine alla
"occupazione iniziata nel 1967" e che in ogni caso la futura Palestina dovrà avere una "continuità
territoriale" evitando la creazione di uno "Stato groviera". Una
formulazione che getta le basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la
Cisgiordania e per una mappa degli insediamenti israeliani che non frammenti la
Palestina. Bush ha parlato anche dello status di
Gerusalemme, notando che si tratta di un problema "molto duro" che
richiederà"concessioni dolorose" da entrambe le parti. Sono proposte
decise ed esplicite quelle avanzate da Bush dopo avere ascoltato ieri a
Gerusalemme i timori israeliani sulla sicurezza e dopo avere visto di persona,
trasferendosi in auto dalla Città Santa alla roccaforte palestinese di
Ramallah, le muraglie, i posti di blocco, le barriere di filo spinato che
rendono ogni giorno la vita difficile ai palestinesi. Bush ha detto di capire
"la frustrazione" dei palestinesi per questa situazione. Ma ha aggiunto di comprendere altrettanto bene la necessità di
sicurezza di Israele. "La sicurezza è fondamentale: nessun accordo di pace e
nessuno Stato palestinese possono nascere dal terrore". Era la prima volta
di Bush in Israele e la prima visita di un presidente Usa in Cisgiordania dal
viaggio di Bill Clinton nel dicembre 2008. La visita è avvenuta tra
straordinarie misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città fantasma, con
gli abitanti diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti. A Bush ha
fatto eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno della pace: la pace nel mondo
comincerà dalla Terra Santa". Ma un grosso ostacolo è il controllo di
Hamas e di Gaza, col lancio di razzi contro il territorio israeliano. Abu Mazen
ha accusato Hamas di avere compiuto un atto di sovversione a Gaza. Gli
israeliani accusano Abu Mazen di non riuscire a controllare l'attività di
Hamas. Il premier Ehud Olmert ha ribadito che "non vi può essere
pace" nella regione "affinché continuerà l'attività dei
terroristi". Bush ha detto ieri che i palestinesi devono scegliere
"tra il caos e la pace". cristiano del riccio (Ansa) 11/01/2008.
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 11-01-2008)
Esteri Pagina 112 Per il presidente degli Stati Uniti il
futuro stato palestinese dovrà avere "contiguità territoriale" Bush a
Ramallah: "Pace entro l'anno" Per il presidente degli Stati Uniti il
futuro stato palestinese dovrà avere "contiguità territoriale" -->
RAMALLAH "La pac e entro il 2008 è possibile. Possiamo farcela". Il
presidente americano George W. Bush, dopo una storica visita a Ramallah
all'ex-quartier generale di Yasser Arafat, ha impresso ieri una brusca
accelerata ai negoziati di pace tra israeliani e palestinesi con una raffica di
proposte centrate sui problemi più delicati. Bush, dopo due giorni di colloqui in Israele e in Giordania, ha
affrontato il problema dei rifugiati proponendo un meccanismo di compensazione
internazionale collegato alla nascita dello stato palestinese. Ed ha preso di
petto la questione dei futuri confini di uno stato palestinese ammonendo che Israele dovrà por fine alla "occupazione iniziata nel 1967" e
che in ogni caso la futura Palestina dovrà avere una "continuità
territoriale" evitando la creazione di uno stato groviera . Una
formulazione che getta le basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la
Cisgiordania e per una mappa degli insediamenti israeliani che non frammenti la
Palestina. Il presidente Usa ha fatto anche un accenno
all'armistizio del 1949, che ha stabilito una linea verde che nessuno può
mettere in discusisone, sottolineando però la necessita di adattare la
situazione alle nuove realtà. Bush ha parlato anche dello status di
Gerusalemme, notando che si tratta di un problema "molto duro" che
richiederà "concessioni dolorose" da entrambe le parti. Sono proposte
decise ed esplicite quelle avanzate ieri da Bush dopo avere ascoltato ieri a
Gerusalemme i timori israeliani sulla sicurezza e dopo avere visto di persona,
trasferendosi in auto dalla Città Santa alla roccaforte palestinese di
Ramallah, le muraglie, i posti di blocco, le barriere di filo spinato che
rendono ogni giorno la vita difficile ai palestinesi. Bush ha detto di capire
"la frustrazione" dei palestinesi per questa situazione. Ma ha
aggiunto di comprendere altrettanto bene la necessità di sicurezza di Israele. La visita a Ramallah è avvenuta tra straordinarie
misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città fantasma, con gli abitanti
diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti, un tentativo di protesta
da parte di 200 cittadini di Ramallah viene bloccato immediatamente dagli
agenti. Bush, che ha parlato sotto un gigantesco ritratto di Arafat, ha
ribadito più volte di "ritenere possibile un accordo di pace entro il
2008". Gli ha fatto eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno della pace:
la pace nel mondo comincerà dalla Terra Santa". Il presidente Usa ha sottolineato
di "non amare le scadenze, ma io ne ho una: mi restano dodici mesi, ma ce
la possiamo fare a raggiungere un accordo di pace entro il mio mandato".
Ma un grosso ostacolo è il controllo di Hamas e di Gaza, col lancio di razzi
contro il territorio israeliano. Abu Mazen ha accusato Hamas di avere compiuto
un atto di sovversione a Gaza. Gli israeliani accusano Abu Mazen di non
riuscire a controllare l'attività di Hamas. Il premier Ehud Olmert ha ribadito
che "non vi può essere pace" nella regione "finché continuerà
l'attività dei terroristi". Bush ha detto che i palestinesi devono
scegliere "tra il caos e la pace", tra "un futuro con due stati
e lo status quo". Ma il presidente ha insistito sulla necessità che
entrambe le parti facciano uno sforzo maggiore per rispettare in pieno gli
impegni già presi con la roadmap. Questo significa il massimo controllo dei
palestinesi sulle attività terroristiche nei territori e lo stop a nuove
colonie.
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 11-01-2008)
Cronaca di Cagliari Pagina 1022 solidarietà "Pane
per Betlemme": i biglietti vincenti della lotteria Solidarietà --> Sono
stati estratti il 6 gennaio i tagliandi vincenti della tradizionale lotteria di
beneficenza "Pane per Betlemme" il cui ricavato sarà devoluto
interamente a un gruppo di padri salesiani che da anni
operano in Palestina a beneficio dei più deboli. I religiosi gestiscono un grande
forno panificatore e ogni giorno forniscono gratuitamente il pane caldo a tutti
i bisognosi che ne fanno richiesta. La lotteria è stata promossa come ogni anno
dalla Circoscrizione numero 4 di Cagliari presieduta da Alessandro Sorgia in
collaborazione con l'associazione sportiva Sigma Calcio, diretta da
Maria Rosaria Cascu. Ecco di seguito le sigle degli otto biglietti vincenti. 1°
premio: n°9758 (abbinato al Televisore Lcd
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 11-01-2008)
Commenti Pagina 316 Gli israeliani sperano nelle
pressioni di Bush per trovare la pace --> George W. Bush ha chiesto ieri
(giovedì) al rais palestinese Abu Mazen, in un incontro a Ramallah, di
scegliere tra Stato o caos. Abu Mazen ha chiesto a Bush di fare pressione per
il congelamento della costruzione di insediamenti in territorio palestinese. È
la prima visita del leader americano da presidente degli Stati Uniti in Israele e Territori. Bush è stato accolto con grandi onori
all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv da tutti i ministri del governo Olmert. I
mass media ricevono il leader dubbiosi: la visita, dicono in molti, arriva
troppo tardi. Il mandato di Bush scade nel gennaio 2009 e nessuno crede a un
accordo entro l'anno. In una conferenza stampa dopo l'incontro tra i due
leader, il premier israeliano ha detto d'essere pronto a iniziare trattative
sui punti chiave del conflitto - rifugiati, Gerusalemme, confini - e di
riconoscere la necessità di penose concessioni da entrambe le parti. Per
Olmert, la visita di Bush ha in questo momento un'importanza quasi vitale. Sei
settimane fa, ad Annapolis, in Maryland, si è seduto a un tavolo con il
presidente palestinese e i mediatori americani, promettendo di tentare la via
del negoziato e mettendosi contro parte del suo stesso governo. Era da sette
anni, dall'era di Camp David, che israeliani e palestinesi avevano chiuso i
dossier delle trattative. Il primo ministro è sostenuto da una coalizione
variegata, parte della quale è fortemente contraria a ogni tipo di accordo, di
ritiro territoriale. Ci sono i religiosi del gruppo Shas, c'è il ministro
Avigdor Liebarman, del partito di destra estrema Israel Beitenu, contrario a
concessioni, c'è il ministro della Difesa laburista, Ehud Barak, che attende la
pubblicazione dei risultati finali del rapporto Winograd sulla guerra in Libano
per decidere se lasciare il governo, attivando la crisi. C'è Benjamin
Netanyahu, all'opposizione, capo della destra storica del Likud, che ha molte
riserve sui programmi stesi ad Annapolis. Aveva stupito e creato perplessità
una prima decisione dell'Amministrazione americana di non mettere nell'agenda
del presidente incontri con leader dell'opposizione durante il suo soggiorno a
Gerusalemme. Soltanto all'ultimo momento è stato chiamato l'ufficio di Bibi
Netanyahu per organizzare il colloquio di giovedì mattina fra i due. Olmert ha
bisogno di questo viaggio presidenziale, delle pressioni americane. Chi,
infatti, tra i suoi pericolosi alleati di coalizione o chi tra i riottosi
membri dell'opposizione potrà con leggerezza mettere in difficoltà il leader
del governo, dopo che il presidente americano, guida del
più grande alleato d'Israele, ha definito Olmert "un amico" e benedetto i suoi
sforzi con i palestinesi? Gli Stati Uniti sono il maggior alleato di sempre del
Paese, il governo che elargisce lauti finanziamenti annui e ogni politico
israeliano ritiene un incubo la possibilità di incrinare, in qualsiasi
posizione si trovi, i rapporti con Washington. Tutti, in Israele, ricordano con terrore i giorni in cui il governo
Shamir, nel 1991, si trovò incastrato ad affrontare l'opposizione di George
Bush padre, allora presidente, e del suo segretario di stato James Baker:
l'Amministrazione si rifiutò allora di garantire 10 miliardi di dollari in
prestiti immobiliari senza ottenere in cambio la garanzia di un congelamento
degli insediamenti. Olmert spera che la visita del presidente Bush sia in grado
di dargli una spinta forte, capace di immobilizzare ogni tendenza contraria,
impossibilitando i suoi avversari a opporsi all'avallo del leader americano
alla politica del governo. Poche settimane fa, il celebre direttore del
quotidiano liberale Haaretz, David Landau, ha partecipato a un incontro privato
tra intellettuali israeliani e segretario di Stato americano. A Condoleezza
Rice, durante una chiacchierata, ha detto che "Israele
dovrebbe essere violentata dagli Stati Uniti per mettere fine al
conflitto", una frase che, prontamente riportata dai mass media locali,
aveva creato un vivace e spesso indignato dibattito. Landau aveva poi
raccontato di augurarsi che Washington imponesse una soluzione al conflitto
grazie al suo peso e alla sua posizione, livellando così le differenze
politiche interne israeliane. ROLLA SCOLARI.
( da "Voce d'Italia, La" del
11-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.116 del
11/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Esteri Continuano ad essere pesanti le condizioni di vita per la
persone in Cisgiordania Visita di Bush a Ramallah Il presidente degli Stati
Uniti scende in campo per incentivare il processo di pace affermando che si
avra' un accordo entro la fine del suo mandato Ramallah, 11 gen.- Nuove
speranze arrivano sul processo di pace in Medio Oriente. A diffonderle lo
stesso presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, in visita ieri mattina a
Ramallah dove, in una conferenza stampa congiunta con il presidente Mahmoud
Abbas, ha affermato che “sarà firmato un trattato di pace entro la scadenza del
mio mandato". Oltre al peso delle parole anche la località scelta per
questo importante annuncio ha stupito molti osservatori visto che l'incontro
fra Bush e Abbas si è tenuto nella Muqata, la storica residenza dove il leader
palestinese Yasser Arafat è rimasto assediato dalle forze militari israeliane
dopo l'inizio della seconda intifada. Bush è apparso desideroso di volersi
mettere completamente in gioco senza risparmiarsi il rischio di intervenire in
uno dei più lunghi e complicati conflitti del mondo. "Sono fiducioso che
con aiuti appropriati lo stato della Palestina
emergerà – ha affermato Bush, sottolineando però che la maggiore responsabilità
rimane ai leader palestinesi ed israeliani i quali dovranno "collaborare
per fare scelte dure". Già mercoledì nel suo colloquio
con il primo ministro israeliano Ehud Olmert, il presidente degli Stati Uniti
aveva parlato in tono fiducioso del processo di pace riguardo il quale si era
detto “molto speranzoso”, ma era sembrato più cauto ed infatti si era detto
consapevole che sarebbe stato un “duro lavoro”. Ieri invece, sebbene non
abbia perso l'ovvio realismo che bisogna mantenere quando si parla di questo
conflitto, Bush è apparso desideroso di sciogliere le riserve per un intervento
più incisivo, da molti ritenuto pericoloso perché, in caso di fallimento delle
trattative, verrebbe seriamente minata la sua credibilità. "Sono fiducioso
che con aiuti appropriati lo stato della Palestina
emergerà” questo uno dei commenti rilasciati dall'inquilino della Casa Bianca
che ha poi aggiunto di essere pronto a fornire direttamente questi “aiuti
appropriati” sotto forma di supporto politico ed economico. Da notare anche che
Bush, da molti criticato per l'eccessivo appoggio ad Israele
in questo conflitto, è apparso a tratti critico nei confronti di Tel Aviv a cui
ha chiesto di fare attenzione durante i suoi raid per colpire i terroristi di
non coinvolgere le forze di sicurezza di Abbas. In riferimento al futuro Stato
palestinese ha affermato che il suo territorio dovrà essere unito, senza
interruzioni di blocchi di sicurezza e senza la presenza di un numero eccessivo
di insediamenti di coloni ebraici perché “uno Stato a groviera non funziona”.
Mahmoud Abbas è ovviamente apparso molto soddisfatto dell'atteggiamento di
Bush, anche perché questo significa maggiore prestigio per lui stesso che è
risaputo non godere della totale fiducia da parte di una larga fetta del popolo
palestinese. Abbas ha sottolineato come l'attuale leader americano sia il primo
presidente ad essersi impegnato completamente per appoggiare la creazione di
uno Stato palestinese e lo ha invitato a fare pressioni su Israele
perché allenti le restrizioni imposte per motivi di sicurezza sulla
Cisgiordania. A questa richiesta, però, Bush ha reagito in modo piuttosto cauto
affermando di capire la frustrazione dei Palestinesi, ma anche quella degli
israeliani che “vogliono sapere se ci sarà protezione dai pochi che uccidono”.
Secondo i più critici verso l'attuale amministrazione statunitense l'impegno di
Bush servirebbe per ricucire lo strappo con il mondo arabo generato dagli
errori dell'intervento in Iraq. Lo stesso annuncio di voler arrivare ad un
accordo di pace entro la fine del suo mandato, come affermato da Bush stesso,
non sarebbe altro che l'ultimo tentativo di guadagnare consensi da parte di un
Presidente che, non potendo più essere rieletto, non ha nulla da perdere. Al di
là di questi incontri ai vertici politici c'è una situazione veramente
preoccupante. Una suora italiana di Ephpheta Paolo VI, organizzazione religiosa
che opera in Palestina aiutando bambini con problemi
comunicativi, che per motivi di riservatezza ha preferito non rivelare il suo
nome ha spiegato a News Italia Press/Voceditalia che “si vive veramente in
condizioni difficili. Sono parecchi anni che mi trovo qui e a dire il vero non
ho notato grandi miglioramenti, anzi direi che c'è stata una sorta di
involuzione. Adesso per esempio è molto difficile muoversi, anche noi suore
siamo praticamente in prigione e questo rende più difficile svolgere il nostro
lavoro. Ovviamente speriamo che le parole di speranza di oggi possano
avverarsi, ma la situazione è molto incerta. Ci sono persone pronte a venirsi
incontro e convivere, ma anche molte che invece rimangono distanti. I lunghi
anni di conflitto hanno lasciato solchi profondi. Non è nemmeno possibile
individuare di chi sia la responsabilità per quanto qui è tutto confuso”.
Agenti italiani formano i poliziotti di Malta dopo l'adesione dell'isola al
Trattato di Schengen La Valletta – E' terminato con successo un programma di
addestramento del personale della polizia di Malta dopo che l'isola ha
completato il suo ingresso nell'area del Trattato di Schengen. Il programma,
reso possibile grazie a 56.000 euro forniti dalla stessa Unione Europea, è
stato condotto dai membri italiani di SIRENE, Division of the International
Police Cooperation Service in Rome. Seminari riguardanti il Sistema Informativo
di Schengen sono stati tenuti per i membri della polizia doganale e
giudiziaria. Grazie a questo programma la Police International Relations Unit è
riuscita a raggiungere gli standard richiesti dalla Convenzione di Schengen,
così che Malta possa farvi parte senza problemi.
( da "Manifesto, Il" del
11-01-2008)
"Terrorista" secondo gli Usa Il sindaco
(cristiano) di Betlemme escluso dal ricevimento "Per quanti di noi
professano la fede cristiana, non c'è posto più sacro" della grotta dove
secondo la tradizione è nato Gesù Cristo. Parole di George Bush che, emozionato
e felice di essere a Betlemme, ha finto di non accorgersi di una assenza di rilievo
nel gruppo di dignitari incaricato di riceverlo davanti alla Chiesa della
Natività: quella del sindaco Victor Batarseh. L'Anp non lo ha invitato, per
evitare un imbarazzo al presidente Usa. Il sindaco cattolico della città
"più sacra ai cristiani" infatti è un membro del Fronte popolare per
la liberazione della Palestina, movimento marxista
incluso nell'elenco infinito di "organizzazioni terroristiche" che
Dipartimento di Stato e Casa Bianca allungano ogni anno. "Non mi hanno
invitato alla cerimonia ufficiale, mi hanno boicottato", ci ha detto
Batarseh che ieri abbiamo raggiunto telefonicamente nel suo ufficio al comune
di Betlemme. Ma come, lei è il primo cittadino della città con il sito
religioso che lo stesso Bush ha definito il più sacro per i cristiani e viene
tenuto a distanza? E' andata proprio così. Nei giorni scorsi non ho ricevuto
alcuna comunicazione ufficiale dell'arrivo di Bush da parte delle autorità
palestinesi competenti. Mi hanno solo avvertito, senza precisare per quale motivo,
di fare il possibile per tenere pulita e in ordine Betlemme. Ho pensato che per
motivi di sicurezza preferivano non riferirsi esplicitamente all'arrivo del
presidente americano nella nostra città ma poi ho capito che non mi avrebbero
invitato alla cerimonia di benvenuto. Come si spiega questa decisione
incredibile dato il suo ruolo a Betlemme? Forse con la sua appartenenza al
Fronte popolare e al fatto che la sua amministrazione è formata anche da
esponenti di Hamas? Non ne ho la certezza ma certo non posso escluderlo. In
ogni caso Betlemme è una città aperta e ospitale. Una città che accoglie tutti,
turisti, pellegrini, fedeli di tutte le fedi, quindi anche George Bush. Cosa
avrebbe voluto dire al presidente americano e non ha avuto la possibilità di farlo?
Gli avrei parlato, allo stesso tempo, da sindaco di Betlemme e da palestinese
qualsiasi. Gli avrei spiegato che governo una città che ama
la pace ma che è strangolata dal muro israeliano, che la mia gente vorrebbe una
esistenza normale ma non ne ha la possibilità. Gli avrei detto che i
palestinesi sono un popolo che aspira soltanto alla libertà e all'indipendenza
e niente di più. Qualcuno però mi ha impedito di farlo. (mi.gio).
( da "Manifesto, Il" del
11-01-2008)
L'ultimo episodio della serie diretta da Corso Salani
arriva in Israele. Le sei storie verranno trasmesse su
Raitre, a "Fuori orario", da lunedì prossimo Cristina Piccino Roma Da
lunedì prossimo (Raitre, 0.50) Fuori orario inizia la programmazione di Confini
d'Europa, serie di sei storie che sono altrettanti luoghi firmata da Corso
Salani. Anche autore di sceneggiatura e montaggio (con Vanessa Picciarelli),
delle riprese e della fotografia. É importante dirlo perché Salani dai suoi
esordi è un regista indipendente economicamente e soprattutto nella
sensibilità, il suo è un cinema di viaggio, eccentrico e molto lontano dai
"format" italiani anche quando racconta storie d'amore e rabbia per
averli perduti questi amori troppo spesso impossibili. In pratica cioè quasi
sempre, dal primo e spiazzante - era l'89 - Voci d'Europa con cui conquistò il
pubblico criticamente poco malleabile di Riminicinema. Nel tempo Salani ha
moltiplicato le sue geografie emozionali e di conoscenza sospese tra la prima
persona e un "io" collettivo, la curiosità per l'altrove, il jet lag
interiore come ricerca sul tempo del cinema, sugli spazi, sulle frontiere
mobili dell'orizzonte, quanto entra nell'obiettivo e cosa resta fuori campo
invadendo però la narrazione... Confini d'Europa è poi una bella scommessa
produttiva: low budget e troupe leggerissima, insieme alla giovane e assai
dinamica Vivo Film in coproduzione c'è Raitre con Fuori orario contrastando
un'idea produttiva del servizio pubblico che è o superbudget (e film formattati
per nulla innovatvi) o niente. Si può invece, anche in Rai, produrre con poco
cose intelligenti, che funzionano su piccolo schermo nella serialità e ugualmente
al cinema. Yotvata, il nome viene dalla Bibbia, la fuga dall'Egitto - gli altri
confini sono Ceuta e Gibilterra, Rio de Onor, Imatra, Tusli, Chisinau - è un
kibbutz. Un'Europa fuori carta dunque, infatti è Israele.
Il film comincia a Tel Aviv, lungo il mare di locali e folla, e continua nel
deserto del Neghev, al confine con la Giordania. É lì che la protagonista,
Eliana, una ragazza come sono i personaggi centrali di tutta la serie, decide
di vivere non tollerando più la metropoli. Attrice di teatro, persona confusa,
monologa su questo suo essere e sulla scoperta che è anche per lei, israeliana,
quel mondo completamente sconosciuto. Stavolta Salani non è in scena, segue
invisibile Eliana, filma i suoi incontri, ascolta le parole delle persone che
vivono nel kibbutz socialista e sionista dove tutti guadagnano lo stesso perché
come spiegano se non fosse così finirebbe il riconoscimento dell'importanza del
lavoro di ognuno. Sul cancello ci sono la bandiera di Israele e quella giordana con due colombe. Il cartello dice: " va
in pace e torna in pace...". Oltre quel cancello, confine fisico e di
Storia, molti palestinesi vennero cacciati dopo il 48 e la Nakhba, quando Israele si è costituito come stato, col divieto eterno per loro e i loro
discendenti di tornare. Oggi chi lavora nel kibbutz si muove protetto
dagli M16, il conflitto è la vita quotidiana, dunque le immagini, anche se
Salani non teorizza, non cerca la facilità dell' immagine "di guerra"
che non racconta né mostra nulla. La sua è una traccia, l'esperienza di un
incontro. Persino quell'accostamento di Israele-confine
d'Europa, che poi è il 48 appunto, è l'olocausto e quel senso di colpa
dell'occidente. Ma è anche la proiezione di sé, il suo riconoscersi,
specchiarsi, che genera molte ambiguità. C'è questo nel film di Salani? Forse.
