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ARCHIVIO GENERALE DEL DOSSIER  ISRAELE/PALESTINA.

DAL 10 AL 31 GENNAIO 2008


 

 TUTTI I DOSSIER


 

 

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Articoli del 29-30-31 gennaio 2008

Articoli del 28-1-2008

Articoli del 27-1-2008

Articoli del 26-1-2008

Articoli del 24 e 25 gennaio 2008

Articoli dal 18 al 23 gennaio 2008

Articoli dal 13 al 17 gennaio 2008

Articoli del 12-1-2008

Articoli dell’11-1-2008

Articoli del 10-1-2008

 

ARCHIVIO GENERALE DEL DOSSIER

 

ARTICOLI DEL 28-1-2008

Scritto&parlato ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

Quarto giorno d'aria per i palestinesi di Gaza ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

La forza di resistere Un incontro a Roma ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

È morto George Habash ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

I palestinesi riconoscano Israele, rinuncino al terrore e aprano alla democrazia ( da "Stampa, La" del 28-01-2008)

IL GIORNO DELLA MEMORIA LAUREA HONORIS CAUSA A FIRENZE 0 Grossman 'colomba della Shoah' in volo contro tutti i massacri ( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 28-01-2008) + 1 altra fonte

Dal Gerrei alle Alpi per salvare gli ebrei ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)

Hamas detta l'agenda di Olmert e Abu Mazen ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)

Elie Wiesel: La Shoah resta il Male assoluto ( da "Unita, L'" del 28-01-2008)

La memoria - (segue dalla prima pagina) ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)

Israeliana la guerra in Libano continua a far danni ( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)

GENERAZIONI A CONFRONTO UN CAFFE' CON MADGI ALLAM, L'EGIZIANO CHE DISSE "VIVA ISRAELE" ( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)

"l'arte ci aiuta contro il male" - fulvio paloscia ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)

Olmert promette aiuti umanitari ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)

La bistecca fa male alla terra l'effetto serra ci cambia la dieta - mark bittman new york ( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)

Alfonso Arbib: <L'antisemitismo sottile è la minaccia di oggi> ( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)

I religiosi pronti a impallinare Olmert ( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)

ROMA Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, parte oggi per Israele, subito dopo le ( da "Messaggero, Il" del 28-01-2008)

La guerra che non si può vincere ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

Morto George Habash, stratega dei dirottamenti ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

Padre Desbois disseppellisce la <Shoah delle pallottole> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

Anche al piano Barenboim è autorevolezza ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

Shoah, Milano al Binario 21 <Orrore da non dimenticare> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

AnnaFrankconkeffiyah:<Oltraggio> ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

Israele: l'antisemitismo è in calo in Europa ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

Ecco le tessere naziste di Herbert von Karajan ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

FORZE ARMATE ( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

Cala l'antisemitismo in Europa secondo un rapporto dello Stato di Israele Shoah, ricordo indelebile Giornata della memoria Manifestazioni in tutta Italia Oggi a Roma convegno su Ol ( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)

Vittima della ferocia d'una ideologia di sterminio, ma anche ( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)

L'eroe di San Nicolò che salvò centinaia di ebrei ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)

Gaza, buio in scena vince la propaganda ( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)

Intervista a Franco Perlasca / Anche l'Italia ha il suo "Schindler" ( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)

Israele e le nostre responsabilità ( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ ( da "Stampa, La" del 28-01-2008)

Gaza una situazione sempre piu' complessa ( da "Voce d'Italia, La" del 28-01-2008)


Articoli

Scritto&parlato (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

 

Scritto&parlato Israele e le nostre responsabilità La mia nota, sul manifesto del 24 gennaio, contro il boicottaggio alla Fiera del libro di Torino, ha provocato molte reazioni negative, tutte - schematizzo - concentrate su un punto: lo stato d'Israele perseguita i palestinesi e quindi è giusto e doveroso boicottare la sua presenza alla Fiera del libro. Le lettere sono molte. Non è possibile pubblicarle tutte e alcune ho dovuto tagliarle. Chiedo scusa e vengo alla risposta. Innanzitutto ringrazio perché la discussione che si apre è seria e coinvolgente, e dovrebbe continuare. Certo l'attuale comportamento d'Israele porta acqua al mulino dei miei critici, ma possiamo destoricizzare la questione? Caro Michele la persecuzione degli ebrei in tutto il mondo non è un mito del recente passato. La persecuzione è antica e noi cristiani siamo intervenuti con "il popolo deicida", responsabile della crocifissione di Gesù Cristo e poi, vado a memoria, la cacciata dalla Spagna a opera della cattolica Isabella e per ultimo (ma non definitivo) la Shoah . Insomma - penso io - che sarebbe un grave errore destoricizzare la questione ebraica e ridurla solo allo stato d'Israele, perché, peraltro, sempre a mio parere, contrasta con l'essenza dell'ebraismo, che è la diaspora. Insomma non possiamo ridurre la questione ebraica all'attuale stato d'Israele, che pure è un'espressione dell'ebraismo. E poi - aggiungo - dovremmo sforzarci di una riflessione storica anche sui palestinesi, che - sempre a mio parere - sono gli ebrei del mondo arabo: intelligenti e perseguitati; dall'imperialismo occidentale e dalla feudalità araba. Tanto che io credo che la formula "due popoli uno stato", cioè uno stato ebreo-palestinese sarebbe la soluzione naturale, ma impossibile nel contesto dello scontro tra i poteri internazionali forti. Uno stato ebraico-palestinese (lo propone Gheddafi) sarebbe una grande innovazione di pace, ma nell'attuale contesto è impossibile. In tutti i modi critichiamo Israele e la sua politica, ma rinunziamo all'arma del boicottaggio, che ci riporta indietro nei secoli e va contro gli scrittori israeliani che criticano aspramente in governo. p.s. E poi se vogliamo complicare la cosa ancora di più rileggiamoci "Il problema ebraico" di Karl Marx. Valentino Parlato Schiavo del mito? Caro Valentino, ti sono molto affezionato e conosci il grande rispetto che ho per il tuo lavoro. Devo però dirti che sono rimasto senza parole leggendo il tuo intervento sulla Fiera del libro. Senza offesa, mi sconvolge la banalità delle tue motivazioni. Non perché sostengono che sia sbagliato boicottare, ma per il fatto che non sono vere motivazioni. Appaiono un'artificiale difesa d'ufficio di uno stato che è ben lontano dal mito che ti affascinò 60 anni fa. Nelle ragioni che elenchi manca un filo di logica, un filo di analisi, rispetto a quello che accade sul terreno. Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. Gli israeliani stanno costruendo un nuovo apartheid che tu però neghi perché non vuoi accettare una realtà che si scontra con il mito. Eppure il nostro amico Daniel Amit aveva saputo spiegarcelo in modo così chiaro. A denunciarlo da anni è anche il maestro Daniel Baremboim, che non è certo un pericoloso estremista. Gli israeliani non sono afrikaner? Vero, ma si comportano allo stesso modo. Con il cuore colmo di delusione. Michele Giorgio Insisti nell'errore Caro Parlato, ho letto il tuo articolo di giovedì scorso. Mi ha colpito molto. Non posso pensare che le cose dette siano frutto di ignoranza, quindi perché? Per sostenere di essere contrario al boicottaggio dimentichi che anche associazioni democratiche israeliane lo sostengono, che è "anche" il 60.mo anniversario della Naqba palestinese (la "memoria" non è a senso unico), che un israeliano non è sempre ebreo, tra gli israeliani ci sono musulmani (molti), cristiani, drusi, atei; ci sono ebrei discriminati da altri ebrei, e è ipocrita dire che boicottare lo stato di Israele per la politica e le azioni contro i palestinesi che porta avanti è essere contro gli ebrei tout court. E cosa c'entra tirare in ballo il ghetto di Varsavia con il boicottaggio ? Non nascondiamoci dietro il dito degli scrittori di grande levatura presenti, tre dei quali portatori accondiscendenti della politica israeliana verso i palestinesi, quando la cultura del paese è molto variegata: dove sono i cosidetti nuovi storici o dissenzienti dal sionismo o gli scrittori palestinesi di Israele? Già sono discriminati in Israele e lo sono anche in Italia. Se fossero stati invitati forse avresti avuto più frecce al tuo arco. E infine, caro Parlato, non è vero che un libro va sempre rispettato, dipende da quello che trasmette e sono sicuro che anche per te molti libri non vanno rispettati. Allora ho l'impressione che usi questi argomenti solo per un pregiudizio, quello di difendere sempre e comunque il governo israeliano. Lino Zambrano cooperante Ong Cric Gaza Invecchi male L'articolo di Valentino Parlato in cui condanna quanti sono impegnati a boicottare l'edizione della Fiera del Libro (dove si vorrebbe ospite d'onore Israele) andrebbe stampato in milioni di copie e fatto girare ovunque. E' un testo che offre molte ragioni proprio a chi vuole boicottare la Fiera. Cosa dice Parlato? Qualunque cosa abbiano o commettano, gli israeliani vanno giustificati. Non li si può condannare oltremodo perché loro, gli israeliani, hanno subito forti persecuzioni da parte dei cattolici prima e dei nazisti poi. Ora, ditemi quale uomo o donna con un minimo di senno può pensare un abominio del genere. Io credo che nemmeno i filo-israeliani che andranno alla Fiera (se rimarrà come voluto dal Comitato che gestisce l'ente, il cui capo è iscritto alla loggia P2, tessera 2095) possano prendere le parole di Parlato per recarsi a Torino senza vergogna. Il "nostro" in un sol colpo è riuscito a spazzare via le idee di Primo Levi, Franco Fortini, Luigi Pintor e infine Stefano Chiarini (che mi sembra un bel modo di ricordarlo ad un anno dalla sua morte). Inoltre ha mandato a quel paese quegli israeliani che si rifiutano di stare dalla parte dell'occupazione. Ha stracciato, infine, molti vecchi articoli della Rossanda, di se stesso... Una cosa ha dimostrato Valentino Parlato: non è sempre vero che si invecchia bene, a volte lo si fa nel peggiore dei modi, come a esempio stare dalla parte degli aguzzini contro le vittime. Francesco Giordano Gli ebrei non sono Israele Caro Valentino Parlato, in relazione al tu articolo, "Un boicottaggio sbagliato", devo dire che condivido l'idea che il boicottaggio possa essere uno strumento a volte discutibile, ma non era questo il tema principale del tuo articolo. Tu sei entrato, mi sembra, proprio nel merito dell'opportunità di contestare lo stato di Israele, e non hai colto, mi sembra, quello che per molti di noi, almeno tra i lettori del manifesto, è invece una discriminante che non viene colta neppure da altri "compagni": l'esistenza di uno stato etnico, anzi, di più, uno stato religioso. Mentre si lotta (forse non tutti) per conservare nel nostro paese almeno il principio della laicità, si accetta che esista, e lo si sostiene, uno stato basato sulla religione (quella ebraica in questo caso) come fosse la cosa più naturale del mondo, anzi, siamo disposti a sostenere che la sua esistenza difenda il diffondersi della democrazia nel mondo. Più volte nel tuo articolo confondi lo stato di Israele con l'ebraismo; cito: "riconoscere agli ebrei il diritto a avere un territorio e uno stato, era obbligatorio", "Gli israeliani - che sono sempre ebrei...", "la persecuzione del popolo ebraico" (a sostegno della necessità dell'esistenza di uno stato ebraico), "non solo perché gli israeliani sono ebrei e non afrikaner", tutte frasi estratte dal tuo articolo, e che, mi sembra, sostengono la necessità dell'esistenza di uno stato appunto ebraico, basato sull'appartenenza religiosa. Un assunto del genere, anche se, come dici tu condiviso dal "compagno Stalin", non lo trovo affatto condivisibile, almeno non dai "compagni" che leggono il manifesto (sono tra l'altro abbonato da vari anni). Con affetto. Francesco Andreini Ebraismo e sionismo Gentile signor Parlato, lei scrive che c'è boicottaggio e boicottaggio... Si potrebbe aggiungere: c'è violenza e violenza, ci sono oppressori e oppressori. E oppressi e oppressi. Per lei, evidentemente, Israele è un oppressore autorizzato e quella israeliana una violenza doc. Perché il boicottaggio contro lo stato razzista del Sudafrica andava bene, mentre quello contro Israele, stato altrettanto razzista e basato sull'apartheid, no? Perché continuare volutamente a confondere ebraismo con sionismo e con la creazione di Israele? E' una manipolazione, è scorretto e allontana qualsiasi giusta soluzione alla questione palestinese. E non aiuta neanche gli ebrei, confusi con le feroci scelte politiche e militari di uno degli stati più spietati del mondo. La Redazione di www.infopal.it Peggio per Stalin Leggendo l'articolo di Valentino Parlato in cui si schiera contro il boicottaggio della Fiera del libro ho provato, confesso, un senso di sgomento. Sgomento che deriva in parte dal difficile momento storico che il popolo palestinese sta attraversando, stretto tra un'occupazione quanto mai feroce e una crescente indifferenza internazionale, che ci impone urgenza nello schierarci in modo netto dalla parte degli oppressi. Ma anche le argomentazioni addotte contro il boicottaggio non mi convincono. In primo luogo viene ricordato che "dopo la seconda guerra mondiale riconoscere agli ebrei il diritto di avere uno stato e un territorio era obbligatorio". Riconoscere il diritto di fondare uno stato ebraico in Palestina, in onore al vecchio testamento, non era affatto obbligatorio e si è rivelato un colossale disastro storico anche se, come ricorda Parlato, "anche Stalin fu a favore". La domanda sorge spontanea: e con ciò? La nascita dello stato di Israele non fu un risarcimento al popolo ebraico per i torti subiti durante la guerra ma il compimento di un progetto sionista studiato nei dettagli, messo in moto da Herzl alla fine dell'800 e portato avanti in modo continuo per tutta la prima metà del XX secolo. La fine della guerra e la conoscenza in Europa degli orrori dell'olocausto determinarono un clima favorevole alle risoluzioni che portano al riconoscimento di Israele. Ben diverso dall'affermare l'obbligatorietà dell'atto. Mi sembra inoltre importante sottolineare che non credo sia obiettivo del boicottaggio la cancellazione del riconoscimento di Israele da parte della comunità internazionale, semmai ricordare a Israele che le risoluzioni della stessa comunità internazionale andrebbero applicate anche quando contrarie ai propri interessi. I confini non dovrebbero essere disegnati coi mattoni su percorsi decisi dal ministro della difesa e ci sono convenzioni che si farebbe bene a rispettare. Chi è stato cacciato dalla propria casa dovrebbe poterne far ritorno così come l'esercito israeliano non dovrebbe poter arrestare delle persone nei territori occupati per poi portarle in Israele e dimenticarle in gattabuia. L'assedio medievale che costringe Gaza alla fame non dovrebbe essere permesso. Cosa c'entri la seconda guerra mondiale con tutto questo non mi è del tutto chiaro. Sicuramente c'entra tanto quanto l'aneddoto sugli ebrei del ghetto di Varsavia che cantarono l'internazionale prima di essere massacrati. Apprezzo il racconto e mi commuove intimamente, anche in virtù di mia nonna, ebrea polacca, ricordare quell'orribile massacro. Ma continuo a non trovare il nesso. Al punto crucialedell'articolo apprendo che "c'è boicottaggio e boicottaggio, quello contro i razzisti sudafricani era più che giusto" ma "Gli israeliani - che sono sempre ebrei - per quanti torti abbiano nei confronti del popolo palestinese non sono in alcun modo paragonabili ai razzisti sudafricani". E perché? Perché per quanti torti facciano, distinguendosi sulla base di un'appartenenza razziale/religiosa, a un altro popolo, non sono paragonabili agli afrikaner? Perché uno stato che ha come fondamento l'appartenenza alla stirpe di Davide, che ritiene il colonialismo un diritto concesso dalla bibbia, che riduce alla fame, alla prigionia, all'umiliazione, il popolo palestinese, non può essere paragonato al Sudafrica razzista? Sia dalla costruzione lessicale, sia da quanto segue nell'articolo, sembrerebbe che ciò che li esonera dal confronto sia proprio la loro condizione di ebrei. Infatti ci viene ricordato che "c'è la storica persecuzione del popolo ebraico, ci sono i ghetti e i campi di sterminio". E oggi ci sono i campi profughi, i check point, le carceri israeliane, l'occupazione, gli assasinii mirati e non. C'è il muro. Credo che un segnale di ripudio forte, netto, e soprattutto non isolato nel tempo contro queste politiche sia molto più importante che un qualsiasi dibattito letterario, per quanto interessante e costruttivo. Mariano Heluani, Caserta Boicottaggio opportuno Raramente non mi trovo in totale e convinta sintonia con Valentino Parlato, ma il suo intervento sulle polemiche che stanno accompagnando la Fiera internazionale del libro di Torino del prossimo maggio non ha fugato tutti i miei dubbi. Non sono in grado di entrare nel merito della querelle, non conoscendo la storia e l'opera degli autori ebraici invitati alla Fiera di Torino. Mi sento però di affermare che, qualora le voci di dissenso, non dico a "questo" governo israeliano ma a tutti gli esecutivi che si sono là succeduti negli ultimi 10-15 anni, non fossero sufficientemente ospitate nella manifestazione torinese allora una qualche forma di boicottaggio sarebbe non solo tollerabile ma quantomeno auspicabile e opportuna. Se non altro per ricordare la differenza (troppo spesso dimenticata) che c'è tra oppressi e oppressori, e che quando un popolo che fu vittima si trasforma in carnefice allora non può più invocare a sua difesa i torti subiti in passato. Enzo Lanciano Il razzismo israeliano Nel suo articolo di giovedì scorso, Valentino Parlato si oppone fermamente al ventilato boicottaggio della Fiera internazionale del libro di Torino che avrà Israele quale ospite d'onore. Le argomentazioni di Parlato (di cui sono un estimatore) stavolta però non convincono. Nel taglio basso di prima pagina scrive d'essere stato a favore del boicottaggio del Sudafrica, ma gli israeliani, sostiene, non sono razzisti come lo erano gli afrikaner. A me pare fuorviante stare a pesare il razzismo dell'uno o dell'altro (quando questo è un tratto comune). Sul razzismo di Israele mi limito a rinviare al saggio "Le racisme de l'Etat d'Israel" di Israel Shahak, che fu presidente della Lega dei diritti dell'uomo di Israele, e al più recente "Shalom fratello arabo" di Nathan Susan. Sugli effetti del razzismo israeliano parla ( almeno sul manifesto, per fortuna di noi lettori) la cronaca quotidiana. Il boicottaggio ha senso quando non è solo contro ma anche quando è per. Il boicottaggio del Sudafrica fu contro l'apartheid e per sostenere la lotta di liberazione dei neri, come era stato chiesto da Nelson Mandela. Il necessario boicottaggio della Fiera (ma non solo di questa) sarebbe contro Israele, che pure pratica l'apartheid, e per sostenere i diritti dei palestinesi, come chiedono quest'ultimi, (vedi l'intervista a Omar Barghouti sul manifesto del 22 gennaio scorso). Israele andrà difeso, quando opererà realmente a favore della pace, nel rispetto del diritto internazionale, e non perché gli ebrei furono trucidati nei campi concentramento. Argomentazioni di questo tipo nuocciono allo stesso Israele! E se la Fiera venisse boicottata dagli stessi Oz, Grossman, Yehoushua, dagli scrittori israeliani e ebrei che si dicono a favore dei diritti dei palestinesi, quei diritti che il loro paese continua a calpestare da sessant'anni? Se questi intellettuali (si)chiedessero: cosa mai dovremmo festeggiare? La storia, antica e moderna, è ricca di esempi di intellettuali che, coerentemente alle proprie posizioni, si sono opposti anche fino alle estreme conseguenze, a scelte, errate, e scellerate, dei propri governanti. Gaddo Melani Riva San Vitale Svizzera.

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Quarto giorno d'aria per i palestinesi di Gaza (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

 

A Rafah, la barriera fra l'Egitto e la Striscia è ancora giù. Ma presto gli egiziani la rimetteranno in piedi e Gaza tornerà un lager. Pacifisti israeliani e palestinesi manifestano insieme al valico di Erez Michele Giorgio Inviato a Erez La frontiera ancora aperta a Rafah non deve illudere nessuno. Gaza era e rimane un territorio sotto assedio, stretto nella morsa del blocco israeliano. Quando gli egiziani chiuderanno il valico, questo lembo di terra palestinese tornerà ad essere una prigione. A ricordarlo a tutti sono stati ieri un migliaio di pacifisti israeliani, attivisti palestinesi e stranieri che, in convoglio, da varie città israeliane e da Gerusalemme hanno raggiunto il valico di Erez, tra Gaza e Israele, per consegnare aiuti umanitari e, più di tutto, per gridare al mondo di liberare il popolo di Gaza. Un grido che non si è levato solo ad Erez perché, nello stesso momento, si sono svolte manifestazioni in sostegno di Gaza in una trentina di città di tutto il mondo tra cui Parigi, Boston, New York, San Francisco, Londra e le italiane Roma, Modena, Bologna, Grosseto, Napoli e Milano. Giunti ad Erez con auto e bus, israeliani, palestinesi e stranieri si sono diretti, scadendo slogan in ebraico ed arabo, a piedi verso il terminal. Un corteo colorato, composto di persone di tutte le età. Tante le bandiere, anche quelle rosse con la falce e il martello, e striscioni, tra cui quello delle donne ebree e palestinesi (molte delle quali velate) unite nella lotta. Gli interventi più applauditi sono stati quelli di Uri Avnery, della professoressa Nurit Peled Elhanan e del medico palestinese Eyad Sarraj che, grazie ad un collegamento telefonico amplificato, ha parlato da Gaza per sottolineare l'importanza di una saldatura delle forze progressiste e pacifiste israeliane e palestinesi nella battaglia per la fine dell'occupazione. Jeff Halper, coordinatore del "Comitato israeliano contro la demolizione delle case", si è rivolto agli abitanti di Sderot che subiscono i lanci di razzi dalla Striscia di Gaza. "Amici di Sderot - ha detto -, il governo Olmert vi tiene in ostaggio, vi obbliga a vivere in una condizione di difficoltà e paura. Hamas ha proposto una tregua immediata ma il governo continua ad ignorarla allo scopo di proseguire la sua politica di assedio di Gaza. Uscite dalle vostre case, unitevi a noi nella lotta nel progetto di una pace giusta per entrambi i popoli". Ad una quarantina di km di distanza, dall'altra parte di Gaza, migliaia di palestinesi continuavano a riversarsi, per il quarto giorno consecutivo, in territorio egiziano approfittando dei nuovi varchi aperti nella barriera di confine dai militanti di Hamas. Si passa anche con le automobili e gli autocarri e i taxisti di Gaza ora organizzano tour turistici fino alla cittadina egiziana di el-Arish, distante una sessantina di chilometri, per la somma di 40 shekel (circa 8 euro). Da ieri c'è anche un flusso in senso contrario, con centinaia di commercianti egiziani che vengono nella Striscia per concordare nuove forniture di generi alimentari e merci di ogni tipo. Non mancano anche gli egiziani desiderosi di visitare un territorio martoriato alle porte del loro paese. Si sono ripetuti gli scontri tra palestinesi e polizia di confine egiziana - il Cairo riferisce del ferimento di una quarantina di agenti, alcuni dei quali sarebbero in gravi condizioni - ma allo stesso tempo dall'Egitto giunge la rassicurazione che la frontiera rimarrà aperta fino a quando i palestinesi non avranno concluso i loro approvvigionamenti. La linea egiziana è mutata più volte in questi giorni, sotto la spinta delle pressioni interne sul regime di Mubarak, volte ad ottenere un aiuto più concreto ai palestinesi, e di quelle di senso contrario provenienti da Usa e Israele. Il Cairo ora sta cercando una via d'uscita politica e se da un lato lancia accuse ad Hamas, dall'altro, dietro le quinte, dialoga con il movimento islamico palestinese. Ieri il ministro degli esteri Ahmed Aboul Gheit ha rinnovato l'offerta di ospitare al Cairo una conferenza per la riconciliazione fra i gruppi palestinesi, già accettata da Hamas ma alla quale il presidente dell'Anp, Abu Mazen, ha risposto con un secco "no" e ha posto come condizione la rinuncia immediata del movimento islamico al controllo della Striscia di Gaza. Aboul Gheit ieri ha incontrato il premier del governo di Ramallah, Salam Fayaad. Di Gaza si parlerà oggi a Gerusalemme durante il nuovo incontro tra Abu Mazen e il premier israeliano Olmert. Abu Mazen ieri ha chiesto ai gruppi armati palestinesi di fermare i lanci di razzi su Israele.

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La forza di resistere Un incontro a Roma (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

 

Palestina La forza di resistere Un incontro a Roma Geraldina Colotti Roma "La tenacia di resistere, il coraggio di rifiutare". Questo il titolo dell'incontro, promosso da un cartello di associazioni pacifiste (Donne in nero, Ebrei contro l'occupazione, Fiom-Cgil, Prc-Se, Comunità palestinese Roma e Lazio, Arci) che ieri a Roma per 4 ore ha tenuto alta l'attenzione nell'affollatissima sala della rivista Carta. Sul grande schermo, la gente di Gaza che attraversa il muro fatto saltare da Hamas con la dinamite: donne e bambini di quella società civile, che è stata al centro della giornata globale dei Wsf. Al tavolo, i pacifisti di Bil'in-Palestina (Basel Mansour), che ogni venerdì manifestano mano nella mano. Bil'in è un piccolo villaggio che il muro ha privato delle terre, nella colonia ebraica di Modi'in, in Cisgiordania: una colonia importante, che prende le terre di cinque villaggi palestinesi. Insediamenti che crescono rapidamente e stanno per ottenere lo statuto di città, mostrando il ruolo del muro nella politica dei fatti compiuti di Israele. Sotto accusa, per questo, il silenzio colpevole dell'Europa, incapace di una risposta efficace alle sollecitazioni degli attivisti - ha detto Alessandra Mecozzi -, registrando "la regressione e l'impotenza" dei movimenti di solidarietà per la Palestina, sotto ricatto da parte di un'informazione "incapace di dire la verità su quel che accade". Accenti ancora più amari quelli dell'europarlamentare Luisa Morgantini, che ha riscontrato la perdita "di identità nazionale" delle forze palestinesi, che si "presentano divise" al tavolo della trattativa. E intanto, l'atteggiamento di Israele pone "un problema di legalità internazionale che travalica il conflitto Israelo-Palestinese", e interroga l'efficacia e la praticabilità degli obiettivi sostenuti fino ad ora da una parte dei movimenti di solidarietà. "La soluzione due popoli due stati sta svanendo, anche i pacifisti lo percepiscono - ha detto Lama Hourani (International women commission, Gaza-Palestina)". Ma l'interrogativo resta: "se Israele non accetta due stati divisi, come potrebbe garantire pari diritti e opportunità ai palestinesi all'interno di uno stesso stato?". Quanto Israele stia diventando impermeabile alle richieste di pace che provengono anche dal suo interno, lo ha mostrato il refusenik Noam Livne: "Abbiamo rifiutato il servizio militare prima dello scoppio della seconda intifada dicendo: non attraverseremo la linea verde con le uniformi militari. Quando siamo diventati tanti, l'esercito al posto dei riservisti, più coscienti, ha mandato i soldati di leva nei territori occupati. Oggi il rifiuto è meno netto. Dobbiamo trovare altre modalità d'azione".

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È morto George Habash (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

 

Era il fondatore dell'Fplp la formazione marxista dell'Olp. Aveva 81 anni, era nato a Lydda (Lod), dal '48 non era mai più tornato in Palestina Michele Giorgio "George Habash per noi era la coscienza della Palestina, l'uomo che aveva cercato con la sua azione politica di tenere legate insieme la memoria collettiva del nostro popolo con l'idea del progresso". Sono state queste le parole che ci ha detto la parlamentare palestinese Khalida Jarrar dopo l'annuncio del morte avvenuta ieri ad Amman del fondatore del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), formazione di marxista, la più importante dell'Olp subito dopo Fatah. E proprio di Fatah e del suo leader Yasser Arafat (morto nel 2004), Habash era stato un acceso rivale mettendone in continuo dubbio la linea politica che giudicava rinunciataria e dannosa alla causa palestinese. A provocare la morte di Habash, 81 anni, è stato un attacco cardiaco: da molti anni era gravemente ammalato e le sue condizioni erano peggiorate in questi ultimi mesi. La sua scomparsa è avvenuta alla vigilia della ripresa del processo in Israele ad Ahmad Saadat, l'attuale segretario generale del Fplp. Israele ha ucciso all'inizio della seconda Intifada il predecessore di Saadat, Abu Ali Mustafa. George Habash in Palestina non è mai tornato dopo averla dovuta lasciare, come altre centinaia di migliaia di palestinesi, nel 1948. Nato 1926 a Lydda (l'attuale città israeliana di Lod) in una famiglia di commercianti di fede greco-ortodossa aveva diviso in gioventù le sue passioni tra lo studio della medicina e il nazionalismo palestinese. Divenne medico a Beirut e per questo in politica ebbe il soprannome di "il dottore". Convinto marxista, cercò di coniugare la lotta per la liberazione dei lavoratori con quella del suo popolo. Nel 1952 creò il Movimento dei nazionalisti arabi (di ispirazione nasseriana) e nel 1967, dopo la disfatta araba nella Guerra dei sei giorni con Israele, fondò il Fplp, marxista-leninista, in aperta contrapposizione ideologica con Arafat che a sua volta aveva preso il pieno controllo di Fatah. Dal Fplp un anno dopo si staccarono due nuovi gruppi, il più moderato Fronte democratico per la liberazione della Palestina (Fdlp) e il Fplp-Comando generale (Fplp-Cg) controllato (ancora oggi) della Siria. Habash visse in quegli anni tra Libano, Giordania e Siria, spesso ponendosi in contrasto con le autorità locali a causa della sua attività che abbinava la lotta per la Palestina con l'ideale rivoluzionario. Divenne un leader noto in tutto il mondo per le operazioni dei combattenti del Fplp, alle quali partecipavano talvolta anche rivoluzionari di altri paesi. Nel 1970 i suoi guerriglieri, allo scopo di ottenere la liberazione di prigionieri politici, dirottarono tre aerei di linea in Giordania e, dopo aver liberato i passeggeri, li distrussero. Per Habash solo la trasformazione radicale del Medio Oriente e il rovesciamento di monarchie ed emirati alleati degli Usa e delle ex-potenze coloniali, avrebbero potuto ridare pieni diritti ai palestinesi e portare allo stesso tempo alla liberazione delle masse lavoratrici arabe. Entrò, ma non solo per questa ragione, in aperto conflitto con il sovrano hashemita Hussein che ordinò una dura repressione contro i guerriglieri palestinesi in Giordania: il "Settembre nero". Habash allora si rifugiò come molti altri palestinesi in Libano. Dopo l'invasione israeliana del 1982, si spostò a Damasco. Nel '92 fu colpito da un ictus che lo limitò molto ma non ciò non gli impedì di riconoscere i gravi limiti e, quindi, di respingere gli accordi di Oslo tra Olp e Israele che Arafat avrebbe firmato nel 1993. Con Habash se ne va un altro pezzo di storia palestinese. Lo riconosce anche l'Anp di Abu Mazen che ha proclamato tre giorni di lutto nazionale.

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I palestinesi riconoscano Israele, rinuncino al terrore e aprano alla democrazia (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 28-01-2008)

 

LA PACE IN MEDIO ORIENTE COME SI BATTONO I TERRORISTI "I palestinesi riconoscano Israele, rinuncino al terrore e aprano alla democrazia" "Braccandoli, aumentando le dimensioni dell'esercito e rafforzando l'intelligence".

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IL GIORNO DELLA MEMORIA LAUREA HONORIS CAUSA A FIRENZE 0 Grossman 'colomba della Shoah' in volo contro tutti i massacri (sezione: Israele/Palestina)

( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 28-01-2008)
Pubblicato anche in:
(Giorno, Il (Nazionale))

 

IL GIORNO DELLA MEMORIA LAUREA HONORIS CAUSA A FIRENZE Grossman 'colomba della Shoah' in volo contro tutti i massacri di LEONARDO STURIALE SERVE una "colomba della Shoah" perché il Giorno della Memoria sfugga ai rischi dell'obbligo rituale, trovi il proprio "significato universale, non esclusivamente ebraico", non diventi "un tributo pagato dal senso di colpa europeo". "Ogni ebreo, che lo voglia o no, è un colombo viaggiatore della Shoah", dice David Grossman (nella foto). E pochi sanno volare alti come lui. Lo scrittore israeliano, 54 anni compiuti da due giorni, laureato ieri honoris causa dall'Università di Firenze, sale sul podio per raccontare la "sua" memoria, o meglio la nostra. E' UNA LEZIONE sull'umanità, sull'arte che riporta al presente i testimoni della tragedia, rende attuali, personali, gli interrogativi della storia. Grossman, amatissimo dai lettori italiani che da ieri a Firenze si accalcano per stringergli la mano, non è mai sfuggito a questo compito. Ne ha fatto, anzi, la sua bandiera, a partire da Vedi alla voce: amore, il suo primo capolavoro. Scritto, racconta Grossman, perchè "non avrei potuto comprendere appieno la mia vita di essere umano, di padre, di ebreo, di israeliano e di scrittore, fintanto che non avessi sperimentato, grazie alla scrittura, l'esistenza che non avevo avuto laggiù, all'epoca della Shoah. Dovevo capire se, e in che modo, sarei stato in grado di mantenere una parvenza umana qualora mi fossi trovato laggiù, come una delle vittime o, Dio non voglia, uno dei carnefici. Volevo sapere cosa un uomo deve cancellare, o rimuovere, dentro di sé per poter essere parte di un meccanismo omicida. Per poter sopprimere altri, o anche "soltanto" accettare quella situazione in silenzio". Interrogativi che non riguardano solo l'Olocausto, quella Storia e chi ne è testimone, diretto o indiretto, ma che sono rivolte a tutti noi, oggi, nella nostra storia. Domande che concernono "anche il nostro rapporto con gli stranieri, i diversi, i deboli di ogni nazione del globo", aggiunge Grossman mentre punta il dito contro "l'indifferenza che il mondo mostra, di volta in volta, verso episodi di massacro in Ruanda, in Congo, in Kosovo, in Cecenia, nel Darfur". QUI STA il significato universale della Giornata della Memoria, come la interpreta la colomba Grossman. Qui sta anche la differenza tra lo scrittore e il cronista, che segue piatto gli eventi, mettendo al riparo il lettore dal messaggio. Grossman, che giornalista è stato, sa bene quale sia il potere dell'arte, la sua, capace di sradicare l'uomo dalla routine dell'orrore proposta dai mass media. Un costruttore di pace, come Grossman, parte da qui. E dal dolore di un padre che ha perso il figlio Uri in battaglia nel luglio 2006, l'ultimo giorno di una guerra in Libano di cui Grossman, insieme ad Amos Oz e Abrham Yehoshoua aveva appena chiesto la fine. Ma ci crede ancora alla pace David Grossman? "Ho sempre speranza, non posso permettermi il lusso di non averla. Ma il momento è molto difficile sia per gli israeliani che per i palestinesi. E non posso dire che i leader di entrambe le parti, siano in grado di fare ciò che dovrebbero. Non ancora, almeno". - -->.