E c'è dell'altro, l'interrogarsi su una realtà, sul senso di una scelta, sui
paesaggi meravigliosi di durezza. L'incontro non è sempre risposta, anzi non lo
è quasi mai. Le domande Salani le lascia aperte. Per sé e per lo spettatore.
( da "Manifesto, Il" del
11-01-2008)
Il presidente Usa in Cisgiordania: basta occupazione e
pace nel 2008, ma alle condizioni di Israele. "I
profughi? Nello Stato di Palestina". Niente
visita alla tomba di Arafat Michele Giorgio Gerusalemme È rimasto sorpreso chi
pensava che la visita di George Bush in Cisgiordania si sarebbe risolta in un
evento mediatico, condito da frasi scontate del presidente americano, oppure
con storielle divertenti sull'enorme quadro con l'immagine di Yasser Arafat che
è stato appeso alle spalle del presidente statunitense durante la conferenza
stampa con Abu Mazen. Dalla nebbia fitta che ieri avvolgeva la Cisgiordania
sono emerse dichiarazioni di Bush di grande rilievo per il futuro di questa
terra. Altro che facilitare il negoziato senza imporre soluzioni, come aveva
affermato incontrando gli alleati israeliani. Ieri il presidente Usa, al suo
rientro a Gerusalemme dal tour cisgiordano, ha dettato le condizioni per la
creazione dello Stato di Palestina, a cominciare dalla
rinuncia della leadership palestinese al diritto al ritorno dei profughi della
guerra del 1948 ai villaggi e centri abitati di origine, ora in territorio
israeliano, sancito dalla risoluzione 194 dell'Onu, e che per 60 anni è stato
uno dei princìpi che ha unito i palestinesi sparsi nel mondo. I profughi, ha
detto Bush, potranno "tornare" solo nel futuro Stato di Palestina e un "meccanismo internazionale"
provvederà a risarcirli economicamente. L'Anp di Abu Mazen e di Salam Fayyad
seguirà questo percorso? L'interrogativo è scottante. Certo è che ieri non sono
state un segnale incoraggiante le abbondanti manganellate che la polizia
palestinese ha distribuito sulla schiena dei manifestanti, non di Hamas ma
appartenenti ad associazioni e ong laiche, che nel centro di Ramallah
protestavano contro la politica svolta da Bush per sette anni a danno delle
aspirazioni palestinesi. Un accordo di pace richiederà "concessioni
politiche dolorose" sia dall'una sia dall'altra parte ha sottolineato Bush
che ha scelto il giorno della sua "storica" visita in Cisgiordania -
sono state queste le parole di Abu Mazen che ha ringraziato più volte il
presidente Usa - per mettere tutto nero su bianco. Il discorso del presidente
Usa ha presentato elementi di novità, non ultimo l'uso dei termini
"occupazione israeliana" in Cisgiordania. "Adesso è il momento
di compiere scelte difficili", ha incalzato, sostenendo che è possibile
firmare un accordo entro la fine del 2008. Poi a proposito delle frontiere del futuro Stato di Palestina che
dovrebbe sorgere accanto a Israele, l'inquilino della Casa
Bianca ha subito precisato che "qualsiasi accordo richiederà
aggiustamenti" alle linee tracciate per Israele alla fine
degli anni Quaranta. Parole in linea perfetta con quella lettera di
assicurazioni consegnata dallo stesso Bush nel 2004 all'ex premier israeliano
Ariel Sharon, in cui il presidente americano autorizzava Israele ad annettersi ampie porzioni della Cisgiordania
occupata, in particolare le aree con le più ampie concentrazioni di colonie
ebraiche che pure sono state costruite in violazione della legge
internazionale. Uno schiaffo violento ai palestinesi che rivendicano l'intera
Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Bush ha però concesso che i palestinesi
meritano più di quello staterello a macchia di leopardo che si sta disegnando
sul terreno sotto la pressione della colonizzazione israeliana e di un
apartheid mascherato. Subito dopo ha piazzato un'altra stoccata decisiva:
"L'accordo di pace - ha detto - deve istituire una Palestina
patria della popolazione palestinese proprio come Israele
è la patria per la popolazione ebraica". È esattamente ciò che il governo
di Ehud Olmert vuole: il riconoscimento immediato da parte di Abu Mazen di Israele quale Stato ebraico in cambio della nascita dello
Stato di Palestina. Un richiesta posta sul tavolo ad
ogni sessione delle trattative riprese dopo l'incontro di Annapolis,
organizzato da Bush lo scorso novembre, e che i negoziatori palestinesi sino ad
oggi hanno respinto, perché non solo pregiudica la trattativa sul futuro dei
profughi, ma mette a rischio anche la minoranza palestinese in Israele (1,5 milioni, il 20% della popolazione totale). In
serata un portavoce della Casa Bianca, Gordon Johndroe, ha specificato che Bush
si riferiva alla Cisgiordania quando parlava di occupazione israeliana ed
infatti il presidente americano non ha avanzato proposte sul destino di
Gerusalemme facendo intendere che Washington gradisce lo status attuale, ovvero
il controllo israeliano su tutta la città, compresa la zona araba (Est) che i
palestinesi considerano capitale del loro futuro stato. Infine Bush ha offeso
la memoria del popolo palestinese ignorando ieri a Ramallah il mausoleo che
ospita le spoglie di Yasser Arafat. Ha tirato diritto anche se l'edificio si
trova a
( da "Riformista, Il" del
11-01-2008)
Guerra e pace 1 per i due stati, nuovi confini e indennizzi
ai profughi Bush a Ramallah cerca geografie possibili Cade il mito della Linea
Verde. La "vision" di George W. tiene conto delle colonie.
Gerusalemme resta un'incognita Gerusalemme. Mano alle mappe, e al portafogli.
La "visione" di George W. Bush per avere due stati democratici, Israele e Palestina, che vivano
l'uno accanto all'altro in sicurezza, si gioca tutta tra carte geografiche e
studi sugli indennizzi. Le carte geografiche dovranno essere studiate nel
dettaglio, per definire i nuovi confini, che non seguiranno più la linea verde
del 1967 e quella dell'armistizio del 1949. Il portafogli è quello che dovrà
aprire la comunità internazionale per pagare gli indennizzi ai profughi
palestinesi del 1948. Bush jr. lo aveva già detto chiaro nell'aprile del 2005,
quando il suo amico Ariel Sharon - l'uomo che gli aveva mostrato la
Cisgiordania e le colonie israeliane nella visita che l'allora governatore del
Texas aveva compiuto nel 1998 - si recò negli Stati Uniti, proprio per ottenere
la flessibilità anche formale di Washington sulla questione dei confini. Ora,
nelle dichiarazioni di ieri sera alla fine del suo viaggio tra Gerusalemme e
Ramallah, il presidente americano rende la sua "visione" ancor più
precisa: l'accordo si farà "su aggiustamenti concordati reciprocamente
sulla linea dell'armistizio del
( da "Corriere della
Sera" del 11-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano -
data: 2008-01-11 num: - pag: 6 categoria: REDAZIONALE Lo storico Michael Oren,
esperto del rapporto tra Usa e Medio Oriente "Gaza collegata alla
Cisgiordania Così George W. mette in crisi l'alleato" DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Nel libro ricorda il viaggio di Herman Melville,
appassionato lettore delle Mille e una notte, partito per il Medio Oriente
"con uno spazzolino e un solo cambio di vestiti". Per Michael Oren,
delle parole chiave del titolo - Potere, Fede e Fantasia - l'autore di Moby
Dick incarna l'ultima. George W. Bush ha invece esibito il potere e oggi la
fede, quando si fermerà alla Montagna delle Beatitudini, nel
nord di Israele. Niente fantasia o almeno non sorprese, nella prima visita da
presidente. "Il discorso di Bush ha rappresentato il più succinto e
preciso riassunto della sua dottrina per porre termine al conflitto
israelo-palestinese" spiega Oren che ai rapporti tra gli Stati Uniti e il
Medio Oriente ha dedicato 773 pagine. Lo storico non considera l'appello
alla fine dell'occupazione la parte più forte. Ricorda che il presidente aveva
già usato le stesse parole, anche più dure, nel giugno del 2002. "Per Israele gli aspetti più controversi sono il numero di volte
che Bush ha citato la necessità di creare uno Stato palestinese che abbia
contiguità. Con un legame territoriale tra la Cisgiordania e la Striscia di
Gaza, qualunque possano essere i timori dei governi israeliani per la sicurezza
". Oren elenca i punti della dottrina che il leader americano ha ripetuto:
"La Road Map resta centrale e va rilanciata, sostegno all'economia
palestinese, un apprezzamento per il piano di pace arabo e un appello ai Paesi
arabi perché diano il via libera alle relazioni con Israele,
negoziati sulle questioni fondamentali ". Bush ha nominato i confini del
1949. "La linea armistiziale è mobi-le, non è una frontiera sacra come
quella del 1967. Resta l'idea che ci possano essere aggiustamenti o scambi
territoriali". Lo storico è analista allo Shalem Center, un centro
sponzorizzato dalla destra americana. E' convinto che tra i candidati alla
presidenza negli Stati Uniti solo Rudolph Giuliani potrebbe allontanarsi dalla
linea definita dall'amministrazione Bush. "I consiglieri di Giuliani per
il Medio Oriente sono dei falchi, con posizioni intransigenti ". Un futuro
accordo tra israeliani e palestinesi finirà comunque per occupare l'agenda del
prossimo presidente. "Entro la fine di quest'anno, come promesso da Bush,
è forse possibile raggiungere un'intesa. Ma per realizzarla ci vorrà molto più
tempo". Oren non è d'accordo con Ben Caspit, prima firma del quotidiano
Maariv. "Si fa chiamare il leader del mondo libero - scrive Caspit - e al
mondo libero non resta che fare il conto alla rovescia per i giorni che resterà
al potere. Parla di un accordo nei prossimi mesi, non si sa se piangere o
ridere. Sfortunatamente, il capo dell'ala militare di Hamas è molto più
influente di lui da Gaza e Marwan Barghouti dalla prigione". Dice lo
storico: "Se la situazione in Iraq si stabilizza e vengono poste le basi per
la nascita di uno Stato palestinese, il bilancio della sua presidenza sarà
diverso". \\ "Per Israele gli aspetti più
controversi sono i ripetuti appelli a uno Stato palestinese che abbia
contiguità" Davide Frattini.
( da "Corriere della
Sera" del 11-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano -
data: 2008-01-11 num: - pag: 6 categoria: REDAZIONALE Bush: pace e fine
dell'occupazione israeliana Impegno per la nascita di uno Stato palestinese
"sovrano" entro la fine dell'anno Il presidente Usa ha invitato
Olmert e Abu Mazen a rispettare la Road Map e combattere l'estremismo
GERUSALEMME - Dalla Città Santa alla ricerca della pace dopo due millenni di
guerre, George Bush ha ieri enunciato, con un linguaggio incredibilmente
franco, la sua dottrina per la firma di un "trattato " permanente tra
israeliani e palestinesi, non un'intesa di principio, entro la scadenza del suo
mandato nel gennaio del
( da "Corriere della
Sera" del 11-01-2008)
Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Prima Pagina -
data: 2008-01-11 num: - pag: 1 autore: di ENNIO CARETTO categoria: REDAZIONALE
Il presidente: accordo entro l'anno Pace Israele-Palestina La spinta di Bush GERUSALEMME - Dalla Città Santa George Bush ha
ieri enunciato la sua dottrina per la pace in Medio Oriente. Un
"trattato" entro l'anno che deve vedere Israele porre fine
"all'occupazione del '67" della Palestina e
sospendere la costruzione degli insediamenti. Bush ( nella foto AFP
mentre saluta dietro la statua di San Geronimo durante la visita a Betlemme)
pensa alla Palestina come uno Stato "a continuità
territoriale". Il presidente ha appoggiato anche Israele
con due proposte: indennizzi e ampliamento delle frontiere. A PAGINA 6
Frattini.
( da "Libero" del
11-01-2008)
Esteri 11-01-2008 La Carta Islamica aprirà l'Europa ai
fondamentalisti di ANDREA MORIGI BRUXELLES È l'anno europeo del dialogo
interculturale e l'islam non si fa sfuggire l'occasione per aggiungere un
ennesimo strumento nel proprio arsenale della guerra santa. Da otto anni la
Federazione delle organizzazioni islamiche in Europa (Fioe) tentava di far
uscire la Carta dei Musulmani e ieri 400 gruppi, in rappresentanza di oltre
venti Paesi, Russia e Turchia comprese, l'hanno firmata ufficialmente. Fra loro
anche 130 "moschee" italiane aderenti all'Ucoii, rappresentata dal
suo presidente, l'imam di Trento Aboulkheir Bregheiche. LA JIHAD PER DIFESA Sei
paginette in tutto. Dichiarazioni per lo più generiche, ma tra le quali
spiccano i capisaldi della dottrina dei Fratelli Musulmani, raggruppati nel
Vecchio Continente proprio nella Foie. Al paragrafo 10, si parla ormai di
"jihad nella sua accezione di guerra", seppur limitato "come uno
dei mezzi a disposizione di ogni stato sovrano quando ha la necessità di
difendersi contro l'aggressione". La solita ambiguità
che consente di giustificare gli attentati di Hamas e condannare come
terrorismo l'autodife sa di Israele. Anzi, sottolinea la
portavoce de La Destra, Daniela Santanchè, "è pericoloso il riferimento al
jihad perché si accetta l'esistenza di un'interpretazione violenta di questa
parola", così elastica da giustificare "le milizie islamiche
irachene, afgane e palestinesi". Che poi la Carta rigetti "la
violenza e il terrorismo, sostenga cause giuste e affermi i diritti di tutti i
popoli a difendersi con mezzi legittimi", è una formulazione quanto mai
utile a comprendere un'accusa diretta a Israele e gli
Stati Uniti, considerati invasori delle terre islamiche e di cui liberarsi al
più presto. All'Europa, invece, sembra adattarsi il ruolo di Eurabia, sempre
meno Occidente cristiano e sempre più propaggine del Medio Oriente islamico.
Con qualche eccezione, rappresentata ieri dal vicepresidente dell'Euro
parlamento Mario Mauro il quale ha tra le sue deleghe anche quella per i
rapporti con le chiese e le comunità religiose. L'espo nente di Forza Italia e
del Ppe, presente alla firma, richiama "la responsabilità di convivenza
tra ebrei, cristiani e musulmani", gelando il clima in sala. Concede, nel
suo intervento, qualche apertura istituzionale, dichiarando
"incoraggiante" la parte "dedicata alla famiglia come condizione
indispensabile per la felicità degli individui e per una società stabile,
nonché l'apertu ra a una parità tra uomo e donna". Ma, aggiunge "pura
convivenza e tolleranza, a un estremo, vuol significare una mancanza di qualsiasi
comunicazione o reale comprensione". Se si tratti di una scivolosa
strategia di accreditamento dei fondamentalisti o dell'indizio di fratture
interne al mondo islamico, di certo il paragrafo 7, che parla del rapporto
uomo-donna, non convince la reattiva Santanché: "È troppo facile dire che
"l'Islam è per l'egua glianza fra l'uomo e la donna" senza rinnegare
apertamente la poligamia, praticata da tanti musulmani nel vecchio continente
pur essendo illegale". E Mario Borghezio, capogruppo europeo della Lega
Nord, avverte: "L'Europa non cada nella trappola dei fondamentalisti che
perseguono, secondo l'insegnamento del Corano, la solita strategia basata
sull'uso ipocrita e falso delle parole. La loro condanna del terrorismo non si
riferisce certo a quello vero, che tiene sotto la morsa della paura in scacco
tutto l'Occidente, quello di Al Qaeda e dei kamikaze. Nel testo, addirittura,
si richiama alla jihad, non certo in senso spirituale, ma, al contrario, per
essi il terrorismo sono le misure antiterroristiche poste in essere da chi
intende difendersi dal vero terrorismo". Promette battaglia, "a
cominciare dall'Aula di Strasburgo", per "segnalare la pericolosità
di questo falso moderatismo in tutte le sedi istituzionali europee". I
GRUPPI RADICALI Non gli mancheranno gli elementi di valutazione, a partire
dalla presenza, nella Foie, di organizzazioni come il Muslim Council of
Britain, il cui fondatore Kamal Helbawy si proponeva, in un'intervista ad
Al-Sharq alAwsat, "l'instaurazione di un califfato islamico, seguendo il
cammino del profeta". E Maometto non era scrupoloso sull'uso offensivo
della spada. Oppure, in Francia, si potrà scavare nei rapporti che intercorrono
tra l'Union des organisations islamiques françaises e il Comitato di
Beneficenza e di Soccorso ai Palestinesi, fuorilegge in Israele
perché accusato di sostenere di Hamas, ma libero di raccogliere fondi e
distribuire video e volantini antisemiti alle riunioni dell'Uoif. Magari col
pretesto della legittima difesa. O del rifiuto di integrarsi, invocato dalla rivista
della Islamische Gemeinschaft tedesca, Al Islam: "I musulmani dovrebbero
mirare a un accordo tra loro e lo stato tedesco col fine di una giurisdizione
separata per i musulmani". Che contraddice, ma nemmeno tanto, la Carta Ue,
dove si afferma: "I musulmani sono chiamati a integrarsi positivamente
nelle loro rispettive società, sulla base di un armonioso equilibrio tra la
preservazione della loro identità islamica e i doveri di cittadinanza".
VERSIONI PER I FRATELLI Sulla rivista dei Fratelli musulmani tedeschi, Al
Islam, si sostiene che: "A lungo termine, i musulmani non potranno
ritenersi soddisfatti dall'accettazione del diritto familiare, patrimoniale e
processuale tedesco [...] I musulmani dovrebbero mirare a un accordo tra loro e
lo stato tedesco col fine di una giurisdizione separata per i musulmani".
PER GLI INFEDELI Nella Carta dei Musulmani, firmata ieri pubblicamente a
Bruxelles, si spiega che: "I musulmani sono chiamati a integrarsi
positivamente nelle loro rispettive società, sulla base di un armonioso
equilibrio tra la preservazione della loro identità islamica e i doveri di
cittadinanza". Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di
riproduzione delle notizie senza autorizzazione.
( da "Libero" del
11-01-2008)
Esteri 11-01-
( da "Libero" del
11-01-2008)
Esteri 11-01-2008 Bush ai palestinesi: "Voglio la
pace entro l'anno" di GUGLIELMO SASININI Raffiche di mitra sparate in
aria, urla di giubilo, gli uomini dei servizi di sicurezza coperti di polvere
ma con il dito sul grilletto, cinque elicotteri da combattimento costantemente
in volo. Questa ieri mattina la cornice della storica visita a Ramallah di
George Bush. A tratti il presidente degli Stati Uniti e persino apparso
commosso, poi si è dichiarato ottimista sulla possibilità
di una pacifica convivenza tra il futuro Stato palestinese e quello israeliano.
Ma a tu per tu con Abu Mazen, non ha più sorriso e si è rivolto con tono molto
fermo al premier dell'ala palestinese "buona" , premettendo che l'ap
poggio di cui gode da parte degli Stati Uniti, di Israele, della
comunità internazionale, non è incondizionato. Il presidente americano
ha chiesto senza mezzi termini ad Abu Mazen di stroncare tutti i gruppi
terroristici integralisti palestinesi, a partire da Hamas, condizione
essenziale per garantire la sicurezza di Israele e per
convincere Olmert a dare il via allo smantellamento degli insediamenti ebraici
illegali. Pur di arrivare, nei tempi più brevi possibili, a raggiungere questo
obiettivo, Bush ha detto al leader palestinese di antica scuola arafatiana, che
è disposto a chiedere al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di considerare persino
l'ipotesi dell'invio di un contingente di caschi blu per affiancare Abu Mazen
nella sua operazione di ristabilimento della legalità in tutti i Territori.
Qualora il Palazzo di Vetro non fosse in grado di far passare una risoluzione
in questo senso, l'inquilino della Casa Bianca (che la notte scorsa aveva messo
al corrente delle sue intenzioni gli israeliani) ha ventilato ad Abu Mazen la
possibilità di rinforzare il suo operato nella guerra contro Hamas e Jihad
islamica mettendogli a disposizione un contingente di rangers americani. Due
opportunità per Abu Mazen: la possibilità di ottenere immediate risorse
economiche dagli Stati Uniti, e la protezione, inserita in un contesto
antiterrorismo, da parte dell'intelligence americana, di quella israeliana,
nonché dei reparti di élite. L'alternativa è il disastro e la disgregazione dei
Territori nella morsa della guerra civile. Al che Israele
non starebbe alla finestra. Il discorso del presidente di fronte alle
telecamere palestinesi è stato estremamente diretto. "A partire da oggi
voi, grazie al vostro presidente, avete la storica opportunità di realizzare
una pace durevole entro l'anno, così da avvicinarvi alla realizzazione del
sogno che inseguite da sessant'anni: uno Stato autonomo palestinese. Ma il mio
ruolo può essere solo quello di un amico, vi sprono a combattere il terrorismo
che si annida al vostro interno e a considerare lo Stato di Israele
come il vostro miglior vicino di casa. Volete che gli uomini che hanno portato
il caos tra voi siano al governo? È finita l'epoca delle complicità, delle
giustificazioni nei confronti di ogni forma di terrorismo. Pensate al futuro e
a quello dei vostri figli ". A gelare i bollenti spiriti la dichiarazione
dell'ambasciatore israeliano in America, Meridor Sali,che ieri era al seguito
di Bush: "Nel caso la diplomazia fallisca, siamo pronti ad un attacco
militare congiunto contro l'Iran". Intanto la Quinta flotta americana ha
completato il suo dispiegamento nelle acque del Golfo Persico, mentre una
seconda squadra navale d'appoggio sta per raggiungere l'Oceano Indiano. Domani
Bush, dopo gli ultimi incontri in Israele, si sposterà
in Kuwait. Ostenterà tranquuillità, parlerà di pace nella regione, di come
proteggere i giacimenti, ma a telecamere spente squadernerà alcune
"ipotesi alternative" con l'occhio sempre rivolto a Teheran. Salvo
per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza
autorizzazione.
( da "Tempo, Il" del
11-01-2008)
Aldo Baquis TEL AVIV Nell'incontro
privato di mercoledì sera a Gerusalemme il premier israeliano Ehud Olmert ha
consegnato al presidente statunitense George Bush un documento scottante,
frutto dello sforzo dei servizi di spionaggio dello stato ebraico. Home Interni
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Giuliani RIPI I lavori di ... Ecco Ronaldo titolare contro gli Emirati
Conteneva, secondo la stampa odierna, informazioni molto aggiornate sulla
minaccia nucleare iraniana. Lo stesso Olmert lo aveva ricevuto in visione
appena il giorno prima. Per renderlo il più completo possibile l'intelligence
di Israele ha dovuto compiere un notevole sforzo
organizzativo. Diverse vite sono state messe in pericolo, scrive la stampa.
Dietro le quinte, sostiene il rapporto, lontano da occhi indiscreti prosegue lo
sforzo dell'Iran di dotarsi di armi atomiche. "Ogni giorno che passa, il
pericolo cresce" ha detto Olmert a Bush. Nelle ultime settimane i
dirigenti di Israele si erano preparati con diligenza
i compiti e quando Bush è arrivato a Gerusalemme ha sentito un coro di opinioni
allarmate sulla minaccia iraniana: dal capo dello stato Shimon Peres, dal
ministro della difesa Ehud Barak. 11/01/2008.
( da "Tempo, Il" del
11-01-2008)
Benedetto XVI potrebbe fare il suo viaggio in Terra
Santa nel 2009. Lo afferma l'ambasciatore israeliano presso
la Santa Sede, Oded Ben-Hur. "La visita non è prevista per quest'anno - ha
detto il diplomatico a margine di una conferenza sulla libertà religiosa,
svoltasi presso la Pontificia Università della Santa Croce - ma ci sono
sviluppi che potrebbero assicurare la visita il prossimo anno". Home
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beni del ... Stabilimenti, Benedetto: "No alle proroghe" GIULIANOVA
Si terrà la prossima ... Benedetto XVI: "Il calcio sia veicolo di onestà e
solidarietà" "Siamo fiduciosi - ha aggiunto - e facciamo passi
avanti". 11/01/2008.
( da "Tempo, Il" del
11-01-2008)
RAMALLAH "La pace entro il 2008 è possibile.
Possiamo farcela". Il presidente americano George W. Bush, dopo una
storica visita a Ramallah all'ex-quartier generale di Yasser Arafat, ha
impresso ieri una brusca accelerata ai negoziati di pace tra israeliani e
palestinesi con una raffica di proposte centrate sui problemi più delicati.
Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Assassinio Bhutto, spunta un
dossier scottante Studenti in affitto, oro nero Meredith, la verità dai pc
Inchiesta "Why not": 40 indagati Will Smith: "Sostengo Obama per
il cambiamento Usa" La pace incastrata nelle scatole cinesi Bush, dopo due
giorni di colloqui in Israele e in
Giordania, ha affrontato il problema dei rifugiati proponendo un meccanismo di
compensazione internazionale collegato alla nascita dello stato palestinese. Ed
ha preso di petto la questione dei futuri confini di uno stato palestinese
ammonendo che Israele dovrà por fine alla "occupazione iniziata nel 1967" e
che in ogni caso la futura Palestina dovrà avere una "continuità
territoriale" evitando la creazione di uno 'stato grovierà. Una
formulazione che getta le basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la
Cisgiordania e per una mappa degli insediamenti israeliani che non frammenti la
Palestina. Il presidente Usa ha fatto anche un accenno
all'armistizio del 1949, che ha stabilito una "linea verde"è che
nessuno può mettere in discusisone, sottolineando però la necessita di adattare
la situazione alle nuove realtà. Bush ha parlato anche dello status di
Gerusalemme, notando che si tratta di un problema "molto duro" che
richiederà "concessioni dolorose" da entrambe le parti. Sono proposte
decise ed esplicite quelle avanzate da Bush dopo avere ascoltato il giorno
prima a Gerusalemme i timori israeliani sulla sicurezza e dopo avere visto di
persona, trasferendosi in auto dalla Città Santa alla roccaforte palestinese di
Ramallah, le muraglie, i posti di blocco, le barriere di filo spinato che
rendono ogni giorno la vita difficile ai palestinesi. Bush ha detto di capire
"la frustrazione" dei palestinesi per questa situazione. La visita è
avvenuta tra straordinarie misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città
fantasma, con gli abitanti diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti,
Un tentativo di protesta da parte di 200 cittadini di Ramallah viene bloccato
immediatamente dagli agenti. Bush, che ha parlato sotto un gigantesco ritratto
di Arafat, ha ribadito più volte di "ritenere possibile un accordo di pace
entro il 2008". Gli ha fatto eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno
della pace: la pace nel mondo comincerà dalla Terra Santa". Dopo la storica
visita a Ramallah, il presidente Bush ha visitato a Betlemme la Basilica della
Natività, che ospita la grotta della nascità di Gesù. Bush ha detto di essere
stato colpito dal senso di pace del luogo. La Casa Bianca ha già fatto sapere
che Bush ritornerà sicuramente almeno una volta in Medio Oriente prima della
fine del suo mandato. 11/01/2008.
( da "Tempo, Il" del
11-01-2008)
Ilda Boccassini ha lasciato l'Associazione nazionale
magistrati per motivi "maturati" nel tempo. Nel contempo ha deciso di
revocare al Consiglio superiore della magistratura (Csm) anche la propria
domanda per il posto di procuratore aggiunto della Repubblica a Milano, benchè
a questo incarico avesse a breve la pressochè certezza di essere nominata
proprio in base ai medesimi criteri che a metà dicembre hanno determinato il
Csm a preferirle in questa fase il collega Francesco Greco. Home Interni Esteri
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Ahmetovic resta in carcere Bush in Israele, razzi dal
Libano Lazio, buon compleanno pensando a Gabriele Sandri Delle dimissioni
dall'Anm - presentate il 20 dicembre, e già trasmesse a Roma all'Anm nazionale
- ha preso atto l'altro ieri, nella prima riunione del 2008, la giunta della
sezione milanese. Di certo le dimissioni non hanno a che fare con la
prudente posizione dell'Anm sulle vicende De Magistris e Forleo. 10/01/2008.
( da "Quotidiano.net" del
11-01-2008)
Mobile email stampa MEDIO ORIENTE Bush visita il museo
dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi Il presidente americano,
da tre giorni in Israele e nei territori palestinesi,
ha visitato il memoriale di Yad Vashem, dedicato all'Olocausto degli Ebrei in
Europa Home Esteri prec succ Contenuti correlati Il viaggio di Bush in Medio
Oriente Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine
del mio mandato" Il presidente Bush in Israele:
"Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Gerusalemme, 11 gennaio
2008 - Il presidente americano George W. Bush, da tre giorni in Israele e nei territori palestinesi, si è recato questa mattina al
memoriale di Yad Vashem, museo dedicato all'Olocausto degli Ebrei in Europa.
Situato a Gerusalemme, Yad Vashem è stato chiuso temporaneamente al pubblico
per l'occasione: imponenti le misure di sicurezza adottate, con soldati
appostati sui tetti ed elicotteri che sorvolavano l'area durante la visita.
Bush era a accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres, dal primo
ministro Ehud Olmert, dal presidente di Yad Vashem Tommy Lapid e dalle due
responsabili degli esteri Condoleezza Rice e Tzipi Livni. Si tratta della
seconda visita di Bush al memoriale, dove si era recato già nel 1988 quando era
governatore del Texas. La visita al Museo dell'Olocausto Yad Vashem a
Gerusalemme, è stata contrassegnata da una forte commozione per il presidente
americano Bush che si è raccolto davanti al memoriale della Shoah con le
lacrime agli occhi. Bush, in testa una kippah, ha ascoltato commosso una poesia
scritta da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai
nazisti. Il presidente americano, con il capo chino e gli occhi pieni di
lacrime ha deposto una corona presso la fiamma eterna di Yad Vashem e ha
commentato: ''Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da
ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli.
Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità - ha continuato - gli animi
coraggiosi, giovani e vecchi, devo restare saldi davanti a ciò in cui
credono''. La visita di tre giorni del presidente americano in Israele e nei territori palestinesi si conclude oggi con un
una visita ai siti cristiani della Galilea. Prossima tappa il Kuwait. Il
viaggio di Bush in Medio Oriente.
( da "Quotidiano.net" del
11-01-2008)
Mobile email stampa MEDIO ORIENTE Bush visita il museo
dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi Il presidente americano,
da tre giorni in Israele e nei territori palestinesi,
ha visitato il memoriale di Yad Vashem, dedicato all'Olocausto degli Ebrei in
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Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio
mandato" Il presidente Bush in Israele:
"Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Gerusalemme, 11 gennaio
2008 - Il presidente americano George W. Bush, da tre giorni in Israele e nei territori palestinesi, si è recato questa mattina al
memoriale di Yad Vashem, museo dedicato all'Olocausto degli Ebrei in Europa.
Situato a Gerusalemme, Yad Vashem è stato chiuso temporaneamente al pubblico
per l'occasione: imponenti le misure di sicurezza adottate, con soldati
appostati sui tetti ed elicotteri che sorvolavano l'area durante la visita.
Bush era a accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres, dal primo
ministro Ehud Olmert, dal presidente di Yad Vashem Tommy Lapid e dalle due
responsabili degli esteri Condoleezza Rice e Tzipi Livni. Si tratta della
seconda visita di Bush al memoriale, dove si era recato già nel 1988 quando era
governatore del Texas. La visita al Museo dell'Olocausto Yad Vashem a
Gerusalemme, è stata contrassegnata da una forte commozione per il presidente
americano Bush che si è raccolto davanti al memoriale della Shoah con le
lacrime agli occhi. Bush, in testa una kippah, ha ascoltato commosso una poesia
scritta da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai
nazisti. Il presidente americano, con il capo chino e gli occhi pieni di lacrime
ha deposto una corona presso la fiamma eterna di Yad Vashem e ha commentato:
''Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento
che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di
fronte ai tremendi crimini contro l'umanità - ha continuato - gli animi
coraggiosi, giovani e vecchi, devo restare saldi davanti a ciò in cui
credono''. La visita di tre giorni del presidente americano in Israele e nei territori palestinesi si conclude oggi con un
una visita ai siti cristiani della Galilea. Prossima tappa il Kuwait. Il
viaggio di Bush in Medio Oriente.
( da "Giornale.it, Il" del
11-01-2008)
Di Redazione - venerdì 11 gennaio 2008, 11:19
Gerusalemme - La visita al museo dell'olocausto Yad Vashem a Gerusalemme, è
stata contrassegnata da una forte commozione per il presidente americano George
W. Bush che si è raccolto davanti al memoriale della Shoah con le lacrime agli
occhi. Accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres, dal primo ministro
Ehud Olmert, dal presidente di Yad Vashem Tommy Lapid e dalle due responsabili
degli esteri Condoleezza Rice e Tzipi Livni, Bush, in testa una kippah, ha
ascoltato commosso una poesia scritta da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria
nel 1944 e fucilata dai nazisti: "Dio mio, dio mio, che questa canzone non
finisca mai....". Bush, con il capo chino e gli occhi pieni di lacrime ha
deposto una corona presso la fiamma eterna di Yad Vashem e ha commentato:
"Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da
ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna
resistergli. Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità - ha continuato -
gli animi coraggiosi, giovani e vecchi, devo restare saldi davanti a ciò in cui
credono". Bush lascerà oggi Israele per
continuare la sua visita in Medio Oriente e recarsi in vari paesi del Golfo. Le
proposte di Bush per la pace è stata accolta con soddisfazione in Israele e con più cautela tra i palestinesi la "visione"
espressa ieri da Bush sul futuro dello Stato ebraico e dei Territori occupati.
Abbandonando la prudenza mostrata in passato, il presidente Usa ha esortato le
parti a lavorare con intensità per raggiungere un accordo di pace definitivo
entro il
( da "Tempo, Il" del
11-01-2008)
"La pace entro il 2008 è possibile. Possiamo
farcela". Il presidente americano George W. Bush, dopo una storica visita
a Ramallah all'ex-quartier generale di Yasser Arafat [...] Home prec succ
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indagati Will Smith: "Sostengo Obama per il cambiamento Usa" La pace
incastrata nelle scatole cinesi [...] ha impresso ieri una brusca accelerata ai
negoziati di pace tra israeliani e palestinesi con una raffica di proposte centrate
sui problemi più delicati. Bush, dopo due giorni di colloqui
in Israele e in Giordania, ha affrontato il problema dei rifugiati
proponendo un meccanismo di compensazione internazionale collegato alla nascita
dello stato palestinese. Ed ha preso di petto la questione dei futuri confini
di uno stato palestinese ammonendo che Israele dovrà por
fine alla "occupazione iniziata nel 1967" e che in ogni caso la
futura Palestina dovrà avere una "continuità territoriale"
evitando la creazione di uno 'stato grovierà. Una formulazione che getta le
basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la Cisgiordania e per una mappa
degli insediamenti israeliani che non frammenti la Palestina.
Il presidente Usa ha fatto anche un accenno all'armistizio del 1949, che ha stabilito
una "linea verde"è che nessuno può mettere in discusisone,
sottolineando però la necessita di adattare la situazione alle nuove realtà.
Bush ha parlato anche dello status di Gerusalemme, notando che si tratta di un
problema "molto duro" che richiederà "concessioni dolorose"
da entrambe le parti. Sono proposte decise ed esplicite quelle avanzate da Bush
dopo avere ascoltato il giorno prima a Gerusalemme i timori israeliani sulla
sicurezza e dopo avere visto di persona, trasferendosi in auto dalla Città
Santa alla roccaforte palestinese di Ramallah, le muraglie, i posti di blocco,
le barriere di filo spinato che rendono ogni giorno la vita difficile ai
palestinesi. Bush ha detto di capire "la frustrazione" dei
palestinesi per questa situazione. La visita è avvenuta tra straordinarie
misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città fantasma, con gli abitanti
diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti, Un tentativo di protesta
da parte di 200 cittadini di Ramallah viene bloccato immediatamente dagli
agenti. Bush, che ha parlato sotto un gigantesco ritratto di Arafat, ha
ribadito più volte di "ritenere possibile un accordo di pace entro il
2008". Gli ha fatto eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno della pace:
la pace nel mondo comincerà dalla Terra Santa". Dopo la storica visita a
Ramallah, il presidente Bush ha visitato a Betlemme la Basilica della Natività,
che ospita la grotta della nascità di Gesù. Bush ha detto di essere stato
colpito dal senso di pace del luogo. La Casa Bianca ha già fatto sapere che
Bush ritornerà sicuramente almeno una volta in Medio Oriente prima della fine
del suo mandato. 11/01/2008.
( da "Voce d'Italia, La" del
11-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.116 del
11/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Spettacolo Al Teatro Olmetto di Milano Testimonianze la realta' di Israele tra passato e presente Duplice appuntamento al
Teatro Olmetto di Milano che con gli spettacoli "La guerra che non si può
vincere", al suo debutto nazionale dal 14 al 27 gennaio 2008, e
"Affittasi monolocale zona ghetto - memorie" dal 2 al 17 febbraio
2008, ci offre uno spunto di riflessione su un tema più che mai attuale e dal
quale oggi è impossibile restare indifferenti: Israele e i
momenti più significati della sua lunga e travagliata storia.. "La guerra
che non si può vincere" è il titolo del libro con il quale l'israeliano
David Grossman, uno dei più riconosciuti scrittori contemporanei, ha ripercorso
le tappe della guerra più violenta, radicata, tragica e che, ancora nel 21°
secolo, stenta a spegnersi : quella tra arabi ed ebrei, da cui sembra
non esserci più una via d'uscita. Eugenio de' Giorgi trasforma i 34 articoli di
Grossman, intrisi forse ancora di un sogno di pace, in sei quadri teatrali di
grande intensità, accompagnati dalle vicende familiari e dagli affetti di un ragazzo
di Tel Aviv, la cui vita normale diventa, in questi luoghi dove il consueto è
rappresentato dal conflitto, dal sangue o da un attentato, un'esistenza
straordinaria, unica e commovente. In " Venezia 1516, affittasi monolocale
zona ghetto - memorie", Eugenio de Giorgi, unico interprete, diretto da
Massimo Navone, presenta una serie di personaggi della Venezia cinquecentesca
legati alla storia del Ghetto, i quali, un po' rifacendosi all' ilarità delle
maschere della commedia dell'arte, un po' riprendendo i toni dell'humor
yiddish, portano a riflettere su un tema tutt'altro che gioviale: la
segregazione e la persecuzione degli ebrei. "La guerra che non si può
vincere" di David Grossman adattamento e regia di Eugenio de'Giorgi con
Alberto Faregna, Andrea Brancone, Amanda Sanni, Miriam Camerini, Giovanna
Neiger, Mattia Preti dal 14 al 27 gennaio 2008 "Affittasi monolocale zona
ghetto - memorie" di e con Eugenio de Giorgi regia di Massimo Navone dal 2
al 17 febbraio 2008 Teatro Olmetto via Olmetto 8/a, 20123 Milano. Spettacoli:
feriali ore 21.00 - giovedi ore 19.30 - festivi ore 16.00 Teatro Olmetto, via
Olmetto 8/a, 20123 Milano. Ingressi: Euro 16,00 (intero) - Euro 11,00 (giovani
max 26 anni e anziani oltre 60 anni), abbonamento a 6 spettacoli a Euro 42,00 Per
informazioni: Tel. 02 72021503 - biglietteria@teatrolmetto.com Giusy De Donno.
( da "Voce d'Italia, La" del
11-01-2008)
La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.116 del
11/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura
Sport Focus Esteri Ultimo giorno in Israele del
presidente Usa Bush in lacrime visita il museo dell'Olocausto Domani il viaggio
proseguira' alla volta della Galilea e poi in Kuwait Gerusalemme, 11 Gen.-
Ultimo giorno in Israele per il presidente Usa che
domani proseguirà il suo viaggio recandosi in Galilea. La giornata per Bush è
iniziata con una visita al museo dell'Olocausto di Gerusalemme e ad
accompagnarlo c'era il presidente israeliano Shimon Peres, il primo ministro
Ehud Olmert, dal presidente di Yad Vashem Tommy Lapid e i due responsabili
degli esteri Condoleeza Rice e Tzipi Livni. Davanti al memoriale della Shoah il
presidente si è commosso. Ascoltando una poesia scritta da Hanna Senech,
paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai nazisti, ha dichiarato:
"Dio mio, dio mio, che questa canzone non finisca mai....". E con gli
occhi pieni di lacrime ha deposto una corona alla fiamma eterna di Yad Vashem
continuando: “Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da
ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna
resistergli. Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità gli animi
coraggiosi, giovani e vecchi, devono restare saldi davanti a ciò in cui
credono”. Dopo la visita al museo Bush andrà in Galilea poi lascerà Israele verso i vari paesi del Golfo: prima tappa il Kuwait.
Valentina Pellegrino.
GEORGE W. BUSH INCONTRA OLMERT E
dà un avvertimento alL'IRAN. Il presidente (
da "Foglio, Il"
del 10-01-2008)
Bush arriva in Medio Oriente, ma
il suo vero obiettivo è l'Iran ( da "EUROPA.it" del 10-01-2008)
Il presidente Bush in Israele:
"Teheran è una minaccia per la pace mondiale" (
da "Quotidiano.net"
del 10-01-2008)
Anche dai propri acerrimi nemici
ci può essere qualcosa da imparare. E da imitare. Almeno cos&# (
da "Stampa, La"
del 10-01-2008)
Bush: Teheran minaccia il mondo (
da "Stampa, La"
del 10-01-2008)
Eyal Sivan, autore controverso di
Israele ( da "Stampa, La" del 10-01-2008)
Bush a Gerusalemme "Teheran
ci minaccia pronti a reagire" ( da "Stampa, La" del 10-01-2008)
Israeliani e palestinesi, la
letteratura è confronto ( da "Stampa, La" del 10-01-2008)
MEDIO ORIENTE IL PRESIDENTE USA,
IN VISITA PER LA PRIMA VOLTA, INSISTE SUL PROCESSO DI PACE E ATTACCA L'IRAN: UN
PERICOLO PER IL MONDO 0 Bush in Israele e Cisgiordania, ma il negoz (
da "Giorno, Il (Nazionale)"
del 10-01-2008) + 2 altre fonti
La Difesa iraniana: falso il video
del Pentagono ( da "Unita, L'" del 10-01-2008)
Bush in Israele: pace possibile ma
l'Iran resta una minaccia Il presidente Usa a Gerusalemme: tutte le opzioni
sono aperte Sullo stop alle colonie frizioni con Olmert. Oggi da Abu (
da "Unita, L'"
del 10-01-2008)
Per Hamas l'attacco a Teheran
sarebbe atto di guerra ( da "Unita, L'" del 10-01-2008)
Bush punta tutto sulla pace (
da "Unione Sarda, L' (Nazionale)"
del 10-01-2008)
Bush in israele "l'iran
minaccia la pace mondiale" - flores d'arcais e stabile alle pagine 12 e 13 (
da "Repubblica, La"
del 10-01-2008)
Storia e pericoli del nemico rosso
venuto dall'asia - giuseppe barbera ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)
Immondizia in prima pagina "è
una vergogna per l'italia" - goffredo locatelli (
da "Repubblica, La"
del 10-01-2008)
"la pace? nessuna svolta in
vista" - mila rathaus ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)
Il presidente usa parla di pace e
minaccia l'iran ( da "Secolo XIX, Il" del 10-01-2008)
Bush, prima volta in israele
"l'iran è una minaccia per tutti" - alberto flores d'arcais (
da "Repubblica, La"
del 10-01-2008)
Bush ospite sgradito in Medio
Oriente ( da "Secolo XIX, Il" del 10-01-2008)
Ma i razzi di hamas fanno saltare
l'agenda - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)
Non più solo soldati nelle nostre
pellicole ( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)
Iran, Bush mostra i muscoli (
da "Manifesto, Il"
del 10-01-2008)
Fiera del libro, arriva Israele.
Pacifisti pronti al boicottaggio ( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)
Medio oriente 1 comincia il tour
di george w.: la questione palestinese resta a margine (
da "Riformista, Il"
del 10-01-2008)
Medio oriente 3 scenari (
da "Riformista, Il"
del 10-01-2008)
Medio oriente 2 visto dagli states (
da "Riformista, Il"
del 10-01-2008)
Anticipazione l'analisi storica (
da "Riformista, Il"
del 10-01-2008)
Segue eredità (
da "Riformista, Il"
del 10-01-2008)
All'aeroporto Ben Gurion e poi a
Gerusalemme Ovest, sorrisi, apprezzamenti reciproci, strett (
da "Messaggero, Il"
del 10-01-2008)
Bush in Israele: L'Iran,una
minaccia per la pace ( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)
Così mentre il dibattito delle
Primarie sta entrando nella sua fase più accesa, il (
da "Messaggero, Il"
del 10-01-2008)
Barak spinge la Livni verso la
guida del governo ( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)
Bush in Israele: <L'Iran resta
una minaccia> ( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)
Gerusalemme salvata dai giochi dei
bimbi ( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)
GERUSALEMME È giunto in Israele
per cogliere la ( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)
Bush in Israele: <L'Iran non
provochi o risponderemo> pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
Lega araba Il Libano è a rischio
collasso ( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)
Bush in Israele: <L'Iran non
provochi o risponderemo> ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
Premiata l'ambasciatrice dell'Olp
in Ue ( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)
Non scordiamoci che loro vogliono
dominare il mondo pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
Storica visita in Cisgiordania
Bush a colloquio con Abbas ( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)
Senza titolo. pag.1 (
da "Giornale.it, Il"
del 10-01-2008)
Bush in Israele: "Iran, se
provocati risponderemo" di Fiamma Nirenstein - giovedì 10 gennaio 2008,
0... ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
Bush da Abu Mazen: "Israele e
Palestina due Stati per la pace" ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
Bush in Israele: "Iran, se
provocati risponderemo" ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
Bush da Abu Mazen: "Israele e
Palestina due Stati per la pace" di Redazione - giovedì 10 gennaio 200... (
da "Giornale.it, Il"
del 10-01-2008)
La pace incastrata nelle scatole
cinesi ( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)
Prima volta di Bush in Israele,
'Iran minaccia per la pace' ( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)
Iran e Arabia Sudidita, due paesi
in continuo avvicinamento ( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)
Prima volta di Bush in Israele,
"Iran minaccia per la pace" ( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)
Bush a colloquio con Abbas
"Pace entro la fine del mio mandato" (
da "Quotidiano.net"
del 10-01-2008)
Bush a colloquio con Abbas
"Pace entro la fine del mio mandato" (
da "Quotidiano.net"
del 10-01-2008)
Da Gerusalemme il sì alla
moratoria sull'aborto dei pro life israeliani (
da "Foglio, Il"
del 10-01-2008)
Un'asse dei sunniti per la vita di
Israele ( da "Opinione, L'" del 10-01-2008)
Intervista a Gianadrea Gaiani / Il
Libano? Come Napoli, ma più in grande ( da "Opinione, L'" del 10-01-2008)
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA (
da "Mattino, Il (Nazionale)"
del 10-01-2008)
BUSH: L'IRAN MINACCIA LA PACE
MONDIALE ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)
NEL GOLFO UNA PROVOCAZIONE DI
TEHERAN ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)
IL PRIMO VIAGGIO DEL PRESIDENTE IN
ISRAELE: IN AGENDA LA MINACCIA NUCLEARE E GLI OSTACOLI AL PROCESSO DI PACE (
da "Mattino, Il (Nazionale)"
del 10-01-2008)
Bush da Abu Mazen: Israele e
Palestina, presto la pace ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
Bush da Abu Mazen: Israele e
Palestina, presto la pace pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Foglio, Il" del
10-01-2008)
Americano ha iniziato ieri la visita di stato in medio
oriente. "Scorgiamo una nuova opportunità di pace qui in Terrasanta e di
libertà in tutta la regione", ha detto Bush. Durante l'incontro con il premier israeliano, Ehud Olmert, l'inquilino
della Casa Bianca ha definito l'Iran "una minaccia per la pace
mondiale" e ha aggiunto che gli Stati Uniti useranno "tutte le
opzioni aperte" per difendere i propri interessi. Olmert ha ribadito la
serietà di Israele nei
negoziati di pace con l'Autorità nazionale palestinese. Oggi Bush
incontra il leader dell'Anp, Abu Mazen. A lui, ha anticipato, sarà chiesto di
non concedere asilo ai terroristi e di fermare il lancio di razzi sulle città
israeliane (articolo a pagina tre). Cinque persone sono morte durante un raid
israeliano in territorio palestinese partito in risposta al lancio di alcuni
Qassam che hanno colpito lo stato ebraico.