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Dal Gerrei alle Alpi per salvare gli ebrei (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)

 

Primo Piano Pagina 105 Dal Gerrei alle Alpi per salvare gli ebrei Una medaglia di Israele ricorda il finanziere Salvatore Corrias --> Una medaglia di Israele ricorda il finanziere Salvatore Corrias Fu ucciso nel gennaio '45 a 36 anni dalle Brigate nere per aver aiutato centinaia di ebrei a fuggire in svizzera. Ora l'Italia ricorda Salvatore Corrias, eroico finanziere di San Nicolò Gerrei. Una medaglia d'oro al merito civile e la medaglia dei giusti tra le nazioni sarà consegnata alla memoria dell'eroico finanziere di San Nicolò Gerrei Salvatore Corrias. L'appuntamento è per domani alle 11 presso il salone d'onore della caserma Sante Laria a Roma, in Piazza Armellini. La consegna verra fatta dal Comandante generale della Guardia di Finanza e dall'ambasciatore dello Stato d'Israele. Saranno presenti il sindaco di San Nicolò Gerrei Silvestro Furcas ed il vice sindaco Maddalena Soro. "Sarà un momento di grande commozione-dice Furcas.- un riconoscimento per la memoria di un eroe che ha dato lustro a San Nicolò Gerrei ma anche a tutta la Sardegna. Le sue gesta di altruismo non potevano essere dimenticate". In realtà di Salvatore Corrias sino a qualche anno fa si sapeva molto poco. Nel 2004 il Comune di San Nicolò Gerrei dopo aver letto un articolo su un giornale della diocesi di Ales, si è occupato di questo suo eroe, promuovendo ricerche tra il Distretto militare, la Guardia di finanza e il Comune di Moltrasio in provincia di Como dove l'eroe aveva vissuto. "Abbiamo parlato con i familiari ancora residenti in paese-racconta l'ex sindaco Umberto Buccella- decidendo di dedicare a Salvatore una lapide che realizzata dallo scultore di Donori, Angelo Casula, è stata inaugurata tre anni fa. E il minimo che si potesse fare per ricordare le sue gesta". Salvatore Corrias fu ucciso 63anni fa dai fascisti che lo avevano accusato di aver favorito la fuga in Svizzera di centinaia di ebrei. Partito soldato, qualche anno dopo indossò la divisa di finanziere. È stato un grande benefattore. Smessi i gradi, restò al confine, salvò famiglie intere, soprattutto ebree. Ma quando fu scoperto, fu fucilato. Purtroppo fu dimenticato. Qui a San Nicolò Gerrei lo ricordano in pochi. "L'ho visto una sola volta - ricorda la nipote Cristina Furcas - ero piccola. Torno a San Nicolò Gerrei in licenza, per qualche giorno. Poi, non l'ho più visto. Di lui conserviamo tutti un grande affetto. È stato sicuramente un eroe". Corrias nacque a San Nicolò Gerrei il 18 novembre del 1909. Vent'anni dopo si arruolò nella Guardia di finanza. Durante la seconda guerra mondiale, fu trasferito nel decimo Battaglione. Fece servizio in Albania. Quindi il ritorno in Italia con destinazione Olgiate Comasco prima, e Moltrasio dopo. Nel 1944, si affiliò alla Brigata Emanuele Arton , una organizzazione partigiana. Così, Salvatore Corrias iniziò a fare la spola sul confine svizzero: molte persone si salvarono grazie al suo eroismo. Il giornale La Provincia di Como si è occupato di lui scrivendo che il giovane sardo ebbe una parte importante nella storia del Movimento di liberazione comasco. Scoperto dai fascisti, Corrias venne fucilato dalle Brigate nere della Repubblica sociale. Era il gennaio di 63 anni fa. Aveva 36 anni. Una storia che non fece il giro di San Nicolò Gerrei. Anzi, Salvatore Corrias, eroico Schindler sardo, fu dimenticato. A San Nicolò Gerrei dopo la sua morte arrivò invece la fidanzata, poi ripartita. Oggi in paese vivono alcuni cugini di Salvatore. Una storia straordinaria. San Nicolò aveva il suo eroe e molti, di questo giovane non sapevano nulla. Ora la festa a Roma, la medaglia d'oro che il sindaco Silvestro Furcas porterà a fine settimana in paese. "Stiamo pensando di esporla al museo. Una storia, quella di Salvatore, destinata così ad essere tramandata nei cuori del paese. San Nicolò Gerrei non dimenticherà il suo soldato-finanziere-eroe". RAFFAELE SERRELI.

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Hamas detta l'agenda di Olmert e Abu Mazen (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)

 

Esteri Pagina 109 Medio Oriente Hamas detta l'agenda di Olmert e Abu Mazen Medio Oriente --> GERUSALEMME La necessità di ridimensionare Hamas dopo il prestigio guadagnato fra i palestinesi con il blitz che ha cancellato il confine fra Gaza ed Egitto, è stata ieri al centro di un incontro a Gerusalemme fra il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente dell'Anp Abu Mazen. Poco prima del vertice, il governo israeliano ha informato la Corte Suprema (che esaminava due appelli contro il prolungato blocco della Striscia) di essere pronto a ripristinare "con effetto immediato" le forniture a Gaza di generi di prima necessità nonché di una quantità di gasolio che dovrebbe bastare a garantire il fabbisogno della centrale elettrica locale. Hamas ha già chiarito che non si lascerà mettere con le spalle al muro. L'ex primo ministro Ismail Haniyeh ha anticipato che una delegazione di Hamas si recherà mercoledì da Gaza al Cairo per esigere che "l'assedio alla Striscia sia rimosso" e che al valico di Rafah sia mantenuta l'attuale apertura fino a un accordo che garantisca la fine dell'embargo israeliano. Olmert e Abu Mazen hanno constatato con preoccupazione che l'iniziativa di Hamas sul confine di Rafah, rischia di scardinare definitivamente gli accordi raggiunti due anni fa.

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Elie Wiesel: La Shoah resta il Male assoluto (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 28-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Elie Wiesel: "La Shoah resta il Male assoluto" di Umberto De Giovannangeli / Segue dalla prima R icordare non è solo un tributo ai milioni di donne e uomini annientati nei lager. "L'antisemitismo e l'odio razziale - riflette Wiesel - segnano anche questo inizio secolo. Non posso perdonare gli aguzzini e coloro che ne esaltano le gesta". Parla a ragion veduta, il grande scrittore, Lui il mostro nazista l'ha visto negli occhi: "Non credo - afferma - che esista il Bene assoluto, nella mia vita, almeno, non l'ho mai incontrato . Ma il Male assoluto l'ho conosciuto e da allora non mi ha più abbandonato: l'ho visto negli occhi dei nostri carnefici, e nelle pietose giustificazioni di chi ripeteva: "Io non c'entro, non sapevo" e lo ritrovo anche oggi in chi nega che l'Olocausto fu innanzitutto il tentativo di annientare gli ebrei". Oggi ricorda Elie Wiesel, lo spettro di una nuova Shoah torna ad essere agitato da "una figura che non può avere un posto nel panorama dei leader politici internazionali. Dovrebbe diventare "persona non grata", per ciò che sta facendo al suo Paese, al suo popolo, a tutta l'umanità. Il nome di questa persona è Mahmoud Ahmadinejad: costui rappresenta la parte più buia dell'orizzonte politico odierno". "Spero che il 2008 - afferma Elie Wiesel - possa essere davvero l'anno della pace in Medio Oriente", ma lo scenario internazionale, e non solo quello mediorientale, è segnato pesantemente dalla crescente insicurezza globale dovuta al terrorismo. "Stiamo lasciando alle nuove generazioni un mondo pieno di paura - riflette il grande scrittore della Memoria - cosa ne faremo, lo trasformeremo in una fortezza?". Nella Giornata della Memoria, è importante raccontare soprattutto ai giovani cosa è stato l'Olocausto. Compito a cui lei non si è mai sottratto. A un ragazzo di oggi che le chiedesse: cosa è stato l'Olocausto?, che risposta darebbe? "È stato il Male assoluto. Ecco cosa è stato. Ciò che ha caratterizzato quel periodo fu una determinazione assoluta nel pianificare e condurre a compimento l'annientamento di un popolo. Questo è stato l'Olocausto, in questo consiste la sua novità rispetto al passato: per la prima volta nella storia, si intendeva eliminare completamente dalla faccia della terra un popolo. Gli ebrei non furono perseguitati e sterminati per motivi specifici, perché credevano o non credevano in Dio, perché erano ricchi o poveri, o perché professavano ideologie nemiche: no, gli ebrei venivano uccisi, umiliati, torturati per il semplice fatto di essere tali. Perché erano colpevoli di esistere: questo è l'orrore incancellabile della Shoah". La memoria dell'Olocausto sembra smarrirsi: c'è chi afferma che ciò è un bene, che ricordare serve solo a perpetuare antiche divisioni. "No, no, sono assolutamente contrario. Dimenticare le vittime significa null'altro che infliggere loro una seconda morte! Una vera riconciliazione, inoltre, non può avvenire che a partire dal ricordo, preservando la memoria di ciò che furono quegli anni. È vero: oggi c'è chi esalta l'oblio, chi ritiene giunto il momento di archiviare il passato. A questa operazione sento il dovere morale di ribellarmi, ieri come oggi: perché per nessuna ragione al mondo è possibile cancellare la distinzione tra il carnefice e la sua vittima. Ed ancor oggi l'Olocausto insegna che quando una comunità viene perseguitata tutto il mondo ne risulta colpito". Molti dei suoi libri hanno trattato il tema della memoria, del ricordo e dell'oblio, e di come la tragedia dell'Olocausto si è trasmessa di padre in figlio nel popolo ebraico, in Israele e nella Diaspora. "È il tema dell'identità ebraica, della sua specificità che non va smarrita ma che non deve mai essere vissuta come "separazione" dal mondo dei "Gentili". In uno dei miei libri, L'oblio, (Bompiani), il protagonista sintetizza così il suo essere ebreo: "Se sono ebreo, sono un uomo. Se non lo sono, non sono nulla. Solo così potrò amare il mio popolo senza odiare gli altri". Questo mi ripetevo allora, nei giorni di Buchenwald, quando i nostri aguzzini volevano cancellare la nostra identità, prima di negarci la vita, per ridurci solo a numeri, quelli marchiati a fuoco sulle nostre braccia. Ma non ci sono riusciti: hanno ucciso sei milioni di ebrei ma non sono riusciti a cancellare la nostra identità. Ed è per questo che oggi, nella Giornata della Memoria, posso dire con il mio Malkiel (il protagonista dell'Oblio, ndr.): è proprio perché amo il popolo ebraico che trovo in me la forza per amare quelli che seguono altre tradizioni. Un ebreo che nega se stesso non fa che scegliere la menzogna". Signor Wiesel, per chi ha vissuto l'esperienza dei lager nazisti ha un senso la parola "perdono"? "È la domanda che ha accompagnato la mia esistenza di sopravvissuto. Ma parole come perdono o misericordia non trovano posto nell'inferno di Auschwitz, di Buchenwald, di Dachau, di Treblinka.. No, non è possibile perdonare gli aguzzini di un tempo e coloro che ancora oggi ne esaltano le gesta. In questi sessantatre anni, ho pregato più volte Dio e la preghiera è la stessa che recitavo quando ero rinchiuso nel lager: "Dio di misericordia, non avere misericordia per gli assassini di bambini ebrei, non avere misericordia per coloro che hanno creato Auschwitz, e Buchenwald, e Dachau, e Treblinka, e Bergen-Belsen.Non perdonare coloro che qui hanno assassinato. Ma questo non vuol dire condannare per sempre il popolo tedesco, perché noi ebrei, le vittime, non crediamo nella colpa collettiva. Solo il colpevole è colpevole". Dal passato che non passa, ad un presente inquietante. Lei ha usato parole durissime contro il presidente iraniano Ahmadinejad. Perché? "Perché costui, nel ridicolizzare le verità storicamente accertate, nell'offendere la memoria dei sopravvissuti all'Olocausto ancora vivi, glorifica l'arte della menzogna. Da numero uno dei negazionisti al mondo, da antisemita con una mente disturbata, dichiara che la "soluzione finale" di Hitler non è mai esistita. E non basta. Secondo Ahmadinejiad, non c'è stato un Olocausto nel passato, ma vi sarà nel futuro. Elucubrazioni di un fanatico? Sì, ma il fanatico si rivolge a folle che plaudono alle sue idee. Parole vuote? Lui non parla per nulla. Sembra impegnato nel mantenere le sue "promesse". Sarebbe un errore mettere in dubbio la sua determinazione. Una persona non predica odio per niente. Appartengo a una generazione che ha imparato a prendere sul serio le parole del nemico. Anche perché queste parole sono accompagnate da fatti: chi c'è dietro l'organizzazione terrorista degli Hezbollah? L'Iran. L'Iran li fornisce di tutte le armi più sofisticate e degli ufficiali che addestrano le loro milizie. Ma cosa vogliono gli Hezbollah? Concezioni territoriali? No. La creazione di uno Stato palestinese che viva fianco a fianco con Israele, cosa che personalmente mi auguro? No. L'unico obiettivo di questo movimento - e del presidente iraniano - è la distruzione di Israele. Ecco perché io sostengo che Ahmadinejad non può avere un posto nel panorama dei leader politici internazionali. Dovrebbe diventare "persona non grata", per quello che sta facendo al suo Paese, al suo popolo, a tutta l'umanità". Nella sua visita in Israele, il presidente Usa Bush, al museo dello Yad Vashem, si è chiesto del perché gli Alleati non avessero bombardato prima Auschwitz. Secondo un filone storiografico, ciò non avvenne perché gli Alleati temevano che bombardando avrebbero ucciso migliaia di prigionieri del campo. "Questa motivazione non regge. Prima però mi lasci dire che ho molto apprezzato le parole del presidente Bush. Il suo è stato un atto di coraggio che è mancato ai suoi predecessori.". Lei parlava di una scusa. "Io ero ad Auschwitz. E posso dirle che ogni volta che assieme ai miei compagni di sventura sentivamo gli aerei sorvolare Auschwitz, pregavamo che bombardassero: sarebbe stata una morte preferibile alle camere a gas. La verità è che non solo gli angloamericani ma anche i russi, avrebbero potuto bombardare i binari della ferrovia che portava ad Auschwitz. In tal modo si poteva salvare la vita di decine di migliaia di ebrei. Così non è stato. E credo che il rimorso per non aver dato l'ordine di bombardare abbia accompagnato i responsabili per tutta la loro vita". GIORNO DELLA MEMORIA Parla lo scrittore premio Nobel nel 1986: "Dimenticare è impossibile e significherebbe uccidere una seconda volta le vittime. Ma non c'è solo il rischio dell'oblio: Ahmadinejad e il terrorismo sono pericoli reali".

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La memoria - (segue dalla prima pagina) (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)

 

Cultura LA MEMORIA il discorso di david grossman all'università di firenze i due ebrei salvati da una prostituta e la shoah Gli interrogativi che quella tragedia ci pone riguardano anche i nostri rapporti con gli stranieri, i diversi, i deboli di ogni nazione La storia di Leib ed Ester Rochman non è fra le più terribili. Eppure racchiude una tale sofferenza che da anni non mi dà pace (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Lo scrittore israeliano ha ricevuto ieri a Firenze la laurea ad honorem. Pubblichiamo parte del discorso che ha letto durante la cerimonia. E noi, rappresentanti di questa generazione, di tutti i popoli e le religioni, comprendiamo l'incisività e l'attualità degli interrogativi che la Shoah ci prospetta e la rilevanza che hanno ancora oggi, soprattutto oggi? Queste domande concernono, peraltro, anche il nostro rapporto con gli stranieri, i diversi, i deboli di ogni nazione del globo; concernono l'indifferenza che il mondo mostra, di volta in volta, verso episodi di massacro in Ruanda, in Congo, in Kosovo, in Cecenia, nel Darfur; concernono la malvagità e la crudeltà del genere umano che nel periodo della Shoah si profilarono come concreta possibilità di comportamento. In che modo trovano espressione nella nostra vita e quale influenza hanno sulla conformazione e sulla condotta del genere umano? In altre parole: la memoria che serbiamo della Shoah può essere veramente una sorta di segnale d'avvertimento morale? E siamo noi in grado di trasformare i suoi insegnamenti in parte integrante della nostra vita? (...) Mentre gli altri popoli possono, con relativa facilità, evitare di riflettere sulle conseguenze della Shoah ? e dunque sfuggire a un dibattito profondo che le concerne ? noi, in Israele, siamo condannati a dibatterle ripetutamente, a cadere talvolta nella trappola dell'angoscia esistenziale che la Shoah ha scavato in noi, a definire gli aspetti significativi della nostra vita nei termini categorici, estremi, che la Shoah ha lasciato impresso in noi. In un certo senso si può dire che il popolo ebraico, e di fatto quasi ogni ebreo, sia un colombo viaggiatore della Shoah, che lo voglia o no. Ma affinché questa disquisizione non rimanga a un livello puramente teorico, non appaia come una sorta di dissertazione filosofica distante dagli esseri umani, vorrei raccontarvi una storia di quel periodo. Non è una storia particolarmente traumatica. Ne ho sentite di più brutte e terribili. Eppure racchiude una tale sofferenza e un tale dolore che da anni non mi dà pace. Si tratta della vicenda di un giornalista ebreo polacco di nome Leib Rochman. Negli anni Trenta del secolo scorso Rochman scriveva per un giornale in yiddish pubblicato a Varsavia. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale fece ritorno alla cittadina nella quale era nato, Minsk Mazowiecki, situata a est di Varsavia, dove si attivò come "assistente sociale" tra gli ebrei del ghetto, facendo meraviglie nel procacciare cibo agli affamati. Nel 1942 sposò Ester, anch'ella nativa del luogo, e tre mesi dopo i nazisti sterminarono la comunità ebraica. Dei seimila ebrei della cittadina ne rimasero meno di venti. Leib ed Ester, insieme con la sorella minore di quest'ultima, riuscirono a mettersi in salvo e a trovare rifugio presso una donna polacca il cui soprannome era "Ciotka", zia in polacco, un'anziana prostituta cordiale e piena di vita. (...) Nel suo salotto Ciotka costruì per Leib ed Ester una parete-nascondiglio, a poca distanza da quella originaria. Leib, sua moglie e sua cognata vissero nell'intercapedine tra le due pareti per quasi due anni. A un certo punto decisero di portarvi anche Haim, il fratellino minore di Ester, tenuto prigioniero in un campo dei dintorni, e consegnarono a Ciotka del denaro affinché si recasse al campo, corrompesse le guardie, liberasse Haim e lo conducesse da loro. Ciotka si mise in viaggio ma strada facendo bevve un po', divenne allegra, passò accanto a una fiera, salì su una giostra, si divertì e quando finì di spendere tutto il denaro che aveva con sé tornò a casa senza Haim. Quella notte i tedeschi giustiziarono tutti i prigionieri del campo e anche Haim morì. Quando Leib ed Ester vennero a sapere che Haim non era più in vita decisero di salvare un altro ebreo che, per quanto non fosse loro amico stretto, possedeva una vasta cultura ebraica e parlava la lingua della Bibbia. Poiché credevano che non fossero quasi rimasti ebrei al mondo, ritennero indispensabile tentare di salvare chi potesse perpetuare lo spirito e la tradizione ebraica. (...) Rimasero nascosti fino alla fine della guerra, quando poterono uscire. Leib Rochman era molto malato e debole. I cinque abbandonarono il nascondiglio e si misero in viaggio, senza sapere per dove. (...) Ovunque andassero la gente li indicava e diceva stupita, in tono di scherno: ma come, sono rimasti così tanti ebrei? Una notte trovarono rifugio in un campo di prigionieri vuoto, il cui recinto era stato sfondato, e lì trascorsero la notte. C'erano giacigli e tavolacci e su quelli dormirono. La mattina, al loro risveglio, scoprirono di essere nel campo di concentramento di Meidanek, liberato un paio di giorni prima dai russi, e di aver dormito sui letti dei prigionieri. Alla luce del giorno gironzolarono per il campo e all'improvviso videro la Shoah. Non sapevano esattamente che cosa fosse avvenuto negli ultimi due anni e ora vedevano davanti a sé mucchi di cadaveri e i cumuli di cenere di chi era stato bruciato. Non riuscivano a crederci: tutto era lì, sotto i loro occhi, eppure non riuscivano a capacitarsi che fosse successo veramente, che una cosa simile fosse stata possibile. A quel punto si imbatterono in un gruppo di ufficiali e di guardie del campo catturati dai russi. I soldati dell'Armata rossa accerchiavano i tedeschi che stavano seduti al centro, prigionieri. Così, nello stesso giorno, Leib e compagni videro le vittime e i carnefici. I carnefici in carne ed ossa. Non qualcosa di astratto, un qualche simbolo del male. Lì, davanti a loro, erano gli assassini che avevano messo in atto il piano della "soluzione finale". Di colpo Leib Rochman non fu più in grado di sopportarlo. Corse verso un soldato russo e gli strappò di mano il fucile, con l'intenzione di sparare ai tedeschi. Fermo davanti a loro prese la mira, ma non riuscì a premere il grilletto. Quasi impazzì, urlò, odiò se stesso, ma non poté farlo. Allora gridò, in yiddish: Aufstein, Fallen! ? In piedi! A terra! I tedeschi, sicuri che stesse per ucciderli, fecero ciò che ordinava loro, terrorizzati. Scattarono in piedi e si lasciarono cadere a terra, più volte. Leib capì che non sarebbe riuscito ad ammazzarli. Non sapendo cosa fare buttò via il fucile, si ritirò in disparte e scoppiò a piangere, a tossire e per la prima volta sputò sangue. Allora scoprì di essere malato di tubercolosi. Leib ed Ester Rochman ebbero molte altre vicissitudini, attraversarono numerose nazioni e alla fine giunsero nella terra di Israele. Si stabilirono a Gerusalemme ed ebbero un figlio e una figlia. Quest'ultima, la poetessa Rivka Miriam Rochman, è una mia cara e buona amica ed è da lei che ho appreso questa storia. Leib Rochman fu giornalista dell'emittente radio israeliana "Kol Israel" ma per gran parte della sua vita si dedicò alla scrittura. Pubblicò due romanzi e una raccolta di racconti che ritengo esempi meravigliosi di letteratura innovativa, profonda, che discende negli abissi dell'animo umano. Questa è la storia sua e di sua moglie Ester. Ci sono altre milioni di storie come questa. Ogni persona morta, o sopravvissuta, è una vicenda a sé e tutte queste storie, in apparenza, si mantengono su un piano totalmente diverso da quello su cui sono dibattute oggi le grandi "questioni" relative alla Shoah, sempre che siano dibattute. Tali questioni vertono soprattutto sulla negazione della Shoah, sull'incremento del numero dei neo-nazisti in diverse nazioni e sul rafforzamento dell'antisemitismo nel mondo. Negli ultimi anni la discussione circa il diritto dei tedeschi di considerarsi vittime di quella guerra al pari di altri popoli, o addirittura di creare una simmetria ? errata e inammissibile a mio parere ? tra la loro sofferenza e quella degli ebrei durante la Shoah, si fa sempre più accesa. Le vicende personali di Leib ed Ester Rochman, così come quelle di altri milioni di persone, si mantengono, come ho detto, su un piano diverso, ma senza di esse un dibattito sulla Shoah non sarebbe completo e sarebbe impossibile creare un legame emotivo tra le generazioni future e ciò che avvenne allora. Dirò di più: senza quelle storie personali il dibattito sulla Shoah potrebbe talvolta apparire un tentativo inconsapevole di difendersi dall'orrore palese. E, spingendoci oltre, si potrebbe ipotizzare che senza di esse il dibattito generico, di principio, si spegnerebbe lentamente. Proprio le vicende individuali, private, sono il "luogo" più universale, la dimensione entro la quale è possibile creare il senso di identificazione umana e morale con le vittime che permette a chiunque di porsi ardui interrogativi: come mi sarei comportato io se fossi vissuto a quell'epoca, in quella realtà? Come mi sarei comportato se fossi stato una delle vittime, o un connazionale degli aguzzini? Ho l'impressione che fino a che non risponderemo a queste domande ? ognuno per conto proprio ? fino a che non ci sottoporremo a questo auto-interrogatorio, non potremo dire a noi stessi di aver affrontato pienamente ciò che avvenne laggiù. E se non lo faremo, dimenticheremo. Più si assottiglia il numero dei sopravvissuti ? e malgrado il lavoro di documentazione portato avanti da "Yad vaShem", il museo israeliano dedicato alla memoria delle vittime della Shoah, e, nell'ultimo decennio, dall'archivio Spielberg ? più cresce l'importanza dell'arte quale possibile mezzo per affrontare questi interrogativi. La letteratura, la poesia, il teatro, la musica, il cinema, la pittura e la scultura sono i "luoghi" in cui l'individuo moderno può affrontare la Shoah e sperimentare le sensazioni e la particolare esperienza umana che la ricerca e il dibattito accademici solitamente non sono in grado di far rivivere. Traduzione di Alessandra Shomroni.

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Israeliana la guerra in Libano continua a far danni (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)

 

Israeliana la guerra in Libano continua a far danni Olmert rischia grosso, il falco Bibi è già pronto Gerusalemme. La resa dei conti ha una data precisa. Mercoledì 30 gennaio. Esce quel giorno la seconda e ultima parte del rapporto Winograd, la relazione sul comportamento dei vertici politico-militari israeliani durante la guerra in Libano dell'estate 2006. Non che si aspettino grandi sorprese dal rapporto del comitato messo in piedi nell'autunno di quello stesso anno, sotto la spinta del malumore popolare per le decisioni prese negli ultimissimi giorni del conflitto. Giorni cruciali, quando Israele lanciò un'operazione di terra disastrosa dal punto di vista militare, inutile da quello diplomatico, dolorosa per i soldati morti quando il cessate il fuoco era già stato deciso. L'entrata in guerra non viene messa in discussione da nessuno, popolazione o leadership che sia. Ma il Winograd seconda parte si occupa, nello specifico, dei giorni immediatamente precedenti il 14 agosto. E, dicono tutte le indiscrezioni, sarà durissimo con gli uomini che erano allora alla barra di comando. Dopo le dimissioni del capo di stato maggiore Dan Halutz e del ministro della difesa Amir Peretz, resta ora solo Ehud Olmert, al vertice della catena decisionale. Il suo destino, dunque, è il vero rovello aperto dal comitato presieduto dal giudice a riposo Elyahu Winograd. Resterà? Si dimetterà? Sarà messo in minoranza? C'è un gruppo ben preciso che chiede a gran voce le dimissioni di Olmert. Sono i riservisti e le famiglie che hanno perso i propri figli negli ultimi giorni della guerra. Figli mandati a morire senza motivo, accusano. Ma questo giudizio, sostenuto dalla maggioranza silenziosa d'Israele, nasconde anche un retrogusto strettamente politico. Perché la figura più nota del gruppo è Uzi Dayan, discusso leader di un partito, il Tafnit, che si è presentato alle elezioni del 2006 proponendo di attuare la seconda parte del disimpegno voluto da Ariel Sharon: costruzione veloce del Muro di separazione e frontiere decise su basi demografiche, inglobando le grandi colonie israeliane in Cisgiordania. Senza ottenere neanche un seggio in parlamento. Dayan fa gli interessi di Benjamin Netanyahu, dice chi lo contesta, visto che "dimissioni significa elezioni anticipate". E i sondaggi prevedono una valanga di consensi per i pezzi da novanta della destra: Benjamin Netanyahu, Arkadi Gaydamak, Avigdor Lieberman. Certo è che il gruppo dei riservisti e delle famiglie investite dal lutto della guerra sta facendo lobby su tutti quelli che contano. Negli stessi giorni in cui anche altri due attori, diversissimi tra di loro, hanno inciso sul caso Winograd. L'ex ambasciatore Usa all'Onu, John Bolton, che nella sua visita in Israele della scorsa settimana ha raccontato una verità diversa su quei giorni d'agosto 2006, quando il telefono tra Washington e Tel Aviv era rovente e al Palazzo di Vetro si cercava di metter su una risoluzione che facesse tacere le armi. E Hassan Nasrallah, il leader carismatico di Hezbollah, che ha usato la questione dei soldati israeliani nel sud del Libano per incidere sul futuro del governo Olmert, sostenendo che Tsahal si è lasciato alle spalle, ritirandosi, i corpi dei suoi uomini. È questo il nodo cruciale del rapporto Winograd, quello sul quale Olmert rischia di cadere. Mentre alle sue spalle c'è una lunga lista di pretendenti, volontari o involontari che siano. Come Shaul Mofaz, durissimo contro chi ha condotto la guerra del 2006. L'ex capo di stato maggiore ed ex ministro della difesa sta cercando da tempo di essere il candidato di Kadima, il partito del premier, ipotetica fase del dopo-Olmert. Un tentativo insidiato da Tzipi Livni, che domenica ha incontrato - ultima di una serie di leader - proprio il gruppo delle famiglie dei riservisti morti. La scelta deve aver irritato il premier, a giudicare dal comunicato stizzito emesso prima dell'incontro, ma ha anche evidenziato che qualcosa dentro Kadima si sta muovendo. Chi perderebbe dalle dimissioni di Olmert è Ehud Barak, e il Labour. Barak aveva promesso di lasciare il governo se il rapporto Winograd fosse stato duro. Ma ora non è più così sicuro. Perché i sondaggi parlano di una debacle per il Labour in caso di elezioni anticipate. E poi, se Olmert facesse un passo indietro, Barak potrebbe aspirare a sostituirlo, in un governo di emergenza nazionale. Meglio stare a guardare, dunque. Chi non starà a guardare è lo Shas, il partito dei sefarditi religiosi che ha già espresso la sua contrarietà a negoziati israelo-palestinesi sulla divisione di Gerusalemme. Domenica, a casa di Rabbi Ovadia Yosef, il leader spirituale del partito, si è riunito il consiglio rabbinico, i saggi dello Shas. Si dice che l'uscita dal governo ormai sia questione di giorni. E senza quei voti, Olmert perderebbe la maggioranza già erosa dall'abbandono di Yisrael Beitenu. 28/01/2008.

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GENERAZIONI A CONFRONTO UN CAFFE' CON MADGI ALLAM, L'EGIZIANO CHE DISSE "VIVA ISRAELE" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 28-01-2008)

 

Sulle spalle di un gigante dai piedi d'argilla Il problema dell'Onu è la mancanza di un'identità di base Per una serie di peripezie che non sto qui a raccontarvi, nei giorni subito dopo le feste natalizie mi sono ritrovato ad accettare, insieme a un gruppo di amici fabrianesi, un invito a una tavola rotonda informale a casa di Magdi Allam. Nell'elegante salotto straripante di libri e premi d'ogni sorta, attorno ad un desco riccamente imbandito di bevande e cibarie per tutti i gusti, il discorso non tarda a prender piede. Emergono prepotentemente i temi chiave dell'etica del giornalismo e dell'uso corretto dei mezzi d'informazione: "Faccio molta fatica a seguire quotidiani e telegiornali. Allo stato attuale è veramente difficile parlare di giornalismo etico, specialmente quando ci si ritrova bombardati da continue mistificazioni della realtà e da uno sconcertante relativismo dell'informazione. Tutto diventa chiacchiera, mero pettegolezzo. C'è spazio solo per cronaca nera e sensazionalismo". Riscaldati gli animi con questo breve prodromo, ecco arrivare come una valanga i più svariati interrogativi. In primo luogo urgono chiarimenti su Viva Israele, l'ultimo libro del vice del Corriere della sera: "Il mio è volutamente un titolo politicamente scorretto. Non pensate che "viva Israele" significhi abbasso Palestina, io sono per il diritto alla vita di tutti. Ritengo che l'affermazione di un valore come questo sia però realizzabile solo attraverso il riconoscimento dello Stato d'Israele e l'eliminazione di molti pregiudizi. Ci tengo poi a precisare che non c'è alcun nesso tra la stesura di questo libro ed il ricevimento del premio Dan David. Basta ripercorrere i miei articoli per rendersi conto di come sostenessi la causa di Israele già da molto prima". Nel giro di poco poi ci si ritrova a discutere della questione mediorientale e dei problemi legati al mondo arabo. Ci si chiede innanzitutto cosa sia cambiato nella mentalità di questi Paesi con il passare del tempo: "Rispetto agli anni Cinquanta, periodo in cui, perlomeno in Egitto, era diffuso un clima liberale, dove le donne non indossavano il velo e non c'erano problemi a predicare religioni differenti da quella musulmana, oggi, nei Paesi arabi si assiste ad un pressante ritorno all'integralismo. Ricordo la scuola cristiana che frequentavo da ragazzo. Allora era circondata solo da una recinzione a giorno che serviva unicamente a delimitarne il cortile. Tornandoci poco tempo fa mi ritrovai di fronte ad un alto muro di cemento armato, un chiaro simbolo di scissione tra due mondi, una trincea difensiva innalzata contro le ostilità provenienti dal radicalismo e dal terrorismo". Si arriva ad approfondire la questione degli attentati: "Non crediate che i terroristi di cui tanto si parla oggi siano solo gente povera e disperata. Basti pensare che molti sono di origine Saudita, originari quindi di un paese alquanto benestante. Alcuni di questi suicidi sono britannici e molti altri francesi, tutti comunque appartenenti a famiglie di rango medio-alto. Oggi si diventa terroristi soprattutto su base ideologica". Proseguiamo quindi in un crescendo di botta e risposta a proposito degli innumerevoli conflitti scoppiati, delle varie personalità susseguitesi nel vasto teatro del potere e dei trattati di pace mancati. Le provocazioni da parte nostra non mancano, ma forte delle sue conoscenze nel campo il padrone di casa contrappone alle nostre insidie un quadro personale preciso ed estremamente nitido: "Sono contrario alla guerra, ma allo stesso tempo ripudio la sottomissione a tiranni e carnefici. Ritengo impensabile che si sia manifestato esclusivamente contro Bush e l'America, quasi a voler intentare un processo, e che non si sia protestato invece contro le migliaia di morti provocate dai regimi mediorientali". Giungiamo quasi agli sgoccioli e nelle poche decine di minuti rimastici ci concediamo giusto un paio di pareri conclusivi sulla situazione europea ed italiana: "L'Onu oggi è un organismo fortemente screditato ed inefficace nella gestione delle crisi internazionali. Il suo problema principale, che è poi lo stesso dell'Unione Europea, consiste nella mancanza di un quadro di valori fondamentali e quindi di un'identità di base. Già affermare su scala generale l'applicazione di valori come il diritto alla vita e la democrazia sarebbe un buon inizio. Allo stato attuale le Nazioni Unite e ancora meglio L'Unione europea con 27 paesi tanto eterogenei sono paragonabili solo ad un gigante dai piedi d'argilla, una fragile mescolanza di adesioni indistinte". E prosegue: "Della situazione italiana già avevo parlato nei miei articoli in cui mostravo l'atteggiamento troppo accomodante adoperato dalle istituzioni nei confronti di predicatori delle ideologie dell'odio, come nel caso di Abu Imad, o circa le concessioni di poligamia, illegale nel territorio italiano, per non riconoscimento dell'unione matrimoniale secondo rito musulmano. I motivi di questa sorta di sottomissione sono essenzialmente due: la convinzione della classe politica di non dover agire per evitare di acuire tensioni e di rompere equilibri sociali ed in secondo luogo l'interesse economico per il fabbisogno di petrolio e gas, una vera e propria dipendenza che può essere combattuta solo rivalutando la questione del nucleare". Gioele Maria Pignati, 19 anni, Fabriano (An) 28/01/2008.