( da "EUROPA.it" del
10-01-2008)
Comincia oggi ufficialmente il viaggio del presidente
statunitense George W. Bush in Medio Oriente, l'ultimo del suo mandato in
questa regione. In nove giorni Bush visiterà undici paesi: in testa alla sua
agenda ci sono il conflitto israelopalestinese e la minaccia iraniana. Fouad
Ajami sul Wall Street Journal titola il suo editoriale sul viaggio 'Bush
d'Arabia'. Secondo Ajami: "Un anno fa un tour del genere sarebbe stato
impensabile, ma ora molte cose sono cambiate e Bush ha potuto chiudere la sua
carriera da presidente con un addio a una parte del mondo che la sua politica
ha molto influenzato. Il presidente americano non andrà in Egitto, Israele, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, negli Emirati
Arabi e nei Territori Palestinesi per rendersi conto della situazione. Dopo
quasi due mandati e due grandi guerre nel mondo arabo sa bene di cosa si
tratta. Bush è qui per riaffermare il suo messaggio politico. È senz'altro il
leader americano la cui politica in questi territori è stata più
coerente". L'editoriale del Christian Science Monitor pone l'accento su
uno dei principali obiettivi del viaggio: la questione iraniana. "Persino
l'altra grande questione al centro della visita", scrive il quotidiano,
"cioè la pace tra Israele e i palestinesi, potrebbe essere compromessa dalla minaccia di
Teheran. Israele avrebbe
infatti chiesto a Washington di neutralizzare l'Iran in cambio della sua
partecipazione al processo di pace. Posto che l'Iran è il vero obiettivo del
viaggio, la tappa di Bush in Arabia Saudita, il 14 gennaio, è critica. I
sauditi, alleati degli Stati Uniti nella regione, hanno rapporti con il
presidente iraniano Ahmadinejad". Un commento, ancora sul Christian
Science Monitor, sottolinea i buoni rapporti che al momento intrattengono
americani e sauditi: "molti saranno stupiti di sapere che oggi l'Arabia
Saudita ha voltato le spalle al terrorismo. La sede dei luoghi più sacri
dell'islam vuole la pace ed è vicina a Washington. È questa la chiave che Bush
deve usare per aprire le porte del Medio Oriente".
( da "Quotidiano.net" del
10-01-2008)
Mobile email stampa IL VIAGGIO IN MEDIO
ORIENTE Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Il
presidente degli Stati Uniti, in Medio Oriente per rilanciare il processo di
pace israelo-palestinese, ha ribadito che "l'Iran non è un paese
trasparente". Olmert: "Incoraggiato e rafforzato dalla posizione americana"
Home Esteri prec succ Gerusalemme, 9 gennaio 2008 -
"L'Iran è una minaccia per la pace mondiale": lo ha affermato il
presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, nel corso della conferenza stampa
congiunta tenuta a Gerusalemme, al termine del suo incontro con il premier
israeliano Ehud Olmert. Per Bush, "l'Iran non è un Paese
trasparente". "Credo che possiamo risolvere questo problema
diplomaticamente", ha aggiunto il presidente Usa, ribadendo la sua
intenzione di mantenere una forte pressione internazionale su Teheran, affinchè
sospenda il suo programma di arricchimento dell'uranio. A sua volta Olmert ha
affermato di sentirsi "incoraggiato e rafforzato" dalla posizione
americana in merito al dossier iraniano. ISRAELE ACCOGLIE BUSH George W. Bush ha
creato "un sentiero per la pace" che Israele
è disposto a percorrere; ma ha anche consigliato di "non sottovalutare la
minaccia dell'Iran", suggerimento sul quale lo Stato ebraico ha tutte le
intenzioni di insistere: le due frasi del presidente israeliano Shimon Peres,
pronunciate nel breve discorso di benvenuto, riassumono il senso della prima
visita di Bush nello Stato ebraico come capo della Casa Bianca. "Siamo
stati attaccati sette volte, ma non abbiamo mai perso l'attaccamento per la
democrazia e per la pace", ha ricordato Peres, sottolineando come
"gli Stati Uniti ci sono stati vicini in pace e in guerra";
"grazie per questo sostegno: ora abbiamo le basi per la pace su tre assi:
politico, economico e di sicurezza, anche per fermare la pazzia dell'Iran".
"Il 2008 deve essere il momento di passaggio per arrivare alla realtà
della pace. I prossimi 12 mesi saranno un momento di pace che non deve essere
disatteso", ha proseguito il Presidente israeliano, che ha concluso:
"Noi siamo pronti per la pace, dovrà essere un momento costruttivo e non
distruttivo, non è mai troppo tardi per la pace". Olmert si è da parte sua
limitato a ricordare "i legami intoccabili fra i due Paesi, basati su
ideali comuni", per poi terminare su una nota personale, notando come nei
due anni dalla sua elezione Bush sia diventato un "amico e
confidente". Con analoga nota personale ha esordito lo stesso Bush,
scusandosi per l'assenza della First Lady Laura: "Sono passati quasi dieci
anni dalla mia ultima visita in Israele e non vedevo
l'ora di tornare. Dobbiamo assolutamente resistere e combattere il
terrorismo", ha proseguito Bush, che ha insistito sulla necessità di dare
"obbiettivi basati sulla giustizia e la liberta, e la giustizia è basata
sui diritti umani": "Non vogliamo solo difenderci, vogliamo una pace
duratura e vediamo nuove opportunità di pace in Terra Santa e per tutta la
regione. Dio vi benedica", ha concluso il Presidente. Ai brevi discorsi
dei protagonisti - più politico quello di Peres, in ossequio al protocollo,
assai più generico quello del premier Olmert - ha fatto da contraltare una
complicata cerimonia di benvenuto: Bush ha impiegato oltre venti minuti a
percorrere il tappeto rosso steso dalla scaletta dell'Air Force One al podio
montato a bordo pista. Accolto da Peres e Olmert in completo blu, camicia
bianca e cravatta azzurro chiaro - i colori della bandiera dello Stato ebraico
- dopo gli inni nazionali e il saluto (in ebraico) del rappresentante delle
forze armate un sorpreso Bush è stato accompagnato - spinto, a tratti, da
Peres, in un curioso balletto del "vada avanti lei" - a passare in
rassegna il nutrito picchetto d'onore israeliano: due file di soldati ai quali
solerti ufficiali hanno personalmente sistemato i baschi come da regolamento,
come rivelato dalle telecamere. Riguadagnato non senza qualche imbarazzo il
tappeto rosso, è stata la volta dei saluti ai rappresentanti delle comunità
religiose e all'intero governo israeliano: particolarmente caloroso l'abbraccio
con il ministro degli Esteri Tzipi Livni; infine la delegazione statunitense,
con in testa il Segretario di Stato Condoleezza Rice alla quale Olmert, per non
essere da meno, ha dedicato baci e abbracci. Finiti i discorsi, Bush è salito
sull'elicottero che lo porterà alla residenza di Peres, dove avranno inizio i
colloqui veri e propri. Quattro le questioni fondamentali che verranno
presentate da Peres, a detta della stampa israeliana: "spingere il dialogo
con i palestinesi; garantire che la sicurezza di Israele
venga garantita in qualsiasi futuro accordo per la Cisgiordania; la minaccia
rappresentata dall'Iran e il rapporto dell'intelligence statunitense secondo il
quale Teheran avrebbe abbandonato i propri programmi nucleari; infine,
un'analisi strategica della situazione della sicurezza in Israele".
Tuttavia, come nota un'analisi del quotidiano israeliano Ha'aretz, "non ci
si deve aspettare alcuna concessione da parte degli Stati Uniti: nessuna di
tali questioni è stata discussa preliminarmente e l'itinerario di Bush - che
chiuderà il suo giro di visite nei Paesi arabi - rende difficili dei gesti nei
confronti di Israele". Questo è il motivo per cui
la visita di oggi "ha lo scopo di creare un'atmosfera positiva e
dimostrare il coinvolgimento della Casa Bianca nel processo di pace":
"Israele dovrà aspettare la prossima visita di
Bush, prevista per il sessantesimo anniversario della nascita dello Stato
ebraico, per ricevere il regalo d'addio del Presidente". Il viaggio di
Bush in Medio Oriente.
( da "Stampa, La" del
10-01-2008)
Anche dai propri acerrimi nemici ci può essere qualcosa
da imparare. E da imitare. Almeno così la devono pensare gli iraniani e a
fornirne la prova è un fotoreporter del quotidiano turco "Sabah", che
per primo ha immortalato il muro, in perfetto stile
israeliano, che gli iraniani stanno costruendo lungo il confine con l'Iraq. Un
muro che si prefigge l'obiettivo di scoraggiare l'ingresso nel Paese dei
militanti curdi del Pjak, organizzazione nata nel 2004 da una costola del Pkk.
Tra montagne innevate, a volte sferzate da venti gelidi e più volte oppresse da
una fitta nebbia, gli iraniani hanno cominciato a mettere le fondamenta
di una barriera in cemento armato alta cinque metri e lunga quattro chilometri.
Il punto di partenza si trova alla frontiera Hajj Umran, lì dove da una parte
del confine sorge la gigantografia di Massud Barzani, governatore curdo del
Nord Iraq, poco tollerato dai turchi che lo accusano di dare esilio ai
miliziani del Pkk, e dall'altra si ergono enormi i ritratti degli ayatollah
Khomeyni, padre fondatore della Repubblica islamica, e di Ali Khamenei, attuale
guida suprema dell'Iran. Quello che il fotografo è riuscito a immortalare,
prima di essere avvistato dalle vedette, è lo scheletro del muro: le colonne
tra le quali verranno inseriti singoli lastroni di cemento armato. "Mentre
mi allontanavo - racconta - un iraniano si è preoccupato di dirmi che il muro
non sarà di ostacolo alle relazioni e alla cooperazione tra Iran e Iraq".
In realtà, gli iracheni hanno già alzato la voce per quanto sta avvenendo.
Inoltre in molti mettono in discussione l'efficacia di questo tipo di barriera
lungo un confine che si estende per ben
( da "Stampa, La" del
10-01-2008)
Gli Swarzy boys dietro McCain
ALL'INTERNO Parla il guru dei sondaggisti Paci Molinari La visita in Israele "Siamo con voi,
ma smantellate le colonie" Lo staff di Terminator ha guidato il successo
dei repubblicani Semprini "Ha trionfato grazie alla rabbia delle donne Era
imprevedibile".
( da "Stampa, La" del
10-01-2008)
Personale Eyal Sivan, autore controverso di Israele Si apre questa sera al Massimo
"Dubitare, disobbidire, combattere. Il cinema di Eyal Sivan",
personale del documentarista israeliano noto per le sue posizioni poco
allineate a quelle del governo. Per una settimana si susseguono sullo schermo
della sala Tre del locale di via Verdi 18 i lavori che l'hanno portato ad esser
considerato uno degli autori di rilievo del panorama del "cinema
del vero" internazionale. S'inizia oggi dalle 20,45 con due opere ambientate
nel più grande campo profughi palestinese costruito dall'Onu:
"Aqabat-Jaber, vita di passaggio" e "Aqabat-Jaber, pace senza
ritorno?". Biglietti a 5 euro. L'autore ha annullato l'incontro con il
pubblico previsto domani sera. \.
( da "Stampa, La" del
10-01-2008)
LA PRIMA TAPPA DEL TOUR DEL PRESIDENTE USA IN MEDIO
ORIENTE Bush a Gerusalemme "Teheran ci minaccia pronti a reagire"
FRANCESCA PACI CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME "Gli uomini vanno a Baghdad,
ma i veri uomini vogliono andare a Teheran". La battuta che circolava nei
corridoi della Casa Bianca alla vigilia della guerra in Iraq sta perdendo un
po' d'appeal tra i neoconservatori a stelle e strisce tentati, in parte, dalla
via diplomatica. L'amministrazione americana segnata dalla disavventura
irachena tentenna, il presidente no: al termine delle sue prime ventiquattr'ore in Israele, George W. Bush chiarisce l'obiettivo centrale del tour
mediorientale che nei prossimi giorni lo porterà in Cisgiordania, Egitto,
Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi: "L'Iran era una minaccia,
è una minaccia, sarà una minaccia alla pace mondiale se la Comunità internazionale
non impedirà che si doti delle conoscenze per costruire armi nucleari".
E poco importa se il luogo, Gerusalemme, suggerirebbe altre priorità. Israele preferisce far fronte comune contro Teheran, prima
di affrontare i nodi della Road Map e i "consigli" dell'amico
americano, risoluto nel chiedere al governo Olmert "sacrifici seri"
come lo smantellamento delle colonie ebraiche in Cisgiordania. L'Iran unisce,
il post-Annapolis meno. Bush difende "la giusta reazione israeliana"
ai razzi Qassam, che ieri hanno nuovamente bersagliato la cittadina di Sderot,
sorta di benvenuto di Hamas al presidente americano. "Una cosa è
provocare, altra è reagire" osserva l'inquilino della Casa Bianca,
scambiandosi sorrisi e pacche sulle spalle con il premier Ehud Olmert. Bush
cita lo scontro sfiorato tra unità da guerra statunitensi e lance dei pasdaran
iraniani, domenica nello stretto di Hormuz: "Se attaccassero le nostre
navi ci sarebbero conseguenze gravi. Consiglio loro di non provarci".
Musica per le orecchie israeliane, disturbate dall'ultimo rapporto
dell'intelligence statunitense sul nucleare iraniano, fermo, secondo gli 007,
al 2003. Secondo il presidente americano "un Paese che ha avuto un
programma segreto può facilmente riavviarlo segretamente". Nel caso
l'avesse fatto, aggiunge il collega Shimon Peres dalla residenza ufficiale di
Beit Hanassi "ripulita" per l'occasione dal busto "scomodo"
dell'ex presidente Katsav, "L'Iran non dovrebbe sottostimare la
determinazione israeliana all'autodifesa". La Road Map resta per ora sullo
sfondo, offuscata anche dalle proteste antiamericane opposte e simmetriche
dell'estrema destra e dell'estrema sinistra israeliana. Ed a Gaza di Hamas.
Stamattina il presidente americano, accompagnato dal Segretario di Stato
Condoleezza Rice, incontrerà la leadership palestinese alla Muqata, la sede del
governo di Ramallah. Con il presidente Abu Mazen e il premier Salam Fayad
parlerà di sicurezza, tappe negoziali, della soluzione due popoli per due
Stati, uno dei quali definito "ebraico" da Bush con disappunto della
controparte. Bush ignora i mugugni, ripete d'essere ottimista: "Il
Medioriente ha l'opportunità unica di combattere i terroristi e diffondere
democrazia e libertà". A partire da Gerusalemme. Gli Stati Uniti sono qui
per questo, chiosa, per agevolare i negoziati: "I palestinesi hanno
l'obbligo di combattere il terrorismo, attivo non solo a Gaza. Ma è necessario
che gli insediamenti in Cisgiordania spariscano". Gli interessati
annuiscono, devono. Convinti o meno che siano.
( da "Stampa, La" del
10-01-2008)
Elzeviro Elena Loewenthal Israeliani e palestinesi, la
letteratura è confronto La Fiera del Libro, con la sua stagionale fioritura per
i viali di Torino e il sole estivo che si sgranchisce le ossa, è ancora
lontana. Malgrado i rigori invernali, la polemica già avvampa, talmente
prevedibile e così precoce da fare allargare le braccia. Siccome
il paese ospite della prossima edizione sarà Israele (che compirà i suoi primi sessant'anni in maggio), il segretario
provinciale dei comunisti italiani ha lanciato una lettera per chiedere di
"associare" all'ospitalità la Palestina. Rimostranza curiosa, questa, in nome di pari opportunità di cui
da sempre la letteratura si fa un bel baffo: per fortuna, la parola
scritta è ancora uno dei pochi luoghi al mondo in cui non vige la legge della
spietata concorrenza, e nemmeno dell'aut/aut commerciale. Un libro non esclude
un altro, anzi. Celebrare una letteratura non significa screditarne un'altra,
anzi. Questa protesta, però, è ottusa anche per altre ragioni. Perché ripropone
per l'ennesima volta l'idea di un Israele "nemico
globale", come se tutto ciò che riguarda questo paese (dalla politica
all'high tech, dalla letteratura agli agrumi) fosse "a scapito"
d'altro: del suo avversario ma anche della giustizia stessa, della morale
comune. In maggio a Torino avremo occasione di ascoltare autori come Oz,
Yehoshua, Grossman, che hanno fatto del confronto con l'"altro" -
nella fattispecie "il nemico" palestinese - la cifra della loro
scrittura. Scrivo per mettermi nei panni degli altri, spiega Grossman in Con gli
occhi del nemico. Praticamente tutta la letteratura israeliana contemporanea è
guidata dall'esigenza profonda di capire il proprio mondo attraverso e malgrado
il conflitto, varcando, almeno sulla pagina, il confine che la guerra
stabilisce. C'è poi un altro aspetto della questione che dà alla protesta del
segretario provinciale una sfumatura paradossale. La letteratura palestinese fa
anch'essa i conti con la dura realtà del conflitto. Lo fa in modo ironico con
scrittrici come Suad Amiry (Sharon e mia suocera), che si rifà ai modelli del
compianto Emil Habibi - vittima della solita ottusità quando fu boicottato dal
suo mondo arabo per aver ricevuto l'Israel Prize, nel 1992. Ma c'è anche una
letteratura palestinese che scrive - magistralmente - in ebraico. Arabi come il
poeta Anton Shammas e il giovane narratore Sayed Kashua, che rispondono alla
complessità del reale con un intreccio di identità, idee, culture, facendo
propria la lingua dell'"altro" per antonomasia. Sfuggendo, loro per
primi, agli sterili dogmatismi invocati dal segretario provinciale.
( da "Giorno, Il
(Nazionale)" del 10-01-2008)
Pubblicato anche in: (Nazione, La (Nazionale)) (Resto del
Carlino, Il (Nazionale))
MEDIO ORIENTE IL PRESIDENTE USA, IN VISITA PER LA PRIMA
VOLTA, INSISTE SUL PROCESSO DI PACE E ATTACCA L'IRAN: "UN PERICOLO PER IL
MONDO" Bush in Israele e Cisgiordania, ma il
negoziato non avanza ? NEW YORK ? ANCHE LA SUA PRIMA visita in Israele, considerata un'"occasione storica" per la
pace, è stata in qualche modo oscurata dalla lunga minaccia iraniana.
"L'Iran rimane un pericolo per il mondo ? ha detto Bush ? e le sue
provocazioni avranno gravi conseguenze se tenterà di attaccare navi americane.
Il consiglio agli iraniani è semplice: non fatelo più". Il presidente è
atterrato a Gerusalemme per continuare il lavoro iniziato ad Annapolis.
Potrebbe segnare il coronamento di uno straordinario obiettivo della sua
politica estera: diffondere la libertà in Medio Oriente, mettere le basi per
due stati ? uno israliano e uno palestinese ? che possono vivere in Pace uno
vicino all'altro. Le parole di Bush non sono fermate dai razzi che gli
Hezbollah libanesi hanno lanciato ieri da oltre confine e nemmeno dai ventimila
manifestanti che a Gaza contestano la sua visita di due giorni chiamandolo
"vampiro". Il premier israeliano Olmert, pronto a negoziare anche le
questioni "questioni difficili", non vuol cedere su un punto:
"Non ci sarà pace e accordo ? dice durante la conferenza stampa ? fino a
quando continuerà il terrorismo a Gaza. Discuterò con Abu Mazen di questa
situazione, ma deve essere chiaro che non saranno tollerati nei loro territori
rifugi per i terroristi". Oggi in Cisgiordania Bush vedrà anche il
presidente palestinese "per avere anche l'altra versione dei fatti".
Nel suo discorso di saluto il presidente Usa ha ripetuto che l'alleanza fra
statunitensi e israeliani dovrà garantire prima di tutto la sicurezza dello
"stato ebraico" e questo ha fatto infuriare Hamas a Gaza, che lo
considera discriminatorio e riduttivo per il ritorno dei rifugiati palestinesi.
BUSH HA PERÒ dichiarato anche che gli "insediamenti illegali"
dovranno sparire dai territori occupati, ma su questo Olmert ha dato solo un
generico assenso senzas impegnarsi in date precise. Al di là delle parole incoraggianti,
il processo di pace sembra incagliato un'altra volta e non è un caso se
soltanto ieri i due gruppi di negoziatori hanno ricevuto il disco verde per
mettere sul tavolo anche le cosidette questioni strategiche, come la
definizione dello status di Gerusalemme, i confini e il ritorno dei rifugiati.
Bush preme perché israeliani e palestinesi riescano a completare lo storico
sforzo nei prossimi dodici mesi ma proprio quando si affrontano le questioni
spinose che hanno provocato la rottura nel 2000 anche tra Arafat e Barak, gli
israeliani sembrano innestare la retromarcia. Non è un caso se Olmert parlando
proprio di Gerusalemme ha tenuto a precisare puntigliosamente: "Anche se
ne parliamo nei negoziati, Gerusalemme non può essere considerata come gli altri
territori palestinesi". Significa che se qualcuno volesse sceglierla come
capitale del nuovo stato e non solo come rispettata "città santa" e
specialmente protetta, potrebbero nascere nuove insormontabili differenze. In
una conversazione bilaterale però, quasi come un virus sottocutaneo, ma
minaccia di Teheran spunta sempre e ossessiona il governo israeliano, non
favorevole ad intraprendere una coraggiosa via diplomatica. Ci si è messo anche
il premio Nobel presidente Peres a gettare benzina sul fuoco, quando nel
dicorso di saluto a Bush ha detto:" Bisogna fermare la pazzia di Teheran,
Hezbollah e Hamas. L'Iran non deve sottovalutare la determinazione di Israele a difendersi". Dopo la visita in Cisgiordania,
Bush si dedicherà ai paesi arabi alleati per rinsaldare amicizie arrugginite
negli ultimi mesi e soprattutto dopo il conflitto in Iraq. Giampaolo Pioli -
-->.
( da "Unita, L'" del
10-01-2008)
Stai consultando l'edizione del LO SCONTRO NEL GOLFO La
Difesa iraniana: falso il video del Pentagono Una "goffa
falsificazione" montata nel vano tentativo di "instillare in altri
Paesi la paura dell'Iran". Così Teheran ha definito ieri un video mostrato
dal Pentagono a sostegno della versione americana di un contatto tra unità
navali Usa e motovedette iraniane avvenuto domenica nello Stretto di Hormuz. Il
ministro della Difesa iraniano, Mostafa Mohammad Najjar, ha ribadito le
affermazioni già fatte nei giorni scorsi da altri dirigenti di Teheran, secondo
le quali ciò che ha avuto luogo è stato un "normale" controllo
effettuato dai Pasdaran (Guardiani della rivoluzione) dell'identità delle navi
americane in transito. Ma gli Stati Uniti hanno riaffermato l'intento
provocatorio e aggressivo degli equipaggi della Repubblica islamica e hanno
lanciato un nuovo duro monito. "Devono fare molta attenzione, perché se
ciò avvenisse di nuovo, dovranno subire le conseguenze di un tale incidente",
ha detto Stephen Hadley, consigliere per la sicurezza del presidente George W.
Bush. Hadley parlava durante il viaggio che portava lui e
Bush in Israele. Il video
mostrato ieri, ha detto Washington, è stato ripreso dal ponte della nave
americana Hopper, che transitava nello Stretto di Hormuz insieme ad altre due
unità, la Port Royal e la Ingraham. Le immagini mostrano alcune imbarcazioni
veloci, che non portano insegne o bandiere, mentre si avvicinano e girano
intorno alle tre unità Usa. Poi una voce che il Pentagono attribuisce ad
un iraniano grida in inglese con un forte accento straniero la minaccia di far
saltare in aria le navi.
( da "Unita, L'" del
10-01-2008)
Stai consultando l'edizione del Bush in Israele: pace possibile ma l'Iran resta una minaccia Il
presidente Usa a Gerusalemme: tutte le opzioni sono aperte Sullo stop alle
colonie frizioni con Olmert. Oggi da Abu Mazen di Umberto De Giovannangeli
DALLA TERRA SANTA lancia un nuovo monito al regime dei Pasdaran: "L'Iran è
una minaccia per la pace mondiale" e "tutte le opzioni sono sul
tavolo" se gli iraniani tenteranno ancora di attaccare navi americane.
Minacce e rassicurazioni. A dispensarle è George W.Bush. Tra imponenti misure
di sicurezza, il presidente Usa ha iniziato ieri la sua attesissima visita in
Medio Oriente. Prima tappa, Israele. "Cerchiamo
una pace duratura. Cerchiamo una nuova opportunità per la pace qui in Terra
Santa e per la libertà attraverso tutta la regione". Così Bush al suo
arrivo all'aeroporto "Ben Gurion" di Tel Aviv pochi minuti prima
delle 11:00 (ore locali, le 10:00 in Italia. È la sua prima
visita di Stato in Israele,
e Bush ricorda di essere stato qui l'ultima volta solo dieci anni fa, quando
era governatore del Texas: "Non vedevo l'ora di tornare", dice,
visibilmente emozionato. Ad accoglierlo il presidente israeliano Shimon Peres e
il premier Ehud Olmert. "Stati Uniti e Israele
sono alleati forti. La fonte di questa forza è la fiducia condivisa nel potere
della libertà umana - scandisce Bush nel suo primo discorso pronunciato appena
sceso dall'Air Force One - . I nostri popoli hanno costruito in circostanze
difficili due grandi democrazie. E l'alleanza tra le nostre due nazioni
contribuisce a garantire la sicurezza di Israele come
Stato ebraico". Per Olmert, il presidente americano è "il più forte
alleato di Israele nella lotta al terrorismo",
uno statista di "straordinario coraggio" e "mio amico personale
e confidente". Un amico che punta sulla pace fra israeliani e palestinesi.
E al tempo stesso, è un amico che farà di tutto per proteggere Israele dalla minaccia iraniana. "L'Iran non deve
sottovalutare la determinazione di Israele a
difendersi", avverte Peres. "L'Iran era, è, e sarà una minaccia alla
pace mondiale se la Comunità internazionale non si unirà per impedire che
quella nazione si doti delle conoscenze per costruire armi nucleari",
sottolinea a sua volta Bush. E, alludendo ai propositi dichiarati del
presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad di cancellare lo Stato ebraico dalla
faccia della terra, Bush aggiunge: "Un Paese che ha fatto le dichiarazioni
come quelle fatte riguardo al nostro amico Israele è
un Paese che deve essere preso sul serio e la Comunità internazionale deve
capire bene quale minaccia rappresenta l'Iran alla pace mondiale". Le parole
del presidente Usa rassicurano Israele. Olmert afferma
"di uscire questa sera incoraggiato e rafforzato dalla posizione espressa
dal presidente George W. Bush" a proposito dell'Iran. Questo Paese,
rimarca Olmert in una conferenza stampa al termine del suo incontro con Bush a
Gerusalemme, è stato al centro di un "colloquio approfondito" con il
presidente americano nel corso del quale i due leader si sono scambiati le
informazioni in loro possesso sul programma nucleare e hanno discusso "la
questione in tutti i suoi aspetti". Rispondendo durante la conferenza
stampa ad una domanda sull'incidente di domenica tra unità navali dei due Paesi
nel pressi dello Stretto di Hormuz, Bush taglia corto: "Il mio consiglio
agli iraniani è semplice: non fatelo più". E avverte: "Tutte le
opzioni sono sul tavolo per difendere i nostri interessi". Ma in Terra
Santa, George W.Bush vuol essere portatore di speranza. La speranza della pace
tra israeliani e palestinesi. Una pace che "potrebbe avverarsi entro la
fine del mio mandato", e cioè entro il 2008, dice il presidente Usa. Ed è
per questo pronto a fare pressioni sulle parti affinchè si arrivi a questo
storico risultato. "Se ci sarà bisogno di una piccola pressione,
provvederò". A Bush non sfuggono i tanti ostacoli che intasano il cammino
negoziale. Tra questi, gli insediamenti. In conferenza stampa, il capo della
Casa Bianca afferma senza mezzi termini che Israele
deve rimuovere gli insediamenti illegali costruiti in Cisgiordania:
"Devono essere rimossi... ne parliamo ormai da quattro anni". Ma sul
futuro delle colonie, restano differenze di posizione tra Usa e Israele. Lo status di Gerusalemme per quanto riguarda gli
insediamenti è diverso da quello dei Territori, e questa posizione israeliana è
stata espressa con chiarezza, dice Olmert parlando con i giornalisti al termine
del suo incontro con Bush. L'altro ieri tuttavia la segretaria di Stato
americana Condoleezza Rice in un'intervista concessa alla stampa israeliana, si
era mostrata di tutt'altro parere: "Gli Stati Uniti hanno chiarito da
tempo - aveva affermato - che fra gli insediamenti nei Territori e quelli a
Gerusalemme est, non esiste alcuna differenza. In particolare noi ci siamo
espressi contro Har Roma sin dall'inizio". Quando Olmert ieri sera ha
invece sostenuto il contrario, il presidente americano che era al suo fianco ha
reagito solo con un lieve sorriso. In sala ad ascoltare c'era anche Condoleezza
Rice che si è mostrata imperturbabile. Oggi altra tappa cruciale del viaggio
mediorientale del presidente Usa: la prima volta di Bush in Cisgiordania, dove
incontrerà il presidente palestinese Abu Mazen, "un leader seriamente
intenzionato a promuovere la pace". "La mia prima domanda sarà: cosa
intendi fare per impedire il lancio di missili contro Israele?",
anticipa Bush. E poi "gli chiederò cosa possiamo fare per aiutarlo" a
fermare i terroristi. Il territorio palestinese, sottolinea il presidente Usa,
"non può essere un rifugio sicuro per i terroristi e per quanti vogliono
distruggere Israele".
( da "Unita, L'" del
10-01-2008)
Stai consultando l'edizione del MAHMOUD AL ZAHARL'ex ministro
degli Esteri del movimento integralista a Gaza: per noi il presidente Usa è
ospite sgradito "Per Hamas l'attacco a Teheran sarebbe atto di
guerra" di Umberto De Giovannangeli Mentre Ramallah si appresta a ricevere
la visita di George W.Bush, Gaza manifesta la sua ostilità verso il presidente
americano. Gaza, ovvero Hamas: assieme all'Iran, il convitato di pietra della
missione mediorientale del capo della Casa Bianca. Mahmoud al Zahar, 58 anni,
già ministro degli Esteri del governo Hamas, è l'incontestato leader dell'ala
oltranzista del movimento islamico palestinese: è lui, oggi,
l'"uomo-forte" di Gaza. "Tutti coloro che ripongono molte
speranze nella visita di Bush - afferma al Zahar - resteranno delusi".
Cosa rappresenta per Hamas George W.Bush che oggi incontrerà a Ramallah il
presidente dell'Anp Abu Mazen? "Rappresenta un ospite sgradito. La sua
visita serve solo a garantire il sostegno militare, politico e morale
all'occupazione e a Olmert, e a rafforzare le spaccature tra palestinesi. Dopo
la sua visita, Israele si sentirà ancor più
legittimato a proseguire con l'assedio a Gaza,con le uccisioni, gli arresti
arbitrari, l'occupazione" . Ma il presidente americano ha ribadito il suo
impegno per la realizzazione di una pace fondata su due Stati. "E quale
sarebbe per il signor Bush lo "Stato" di Palestina?
A deciderne le dimensioni, i caratteri, l'autonomia è sempre e solo Israele. Il signor Bush è pronto a chiamare
"Stato" i bantustan realizzati dagli israeliani: frammenti di
territorio circondati dalle colonie. Noi diciamo al signor Bush: non è questa
la Palestina per la quale ci battiamo. E se volesse
davvero essere credibile agli occhi dei palestinesi, allora si adoperi per
fermare i massacri perpetrati dagli israeliani. Ma lui non lo farà mai". Gli
Stati Uniti sostengono l'Anp e considerano Hamas una organizzazione
terroristica. "Questa è la loro concezione della democrazia! Avevano
chiesto libere elezioni nei Territori, queste elezioni si sono tenute e hanno
visto il successo di Hamas. Ma quel responso non poteva essere accettato da chi
si illudeva che il popolo palestinese avrebbe sostenuto le forze della
corruzione e del cedimento a Israele. Contro un
governo legittimo, contro un parlamento eletto dal popolo, è stato praticato
l'embargo e sono state applicate punizioni collettive che durano da due anni.
Per la prima volta nella storia a essere sanzionato è un popolo sotto
occupazione. Ma hanno fatto male i loro calcoli: Hamas ha mantenuto e
rafforzato i suoi legami con il popolo palestinese del quale è parte
fondamentale. Ma questo al signor Bush non interessa: per lui chiunque si
oppone all'espansionismo sionista e lotta per i propri diritti è da considerare
un criminale, e qualunque organizzazione pratichi il diritto di resistenza è un
gruppo terrorista. Per Bush gli unici arabi accettabili sono quelli che
sostengono gli interessi americani, e poco importa se questi personaggi sono
screditati agli occhi dei loro popoli". Cosa significherebbe per Hamas un
attacco americano all'Iran? "Sarebbe un atto di guerra non solo contro uno
Stato sovrano ma contro tutti quei movimenti e quei popoli che in Medio Oriente
si battono per veder riconosciuti i propri diritti e per contrastare la
politica dei due pesi e due misure imposta dagli stati Uniti nella regione. Un
attacco all'Iran rafforzerebbe il dominio americano in Medio Oriente e verrebbe
visto da Israele come un via libera per regolare i
conti con il popolo palestinese e le forze della resistenza. L'Iran ha sempre
sostenuto con generosità la causa palestinese. Attaccare l'Iran è anche un modo
per colpire la resistenza palestinese, per indebolire il fronte che si oppone
alle politiche espansioniste di Stati Uniti e Israele.
Nessuno può chiedere ad Hamas di chiudere gli occhi di fronte a un attacco
militare all'Iran. Un attacco all'Iran finirebbe per ottenere il risultato
opposto a quello teorizzato dai falchi del Pentagono: invece che un Medio
Oriente "pacificato", gli americani e i loro alleati si troverebbero
un Medio Oriente infuocato". Bush intende rafforzare le speranze emerse
dalla Conferenza di Annapolis. "E quali sarebbero queste speranze? E chi
le nutrirebbe? Quella di Annapolis è stata una pseudoconferenza di pace imposta
da Bush per sostenere Olmert dopo la disfatta israeliana in Libano. Hamas non
si unirà mai al coro di quanti intendono avallare la pax americana declamata ad
Annapolis e ribadita oggi dal signor Bush, o spacciare per pace le pseudo-concessioni di Israele. Ma non è vero che Hamas pensa solo alle armi...". E a
cos'altro? "In passato abbiamo anche avanzato la proposta di una
"hudna" (tregua, n.d.r.) con Israele, a patto che Israele ponesse fine agli assassini mirati, liberasse i prigionieri
palestinesi detenuti nelle sue carceri e ripiegasse sui confini del 1967.
La risposta è l'assedio di Gaza, sono le punizioni collettive, le uccisioni di
dirigenti e militanti dell'Intifada, la confisca delle terre palestinesi, la
costruzione del Muro dell'apartheid in Cisgiordania. In queste condizioni,
parlare di pace non ha senso".
( da "Unione Sarda, L'
(Nazionale)" del 10-01-2008)
Esteri Pagina 109 Medioriente. Il presidente incontra Olmert.
Hamas spara razzi Bush punta tutto sulla pace Medioriente.. Il presidente
incontra Olmert. Hamas spara razzi Intanto minaccia l'Iran: non scherzate con
fuoco --> Intanto minaccia l'Iran: non scherzate con
fuoco GERUSALEMME È giunto in Israele per cogliere la "opportunità storica" di un accordo di
pace tra israeliani e palestinesi. Ma il presidente americano George W. Bush,
nel primo giorno del suo ambizioso viaggio in Medio Oriente, si ritrova ad
agitare la sciabola nei confronti dell'Iran, ammonendo Teheran, dopo
l'incidente di domenica nello Stretto di Hormuz, che vi saranno
"serie conseguenze" in caso di nuove provocazioni contro le navi Usa
. "L'Iran continua ad essere una minaccia per la pace mondiale - afferma
Bush -. Il mio consiglio a Teheran è di non continuare in questi attacchi
provocatori: non fatelo più". La gamma delle "serie conseguenze"
non è precisata ma Bush sottolinea che "tutte le opzioni" sono sul
tavolo. Poco prima la Casa Bianca aveva già ammonito l'Iran "a non
scherzare col fuoco". Lo scopo principale della visita, la prima di Bush
in Israele da presidente, rischia quasi di passare in
secondo piano. Anche se l'inquilino della Casa Bianca ha spiegato che esiste
una "opportunità storica" per arrivare ad un accordo di pace e per
"diffondere la libertà in Medio Oriente". Al suo fianco il premier
Olmert ribadisce che Israele "non deve perdere
questa opportunità". Ma esistono dei limiti ben precisi, mette in risalto
Olmert: non possono essere tollerati lanci di razzi da parte di Hamas, dalla
striscia di Gaza, contro israeliani innocenti. "Non ci sarà pace finché il
terrorismo non cesserà - ha detto Olmert -. Finché continuerà il terrorismo a
Gaza sarà difficile giungere ad un accordo con i palestinesi". Razzi sono
partiti in serie anche ieri dai territori di Hamas. La reazione israeliana è
stata immediata con una rappresaglia militare che ha provocato la morte di tre
persone, fra cui due civili. Oggi il presidente Bush si reca in Cisgiordania
per incontrare a Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen. "Discuterò
con lui il problema di questi attacchi terroristici", ha detto Bush.
( da "Repubblica, La" del
10-01-2008)
I razzi di Hamas fanno saltare l'agenda
del presidente Usa Bush in Israele "L'Iran minaccia la pace mondiale" FLORES D'ARCAIS E
STABILE ALLE PAGINE 12 E 13.
( da "Repubblica, La" del
10-01-2008)
Pagina X - Palermo Storia e pericoli del nemico rosso
venuto dall'Asia Il lungo viaggio del punteruolo fino alla Sicilia dove sta
sterminando le piante GIUSEPPE BARBERA (segue dalla prima di cronaca) Fino a
non molto tempo fa la fonte proteica di questo punteruolo che sta sterminando
le palme di Palermo, eliminava, deliziosa alternativa, anche gli indubbi
incomodi del cannibalismo. Quando poi, come in Thailandia, in Malesia, nelle
Filippine e in Indonesia ha preso spazio la coltura industriale della palma da
olio, della palma da cocco o della palma del sago (che fornisce una farina
ricca di amido simile alla manioca) si è imposta un'altra fondante legge
ecologica. Quella che insegna che dove c'è ricchezza di specie e alta
biodiversità c'è complessità e quindi stabilità, ma dove al contrario si impone
la monocoltura, i cicli vitali della materia e dell'energia si interrompono,
saltano gli equilibri tra le popolazioni di piante e di animali, gli ecosistemi
si indeboliscono. Gli organismi più forti, i più adatti alle nuove circostanze,
prendono il sopravvento. Ed ecco un nuovo pericolo per la delicata coesistenza
dell'uomo e del pianeta che lo ospita: gli spazi delle monocolture tropicali,
con il loro carico di pesticidi che uccide i naturali nemici dell'insetto
letale e di erbicidi che seccano le erbe e i cespugli dove questi avrebbero
potuto rifugiarsi, divengono stretti. Rosso per il colore ferruginoso e come
ogni pericolo di cui si ha vero timore non conosce confini, il punteruolo li
supera facilmente e nei nuovi ambienti, non frenato da nemici naturali, si
diffonde a grande velocità. "Ecco s'avanza uno strano soldato/ vien
dall'Oriente, non monta destrier/ è la guardia rossa che marcia alla
riscossa?.". Le paure del mondo occidentale assumono oggi, anche con il
Punteruolo che uccide le palme della nostra città, il volto degli squilibri ecologici,
dei disastri annunciati, di nature aliene provenienti da ambienti sconvolti dal
modello di vita egoista che ha ovunque esportato. Il Punteruolo, poderoso e
aggressivo, temibile già dall'aspetto per il lungo rostro che usa per scavare,
membro della più numerosa famiglia del regno animale (i Curculionidi, 400.000
specie fino adesso individuate), avanza verso occidente, nei climi temperati,
approfittando della resistenza al freddo che i cambiamenti climatici rendono
comunque meno rigoroso e selettivo. Nelle regioni aride non avrebbe trovato le
palme tropicali ma, non meno appetibili, le diffusissime Phoenix. La palma da
datteri innanzitutto, la pianta che ha accompagnato la storia dell'uomo fin dai
tempi più antichi, e la palma delle Canarie che nelle boscaglie delle isole
atlantiche dopo le glaciazioni si è differenziata dalla sua parente africana
per una maggiore adattabilità al clima più fresco e ai suoli più umidi,
rinunciando però alla capacità di produrre frutti squisiti e nutrienti e
restando così confinata al rango, importante ma comunque inferiore, delle palme
esclusivamente ornamentali. Presto qualificato come una pest, nei primi anni
Ottanta è presente nelle regioni del Golfo, nel 1987 arriva in Arabia, nel 1992
è in Iran e poi in Egitto, in Palestina e in Israele.