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"l'arte ci aiuta contro il male" - fulvio paloscia (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)

 

Pagina I - Firenze Grossman riceve la laurea honoris causa nel giorno della Memoria "L'arte ci aiuta contro il male" FULVIO PALOSCIA "I rapporti tra Israele e Palestina? Nutro sempre speranza, non posso permettermi il lusso di non farlo. Ma è un momento difficile, e non posso certo dire che entrambi i leader stiano facendo quello che serve per una pace possibile. Non ancora". Lo scrittore israeliano David Grossman parla con pacatezza mista ad emozione mentre nell'aula magna dell'ateneo risuona ancora l'interminabile applauso, la lunga standing ovation che ha accolto la sua lectio magistralis e che dal tavolo dei docenti universitari in pompa magna si è abbattuta come un'onda di commozione su tutto il pubblico (tra gli altri, i senatori Massimo Livi Bacci e Vittoria Franco, il deputato Valdo Spini, il rabbino capo di Firenze Yoseph Levi). Grossman (che oggi terrà l'intervento di chiusura, alle 12.30, del convegno "Sterminio e stermini" al Mandela Forum) ha ricevuto ieri dall'Università di Firenze la laurea honoris causa "per le alte qualità artistiche e l'illuminato impegno civile". Un'onoreficenza conferita proprio nel Giorno della Memoria: "Se non vogliamo che il dibattito sulla Shoah diventi un obbligo - spiega l'autore di Vedi alla voce amore - dobbiamo capire che l'arte è un mezzo che può restituire, a noi che non l'abbiamo vissuta sulla nostra pelle, tutta la drammaticità e gli insegnamenti della Shoah. Abbiamo senza dubbio bisogno di ricerche accademiche, ma certa astrattezza deve calarsi nella realtà concreta delle storie". L'arte "ci aiuta a stare in guardia contro il male. Dobbiamo stare sempre molto attenti e individuare quando cominciamo a essere conniventi con il male, quando ci abituiamo ai meccanismi di manipolazione: nella vita politica, nel quotidiano, nel nostro rapporto con gli stranieri, con gli sconosciuti". Il discorso vale sia per la narrazione che per il giornalismo: "Quando scrivo per i giornali - dice Grossman - cerco di offrire un nuovo punto di vista sulle cose e di non allontanare chi legge dalla verità. Come narratore, racconto storie; come giornalista, le spiego".

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Olmert promette aiuti umanitari (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)

 

Gaza Il vertice Olmert promette aiuti umanitari GERUSALEMME - La necessità di ridimensionare Hamas, cresciuto di popolarità fra i palestinesi per aver aperto con la forza il confine fra Gaza e l'Egitto, è stata al centro ieri dell'incontro fra il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. L'incontro è parte delle riunioni iniziate dopo il vertice di Annapolis per far ripartire il processo di pace fra israeliani e palestinesi. Secondo un portavoce, Olmert ha promesso ad Abu Mazen che non ci sarà una crisi umanitaria nella Striscia di Gaza, dando assicurazioni che non verranno interrotte le forniture di aiuti umanitari e di carburante. Il premier israeliano ha detto anche che chiederà al presidente Hosni Mubarak di chiudere al più presto il confine con Gaza. Abu Mazen che mercoledì sarà al Cairo per affrontare la questione.

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La bistecca fa male alla terra l'effetto serra ci cambia la dieta - mark bittman new york (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 28-01-2008)

 

Cronaca Secondo la Fao la produzione di bestiame mondiale è responsabile di più gas dell'intero sistema dei trasporti Il consumo di carne raddoppierà entro il 2050, se la popolazione mondiale non varierà l'alimentazione La bistecca fa male alla Terra l'effetto serra ci cambia la dieta MARK BITTMAN NEW YORK Un cambiamento epocale nell'uso di una risorsa che si dà per scontata potrebbe essere imminente. No, non si tratta di petrolio, ma di carne. Come il petrolio anche la carne è soggetta a una domanda crescente a mano a mano che le nazioni diventano più ricche e ciò ne fa salire il prezzo. E come il petrolio anche la carne è qualcosa che tutti sono incoraggiati a consumare in quantità minori. La domanda globale di carne si è letteralmente impennata negli ultimi anni, sulla scia di un benessere crescente, alimentata dal proliferare di vaste operazioni di alimentazione forzata di animali d'allevamento. Queste vere e proprie catene di montaggio della carne, che partono dalle fattorie, consumano quantità smisurate di energia, inquinano l'acqua e i pozzi, generano significative quantità di gas serra, e richiedono sempre più montagne di mais, soia e altri cereali, un fatto che ha portato alla distruzione di vaste aree delle foreste pluviali tropicali. Proprio questa settimana il presidente brasiliano ha annunciato provvedimenti di emergenza per fermare gli incendi controllati e l'abbattimento delle foreste pluviali del Paese per creare nuovi pascoli e aree di coltura. Negli ultimi cinque mesi soltanto, ha fatto sapere il governo, sono andate perse 1.250 miglia quadrate di foreste. Nel 1961 il fabbisogno complessivo di carne nel mondo era di 71 milioni di tonnellate. Nel 2007 si stima che sia arrivato a 284 milioni di tonnellate. Il consumo pro-capite di carne è più che raddoppiato in questo arco di tempo. Nel mondo in via di sviluppo è cresciuto del doppio, ed è raddoppiato in venti anni. Il consumo mondiale di carne si prevede che sia destinato a raddoppiare entro il 2050. Produrre carne comporta il consumo di tali e tante risorse che è una vera impresa citarle tutte. Ma si consideri: secondo la Fao, la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite, le terre destinate all'allevamento del bestiame costituiscono il 30 per cento delle terre emerse non ricoperte da ghiacci del pianeta. Questa stessa produzione di bestiame è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra della Terra, più di quelle emesse dai trasporti nel loro complesso. Uno studio dello scorso anno dell'Istituto nazionale di scienze dell'allevamento in Giappone ha stimato che ogni taglio di carne di manzo da un chilogrammo è responsabile dell'equivalente in termini di diossido di carbonio alle emissioni di una vettura media europea ogni 250 chilometri circa e brucia l'energia sufficiente a tenere accesa per 20 giorni una lampadina da 100 watt. Cereali, carne e perfino energia sono collegati tra loro in un rapporto di interdipendenza che potrebbe avere spaventose conseguenze. Benché circa 800 milioni di persone di questo pianeta soffrano la fame o siano affette da malnutrizione, la maggior parte dei raccolti di mais e soia coltivati finiscono a nutrire bestiame, maiali e galline. Ciò avviene malgrado un'implicita inefficienza: per produrre le stesse calorie assimilate tramite il consumo di carni di bestiame allevato e il consumo diretto di cereali occorrono da due a cinque volte più cereali, secondo quanto afferma Rosamond Naylor, docente associato di economia all'università di Stanford. Nel caso di bestiame allevato negli Stati Uniti con cereali questo dato deve essere moltiplicato ancora per dieci. Negli Stati Uniti l'agricoltura praticata per soddisfare la domanda di carne contribuisce, secondo l'Agenzia per la Protezione Ambientale, a circa tre quarti dei problemi di qualità dell'acqua che caratterizzano i fiumi e i corsi d'acqua della nazione. Considerato poi che lo stomaco delle bestie allevate è fatto per digerire erba e non cereali il bestiame allevato a livello industriale prospera soltanto nel senso che acquista peso rapidamente. Questo regime alimentare ha reso possibile allontanare il bestiame dal suo ambiente naturale e incoraggiare l'efficienza dell'allevamento e della macellazione in serie. è tuttavia una prassi che provoca problemi di salute tali che la somministrazione di antibiotici è da ritenersi usuale, al punto da dar vita a batteri resistenti agli antibiotici. Questi animali nutriti a cereali contribuiscono oltre tutto a una serie di problemi sanitari tra gli abitanti più benestanti del pianeta, quali malattie cardiache, alcuni tipi di cancro e diabete. La tesi secondo cui la carne fornisce un apporto proteico è giusta, purché le quantità siano limitate. L'esortazione americana quotidiana a consumare carne - del tipo "guai a te se non mangi la bistecca" - è negativa. Che cosa si può fare? Risposte facili non ce ne sono. Tanto per cominciare occorre una migliore gestione degli sprechi. A ciò contribuirebbe l'abolizione dei sussidi: le Nazioni Unite stimano che questi costituiscono il 31 per cento dei guadagni globali dell'agricoltura. Anche migliori tecniche di allevamento sarebbero utili. Mark W. Rosengrant, direttore della tecnologia ambientale e della produzione presso l'istituto senza fini di lucro International Food Policy Research afferma: "Occorrerebbe investire nell'allevamento e nella gestione del bestiame, per ridurre la filiera necessaria a produrre un livello qualsiasi di carne". E poi c'è la tecnologia. Israele e Corea sono tra i Paesi che stanno sperimentando tecniche di sfruttamento delle scorie e del letame animale per generare elettricità. Altro suggerimento utile potrebbe essere quello di far ritorno al pascolo. Mentre la domanda interna di carne è ormai uguale ovunque, la produzione industriale di bestiame è cresciuta due volte più rapidamente dei metodi di base di sfruttamento delle terre, secondo quanto risulta alle Nazioni Unite. I prezzi reali di carne bovina, di maiali e pollame si sono mantenuti costanti, forse sono perfino scesi, per 40 anni e più, anche se ora stiamo assistendo a un loro aumento di prezzo. Se i prezzi elevati non costringono a cambiare le abitudini alimentari, forse sarà tutto l'insieme - la combinazione di deforestazione, inquinamento, cambiamento del clima, carestia, malattie cardiache e crudeltà sugli animali - a incoraggiare gradualmente qualcosa di molto semplice: mangiare più vegetali e meno animali. Nel suo studio del 2006 sull'impatto dei consumi di carne sul pianeta, intitolato "La lunga ombra del bestiame", la Fao dice: "è motivo di ottimismo prendere atto che la domanda di prodotti animali e di servizi ambientali sono in conflitto tra loro ma possono essere riconciliate". Gli americani, in effetti, stanno comprando sempre più prodotti eco-compatibili, scegliendo carni, uova e latticini prodotti con metodi sostenibili. Il numero dei prodotti e dei mercati di questo tipo si è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni. Se gli attuali trend continueranno, invece, la carne diventerà una minaccia più che un'abitudine. Non diventerebbe del tutto insolito consumare carne, ma proprio come i SUV dovranno cedere il passo a vetture ibride, l'epoca dei 220 grammi al giorno di carne sarà giunta alla fine. Forse, dopotutto, non sarà poi così drammatico. (copyright The New York Times) (Traduzione di Anna Bissanti).

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Alfonso Arbib: <L'antisemitismo sottile è la minaccia di oggi> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)

 

Alfonso Arbib: "L'antisemitismo sottile è la minaccia di oggi" di Redazione - lunedì 28 gennaio 2008, 07:00 Abbiamo chiesto un commento a caldo ad Alfonso Arbib, Rabbino capo della Comunità ebraica di Milano, a proposito dell'articolo "Io, ebreo, dico agli ebrei ora basta con i vittimismi" apparso ieri sul Giornale a firma di R. A. Segre. Arbib, classe 1958, originario di Tripoli, è considerato da chi lo conosce "una figura capace di riuscire a tenere insieme le diverse anime degli ebrei milanesi". Il microcosmo più composito in Italia: askenaziti, libici, laici, iraniani, hassidim, persiani e non solo. Professor Arbib, lei ritiene che ci sia una forma di "vittimismo" da parte degli ebrei quando si parla di Shoah? Cosa risponde a chi tempo fa ha sottolineato quello che è un difetto dell'ebraismo italiano (ma non solo), cioè la contemplazione narcisistica del passato, mentre ebraismo significa dare un sguardo sul mondo? "Preciso che non ho letto l'articolo, dunque qualunque commento sarebbe parziale o non corretto. Detto questo sono d'accordo e condivido quanto scritto da Segre: che oggi gli ebrei in Europa siano tutelati e rispettati, che non vi siano delle discriminazioni nei loro confronti, su questo non c'è alcun dubbio. Però credo che vi siano alcuni segni preoccupanti da non sottovalutare. Sono entrambe due realtà oggettive di cui bisogna prendere atto". Quando parla di queste realtà intende l'antisemitismo? "Ripeto, sostenere che oggi ci siano delle persecuzioni o delle discriminazioni nei confronti degli ebrei in Europa e in Italia è falso e fuorviante. Esiste tuttavia una forma di antisemitismo sottile, strisciante e mascherato che mi preoccupa non poco. Si manifesta attraverso la tendenza a tornare a una serie di stereotipi che viene applicata quando si parla di Israele o degli ebrei in quanto ritenuti "pericolosi". Oppure attraverso l'idea di un complotto ebraico che ciclicamente all'occorrenza qualcuno tira fuori. Ma penso anche agli atti vandalici che occasionalmente si manifestano in tutta Europa e anche in Italia. La questione è di saper cogliere in tempo questi segnali per non correre il rischio di non saper più gestire la situazione. L'ho detto più volte e lo ripeto anche oggi: bisogna trasformare ciascuno di questi episodi in un'occasione di monito e di allarme: un invito a non sottovalutare e a non abbassare mai la guardia".

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I religiosi pronti a impallinare Olmert (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 28-01-2008)

 

Di Redazione - lunedì 28 gennaio 2008, 07:00 Più che un accordo sembra un bluff. Il presidente palestinese Abu Mazen e i suoi fedelissimi, gli stessi che a giugno si fecero buttare fuori dalla Striscia da Hamas, giurano ora di poter risolvere il problema del confine con l'Egitto riprendendo il controllo del valico di Rafah. Il più convinto sembra essere il ministro degli Esteri palestinese, che assicura di aver raggiunto un accordo con il presidente egiziano Hosni Mubarak. Con quel bluff tra le mani Abu Mazen si presenta al vertice di Gerusalemme con il premier israeliano Ehud Olmert. L'incontro è pura cerimonia organizzata per tenere in piedi le speranze di Annapolis. Il presidente palestinese, ulteriormente spiazzato dall'abbattimento della barriera di Rafah, non ha in verità nulla da offrire o pretendere da Olmert. La fine del blocco della Striscia è stato già deciso dell'Alta Corte di Gerusalemme che, proprio ieri, ha ordinato al governo israeliano la ripresa delle forniture alle centrali elettriche di Gaza. Quanto alla proposta di Abu Mazen di riprendere il controllo del valico di Rafah, Olmert si guarda bene dal commentarla. Il premier israeliano in queste ore pensa soprattutto alla propria sopravvivenza politica. La scorsa notte i dodici rabbini del Consiglio dei Saggi riuniti a casa di Ovadia Yosef, padre spirituale del partito ultraortodosso Shas, hanno discusso l'uscita in termini di principio dal governo. Da oggi il capo del partito Eli Yishai potrebbe decidere se abbandonare subito l'esecutivo o attendere ancora. Senza i dodici deputati ortodossi l'esecutivo di Ehud Olmert è praticamente morto. Dopo l'addio a metà gennaio di Avigdor Lieberman e dei suoi deputati, la maggioranza controlla appena 67 dei 120 seggi del Parlamento. "La riunione è un primo passo sulla strada dell'abbandono, ma non significa che questo avvenga immediatamente", confermavano ieri i portavoce del partito. Per vedere cadere l'esecutivo basterà, forse, attendere la presentazione annunciata per dopodomani del rapporto sulla guerra in Libano dell'estate 2006 stillato dalla commissione Winograd. Un giudizio troppo aspro sulle responsabilità del premier, seguito dall'uscita dall'esecutivo dei laburisti, segnerà con tutta probabilità il vero colpo di grazia per Olmert.

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ROMA Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, parte oggi per Israele, subito dopo le (sezione: Israele/Palestina)

( da "Messaggero, Il" del 28-01-2008)

 

Consultazioni con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Quirinale. E a Gerusalemme, nelle vesti di presidente dell'Unione interparlamentare, parlerà davanti al parlamento israeliano, la Knesset, riunito per la giornata della Memoria, e ricorderà la "Shoah", lo sterminio di sei milioni di ebrei in Europa da parte dei nazifascisti. Nella stessa sessione, interverrà anche il premier israeliano, Ehud Olmert. La visita di Casini durerà tre giorni, durante i quali avrà incontri al massimo livello. Domani sarà a colloquio con il presidente di Israele, Shimon Peres, con il ministro degli Esteri, Tzipi Livni, e Silvan Shalom, presidente della delegazione israeliana dell'Unione interparlamentare. Mercoledì, infine, il leader centrista sarà ricevuto dal primo ministro, Ehud Olmert, e visiterà il museo dell'Olocausto, lo Yad Vashem, interamente rinnovato, luogo di grande suggestione e di profonde emozioni, dove viene ripercorsa la storia dello sterminio degli ebrei in Europa, dalle leggi razziali, alle deportazioni nei lager, alle camere a gas fino all'immigrazione clandestina nella Terra promessa, sotto il protettorato inglese, e alla creazione dello Stato di Israele. Un viaggio, particolarmente significativo, dunque, per Casini, da sempre molto interessato alla questione estere, in particolare del Medio Oriente, che rinsalda il suo rapporto con Israele, intessuto già quando era presidente della Camera, che si è ulteriormente rinsaldato da quando presiede l'Unione interparlamentare. Questa volta, lo accompagneranno alcuni amici ebrei romani, gli stessi che sono stati con lui domenica scorsa ad ascoltare il Pontefice a San Pietro, dopo la mancata visita all'università "La Sapienza". A unirli è la consapevolezza che "solo il dialogo, anche tra le posizioni apparentemente più distanti, può favorire il confronto e la costruzione della pace". E sabato sera, con gli stessi amici, proprio in coincidenza con la Giornata della memoria, Casini e la moglie, Azzurra Caltagirone, sono stati ospiti della Fondazione Schnerson, che si occupa delle istituzioni benefiche ebraiche, fondate da Rav Hazan, rabbino dei "Lubavitch", insieme all'ambasciatore di Israele, Ghideon Meir, al Rabbino capo di Roma, Riccardo Pacifici e ai vertici dell'ebraismo romano. R.P.

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La guerra che non si può vincere (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - MILANO - sezione: Tempo Libero - data: 2008-01-27 num: - pag: 18 categoria: REDAZIONALE OLMETTO ULTIMA REPLICA La guerra che non si può vincere Il dialogo, l'incontro, il riconoscimento del dritto dell'altro. Eugenio de Giorgi, dammaturgo e regista, con un gruppo di giovani attori porta in scena il pensiero dello scrittore israeliano David Grossman, facendo vivere in brevi scene momenti della tragedia del conflitto israelo-palestinese. Storie ordinarie di vita, di speranze, di paure, di adulti e ragazzi di entrambe le parti in guerra che sognano la "normalità" della pace. Uno spettacolo per conoscere e riflettere.

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Morto George Habash, stratega dei dirottamenti (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE A 81 anni Morto George Habash, stratega dei dirottamenti Morto a 81 anni George Habash: fondò il Fronte popolare di liberazione della Palestina, fu rivale di Arafat e stratega dei dirottamenti aerei. Tre giorni di lutto proclamati dall'Autorità Palestinese.

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Padre Desbois disseppellisce la <Shoah delle pallottole> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE Giornata della memoria Qui i nazisti non ricorsero alle camere a gas, ma a fucilazioni di massa nei boschi Padre Desbois disseppellisce la "Shoah delle pallottole" Un prete francese riscrive la storia dell'Olocausto in Ucraina I testimoni: "Sul bordo della fossa era stata sistemata una scala. Ad uno ad uno, completamente nudi, scendevano i gradini e si sdraiavano sui corpi di quelli che erano stati uccisi prima di loro" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI - Il viaggio nella memoria, Patrick Desbois, prete francese, l'ha cominciato nell' infanzia. "Da bambino, mio nonno raccontava gli anni della prigionia in Ucraina. Quando veniva portato fuori dalla cella, per le ore di lavoro forzato, assisteva tutti i giorni a esecuzioni sommarie di ebrei". Dopo un'esperienza di professore di matematica nell'Alto Volta, Patrick Desbois, oggi cinquantenne, decise di entrare in seminario. Ordinato sacerdote, ha speso gli ultimi dieci anni alla ricerca di tracce e testimonianze che confermassero il racconto del nonno. "Ho sempre sentito la Shoah come un dovere e una responsabilità". Il viaggio nella memoria si è trasformato in missione di giustizia ed eccezionale risultato storico, perché alza il velo su un capitolo dell' Olocausto quasi ignorato e mai documentato nelle sue spaventose dimensioni: la scomparsa di un milione e mezzo di ebrei dall'Ucraina occupata dai nazisti. E' uno sterminio sistematico e pianificato, ma il sistema è più rapido e tecnicamente meno complicato delle camere a gas: la fucilazione di massa. "Quando si parla di fucilazione, si è portati a immaginare azioni improvvise e condizionate dagli avvenimenti bellici. Invece - racconta padre Desbois - ho potuto accertare che i nazisti verificavano identità dei prigionieri e origini etniche della popolazione locale prima di passare all'azione. I carnefici erano le truppe speciali inviate a questo scopo da Himmler, ma una parte della popolazione locale fu costretta a collaborare allo sterminio. C'erano gli addetti al trasporto dei cadaveri o alla preparazione delle fosse e ragazzi incaricati di raccogliere i denti d'oro e gli abiti dei morti. I prigionieri ebrei venivano ammassati nei boschi o al centro dei villaggi. Per tenerli tranquilli, girava la voce che si stava preparando un grande trasferimento in Palestina. Fra i civili ucraini, chi non ubbidiva o addirittura nascondeva ebrei veniva condannato a morte. Ma ci sono state uccisioni di ebrei ancor prima che i nazisti occupassero l'Ucraina". Dopo diversi viaggi in Ucraina, con una piccola troupe di interpreti ed esperti balistici, dopo centinaia di interviste di ultimi sopravvissuti e analisi di documenti che, fino alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, erano occultati o inaccessibili, padre Desbois ha localizzato 2.200 luoghi di sterminio - fosse comuni, canali, cimiteri, boschi - e condotto un'inchiesta dettagliata su 600. "Il lavoro continua. Ogni viaggio aggiunge pezzi di questo orrendo mosaico. Ho anche trovato un cimitero di prigionieri italiani fucilati - racconta -. All'inizio mi sembrava un' impresa impossibile. I sopravvissuti sono pochi e ancora meno quelli disposti a parlare. L'Ucraina ha subito anche le deportazioni staliniane e fino agli anni Ottanta ci sono stati processi e fucilazioni per collaborazione con il nazismo. La propaganda sovietica non metteva nel conto gli ebrei, ma parlava in generale di vittime civili. Mi hanno aiutato preti locali, sindaci di villaggi sperduti. Poi, a poco a poco, il velo si è squarciato, la gente ha cominciato a ricordare l'orrore: "Dovevamo preparare il pranzo per i soldati incaricati delle esecuzioni. Loro mangiavano sul bordo della fossa e sparavano. Alla fine del pranzo c'erano un migliaio di ebrei in meno", questo è ad esempio il racconto di una donna che lavorava alla mensa. Un altro mi ha raccontato che un ufficiale accompagnava la fucilazione con un'armonica. E' stato incredibile ritrovare quell'armonica dove c'era la fossa comune". Tutto è stato verificato, filmato in 700 ore di registrazione e repertoriato. La "Shoah delle pallottole" è stata presentata in una mostra a Parigi e raccontata da padre Desbois in un libro ("Porteur de memoires", ed. Michel Lafon) in cui sono raccolte le testimonianze più significative. "Sul bordo della fossa era stata sistemata una scala. Gli ebrei del villaggio dovevano spogliarsi. Ad uno ad uno, famiglia dopo famiglia, completamente nudi, scendevano i gradini e si sdraiavano sui corpi di quelli che erano stati fucilati prima di loro. C'erano uomini, donne e bambini. Un poliziotto tedesco, di nome Humpel, marciava sui corpi e sparava un colpo alla nuca. Indossava un camice bianco, forse per proteggere la divisa dagli schizzi di sangue. Poi risaliva la scala, prendeva un sorso di grappa e ricominciava. Il massacro è durato una giornata intera. Humpel uccise tutti gli ebrei del villaggio. Da solo". Le imprese del soldato Humpel sono ricordate da due sorelle ucraine, Vira e Luba, anziane abitanti del villaggio di Senkivishvka. "I partigiani poi uccisero il soldato Humpel", ricordano. "Sono un prete cattolico, cresciuto nella Bresse. Come sono arrivato fin qui per ascoltare il racconto di poveri contadini su quanto accaduto nei loro villaggi? Come è stato possibile che il sentiero della mia infanzia s'intrecciasse con il racconto dei crimini nazisti? è ciò che provo a raccontarvi in queste pagine", scrive padre Desbois nella prefazione. "Balbettando ", aggiunge. Ex professore di matematica Padre Patrick Desbois ha dedicato gli ultimi dieci anni alla documentazione dello sterminio di un milione e mezzo di ebrei "dimenticato" dalla propaganda sovietica Colpo alla nuca Un SS spara alla nuca a un ebreo ucraino inginocchiato sul bordo di una fossa comune. I carnefici erano le truppe speciali inviate da Himmler, ma una parte della popolazione locale fu costretta a collaborare allo sterminio. Chi non ubbidiva, veniva condannato a morte Massimo Nava.

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Anche al piano Barenboim è autorevolezza (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli - data: 2008-01-27 num: - pag: 48 categoria: REDAZIONALE Beethoven Alla Scala Anche al piano Barenboim è autorevolezza di ENRICO GIRARDI C i sono studenti che seguono il concerto su sedie collocate sul palco attorno al pianoforte. E il primo brano che si ascolta è proprio il primo della lunga serie, l'opera 2 n. 1, Sonata di un Beethoven che omaggia Haydn lasciando gli elementi del proprio vocabolario a venire in una forma ancora potenziale. L'inizio del ciclo di 8 concerti che fino a giugno vedranno Daniel Barenboim affrontare alla Scala l'integrale delle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven ha vago sapore di Hausmusik. Ma l'impressione dura il tempo di un amen. Un po' fa anche il modo semplice e irrituale con il quale il maestro israelo-argentino entra in una Scala che pure è gremita come nelle migliori occasioni: senza ostentare i tormenti di chi si trovi solo all'attacco dell'altissima vetta ma nemmeno la apparente naturalezza di quanti vogliono comunicare che sostenere l'impresa è cosa ovvia e facile. La verità è che si entra immediatamente in medias res; il pianismo di Beethoven è tutta sostanza, pensiero che dà forma e la testa, prima ancora delle mani, di Barenboim lo dicono con la forza dell'evidenza. Non la ricerca di un'eleganza, non la ricerca ossessiva di un "bel suono", ma il piacere di lasciar parlare la cosa. Ecco allora l'umorismo dell'opera 31 n.3, ecco la follia e la tensione dell'op. 106, l'"impossibile" Hammerklavier. Sì perché tra l'idea di percorrere le 32 "stazioni" in ordine cronologico o in ordine sparso - l'una come diario di una lenta evoluzione, l'altra che sintetizza lo stesso principio anche nello spazio della serata singola: entrambe legittime -, Barenboim opta per quest'ultima, e ogni serata c'è un titolo almeno per ciascuna delle tre fasi in cui la musicologia storica suddivide la parabola creativa del Gigante. Come del direttore d'orchestra Barenboim non si guarda il gesto (o meglio, lo si guarda, ma non come prima cosa), così nel caso del Barenboim pianista non si segue la musica in termini di mera tecnica pianistica, se non quando incappa in frasi un po' fallose (la fuga a tre dell'op. 106 qualche grattacapo lo pone sempre, a chiunque). Prima di ciò emerge il fascino per la prepotente musicalità, il carisma e l'autorevolezza con cui questo interprete smonta e rimonta il testo (forme, linee, pesi, colori, fraseggi, idiomi pianistici e orchestrali) per raccontare un Beethoven alto, nobile, imperiale, alieno da mode e filologie. Si sente anche quanto il pubblico ne sia coinvolto e quanto il trionfo conclusivo non giunga annunciato ma autentico. Maestro scaligero Barenboim al piano Sonate per pianoforte di Beethoven Pianista Daniel Barenboim Teatro alla Scala di Milano.

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Shoah, Milano al Binario 21 <Orrore da non dimenticare> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - MILANO - sezione: Cronaca di Milano - data: 2008-01-28 num: - pag: 2 categoria: REDAZIONALE Cerimonie Corteo da San Babila in Stazione, manifestazione in piazza Duomo Shoah, Milano al Binario 21 "Orrore da non dimenticare" Bertinotti agli studenti: spetta a noi vincere il male "Sappiate cogliere i segnali dell'antisemitismo", dice il rabbino Alfonso Arbib rivolto alla platea in piazza Duomo. Perché "la Shoah non è nata dal nulla ma da una lunga storia di pregiudizio ". Un applauso rompe il silenzio che aveva accompagnato il corteo partito da San Babila. Un'ora più tardi, il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, parlando alla folla raccolta al Binario 21 della Centrale per salutare i 700 studenti diretti ad Auschwitz con la Provincia, aggiungerà: "Non si può comprendere la Shoah. Ma bisogna conoscere. Perché dipende da noi se il male può ritornare ". La tentazione della retorica è forte nella Giornata della Memoria, quando le bandiere degli ex deportati e sopravvissuti ai campi di sterminio si mescolano a quelle dei giovani della sinistra della Comunità ebrea, degli Amici di Israele bianche e azzurre, dei sindacati confederali e dei rom, che sfilano in corso Vittorio Emanuele. Ci sono i discorsi di rito ma anche il microfono offerto per la prima volta ad Aurelio Mancuso, presidente Arcigay, che interviene accanto al presidente del Consiglio comunale e al segretario Cgil Onorio Rosati. Si consegna ai giovani il fardello del ricordo di una tragedia. E ai giovani era andato in mattinata il pensiero di Haim Baharier, in un Teatro Parenti dove non c'era più posto neanche in piedi. Per quanto se ne parla, ha aggiunto il vicepresidente della Provincia, Mattioli, "non è mai abbastanza ". Piccolo corteo, grande occasione per ricordare alle istituzioni che "si trovi una sede per l'associazione degli ex deportati, sfrattata" come fa Yasha Reibman, deciso a tenere unito il filo che lega il passato al presente. Come farà Ferruccio de Bortoli, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, leggendo una lettera ricevuta 10 anni fa, nel 60Ë? delle leggi razziali, da un sopravvissuto. E l'emozione contagerà i liceali al binario 21, e Bertinotti e i curiosi che seguono la cerimonia da un maxischermo in via Aporti. Parole e musica - la fisarmonica del rom Jovic Jovica, e poi un notturno di Chopin - per sigillare i ricordi. Paola D'Amico Giornata Il corteo e l'arrivo in Duomo. Gli studenti al Binario 21.

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AnnaFrankconkeffiyah:<Oltraggio> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache - data: 2008-01-28 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE Olanda AnnaFrankconkeffiyah:"Oltraggio" DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME - C'è un innocuo chef con le cuffie che frigge un vinile, una ragazza in lacrime, l'ombra della bimba che vola con i palloncini disegnata da Banksy sul muro israeliano in Cisgiordania, un coniglio gigante, la riproduzione di una vecchia caricatura di Hitler che porta all'altare Stalin vestito da sposa. E c'è pure il volto di Anna Frank, la riproduzione della celebre foto in cui sorride e guarda di lato, con un'aggiunta: al collo porta una keffiyah bianca e rossa palestinese. Ironia e politica, arte e comunicazione. Provocazione e basta secondo il Centro dell'Aja per l'Informazione e la Documentazione su Israele (Cidi): quella cartolina, infilata tra le altre in offerta nei bar e nei ristoranti olandesi, deve essere ritirata perché "offensiva, falsa, di cattivo gusto". "Anna Frank è il simbolo dell'Olocausto e della persecuzione- spiega a nome del Cidi Tuvit Shlomi al quotidiano israeliano Haaretz -. La keffiyah rappresenta la resistenza palestinese all'occupazione dello Stato ebraico. Troviamo questo accostamento inaccettabile". Il comunicato emesso dal Centro è anche più esplicito: "Israele e i palestinesi sono coinvolti in un conflitto. I palestinesi non sono perseguitati, non ci sono campi di sterminio, non c'è genocidio". L'editore delle cartoline, Boomerang, non è d'accordo. Non tanto su quest'ultimo punto, quanto piuttosto sul "cattivo gusto" dell'immagine che ha scelto di stampare. Il ritratto rivisitato della bimba del Diario morta a Bergen-Belsen, già da tempo graffito sui muri di Amsterdam, è stato realizzato da un artista conosciuto come T. con tutt'altro obiettivo, spiega ancora ad Haaretz il caporedattore Pascale Bosboom: "Creare un'immagine ideale, in cui entrambi gli Stati esistono, l'uno accanto all'altro, in pace. Un simbolo di fraternità e di riconciliazione". A. Cop. Palestinese Anna Frank con al collo una keffiyah bianca e rossa palestinese.

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Israele: l'antisemitismo è in calo in Europa (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache - data: 2008-01-28 num: - pag: 16 categoria: REDAZIONALE Giornata della memoria Rutelli: dobbiamo imparare dalla storia Israele: l'antisemitismo è in calo in Europa Bertinotti agli studenti: il male può tornare Celebrazioni in tutti i Paesi. L'ex ambasciatore Horin: il Papa non ne ha parlato all'Angelus ROMA - "C'è un paio di scarpette rosse per la domenica a Buchenwald. Erano di un bambino di tre anni. Forse di tre anni e mezzo. Chissà di che colore erano gli occhi bruciati nei forni. Ma il suo pianto lo possiamo immaginare". Con la voce di una bimba che recitava Joyce Lussu, si è aperta ieri alla Risiera di San Sabba, campo di sterminio nazista a Trieste, la giornata della memoria celebrata in tutta Europa. Per non dimenticare la Shoah, i sopravvissuti e le vittime. Comprese le più piccole come Sergio De Simone: sette anni quando arrivò in Risiera, venne strappato alla mamma, trasferito a Birkenau, torturato da Mengele e ucciso. I 63 anni dalla liberazione di Auschwitz si aprono con una buona notizia. Cala in Europa l'antisemitismo. A sostenerlo è un rapporto presentato dal governo israeliano che vede una diminuzione di "incidenti" rilevati. Ma l'ottimismo si scontra anche con alcuni dati negativi. In Germania, in Gran Bretagna, negli Usa, in Australia e in Ucraina gli episodi di antisemitismo aumentano. "Non abbiamo imparato la lezione della storia?" si chiede dunque alla Conferenza internazionale sull'antisemitismo aperta ieri a Roma dal ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli in assenza di Romano Prodi ("dovuta alla crisi di governo - ha spiegato Rutelli - ma che non diminuisce l'intensità e il significato di questo incontro"). Per il vicepremier "dobbiamo lottare contro la neutralizzazione progressiva della memoria soprattutto mentre i testimoni diretti della Shoah stanno via via scomparendo". Renzo Gattegna, presidente dell'Unione comunità ebraiche, sottolinea che "la Shoah non è solo degli ebrei. E nel giorno della memoria gli ebrei non sono e non vogliono essere protagonisti". Anche se è lo stesso Elie Wiesel, scrittore sopravvissuto al lager, a specificare che "senza l'antisemitismo Auschwitz non ci sarebbe stato". Anche per il presidente della Camera, Fausto Bertinotti "non è vero che il male non può tornare". "Dipende da noi - avverte -. Dalle nostre scelte individuali e collettive". A un gruppo di 700 studenti che ieri è partito per Auschwitz dal binario 21 della stazione di Milano, prima tappa per l'inferno per milioni di ebrei, dissidenti, zingari, gay, Bertinotti ha spiegato: "Esiste una sola cosa peggiore dell'idea che ci sia un'etnia inferiore: l'idea che ce ne sia una superiore". "Voi andate dove è morto l'uomo", ma "credo che un ricordo indelebile possa ricostruire la pace insieme con il dialogo fra le civiltà". A Venezia la ricorrenza si è unita al settantesimo anniversario delle leggi razziali firmate da casa Savoia. E il sindaco Cacciari ha invitato a non dimenticare questa "vergogna". I nazisti "non agirono da soli ma trovarono un complice anche nel-l'Italia fascista con l'adozione delle leggi razziali" ha rincarato il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza. Anche la tv e le radio sono state mobilitate nel ricordo. E c'è chi, come Nathan Ben Horin, ex ambasciatore di Israele presso la Santa Sede ha notato "con sorpresa e dolore" che il Papa non ne ha fatto cenno nell'Angelus. "Mi ha meravigliato - dice - la differenza con il presidente Napolitano che al Quirinale ha fatto un discorso molto toccante". "Peccato - si rammarica Furio Colombo - che proprio lui, al contrario di Angela Merkel e di persone che in Germania hanno ruoli di responsabilità, ha lasciato questo vuoto che almeno una parola avrebbe potuto riempire". "Si vede che la memoria lui l'ha persa" sdrammatizza, amaro, Riccardo Di Segni chiedendosi "come mai il Papa abbia mancato una celebrazione che non è solo degli ebrei ma di tutto lo Stato". "Wojtyla non se lo sarebbe dimenticato" affonda Viktor Majar. Di tutt'altro parere Riccardo Pacifici: "Qualcosa il Papa l'ha già detta nei giorni scorsi. E di questa giornata si è parlato più di quanto sognassimo. Sta diventando persino imbarazzante ". Virginia Piccolillo GUARDA Video e foto su www.corriere.it.

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Ecco le tessere naziste di Herbert von Karajan (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Cronache - data: 2008-01-28 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE Berlino I documenti di "Welt" sul passato del maestro Ecco le tessere naziste di Herbert von Karajan DAL NOSTRO INVIATO BERLINO - Era, ed è, uno dei segreti aperti (e tollerati) della Germania. Il passato con simpatie - e protezioni - naziste di Herbert von Karajan, il più amato tra i direttori, quello che dopo la guerra è diventato il simbolo non solo d'un suono moderno, ma anche della rinascita, e non solo culturale, della Germania. E mentre il Paese si appresta a festeggiare i 100 anni della sua nascita (1908-1989) con quello che sarà l'evento musicale dell'anno (festival, concerti, e l'edizione completa delle sue direzioni in 156 Cd), qualche giornale torna a rivangare il suo passato. Del quale il maestro - dice la biografia appena pubblicata dalla sua terza moglie, la modella Eliette, "Mein Leben auf seiner Seite" (la mia vita al suo fianco) - perfino con lei non ha mai voluto parlare. Ed ecco che la Welt, giornale conservatore, tira fuori quello che si sapeva, ma che il pubblico non aveva mai visto. Due tessere del partito nazionalsocialista di von Karajan, la prima del 1933, la seconda del 1935 quando s'era riscritto al partito di Hitler. "Camerata von Karajan ", è il titolo di un lungo servizio. N. 1607525 il primo, quando ancora viveva a Salisburgo e l'Austria non era annessa dal Reich, n. 3430914 il secondo, iscritto alla sezione di Aachen. Peccati di carrierismo, come s'è sempre detto? La voglia d'arrivare che lo portò a dirigere, a trent'anni, e sotto la protezioni di GÖring e Goebbels, "Tristano e Isotta" di Wagner alla Staatsoper? Von Karajan pagò quella scelta, quando gli americani della Zona A gli impedirono fino agli anni Cinquanta di tornare sul palco. Né gli ebrei dimenticarono, se nel 1955 al Carnegie Hall lo accolsero con i manifesti "Lei ha aiutato Hitler a sterminare milioni di persone ", e Israele si è rifiutata di ospitare i Berliner Philarmoniker, lui direttore, fino alla sua morte. Ma di questo, in Germania - nonostante qualche biografia - finora non s'è voluto parlare molto. Ma. G. La tessera La prova del passato con simpatie naziste del direttore d'orchestra Herbert von Karajan, pubblicata dal giornale conservatore tedesco "Welt". Due tessere del partito nazionalsocialista di von Karajan: la prima del 1933, la seconda del 1935, quando s'era riscritto al partito di Hitler In concerto Herbert von Karajan (1908-1989) è stato il più amato tra i direttori d'orchestra tedeschi, quello che dopo la guerra è diventato il simbolo della rinascita della Germania.

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FORZE ARMATE (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 28-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Lettere al Corriere - data: 2008-01-28 num: - pag: 27 categoria: BREVI FORZE ARMATE Raccolta dei rifiuti Caro Romano, uno degli aspetti meno evidenti, ma non per questo meno imbarazzante, della crisi della spazzatura in Campania è rappresentato dall'impiego dell'Esercito nella raccolta dei rifiuti. Una situazione a dir poco paradossale; infatti, mentre una parte delle Forze armate è impegnata in missioni all'estero, impegnata talvolta in combattimento (come in Afghanistan), un'altra parte viene impiegata in compiti che non le dovrebbero spettare. Considerando poi che l'istituzione del modello professionale per le Forze armate stesse si basava sul presupposto che queste ultime avrebbero dovuto trasformarsi in uno strumento militare con compiti e ruoli diversi dal passato e che la ventilata riduzione del numero di militari di cui si parla da tempo avverrebbe proprio sulla base della necessità di ammodernarle ulteriormente per far fronte alle minacce dei giorni nostri, vedere dei soldati alle prese con i rifiuti sembrerebbe ben poco coerente con quanto è stato detto, da più parti, fino ad ora. Giovanni Martinelli giova.mart@tin.it Lei ha ragione naturalmente. Ma quella di Napoli era diventata ormai una emergenza sanitaria e civile, con gravi rischi per la salute e l'ordine pubblico. A chi dovrebbe rivolgersi il governo, in queste circostanze, se non alle Forze armate? Ma il fatto che sia stato costretto a usare uno strumento improprio, concepito per altri fini, rende la sua responsabilità ancora più evidente. STATO ISRAELIANO I confini Caro Romano, lei asserisce che la Palestina mandataria è "oggi inclusa per buona parte nei confini dello Stato israeliano". Il mandato britannico non indicava con esattezza i territori tuttavia precisava che le terre a Est del Giordano facevano parte della Palestina. Dal 1922 questa zona, definita allora Transgiordania, oggi Giordania, quasi l'ottanta per cento della superficie totale, pur rimanendo sotto mandato britannico, fu gradualmente trasferita all'amministrazione di un governo arabo. Ne risulta, quindi, che Israele, l'odierna Palestina e Gaza messi assieme rappresentano circa il 22% dell'originale mandato. Stante l'incertezza dell'attuale situazione è difficile stabilire con esattezza i confini dello Stato d'Israele, ma siamo ben lontani dall'includere in essi il territorio della Palestina mandataria, come lei asserisce. Franco Ottolenghi franco.ottolenghi@ tiscali.it L'originale mandato britannico sopravvisse fino al maggio 1923 quando la Transgiordania venne organizzata come Stato autonomo sotto la guida dell'emiro Abdullah Ibn Hussein, figlio dello sceriffo della Mecca. Da allora Palestina e Transgiordania divennero entità separate, anche se soggette, ma in misura alquanto diversa, al controllo britannico. PARLAMENTO Brutto spettacolo Dopo quanto è successo in questi giorni nel Parlamento la reazione che mi viene immediata è di non andare a votare in caso di elezioni anticipate. Se queste verranno indette spero tanto che nel frattempo avvenga qualcosa che mi convinca del contrario. Vittorio Cravotta Selargius (Ca) IN TRIBUNALE Difendersi da soli L'articolo 6.3.c della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con legge 4 agosto 1955, numero 848, recita: "Ogni accusato ha diritto a difendersi personalmente o ad avere l'assistenza di un difensore di sua scelta". Per rispettare l'impegno che assumemmo, bisognerebbe permettere che un imputato si possa difendere da solo. Allo scopo, occorrerebbe che il Codice di procedura penale fosse modificato in modo che anche un profano possa difendersi senza farsi rappresentare da un avvocato iscritto all'Ordine. Sarebbe interessante sapere in quali altri Paesi europei esiste l'obbligo di farsi rappresentare, in tribunale, da un avvocato. Mario Scarbocci San Donato Milanese DALLO SPAZIO Caduta del satellite Gli Usa ci mettono in allarme: tra un mese cadrà sulla Terra un satellite spia. C'è spazzatura anche lassù, tanta. Cerchiamo spazi incontaminati ma meglio non metterci piede: l'uomo lascia dietro se una scia pesante e l'entropia avanza. Filippo Testa Baldissero Torinese (To) UOMINI POLITICI Il buon senso Dopo la caduta del governo Prodi il presidente della Repubblica Napolitano, come consuetudine, ha avviato le consultazioni con i leader dei vari partiti. Gli italiani aspettano e sperano che qualcosa cambi in modo radicale soprattutto negli uomini politici e si auspicano che a prescindere dall'appartenere al centro, alla destra o alla sinistra, chiunque ci governi lo faccia con consapevolezza e responsabilità, usando soprattutto il buon senso, altrimenti la caduta di Prodi rimane solo uno scherzo di carnevale. Decimo Pilotto Tombolo (Pd) DORMITORIO PUBBLICO I telefonini Svolgo attività di volontariato presso un dormitorio pubblico (servizio mensa serale). Noto che molti ospiti sono dotati di telefonino. E' davvero così essenziale, anche per persone che non hanno lavoro e vivono di sussidi? Più importante della stessa casa, che non hanno, e vivono in un centro di accoglienza comunale? Daniele Zocca, Bologna IMPRENDITORI Premi in busta paga Alcuni imprenditori hanno iniziato a riconoscere ai dipendenti come premio alla produttività e alla qualità del lavoro svolto un contributo economico in busta paga. Si riconosce informalmente la perdita del potere di acquisto dei salari e le difficoltà di arrivare a fine mese. Ma quello che non si è fatto con interventi diretti e strutturali sul cuneo fiscale non può essere tamponato con qualche una tantum. Andrea Sillioni Bolsena (Vt).

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Cala l'antisemitismo in Europa secondo un rapporto dello Stato di Israele Shoah, ricordo indelebile Giornata della memoria Manifestazioni in tutta Italia Oggi a Roma convegno su Ol (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)

 

Cala l'antisemitismo in Europa secondo un rapporto dello Stato di Israele Shoah, ricordo indelebile Giornata della memoria Manifestazioni in tutta Italia Oggi a Roma convegno su "Olocausto e negazionismo" Cala in Europa l'antisemitismo, pur se con qualche eccezione, come indica il rapporto presentato ieri al governo israeliano in occasione del Giorno della Memoria che è stato ricordato in tutta Italia come in gran parte della stessa Europa. E David Grossman, lo scrittore israeliano che ieri ha ricevuto a Firenze la laurea honoris causa, spiega che ogni ebreo è una sorta di "colombo viaggiatore" della Shoah che lo "voglia o no". Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Pizzi...cati al Senato Pirelli, l'arte nel viaggio. Fotografia, grafica e design in mostra a Milano Napolitano, via alle consultazioni Gaza, l'Egitto apre i varchi ai palestinesi Il Governo supererà lo scoglio della fiducia? Silvia Mancinelli Una prova ... Ed anche il presidente della Camera Fausto Bertinotti parlando a Milano - dove è partito per una visita ad Auschwitz un treno di studenti - sottolinea l'importanza del ricordo e del dialogo tra le civiltà. "Per la memoria della tragedia irreparabile di Auschwitz, simbolo di tutti i mali del mondo - dice -, credo che un ricordo indelebile possa ricostruire la pace insieme con il dialogo fra le civiltà". A conclusione della giornata - che ricorda il 27 gennaio del 1945 la liberazione di Auschwitz da parte dei sovietici - si tiene a Roma, fino a oggi, il convegno su "Antisemitismo e negazione dell'Olocausto. Moderni crimini contro l'umanità. Il mondo non ha imparato la lezione?", organizzato dal Ministero dei Beni Culturali, che vedrà la partecipazione del vicepremier Francesco Rutelli e quella del presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche Renzo Gattegna. Un convegno che oggi vedrà, tra gli altri, le testimonianze di Franco Frattini per la Ue, del ministro dell'interno Giuliano Amato, ma anche quella di storici importanti come Anna Foa, Vittorio Dan Segre, Riccardo Calimani, Deborah Lipstadt che ha spinto per l'incriminazione dello storico negazionista David Irving, di Charles Small e del Nobel Elie Wiesel, scampato ai campi di sterminio. Quest'anno la ricorrenza del Giorno della Memoria si è intersecata con il 70/mo anniversario delle Leggi razziali del 1938, firmate da casa Savoia, e il sindaco di Venezia Massimo Cacciari sottolinea quest'aspetto: "sono pochi anni - dice - che si sta studiando quella vergogna, perch? poi l'enormità dello sterminio ha fatto sì che quasi si potesse dimenticarla, come se non si potesse paragonare la discriminazione delle leggi razziali alla persecuzione di Auschwitz". Anche il sindaco di Trieste di Forza Italia Roberto Di Piazza - nella cerimonia di alla Risiera di San Sabba unico campo di sterminio in Italia - ammonisce che i nazisti "non agirono da soli ma trovarono un complice anche nell'Italia fascista che con l'adozione delle leggi razziali si indirizz? su una strada di non ritorno". Vai alla homepage 28/01/2008.

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Vittima della ferocia d'una ideologia di sterminio, ma anche (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 28-01-2008)

 

Vittima della ferocia d'una ideologia di sterminio, ma anche (soprattutto?) della viltà della gente per bene, che sapeva solo tacere, che fingeva di non vedere. Ho ripensato al signor Orvieto ieri, mentre seguivo le cerimonie del 27 gennaio. "Olocausto", nome sacrale; Shoah, parola pesante come un macigno sulle coscienze. Home prec succ Contenuti correlati Pizzi...cati al Senato Pirelli, l'arte nel viaggio. Fotografia, grafica e design in mostra a Milano Napolitano, via alle consultazioni Gaza, l'Egitto apre i varchi ai palestinesi Il Governo supererà lo scoglio della fiducia? Hinkemann, il dramma di un reduce di guerra Le millenarie vicende del genere umano sono piene di orrori. Ma a rendere particolarmente imperdonabili i genocidi del XX secolo contribuiscono due cose: primo, il fatto ch'essi riguardano da vicino le generazioni dei nostri padri, dei nostri nonni e anche le nostre; secondo, essi non appartengono a chissà quale passato di barbarie bensì a un presente che si ama tuttora dipingere come un'età di magnifiche sorti e progressive. Infamie venute dopo i Diritti dell'Uomo; partorite dallo stesso ventre che ha generato Illuminismo e Umanitarismo. Per questo sono tanto più imperdonabili. Il mio studio fiorentino è un ambiente piccolo. Uno scaffale è riempito dalle testimonianze dell'orrore del Novecento: grossi "Libri Neri" (del comunismo, del capitalismo, del colonialismo, della guerra) e una serie di monografie sulle stragi: degli ebrei, degli armeni, dei kulaki russi, degli indiani d'America, dei popoli africani. Il 27 gennaio, anniversario della scoperta del Lager di Auschwitz, è ricorrenza dedicata alla Shoah: a proposito della quale si continua a discutere se essa sia stata "unica" della sua immane tragedia, oppure "esemplare" nel suo carattere di caso estremo magari ma tipico d'un orrore la concezione del quale era del tutto moderna. Non facciamo questione di numeri: non c'è nulla di più ripugnante della computisteria funebre. Il punto è un altro: intender sul serio, e in concreto, il significato di quella frase che troppo spesso pronunziamo distrattamente, come un mantra che rischia di tingersi di retorica e di conformismo. "Dovere della memoria". Sì. Un dovere sacrosanto. Ma che non può essere soltanto passivo. Non dimentichiamo che il ventre che ha partorito quegli orrori è ancora gravido, ma capace di camuffarsi. E sono tante le Auschwitz che funzionano ancora oggi. Nel Vicino e Medio Oriente, dove si muore di guerra e di terrorismo. In Libano, in Israele, in Palestina, dove sarebbe sacrosanto eppure è quasi impossibile distinguere tra vittime e carnefici. Nell'Estremo Sud-Est asiatico e in America latina, dove tirannia e fanatismo falciano quotidianamente vite umane. In Africa, dove si stanno combattendo guerre tribali con mezzi ultramoderni e dove si continua a morire di Aids e di fame. E perfino nel nostro felice e libero Occidente: dagli ospedali dai quali s'innalza verso Dio il grido silenzioso degli innocenti assassinati per carenza o mancanza di cure, o soppressi prima di nascere, fino all'orribile paradosso di luoghi come Guantanamo, nei quali si consuma l'assurdo della violenza perpetrata nel nome della Libertà. Qui non si tratta di esportar democrazia. Si tratta di lottare contro l'infelicità e l'ingiustizia. Vai alla homepage 28/01/2008.

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L'eroe di San Nicolò che salvò centinaia di ebrei (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 28-01-2008)

 

Prima Pagina Pagina 2 Gerrei. La medaglia di "giusto" sarà conferita domani da Israele a Roma L'eroe di San Nicolò che salvò centinaia di ebrei Gerrei.. La medaglia di "giusto" sarà conferita domani da Israele a Roma --> Aveva 36 anni quando fu fucilato: le Brigate nere fasciste avevano scoperto che Salvatore Corrias, giovane finanziere di San Nicolò Gerrei, aveva aiutato centinaia di ebrei a riparare in Svizzera. Nel suo paese fu dimenticato e solo di recente si è ricostruita la storia di questo eroe della Resistenza. Domani l'ambasciatore di Israele in Italia gli conferirà la medaglia di giusto nella caserma della Finanza davanti a una delegazione del Comune. La medaglia sarà esposta nel museo cittadino. SERRELI A PAGINA 5.

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Gaza, buio in scena vince la propaganda (sezione: Israele/Palestina)

( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)

 

Oggi è Lun, 28 Gen 2008 Edizione 18 del 26-01-2008 Disinformazione di Hamas Gaza, buio in scena vince la propaganda di Dimitri Buffa Lo sapevo. Ci siamo di nuovo cascati. Come su "Scherzi a parte" . Ancora una volta i simpatici cineasti di Hollywood Palestina l'hanno fatta in barba a tutti i media mondiali, molti dei quali ansiosi di farsi fottere in questa maniera, con la simpatica balla di "Gaza al buio perché quei boia degli israeliani ci hanno tolto la luce". A smascherare la sceneggiata ancora una volta il Jerusalem Post che in un articolo dal titolo molto significativo, "Luci spente, camera, azione", ha descritto la conferenza stampa a lume di candela del leader golpista di Hamas Ismael Haniya, che ha convocato all'uopo tutti i volenterosi giornalisti occidentali nel suo ufficio mentre fuori dal palazzo però, piccolo particolare, le luci erano tutte accese. A descrivere la ridicola messinscena anche una bravissima blogger israeliana che scrive per informazionecorretta.com, Deborah Fait. Che ci decrive la farsa con le parole usate da alcuni reporter israeliani: "Haniya, ci ha convocati nel suo ufficio, siamo entrati e abbiamo trovato lui e i suoi ministri, al buio, seduti intorno al tavolo e davanti a ognuno c'era una candela accesa. Strano, abbiamo pensato, perché era giorno e sulle scale c'era la luce elettrica! Avevano chiuso tutte le tende per rendere la stanza completamente buia. Ci ha ordinato di fotografare e di ritornare la sera stessa. Siamo ritornati e abbiamo trovato il quartiere al buio, nelle zone da cui venivamo invece c'era la luce e decine di donne e bambini per la strada con le candele accese in mano". Commento della Fait: "questi sono i racconti dei giornalisti palestinesi arrivati ieri a Gerusalemme. Li abbiamo visti e sentiti in diretta alla TV israeliana e stiamo ancora ridendo. Sembra impossibile che i palestinesi siano tanto sicuri di poter prendere in giro il mondo intero da arrivare a fare le sceneggiate "aiuto non abbiamo la luce, Israele ci sta togliendo tutto!" persino durante il giorno. Sono davvero arcisicuri che Eurabia creda ad ogni loro parola." Scrive ancora la Fait sul proprio blog: "sembra impossibile ma hanno ragione, il mondo gli crede, qualsiasi cosa dicano il mondo pende dalle loro labbra e all'ONU ti schiaffano una bella risoluzione contro Israele, senza nemmeno accennare ai bombardamenti su Sderot. Il mondo urla "Israele affama i palestinesi" e li guarda, belli grassi, hanno persino la pancia, i bambini hanno belle guanciotte rotonde però continuano a gridare i soliti idioti "Israele affama i palestinesi, non possiamo accettare una punizione collettiva". A Sderot invece si? Sderot può essere punita collettivamente? I bambini di Sderot possono im-pazzire di paura? Sparano 50 razzi al giorno, in poco più di 2 anni sono caduti nel sud del Neghev più di 9000 Qassam". E a proposito di leggende da sfatare ieri è caduta miseramente anche quella dell'umanitarismo di Moubarak che avrebbe permesso ai sempre "poveri palestinesi" di approvvigionarsi su territorio egiziano dopo avere fatto saltare il muro di cui non parla nessuno, quello che chiude il valico di Rafah dalla parte egiziana. Ieri infatti è stata la giornata dell'intervento massiccio delle unità anti sommossa egiziane. Le agenzie riportano che "ieri mattina le autorità egiziane avevano deciso di rafforzare il contingente di militari nella zona per riprendere gradualmente il controllo della situazione e ripristinare il confine". Secondo l'inviato della tv araba al-Jazeera, in realtà il valico sarà chiuso oggi, mentre ieri i militari hanno avuto il compito di impedire l'ingresso dei palestinesi in Egitto e di incoraggiare energicamente le decine di migliaia ancora presenti nel loro territorio a tornarsene nella striscia di Gaza. Appena ci scapperà il primo morto, e gli egiziani non vanno molto per il sottile (loro gli omicidi non li mirano ma tendono a socializzarli), vedrete che forse finirà anche la bella favola dell'Egitto equo e solidale.

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Intervista a Franco Perlasca / Anche l'Italia ha il suo "Schindler" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Opinione, L'" del 28-01-2008)

 

Oggi è Lun, 28 Gen 2008 Edizione 18 del 26-01-2008 Intervista a Franco Perlasca / Anche l'Italia ha il suo "Schindler" Il figlio del commerciante italiano, che fingendosi addetto all'ambasciata spagnola di Budapest pose sotto la sua protezione e salvò da morte sicura circa 5000 ebrei, racconta le gesta del padre di Stefano Magni Anche l'Italia ha il suo "Schindler" da ricordare. Giorgio Perlasca, a Budapest, fingendosi addetto all'ambasciata spagnola, pose sotto la sua protezione e salvò da morte sicura circa 5000 ebrei. Impedì che venissero imbarcati sui vagoni della morte che li avrebbero portati ai campi di sterminio, assicurò loro un rifugio sicuro nelle abitazioni sulla riva del Danubio che erano di proprietà dell'ambasciata (e dunque extra-territoriali) e fornì loro medicinali e viveri. Alla fine del 1944, fingendosi sempre un diplomatico spagnolo e inventando minacce di ritorsioni da parte del governo di Franco, riuscì a convincere il regime nazista ungherese a non radere al suolo il ghetto ebraico di Budapest. Eppure Perlasca non era un politico. Era un commerciante italiano, aveva combattuto come volontario in Etiopia e poi in Spagna, era simpatizzante per il governo di destra ungherese retto dall'ammiraglio Miklos Horthy, dal 1941 alleata con la Germania di Hitler. La situazione cambiò drasticamente il 19 marzo del 1944, quando la Germania occupò il paese e instaurò un regime-fantoccio. Fu allora che iniziò la storia di Perlasca, una storia di eroismo che rimase completamente sconosciuta fino al 1988, quando questo "eroe per caso" fu rintracciato e ricontattato da alcune famiglie ebree ungheresi che aveva salvato. Che cosa spinse Giorgio Perlasca a rischiare così tanto? Ne abbiamo parlato con suo figlio, Franco Perlasca: "Non ci fu alcuna motivazione ideale o politica, ma umanitaria - ci spiega - vedeva le persone che venivano prese e avviate verso i campi di sterminio. Visto che aveva la possibilità di salvarle, lo fece senza dubbi" Com'era la situazione in Ungheria fino alla primavera del 1944? Anche dopo lo scoppio della guerra, l'Ungheria era totalmente diversa rispetto agli altri paesi dell'Europa orientale alleati dei nazisti. Gli ebrei non venivano deportati. Venivano certamente discriminati. Anche in Ungheria erano in vigore leggi razziali, erano state fissate delle quote che li penalizzavano nelle scuole, nelle università e nell'impiego pubblico. Ma la comunità ebraica locale, circa 800.000 individui, era intatta nel marzo del '44. Merito dell'ammiraglio Horthy, una personalità forte che riuscì a tenere a bada Hitler. Quando le Croci Frecciate, i nazisti ungheresi, presero il potere, suo padre cambiò idea sugli ungheresi? La presa del potere dei nazisti fu un vero e proprio colpo di Stato, non una scelta popolare. Naturalmente c'era chi era filo-nazista, come in tutti i paesi dell'Europa in guerra. La società ungherese era molto composita e anche multipartitica: fino ad allora c'erano state elezioni, pur controllate. Il colpo di Stato avvenne dopo che Horty lanciò alla radio il messaggio dell'uscita dell'Ungheria dalla guerra. Probabilmente sbagliò i suoi calcoli e non immaginò quale sarebbe stata la reazione nazista. Il regime che conquistò il potere raggiunse dei livelli di violenza inauditi. I nazisti in Ungheria erano convinti di dover recuperare il tempo perduto, di completare lo sterminio di tutta la comunità ebraica in pochi mesi, quando negli altri paesi c'erano voluti anni. E in pochi mesi, effettivamente, assassinarono i tre quarti dell'intera comunità. La responsabilità del genocidio è di una minoranza fanatica, mentre mio padre ebbe sempre una grandissima stima del popolo ungherese, di cui ammirava soprattutto la fierezza. Un coraggio popolare che fu confermato anche dopo la II Guerra Mondiale, quando l'Ungheria si sollevò contro il potere comunista: quella del '56 fu realmente una sollevazione di popolo, in tutti i sensi. Proprio a proposito dei sovietici: di solito la storia di suo padre finisce con l'arrivo dei sovietici a Budapest. Ma fu veramente un lieto fine? Fu un lieto fine perché l'Armata Rossa pose fine allo sterminio degli ebrei e alla dittatura delle Croci Frecciate. Allo stesso tempo non fu un lieto fine, perché quando l'Armata Rossa entrò in città, nelle prime due settimane scatenò l'inferno. Le truppe d'assalto erano completamente ubriache per darsi coraggio. Tutte le donne che incontrarono, dai 10 ai 90 anni, furono sistematicamente violentate. La situazione fu veramente tragica finché non giunsero le forze di prima linea a ristabilire un minimo di ordine, ma nei primi giorni si visse nel terrore. Suo padre lottò contro tutti e due i totalitarismi del '900. Quali furono le sue scelte politiche nel dopoguerra? Dopo la fine del conflitto mondiale si trasferì a Trieste e partecipò anche attivamente al movimento per far ritornare la città (allora zona occupata e amministrata dagli Alleati, ndr) sotto la sovranità italiana. Non fece mai politica attiva. Aderì inizialmente al Movimento dell'Uomo Qualunque, poi, quando questo scomparve, votò anche la Dc, ma soprattutto il Pli di Malagodi. Dalla metà degli anni '70, si avvicinò anche alla Destra Nazionale. Del fascismo non fu mai nostalgico, anche se sapeva distinguere tra i lati positivi e negativi del regime. Condannava le leggi razziali, l'alleanza con i nazisti e l'entrata in guerra, ma riconosceva la crescita economica, le grandi opere, il riconoscimento dei primi diritti dei lavoratori. Nel dopoguerra non cambiò assolutamente idea. Si riconosceva in alcuni valori che, almeno una volta, era considerati di "destra": amare la patria e anteporre i doveri ai diritti. Suo padre ricevette riconoscimenti da Israele e dall'Ungheria e l'Italia arrivò ultima a decorarlo. Quali furono le ragioni di questo ritardo, secondo lei? La storia di mio padre è difficile da raccontare, anche per motivi ideologici. Perché è la storia di una persona che era stata fascista, che smise di essere fascista, ma non divenne "antifascista" nel senso classico del termine. Non era facilmente inquadrabile da una storiografia che ha sempre distinto in modo netto i buoni e i cattivi. Mio padre era bollato per quel suo "peccato originale" e non era facile trovare una soluzione per un suo pieno riconoscimento. Secondo me, ruppe un po' gli argini il presidente Francesco Cossiga. L'assegnazione a mio padre della medaglia d'oro al valor civile, fu una sua picconata e fu uno dei suoi ultimissimi atti da presidente. Al resto pensò la burocrazia. La comunicazione della decorazione ci arrivò nel settembre del 1992, quando mio padre era mancato in agosto.