L'anno dopo è in Spagna e nel
( da "Repubblica, La" del
10-01-2008)
Pagina VI - Napoli Immondizia in prima pagina "è
una vergogna per l'Italia" Dagli arabi ai cinesi, Napoli è un disastro
mondiale GOFFREDO LOCATELLI Da Pechino a New York, da Tel Aviv a Montevideo, le
brutte immagini di Napoli e dintorni sono finite sulle prime pagine dei
principali giornali del pianeta. Lo sconquasso dell'immondizia ha vanificato in
pochi giorni i giudizi positivi sulla regione registrati nel secondo semestre
del 2007. Dal giugno scorso un boom di articoli positivi aveva determinato una
decisa inversione di tendenza rispetto ai primi mesi dell'anno. Al punto da far
balzare la Campania al terzo posto (dopo Lazio e Veneto) nella classifica
italiana delle mete più citate dalle principali testate internazionali. Era
stata la stampa tedesca la più favorevole, seguita da quella americana,
inglese, spagnola, francese e australiana. Ma la "Frankfuerter Allgemeine
Zeitung", che a giugno scriveva "I paesaggi campani sono le migliori
cartoline che esistano...", oggi invece titola: "Napoli puzza fino al
cielo". E Dirk Schumer in un lungo reportage spiega: "Il caos da
guerriglia urbana che Napoli sta offrendo al mondo mostra in scala ridotta un
problema globale: tutti producono rifiuti ma nessuno vuole saperne del loro
smaltimento. A questo dilemma si trova nel mondo civilizzato sempre un
compromesso: con le discariche, gli inceneritori, la separazione e il
riciclaggio dei rifiuti. Ma a Napoli non è così. Qui si ha da fare con una
posizione speciale: qui l'azione pubblica è impossibile senza un compromesso
con la criminalità organizzata. Questa constatazione è più tragica dello stesso
ventre di Napoli, eppure è una città che ha dato al paese a più riprese dei
grandi personaggi: il presidente Napolitano, il capitano della Nazionale di
calcio Cannavaro, il teorico della democrazia Benedetto Croce, il maestro
Riccardo Muti, il grande attore Tony Servillo, o il filosofo della comicità
Totò. Ma i napoletani, che simpatizzano e dimostrano per la camorra, che
bruciano l'immondizia e ritengono lo stato un nemico da saccheggiare,
appartengono indissociabilmente alla nostra Europa...". In Finlandia i
media locali hanno dato spazio alla crisi dell'immondizia di Napoli, ieri il
maggior quotidiano finlandese, "Helsingin Sanomat", è uscito con un
editoriale intitolato "Il caos dei rifiuti di Napoli è una vergogna per
l'Italia". "Il colpevole maggiore è l'inerzia sia
dell'amministrazione comunale che dei politici napoletani". Dal Belgio
Alberto Bertoni, consigliere diplomatico dell'Ambasciata italiana a Bruxelles
aggiunge: "Oggi tutti e tre i quotidiani che acquistiamo - "Le Soir",
"La Libre Belgique" e l'"Echo" - hanno dedicato un articolo
alla questione dei rifiuti in Campania". In Francia l'autorevole "Le
Monde" ricorda che nove mesi fa l'Italia era stata già invitata a
"mettere rapidamente ordine nella gestione dei suoi rifiuti con una
decisione presa il 26 aprile scorso dalla Corte europea di giustizia. In quella
occasione i giudici di Lussemburgo avevano dato ragione alla Commissione
europea, che aveva iniziato nel 2003 una procedura d'infrazione contro l'Italia
per il non rispetto di tre direttive concernenti la raccolta e il trattamento
dei rifiuti". Decine di lettere a "Le Monde" vanno commentando i
servizi su Napoli: "è assurdo come si possa lasciare una così bella città
seppellire sotto tonnellate di rifiuti". E ancora: "Questa crisi è
salutare, nel senso che essa ci ricorda che la nostra società dei consumi
genera milioni di tonnellate di immondizia che si vorrebbe nascondere da
qualche parte... Due miliardi di euro non sono stati sufficienti a risolvere il
problema napoletano. Ma anche con 50 la situazione non cambierebbe di una
virgola. Bisogna semplicemente chiedere un miracolo a San Gennaro, il solo che
a Napoli può sgombrare i rifiuti. Ah, questi italiani... Ma dove sono finiti i
tempi della grandezza di Roma, il suo rigore, il suo spirito di civismo e di
progresso?". Scrive ancora "Le Monde": "Non è affatto un
problema di discariche. è l'illustrazione tragica dello sfascio e del
fallimento dello Stato italiano. Le montagne di immondizia simboleggiano il
marciume dello stato, dei politici e dell'amministrazione del Paese. La
corruzione, il non rispetto delle regole e delle leggi forgiano una mentalità
di disincanto e spinge i cittadini di questo paese a un ultra edonismo. Essi,
disincantati, si rifugiano nel calcio, nelle ninfette delle tv di Berlusconi e
della Rai?". Anche i quotidiani e le reti televisive della Svizzera stanno
dando risalto all'argomento. Tra i maggiori giornali "Il Corriere del
Ticino" pubblica un commento di prima pagina intitolato: "Napoli,
spazzatura e camorra". E la "Neue ZÜrcher Zeitung": "Neapel
versinkt immer tiefer im Abfall" (e cioè "Napoli affonda sempre più
nei rifiuti"). In Portogallo il quotidiano "Pubblico", uno dei
principali del paese, titola: "Exército italiano intervém na guerra do
lixo em Nàpoles". Traduzione: "L'esercito interviene nella guerra
della spazzatura". E in Ungheria, il "Magyar Nemzet" di
Budapest: "La guerra dei rifiuti ha devastato Napoli". Karl Turicchia
dell'Ambasciata italiana di Stoccolma spiega che tutti i media svedesi seguono
la vicenda dell'immondizia. Ecco alcuni esempi di ieri: sul "Dagens
Nyheter" un articolo firmato dal corrispondente Peter Loewe, con un
commento intitolato "Il trattamento dei rifiuti una fonte di reddito per
la camorra". Sul "Svenska Dagbladet" un servizio della corrispondente
Gunilla von Hall intitolato "Militari impiegati contro la montagna di
rifiuti". "Napoli a fuoco" è il titolo
dell'"Expressen". Il telegiornale "Rapport" della tv
nazionale ha spiegato che da 14 anni "il trattamento dei rifiuti in
Campania è definito un'emergenza, mentre le connivenze tra politici, imprese e
camorra hanno trasformato il trattamento dei rifiuti in una grande fonte di
lucro". Negli Stati Uniti giornali e televisioni stanno bombardando da una
settimana con le notizie da Napoli. "La sporca realtà dell'Italia
meridionale", titola Gabriel Kahn sul "Wall Street Journal". Che
scrive: "Le montagne di spazzatura accumulate per le strade di Napoli sono
illuminanti della sgradevole realtà del Sud: la combinazione di uno Stato
debole e di una potente criminalità organizzata. La situazione di Napoli ha
evidenziato l'incapacità del governo di affrontare anche i più elementari
problemi urbani". Tracy Wilkinson, sul "Los Angeles Times",
attacca il suo articolo così: "L'odore che si respira a Pianura è un
incrocio tra uova marce, pelle bruciata e animali morti. La gente cerca di non
respirare profondamente e di mantenere i bambini all'interno delle case. Peggio
della puzza delle fogne... Centomila tonnellate di immondizia marcisce ai lati
delle strade avvelenando l'aria e imbarazzato il governo italiano se la prende
con la camorra. A Napoli, che già prima era una città caotica, in questi ultimi
giorni regna addirittura l'anarchia. Hanno impiccato i loro leader locali in
effigie, appendendo manichini ai lampioni...". Il "New York
Times", che nell'agosto scorso aveva scoperto a Napoli (via Loggia di
Genova), "uno dei migliori ristoranti del mondo", stavolta ha messo
l'emergenza rifiuti in prima pagina con la foto di una mamma con passeggino tra
la spazzatura. Un lungo servizio attribuisce a politica e camorra le
responsabilità per la situazione e dà spazio all'ira dei napoletani. Si
sottolinea, inoltre, come gli interventi di emergenza degli ultimi giorni
abbiano reso meno tesa la situazione, ma viene evidenziato come manchi una
soluzione di lungo termine e resti il pericolo di nuovi disordini. Dall'altra
parte del mondo, a Pechino, la vicenda spazzatura viene seguita e aggiornata
quotidianamente dall'"Agenzia Nuova Cina", che invia a tutti i
giornali cinesi dettagliati servizi e fotografie (troneggiano quelle degli
autobus dati alle fiamme). Va un po' meglio in Australia, dove Roberto Mengoni,
consigliere dell'ambasciata italiana a Canberra, dice: "Per fortuna la
stampa australiana non ha dato molto risalto alla notizia della guerra
dell'immondizia della Campania, ma dubito che resteranno indifferenti per
molto, se la situazione non migliora". Anche in America Latina Napoli è in
vetrina. "El Pais" di Montevideo (Uruguay) pubblica un reportage dal
titolo "Napoli brucia sotto una montagna di spazzatura"; con foto e
lunga storia dove dipinge in malo modo la città e i napoletani, compreso
Bassolino. "La Nacion" di Costarica scrive: "100 mila tonnellate
di rifiuti si accumulano nelle strade". La "Tv Univision":
"Enfrentamientos en Napoles por basurero....se oponen a reapertura de
tiraderos...". La "Nacion" di Buenos Aires titola:
"Enfierno en Napoles por la basura accumulata", con grandi foto in
prima pagina e commento. La "TV azteca": "Enera tension
reapertura de basurero en Napoles...". Insomma tutti contro i napoletani
che osteggiano l'apertura della discarica. In Brasile i tre principali
quotidiani ("O Globo", "Folha de SÃo Paulo" e "Estado
de SÃo Paulo") hanno pubblicato articoli sulla questione. Il
"Folha" cita lo scrittore Roberto Saviano e le analisi dell'OMS che
mostrano come in vari comuni della regione la percentuale di mortalità è
maggiore che nel resto del Paese e ciò a causa della contaminazione delle acque
provocata dagli sversamenti illegali. "Lo stato italiano ha speso più di
un miliardo di euro e ha nominato 8 commissari per gestire la crisi senza che
la situazione sia migliorata". "O Globo" scrive che per trovare
una soluzione alla crisi il governo dovrà affrontare la camorra che ha
trasformato la spazzatura in un affare altamente lucrativo." Il
corrispondente della "BBC" in Italia, Christian Fraser, sta
diffondendo informazioni riprese da catene di giornali e siti internet
sull'emergenza napoletana: "è un problema che si protrae da circa 15 anni
per il quale il governo ha speso invano 2,9 miliardi di dollari". La
ricerca di una soluzione, ha detto Fraser, conduce "inevitabilmente ad un
compromesso con la camorra, per la quale la raccolta dei rifiuti è molto
redditizia per la camorra". Anche nei paesi arabi è arrivata con forza la
puzza dell'immondizia napoletana. Spiega a "Repubblica"
l'ambasciatore italiano in Qatar, Giuseppe Buccino, originario di Napoli:
"Purtroppo questa volta qualcosa è arrivato fin qua. A cominciare da "Al
Jazeera": non solo il canale in lingua araba ma anche quello in inglese ha
dato rilievo alla questione. Oggi sulla stampa locale in lingua inglese
("Gulf Times") compare una brutta vignetta, che vi mando in visione.
Insomma, a differenza che in passato, questa volta il danno di immagine per
Napoli e per tutto il Paese è notevole...". In Israele, dove hanno problemi ben più
gravi a cui pensare, Ilana Ostermann dell'Ambasciata italiana a Tel Aviv
racconta: "Gli organi di stampa locali hanno riferito notizie sulle
vicende dell'immondizia a Napoli e in Campania, senza però aggiungere commenti
sull'argomento. Articoli sono stati pubblicati dai principali quotidiani
israeliani: da "Yediot Aharonot" a "Maariv" ed
"Haaretz", e da siti internet quali "Ynet" ed
"Haaretz"". L'unica nota confortante arriva per fortuna da
Hanoi: "Vi confermo che in Vietnam le notizie relative all'immondizia a
Napoli non hanno avuto alcuna eco sulla stampa locale". Firmato: Simone
Landini, primo segretario capo dell'Ambasciata d'Italia ad Hanoi.
( da "Repubblica, La" del
10-01-2008)
Parla il politologo Yossi Alpher: "Gli obiettivi
della Casa Bianca sono poco ambiziosi" "La pace? Nessuna svolta in
vista" Lo scopo non è più risolvere il conflitto ma solo definire i
contorni di un futuro Stato MILA RATHAUS GERUSALEMME - Yossi Alpher,
politologo, ex direttore del Centro Jaffee di Studi Strategici e consulente di
Ehud Barak, oggi a capo dell'organizzazione
israelo-palestinese Bitterlemons, è pessimista sulle prospettive di pace e i
risultati della visita del presidente americano. Bush farà pressioni su Olmert
perché il governo israeliano cominci ad applicare la sua parte della Road Map,
smantellando gli avamposti illegali nei territori? "No, ha già
relegato il monitoraggio di questa fase ad una commissione. In un'intervista ha
detto: "Parlerò dell'espansione degli insediamenti israeliani e di come
ciò rappresenti... un ostacolo al successo [dei negoziati]". Questo è il
massimo delle pressioni che farà su Olmert. D'altra parte, nemmeno dirà
pubblicamente alla leadership palestinese di Ramallah, che i loro sforzi di
arrivare ad una pace non approderanno a nulla, finché non troveranno il modo di
riformare Al Fatah e di ristabilire la loro sovranità su Gaza, ora controllata
da Hamas". Quindi lei non ritiene che il presidente americano voglia fare
uno sforzo reale per fare avanzare il processo di pace? "No. La sua
visita, come il vertice di Annapolis che l'ha preceduta, non rappresenta una
svolta nell'atteggiamento della sua amministrazione nei confronti del conflitto
israelo-palestinese. Il suo obiettivo, in questo anno di presidenza, si è
ridotto a "definire i contorni di uno Stato palestinese": decisamente
meno ambizioso di una risoluzione del conflitto. Ma forse è meglio così, perché
ogni intervento di Bush in Medio Oriente è finito male e in ogni caso, sia
Olmert che Abu Mazen sono troppo deboli per riuscire a portare a buon fine il
processo di pace. "Secondo indiscrezioni pubblicate dalla stampa
israeliana, Olmert vuole sfruttare la visita di Bush per assicurarsi
l'imprimatur americano alla propria idea di come sarà il futuro Stato
palestinese, con ampie concessioni alle preoccupazioni di Israele
per la sicurezza, compreso il controllo della Valle del Giordano e dei blocchi
di insediamenti. Vuole, insomma, rafforzare la propria posizione negoziale nei
confronti di Abu Mazen e migliorare la sua immagine presso il pubblico israeliano".
( da "Secolo XIX, Il" del
10-01-2008)
Il discorso nGerusalemme. È giunto in Israele
per cogliere la "opportunità storica" di un accordo di pace tra
israeliani e palestinesi. Ma il presidente americano George W. Bush, nel primo
giorno del suo ambizioso viaggio in Medio Oriente, agita la sciabola nei
confronti dell'Iran, ammonendo Teheran, dopo l'incidente di domenica nello
Stretto di Hormuz, che vi saranno "serie conseguenze" in caso di
nuove provocazioni contro le navi Usa. "L'Iran continua ad essere una
minaccia per la pace mondiale - afferma Bush nella conferenza stampa congiunta
col premier israeliano Ehud Olmert -. Il mio consiglio a Teheran è di non
continuare in questi attacchi provocatori: non fatelo più". La gamma delle
"serie conseguenze" non è precisata, ma Bush sottolinea che
"tutte le opzioni" sono sul tavolo. Poco prima la Casa Bianca aveva
già ammonito l'Iran "a non scherzare col fuoco". Facendo sapere che
erano pronte nuove sanzioni contro la brigata iraniana Qods per avere fomentato
la violenza in Iraq. Lo scopo principale della visita, la prima di Bush in Israele da presidente, rischia quasi di passare in secondo
piano. Anche se l'inquilino della Casa Bianca ha spiegato che esiste una
"opportunità storica" per arrivare ad un accordo di pace e per
"diffondere la libertà in Medio Oriente". Il premier Olmert ribadisce
che Israele "non deve perdere questa
opportunità" e afferma di essere disposto "a quelle difficili
decisioni" inevitabilmente legate a un accordo di tale portata. Ma
esistono dei limiti ben precisi, mette in risalto Olmert: non possono essere
tollerati lanci di razzi da parte di Hamas, dalla striscia di Gaza, contro
israeliani innocenti. "Non ci sarà pace finché il terrorismo non cesserà -
dice Olmert -. Finché continuerà il terrorismo a Gaza sarà difficile giungere
ad un accordo con i palestinesi". Razzi sono partiti in serie anche oggi dai
territori di Hamas. La reazione israeliana è stata immediata con una
rappresaglia militare che ha provocato la morte di 3 persone, fra cui 2 civili.
Oggi Bush si reca in Cisgiordania per incontrare a Ramallah il presidente
palestinese Abu Mazen. "Discuterò con lui il problema di questi attacchi
terroristici", dice Bush, "deve essere chiaro che non saranno
tollerati dai loro territori rifugi per i terroristi". Nel suo primo
commento, appena giunto in Israele,
Bush aveva affermato che l'alleanza tra Stati Uniti e Israele garantisce sicurezza al paese come "stato ebraico". È
una espressione respinta dai palestinesi perché chiude di fatto la porta ad un
ritorno dei profughi palestinesi costretti ad evacuare la regione quando venne
creato Israele: 4 milioni
di persone che rappresentano uno dei maggiori problemi da risolvere tra le
due parti. Hamas ha reagito : "Questo equivale a stabilire un regime di
apartheid nella nostra regione ai danni della popolazione palestinese". A
Gaza alcune migliaia di attivisti di Hamas hanno manifestato sventolando
immagini di Bush ritratto come un vampiro che succhia sangue musulmano. A
Gerusalemme sono stati dislocati dalle autorità di Tel Aviv oltre 10 mila
agenti per proteggere la sicurezza di Bush. Bush ha fatto impegnare Olmert e
Abu Mazen a fare tutto il possibile per raggiungere uno storico accordo di pace
"entro il 2008". Ma esiste molto scetticismo in Medio Oriente sulla
possibilità che questa promessa possa tradursi in realtà. Cristiano del Riccio
(Ansa) 10/01/2008.
( da "Repubblica, La" del
10-01-2008)
Bush, prima volta in Israele
"L'Iran è una minaccia per tutti" Misure di sicurezza straordinarie a
Gerusalemme e oggi a Ramallah Il presidente Usa a Olmert: pronti a fermare i
terroristi Il nodo dei coloni. Rice: non c'è differenza tra Territori e
Gerusalemme George W. vorrebbe lasciare la Casa Bianca almeno con un successo
ALBERTO FLORES D'ARCAIS dal nostro inviato GERUSALEMME - "Se l'Iran
attaccherà navi americane vi saranno gravi conseguenze". Giunto (per la
prima volta da presidente) in Israele - tappa d'esordio
di un viaggio che per otto giorni lo porterà anche nei paesi del Golfo, in
Arabia Saudita ed Egitto - George W. Bush ha voluto lanciare proprio da
Gerusalemme, la capitale (mai riconosciuta ufficialmente) dello Stato che
ayatollah e pasdaran di Teheran vorrebbero far scomparire dalle mappe del
pianeta, un duro messaggio agli iraniani. Dopo l'incidente avvenuto domenica
scorsa nello stretto di Hormuz - di cui il Pentagono ha rilasciato un video,
definito "falso" da Teheran - il presidente americano ha precisato
che in caso di una nuova provocazione da parte della flotta iraniana
"tutte le opzioni sono sul tavolo"; poi, rispondendo alla domanda di
un giornalista israeliano, ha aggiunto: "il mio consiglio agli iraniani è
semplice: non fatelo più". Nel primo giorno della visita del presidente
Usa, il "caso Teheran" - l'Iran resta "una minaccia alla pace
nel mondo", dice ancora Bush - finisce quasi per mettere in ombra la
delicata questione del processo di pace avviato ad Annapolis e che dal tour
mediorientale di Bush dovrebbe (stando agli auspici della Casa Bianca) trovare
una nuova spinta propulsiva. Del resto a sollevare il tema iraniano era stato
proprio un israeliano, il presidente Shimon Peres - un tempo considerato la
colomba dello schieramento politico - che (insieme al premier Olmert) si era
recato ieri mattina ad accogliere il leader americano all'aeroporto Ben Gurion:
"La minaccia iraniana non va sottovalutata, occorre fermare la pazzia di
Hamas, Hezbollah ed Iran". Un processo di pace che va a rilento ma su cui
i leader di Usa e Israele puntano anche per motivi
politici personali: con il primo ministro Olmert che da ogni accordo (anche
parziale) può trovare nuova linfa per restare a capo di un governo perennemente
traballante; e con Bush che vorrebbe lasciare la Casa Bianca alla fine
dell'anno cancellando i disastri iracheni con un successo che sarebbe
miracoloso: ponendo le basi perché la politica dei "due Stati" (uno
israeliano e uno palestinese) in pace tra loro, diventi qualcosa di più reale di
una semplice utopia. Ecco dunque Bush che - a dispetto dei razzi che da Gaza
piombano in Israele in concomitanza con il suo arrivo
- scorge "una nuova opportunità di pace qui in Terrasanta e di libertà in
tutta la regione: sono venuto qui con grandi speranze e il ruolo degli Stati
Uniti sarà quello di promuovere una visione di pace. Il ruolo della leadership
israeliana e di quella palestinese è di fare il duro lavoro necessario per
definire quella visione"; che chiede ad Israele
di smantellare gli avamposti istituiti illegalmente dai coloni nei territori
palestinesi ("devono essere rimossi, ne parliamo ormai da quattro
anni") e che promette di affrontare con il presidente palestinese Abbas -
che incontrerà questa mattina a Ramallah - la questione dei razzi lanciati contro Israele: "la mia prima domanda sarà: cosa intendi fare sulla
questione del lancio di razzi Qassam contro Israele? E poi gli chiederò cosa possiamo fare per aiutarlo a fermare i
terroristi". Il premier israeliano Ehud Olmert lo ha rassicurato:
israeliani e palestinesi sono impegnati "molto seriamente" nei
negoziati per arrivare alla creazione di due Stati che vivano in pace,
fianco a fianco; "entrambe le parti, io credo, stanno cercando molto
seriamente di fare progressi per realizzare questa visione". Promettendo
che Israele farà la propria parte Olmert ha chiesto
però che "anche i palestinesi rispettino i loro obblighi e mettano fine al
terrorismo e non soltanto nella Striscia di Gaza". Per il premier
israeliano è arrivato il momento per dare vita a uno Stato palestinese proprio
perché "c'è un presidente americano così amico di Israele"
e una leadership palestinese moderata: "Dico grazie a Dio che posso
avviare negoziati diplomatici avendo Bush tra i miei partner. Grazie a Dio
possiamo avviare colloqui diplomatici nel momento in cui la più grande potenze
del mondo è guidata da un tale amico di Israele".
Al di là delle dichiarazioni ufficiali resta però un certo scetticismo. A ricordare
quanto la pace sia ancora lontana ci avevano del resto pensato sin dal mattino
anche i principali giornali israeliani, che hanno accolto l'arrivo Bush con
titoli piuttosto diversi: da quello di benvenuto ("Welcome, Mr.
President") di Yediot Ahronot al più scettico Maariv ("Bush, elefante
azzoppato, giunge a mani vuote"), fino alla provocazione del Jerusalem
Post che in prima pagina spara una grande pubblicità a pagamento
("Presidente, come vi abbiamo perso?") e un titolo che ricorda come
"mentre Bush arriva, esplode la crisi degli insediamenti". E proprio
sugli insediamenti Olmert chiarisce che lo status di Gerusalemme è diverso da
quello dei Territori, e questa posizione israeliana è stata espressa "con
chiarezza". Punto di vista piuttosto differente da quello sostenuto dal
Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice: "Gli Stati Uniti hanno chiarito
da tempo che fra gli insediamenti nei Territori e quelli a Gerusalemme est, non
esiste alcuna differenza".
( da "Secolo XIX, Il" del
10-01-2008)
L'immagine degli usa ai minimi storici Secondo gli
analisti "è ingenua l'illusione di farsi perdonare". Soltanto per Israele è un amico 10/01/2008 BEIRUT. La visita del presidente americano
George W. Bush in Medio Oriente suscita una diffusa ostilità fra le
popolazioni, perché molti lo considerano un guerrafondaio che persegue
un'egemonia israelo-americana, e non la pace e la democrazia. Nelle
strade è visto come colui che, invadendo l'Afghanistan e l'Iraq per portare
"la guerra al terrorismo", ha provocato il caos e aiutato il
reclutamento di al Qaeda. Molti lo identificano con gli abusi americani nella
prigione di Abu Ghraib, in Iraq, e con le ingiustizie perpetrate nel centro di
detenzione di Guantanamo. Le sue parole in favore della democrazia e dei
diritti umani sono l'opposto del suo appoggio agli autocrati che governano
Pakistan, Egitto, Arabia Saudita, e del boicottaggio di Hamas dopo che il
gruppo armato islamista ha vinto le elezioni palestinesi del 2006. Secondo un
sondaggio sulle attitudini globali condotto lo scorso anno dal Pew Research
Center, un think-tank statunitense, "l'immagine americana nei Paesi
islamici del Medio Oriente e dell'Asia è ai minimi storici". Pochi arabi o
iraniani pensano che la prima visita ufficiale di Bush in Israele
e nei Territori occupati possa portare a qualche significativo passo avanti nel
processo di pace; molti invece dubitano che questo sia il suo scopo. "Non
credo porterà a qualcosa" dice Diaa Rashwan, analista al Centro di studi
politici e strategici al-Ahram del Cairo. "Bush ha avuto sette anni per
cercare di risolvere i problemi di questa zona del mondo. Viene solo per dire
arrivederci. Forse coltiva l'ingenua illusione che il viaggio possa migliorare
la sua immagine e che la gente lo possa perdonare. Non andrà così". Molti
israeliani considerano Bush come il miglior amico che il loro Paese abbia mai
avuto alla casa Bianca. Non può sorprendere che gli arabi siano convinti che
egli sia il peggior nemico dei palestinesi. "L'amministrazione americana è
responsabile di aver appoggiato l'occupazione israeliana e le sue violazioni
della legge internazionale. Questi fatti non spariranno dalla memoria di chi
accoglierà il presidente Bush", ha scritto ieri il quotidiano siriano
Tishreen. Bush incontrerà separatamente i leader di Israele
e Anp per dare nuovo impulso ai colloqui iniziati in novembre alla conferenza
di Annapolis. L'obiettivo è arrivare, entro l'anno, all'accordo per creare uno
Stato palestinese. Ma prevale lo scetticismo. "Non mi sembra ci sia una
nuova visione. Non mi sembra che su Annapolis si possa costruire
qualcosa", dice Sulayman Awad Ibrahim, un analista del Gulf Research Centre
di Dubai. "Se vuole entrare nei libri di storia nel suo ultimo anno come
presidente, ci provi pure. Però già non è riuscito a Clinton" (L'ex
presidente Bill Clinton provò a trovare un accordo quadro per il Medio Oriente
nel 2000, alla fine del suo secono mandato, senza tuttavia riuscirvi, ndr).
Dopo Annapolis, Israele ha presentato altri piani per
allargare gli insediamenti in Cisgiordania e ha lanciato incursioni nella
Striscia di Gaza per cercare di neutralizzare le basi dei militanti che da lì
lanciano razzi in territorio israeliano. Questo ha preoccupato l'Autorità
palestinese mentre Bush ha definito i nuovi insediamenti israeliani un
"impedimento" ma non ha pubblicamente chiesto di sospenderli.
"Non possiamo considerare la visita di Bush come una mossa in favore della
pace", dice Abdel-Bari Atwan, direttore del quotidiano Al-Quds al-Arabi,
basato a Londra. "È un uomo capace di fare la guerra, non la pace. Va in
Medio Oriente per prepararne un'altra". Bush vuole assolutamente evitare
che l'Iran possa costruire bombe nucleari e non ha escluso il ricorso
all'opzione militare, anche se i servizi segreti americani il mese scorso hanno
detto di essere "sufficientemente sicuri" che Teheran abbia
"interrotto il suo programma nucleare militare" nel 2003. Il
presidente americano cercherà l'appoggio arabo per contenere l'Iran quando il
suo viaggio lo porterà nei Paesi del Golfo e in Egitto. Durante i suoi anni
alla Casa Bianca, paradossalmente, l'influenza della Repubblica islamica sciita
è cresciuta perché l'invasione dell'Afghanistan ha eliminato il regime dei
Talebani e quella dell'Iraq ha fatto fuori Saddam Hussein, due dei principali
nemici dei mullah, e in più a Baghdad si è installato un governo dominato dagli
sciiti. Anche se Bush continua a sottolineare il pericolo costituito dall'Iran,
l'eventualità di un'azione americana o di più pesanti sanzioni Onu contro
Teheran è diminuita dopo la pubblicazione delle stime dei servizi segreti Usa.
Questo può significare due cose. La prima: è improbabile che gli arabi possano
rispondere positivamente agli inviti di Bush per costruire un asse contro
l'Iran. La seconda: che la possibilità di un approccio più incline al dialogo
fra Washington e Teheran, nel momento in cui alla Casa Bianca si sarà insediato
il prossimo presidente americano, sia tutt'altro da escludere.Alistair Lyon
(Reuters) 10/01/2008 la promessaAbu Mazen e Olmert invitati a raggiungere un
accordo entro il 2008 10/01/2008.
( da "Repubblica, La" del
10-01-2008)
Ma i razzi di Hamas fanno saltare l'agenda Strade chiuse
a auto e pedoni, cecchini sui tetti e negozi deserti per la visita ALBERTO
STABILE dal nostro corrispondente gerusalemme - "Somewhere over the
rainbow". Da qualche parte oltre l'arcobaleno, canta Adi Bar Lev, 13 anni,
la piccola diva dai capelli rossi e i denti imprigionati dall'apparecchio,
porgendo una rosa rossa per ciascuno ai due presidenti. E a George Bush, che
forse non s'aspettava un'accoglienza così intima e calorosa come quella che gli
riserva Shimon Peres nella prima tappa del suo viaggio in Medio Oriente,
vengono i lucciconi. La scelta della canzone non poteva essere più
deliziosamente inappropriata: ovunque ma non qui si realizzano i sogni,
suggeriva Judy Garland, nel 1939, mentre il mondo si preparava alla guerra. E
se nonostante lo "spirito di Annapolis" e le pacche sulle spalle tra
Olmert ed Abu Mazen, la "navetta" di Condoleezza Rice e la generosità
dei paesi donatori, cominciasse a serpeggiare il dubbio che 10-12 mesi sono un
lasso di tempo troppo breve per una cosa così grande come la pace tra
israeliani e palestinesi? Ma il refrain è dolce e la voce di Adi avvolgente e
questo finirà con il diventare il logo di questa visita. La scena diciamolo
francamente, non spinge all'ottimismo. Nonostante la sua anima austera, dura
come la pietra di cui è fatta, Gerusalemme è città di suoni, di colori, di
folle variegate. Di traffico, di affari, di politica e di preghiera. Ma oggi è
deserta e triste come un suk in un giorno di chiusura, privata delle linfa
della sua gente. La quale, saggiamente, piuttosto che imbattersi in strade
chiuse anche ai pedoni, per non dire delle macchine, e posti di blocco a non
finire, ha preferito restarsene a casa. Così, tutta l'area attorno all'Hotel
King David sembra uno spazio alieno, l'anticamera silenziosa e asettica di un
laboratorio speciale, il crogiolo di un bunker a cielo aperto. Eppure su questi
marciapiede s'allineano i negozi del turismo: grandi gioiellieri e pataccari,
gallerie raffinate e tappetari, autonoleggi e ristoratori. Oggi, invece, i
negozianti se ne stanno mani nelle tasche ad osservare il cauto affannarsi di
giovani in abito scuro e camicia bianca, con rossi distintivi all'occhiello e,
qualcuno, col filo bianco di un auricolare che risale dal colletto della
camicia. E' vero che non è più tempo di folle transennate e di bandierine
nazionali affidate a scolaresche rese felici dalla insperata vacanza, e non c'è
motivo di dubitare che la visita di Bush sarà, come dice l'analista di Haaretz,
Daniel Ben Simon, "molto, molto calorosa", in un senso e nell'altro.
Ma questi sentimenti d'amicizia verso quello che il premier Olmert ha definito
"il più forte e fidato alleato d'Israele" verrà misurato soltanto attraverso il freddo termometro
dei discorsi ufficiali e dei talk-show televisivi. Naturalmente, per il bene
della sicurezza. L'obbligo di garantire la sicurezza di Bush pesa tutto su Israele, ma i pericoli riguardano soprattutto
la parte palestinese verso cui vengono indirizzate le misure. E allora,
per cominciare, chiusura totale dei Territori, fino a venerdì. Una sanzione
indiscriminata e paradossale, se è vero che il presidente americano è venuto
per spingere gli interlocutori recalcitranti ad andare avanti sulla via del
negoziato. Non sono soltanto i tiratori scelti appostati sui tetti o
l'aerostato che ondeggia sul cielo del King David a instillare scetticismo e
sfiducia. Le formazioni armate palestinesi, gli esclusi da quello che non è mai
stato e non sarà mai il banchetto della pace, ma è pur sempre meglio di un
futuro di sangue e di guerra, gli intransigenti nemici del dialogo, le molte
milizie fiorite a Gaza con e talvolta anche contro il volere di Hamas, hanno voluto
dare a Bush un benvenuto alla maniera terroristica che praticano ormai come
loro unica risorsa. Per tutto il giorno sono piovuti missili Kassam e colpi di
mortaio su Sderot e sul Negev meridionale, contribuendo ad alterare
sensibilmente l'agenda dei colloqui. Fino a spingere Olmert, apparso accanto a
Bush ("il Satana", secondo la definizione di Hamas presa in prestito
da Khomeini) ad ammonire: "Non ci sarà pace finchè non cesserà il
terrorismo anche da Gaza". Un avvertimento che finisce con il richiamare
l'invito lanciato dato da Shimon Peres in mattinata a fermare la "follia
di Hamas e degli Hezbollah". Al di qua dell'arcobaleno, dunque, i sogni
sembrano in pericolo. Di nemici del compromesso e della pace, l'uno essendo
inseparabilmente legato all'altra, se ne trovano anche in Israele
ed hanno colto l'occasione della presenza di Bush per farsi sentire. La polizia
ha usato la mano forte contro un paio di coloni estremisti che appartengono
ormai più al colore che alla storia. Ma altri hanno trovato modo di impiantare
nella notte due avamposti illegali, uno vicino a Betlemme, l'altro vicino a
Ramallah. Non basterà il tono un po' guascone di Bush, "the outposts,
yeah, had to go!" (gli avamposti illegali, certo, devono andarsene) a
spingere il governo israeliano a fare quello che in base alla Road Map avrebbe
dovuto cominciare a fare già nel 2003. Oggi, i coloni estremisti che paventano
il compromesso si daranno appuntamento a Piazza Zion, tradizionale ritrovo
della destra. Ma Bush passerà parte della giornata a Ramallah, in visita al
presidente Abu Mazen e forse Gerusalemme per un po' potrà respirare.
( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)
"Non più solo soldati nelle nostre pellicole"
"In questi ultimi anni il cinema è rinato ma dopo un lungo periodo buio...
Ora i cineasti hanno cominciato a guardarsi dentro, a raccontare al mondo le
contraddizioni del loro paese, usando linguaggi nuovi, ma soprattutto facendo
documentari". Incontro con il critico cinematografico Dan Muggia,
direttore artistico del Kolno'a Festival 2007 e professore alla Sam Spiegel
Film School di Gerusalemme Credevate davvero che l'Italia fosse l'unico paese dove
il cinema e la cultu Chiara Organtini Roma "Ma credevate davvero che
l'Italia fosse l'unico paese dove il cinema e la cultura in genere sono così
bistrattati? Illusi". Ci riporta tutti con i piedi per terra Dan Muggia, critico cinematografico italo-israeliano nonché direttore
artistico del Kolno'a Festival 2007, nota manifestazione sul cinema ebraico e
israeliano appena conclusasi alla Casa del Cinema di Roma. "In realtà -
spiega Muggia - anche Israele rientra nel gruppo dei paesi che non mette un soldo per la
cultura". O almeno non ne mette abbastanza. Eppure il cinema
israeliano sta vivendo un momento felice: molti film partecipano alla maggior
parte dei festival internazionali e riescono ad aggiudicarsi notevoli
riconoscimenti. Non a caso al Kolno'a Festival sono stati proiettati
lungometraggi e documentari già premiati al Tribeca Festival e al Sundance. My
father, My lord di David Volach, ne è un esempio... Nella lista dei documentari
selezionati dall'Idfa, l'International Documentary Film Festival di Amsterdam, Israele è al quarto posto, dopo Stati uniti, Olanda e
Francia. Certamente il cinema israeliano in questi ultimi anni è rinato ma dopo
un lungo periodo buio... Nel corso degli anni '90 si erano tutti un po'
stancati di vedere solo film sul conflitto israelo-palestinese; sembrava che i
cineasti fossero capaci solo di realizzare pellicole di fiction o documentari
in cui si parlava del conflitto. In un paese di 7 milioni di abitanti, nel 1999
nelle sale si strappavano solo 150mila biglietti e non c'era una vera e propria
pluralità di pellicole, quelle che avevano successo (se di successo si può
parlare con queste cifre!) erano poche, due o tre e magari americane, e da sole
si spartivano questa piccola torta di incassi. E nonostante facessero film
politici, quasi esclusivamente sul conflitto, in realtà i registi israeliani
non realizzavano film di lotta. In questo modo finivano per non vedere ciò che
stava realmente accadendo nel paese. L'Europa e l'America volevano vedere un
film sul conflitto? Israele era sempre pronto a
soddisfare questo desiderio. Poi è accaduto qualcosa. Hanno cominciato a
"guardarsi dentro", a raccontare al mondo, ai loro connazionali, quel
che è Israele, con tutti i suoi problemi sociali,
economici; usando linguaggi nuovi, sfruttando la capacità di diffusione della
commedia, ma soprattutto facendo documentari. E ora di soldati non ne vedi più
tanti nelle nostre pellicole. Abbiamo risolto il conflitto? Nient'affatto. E
così è iniziata l'era dei documentari... Israele è un
paese molto giovane, ricco di contraddizioni e di grandi periferie. A parte Tel
Aviv, grande centro dal punto di vista culturale, politico e economico, tutto
quel che gli sta intorno è periferia. Ecco, i registi di non fiction hanno
seguito proprio la scia di questi contrasti. Basti pensare a un documentario
come Paper Dolls di Tomer Heymann, in cui si racconta della doppia o forse
tripla vita di alcuni immigrati filippini in Israele,
che durante la settimana sono badanti per gli anziani del quartiere ortodosso
di Benei Beraq e poi nel weekend si trasformano in "bambole di
cartapesta" che si esibiscono in spettacoli drag. Ma il "piccolo
impero" dei documentari, come lei stesso lo ha definito, è stato favorito
dall'aspetto economico? La ricchezza culturale a volte nasce in momenti di
grande penuria economica... I registi che non sono più riusciti a fare film di
finzione, o anche quelli che si sono accostati solo negli ultimi tempi alla
cinematografia, hanno dovuto fare i conti con la mancanza di fondi per la
fiction, per questo hanno ripiegato sui documentari. Poi hanno scoperto che
anche su quel fronte li aspettava la stessa odissea... I fondi per i
documentari infatti sono ancora più modesti! Però questo ha permesso loro di
esprimersi in libertà senza avere il fiato sul collo dei produttori e i
documentari, non essendo proiettati nelle sale ma alla televisione (in Israele ci sono solo due reti private e una pubblica!), non
danno "problemi di botteghino". Quanto denaro pubblico viene
destinato alla cinematografia in Israele e come viene
distribuito? Molto poco, solo 10 milioni di euro. Il sistema di distribuzione
di questi fondi è simile a quello anglosassone: vengono girati alle fondazioni
per l'incoraggiamento del cinema, ce ne sono diverse: una per i documentari,
una per i lungometraggi, un'altra per i tele-dramma e altre ancora; queste
lottano tra loro per avere i finanziamenti, anche perché vengono assegnati in
parti non necessariamente uguali. Poi le fondazioni premiano i progetti
cinematografici più meritevoli. In questo modo i registi non si immettono in
quel labirinto della politica e dei ministeri che tutti deprecano... E questo
significa che c'è un organo "non politico" che si occupa di cinema.
Ma non sussiste il rischio che si creino delle "strane vicinanze" tra
il mondo delle fondazioni e quello della politica? Il proprietario di una delle
catene più grandi di cinema in Israele - Lev Cinema -
è anche direttore di una delle fondazioni. E si può immaginare che peso riesca
ad avere... Tuttavia di solito c'è una certa trasparenza, ci si può ancora
fidare. In Italia se non hai alle spalle una produzione navigata e non hai
trascorsi di "grandi botteghini", puoi anche dimenticarti i soldi
pubblici. In più se la Rai compra un documentario non è detto che lo mandi in
onda, e comunque non lo comprerebbe per più del 40% del suo valore, mentre
normalmente un documentario da 52-56 minuti (con poche citazioni d'archivio)
costa in media almeno 60-80mila euro. Per i canali satellitari poi, il suo
costo è ancora più basso. In Israele riesci a fare un
buon documentario già con 90-100 mila dollari e i cineasti, che sono sempre
attenti al pubblico mondiale, si avvalgono delle coproduzioni con la Finlandia,
l'Inghilterra, gli Usa, e qualche italiano, come Stefano Talli e Giovanni
Tamberi che hanno anche distribuito Souvenirs, proiettato al Kolno'a Festival.
Ad ogni modo con la nuova legge del cinema israeliano i soldi concessi per i
film rientrano al 50% tramite la vendita dei film stessi ai canali privati.
Sembrerebbe un sistema più efficiente... In realtà se ti dicono che non hanno
fatto incassi con le reti private, il tuo 50%, come regista e autore del film,
sarà nullo. L'idea tuttavia rimane sempre molto affascinante e se funzionasse a
dovere sarebbe molto buona. Allo stesso tempo questa legge non permette di
avere dei fondi pubblici per più del 70% del budget, sia per i film che per i
documentari. Prima era un bel 100%... E come si applica questo sistema nei
confronti degli autori arabi, magari con cittadinanza israeliana, o con quelli
palestinesi che vivono nei territori dello Stato di Israele?
La possibilità di accedere a quei fondi c'è anche per loro. Badal, documentario
che è arrivato anche al Kolno'a Festival, è di una regista araba, Ibtisam
Mara'na, mentre la produzione è israeliana, eppure ha preso dei fondi pubblici.
Paradise Now, uscito nel 2005, è un film di un regista palestinese, Hany
Abu-Assad, e anche questo ha ottenuto dei fondi pubblici. L'importante per
ottenere dei finanziamenti è che almeno il 50% della produzione sia israeliana.
Purtroppo il punto è che sono in pochi, pochissimi a richiederli. Il soggetto
di questa storia, sfortunatamente è ancora il conflitto.
( da "Manifesto, Il" del
10-01-2008)
Il presidente americano a Gerusalemme: pronti a usare la
forza, sanzioni per un generale di Tehran. E la Palestina
quasi sparisce Michele Giorgio Gerusalemme È solida e strategica l'alleanza tra
Stati Uniti e Israele, soprattutto quando si parla
dell'Iran e del suo programma di produzione di energia nucleare. Il presidente
americano non lo ha nascosto ieri nel primo dei tre giorni di visita nello
Stato ebraico. Ha attaccato con veemenza Teheran e avvertito che Washington non
esiterà a usare la forza per "difendere" i suoi interessi, in
riferimento all'incidente di domenica scorsa nello stretto di Hormuz tra le
forze navali dei due paesi. L'Iran ha descritto come un "falso" il
filmato su Hormuz reso pubblico dagli americani e minimizzato l'accaduto ma gli
Usa, annunciavano ieri dal Dipartimento di stato, faranno scattare sanzioni
contro il generale Ahmed Foruzandeh, comandante delle forze iraniane di elite
al-Qods e di alcuni iracheni rifugiati in Iran. Sanzioni che puntano al casus
belli? In ogni caso le parole di fuoco pronunciate da Bush
sono state musica per le orecchie del premier israeliano Ehud Olmert, che ha
offerto all'alleato più stretto uno spettacolo fatto di fiori, danze, cori e
festeggiamenti senza precedenti. Il presidente americano ha contraccambiato
tanto affetto perdonando un agente segreto israeliano che negli anni '80 mise
in pericolo la sicurezza degli Usa. Bush stasera inviterà al suo
ricevimento anche Rafi Eitan che oltre vent'anni fa fece precipitare Israele e Usa in una rara crisi di rapporti, guidando una
rete di spionaggio di cui fu protagonista Jonathan Pollard, un ufficiale dei
servizi di intelligence della marina statunitense, che passò a Israele informazioni segrete di eccezionale importanza. E
mentre Olmert e Bush tenevano il loro incontro a Gerusalemme, discutendo di
Iran e "terrorismo", a Gaza due civili palestinesi, Khadra Wahdan e
Mohammed Kafarna, venivano uccisi dall'esercito israeliano che ha colpito
"per errore" la loro abitazione invece di una presunta base di
attivisti armati. Un terzo palestinese è stato ammazzato a nord della Striscia.
Ufficialmente volto a rilanciare il negoziato diretto israelo-palestinese,
ripartito a fine novembre ad Annapolis, il viaggio di Bush in Israele e in sei paesi arabi si sta rivelando una missione
anti-iraniana, in vista di un ulteriore inasprimento delle sanzioni contro
Teheran e della preparazione di un attacco militare ritenuto da molti solo
questione di tempo. Bush ieri non ha usato mezze parole. Ha detto con tono
perentorio che gli Stati Uniti sono pronti a ogni soluzione pur di difendere
gli interessi nazionali di fronte ad "atti ostili" di Teheran.
"Tutte le opzioni sono sul tavolo per difendere i nostri interessi",
ha affermato. D'altronde era stato un alto responsabile israeliano ad
anticipare che i colloqui tra Bush e Olmert non avrebbero affrontato, se non di
striscio, il negoziato israelo-palestinese ma sarebbero stati incentrati sulla
crisi iraniana. "Riguarderanno principalmente l'Iran. Il primo ministro
presenterà al presidente dei nuovi elementi raccolti dai servizi di
intelligence israeliani dopo la diffusione del rapporto dei servizi
americani", ha riferito il funzionario, confermando di fatto che la
recente pubblicazione delle relazione delle principali agenzie di intelligence
Usa - che ha ridimensionato la portata delle ambizioni nucleari di Teheran - ha
rotto le uova nel paniere di chi a Washington e Tel Aviv preparava un attacco
all'Iran. In Medio Oriente c'è piena consapevolezza dei reali obiettivi della
missione di Bush e la stampa araba non ha mancato di sottolinearli. Il giornale
panarabo Al Arab On-Line ha scritto che l'inquilino della Casa Bianca
"viene per istigare gli arabi alla guerra all'Iran". "Bush si
appresta a sparare la sua ultima cartuccia", è stato invece il commento di
al Hayat che in una vignetta mostra Bush con in mano una colomba della pace
gonfiata ad aria. In un'altra si vede il leader palestinese Abu Mazen andare a
tutto gas su una moto senza ruote con la didascalia: "Sta partendo per le
trattative". Stamani a Ramallah Bush vedrà proprio Abu Mazen, tra
eccezionali misure di sicurezza e raduni di protesta. Il presidente palestinese
vuole progressi reali al tavolo delle trattative ma Bush ha chiarito che gli
Usa "faciliteranno" il negoziato e non proporranno soluzioni. Il
"progetto di pace" che piace a Washington è quello israeliano. Il
presidente Usa non è andato oltre il ripetere la sua richiesta di rimozione
degli avamposti colonici israeliani in Cisgiordania, senza però mettere sotto
pressione Olmert.
( da "Manifesto, Il" del
10-01-2008)
Tel Aviv ospite della rassegna letteraria torinese. I
gruppi di solidarietà con la Palestina: ci batteremo
contro la normalizzazione dell'occupazione Fiera del libro, arriva Israele. Pacifisti pronti al boicottaggio 60 anni dalla Nakba "Non
compreremo volumi delle case editrici che, partecipando, saranno complici della
violazione dei diritti dei palestinesi" Michelangelo Cocco La Fiera
internazionale del libro di Torino, in programma dall'8 al 12 maggio prossimi
nel capoluogo piemontese, finisce nel mirino dei gruppi di solidarietà
con la Palestina. Nel 60° anniversario della
fondazione dello Stato ebraico, che per i palestinesi significò la nakba
(catastrofe), la distruzione di circa 400 villaggi e l'esodo forzato dal nuovo
stato di 800.000 abitanti arabi, gli attivisti annunciano contestazioni contro
la principale rassegna italiana di letteratura, che accoglierà Israele come ospite straniero. La polemica è stata innescata
da una lettera del consigliere regionale dei Comunisti italiani (Pdci),
Vincenzo Chieppa, a Rolando Picchioni, presidente della Fondazione per il
libro, la musica e la cultura. Chieppa ha ricordato che "in Palestina purtroppo continuano le uccisioni quotidiane ad
opera dell'esercito israeliano, il muro della vergogna separa famiglie e conoscenti,
vengono quotidianamente violati i diritti di un intero popolo" e chiesto
"di rivedere la scelta operata in relazione all'individuazione della
nazione ospite d'onore, confermando ovviamente la scelta finora compiuta, ma
aggiungendo quale ulteriore ospite d'onore della manifestazione l'Autorità
palestinese". Gli organizzatori hanno risposto picche. "L'anno
prossimo avremo l'Egitto capofila e sarà di scena tutto il mondo arabo - spiega
al manifesto Nicola Gallino, capo ufficio stampa della Fiera -. La Fiera
inoltre non può essere condizionata: ogni paese, in accordo coi principi di
pluralismo, ha libertà di presentare gli scrittori che preferisce, ogni forma
di censura sarebbe disastrosa". È annunciata la presenza di pezzi da
novanta come Amos Oz, Abraham Yeoshua e David Grossmann. Ma per Alfredo
Tradardi - presidente della sezione italiana dell'International solidarity
movement - "l'invito dà a Israele la possibilità
di fare propaganda, ribaltando grazie agli scrittori l'immagine di uno stato
protagonista 60 anni fa di un'operazione di pulizia etnica e che
quotidianamente viola i diritti dei palestinesi". In un articolo apparso
nell'agosto scorso sul quotidiano Ha'aretz Dan Orian, un ex funzionario del
dipartimento letteratura presso la divisione per gli affari culturali e
scientifici del ministero degli esteri israeliano, ha descritto la cooperazione
tra governo e scrittori come basata su un mutuo interesse: questi ultimi
"cercano la massima esposizione all'estero per il loro lavoro e il
ministero vuole usarli, per mostrare la faccia attraente, sana d'Israele". "Quando Zeruya Shalev va in Germania, la
gente fa la fila fuori all'auditorium per ascoltarla. Noi siamo percepiti come
aggressivi, come quelli che impongono le chiusure nei Territori, ma improvvisamente
appare un autore che parla delle relazioni all'interno della famiglia e la cui
scrittura è chiaramente non politica. Questo può cambiare l'intera percezione
della società israeliana", ha detto Orian. Sergio Cararo annuncia già
un'iniziativa di boicottaggio: alle case editrici verrà spedita una lettera in
cui si chiederà di disertare la Fiera. "Gli attivisti solidali con la Palestina sono grandi lettori e acquirenti di libri"
ammonisce il fondatore del Forum Palestina. E se gli
Ebrei contro l'occupazione e il torinese Comitato di solidarietà con la Palestina - due realtà che portano avanti iniziative comuni
- si riuniranno a breve per decidere sul da farsi, il Comitato "Gaza
vivrà" (una sua delegazione è appena rientrata dalla Palestina),
deciderà in un'assemblea in programma a Firenze il 27 gennaio. "Ma
aderiremo certamente, contro un'iniziativa che vuole legittimare al 100% la
politica Israeliana di cancellazione della Palestina"
assicura il presidente Leonardo Mazzei.