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Israele e le nostre responsabilità (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 28-01-2008)

 

Scritto&parlato Israele e le nostre responsabilità Valentino Parlato La mia nota, sul manifesto del 24 gennaio, contro il boicottaggio alla Fiera del libro di Torino, ha provocato molte reazioni negative, tutte - schematizzo - concentrate su un punto: lo stato d'Israele perseguita i palestinesi e quindi è giusto e doveroso boicottare la sua presenza alla Fiera del libro. Le lettere sono molte. Non è possibile pubblicarle tutte e alcune ho dovuto tagliarle. Chiedo scusa e vengo alla risposta. Innanzitutto ringrazio perché la discussione che si apre è seria e coinvolgente, e dovrebbe continuare. Certo l'attuale comportamento d'Israele porta acqua al mulino dei miei critici, ma possiamo destoricizzare la questione? Caro Michele la persecuzione degli ebrei in tutto il mondo non è un mito del recente passato. La persecuzione è antica e noi cristiani siamo intervenuti con "il popolo deicida", responsabile della crocifissione di Gesù Cristo e poi, vado a memoria, la cacciata dalla Spagna a opera della cattolica Isabella e per ultimo (ma non definitivo) la Shoah . Insomma - penso io - che sarebbe un grave errore destoricizzare la questione ebraica e ridurla solo allo stato d'Israele, perché, peraltro, sempre a mio parere, contrasta con l'essenza dell'ebraismo, che è la diaspora. Insomma non possiamo ridurre la questione ebraica all'attuale stato d'Israele, che pure è un'espressione dell'ebraismo. E poi - aggiungo - dovremmo sforzarci di una riflessione storica anche sui palestinesi, che - sempre a mio parere - sono gli ebrei del mondo arabo: intelligenti e perseguitati; dall'imperialismo occidentale e dalla feudalità araba. Tanto che io credo che la formula "due popoli uno stato", cioè uno stato ebreo-palestinese sarebbe la soluzione naturale, ma impossibile nel contesto dello scontro tra i poteri internazionali forti. Uno stato ebraico-palestinese (lo propone Gheddafi) sarebbe una grande innovazione di pace, ma nell'attuale contesto è impossibile. In tutti i modi critichiamo Israele e la sua politica, ma rinunziamo all'arma del boicottaggio, che ci riporta indietro nei secoli e va contro gli scrittori israeliani che criticano aspramente in governo. p.s. E poi se vogliamo complicare la cosa ancora di più rileggiamoci "Il problema ebraico" di Karl Marx. Valentino Parlato Schiavo del mito? Caro Valentino, ti sono molto affezionato e conosci il grande rispetto che ho per il tuo lavoro. Devo però dirti che sono rimasto senza parole leggendo il tuo intervento sulla Fiera del libro. Senza offesa, mi sconvolge la banalità delle tue motivazioni. Non perché sostengono che sia sbagliato boicottare, ma per il fatto che non sono vere motivazioni. Appaiono un'artificiale difesa d'ufficio di uno stato che è ben lontano dal mito che ti affascinò 60 anni fa. Nelle ragioni che elenchi manca un filo di logica, un filo di analisi, rispetto a quello che accade sul terreno. Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere. Gli israeliani stanno costruendo un nuovo apartheid che tu però neghi perché non vuoi accettare una realtà che si scontra con il mito. Eppure il nostro amico Daniel Amit aveva saputo spiegarcelo in modo così chiaro. A denunciarlo da anni è anche il maestro Daniel Baremboim, che non è certo un pericoloso estremista. Gli israeliani non sono afrikaner? Vero, ma si comportano allo stesso modo. Con il cuore colmo di delusione. Michele Giorgio Insisti nell'errore Caro Parlato, ho letto il tuo articolo di giovedì scorso. Mi ha colpito molto. Non posso pensare che le cose dette siano frutto di ignoranza, quindi perché? Per sostenere di essere contrario al boicottaggio dimentichi che anche associazioni democratiche israeliane lo sostengono, che è "anche" il 60.mo anniversario della Naqba palestinese (la "memoria" non è a senso unico), che un israeliano non è sempre ebreo, tra gli israeliani ci sono musulmani (molti), cristiani, drusi, atei; ci sono ebrei discriminati da altri ebrei, e è ipocrita dire che boicottare lo stato di Israele per la politica e le azioni contro i palestinesi che porta avanti è essere contro gli ebrei tout court. E cosa c'entra tirare in ballo il ghetto di Varsavia con il boicottaggio ? Non nascondiamoci dietro il dito degli scrittori di grande levatura presenti, tre dei quali portatori accondiscendenti della politica israeliana verso i palestinesi, quando la cultura del paese è molto variegata: dove sono i cosidetti nuovi storici o dissenzienti dal sionismo o gli scrittori palestinesi di Israele? Già sono discriminati in Israele e lo sono anche in Italia. Se fossero stati invitati forse avresti avuto più frecce al tuo arco. E infine, caro Parlato, non è vero che un libro va sempre rispettato, dipende da quello che trasmette e sono sicuro che anche per te molti libri non vanno rispettati. Allora ho l'impressione che usi questi argomenti solo per un pregiudizio, quello di difendere sempre e comunque il governo israeliano. Lino Zambrano cooperante Ong Cric Gaza Invecchi male L'articolo di Valentino Parlato in cui condanna quanti sono impegnati a boicottare l'edizione della Fiera del Libro (dove si vorrebbe ospite d'onore Israele) andrebbe stampato in milioni di copie e fatto girare ovunque. E' un testo che offre molte ragioni proprio a chi vuole boicottare la Fiera. Cosa dice Parlato? Qualunque cosa abbiano o commettano, gli israeliani vanno giustificati. Non li si può condannare oltremodo perché loro, gli israeliani, hanno subito forti persecuzioni da parte dei cattolici prima e dei nazisti poi. Ora, ditemi quale uomo o donna con un minimo di senno può pensare un abominio del genere. Io credo che nemmeno i filo-israeliani che andranno alla Fiera (se rimarrà come voluto dal Comitato che gestisce l'ente, il cui capo è iscritto alla loggia P2, tessera 2095) possano prendere le parole di Parlato per recarsi a Torino senza vergogna. Il "nostro" in un sol colpo è riuscito a spazzare via le idee di Primo Levi, Franco Fortini, Luigi Pintor e infine Stefano Chiarini (che mi sembra un bel modo di ricordarlo ad un anno dalla sua morte). Inoltre ha mandato a quel paese quegli israeliani che si rifiutano di stare dalla parte dell'occupazione. Ha stracciato, infine, molti vecchi articoli della Rossanda, di se stesso... Una cosa ha dimostrato Valentino Parlato: non è sempre vero che si invecchia bene, a volte lo si fa nel peggiore dei modi, come a esempio stare dalla parte degli aguzzini contro le vittime. Francesco Giordano Gli ebrei non sono Israele Caro Valentino Parlato, in relazione al tu articolo, "Un boicottaggio sbagliato", devo dire che condivido l'idea che il boicottaggio possa essere uno strumento a volte discutibile, ma non era questo il tema principale del tuo articolo. Tu sei entrato, mi sembra, proprio nel merito dell'opportunità di contestare lo stato di Israele, e non hai colto, mi sembra, quello che per molti di noi, almeno tra i lettori del manifesto, è invece una discriminante che non viene colta neppure da altri "compagni": l'esistenza di uno stato etnico, anzi, di più, uno stato religioso. Mentre si lotta (forse non tutti) per conservare nel nostro paese almeno il principio della laicità, si accetta che esista, e lo si sostiene, uno stato basato sulla religione (quella ebraica in questo caso) come fosse la cosa più naturale del mondo, anzi, siamo disposti a sostenere che la sua esistenza difenda il diffondersi della democrazia nel mondo. Più volte nel tuo articolo confondi lo stato di Israele con l'ebraismo; cito: "riconoscere agli ebrei il diritto a avere un territorio e uno stato, era obbligatorio", "Gli israeliani - che sono sempre ebrei...", "la persecuzione del popolo ebraico" (a sostegno della necessità dell'esistenza di uno stato ebraico), "non solo perché gli israeliani sono ebrei e non afrikaner", tutte frasi estratte dal tuo articolo, e che, mi sembra, sostengono la necessità dell'esistenza di uno stato appunto ebraico, basato sull'appartenenza religiosa. Un assunto del genere, anche se, come dici tu condiviso dal "compagno Stalin", non lo trovo affatto condivisibile, almeno non dai "compagni" che leggono il manifesto (sono tra l'altro abbonato da vari anni). Con affetto. Francesco Andreini Ebraismo e sionismo Gentile signor Parlato, lei scrive che c'è boicottaggio e boicottaggio... Si potrebbe aggiungere: c'è violenza e violenza, ci sono oppressori e oppressori. E oppressi e oppressi. Per lei, evidentemente, Israele è un oppressore autorizzato e quella israeliana una violenza doc. Perché il boicottaggio contro lo stato razzista del Sudafrica andava bene, mentre quello contro Israele, stato altrettanto razzista e basato sull'apartheid, no? Perché continuare volutamente a confondere ebraismo con sionismo e con la creazione di Israele? E' una manipolazione, è scorretto e allontana qualsiasi giusta soluzione alla questione palestinese. E non aiuta neanche gli ebrei, confusi con le feroci scelte politiche e militari di uno degli stati più spietati del mondo. La Redazione di www.infopal.it Peggio per Stalin Leggendo l'articolo di Valentino Parlato in cui si schiera contro il boicottaggio della Fiera del libro ho provato, confesso, un senso di sgomento. Sgomento che deriva in parte dal difficile momento storico che il popolo palestinese sta attraversando, stretto tra un'occupazione quanto mai feroce e una crescente indifferenza internazionale, che ci impone urgenza nello schierarci in modo netto dalla parte degli oppressi. Ma anche le argomentazioni addotte contro il boicottaggio non mi convincono. In primo luogo viene ricordato che "dopo la seconda guerra mondiale riconoscere agli ebrei il diritto di avere uno stato e un territorio era obbligatorio". Riconoscere il diritto di fondare uno stato ebraico in Palestina, in onore al vecchio testamento, non era affatto obbligatorio e si è rivelato un colossale disastro storico anche se, come ricorda Parlato, "anche Stalin fu a favore". La domanda sorge spontanea: e con ciò? La nascita dello stato di Israele non fu un risarcimento al popolo ebraico per i torti subiti durante la guerra ma il compimento di un progetto sionista studiato nei dettagli, messo in moto da Herzl alla fine dell'800 e portato avanti in modo continuo per tutta la prima metà del XX secolo. La fine della guerra e la conoscenza in Europa degli orrori dell'olocausto determinarono un clima favorevole alle risoluzioni che portano al riconoscimento di Israele. Ben diverso dall'affermare l'obbligatorietà dell'atto. Mi sembra inoltre importante sottolineare che non credo sia obiettivo del boicottaggio la cancellazione del riconoscimento di Israele da parte della comunità internazionale, semmai ricordare a Israele che le risoluzioni della stessa comunità internazionale andrebbero applicate anche quando contrarie ai propri interessi. I confini non dovrebbero essere disegnati coi mattoni su percorsi decisi dal ministro della difesa e ci sono convenzioni che si farebbe bene a rispettare. Chi è stato cacciato dalla propria casa dovrebbe poterne far ritorno così come l'esercito israeliano non dovrebbe poter arrestare delle persone nei territori occupati per poi portarle in Israele e dimenticarle in gattabuia. L'assedio medievale che costringe Gaza alla fame non dovrebbe essere permesso. Cosa c'entri la seconda guerra mondiale con tutto questo non mi è del tutto chiaro. Sicuramente c'entra tanto quanto l'aneddoto sugli ebrei del ghetto di Varsavia che cantarono l'internazionale prima di essere massacrati. Apprezzo il racconto e mi commuove intimamente, anche in virtù di mia nonna, ebrea polacca, ricordare quell'orribile massacro. Ma continuo a non trovare il nesso. Al punto crucialedell'articolo apprendo che "c'è boicottaggio e boicottaggio, quello contro i razzisti sudafricani era più che giusto" ma "Gli israeliani - che sono sempre ebrei - per quanti torti abbiano nei confronti del popolo palestinese non sono in alcun modo paragonabili ai razzisti sudafricani". E perché? Perché per quanti torti facciano, distinguendosi sulla base di un'appartenenza razziale/religiosa, a un altro popolo, non sono paragonabili agli afrikaner? Perché uno stato che ha come fondamento l'appartenenza alla stirpe di Davide, che ritiene il colonialismo un diritto concesso dalla bibbia, che riduce alla fame, alla prigionia, all'umiliazione, il popolo palestinese, non può essere paragonato al Sudafrica razzista? Sia dalla costruzione lessicale, sia da quanto segue nell'articolo, sembrerebbe che ciò che li esonera dal confronto sia proprio la loro condizione di ebrei. Infatti ci viene ricordato che "c'è la storica persecuzione del popolo ebraico, ci sono i ghetti e i campi di sterminio". E oggi ci sono i campi profughi, i check point, le carceri israeliane, l'occupazione, gli assasinii mirati e non. C'è il muro. Credo che un segnale di ripudio forte, netto, e soprattutto non isolato nel tempo contro queste politiche sia molto più importante che un qualsiasi dibattito letterario, per quanto interessante e costruttivo. Mariano Heluani, Caserta Boicottaggio opportuno Raramente non mi trovo in totale e convinta sintonia con Valentino Parlato, ma il suo intervento sulle polemiche che stanno accompagnando la Fiera internazionale del libro di Torino del prossimo maggio non ha fugato tutti i miei dubbi. Non sono in grado di entrare nel merito della querelle, non conoscendo la storia e l'opera degli autori ebraici invitati alla Fiera di Torino. Mi sento però di affermare che, qualora le voci di dissenso, non dico a "questo" governo israeliano ma a tutti gli esecutivi che si sono là succeduti negli ultimi 10-15 anni, non fossero sufficientemente ospitate nella manifestazione torinese allora una qualche forma di boicottaggio sarebbe non solo tollerabile ma quantomeno auspicabile e opportuna. Se non altro per ricordare la differenza (troppo spesso dimenticata) che c'è tra oppressi e oppressori, e che quando un popolo che fu vittima si trasforma in carnefice allora non può più invocare a sua difesa i torti subiti in passato. Enzo Lanciano Il razzismo israeliano Nel suo articolo di giovedì scorso, Valentino Parlato si oppone fermamente al ventilato boicottaggio della Fiera internazionale del libro di Torino che avrà Israele quale ospite d'onore. Le argomentazioni di Parlato (di cui sono un estimatore) stavolta però non convincono. Nel taglio basso di prima pagina scrive d'essere stato a favore del boicottaggio del Sudafrica, ma gli israeliani, sostiene, non sono razzisti come lo erano gli afrikaner. A me pare fuorviante stare a pesare il razzismo dell'uno o dell'altro (quando questo è un tratto comune). Sul razzismo di Israele mi limito a rinviare al saggio "Le racisme de l'Etat d'Israel" di Israel Shahak, che fu presidente della Lega dei diritti dell'uomo di Israele, e al più recente "Shalom fratello arabo" di Nathan Susan. Sugli effetti del razzismo israeliano parla ( almeno sul manifesto, per fortuna di noi lettori) la cronaca quotidiana. Il boicottaggio ha senso quando non è solo contro ma anche quando è per. Il boicottaggio del Sudafrica fu contro l'apartheid e per sostenere la lotta di liberazione dei neri, come era stato chiesto da Nelson Mandela. Il necessario boicottaggio della Fiera (ma non solo di questa) sarebbe contro Israele, che pure pratica l'apartheid, e per sostenere i diritti dei palestinesi, come chiedono quest'ultimi, (vedi l'intervista a Omar Barghouti sul manifesto del 22 gennaio scorso). Israele andrà difeso, quando opererà realmente a favore della pace, nel rispetto del diritto internazionale, e non perché gli ebrei furono trucidati nei campi concentramento. Argomentazioni di questo tipo nuocciono allo stesso Israele! E se la Fiera venisse boicottata dagli stessi Oz, Grossman, Yehoushua, dagli scrittori israeliani e ebrei che si dicono a favore dei diritti dei palestinesi, quei diritti che il loro paese continua a calpestare da sessant'anni? Se questi intellettuali (si)chiedessero: cosa mai dovremmo festeggiare? La storia, antica e moderna, è ricca di esempi di intellettuali che, coerentemente alle proprie posizioni, si sono opposti anche fino alle estreme conseguenze, a scelte, errate, e scellerate, dei propri governanti. Gaddo Melani Riva San Vitale Svizzera.

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IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 28-01-2008)

 

IN CITTA' Arman PALAZZO BRICHERASIO, VIA TEOFILO ROSSI ANGOLO VIA LAGRANGE, ORARI: LUNEDÌ 14,30/19,30, DA MARTEDÌ A DOMENICA 9,30/19,30, GIOVEDÌ E SABATO 9,30/22,30, INGRESSO: INTERO 7,50, RIDOTTO 5,50, BAMBINI (6-14 ANNI) 3,50, TEL 011/5711811, WWW.PALAZZOBRICHERASIO.IT Dal 25 gennaio al 24 febbraio, le sale espositive ospitano un'antologica, curata da Luca Beatrice e organizzata in collaborazione con il Mamac di Nizza, che ripercorre attraverso 70 opere le vicende artistiche del principale esponente del Nouveau Realisme. Francisco Goya BIBLIOTECA NAZIONALE UNIVERSITARIA DI TORINO, PIAZZA CARLO ALBERTO 3, ORARI: LUNEDI', MERCOLEDI', VENERDI' E SABATO 9/13, MARTEDI' E GIOVEDI' 9/18 E' aperta sino al 15 marzo "Los Caprichos. Goya Illuminista fra Settecento ed Europa napoleonica". In mostra, l'intera opera di Francisco Goya "Los Caprichos": un insieme di tavole in perfetto stato di conservazione, cui è affiancato un importante nucleo di reperti librari di proprietà della biblioteca. Lo Spazio dell'uomo FONDAZIONE MERZ, VIA LIMONE 24, ORARI: MARTEDI'-DOMENICA 11/19. INGRESSO: INTERO 5 EURO, RIDOTTO 3,50, GRATIS BAMBINI SOTTO I 10 ANNI, MAGGIORI DI 65 , DISABILI E OGNI PRIMA DOMENICA DEL MESE Fino all'11 maggio, un'indagine sulla scena artistica contemporanea cilena, attraverso l'incontro tra storia del passato e realtà del presente. Werner Herzog FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO, VIA MODANE 16, OR.: 12/20, GIOVEDI' 12/23, CHIUSO LUNEDI' Nell'ambito della manifestazione "Segni di Vita. Werner Herzog e il cinema", la Fondazione ospita una mostra ricca di strumenti che permettono di approfondire l'idea di cinema dell'artista tedesco. Accanto alla sezione fotografica, l'esposizione, aperta fino 10 febbraio, segue un itinerario composto da una serie di video. Novecento - Trilogia dell'automobile TORINO ESPOSIZIONI, CORSO MASSIMO D'AZEGLIO 15, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/18,30. Le più belle auto del '900; fino al 30 marzo. Why Africa? PINACOTECA AGNELLI, VIA NIZZA 230, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/19. INGR.: INT. 7 EURO, RID. E GRUPPI 6, SCUOLE E BAMBINI 6/12 ANNI 3,50. VISITE GUIDATE 011/0062713. WWW.PINACOTECA-AGNELLI.IT Esposta per la prima volta in Italia una parte della più importante collezione al mondo di arte contemporanea africana. Il tema più ricorrente nelle opere è il profondo legame con il territorio al quale gli artisti si rivolgono proponendo la loro personale esperienza della realtà. La mostra rimane aperta fino al 3 febbraio. Acquisizioni GAM, VIA MAGENTA 31, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/18, LA BIGLIETTERIA CHIUDE UN'ORA PRIMA. INGRESSO: 7,50 EURO, RIDOTTO 6; INFO 011/4429518. WWW.GAMTORINO.IT Fino al 27 gennaio, sono esposte 50 delle mille opere acquisite negli ultimi 5 lustri. Tempeste polari MUSEO DELLA MONTAGNA, P.LE MONTE DEI CAPPUCCINI 7, OR.: 9/19, LUNEDI' CHIUSO. WWW.MUSEOMONTAGNA.ORG Manifesti e film dei primi trent'anni di cinema sulla grande avventura esplorativa in Artide e Antartide. Fino al 10 febbraio. Splendide preziosità quotidiane MUSEO DI ANTROPOLOGIA, VIA ACCADEMIA ALBERTINA 17 La collezione si arricchisce di un centinaio di reperti del primo '900 dell'Asia Centrale. Le opere rimarranno in esposizione sino al 31 marzo. Torino inedita ARCHIVIO STORICO DELLA CITTÀ DI TORINO, VIA BARBAROUX 32, OR.: LUNEDI'-VENERDI' 8,30/16,30 Quattro panorami di Luigi Vacca; in esposizione fino al 31 marzo. (R)esistere per immagini MUSEO DIFFUSO DELLA RESISTENZA, CORSO VALDOCCO 4/A, TUTTI I GIORNI DALLE 10 ALLE 18, IL GIOVEDÌ DALLE 14 ALLE 22; CHIUSURA IL LUNEDÌ; INGRESSO LIBERO Mostra in omaggio a Germano Facetti: all'uomo sopravvissuto alla Deportazione, al grafico che ha rivoluzionato la Penguin Books, al creativo, attraverso i documenti privati e professionali del ricco fondo acquisito dall'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti". La mostra sarà aperta al pubblico sino al 25 aprile. Capitàn Germàn MIAAO, VIA MARIA VITTORIA 5, DAL MARTEDÌ AL VENERDÌ ORE 16-19,30 SABATO E DOMENICA ORE 11/19, LUNEDÌ CHIUSO Artefatti astrali di Germàn Impache, fino al 24 febbraio. Mario Lattes ARCHIVIO DI STATO, PIAZZA CASTELLO 209, ORARIO: DA MARTEDÌ A SABATO 10/19; DOMENICA 10/14; INGRESSO LIBERO "Di me e di altri possibili: Mario Lattes pittore, scrittore, editore". La mostra è composta di tre parti: una parte pittorica con un'antologia di quadri dipinti tra il 1960 e il 1995, una parte narrativa comprendente le opere pubblicate (romanzi, poesie, autografi e diari) ed una parte editoriale con alcune opere significative pubblicate nel periodo in cui l'artista era amministratore delegato della casa editrice Lattes. L'esposizione è aperta fino al 12 marzo. Paolo Guasco Cinque personali PIEMONTE ARTISTICO CULTURALE, VIA ROMA 264, ORARI: LUNEDI' - SABATO 15,30/19,30, INGRESSO LIBERO Fino al 26 gennaio, Piemonte Artistico Culturale propone una antologica del pittore torinese Paolo Guasco. La mostra segue quella tenuta alla Civica Galleria d'Arte Filippo Scroppo di Torre Pellice. Alle opere già esposte si aggiunge un importante nucleo appartenente agli anni '70. Martedì 29 gennaio alle 18 s'inaugurano, poi, cinque mini-personali con opere di: Enrica Berardi, Cristina Botta, Jessy Jacob, Giancarlo Morra e Rosella Porrati. Resteranno esposte sino al 13 febbraio. Massimo Ghiotti RETTORATO, V. PO 17. OR: 7.30/18 INGR. VIA PO E 7.30/19.30 INGR.V. VERDI.; SAB. E DOM. INGR. VIA PO 15.30/19.30. Sette sculture di grandi dimensioni (fino al 31 gennaio). Un'ottava scultura è in Piazza Castello, tra le vie Po e Verdi. Mi è sembrato di vedere un U.F.O. EX SCUDERIE DEL PARCO DELLA TESORIERA, CORSO FRANCIA 192, ORARIO: TUTTI I GIORNI 15/18 Siamo soli nell'universo? Una libera e vivace interpretazione di questa riflessione da parte degli artisti: Stefano Gradaschi, Anna Bordignon, Giuseppe Scollo, Elena Mora, Fabio Mattia, Simona Ilaria Di Michele, Teresa Bonaventura, Silvana Gatti, Vincenzo Vanin e Akira Zakamoto. Sino al 31 gennaio. IoEspongo XI PASTIS, P.ZZA EMANUELE FILIBERTO 9B, WWW.ASSOCIAZIONEAZIMUT.NET Fino al 29 gennaio, sono esposte le opere che partecipano alla seconda tornata del concorso; il giorno successivo, dalle ore 22, serata di selezione e votazione del pubblico, con inaugurazione dell'esposizione successiva. Love Artom FROM SPOON TO CITY, CORSO MORTARA 46 Giovedì 31 gennaio alle 18,30, verranno messi all'asta pannelli, tele ed oggetti di design realizzati per il progetto "Love Artom". Il ricavato sarà devoluto all'iniziativa Tredicesima dell'Amicizia della Fondazione La Stampa - Specchio dei Tempi, a favore degli anziani del quartiere. Stili a confronto San Valentino in galleria ARTEINCORNICE, VIA VANCHIGLIA 11, OR.: 9/13 E 15/19, ESCLUSO FEST. E LUN. MATTINA Da sabato 26 gennaio e fino all'8 marzo, la collettiva "Stili a confronto" presenta ventiquattro opere di Piero Gilardi, Giorgio Griffa ed Enrico Paulucci. Prosegue inoltre, sempre sino all'8 marzo, una esposizione pensata per l'avvicinarsi della festa di San Valentino e la Festa della Donna, con una selezione rinnovata di opere degli artisti più importanti della galleria. Mario Schifano - Gli anni '80 GALLERIA IN ARCO, PIAZZA VITTORIO VENETO 3, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10/12,30 E 16/19,30 Dopo la più nota produzione degli anni '60 e '70, Schifano negli anni '80 è stato precursore di un cambiamento che ha segnato la storia dell'arte italiana, promuovendo un recupero della tradizione pittorica. Le sue opere di questo periodo sono in mostra fino al 15 marzo. Daniel Glaser Magdalena Kuntz Miha Strukelj GAGLIARDI ART SYSTEM, CORSO VITTORIO EMANUELE II 90, ORARIO: 15/20 Daniel Glaser e Magdalena Kuntz presentano tre installazioni, mentre Miha Strukelj indaga i confini tra pittura e disegno nell'era della tecnologia. Entrambe le esposizioni terminano il 26 febbraio. Pierre-Yves Le Duc 41 ARTECONTEMPORANEA, VIA MAZZINI 41, ORARI: MARTEDI'-SABATO 15/19, MATTINO E LUNEDI' SU APPUNTAMENTO 011/8129544 "Opera", prima personale a Torino dell'artista francese. L'esposizione di disegni prosegue sino al 28 marzo. Neve PIRRA, C.SO V. EMANUELE 82, OR.:LUN-SAB 9,30/12,30 E 15,30/19,30. DOM. 9,30/12,30 "Neve. Nel mondo di un solo colore", rassegna di post-impressionisti russi; sino a fine gennaio. Ernesto Jannini e Fausto Morviducci FUSION ART GALLERY, PIAZZA PEYRON 9/G, ORARIO: MARTEDI', GIOVEDI' E VENERDI' 16,30/19,30 O SU APPUNTAMENTO 335/6398351 Personali a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini; proseguono sino al 29 gennaio. Stanze-Salvatore Astore ALLEGRETTI, VIA SAN FRANCESCO D'ASSISI 14, ORARIO: MAR-SAB 10/13 E 14/19 Personale; sino al 31 gennaio. Le opere del calendario SALOTTO DELL'ARTE, VIA ARGONNE 1/C, ORARI: LUNEDÌ - VENERDÌ 16,30/19, SABATO 10,30/19,30 Esposizione delle opere pittoriche e sculture pubblicate sul calendario 2008 del "Corriere dell'arte". A queste, si aggiungono alcune altre di: Giancarlo Aleardo Gasparin, Martino Bislacco, Alberto Maria Marchetti, Adri Mazzetti, Lia Laterza, Anna Borgarelli, Adelma Mapelli, Massimo Alfano, Ines Daniela Bertolino, Giorgio Flis, Dolores Dosio e Tatiana Veremejenko. Sino al 26 gennaio. Anni '60 ARTEREGINA, CORSO REGINA MARGHERITA 191, ORARI: MARTEDI' - VENERDI' 15/19, SAB. 9,30/12,30 E 15/19 "Frammenti di storia - Anni '60 - Artisti torinesi ", in esposizione sino al 31 gennaio. Opere di Sergio Agosti, Nino Aimone, Alfredo Billetto, Romano Campagnoli, Antonio Carena, Francesco Casorati, Mauro Chessa, Mario Davico, Pietro Gallina, Gino Gorza, Horiki Katsutomi, Angelo Maggia, Pino Mantovani, Adriano Parisot, Piero Rambaudi, Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Giacomo Soffiantino e Mario Surbone. Marcello Giovannone FOGLIATO, VIA MAZZINI 9, OR.: 10/12,30 E 16/19,30, CHIUSO FESTIVI E LUNEDI' MATTINA Fino al 29 gennaio, personale dal titolo: "Impronte del tempo". David Gerstein ERMANNO TEDESCHI, VIA C. I. GIULIO 6, ORARI: MARTEDI'-SABATO 11/13 E 16/20 O SU APP. 011/4369917 Personale dell'artista israeliano; sino al 29 febbraio. Sisto Giriodi Pangolino VIRANDO, C.SO LANZA 105, OR.: LUN-SAB 16,30/20 Sino al 26 gennaio, personale di Giriodi; dal 22 al 26 gennaio, è inoltre esposta una serie di carboncini che ritraggono maschere tipiche della Sardegna. Mercoledì 30 gennaio, dalle 18 alle 23, s'inaugura "Cieli interiori", di Tiziano Bergamini, in arte Pangolino; sino al 16 febbraio. Silvio Brunetto GALLERIA D'ARTE BERMAN, VIA ARCIVESCOVADO 9/18, ORARIO: MARTEDI' - SABATO 10/12,30 E 16/19 "Inverno bianco", personale in esposizione sino al 9 febbraio. Incisioni GALLERIA IL CALAMO, VIA DELLA ROCCA 4/L. ORARIO: 10,30/12,30 E 16,30/19,30 "Incisioni dal XV al XX secolo", rassegna di opere grafiche di maestri antichi e moderni, tra cui alcuni giapponesi. Esposizione sino a fine febbraio. Pippo Leocata FOGOLA, PIAZZA CARLO FELICE 15, ORARIO: LUNEDI' 15,30/19,30, DAL MARTEDI' AL SABATO 10,30/19,30, DOMENICA 10,30/13 Esposizione di olii su tela ed acqueforti del pittore catanese; sino al 31 gennaio. Collezioni GALLERIA DEL PONTE, CORSO MONCALIERI 3, OR.: MAR-SAB 10/12,30 E 16/19,30 . Dai Sei di Torino a Carol Rama; le opere rimarranno in esposizione fino al 26 gennaio. Sospensione GIORGIO PERSANO, VIA P. CLOTILDE 45, OR.: MAR.-SAB. 10/13 E 15,30/19 Installazioni di Marco Gastini ed Eliseo Mattiacci. Fino al 29 marzo. Mathew Sawyer GALLERIA SONIA ROSSO, VIA GIULIA DI BAROLO 11/H, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 15/19 O SU APPUNTAMENTO 011/8172478 Sino al 31 gennaio prosegue la personale di collages "Don't tell the others what we were singing". Quadreria GALLERIA MICRO', PIAZZA VITTORIO VENETO 10, ORARI: MARTEDI' - VENERDI' 16/19,30, SABATO 10,30/12,30 E 16/19,30 Esposizione di Natale della galleria, fino al 26 gennaio. Gabriele Arruzzo GALLERIA ALBERTO PEOLA, VIA DELLA ROCCA 29, ORARIO: LUNEDI'-SABATO 15,30/19,30 O SU APPUNTAMENTO 011/8124460 "Hortus conclusus", personale pittorica; in esposizione sino a sabato 26 gennaio. Paul Fryer GUIDO COSTA PROJECTS, VIA MAZZINI 24, ORARIO: LUNEDI'-SABATO 11/13 E 15/19 "In Loving Memory", prima personale italiana dell'artista britannico Paul Fryer. Le opere rimarranno in esposizione sino al 31 gennaio. Incisioni IN-FOLIO, C.SO AGNELLI 34 (2°PIANO), ORARIO: 10,30/12,30 E 15,30/19 200 opere originali di maestri dal XV al XIX secolo; in esposizionesino al 31 gennaio. Enzo Briscese GALLERIA ARIELE, VIA LAURO ROSSI 9, ANGOLO CORSO GIULIO CESARE, ORARIO: DAL LUNEDI' AL SABATO DALLE 16 ALLE 19,30 "Paesaggio Urbano", personale di tecniche miste e oli del 2006 e del 2007. L'esposizione è aperta sino al 19 febbraio. Incisioni di Grandi Maestri SALAMON, VIA VOLTA 9, ORARIO: 10/12,30 E 16/19,30, CHIUSO DOMENICA E LUNEDI' MATTINA Fino al 26 gennaio, stampe di M. Schongauer, I. Van Meckenem, Durer, Rembrandt, Casorati e altri. Segno forma e colore BIASUTTI, VIA DELLA ROCCA 6/B, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10,30/12,30 E 15,30/19,30 Collettiva, fino al 29 febbraio. Giorgio Laveri GALLERIA TERRE D'ARTE, VIA M. VITTORIA 20/A, OR.: 10,30/12,30 E 16,30/19,30 Giovedì 31 gennaio alle 18 s'inaugura la mostra personale di opere in ceramica, dal titolo: "Effetti personali" che resterà in esposizione sino all'8 marzo. Eraldo Taliano GALLERIA PAOLO TONIN, VIA SAN TOMMASO 6, ORARIO: LUNEDI'-VENERDI' 10,30/12,30 E 15,30/19,30 Personale, sino al 31 gennaio. L'insostenibile leggerezza dell'eros Leonardo Pivi Paolo Schmidlin MARENA ROOMS, VIA DEI MILLE 38, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 15,30/19,30 Sino al 26, collettiva sull'eros. Giovedì 31 (19-21), presenti gli artisti, inaugurazione delle sculture di Leonardo Pivi e Paolo Schmidlin (quest'ultima sino all'1/3). Art away NON PERMANENT GALLERY, VIA MONTEMAGNO 37, ORARIO: MARTEDI' - SABATO 15,30/19,30 OPPURE SU APPUNTAMENTO 011/3724084 Collettiva pittorica e fotografica dal titolo: "Sit number 7: Art away - non conventional Xmas". Espongono: Fernando Montà, Mariella Bogliacino, Mauro Trucano, Nëri Ceccarelli, Nicola Boursier, Oscar Bagnoli, Paolo Cotza, Piero Ariotti, Pier De Felice, Radà e Umberto Grati. Sino al 26 gennaio. Non è tutto oro quello che luccica CATARTICA, VIA GARIBALDI 9 BIS, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 16/20 Mostra-boutique con gioielli e bijoux di 15 artisti. Fino al 26.. Rambaudi GALLERIA ROCCATRE, VIA DELLA ROCCA 3 Prosegue fino a sabato 26 la personale di Piero Rambaudi. Incisioni TEART, VIA GIOTTO 14, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 17/19 O SU APPUNTAMENTO 011/6966422 Fino al 9 febbraio, è esposta una collettiva d'incisioni . Gli autori: I. Barth, L. Caprioglio, A. Ciocca, L. Caravella, E. Guerra, A. Guasco, G. Maccioni, E. Monaco, A. Nalli, C. Parsani Motti, L. Porporato, E. Saraceno. Sergio Spagnolo ATELIER "ARTUPART" VIA MASSENA 42/A Prosegue fino al 28 febbraio la personale dell'artista. Dalla Romania AMICI PER L'ARTE, VIA PO 45 Venerdì 25 gennaio è l'ultimo giorno per visitare la mostra collettiva di artisti rumeni. Illustrazione SPAZIO STEINER, LUNGO DORA AGRIGENTO 20/A, ORARI: LUNEDI'-SABATO 9/13, FESTIVI ESCLUSI "Cosa fanno le befane il resto dell'anno", viaggio fantastico nell'illustrazione per l'infanzia; sino all'8 febbraio. Segno, traccia, simbolo LIBRERIA LEGOLIBRI, VIA M. VITTORIA 31, OR.: MAR.-SAB. 9,30/13 E 15,30/19,30 Sino a fine gennaio, una collettiva ispirata al libro "L'uomo senza paura" di Rosanna Rutigliano. Oscar Bagnoli Neri Ceccarelli ALLOCCO ARREDAMENTI, CORSO GALILEO FERRARIS 26 Doppia personale pittorica; sino al 26 gennaio. Carlotta Tararbra CAFFE' FIORIO, VIA PO 8 Dipinti su Torino ed interpretazioni dei grandi maestri; l'esposizione prosegue fino al 10 febbraio. Kurt Mair COOPERATIVA BORGO PO E DECORATORI, VIA LANFRANCHI 28. ORARIO: 10/30/12,30 E 15/19,30, CHIUSO MERCOLEDI' Incisioni a colori; sino al 12/2. Pink art UNICREDIT, C.SO GIULIO CESARE 109 Collettiva, sino a fine gennaio. UniRebum UNICREDIT, V. NIZZA 148 Collettiva, fino al 30 gennaio. IN PROVINCIA Marc Chagall SALA DELLE ARTI, CERTOSA REALE DI COLLEGNO, VIA TORINO 9, OR.: MAR-VEN 15/18,30 E FESTIVI 10/12 E 15/18,30 "Nicolaj Gogol' - Le anime morte", esposizione di 96 acqueforti, dal 1925 al 1948. Sino al 17 febbraio. Clizia e la femminilità PALAZZO EINAUDI, PIAZZA D'ARMI 6, CHIVASSO E' stato da poco aperto al pubblico il nuovo Museo Clizia di Chivasso. Il primo allestimento è dedicato al tema della figura femminile. Clizia e la natura MUSEO ETNOGRAFICO DEL MULINO NUOVO, VIA ARIOSTO 36 BIS, SETTIMO TORINESE. ORARIO: DOMENICA 15/19, LUNEDI'-VENERDI' VISITE GUIDATE PER GRUPPI E SCUOLE SU PRENOTAZIONE 011/9103591 - 339/4673821 Sino al 23 marzo, prosegue la mostra dedicata al rapporto di Clizia (Mario Giani) con la natura e gli animali. Enrico Reycend VILLA VALLERO, CORSO INDIPENDENZA 168, RIVAROLO CANAVESE ORARIO: SABATO16/19 E DOMENICA15/19; SCUOLE E GRUPPI 0124/454680 Retrospettiva; nato a Torino nel 1855, dove è morto nel 1928, Reycend ha inizialmente studiato con Enrico Ghisolfi all'Accademia Albertina e successivamente ha incontrato Lorenzo Delleani, Antonio Fontanesi, Marco Calderini, Filippo Carcano e Leonardo Bazzaro a Milano. Abbandonata l'Accademia, ha esordito nel 1873 alla Promotrice delle Belle Arti di Torino. L'esposizione che lo riguarda è aperta sino al 27 gennaio. 2008. infinite emozioni! GALLERIA CIVICA PALAZZO OPESSO, VIA SAN GIORGIO 3, CHIERI. ORARIO: FERIALE 16/19, SABATO E FESTIVI 10,30/12,30 E 16/19 Inconsueti calendari fotografici per il 2008. Sono presentati, inoltre, alcuni "incontri" tra fotografia ed incisione. Le immagini sono di: Enrico Aliberti, Maurizio Bachis, Elisabetta Bersezio & Federico Ponzetto, Dino Mammola, Matteo Maso, Cesare Matta, Renato Paviglianiti, Andrea Quaglino & Sophie Ancel. Le opere rimarranno in esposizione sino al 27 gennaio. Body and soul BIBLIOTECA ARDUINO, MONCALIERI. OR.: LUN.-VEN. 14/19, SAB. 9,30/13,30, SCUOLE SU PRENOTAZIONE 011/6401603 Il tema della corporeità nella visione di 40 artisti. Le opere rimarranno in esposizione siino al 23/2. Tony Cragg TUCCI RUSSO, V. STAMPERIA 9, T. PELLICE. OR.: ME-DO 10,30/13-15/19 "Sculptures and Drawings", di Tony Cragg, uno tra i più importanti interpreti dell'arte contemporanea internazionale; sino al 30 gennaio. Nelle sale 1 e 2, opere di Merz, Paolini, Penone, Vercruysse e altri. Dario Grasso CASCINA ROLAND, V. ANTICA DI FRANCIA 11, VILLAR FOCCHIARDO, OR: VEN 15/19, MER, GIO, SAB. E FEST. SU APP. 328/8649957. INGR. LIBERO Sino al 1/2 "Il colore delle mie emozioni", acquerelli. Francesco Preverino RELAIS BARRAGE, STR. SAN SECONDO, PINEROLO Personale, le opere rimarranno in esposizione sino al 28 febbraio. Franco Frassoni PALAZZO COMUNALE, PIAZZA MATTEOTTI 50, GRUGLIASCO. ORARIO: LUNEDI'-VENERDI' 9/18, SABATO 9/12 Mostra personale di arte figurativa a settanta anni dall'esordio dell'artista, avvenuto nel 1938. Inaugurazione venerdì 25 gennaio alle 12; prosegue sino al 23 febbraio. Maurizio Sicchiero GALLERIA IL QUADRATO, VIA DELLA PACE 8, CHIERI Sabato 26 gennaio alle 18 s'inaugura la mostra personale d'incisioni di Maurizio Sicchiero. Resterà aperta sino al 26 febbraio. Roberto Simone DINOITRE LIBRERIA, VIA CAVOUR 2, ORBASSANO. ORARI DI APERTURA: LUN 15,30 - 19,30, MAR-SAB 9,30 - 12,30 ; 15,30 - 19,30 Esposizione personale di dipinti a olio. Aperta sino a giovedì 7 febbraio. Opere Recenti GRAN CAFFÈ ROMA, PIAZZA S. LORENZO 23, GIAVENO. ORARI: LUNEDÌ- SABATO 8/21, MARTEDÌ CHIUSO Espongono: Giuseppe Arizio, Pippo Ciarlo, Adriano Franco e Giorgio Viotto. Aperta sino al 25 gennaio. Franco Galetto CAFFE' DELLA RIVA, PASSEGGIATA MARCONI 6, POIRINO. CHIUSO IL MARTEDI' Sino al 3 febbraio, mostra personale di opere astratte.