( da "Riformista, Il" del
10-01-2008)
Medio oriente 1 comincia il tour di george w.: la questione
palestinese resta a margine Bush riparte da Israele,
ma l'obiettivo è l'Iran Mentre l'opinione pubblica dello stato ebraico attende
con ansia l'esito del voto americano, tiene banco il controverso rapporto Nie
sulla minaccia di Teheran Gerusalemme. Nel gioco degli specchi, è difficile
capire dov'è - se non la verità - almeno la realtà. Quando poi si usa il
caleidoscopio mediorientale, è persino difficile capire dove si è. Scena prima:
l'Air Force One atterra all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv alle 11 e 48 di
ieri mattina. Dirette tv e, in pista, l'intera Israele
politica ad accogliere Gorge W. Bush nella sua prima visita da presidente degli
Stati Uniti: leader religiosi (sono stati i due rabbini, l'ashkenazita e il
sefardita, ad aprire la lunga fila di chi ha omaggiato Bush), poi l'intero
governo, l'opposizione, i rappresentanti delle altre fedi. Soltanto
in Israele Bush jr. ha
potuto godere di una simile accoglienza. Come se, oltre che l'inquilino della
Casa Bianca, fosse per Israele come la regina Elisabetta per i paesi del Commonwealth. Scena
seconda: l'aria sonnacchiosa di Gerusalemme, e la rassegna stampa dei giornali
israeliani. Timorosi di trovarsi bloccati dalla sicurezza (quasi
diecimila poliziotti a governare la tre giorni di Bush), dai cortei dei vip,
dalle chiusure a singhiozzo delle strade, i gerosolimitani hanno cercato, per
quanto possibile, di rimanere a casa, in una giornata decisamente uggiosa, tra
freddo e minacce di pioggia. A lavorare sono i diplomatici, i poliziotti, i
politici. E i giornalisti, soprattutto quelli israeliani, nei talk show e nelle
innumerevoli analisi accurate su che cosa sia veramente venuto a fare Bush. E
su che cosa succederà ora che Hillary Clinton, la più decisa sostenitrice di Israele tra i candidati alle presidenziali Usa, è riuscita a
battere Barack Obama nel New Hampshire. Lì, nel circo mediatico, la gioia, la
deferenza, l'orgoglio che si percepiva sulla pista dell'aeroporto di Ben Gurion
lascia il campo a un cinismo profondo. Un esempio per tutti: il durissimo
attacco che Ben Caspit, editorialista politico di punta di Ma'ariv , ha
lanciato dalle colonne del suo quotidiano, uno dei più ascoltati d'Israele. Bush non è un'anatra zoppa, è un "elefante
zoppo", e "noi israeliani siamo il suo negozio cinese". "Il
danno che Bush ha causato al mondo e agli Stati Uniti è eclissato solamente da
quello che ha fatto in Medio Oriente", scrive Caspit. L'attacco è tutto
alla strategia mediorientale di Bush: "La democratizzazione che sta
continuando a cercare di instillare negli stati arabi sta mettendo a fuoco la
regione". Dall'Iraq sino all'Iran, il vero convitato di pietra di queste
ore israeliane di Bush. Strano. Per l'establishment politico israeliano,
invece, è proprio la "visione" di Bush il cuore di un'accoglienza incredibilmente
calda. Come se Bush fosse stato l'unico, strenuo, tetragono difensore dell'Israele di Sharon e ora di Olmert. Bush ha avuto ragione,
dal
( da "Riformista, Il" del
10-01-2008)
Medio oriente 3 scenari Il peso sciita in una pace
(im)possibile è il primo nemico del fondamentalismo La reazione sunnita è il
frutto avvelenato dell'Iraq Beirut. Da più parti si continua a sostenere che la
creazione di uno stato palestinese, insieme con il ritiro
di Israele nei confini precedenti
al 1967, rappresenterebbe una svolta decisiva per la pace in Medio Oriente.
Oggi questa tesi, in seguito alle traumatiche conseguenze provocate dalla
guerra americana in Iraq nell'insieme della regione - un puzzle inestricabile
di crescenti tensioni etniche e religiose - va in realtà considerata certamente
necessaria ma non più sufficiente. Un dato, in particolare, ha acquisito
un peso cruciale: il risveglio della comunità sciita (tra il 10 e il 15%
dell'intero mondo musulmano) non soltanto in Iraq ma anche nel resto del Medio
Oriente. Conflitto sciita-sunnita. Il progetto iniziale (almeno quello
dichiarato) dell'amministrazione Bush in Iraq (un nuovo regime democratico che
rappresentasse un precedente contagioso per tutto il Medio Oriente) ha decisamente
favorito - grazie anche al pragmatismo tattico dell'ayotallah Sistani che ha
evitato lo scontro tra sciiti e truppe Usa costringendo il proconsole Bremer ad
accettare la proposta di un parlamento direttamente eletto in base al principio
del "one man, one vote" - la nascita del primo governo a maggioranza
sciita nella lunga storia del mondo arabo. La minoranza sunnita di etnia araba
(circa il 20% degli iracheni) ha vissuto la "svolta democratica"
imposta dall'esterno come un complotto ordito dagli americani insieme con gli
sciiti, ovvero gli "eretici" da sempre reietti ed emarginati nel
mondo musulmano (con la sola esclusione dell'Iran dove gli sciiti rappresentano
circa il 90% della popolazione). È importante notare che la componente sunnita,
ma non araba, della società irachena, i curdi (circa il 20% degli abitanti), ha
scelto l'alleanza con gli sciiti ben sapendo che tale strategia era l'unica che
poteva garantire il mantenimento della sostanziale autonomia conquistata negli
anni novanta grazie alla no flight zone e aprire le porte a quella indipendenza
già promessa ai curdi alla fine della prima guerra mondiale. Tzunami sciita in
Medio Oriente. I paesi della regione (a maggioranza sunnita salvo il Libano e
il Bahrein) hanno tutti avvertito, in modo più o meno acuto a seconda della
composizione religiosa interna, la sfida proveniente dalla riscossa sciita in
Iraq. Due fenomeni, tra loro strettamente intrecciati, si sono verificati. Da
un lato la tradizionale protesta sciita ha ripreso vigore: l'esempio iracheno
ha spinto sia gli sciiti libanesi (ormai maggioranza relativa con circa il 35%
della popolazione) che quelli del Bahrein (il piccolo paese petrolifero del
golfo dove un emiro sunnita governa con pugno di ferro una larghissima
maggioranza sciita) a pretendere, con pragmatismo e senza ricorrere alla
violenza terrorista, una più forte rappresentanza. Il principio del "one
man, one vote" è stato fatto proprio nei due paesi e spiega, tra l'altro,
attuale impasse, densa di pericoli, della crisi libanese (i sunniti, con il
sostegno Usa, non intendono riconoscere la proiezione istituzionale dei nuovi
rapporti di forza così come chiede in particolare Hezbollah). Anche in Arabia
saudita si è fatta più decisa, da parte sciita (circa il 10% della popolazione
ma concentrata nelle zone più ricche di petrolio), la richiesta di una maggiore
partecipazione ai governi locali e a livello centrale. La reazione sunnita. In
tutta la regione clerici wahabiti e salafiti, mentre incoraggiano i giovani
radicali sunniti (specie in Arabia saudita) a unirsi alla Jihad in Iraq contro
i "crociati e gli eretici", alimentano, sfruttando le stesse parole
d'ordine e la stessa intolleranza religiosa, il vasto risentimento contro i
regimi arabi moderati e filo-occidentali allo scopo di potenziare le fila
dell'estremismo terrorista, sempre di matrice sunnita vicino ad Al Qaeda, che
ha colpito a New York, Madrid, Londra, Algeri, Amman e altrove. L'obiettivo di
fondo dei terroristi è evidente e dichiarato: arrivare a uno scontro generalizzato
contro i nuovi "crociati" che hanno invaso i "luoghi santi"
dell'Islam e al tempo stesso affidare ai gruppi sunniti più radicali il
controllo del potere. In questo quadro, la lotta al pragmatismo sciita, più
aperto al pluralismo e alla convivenza con altri gruppi etnici nonché religiosi
(come dimostrano il caso libanese e perfino quello iracheno) è diventato parte
integrante della stessa battaglia contro l'occidente. Il ruolo crescente
dell'Iran. È ormai un luogo comune constatare come la guerra irachena abbia
accentuato il peso di Teheran in tutto il Medio Oriente. Si tratta di un
processo che alimenta l'incertezza dei governi arabi moderati, sempre più
fragili di fronte all'assedio dell'estremismo sunnita e alle rivendicazioni
sciite. Un processo denso di inquietanti incognite. Tra queste, l'ipotesi di
una guerra tra le due componenti storiche del mondo musulmano che potrebbe
coinvolgere non soltanto Iran e Arabia Saudita ma anche altri paesi arabi e una
parte dello stesso occidente. 10/01/2008.
( da "Riformista, Il" del
10-01-2008)
Medio oriente 2 visto dagli states In patria sembra il
canto dell'anatra zoppa New York. "Nella regione e nel mondo arabo si
pensa che Bush sia stato finora soltanto uno spettatore. Probabilmente è
ingiusto, ma è la realtà", dice Bruce Riedel, un ex agente della Cia ed ex
consulente di tre presidenti americani per il Medio Oriente, che ora lavora alla
Brookings Institution di Washington. Per gli americani, a quanto pare,
nonostante la buona volontà sbandierata dall'attuale inquilino della Casa
Bianca, il viaggio in Medio Oriente è tardivo e difficilmente produrrà
risultati concreti. "Gran parte dei leader mediorientali considerano Bush
insieme ingenuo e duro e faranno del loro meglio per usare il vantaggio di
giocare in casa per sensibilizzarlo alla loro percezione della realtà",
incalza Jon Alterman, uno studioso del Center for Strategic and International Studies.
Annunciato all'ultimo momento, organizzato in pochi giorni e iniziato proprio
mentre in New Hampshire chiudevano i seggi elettorali delle prime primarie e
l'intera America guardava da un'altra parte, il viaggio di George Bush in Medio
Oriente non ha certo suscitato, tra gli esperti, un'ondata di entusiasmo o di
ottimismo. Eppure, il tour del presidente americano è sicuramente ambizioso. La
Casa Bianca ha puntigliosamente preparato l'opinione pubblica, Bush ha concesso
una serie di interviste ai giornali della regione e alle agenzie di stampa, e
ha dedicato all'evento il suo messaggio radiofonico del sabato, i suoi
collaboratori hanno presentato i "briefing" non ufficiali per
illustrare ai giornalisti i vari aspetti del viaggio. Tra gli obiettivi di George
W., anticipati alla Reuters, "far avanzare i progressi ottenuti ad
Annapolis, aiutare le parti a rimanere focalizzate sulla grande opportunità,
che è la definizione di uno stato palestinese". Bush ha ricordato "ai
nostri amici e alleati arabi che possono contare sugli Stati Uniti per la
sicurezza della regione e che hanno una grande opportunità di dare una
mano", aggiungendo: "Ho fiducia che ci possa essere un accordo per la
fine del 2008. Bisogna convincere le parti che il momento di prendere le decisioni
difficili è ora, e che gli Stati Uniti possono aiutarle". Di fatto, anche
l'amministrazione sa bene che l'impegno non sarà facile. Dopo le strette di
mano di Annapolis sotto lo sguardo di gran parte dei paesi mediorientali,
compresa la Siria, la situazione non è certo migliorata. Bush, per di più,
conosce benissimo l'ostilità e la sfiducia che la guerra in Iraq ha lasciato
nei suoi confronti, malgrado il relativo successo di Annapolis. Per la Casa
Bianca, però, ci sono anche molte ragioni per muoversi lo stesso. La prima,
chiarissima, è di carattere interno. L'inizio delle primarie ha fatto
ufficialmente diventare il presidente "un'anatra zoppa", una figura
senza più alcun vero potere in un paese che ormai guarda al futuro. Come già
avevano fatto altri presidenti nel passato, anche Bush ha riempito il suo
calendario per l'anno appena cominciato con una serie di impegni all'estero,
che lo porteranno dall'Asia all'Europa e all'Africa subsahariana. La scelta del
Medio Oriente per cominciare era in un certo senso naturale, anche per un
presidente che ha ignorato per sette anni il dramma del conflitto israelo-palestinese. Una soluzione del conflitto, ora, lo
porterebbe un passo avanti a Bill Clinton nel giudizio della storia, mettendo
in ombra gli errori della guerra in Iraq. Sia pure con diverse sfumature e con
una diversa enfasi sul dialogo, tra l'altro, nessuno dei candidati per le
elezioni del
( da "Riformista, Il" del
10-01-2008)
Anticipazione l'analisi storica Washington e
Gerusalemme: 60 anni di relazioni speciali e contraddittorie Verso il
superamento della politica dei piccoli passi Si può senz'altro parlare di
Special Relationship tra Stati Uniti e Israele a
patto, tuttavia, che si precisino i termini e le modalità attraverso le quali
tale legame si è articolato nel corso del tempo. Poiché se esiste un tema che è
stato fatto oggetto di fraintendimenti ripetuti, di equivoci reiterati se non
di pregiudizi totali, è proprio ciò che riguarda la qualità e la natura del
legame che intercorre tra questi due paesi. L'ampia diffusione del fortunato
libro di Edward Said, Orientalism , divenuto il testo di riferimento per la
critica all'"imperialismo" culturale ed economico occidentale, ha
contribuito a rafforzare quelle posizioni che riducono l'ampiezza e la complessità
della politica statunitense a pochi, netti e costantemente ripetuti calcoli
d'interesse. In realtà le scelte praticate da Washington, dalla nascita d'Israele ad oggi, sono state spesso così diversificate, di
amministrazione in amministrazione, da risultare tra di loro spesso
contraddittorie. Inoltre, ogni azione era e rimane il risultato della
mediazione all'interno delle diverse componenti della burocrazia amministrativa
e politica. Una policrazia, un complesso di apparati decisionali, si contende
l'ultima parola sul cosa fare e sul come realizzarlo. Fondamentale, da questo
punto di vista, è il trattamento delle informazioni, ovvero cosa si ritiene sia
importante (e chi sia chiamato a stabilire l'ordine delle priorità). Poiché è
solo sulla scorta di ciò che si assumono le decisioni che, di volta in volta,
vengono poi trasformate in atti concreti. Storicamente, negli ultimi
cinquant'anni, gli Usa hanno costruito una serie di robusti rapporti bilaterali
con alcuni paesi della regione, soprattutto l'Egitto e l'Arabia Saudita (prima
del 1979 anche l'Iran della dinastia Pahlevi), sostituendosi negli anni
Cinquanta alla Gran Bretagna e istituendo relazioni privilegiate con le élite
politiche locali, nell'ottica della cooperazione per la sicurezza più che della
innovazione socioeconomica. Per due decenni, tra il 1950 e la fine degli anni
Sessanta, è l'Egitto ad essere al centro delle preoccupazioni statunitensi e a
determinare i passi compiuti dalle diverse amministrazioni succedutesi, da
quella Truman a Johnson. Fino ad una certa data i protettori d'Israele nel consesso internazionale erano da cercarsi nella
Gran Bretagna e nella Francia. Se Harry Truman non aveva mai fatto mistero
della sua simpatia per la causa sionista, buona parte dell'amministrazione
statunitense riteneva inderogabile il proseguimento della politica di
appeasement verso gli arabi. Si ingenerò così una duplice condotta politica,
dove alle aperture della Presidenza verso Gerusalemme facevano seguito le
calcolate chiusure del Dipartimento. La Special Relationship con Gerusalemme
data quindi ad anni recenti e ruota su alcuni elementi che dal 1967 fanno
premio riguardo ad altri aspetti, fino ad allora invece prevalenti. La guerra
dei Sei giorni è l'evento periodizzante, nella misura in cui introduce un ulteriore
fattore di tensione tra Est ed Ovest - quindi di divisione e allineamento tra
fronti contrapposti - che era in parte mancato nei lustri precedenti. Più per
necessità che per una qualche virtù, quindi, è in questo scenario che l'opzione
cade su Gerusalemme, per impedire che il nazionalismo arabo, nella sua versione
più militante e radicale, quella nasseriana, abbia la meglio e con esso i suoi
patrocinatori moscoviti. In realtà la scelta degli Usa, è di mantenere
l'equilibrio militare tra Israele e i vicini arabi,
essendo questi foraggiati abbondantemente dall'Urss. In altre parole, il
sostegno al paese ha più una valenza contenitiva delle spinte altrui che non
una sua promozione come interlocutore privilegiato. Si tratta, nella logica
americana, di un atto di "realismo" più che di idealismo. Gli Stati
Uniti inaugurano così una politica di "grand design", basata sul
bilanciamento dei poteri con l'Urss, marcandola strettamente in ogni suo passo
compiuto nella regione. Il maggiore promotore della svolta che si compie negli
anni Settanta è Henry Kissinger, la cui linea interventista (in sostanza,
maggiore sostegno ad Israele) si confronta con la
cautela di non poca parte delle Amministrazioni Nixon e Ford. Negli anni
Ottanta che il quadro muta ancora. Sulla scena campeggia l'Iran della
"rivoluzione islamica". Non di meno il rinnovato attivismo del regime
sovietico diventa fonte di nuova preoccupazione. Il conflitto arabo-israeliano
perde temporaneamente la sua centralità regionale, sostituendosi ad esso il
Golfo Persico e l'Afghanistan (invaso dai sovietici nel dicembre del 1979). È
in questo contesto, ancora una volta fortemente
polarizzato, che il rapporto tra Usa e Israele si intensifica. L'Amministrazione Reagan, sia pure accordando un
rapporto di partnership militare anche a Arabia Saudita, Egitto e Giordania,
stabilisce e sottoscrive nel novembre del 1981 un memorandum di intesa
strategica con Israele.
La politica di Strategic Cooperation si traduce così in un rapporto di mutua
assistenza su tutti gli ambiti legati alla sicurezza. I successivi sviluppi del
quadro geopolitico, dominati dal declino dell'Unione Sovietica, porteranno gli
americani a superare la politica kissingeriana dei "piccoli passi"
per optare verso un disegno di più ampio respiro, dove l'obiettivo di una
destinazione finale dei Territori palestinesi si accompagni alla contemporanea
transizione verso l'autonomia palestinese. Tratto da "Israele.
Storia dello Stato. Dal sogno alla realtà (1881-2007)", Editrice La
Giuntina 10/01/2008.
( da "Riformista, Il" del
10-01-2008)
Segue eredità Otto anni di occasioni mancate L'11 settembre
ha sconvolto questi piani. Chi era stato eletto come amministratore di
condominio si doveva trasformare in un giorno nel commander-in-chief, in un
generale in guerra. I generali, si sa, non hanno tutti le stesse qualità. Ci
sono brillanti tattici, come Patton o MacArthur, che annientano il nemico sul
campo di battaglia, ma poi credono che la loro abilità li autorizzi a dettare
l'agenda politica al loro presidente. Generali che vincerebbero tutte le
battaglie, per poi perdere le guerre. Che forse non hanno letto bene
Machiavelli e Clausewitz, e finiscono rimossi. Oppure ci sono generali
metodici, non eccelsi sul campo, ma che sanno gestire grandi coalizioni
multinazionali, sanno tenere i generali egocentrici al loro posto e vincono le
guerre. Come Eisenowher. O come Grant. E diventano anche presidenti. Nel XXI
secolo un presidente non comanda in battaglia, ma sceglie i suoi collaboratori
e assegna loro compiti e poteri. Se questi sono incapaci, la colpa, in fine, è
sua e solo sua e su questo la sua legacy è giudicata. Un Segretario alla Difesa
(Rumsfeld) convinto di vincere le guerre al risparmio, certo che l'avversario
sarà così stupido da combattere alle sue regole (un altro cattivo studente di
Clausewitz). Un Vice Segretario alla Difesa (Wolfowitz), ottimo professore, che
ha letto di guerra, ma non ha mai indossato un'uniforme ed è ossessionato dal
prossimo Olocausto e dai fiori che gli iracheni getteranno sugli americani. Un
Vice Presidente (Cheney) che è un "enigma avvolto in un mistero", che
è stato responsabile della Difesa, ma era troppo impegnato (come il suo
presidente) per andare in Vietnam. Un altro pio illuso, convinto,
evidentemente, che quando i soldati muoiono, ci sia la soundtrack di sottofondo
e siano puliti e interi come in un film sulla Seconda Guerra Mondiale. Forse
consapevole di che "corte dei miracoli" aveva riunito, George W. Bush
aveva deciso di affidar il ruolo di chi sta con i piedi per terra alla
professoressa Rice. Se un presidente ha un bravo, e soprattutto realista,
consigliere alla sicurezza nazionale, egli può pretendere di essere
"l'idealista", che guarda agli alti valori. Le presidenze di successo
si fondano su di un mix di grande realismo con un pizzico di idealismo. Alla
fine, anche la professoressa realista si è convinta che si potesse rifare il
Medio Oriente dalle scrivanie sul Potomac, e non risolvendo
il conflitto israelo-palestinese, che richiedeva tutti e otto gli anni della
presidenza e non un misero viaggio all'undicesima ora. Il 12 settembre eravamo
veramente tutti "americani". Solo un carattere al di fuori
dell'ordinario poteva mettere insieme un team che così bene riuscisse a gettare
al vento il credito e la simpatia di quel giorno. La cosa peggiore però
è che quando arriverà il giorno in cui servirà veramente che l'America
"faccia l'America", gli americani saranno diventati troppo
isolazionisti, troppo amareggiati e delusi per quello che è successo dentro e
fuori il loro paese e si gireranno dall'altra parte. E chi rimetterà insieme
Umpty Dumpty allora? Giampiero Giacomello 10/01/2008.
)
( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)
( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)
( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)
( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)
( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)
( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)
( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)
( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)
( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)
( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)
( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)
( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)
( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)
( da "Foglio, Il" del 10-01-2008)
( da "Opinione, L'" del 10-01-2008)
( da "Opinione, L'" del 10-01-2008)
( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)
( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)
( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)
( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)
( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)