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Gaza una situazione sempre piu' complessa (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 28-01-2008)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.133 del 28/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Esteri Stamattina la chiusura di alcune delle breccie aperte nel muro di confine tra Gaza e Egitto Gaza: una situazione sempre piu' complessa Kamilah Khatib della LSE: "Due le preoccupazioni piu' rilevanti: il possibile traffico di armi provenienti dall'egitto verso Gaza, e la fuoriuscita di Militanti di Hamas che potrebbero compiere rapimenti di turisti Israeliani in Egitto" Mentre la situazione al confine tra Gaza e l'Egitto sembra andare verso la normalizzazione, con la chiusura parziale delle frontiere, Gaza, come tutta la Palestina sembra ancora lontana da una reale pacificazione. Mercoledì scorso alcuni miliziani di Hamas erano riusciti a demolire parte del muro divisorio nel confine Sud con l'Egitto, a Rafah, e poi ad aprire una breccia. Il fatto potrebbe aver generato nuovi problemi tra le due principali fazioni palestinesi, Hams e Fatah. L'Egitto si era detto ieri d'accordo con il piano del presidente palestinese Mahmoud Abbas di assumere il controllo del confine di Gaza, escludendo Hamas, che gestisce il territorio. Lo hanno riferito funzionari palestinesi ed egiziani, mentre Hamas ha fatto sapere di non essere d'accordo."C'è un accordo con l'Egitto per mettere fine alla crisi al confine applicando l'accordo del 2005 e il rinnovato controllo delle guardie del presidente palestinesi a Rafah", ha detto il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Malki dal Cairo. Hamas aveva però respinto il piano e aveva detto che terrà dei propri colloqui con l'Egitto."Abbiamo una nostra visione di come il confine deve essere gestito e la forniremo ai nostri fratelli egiziani", ha detto il funzionario di Hamas Sami Abu Zuhri. Stamattina alcuni valichi aperti sono stati chiusi congiuntamente dai militanti di Hamas e dall'esercito egiziano. Ma secondo stime delle Nazioni Unite, almeno 350 mila palestinesi sono penetrati oltre il confine in cerca di medicinali, cibo e materie prime. News ITALIA PRESS ha chiesto a Kamilah Khatib, ricercatrice italiana di origine palestinese con un dottorato conseguito presso la London School of Economics, attualmente Assistente alla Ricerca presso l'Assemblea Parlamentare della NATO, se potrebbero esserci conseguenze a medio e lungo termine di questa azione. Per esempio parte della popolazione non sembra rientrata... qual è la situazione? "Con alcune eccezioni la maggior parte delle persone che ha oltrepassato il confine e' tornata a Gaza, anche perche' lo scopo di questo 'esodo' era la ricerca di cibo, gas e medicinali per le proprie famiglie. Nonostante cio', il Giornale Al Ahram (Egiziano) di oggi dichiari che ci sono almeno 3000 Palestinesi che hanno cercato di entrare nelle province di Qana e il Cairo in modo 'non regolare'e molto altri sono stati trovati in possesso di armi ed esplosivi. Qomunque, questo via vai illegale e' sempre esistito: questa situazione ha solo reso il tutto piu' facile". Israele è poi preoccupata delle implicazioni dalle infiltrazioni di militanti di Hamas e della Jihad Islamica al di fuori del territorio in cui erano confinati; infiltrazioni che potrebbero comportare una riorganizzazione dei movimenti palestinesi che hanno il controllo della Striscia... è una ipotesi probabile? "Io credo che l'ipotesi di una 'riorganizzazione' sia improbabile per un semplice motivo: come già detto qui i militanti di Hamas, e non solo, sono sempre riusciti ad attraversare i confini con l'Egitto tramite tunnel sotterranei percio' questa situazione non offre una occasione che non era disponibile prima. l'occasione per muoversi ed incontrarsi con altri militanti era gia' un opzione esistente resa solo piu' facile dalla situazione attuale. Per quanto concerne le preoccupazioni Israeliane: al momento sussistono varie ipotesi israeliane e possibili scenari sulle attivita' sul confine con l'Egitto. Le due preoccupazioni piu' rilevanti potrebbero essere sia il possibile traffico di armi provenienti dall'egitto verso Gaza, sia la fuoriuscita di Militanti di Hamas che potrebbero compiere rapimenti di turisti Israeliani in Egitto". Gli stessi Fratelli Musulmani egiziani hanno manifestato la loro solidarietà ad Hamas ed alla popolazione della Striscia... possibili futuri legami tra i due gruppi? "I legami con i fratelli musulmani sono sempre esistiti, e non solo con loro. La popolazione egiziana ha manifestato grande soliderieta'. Infatti e' per quest'ultimo motivo che Mubarak non si e' seriamente mosso nel far chiudere in confini. Senza inoltrarci nei dettagli della natura del legame che vige tra hamas ed i FM credo che per i motivi sopra elencati questa situazione non sara' causa di mutamento di rapporti, in altre parole gli incontri o dialoghi tra Hamas e FM si sono sempre svolti in passato, questa non e' affatto una situazione nuova". Come influisce la vicenda sulle relazioni tra Egitto e Israele? "Certamente questi eventi non agevolano le relazioni tra Egitto e Israele. Israele ha spesso giudicato poco producenti gli sforzi egiziani nell'impedire il contrabbando di armi tra i confini. Recentemente, alla fine di gennaio, le autorita' egiziane hanno permesso il passaggio tramite il collegamento di Rafah dei pellegrini di ritorno dal Haj in contrasto con quanto accordato con Israele. Da un lato l'Egitto affronta le pressioni Israeliane di mantenere confini sicuri e dall'altro e' soggetto delle pressioni interne dell'opinione pubblica per quanto concerne gli aiuti ai Palestinesi. Comunque, da un punto di vista ufficiale il portavoce del Dipartimento di Stato americano Tom Casey ha dichiarato che non ci sono indicazioni che gli ultimi avvenimenti abbiano scalfitto le relazioni Egiziane-Israeliane. C'è chi sostiene che il Ministro della Difesa Barak starebbe pensando ad una penetrazione profonda nella Striscia (con il beneplacito di Washington), con l'obiettivo di riconsegnarla alle Forze di Fatah, unica realtà palestinese con cui Gerusalemme ha manifestato di voler dialogare.... cosa comporterebbe ciò per i palestinesi? "E' necessaria una premessa: il portavoce del ministero degli esteri Israeliano ha dichiarato che sta avendo luogo una diplomazia triangolare, Israele-Egitto-Autorita' palestinese, per trovare una soluzione comune, non di natura bellica diciamo. I dettagli non sono ancora stati divulgati. Credo che questa opzione (penetrazione..etc) sia da escludere. Hamas ha 'conquistato' la striscia tramite elezione politiche che riflettono un approvazione del popolo per questa organizzazione. Un intervento israeliano, anche con lo scopo di aiutare Fatah, non avrebbe senso dato che Fatah ha perso a Gaza: le gente ha voluto e tuttora vuole Hamas. E' interessante notare come la situazione attuale nella Striscia faccia convergere e ravvicinare le due forze (Hamas e Fatah) le quali convengono sul fatto che a Gaza esiste una situazione di crisi che va affrontata". L'esplosiva situazione creatasi dopo lo sfondamento del confine tra Gaza e l'Egitto rischia di minare alle fondamenta il piano di pace negoziato ad Annapolis? "Annapolis e' affondato prima di iniziare. Per esempio, ma non solo, Annapolis non ha discusso temi critici come i profughi Palestinesi, la condivisione delle risorse idriche ...etc. Detto cio' sicuramente non saranno gli eventi di Gaza a impedire che Annapolis abbia successo". Potrebbe essere utile un'iniziativa specifica coordinata da Tony Blair, inviato speciale della Ue per il Medio Oriente? Escludere Hamas, per i noti motivi, da ogni bozza di soluzione è ancora la soluzione giusta? "L'esclusione di Hamas o la sua inclusione in qualsiasi negoziazione e' una questione basilare. Personalmente credo che includere Hamas nelle negoziazioni e nel dialogo sia "necessario" per andare avanti. Se si e' in guerra si ha a che fare con i nemici, percio' se si vuole instaurare un contatto ed arrivare ad una pace lo si fa con loro, o non si fa. Se cio' non bastasse Hamas (che ci piaccia o no) e' stata legittimata dai Palestinesi di Gaza (sia Musulmani che Cristiani) tramite elezioni regolari.Dialogare con il 'nemico' non vuol dire necessariamente 'legittimarlo'." Arturo Varvelli.

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ARTICOLI DEL 27-1-2008

Qaddura, braccio destro di Barghouti: <Marwan libero, per liberare la pace> ( da "EUROPA.it" del 27-01-2008)

L'ESODO dalla Striscia verso il Sinai diventa una festa paesana. Anche una s ( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008) + 2 altre fonti

Morto Habash, capo del Fronte popolare ( da "Unita, L'" del 27-01-2008)

Le Chiese cristiane: porre fine al dolore di Gaza L'appello a Ue, Israele e Anp. Ora i palestinesi passano il confine anche in auto ( da "Unita, L'" del 27-01-2008)

Yehoshua: l'Europa ci aiuti a battere l'antisemitismo anche nell'Islam ( da "Unita, L'" del 27-01-2008)

È morto Habash l'anima dura dei palestinesi ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 27-01-2008)

Rutka, 14 anni: <Il mio pianto per la libertà> ( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)

Per l'anniversario manifestazioni in tutta Italia ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

Mr. Puma: <Ho girato il mondoora torno a casa e recito da solo> ( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)

Ebrei in terra d'Israele ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

D ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

Gaza, è caos al confine Olmert vede Abu Mazen ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

L'allarme di Barak: <L'Iran prepara un'altra Hiroshima> ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

Aretha e Beyoncé ai Grammy Awards ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

La bandiera di israele nella giornata della memoria - davide romano ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

Corteo della memoria ecco perché ci sarà la bandiera di israele ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

Il ciclone barenboim alla scala e in libreria - luigi di fronzo ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

E' morto habbash, teorico dei dirottamenti - fabio scuto ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

"tutti devono poter scegliere referendum sullo stato palestinese" - marco panara elena polidori ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

L'egitto rinuncia a fermare i profughi - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

Gennaio 1946, da Vado la prima nave dell'esodo ( da "Stampa, La" del 27-01-2008)

27 gennaio 'Il Giorno della Memoria' ( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)

Un gioco pericoloso. Questa, per un dirigente egiziano che abbiamo raggiunto al Cairo, l'ess ( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)

AMMAN George Habash, fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp) è mor ( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)

Perché non si dimentichi. Anche la tv ricorda dell'Olocausto. Con testimonianze, documenti ( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)

La guerra che non si può vincere ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

Morto George Habash, stratega dei dirottamenti ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

Corano, manager e night club. Un ebreo fantasma a Riad ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

Anche al piano Barenboim è autorevolezza ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

Un treno di folli contro la follia nazista ( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) vuole ( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)

Si festeggia il capodanno degli alberi . Pace tra comunità ebraica e tedeschi ( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)

L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra Hiroshima" ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

Barak: l'Iran prepara un'altra Hiroshima ( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

E' morto Habash, fondatore del FPLP ( da "Quotidiano.net" del 27-01-2008)

27 gennaio: "Il Giorno della Memoria" ( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)

UN PASSO INDIETRO ( da "Stampa, La" del 27-01-2008)

Omaggio del Comune alle lapidi dei caduti ( da "Stampa, La" del 27-01-2008)

AMMAN. GEORGE HABASH, FONDATORE DEL FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA (FPLP) è MOR ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)

RESPINTA LA MEDIAZIONE DI MUBARAK RESTA APERTA LA FRONTIERA CON L'EGITTO ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)


Articoli

Qaddura, braccio destro di Barghouti: <Marwan libero, per liberare la pace> (sezione: Israele/Palestina)

( da "EUROPA.it" del 27-01-2008)

 

Qaddura, braccio destro di Barghouti: "Marwan libero, per liberare la pace" Fares Qaddura è uno degli uomini di ducia del leader palestinese, condannato a cinque ergastoli. "Scarcerandolo, Israele guadagnerebbe un valido interlocutore", dice. MAURIZIO DEBANNE Malgrado i cinque ergastoli, Marwan Barghouti resta una figura chiave, nonché tra le più popolari, nel campo palestinese. Dalla sua cella nel carcere Hadarim, a nord di Tel Aviv, intrattiene fitte relazioni con i leader politici palestinesi, ma anche con parlamentari israeliani, come Haim Oron del Meretz, formazione di sinistra. Fares Qaddura, che di anni nelle galere israeliane ne ha passati quattordici, è uno dei suoi più stretti collaboratori. Leader della cosiddetta "nuova guardia" di Al Fatah, ex ministro dell'Anp nel 2003 (allora governava Abu Ala), Qaddura spiega a Europa che se Barghouti fosse scarcerato Israele ne trarrebbe un grande vantaggio, poiché si troverebbe presto a trattare con "un interlocutore valido e capace di tenere insieme la galassia dei movimenti palestinesi". A che punto sono le trattative per la sua liberazione? Marwan, insieme al soldato israeliano Gilad Shalit, è uno dei prigionieri al centro di un negoziato su un possibile scambio di detenuti tra Israele e Hamas. Mi auguro davvero che l'accordo vada in porto molto presto. In Medio Oriente è però purtroppo ancora prevalente l'idea che si possano risolvere i problemi solo con l'uso della forza. Io, come firmatario dell'accordo di Ginevra nel 2003, siglato dal palestinese Yasser Abed Rabbo e dall'israeliano Yossi Beilin, ho provato a invertire questa tendenza, ma debbo riconoscere che è veramente dura lavorare per il dialogo in Medio Oriente. Secondo quanto sostiene Bush è possibile raggiungere la pace in Medio Oriente entro i porssimi 12 mesi. Lei è ottimista o pessimista? Nessuno di noi crede che la pace possa arrivare entro la fine del secondo mandato presidenziale di Bush. Tuttavia si è creata una congiuntura favorevole per la ripresa del dialogo, e non va lasciata cadere. Penso alla conferenza di Annapolis, ma anche al rilancio del piano arabo di pace del 2002, che rappresenta un'occasione unica per ridare vigore al processo di pace. In questo quadro, il coinvolgimento della Siria è strategico. Dobbiamo portare Damasco nel peace camp per toglierla dall'abbraccio dell'Iran. Per quanto riguarda i palestinesi, Abu Mazen è seriamente intenzionato a raggiungere un'intesa molto presto e posso assicurare che il nostro popolo è altrettanto pronto. La maggioranza della popolazione è infatti stanca del conflitto e decisa ad accettare dolorose concessioni pur di vivere in tranquillità. E sono convinto che lo stesso sentimento si riscontri anche tra gli israeliani. Ciò detto, più il tempo passa e più i rancori e le violenze sono destinate ad aumentare. Stiamo dunque perdendo tempo prezioso. A Gaza la situazione si fa sempre più drammatica. Israele è andato via da Gaza chiudendo dietro di sé la porta e gettando via la chiave. Ma la striscia fa parte dei territori palestinesi, quanto la Cisgiordania. In Israele ritengono che Gaza, così come Hamas, sia però un vostro e non un loro problema. Hamas non è un problema solo dei palestinesi, ma anche di Israele. Lo stato ebraico vuole la fine del lancio dei razzi Qassam? Vuole che Hamas riconosca il loro diritto all'esistenza? Allora ci deve aiutare. Israele è il principale responsabile della crescita di Hamas e del fondamentalismo nei territori. La strategia del governo israeliano è stata fino a oggi quella di amministrare il conflitto e non di risolverlo. In che modo Israele è responsabile del radicalismo di Hamas? Per prima cosa per aver contribuito al fallimento degli accordi della Mecca tra Al Fatah e Hamas, che portarono alla formazione di un governo di unità nazionale palestinese. Avendo insistito sulle tre condizioni (riconoscimento di Israele e degli accordi pregressi e fine della violenza, ndr), non ci hanno dato la possibilità di organizzarci come volevamo. Cosa avrebbe dovuto fare Israele? La strategia migliore da attuare è quella dei piccoli passi. Nessuno forse si ricorda che l'Olp, poco più di venti anni fa, era come Hamas. E Olmert venti anni fa era come Lieberman (leader di un partito di destra uscito due settimane fa dal governo, ndr). Noi di Al Fatah e quelli di Kadima abbiamo cambiato idea perché abbiamo fatto i conti con la realtà e abbandonato i sogni irrealizzabili. Il cambiamento delle posizioni estremistiche del movimento islamico avverrà solo attraverso un processo graduale e non interrotto. La comunità internazionale è però da tempo impegnata a sostegno del fronte moderato palestinese, in primis del presidente Abu Mazen. Israele e Stati Uniti dicono che vogliono rafforzare i moderati, ma da quando Abu Mazen è presidente dell'Anp non è stato smantellato nessun check point all'interno della Cisgiordania. Al contrario ci danno tanti soldi e tante armi per combattere Hamas. Ma se la mattina bambini palestinesi vengono uccisi in raid israeliani nella Striscia di Gaza e la sera i nostri negoziatori si incontrano con la Livni, cosa dovrebbe pensare il nostro popolo se non che questa è la strategia peggiore per indebolire Hamas. Il movimento di resistenza islamico sarà più debole solo se il processo di pace andrà avanti.

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L'ESODO dalla Striscia verso il Sinai diventa una festa paesana. Anche una s (sezione: Israele/Palestina)

( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)
Pubblicato anche in:
(Nazione, La (Nazionale)) (Giorno, Il (Nazionale))

 

Campagnata ha il sapore della liberazione dopo 40 anni di confini arcigni e "prigionia". Centinaia di auto con la targa verde della Palestina varcano per la prima volta il confine, vanno all'estero, in Egitto. Tutti in colonna, anche sono per trovare amici e parenti, per gustare un piatto di pesce a El Arish. E' festa; partono perfino i militanti duri e puri che hanno smesso si sparare razzi Qassam verso Israele. Ci sono anche auto egiziane che fanno il percorso inverso. Il confine non esiste più, i resti della barriera sono stati demoliti. Tutto è tornato come nel '67, prima della guerra dei sei giorni. Per Hamas, che controlla Gaza, è una vittoria storica. Il presidente palestinese Abu Mazen oggi incontrerà il premier israeliano Ehud Olmert e gli chiederà di passargli il controllo di tutti i valichi della Striscia, per tentare di recuperare un minimo di autorità su Gaza. Israele terrà quei valichi chiusi per tagliare tutti i ponti con Gaza e sbarazzarsene. E' la fine di un mondo. Quello a cui apparteneva anche George Habbash, fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina, morto ieri a 81 anni. Habbash e il suo Fplp sono stati l'anima del fronte del rifiuto, del no a Israele. Oggi la loro bandiera è degli islamisti di Hamas, padroni di Gaza e di nient'altro. - -->.

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Morto Habash, capo del Fronte popolare (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 27-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del PALESTINA Morto Habash, capo del Fronte popolare AMMAN È morto a Amman in Giordania George Habash, fu il fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), in cui confluirono diverse organizzazioni preesistenti. Habash, nato nel 1929 al Cairo , si laureò in medicina all'università americana di Beirut. Era considerato un falco all'interno dell'Olp di Arafat con cui ruppe nel 1993 dopo la firma degli accordi di Oslo. Habash si è sempre rifiutato di riconoscere lo Stato di Israele ed ha sempre sostenuto la lotta armata.. Nel 1992, a Tunisi, rimase colpito da un ictus cerebrale e annunciò il ritiro da tutte le attività politiche per motivi di salute.

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Le Chiese cristiane: porre fine al dolore di Gaza L'appello a Ue, Israele e Anp. Ora i palestinesi passano il confine anche in auto (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 27-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Le Chiese cristiane: porre fine al dolore di Gaza L'appello a Ue, Israele e Anp. Ora i palestinesi passano il confine anche in auto "Nel nome di Dio, noi, capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme e della Terrasanta, chiediamo alla comunità internazionale di porre fine alla sofferenza di Gaza". È l'accorato appello lanciato dai patriarchi e dai capi delle Chiese cristiane in Terrasanta in un documento che sottolinea la sofferenza della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza per l'assenza di servizi, acqua e medicine. I leader cristiani ricordano che oltre mezzo milione di persone sono senza cibo e assistenza medica e oltre ottocentomila prive di corrente elettrica. "Questa è un'ingiusta punizione collettiva, un atto immorale in violazione dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale. La chiusura di Gaza deve finire". Nel testo si chiede alla comunità internazionale e alla Ue di agire senza indugi dato che sono a rischio numerose vite umane. Un'esortazione estesa anche a Palestina e a Israele: "Chiediamo ai leader palestinesi di porre fine alle loro divisioni per il bene della gente di Gaza. Mettete da parte le vostre differenze e risolvete la crisi per il bene di tutti gli esseri umani, dimostrando di avere a cuore la sorte dei vostri fratelli e sorelle che già hanno sofferto troppo". Mentre ai governanti israeliani si chiede di "agire responsabilmente e a far cessare il prima possibile questo assedio inumano. Negare ai bambini e ai civili i beni di prima necessità non è un modo per garantire la sicurezza ma serve solo a gettare la regione in condizioni di ulteriore pericoloso deterioramento". Per evitare queste conseguenze occorre che da entrambe le parti sia rispettato il diritto di ogni persona a vivere pacificamente, "considerando - scrivono i patriarchi e i capi delle Chiese cristiane di Terrasanta - l'amore che Dio ha per ogni creatura umana". Solo una pace giusta "proteggerà la dignità della vita civile e sociale di tutti e due i popoli". Rivolgendosi quindi ai miliziani che continuano a sparare razzi , il documento invita gli estremisti a non insistere nelle loro operazioni belliche per non incoraggiare l'opinione pubblica a pensare che tale assedio sia giustificato. Sul terreno, è sempre esodo. Non più solo palestinesi che dalla Striscia si riversano in Egitto attraverso la frontiera di Rafah, ma da ieri anche un flusso in senso contrario, con centinaia, probabilmente migliaia, di egiziani entrati nella Striscia approfittando dalla totale assenza di controlli alla frontiera. In gran maggioranza sono commercianti, la cui presenza è particolarmente visibile nel mercato cittadino di Gaza City, stracolmo di gente e dove per la prima volta da molto tempo negozi e le bancarelle, colpiti da mesi di stretto isolamento della Striscia, tornano a riempirsi di prodotti. E la crisi di Gaza sarà al centro dell'incontro in programma oggi a Gerusalemme tra il presidente dell'Anp Abu Mazen e il premier israeliano Olmert. Fonti palestinesi hanno anticipato che Abu Mazen chiederà a Olmert la fine dell'assedio della Striscia e si offrirà di assumere il controllo dei valichi di confine con Gaza. Chiederà inoltre la fine delle restrizioni ai movimenti di merci e persone in Cisgiordania, mediante la revoca dei numerosi posti di blocco dell'esercito.u.d.g.

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Yehoshua: l'Europa ci aiuti a battere l'antisemitismo anche nell'Islam (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 27-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Yehoshua: l'Europa ci aiuti a battere l'antisemitismo anche nell'Islam di Umberto De Giovannangeli La forza della Memoria nella Giornata della Memoria. Una cavalcata nel tempo. Per non dimenticare. È quella condotta dal più grande scrittore israeliano contemporaneo: Abraham Bet Yehoshua. Oggi viene commemorata in Europa la Giornata della Memoria. Qual è, ai suoi occhi, il valore di questo evento? "Ho un grande rispetto per questa decisione dell'Europa, e penso sia giusto che la commemorazione della Shoah avvenga proprio là, nei luoghi, nelle strade, nelle foreste, in cui tutto ciò è fisicamente avvenuto. La Shoah non è una questione limitata alla Germania. I popoli europei che vi hanno preso parte sono molti, ed è quindi giusto che questa consapevolezza penetri nelle coscienze di tutti gli europei. Penso poi che sia giusto dare una propria identità ad ognuna delle tragedie che rientrano nella triste categoria del genocidio. E sia chiaro che dico questo non per diminuire la gravità degli altri genocidi - come ad esempio quelli avvenuti in Ruanda o in Cambogia - ma per evitare che la specificità di ognuno di questi venga offuscata o confusa. La specificità della Shoah sta - fra l'altro - nella sua incomprensibilità, a meno che non si faccia un semplicistico ricorso alla malvagità umana. Nel caso degli ebrei, non questioni territoriali, ideologiche, etniche, economiche o religiose hanno rappresentato il sostrato del genocidio, come è avvenuto in tutti gli altri casi. Gli ebrei europei aspiravano all'integrazione nelle società in cui vivevano; non rappresentavano alcuna minaccia teologica o religiosa né per le società più vicine alla religione né tanto meno per un regime come quello nazista che era laico e perfino anti-clericale; economicamente parlando, lo sfruttamento degli ebrei vivi sarebbe senz'altro stato enormemente più vantaggioso rispetto all'annientamento deciso nei loro confronti. L'inafferrabilità delle motivazioni che hanno portato alla Shoah non può che rafforzare l'idea che - dopo quanto è avvenuto - solo il popolo ebraico può essere responsabile del proprio futuro". Quindi Israele come patria del popolo ebraico è l'unica soluzione all'antisemitismo? "È così. Le nazioni europee lo avevano già cominciato a capire prima dell'Olocausto, ma purtroppo non abbastanza da precederlo. Dopo la Shoah in parte per convinzione e in parte per l'orrore di cui erano stati testimoni, tutti - tanto l'Europa occidentale quanto quella orientale - in un periodo molto problematico dei loro rapporti, hanno avuto fra i pochi punti di concordia, il supporto alla nascita e allo sviluppo dello Stato d'Israele. Avevano visto a che cosa aveva portato l'antisemitismo, ne sono rimasti inorriditi e hanno compreso che l'antisemitismo non era da combattere solo per salvare le vittime dalla propria sorte di vittime, ma anche per salvare i carnefici dalla propria sorte di carnefici". E la Giornata della Memoria deve aiutare ad approfondire questo aspetto della Shoah? "Questo e tanti altri. Il valore dell'assunzione di responsabilità è importante ma soprattutto per quanto concerne l'approfondimento del significato degli atti del proprio popolo, della comprensione delle motivazioni per cui le cose sono avvenute. In quanto a noi ebrei, dobbiamo scavare nella nostra identità per capire in che modo la nostra presenza nella storia possa avere creato quello oscuro spazio ideologico che è stato colmato da quelle idee insane e farneticanti che sono state fatte proprie da tanti e che hanno portato alla tragedia dell'Olocausto. Ma di quella tragedia c'è un aspetto che non va sottovalutato". Quale? "Riusciamo a capire meglio l'uomo, dopo l'Olocausto. È vero, abbiamo sempre saputo che l'uomo è capace di compiere il male più efferato e il bene più straordinario; ma nonostante questo l'Olocausto ci ha svelato un nuovo abisso di male a cui l'uomo può giungere, ma anche la forza della sua resistenza. Degli scheletri ambulanti nei campi di concentramento, che da un punto di vista biologico dovevano quasi considerarsi come morti, davano ancora delle prove di moralità, dividendo con gli altri l'ultimo pezzo di pane che restava. Dalla disperazione più tremenda può perciò nascere anche la speranza. Noi che siamo stati lì, e che ne siamo usciti, possiamo e secondo me dobbiamo alzare il vessillo della fede nell'uomo". Questo evento - la stessa decisione di celebrare una Giornata della Memoria - è senz'altro un passo importante sul piano della memoria storica, ma i dati di indagini riportano che, nonostante tutto, l'antisemitismo è in espansione. Quali misure si aspetta dall'Europa per debellare questo virus? "Sono preoccupato del fatto che, purtroppo, il virus dell'antisemitismo non è stato debellato. Si è indebolito; oggi non può mostrarsi in tutta la sua virulenza perché considerato inadatto, sconveniente; ma nelle sue nuove mutazioni continua ad essere presente e a lanciare anatemi e accuse spesso ingiuste contro Israele. Io sono il primo a sollevare critiche sugli errori dei governi israeliani, ma nello stesso tempo individuo spessissimo in molti degli attacchi portati a Israele cose che con le divergenze politiche non hanno nulla a che fare e che riportano invece a meccanismi che vorremmo cancellati. So che debellare completamente l'antisemitismo è un obiettivo proibitivo. Ma non lo è il combatterlo sotto ogni sua forma. L'Europa lo deve combattere con tutta la sua forza. Non per il bene degli ebrei ma per il proprio bene. Per la salute delle proprie società. Per non permettere che questo virus si espanda e colpisca le parti vitali del proprio organismo. La Giornata della Memoria ha dietro di sé una storia breve, ma mi sembra già di individuarne la sua importanza. Una importanza che non sta, ovviamente, nelle cerimonie che avvengono quel giorno, ma in tutto quello che c'è intorno, che la prepara: le azioni educative; la trattazione dell'argomento da parte dei mass media. Con il bombardamento di informazioni che ognuno vive ogni giorno, solo un approfondimento morale e intellettuale del tema ha la possibilità di penetrare il cuore e le menti. E gli ebrei continueranno ad aggiungere a questo approfondimento, il proprio lutto, individuale e di popolo". Oggi - con tutte le divergenze politiche esistenti e perfino con il sopra ricordato aumento dell'antisemitismo - l'Europa non è certo ostile a Israele. I pericoli all'esistenza di Israele vengono da altre direzioni, soprattutto dall'Islam radicale e fondamentalista, che spesso abbraccia le tesi negazioniste sull'Olocausto. Come va trattato questo singolare antisemitismo? "In questo sta il doppio impegno dell'Europa. Capire per sé stessa - per il proprio passato e per il proprio futuro - e dall'altra parte aiutare altri - in questo caso il mondo islamico e arabo - a capire fin dove può portare l'estremizzazione. Il Museo dell'Olocausto di Gerusalemme - lo Yad Vashem - ha messo in rete alcuni giorni fa il proprio sito in arabo. È un'iniziativa lodevole, importante, ma che avrà un senso solo se sarà l'Europa a sostenere la tesi della pericolosità dell'antisemitismo per le società che vogliono progredire civilmente. Solo l'Europa può convincere il mondo arabo degli effetti distruttivi della demonizzazione e della volontà di annientare un altro popolo. E qui entra in gioco la politica. Ma quella buona; quella che potrebbe portare alla soluzione del conflitto fra arabi e israeliani. Con un'Europa che nella sua equidistanza faccia capire al mondo arabo la legittimità dell'esistenza di Israele come patria del popolo ebraico, e a Israele la necessità di dare ai palestinesi un proprio Stato in cui non ci sia alcuna sua ingerenza nelle loro vite. Dopo aver giocato durante la Shoah il ruolo di portatrice di guerra, l'Europa deve ora cercare di essere portatrice di pace. L'impegno in Libano alimenta questa speranza". Il tema della pace ci porta alla più stretta attualità. E al dramma di Gaza. Come uscirne? "Con una tregua. Da negoziare. Subito. Non vedo altre strade, né per noi, tanto meno per i palestinesi. Sia chiaro: lungi da me sottovalutare le responsabilità pesantissime che i capi di Hamas hanno nell'aver determinato questa situazione. Penso che quell'umanità disperata che si trascina in Egitto alla ricerca di cibo debba chiedere conto dei propri patimenti ai leader di Hamas. I lanci continui, martellanti, di razzi contro Sderot, Ashqelon e le altre città del sud di Israele sono alla base di questa situazione. Riconosciuto ciò, resto convinto che la risposta militare, da sola, sia una non risposta. Con Hamas occorre ricercare un cessate il fuoco. E non vale il discorso, riproposto più volte dal primo ministro Ehud Olmert, che Israele non negozia con chi non ci riconosce o vuole distruggerci. Non vale perché è la storia a smentirlo. La storia d'Israele, dalla sua fondazione ai giorni nostri, è segnata da guerre ma anche da accordi fatti con chi non nascondeva, e spesso praticava, il proposito di rigettare a mare gli ebrei. A Olmert dico: segui l'esempio non solo di un padre della patria, come David Ben Gurion, ma anche di leader conservatori, come Menachem Begin, che non considerarono prova di debolezza, ma semmai di forza, la ricerca di un accordo, fosse anche una tregua, con il nemico". In ultimo, tornerei sul valore della Memoria. In un suo libro, lei ha affermato, cito testualmente, che "come figli delle vittime, ci incombe l'obbligo di enunciare al mondo alcuni insegnamenti fondamentali". Qual è quello più attuale? "La profonda repulsione, il rigetto più fermo, per il razzismo e per il nazionalismo oltranzista. Abbiamo visto sulle nostre carni il prezzo del razzismo e del nazionalismo estremisti, e perciò dobbiamo respingere queste manifestazioni non solo per quanto riguarda il passato e noi stessi, ma per ogni luogo e per ogni popolo".

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È morto Habash l'anima dura dei palestinesi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 27-01-2008)

 

Esteri Pagina 110 Lutto: 3 giorni È morto Habash l'anima dura dei palestinesi Lutto: 3 giorni --> AMMAN Georges Habash è morto ieri ad Amman, in ospedale, dove era stato ricoverato dieci giorni fa per problemi cardiaci. Il presidente palestinese, Abu Mazen, ha proclamato in sua memoria tre giorni di lutto nazionale nei Territori palestinesi. Habash ha fatto la storia del movimento palestinese, di cui, attraverso il Fronte Popolare per la liberazione della Palestina, ha rappresentato l'ala più intransigente. Nome di battaglia il saggio , è nato nel villaggio di Lod verso la fine degli anni '20, da dove la sua famiglia, cristiano-ortodossa, venne scacciata dopo la creazione dello stato di Israele nel 1948. Divenne un leader noto in tutto il mondo nel 1970, quando i suoi guerriglieri dirottarono tre aerei di linea in Giordania e li distrussero, innescando la dura repressione delle autorità giordane contro i guerriglieri palestinesi, che prese il nome di Settembre Nero. Habash si rifugiò come molti altri palestinesi in Libano opponendosi alla linea moderata e arrendevole di Yasser Arafat. Rifiutò gli accordi di Oslo del 1993. La sua salute intanto si era deteriorata notevolmente a causa di un ictus.

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Rutka, 14 anni: <Il mio pianto per la libertà> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)

 

Rutka, 14 anni: "Il mio pianto per la libertà" la "ANNA FRANK" polacca Morì ad Auschwitz: il suo diario nascosto in casa, ritrovato solo nel 2005, adesso è stato pubblicato grazie alla sorellastra 27/01/2008 daniela pizzagalli UNA ANNA FRANK polacca: cosìè stata definita Rutka Laskier dopo la scoperta del suo diario, nascosto nel 1943 sotto il pavimento di casa prima di essere mandata a morire ad Auschwitz in una camera a gas. Diventato un libro, il "Diario" (Bompiani, 165 pagine, 12 euro) sta facendo il giro del mondo grazie all'impegno della sorellastra Zahava Laskier Scherz. Oggi quasi sessantenne, Zahava è un'eminente studiosa israeliana e ha una storia davvero romanzesca da raccontare: "Soltanto a 14 anni ho saputo di aver avuto una sorellastra e un fratellastro, quando trovai delle vecchie foto nascoste in un armadio e chiesi turbata a mio padre chi fossero i ragazzini ritratti insieme a lui. Mi confidò che in Polonia, prima della guerra, aveva una moglie e due figli, con i quali fu internato ad Auschwitz, ma lui solo sopravvisse. Immigrato nel 1946 in Israele, si era risposato con mia madre e quando nacqui io, di comune accordo stabilirono di lasciarmi ignara della precedente tragedia familiare". "La memoria di quella ragazzina, morta a 14 anni - prosegue Zahava - mi è rimasta nel cuore, tanto che ho dato poi il suo nome a mia figlia, ma mai più mi sarei aspettata di vedermela balzare davanti agli occhi, quarant'anni dopo, attraverso le pagine del diario, che fa rivivere la sua personalità intelligente e sensibile, un po' volubile come tutti gli adolescenti, e sempre più straziata dalla crescente persecuzione, della cui meta finale era ben consapevole, tanto che avvisò un'amica non ebrea del nascondiglio del diario, affinché lo recuperasse nel caso, che riteneva probabile, non fosse ritornata. Questa signora polacca l'ha tenuto per sé fino al 2005, quando un nipote le chiese notizie su quel periodo sconvolgente, e lei gli mostrò il diario. Resosi conto dell'importanza del documento, la convinse a portarlo al museo storico cittadino, e da lì partirono le ricerche che condussero alla telefonata da me ricevuta in Israele nel 2006, un vero fulmine a ciel sereno. Mi sono assunta il compito di far tradurre e pubblicare il diario per tener vivo il ricordo di Rutka e far sentire la sua voce sgomenta, uscita dal ghetto: "Bisogna farsi forza, non bagnare di notte i cuscini di lacrime. Per chi, per che cosa piango? Forse piango per la libertà". Per reagire al clima di violenza e di minaccia che la circonda e illudersi di avere ancora un'esistenza normale, Rutka scrive fittamente dei rapporti con le amiche e con i ragazzi: "A quanto pare io piaccio a Janek, ma a me lui non fa né caldo né freddo". Invece ne parla continuamente, e si comprende che negare le proprie emozioni è il solo gesto di difesa che le rimane: "Sono già così impregnata delle crudeltà della guerra che persino le notizie più terribili non mi fanno effetto alcuno. Semplicemente, non riesco più a credere che potrò mai uscire per strada senza la "Judenstern" e che la guerra finirà." Sottolinea Zahava: "Quello che impressiona maggiormente è la consapevolezza di quello che accadeva nei campi di sterminio, infatti dice apertamente: "La deportazione è la morte". Pur essendo una ragazzina, era informata di quanto accadeva perché teneva i contatti con il movimento clandestino comunista, come mi ha confermato la signora polacca depositaria del diario". 27/01/2008.

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Per l'anniversario manifestazioni in tutta Italia (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

 

Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 da Milano Sarà un videosaluto di Elie Wiesel, oltre agli interventi del vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni e le attività culturali Francesco Rutelli e del presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna a dare il via al convegno internazionale su "Antisemitismo e i moderni crimini contro l'umanità", in programma oggi e domani a Palazzo Barberini. L'incontro rappresenta il culmine delle manifestazioni, svoltesi anche in settimana, per il Giorno della Memoria, data simbolo dello sterminio degli ebrei europei. Si parlerà di antisemitismo, così come si è concretizzato nell'Europa degli anni '30 e '40 ma anche di genocidi contemporanei, dai Balcani al Rwanda, con un occhio al conflitto interreligioso. L'intera settimana - accompagnata da una forte programmazione tv e radio, sia pubblica sia privata - è stata comunque caratterizzata da una serie di manifestazioni e di cerimonie, quasi tutte all'insegna di un doppio anniversario che si è intersecato con il Giorno della memoria: i 60 anni della Costituzione e i 70 delle Leggi Razziali del novembre del 1938. E proprio questi due temi sono stati, tra l'altro, al centro del discorso del presidente Napolitano al Quirinale - nella manifestazione in onore dei "Giusti tra le Nazioni": "Non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo mai la Shoah. Non dimentichiamo gli orrori dell'antisemitismo, che è ancora presente in alcune dottrine, e va contrastato qualunque forma assuma". Così come la cerimonia nella Risiera di San Sabba a Trieste, nell'unico campo di sterminio in territorio italiano, dove il ministro della pubblica istruzione Fioroni ha sottolineato "la vergogna" e "le scuse" per le Leggi Razziali. Per oggi altre manifestazioni sono programmate in tutta Italia. Tra le tante due si svolgeranno a Firenze: all'Università verrà consegnata la laurea honoris causa allo scrittore israeliano David Grossman. A Palazzo Medici Riccardi, in calendario è un convegno in onore di Alberto Nirenstein, scrittore e storico, di recente scomparso.

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Mr. Puma: <Ho girato il mondoora torno a casa e recito da solo> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Secolo XIX, Il" del 27-01-2008)

 

Mr. Puma: "Ho girato il mondoora torno a casa e recito da solo" teatro di sassello Nuova scommessa dell'artista savonese, che ha lasciato Pippo Delbono LUCI, MUSICA, parole e gesti del corpo. Tutto questo fa parte de "L'occhio del Puma", spettacolo teatrale che verrà messo in scena questa sera al Teatro di Sassello (ore 21,30). Creatore e interprete unico della rappresentazione è l'artista savonese Gianni Briano, in arte Mr. Puma. Un personaggio conosciuto e apprezzato anche all'estero grazie a numerose trionfali tournée in giro per il mondo con la compagnia del regista teatrale Pippo Delbono. Mr. Puma è un personaggio eclettico e istrionico, nato artisticamente a metà degli anni '80 come uno dei maggiori cultori amatoriali della musica reggae. Nel 1986 dà vita al gruppo "Mr. Puma e i Rompotodo", uno dei primi sound system nati in Italia. All'Officina, il primo centro sociale genovese, inizia la sua esperienza rielaborando il modello dei dj giamaicani. Tre anni dopo, dall'incontro con il bassista Roberto Quadrelli, personaggio di spicco dell'underground genovese, nascono "Mr. Puma e i Ragni", gruppo cult di quegli anni a Genova. Importante balzo avanti nel '93 con la nascita di "Mr. Puma e i Raptus". Il progetto dà vita ad uno spettacolo e a un cd, dal titolo "Dal virus alla rivelazione", edito dalla Vox Pop, una delle più importanti etichette discografiche indipendenti. Nel marzo del 1996 inizia la sua collaborazione artistica con il regista teatrale Pippo Delbono, da cui nasce lo spettacolo "Barboni", vincitore di molti premi tra cui il Premio Ubu '97 e il Premio della Critica nel '98. Il successivo "Guerra" porterà Mr. Puma a girare il mondo e a partecipare all'indimenticabile tournée in Palestina e Israele. Nel luglio del 2000, alle Orestiadi di Gibellina, Mr. Puma partecipa ad un nuovo spettacolo di Delbono dal titolo "Il Silenzio". Quattro anni dopo al Festival d'Avignon debutta "Urlo". Lo spettacolo viene accolto trionfalmente in tutta Francia e vince nel 2005 il premio "Olimpici del Teatro". È un ritorno in provincia dopo i successi raccolti in mezzo mondo con Pippo Delbono. "Con Pippo abbiamo scritto pagine importanti - spiega Mr. Puma -. Ma è il momento di camminare da solo". Lo spettacolo in programma a Sassello è la prima tappa di questa evoluzione artistica? "Lo spettacolo è già andato in scena nei mesi scorsi a Milano, Genova e a Parigi. È un working progress che ha trovato la sua forma definitiva. Il progetto è nato tre anni fa in forma embrionale e con il passare del tempo ha trovato la sua dimensione attuale. Torno per la prima volta ad esibirmi nella mia provincia dopo un po' di anni di assenza". Ci descriva lo show di questa sera. "È uno spettacolo multimediale. Unisce la proiezione di video, alla musica, alle parole, alle luci e soprattutto alla gestualità del corpo. È un'opera contemporanea, moderna, condita da monologhi e riflessioni". Come è stato accolto lo spettacolo a Parigi? "È piaciuto molto e sono stato invitato per una serie di esibizioni in cartellone a maggio. Il pubblico francese è molto sensibile alle novità, al contrario di quello italiano che è invece rimasto troppo legato alle rappresentazioni classiche. La Liguria è ancora più chiusa, manca la curiosità e la voglia di assistere a spettacoli innovativi". Come mai la scelta del palcoscenico è caduta sul teatro di Sassello? "La scorsa estate ho messo in scena al Priamàr uno spettacolo con Carlo Deprati, direttore del teatro sassellese. Ci siamo conosciuti e a quel punto il passo è stato breve. A Savona poi non ci sono spazi in grado di ospitare rappresentazioni alternative: il Chiabrera non è il luogo adatto per "L'occhio del Puma", mi hanno invitato al Nuovo Filmstudio, ma in questo caso il palco è troppo piccolo. Il teatro di Sassello invece è la cornice giusta". Insieme a lei sono presenti nello spettacolo altri due savonesi. "Si tratta di Maurizio Oliveri, che ha curato il reparto video, e di Giovanni Astengo, dj con cui ho scelto le musiche". Martin Cervelli 27/01/2008.

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Ebrei in terra d'Israele (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

 

Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Noi scordiamo donde siamo \[venuti. I nostri nomi ebraici dell'esilio ci disvelano, ricordano il fiore e il frutto, \[e città medievali, metalli, cavalieri diventati pietra, \[e rose in abbondanza, profumi svaporati, gemme, \[molto rosso, lavori manuali che non sono più \[al mondo. (E neanche le mani.) Il taglio del prepuzio ci confonde, \[come dice la Bibbia nel racconto di Sichèm e dei figli \[di Giacobbe: un dolore che dura finché viviamo. Che facciamo, tornando in questo \[luogo con quel dolore. Le nostalgie sono state \[prosciugate con le paludi, il deserto rifiorisce per noi, \[abbiamo figli leggiadri. Anche i relitti delle navi \[naufragate in viaggio giungono a questa costa, anche i venti vi giungono. \[Ma non tutte le vele. Che facciamo in quest'oscura terra che getta ombre gialle che tagliano gli occhi (succede che qualcuno ancora \[dica dopo quaranta o cinquant'anni: "questo sole mi uccide"). Che facciamo delle anime \[di nebbia, dei nomi, degli occhi di selva, dei nostri figli \[leggiadri, del nostro rapido sangue? Il sangue sparso non è radici ma è la cosa più vicina alle radici che abbiano gli uomini.

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D (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

 

D di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Quasi sessant'anni fa (era il maggio del 1948) nasceva lo stato d'Israele. Sorgeva sul sangue sparso durante la persecuzione degli ebrei e altro sangue avrebbe chiamato, dei popoli arabi decisi ad impedire l'usurpazione della terra che gli ebrei consideravano "promessa". Popoli in lotta, fino ad oggi, che fino ad oggi nel nome di quel sangue, del reciproco sangue sparso per cause opposte, si fanno la guerra e insieme cercano la pace. Una pace difficile, perché la morte chiama altra morte. Da poco è in libreria un'antologia di poeti israeliani del Novecento edita da Einaudi. Tra di essi Yehuda Amichai, scomparso il 22 settembre del 2000, considerato il maggiore dei poeti israeliani moderni, la cui prima raccolta in italiano, Poesie, a cura di Ariel Rathaus e con introduzione di Ted Hughes, fu pubblicata a Milano 2001. Nato a Würzburg, in Germania, nel 1924, Amichai si trasferì in Palestina con la famiglia nel 1936. Fra i temi di questo poeta c'è quello principe dell'amore, tanto che - è stato scritto - sembra che riscriva il luminoso ed enigmatico archetipo del Cantico dei cantici. E d'altra parte il sussulto, lo spasimo d'amore si trasferisce alla terra, considerata una cosa vera e profondamente mistica, alla storia e ai simboli del popolo d'Israele. Tra i molti testi di Amichai su questi temi, quello che qui pubblichiamo, tratto dalla raccolta E non per ricordare, del 1971, che unisce il senso della dispersione, della diaspora, il colore e il sapore del sangue con il sentimento dell'appartenenza, del radicamento sacro, del ritrovamento di un luogo: è una poesia dolorante, scritta toccando i segni di sutura delle ferite millenarie. Consapevole del nuovo tormento e dramma che questa storia comporta: scritta da dentro il dramma, antico e perenne, come sua interna voce.

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Gaza, è caos al confine Olmert vede Abu Mazen (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

 

Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 L'abbattimento del muro che divideva Gaza dall'Egitto ha aperto la strada a interminabili colonne d'auto che ieri per la prima volta hanno potuto lasciare Gaza riversandosi oltre la frontiera. A bordo di potenti fuoristrada, centinaia di uomini appartenenti alle cellule armate hanno lasciato a casa kalahsnikov e uniformi, viaggiando per la prima volta all'estero senza doversi nascondere. Anche per questo le autorità militari israeliane riconoscono che il numero dei lanci di razzi contro la cittadina di Sderot nelle ultime ore è drasticamente calato. Il problema però è quale soluzione definitiva trovare alla situazione creatasi. Il presidente palestinese Abu Mazen è tornato a respingere ieri l'offerta di un negoziato diretto con Hamas mediato dall'Egitto. Il rais egiziano Hosni Mubarak ha allora aggirato il diniego, proponendo tavoli separati che entrambe le fazioni sembrano avere accettato. Oggi Abu Mazen incontrerà anche il premier israeliano Ehud Olmert al quale chiederà l'affidamento dei controlli sulle frontiere della Striscia: è fra le ultime carte rimaste nel mazzo del presidente palestinese per rimanere in gioco.

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L'allarme di Barak: <L'Iran prepara un'altra Hiroshima> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

 

L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra Hiroshima" di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 La condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia, invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio di testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno stadio avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto Manhattan" spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò alla costruzione degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario, tratteggiato dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di laboratori assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già lavorando a testate nucleari per missili terra terra - dichiara Barak - e con molta probabilità hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino oltre a quello di Natanz". Secondo Israele, insomma, quanto l'Iran fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta dell'iceberg, uno specchietto per le allodole, dietro cui operano impianti assai più sofisticati con finalità esclusivamente militari. "Le più importanti agenzie d'intelligence internazionali dovrebbero concentrare i loro sforzi - auspica Barak - per capire dove siano l'eventuale centro d'arricchimento clandestino e il gruppo che lavora alle tecnologie militari". La nuova bozza di risoluzione - messa a punto a Berlino la scorsa settimana e approdata ieri all'esame del Consiglio di sicurezza - è un altro sintomo della diffidenza internazionale nei confronti di Teheran. La risoluzione chiede l'immediata sospensione del programma di arricchimento e punta all'introduzione, in caso contrario, di un terzo blocco di sanzioni capace di garantire la sorveglianza degli esponenti alla guida del programma nucleare iraniano. Dunque delle sanzioni ad personam.

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Aretha e Beyoncé ai Grammy Awards (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

 

Di Redazione - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 Aretha Franklin, Beyoncé, Foo Fighters, Carrie Underwood, Mary J. Blige, Clark Sisters, Israel And New Breed, Trin-I-Tee 5:7, Rihanna e i Time (riunitisi in occasione della cerimonia): saranno questi i primi artisti a salire sul palco della 50esima edizione dei Grammy Awards. Lo ha reso noto la Recording Academy. L'evento live andrà in onda dallo Staples Center di Los Angeles e per il pubblico italiano sarà possibile il 10 febbraio assistere alla cerimonia in diretta su Music Box (canale 717 di Sky). La produzione dei Grammy Awards, in partnership con YouTube e Cbs.com, offrirà a 20 musicisti l'opportunità di suonare con i Foo Fighters.

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La bandiera di israele nella giornata della memoria - davide romano (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

 

Pagina I - Milano La celebrazione Rappresenta i profughi più antichi e moderni del mondo La bandiera di Israele nella Giornata della Memoria DAVIDE ROMANO Anche quest'anno la comunità ebraica milanese sfilerà nella Giornata della Memoria con le bandiere israeliane. Ma qual è il legame tra sterminio e Stato ebraico? Molti credono che Israele sia "figlio della Shoah", un risarcimento. Invece è l'opposto: già dal 1917 l'Onu di allora riconobbe allo Stato ebraico il diritto di nascere. Se non lo si fosse impedito, Israele sarebbe stato il miglior "antidoto" alla Shoah. SEGUE A PAGINA VI APPUNTAMENTI IN GIORNO E NOTTE.

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Corteo della memoria ecco perché ci sarà la bandiera di israele (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

 

Pagina VI - Milano CORTEO DELLA MEMORIA ECCO PERCHé CI SARà LA BANDIERA DI ISRAELE SI PENSI AI TANTI EBREI DISPERATI CHE DAL 1938 - quando il regime nazista iniziò a bruciare le sinagoghe - facevano la fila alle ambasciate straniere per i pochi visti disponibili. Se ci fosse stata un'ambasciata israeliana, avrebbe spalancato loro le porte, salvandoli da Auschwitz. La storia di un mio conoscente, scomparso di recente, forse aiuta ancora meglio a capire il legame tra ebrei, Israele, e Shoah. Si chiamava Tuvia. Nato in Romania, giovanissimo fu catturato dai nazisti e deportato in un campo di concentramento, da dove riuscì miracolosamente a fuggire. Alla fine della guerra non aveva nulla: né una famiglia, né una casa dove tornare. L'unica speranza era partire per Tel Aviv per rifarsi una vita. Lo fece, ma da clandestino. L'Inghilterra infatti continuava a limitare fortemente, anche nel dopoguerra, l'immigrazione ebraica. La sua nave fu una delle tante che la marina britannica riuscì a intercettare. Tuvia si ritrovò così internato, insieme a tanti scampati dai lager nazisti, in un campo di raccolta a Cipro. Rimase detenuto in quell'isola fino al 1948, quando fu riconosciuta l'indipendenza di Israele. Quell'anno cambiò la storia: finalmente esisteva un rifugio per tutti gli ebrei del mondo. Tuvia poté arrivare nello Stato ebraico, dove coronò il suo sogno: fu tra i fondatori del kibbutz (cooperativa socialista) Hafikim, nel nord del paese. Fu proprio lì che lo incontrai, qualche anno fa, e mi accennò la storia della sua vita. Gli chiesi perché non avesse mai scritto un libro con le sue memorie. Mi rispose: "Chi lo leggerebbe? Qui in Israele quasi ogni famiglia ha una storia simile". è tragicamente vero. Israele è lo Stato ebraico, e in quanto tale è una nazione fatta di profughi. I primi furono gli ebrei che fuggivano dai pogrom dell'Europa dell'Est e della Russia, a cavallo tra l'800 e il '900. Poi fu la volta degli scampati alla II guerra mondiale. E ancora, nel 1948, furono quasi un milione i profughi ebrei che lasciarono i paesi arabi per raggiungere Israele. Arrivò poi il turno degli ebrei persiani (con l'avvento di Khomeini), degli etiopi e infine, dal 1989, del milione di russi. Per questo la bandiera israeliana sventola nella Giornata della Memoria: per ricordare come si sarebbe potuta evitare la morte di tanti di quei sei milioni di ebrei, e perché è la bandiera dei profughi più antichi e più moderni del mondo. DAVIDE ROMANO.

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Il ciclone barenboim alla scala e in libreria - luigi di fronzo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

 

Pagina XI - Milano Folla e giovani seguono il maestro e pianista nelle sue esibizioni Il ciclone Barenboim alla Scala e in libreria Oggi in scena Ieri alla Feltrinelli "Tifo Obama" LUIGI DI FRONZO Un altro bagno di folla per il maestro Daniel Barenboim. Ieri, all'incontro col pubblico per il suo libro La musica sveglia il tempo, erano veramente in tanti: quasi tutto il primo piano della Feltrinelli di piazza Piemonte stracolmo di appassionati, e poi una coda lunghissima di persone in cerca di autografo. E lui, disponibile come sempre, tra una battuta spiritosa e una dotta riflessione su temi politici e sociali. Non ha parlato solo di musica, ma anche della "Giornata della memoria", ammonendo che l'antisemitismo non è morto e va sempre combattuto. E si è sbilanciato anche sulle lezioni americane. "Spero veramente in Barack Obama - ha detto - Ma la comunità ebraica non lo voterà, perché le sue opinioni sul conflitto in Medioriente non vanno in parallelo con le posizioni del governo israeliano". Il successo del direttore d'altra parte si vede anche in teatro. Venerdì per la seconda serata del Barenboim-pianista con le Sonate di Beethoven, folla di giovani hanno occupato il palcoscenico scaligero per poi riunirsi festanti intorno all'artista. E si ripeterà naturalmente oggi quando Barenboim scalerà le vette della Sonata op.101, dopo la Patetica op.13, la Marche funèbre op.26 e l'op.79. Ma al di là della pura sociologia, resta l'importanza artistica di un messaggio elevato e profondo che Barenboim riesce a far arrivare. Esecutore spavaldo, disinvolto, quasi istrionesco, che trova una benefica energia nel pubblico ha imparato moltissimo dal podio. Smorza le sonorità, distende le frasi, scava nel suono puro (usando pochissimo pedale); non solo, venerdì sera ha accentuato l'incastro poliritmico nel finale dell'op.31 n.2, ha ritagliato quasi effetti di swing nell'op.14, ha sottolineato il contrappunto delle due mani nell'op.81a e ha tinto di nostalgia il segnale postale dei corni, nel celebre incipit del Les Adieux. Più che magia pianistica, la sua è ormai riflessione personale e filosofica sull'universo di Beethoven, con esiti di travolgente bellezza. Ore 15 al Teatro alla Scala, piazza Scala. Ingresso da 50 a 5 euro. 02/72003744.

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E' morto habbash, teorico dei dirottamenti - fabio scuto (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

 

Fondatore del Fronte popolare, negli anni Settanta organizzò decine di attacchi e raid contro Israele E' morto Habbash, teorico dei dirottamenti Ex compagno d'armi contestò Arafat quando firmò la pace di Oslo nel 1993 FABIO SCUTO Si è spento ieri, consumato dall'età e dai malanni della vecchiaia, George Habbash fondatore del Fronte popolare di Liberazione palestinese, uno dei gruppi più duri della galassia palestinese, l'ala più radicale di orientamento marxista, teorico dei dirottamenti aerei negli Anni Settanta e della lotta armata come unica soluzione del conflitto con Israele, che ha sempre rifiutato di riconoscere. Quando nel 1993 Arafat firmò a Oslo l'accordo di pace che gli consentì di rientrare in Palestina dopo decenni di esilio, definì quella pace un "tradimento" e avrebbe dato ancora battaglia al suo ex-amico e compagno ma un ictus cerebrale ne ridusse la verve e la capacità organizzativa, e nell'ottobre dello stesso anno si dimise da ogni incarico nel Fronte che aveva fondato nel 1967, subito dopo la sconfitta bruciante degli eserciti arabi nella Guerra dei Sei Giorni. Oratore rivoluzionario, nazionalista acceso e intransigente, leader di un gruppo che ha praticato il terrorismo, George Habbash - ma per la sua gente El Hakim (il dottore) - è stato per quarant'anni una delle figure più controverse della galassia palestinese. Con Yasser Arafat e Nayef Hawatmeh, è stato uno degli ultimi leader storici; nei campi profughi il suo nome è stato sempre associato al rifiuto di qualunque compromesso con Israele. Del suo gruppo faceva parte Leila Khaled, l'eroina del terrorismo palestinese che dirottò un jet americano in Siria. Il Fronte di Habbash mostrò subito la sua propensione verso azioni spettacolari, un'attitudine sempre mal digerita da Yasser Arafat, e per tutti i servizi segreti divenne "il Dottor Terrore". Attentati contro gli aerei della "El Al", sabotaggi agli oleodotti, attacchi alle ambasciate israeliane; fino ai dirottamenti multipli degli aerei giordani nel deserto, mentre i feddayn palestinesi fuggivano, cacciati da re Hussein che temeva per il suo fragile trono. Era il settembre 1970, il "Settembre nero palestinese". Dirottamenti e attentati hanno fatto per anni di George Habbash uno degli uomini più ricercati del Medio Oriente. Sulla sua testa, a Tel Aviv come ad Amman c'è stata per decenni una cospicua taglia. Gli uomini del Mossad, ma anche i mukhabarat arabi, hanno cercato più volte di eliminarlo dalla scena. I caccia con la stella di David, con un gesto di pirateria aerea, dirottarono nel 1973 un jet di linea costringendolo ad atterrare, perché il Mossad era convinto che Habbash fosse tra i passeggeri. Il Fronte è sempre stato fortemente rappresentato nei campi profughi in Libano, soprattutto nel sud a Tiro e Sidone, e nei territori arabi occupati dove molte cellule sono attive. E' infatti attorno al Fronte di Habbash che per sette anni, fino al 1981, si costituirà con l'aiuto di alcuni regimi arabi il "Fronte del rifiuto" che tenterà senza successo di fermare l'evoluzione dell'Olp verso la partecipazione ai negoziati di pace. Habbash, che aveva 82 anni, si è spento in un ospedale di Amman, dove era tornato a vivere quando le accuse contro di lui erano cadute in prescrizione e quando l'ospitalità di Damasco dove aveva vissuto per trent'anni si era fatta un po' "stretta". Il presidente dell'Anp Abu Mazen ieri sera appresa la notizia ha fatto annunciare dal suo ufficio tre giorni di lutto nazionale in tutta la Palestina, ordinando che le bandiere nazionali vengano listate a lutto.

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"tutti devono poter scegliere referendum sullo stato palestinese" - marco panara elena polidori (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

 

Parla il ministro degli Esteri iraniano Mottaki: "La via della pace passa attraverso la giustizia" "Tutti devono poter scegliere referendum sullo stato palestinese" "Il nostro nucleare è pacifico: nuove sanzioni ci spingeranno solo a difenderci" MARCO PANARA ELENA POLIDORI dai nostri inviati DAVOS - Il dramma di Gaza: "Se ne esce solo con un referendum, dove la gente sceglie il regime che desidera". I piani di pace in Medio Oriente? "Mancano di giustizia". Le sanzioni? "Uno strumento d'altri tempi". Parla Manouchehr Mottaki, ministro degli Esteri dell'Iran. Repubblica lo incontra nel suo albergo, in una pausa del Forum di Davos. Come valuta il processo di pace tra Israele e Palestina dopo il viaggio di Bush e quale sarà l'impatto dei fatti di Gaza? "Sicuro che il signor Bush e Israele cerchino la pace?" E lei? "Noi pensiamo di no. La vicenda della Palestina va avanti dal 1948: Annapolis e molte altre iniziative sono state messe in campo senza alcun risultato. La principale ragione è che tutti i piani mancano di giustizia, che è l'elemento principale" Che significa giustizia? "Che dobbiamo avere uno sguardo sulla regione: cristiani, musulmani ed ebrei sono i veri abitanti di quella terra e sono loro a dover decidere il loro destino. 5 milioni di palestinesi sono lontani dalla loro terra, devono tornare e partecipare ad un referendum per decidere sul loro stato. Qualunque decisione prenderanno liberamente, noi la sosterremo". Quindi qual è la prospettiva di questo processo di pace? "Bush ha detto che entro il 2008 sarà completato. Olmert che probabilmente non sarà possibile. Questo significa che non cercano una vera pace ma vogliono imporre la loro volontà sulla Palestina". La soluzione allora? "Si deve fare come in Sudafrica. Mandela ha speso la vita in prigione ma alla fine la gente ha potuto decidere. Questo è il modello". Quale è la posizione dell'Iran su Abu Mazen e Hamas? "Noi raccomandiamo a tutti i leader palestinesi di sedersi intorno ad un tavolo e di agire insieme nell'interesse della popolazione. E' responsabilità di tutta la comunità internazionale, Iran compreso, aiutare i palestinesi". Quale sarà il ruolo dell'Egitto? "L'Iran ha chiesto un incontro ministeriale ad hoc che si terrà il 3 febbraio a Gedda. Condanneremo l'aggressione dei sionisti a Gaza e incoraggeremo i vicini, a cominciare dall'Egitto, a tenere aperto il confine per il passaggio degli aiuti umanitari" Condannerete anche le azioni di Hamas? "La battaglia per la libertà è un diritto essenziale di ogni movimento di liberazione e per questo sin dall'inizio la lotta dei palestinesi non è stata terrorismo". La Rice qui a Davos ha detto che se il suo paese interromperà l'arricchimento uranio è pronta a dialogare in ogni momento, in qualsiasi luogo e su qualsiasi argomento. Lei come risponde? "La posizione dell'Iran è di lasciare il giudizio all'appropriato organismo delle Nazioni Unite che è l'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica ndr.) Da cinque mesi abbiamo accettato un accordo con loro. Sono stati fatti numerosi passi avanti. Buona parte delle richieste sono state soddisfatte. Ci sono anche tre rapporti. Resta da completare una piccola parte del lavoro. A questo punto il Consiglio di sicurezza ha due responsabilità: avere pazienza fino al completamento del lavoro dell'Agenzia, che avverrà in marzo. Poi se l'Aiea confermasse che non ci sono divergenze con l'Iran, deve allora passare il dossier all'Agenzia perché proceda nella collaborazione" Sulle sanzioni, qual è la sua posizione? "Le sanzioni sono uno strumento del passato. Negli ultimi due anni abbiamo stipulato accordi con vari paesi. Molte società Usa, indirettamente, hanno cominciato a fare affari con l'Iran. Credo che riconoscano che le sanzioni o ogni altra azione non basata sui fatti avrà l'effetto di spingere l'Iran a difendere i suoi diritti. Noi non faremo nulla contro le regole. Il Consiglio di sicurezza dovrà eventualmente spiegare all'opinione pubblica del mondo su quali fatti intende basare provvedimenti punitivi contro l'Iran".

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L'egitto rinuncia a fermare i profughi - alberto stabile (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 27-01-2008)

 

L'Egitto rinuncia a fermare i profughi Gaza, tre giorni di frontiere aperte per scorte di cibo e combustibili Una quarantina di poliziotti feriti e Il Cairo striglia Hamas: "Così non può durare" ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - "I fratelli palestinesi devono comprendere che la nostra volontà di ospitarli e aiutarli non può tradursi in una minaccia alla vita delle forze di sicurezza egiziane". Una quarantina di feriti tra i poliziotti antisommossa e le guardie di frontiera, alcuni dei quali in stato critico, causati dalle "provocazioni di gruppi palestinesi", sono un prezzo troppo alto da sopportare, dice il ministro degli Esteri egiziano, Ahmed Abul Gheit, per aver mostrato generosità e comprensione verso il dramma di Gaza. L'avvertimento alla dirigenza di Hamas, senza il cui assenso a Gaza non si muove foglia, è implicito. "Queste provocazioni ci preoccupano", continua Abul Gheit, quasi a sottolineare che la pazienza egiziana ha un limite. E tuttavia la decisione del Cairo di permettere l'ingresso alle masse bisognose di tutto provenienti dalla Striscia verrà mantenuta, fino a quando i palestinesi non avranno soddisfatto i loro bisogni (si dice ancora per tre giorni). Ma subito dopo bisognerà trovare una soluzione "concordata attraverso colloqui fra le parti interessate". Non sarà così facile. Per il quarto giorno consecutivo, decine di migliaia di persone, spinte dal desiderio di approvvigionarsi dei beni essenziali che l'embargo vieta loro da mesi, hanno varcato il confine con l'Egitto ormai ridotto a un colabrodo. La novità è che molti sono entrati in macchina, altri hanno cercato di portare dentro i camion, ma pare che non abbiamo potuto superare i posti di blocco posti all'uscita della Rafah egiziana. Molte auto sono entrate cariche di bidoni vuoti e sono tornate con benzina e gasolio, due generi preziosi tuttora sottoposti al blocco israeliano. La polizia egiziana ha prima cercato d'impedire l'ingresso delle macchine, formando catene umane davanti ai varchi principali, poi s'è limitata a osservare da lontano. Nella notte il contingente era stato ridotto per evitare ulteriori tensioni. Ma è evidente che il Cairo non può accettare la situazione creata da Hamas al confine con Gaza. Una situazione in cui le autorità egiziane hanno in sostanza rinunciato a esercitare ogni autorità. Per Mubarak quella della soluzione "concordata con le parti interessate", vale a dire tanto con Hamas, quanto con l'Autorità Palestinese di Abu Mazen, la cui influenza è ormai ridotta alla sola Cisgiordania, è una strada tanto obbligata quanto rischiosa. Lo sfondamento della frontiera ha, se possibile, acuito i contrasti tra Hamas e Abu Mazen. Il leader eletto dei palestinesi ha ieri affermato di avere un piano per risolvere il problema del confine tra Gaza e l'Egitto. Ma per lui il movimento islamico, prendendo nel giungo scorso il potere a Gaza con la forza si è macchiato di un crimine che non può essere perdonato. A meno che gli islamisti non restituiscano il potere all'autorità legittima. Il punto è che né gli Stati Uniti, né Israele, né forse lo stesso Mubarak credono che Abu Mazen abbia i mezzi militari e la forza politica di imporre una soluzione. Insomma, è obbligatorio parlare con Hamas, che ieri, in evidente polemica con Ramallah, si è offerta di riportare l'ordine al confine coordinando direttamente con l'Egitto il funzionamento della frontiera. Un offerta destinata a mettere Mubarak in ulteriore imbarazzo, perché se il Rais non può permettersi di apparire agli occhi dell'opinione pubblica egiziana come colui che appoggia il blocco di Gaza voluto da Israele e assecondato dagli Stati Uniti, dall'altro lato, agli occhi dell'opinione pubblica occidentale Mubarak non può apparire come un partner di Hamas. La delicata situazione alla frontiera tra Gaza e l'Egitto sarà al centro dell'incontro di oggi tra Abu Mazen e il premier israeliano Ehud Olmert. Il leader palestinese rinnoverà la sua offerta di prendersi carico del confine Sud di Gaza, chiedendo al tempo stesso a Olmert di togliere il blocco contro la Striscia e contro la Cisgiordania. Ipotesi assai improbabile.

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Gennaio 1946, da Vado la prima nave dell'esodo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 27-01-2008)

 

La storia Mille ebrei emigrarono in Palestina SILVANO GODANI Gennaio 1946, da Vado la prima nave dell'esodo VADO LIGURE Legge 20 luglio 2000, n. 211, ex art. 1 e art. 2: "La Repubblica Italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoàh (sterminio del popolo ebraico).affinché simili eventi non possano mai più accadere". Per l'occasione l'ISREC (Istituto Storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea), attraverso le ricerche di Antonio Martino ha ritrovato tracce e immagini di una straordinaria storia di "Exodus alla savonese", raccontata con qualche coloritura nei libri di Ada Sereni ("I clandestini del mare") e Mario Toscano ("La porta di Sion"), entrambi sull'immigrazione clandestina di Ebrei europei nel neonato stato di Israele. Un anno prima della nave Exodus (raccontata da Otto Preminger in un film avvincente) che nel 1947 trasporta profughi da Cipro in Palestina, ben due navi partono da Vado per Israele, a dispetto degli Inglesi che osteggiavano l'ingresso degli Ebrei nella "terra promessa". La prima nave, il motoveliero "Rondine" forse costruito dai Cantieri Solimano e ribattezzato "Enzo Sereni" (marito di Ada morto a Dachau nel '44), salpa all'inizio di gennaio del '46 da una banchina di Porto Vado vicino al Faro con un carico di 900 profughi sotto la protezione della polizia partigiana, come ricorda Adriano Scaglia. La seconda, la corvetta canadese "Beauharnois" dismessa nel 1945 ma acquistata dai servizi segreti israeliani del Mossad e poi impiegata nella 1^ flottiglia di 4 navi nello scontro con gli Arabi col nome "Hashomer" (La Guardia), nella notte fra il 18 e il 19 giugno imbarca ben 1294 Ebrei provenienti dai lager via Tarvisio e concentrati nel campo di Tradate, forzando il blocco dei carabinieri schierati sul pontile. Un'operazione imponente resa possibile dalla perfetta organizzazione della Brigata Ebraica in forza all'esercito inglese dotata di automezzi e supporti per le comunicazioni. Perché proprio Savona? Forse perché è più favorevole l'ambiente, visto che a gennaio è l'agente marittimo Giuseppe Musso, repubblicano, a mettere in contatto Ada Sereni con l'armatore e le autorità locali, a giugno, si limitano a prendere atto della situazione. "In un momento così delicato -conclude Umberto Scardaoni presidente dell'ISREC a titolo personale- è giusto ricordare che, nel nome della pace, occorre riconoscere anche ai Palestinesi il diritto di avere una patria, così come abbiamo contribuito a farlo con gli Ebrei". Nel prossimo 19 giugno, perciò, a Vado Ligure si ricorderà l'episodio insieme alla Comunità Ebraica di Genova, all'Ambasciata di Israele e alla Associazione Italia-Israele in collaborazione col Comune.

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27 gennaio 'Il Giorno della Memoria' (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.132 del 27/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Cultura In ricordo delle vittime del nazismo 27 gennaio: "Il Giorno della Memoria" Tutte le attivita' della "Casa della Memoria e della Storia" di Roma Il 27 gennaio di 63 anni fa, nel 1945, il campo di sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, veniva liberato dall'Armata Rossa, l'esercito russo bolscevico. Dal 2000 questa data è stata scelta dal Parlamento Italiano per istituire "Il Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio del popolo ebraico e di tutti i deportati nei campi nazisti. Molte le attività organizzate anche quest'anno dalla Casa della Memoria e della Storia per la giornata odierna. Già giovedì scorso è stata inaugurata un'installazione fotografica di Giuliano Pastori nello Spazio mostre e sulla Terrazza, dal titolo "Berlino 06: Memorie Quotidiane", che sarà visitabile fino al'8 febbraio. Ma la maggior parte delle attività si concentrano proprio oggi: a partire dalle ore 15.00, nella Sala Multimediale, verrà proiettato il film di Davide Ferrario e Marco Belpoliti "La Strada di Levi", che ripercorre dopo sessant'anni l'itinerario dello scrittore Primo Levi per ritornare a casa dopo la liberazione di Auschwitz. Alle 16.30 "Verso la Memoria", una lettura di poesie sul tema della Deportazione, della Resistenza e della Libertà. A seguire, alle 18.05, proiezione del film-documentario "Io c'ero", ricco di testimonianze di superstiti dei campi nazisti che raccontano la cruda realtà della vita nei lager. Per concludere, alle 19.30, "Canzoni della Resistenza, della Guerra e della tradizione democratica del nostro paese", un intervento musicale di Sara Modiglioni, Piero Brega e del Laboratorio di canti popolari, politici e sociali della Scuola di Musiche del Circolo Gianni Bosio. Contemporaneamente, presso il Centro Telematico, a partire dalle ore 15.00 verrà proiettato il filmato "La deportazione e l'internamento nei lager nazisti dei militari italiani", storia della situazione dei militari italiani dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943, quando durante l'internamento non furono considerati prigionieri di guerra in modo che gli venisse sottratta l'assistenza prevista dalla Convenzione di Ginevra. A seguire, alle 15.50, la proiezione dell'intervita/testimonianza a Franco Venturelli, partigiano che nel 1944 venne deportato a Mathausen. Alle 16.30 proiezione del filmato di Sebastiano Rendina "Un popolo per la libertà. La Resistenza in Italia", che ripercorre gli avvenimenti storici che hanno dato forma alla Resistenza Italiana. Alle 17.15 il film-documentario "Memoria presente: ebrei e città di Roma durante l'occupazione nazista", che ricostruisce la persecuzione antisemita nella Capitale anche attraverso interviste a cittadini ebrei. Infine, alle 18.25, la proiezione del film del regista israeliano Eyal Sivan "Uno specialista: ritratto di un criminale moderno", ricostruzione del processo al gerarca nazista Adolf Eichmann svoltosi a Gerusalemme nel 1961. Le attività conclusive si svolgeranno il prossimo martedì: alle 15.00, presso la Sala Multimediale, verrà presentato il libro "Roma la città della memoria &ndash; Guida agli archivi della città contemporanea", censimento degli archivi cittadini. Seguirà, alle 17.00, la presentazione del saggio di Giovanna De Angelis "Le donne e la Shoah", un omaggio al coraggio e alla resistenza delle donne internate nei ghetti e nei campi nazisti. Numerosissime dunque le attività fra le quali scegliere per chi desidera ricordare degnamente questo giorno, e rendere onore ai ricordi e alla memoria di pagine ancora incredibilmente vicine della nostra storia più violenta e dolorosa. Il giorno della memoria Fino al 29 gennaio Casa della Memoria e della Storia Via San Francesco di Sales 5, Roma Ingresso libero Orari: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 18.00 (mostra fotografica) Info: tel. 066876543 www.casadellamemoria.culturaroma.it Valentina Ricci.

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Un gioco pericoloso. Questa, per un dirigente egiziano che abbiamo raggiunto al Cairo, l'ess (sezione: Israele/Palestina)

( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)

 

Di ERIC SALERNO Un gioco pericoloso. Questa, per un dirigente egiziano che abbiamo raggiunto al Cairo, l'essenza di quanto sta accadendo a Gaza. Con rabbia, il ministro degli Esteri Ahmed Abul Gheit ha parlato di "provocazioni" e rilevato che sono una quarantina i soldati e le guardie di frontiera feriti negli scontri con i palestinesi, molti dei quali armati e appartenenti alle milizie fedeli a Hamas. Due ufficiali sono in fin di vita. E sembra perdere quota la pazienza del presidente Mubarak. Ha offerto di mediare la ripresa del dialogo tra Hamas e il presidente palestinese ottenendo, come risposta, due quasi no. I dirigenti del movimento islamico si sono detti disponibili ma poi offrono contatti diretti con il Cairo per gestire insieme, questa la loro formula, il transito sul confine comune. Per Mahmoud Abbas, l'ipotesi dialogo è da scartare fino a quando i "golpisti" manterranno il controllo di Gaza. E stato chiaro: non permetterà a Hamas di servirsi del blocco del confine per guadagnare un riconoscimento ufficiale del suo ruolo nella Striscia. Il presidente intende insistere, invece, con il premier Olmert (si vedranno oggi) perché sia l'Autorità palestinese a gestire tutti i varchi della Striscia. Lui dice che le sue forze sono in grado di farlo. Israele non n'è così convinta. Hamas, nonostante l'isolamento, mostra una capacità organizzativa e politica sorprendente. Alla ricerca di uno sbocco non violento, Mubarak ha deciso di invitare al Cairo per incontri separati, i rappresentanti di Hamas e di Fatah. Il rischio che la situazione possa deteriorare è evidente. Mezzi blindati egiziani si sono avvicinati al confine per impedire alle auto dei palestinesi di continuare a fare avanti e indietro mentre le guardie di frontiera rimandano a casa decine di migliaia d'abitanti di Gaza ancora nell'area che va dal confine a El Arish. Le botteghe di questa città, quaranta chilometri a sud delle barriere abbattute dai militanti islamici, hanno fatto affari d'oro ma ieri la polizia ha ordinato la loro chiusura per far capire a tutti che la grande spesa è finita. Poche decine di chilometri più a nord, al posto di transito di Erez, sul confine tra Gaza e Israele, un migliaio di pacifisti israeliani ha manifestato contro il blocco imposto da Israele e contro il continuo, seppure ridotto, lancio di missili in direzione di Sderot. La loro protesta è stata fatta propria dal presidente palestinese. In un discorso a Ramallah, Abbas ha esortato i gruppi armati a cessare i tiri di razzi e ha accusato Israele di infliggere una "punizione collettiva" alla popolazione della Striscia. "Noi diciamo a tutti quelli che lanciano i razzi: cessate, non date a Israele un pretesto per mostrarsi al mondo come vittima e affermare che Sderot è una vittima".

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AMMAN George Habash, fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp) è mor (sezione: Israele/Palestina)

( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)

 

To ieri ad Amman, dove viveva da alcuni anni. Aveva 81 anni. Habash era nato 1926 a Lydda (l'attuale città israeliana di Lod) in una famiglia di mercanti di religione greco-ortodossa. Era un medico e il suo nome di battaglia era "al Hakim", che significa "il dottore", ma anche "il saggio". Aveva creato nel 1967 l'Fplp, che fu per anni uno dei punti di riferimento delle organizzazioni radicali palestinesi e sempre rifiutò di riconoscere lo Stato di Israele. Nel 1992 era stato colpito da ictus a Tunisi e da allora si era ritirato dall'attività politica.

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Perché non si dimentichi. Anche la tv ricorda dell'Olocausto. Con testimonianze, documenti (sezione: Israele/Palestina)

( da "Messaggero, Il" del 27-01-2008)

 

Film tratti dalla storia ed entrari in quella del cinema. A mezzanotte e mezzo, Tg2 Dossier, intervista a Chantal Maas, l'unica ebrea che ha deciso di vivere ad Auschwitz, dove sta allestendo una casa della Memoria. E dell'incubo di Auschwitz parla anche Shlomo Venezia, che fu costretto a far parte di squadra speciale che cremava i corpi degli israeliti massacrati nelle camere a gas. Mentre "I giusti e gli Ingiusti", è il titolo dell'appuntamento con Terra! Il settimanale di Toni Capuozzo e Sandro Provvisionato stavolta inizia con un reportage di Marco corrias da Altavilla Silentina, comune campano dove sparirono una ventina di passaporti per aiutare una ventina di ebrei ungheresi che nonostante i documenti non riuscirono a sfuggire alla deportazione. Quindi sarà Provvisionato a raccontare la Shoa, nella Germania di Trutzhain (a nord di Francoforte), dove esiste ancora il famigerato lager Stalag IX, rimasto tale e quale ad allora. Ma, tutte le emittenti, satellitari e non, dedicano l'intera giornata alle vittime di quel terribile periodo storico. Retequattro e La 7 scelgono il cinema. Stasera Retequattro alle 21,10, ripropone il capolavoro di Spielberg: Schindler's List. Mentre la 7 manda in onda il bellissimo Giardinio dei Finzi Contini di Vittorio De Sica e, e alle 18, Train de vie, il geniale racconto di Radu Mihaileanu.

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La guerra che non si può vincere (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

 

Corriere della Sera - MILANO - sezione: Tempo Libero - data: 2008-01-27 num: - pag: 18 categoria: REDAZIONALE OLMETTO ULTIMA REPLICA La guerra che non si può vincere Il dialogo, l'incontro, il riconoscimento del dritto dell'altro. Eugenio de Giorgi, dammaturgo e regista, con un gruppo di giovani attori porta in scena il pensiero dello scrittore israeliano David Grossman, facendo vivere in brevi scene momenti della tragedia del conflitto israelo-palestinese. Storie ordinarie di vita, di speranze, di paure, di adulti e ragazzi di entrambe le parti in guerra che sognano la "normalità" della pace. Uno spettacolo per conoscere e riflettere.

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Morto George Habash, stratega dei dirottamenti (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE A 81 anni Morto George Habash, stratega dei dirottamenti Morto a 81 anni George Habash: fondò il Fronte popolare di liberazione della Palestina, fu rivale di Arafat e stratega dei dirottamenti aerei. Tre giorni di lutto proclamati dall'Autorità Palestinese.

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Corano, manager e night club. Un ebreo fantasma a Riad (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-27 num: - pag: 19 categoria: REDAZIONALE Arabia Saudita Il drammaturgo Tuvia Tenenbom racconta la visita con il presidente Bush in un Paese dove Israele non esiste Corano, manager e night club. Un ebreo fantasma a Riad Qualche giorno fa ho tentato di recarmi in Arabia Saudita o Saudia, com'è chiamata in Medio Oriente, terra che aveva stregato la mia immaginazione. Mi sono dunque collegato al sito web del governo saudita, per avviare la procedura di richiesta del visto. Un sito interessante, non c'è dubbio. Desiderano sapere, ad esempio, "Qual è la tua religione?". Io non professo alcuna religione, ma ho ricevuto un'educazione ebraica ultra-ortodossa, pertanto mi pareva opportuno selezionare "Giudaismo". Ehi, ma come? C'è un problema: il Giudaismo non è tra le opzioni disponibili. Pazienza: salto la domanda sulla "religione " e passo alla successiva: "Luogo di nascita". Ottimo: sono nato in Israele. Come, non lo sapete? Questo Paese non esiste nella mentalità saudita. Così, senza dover troppo attendere, ho definitivamente archiviato il mio sogno saudita. Finché, un giorno, arriva una chiamata dalla Casa Bianca: mi invitano ad accompagnare il presidente Bush nel suo viaggio in Medio Oriente. E, poiché nel tempo libero faccio anche il giornalista, si offrono di risolvere loro il problema del visto. Accetto senza indugi e, in meno di una settimana - hurrà! - sono pronti i documenti. "Accompagnatore del presidente americano", recita il timbro saudita sul passaporto. Che cosa significa? Dovrò partire assieme a Bush? Non lo so né me ne curo, mi limito a prendere l'aereo. Un uomo come me, il cui principale titolo professionale è quello di "Direttore artistico del Teatro Ebraico di New York", è in Arabia Saudita! In qualsiasi altra occasione i sauditi preferirebbero patire un infarto anziché vedere la mia faccia nella loro patria, ma stavolta hanno dovuto fare un'eccezione e io mi sento strafelice. Poi Bush se n'è andato e l'ebreo è rimasto tutto solo all'Holiday Inn di Riad. Ma non a lungo. Più o meno nel medesimo istante in cui l'Air Force One ha toccato il suolo americano, qualcuno mi chiama invitandomi a raggiungere una "persona importante che desidera parlarle". Mi accompagnano, passando per una porta segreta, a un piano sottostante. Il posto sembra avvolto nel buio e nella sporcizia. La targhetta sulla porta recita: "Mohammad Al-Mallah - Human Resources Manager". Che cosa succede? Non sto cercando un lavoro, o sbaglio? Risorse umane?!? "Si sieda", dice l'uomo. "I giornalisti - inizia a farfugliare - fanno domande ma non sanno dove trovare le risposte". Tutte le risposte sono racchiuse "in questo libro", scandisce additando una copia del Corano rilegata in pelle verde. Faccio per aprire il libro, ma il mio interlocutore pare non si diverta, e mi dice in un inglese sgrammaticato: "Tu non sei musulmano, non hai le mani pulite, non toccare il Libro Sacro". Aspetta un secondo, mi dico, come diavolo fa a sapere che sono ebreo? Prima che riesca a trovare una risposta, però, il Responsabile delle Risorse umane enumera in tutta fretta le regole che sono tenuto a rispettare: "Niente foto né riprese, niente interviste, niente discorsi politici. Domande? ". Molto stupidamente rispondo: "Sì, ho una domanda. Pensa che ci potrà mai essere la pace tra israeliani e palestinesi?". "Sì", risponde. "Come è scritto in questo Libro Sacro, muoiano tutti gli ebrei e sul mondo intero regnerà la pace". A questo punto risalgo in camera e scrivo una e-mail all'ambasciata saudita di Washington. Sono l'unico ebreo in Arabia Saudita. Strano, no? Persino nella Germania nazista gli ebrei erano più numerosi... Finalmente mi alzo ed esco a fare due passi. Proviamo a capire dove finisce un ebreo e comincia un saudita, dico tra me e me. Attraverso solitario King Abdulaziz Street. E vedo volare a bassissima quota una squadriglia di quattro aerei militari. è da quando ero bambino in Israele, al tempo della Guerra dei Sei giorni, che non vedo un aereo militare così da vicino. è come se uno spirito magico, fantastico e inspiegabile, mi facesse tornare bambino. Sì, questi velivoli mi rapiscono e, d'incanto, mi riportano indietro di 40 anni, in Prophet Jonah Street a Tel Aviv. Rallento il passo, totalmente ipnotizzato, quando un'altra squadriglia inizia a volare sopra di me. Sento un'irresistibile euforia! Inizio a contare: quattro qui, quattro laggiù, eccone altri quattro, e ancora quattro... e, quando arrivo a 50, mi fermo e basta. Come potrò appurare nei giorni seguenti, questi voli stravaganti sono una routine quotidiana a Riad. Perché si faccia tanto sfoggio di potere sopra un'area densamente popolata, e in un Paese che vanta un immenso spazio aereo nel deserto, Dio solo lo sa. Con un cenno della mano fermo un taxi e faccio ritorno in albergo. Mi sintonizzo su Al Jazeera, che addita gli ebrei come carnefici. Stanno parlando di me?!? Esco fuori e chiamo di nuovo un taxi. Ma tu guarda - penso - è lo stesso tassista che mi ha accompagnato prima! Ben presto scopro che non appena chiamo un taxi in questa città di 5 milioni di abitanti, nove volte su dieci mi imbatto, come per magia, nello stesso conducente. "Dove vuole andare?". "Mi porti in un night". No, davvero non me lo sarei mai sognato. In una terra in cui le donne non possono mostrare altro che due occhi, dieci dita e un enorme sacco nero, neppure il tuo tassista "personale" può accompagnarti in un posto del genere. Benvenuti in Arabia Saudita. Un ebreo, un tassista, niente donne. Ma in quanto ad aeroplani, signori miei, non c'è che da chiedere! Islam e Occidente Donne saudite in un McDonald's a Riad (Ap) Tuvia Tenenbom Tuvia Tenenbom scrittore teatrale e direttore artistico del Teatro Ebraico di New York Traduzione di Enrico Del Sero.

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Anche al piano Barenboim è autorevolezza (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli - data: 2008-01-27 num: - pag: 48 categoria: REDAZIONALE Beethoven Alla Scala Anche al piano Barenboim è autorevolezza di ENRICO GIRARDI C i sono studenti che seguono il concerto su sedie collocate sul palco attorno al pianoforte. E il primo brano che si ascolta è proprio il primo della lunga serie, l'opera 2 n. 1, Sonata di un Beethoven che omaggia Haydn lasciando gli elementi del proprio vocabolario a venire in una forma ancora potenziale. L'inizio del ciclo di 8 concerti che fino a giugno vedranno Daniel Barenboim affrontare alla Scala l'integrale delle Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven ha vago sapore di Hausmusik. Ma l'impressione dura il tempo di un amen. Un po' fa anche il modo semplice e irrituale con il quale il maestro israelo-argentino entra in una Scala che pure è gremita come nelle migliori occasioni: senza ostentare i tormenti di chi si trovi solo all'attacco dell'altissima vetta ma nemmeno la apparente naturalezza di quanti vogliono comunicare che sostenere l'impresa è cosa ovvia e facile. La verità è che si entra immediatamente in medias res; il pianismo di Beethoven è tutta sostanza, pensiero che dà forma e la testa, prima ancora delle mani, di Barenboim lo dicono con la forza dell'evidenza. Non la ricerca di un'eleganza, non la ricerca ossessiva di un "bel suono", ma il piacere di lasciar parlare la cosa. Ecco allora l'umorismo dell'opera 31 n.3, ecco la follia e la tensione dell'op. 106, l'"impossibile" Hammerklavier. Sì perché tra l'idea di percorrere le 32 "stazioni" in ordine cronologico o in ordine sparso - l'una come diario di una lenta evoluzione, l'altra che sintetizza lo stesso principio anche nello spazio della serata singola: entrambe legittime -, Barenboim opta per quest'ultima, e ogni serata c'è un titolo almeno per ciascuna delle tre fasi in cui la musicologia storica suddivide la parabola creativa del Gigante. Come del direttore d'orchestra Barenboim non si guarda il gesto (o meglio, lo si guarda, ma non come prima cosa), così nel caso del Barenboim pianista non si segue la musica in termini di mera tecnica pianistica, se non quando incappa in frasi un po' fallose (la fuga a tre dell'op. 106 qualche grattacapo lo pone sempre, a chiunque). Prima di ciò emerge il fascino per la prepotente musicalità, il carisma e l'autorevolezza con cui questo interprete smonta e rimonta il testo (forme, linee, pesi, colori, fraseggi, idiomi pianistici e orchestrali) per raccontare un Beethoven alto, nobile, imperiale, alieno da mode e filologie. Si sente anche quanto il pubblico ne sia coinvolto e quanto il trionfo conclusivo non giunga annunciato ma autentico. Maestro scaligero Barenboim al piano Sonate per pianoforte di Beethoven Pianista Daniel Barenboim Teatro alla Scala di Milano.

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Un treno di folli contro la follia nazista (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 27-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Spettacoli TV - data: 2008-01-27 num: - pag: 69 categoria: BREVI Un treno di folli contro la follia nazista Europa dell'Est, 1941. Per salvare il loro villaggio dai tedeschi, un matto e un mercante organizzano un treno di finti deportati diretti verso Israele. Dialoghi italiani curati da Moni Ovadia, musiche di Goran Bregovic. Regia del rumeno Mihaleanu. Train de vie Cult, ore 21.

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Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) vuole (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)

 

Il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) vuole che il controllo dei valichi di frontiera nella Striscia di Gaza ritorni alle forze dell'Autorità palestinese. Il presidente solleverà questa richiesta nel corso del colloquio che avrà oggi a Gerusalemme col premier israeliano Ehud Olmert. Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Lottomatica, Repesa vuole rivedere lo spirito vincente di Barcellona Multiservizi, rimosso il presidente Vincenzi Fiorucci è il nuovo presidente "Lavorerò per i giovani" La Procura vuole il giudizio immediato per Valerio Minotti Ranieri vuole subito Mellberg e Sissoko Festa di S. Antonio, Miele presidente del comitato Israele aveva imposto la chiusura di tutti i valichi di confine della Striscia dopo la presa del potere da parte di Hamas, che nega allo Stato ebraico il diritto stesso all'esistenza. La richiesta di Abu Mazen dipende però dall'assenso di Hamas. Al riguardo, un autorevole esponente di Hamas a Gaza, Sami Abu Zuhri, ha detto che il movimento islamico si è offerto di ristabilire il confine tra Gaza e l'Egitto - sfondato mercoledì scorso a Rafah da centinaia di migliaia di palestinesi dopo l'abbattimento della barriera eretta da Israele da parte di miliziani di Hamas - mediante un dialogo diretto col Cairo. A questo scopo Hamas, ha detto Abu Zuhri, è pronto a coordinarsi con l'Egitto. La situazione che si è creata a Rafah, ha assicurato, è "temporanea e eccezionale". Ieri la Palestina ha pianto la morte di George Habash, il fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp) deceduto ad Amman in Giordania dove s'era trasferito da alcuni anni. Aveva 81 anni. Il Fplp fu per anni uno dei punti di riferimento delle organizzazioni radicali palestinesi e sempre rifiutò di riconoscere lo Stato di Israele. Incessante il flusso di auto che per la prima volta hanno potuto lasciare Gaza riversandosi oltre la frontiera. A bordo di potenti fuoristrada, centinaia di uomini appartenenti alle cellule armate hanno lasciato a casa kalahsnikov e uniformi, viaggiando per la prima volta all'estero senza doversi nascondere. "Niente razzi Qassam in queste ore - ha spiegato un miliziano della Jihad islamica che si presenta con il nome di Abu Obama - andiamo tutti ad El-Arish, sulla costa egiziana: mangiamo il pesce dei nostri e sogni e ci godiamo tranquilli il giorno della vittoria". Anche gli uomini di Hamas che hanno aperto nuove brecce nel muro cancellando ogni ostacolo sul confine, hanno voluto brindare al successo banchettando in terra egiziana. "Qui siamo tranquilli perchè i razzi israeliani in Egitto non ci possono colpire". La polizia egiziana, che consente ai palestinesi libero movimento ma non oltre la cittadina costiera di El-Arish, evita accuratamente ogni controllo sull'identità dei viaggiatori. E mentre migliaia di palestinesi corrono verso l'Egitto, centinaia di egiziani compiono invece il percorso contrario: vogliono tornare nella Striscia per incontrare amici che non vedono da anni, ritrovare parenti dispersi, vendere mercanzie o semplicemente scoprire cosa sia cambiato in tanto tempo oltre la frontiera. Sembrano tornati i confini di 40 anni fa, quando Gaza era sotto il controllo egiziano. Poi nel 1967 ci fu l'invasione israeliana: la zona oltre il canale di Suez rimase tagliata fuori, ma gli scambi tra la gente del Sinai e quella della Striscia proseguirono grazie alla continuità territoriale imposta dall'occupazione. Infine nel 1982 per l'Egitto giunse la restituzione del Sinai, la città di Rafah venne divisa tra egiziani e palestinesi e per la Striscia iniziò l'epoca della barriera. La stessa abbattuta cinque giorni fa. Vai alla homepage 27/01/2008.

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Si festeggia il capodanno degli alberi . Pace tra comunità ebraica e tedeschi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 27-01-2008)

 

Si festeggia il "capodanno degli alberi". Pace tra comunità ebraica e tedeschi Daniel Della Seta Sembrano tutti uguali lì assieme nell'auditorium sorridenti, spontanei, divertenti. Eppure gli occhi dei bambini raccontano pur tra mille diversi colori, mille diverse storie di famiglia, di origini, usi e tradizioni. Home Spettacoli prec succ Contenuti correlati Pizzi...cati al Senato Fiducia al Senato, Prodi a caccia di voti Arriva la lingerie di Dita Von Teese Il Governo supererà lo scoglio della fiducia? Sbanda e investe due anziani Cosimo Bove Indifferenza verso i ... Sono oltre cento i presenti tra gli studenti della Scuola Elementare ebraica Angelo Polacco, della Media Sacerdoti e del Liceo Renzo Levi, presenti con i loro colleghi della Scuola Germanica di Roma, in occasione della festività ebraica di Tu Bishvat, il capodanno degli alberi. Un evento organizzato dal KKL, Fondo Nazionale Ebraico per l'ambiente, dall'ambasciata tedesca e dalla Scuola tedesca. L'addetto culturale dell'ambasciata Schmit Neuerburg, accanto al Preside Ulrich Berner, gli insegnanti Gerhard Moses mostrano grande soddisfazione. La Germania dal '68 è cambiata e, oggi, si è voluto prendere piena coscienza di questa pagina buia del '900. "Anche il nostro governo partecipa alle manifestazioni in chiave educativa e culturale - commenta Wagner - Per la prima volta un'istituzione ebraica è entrata nella scuola germanica, e ne siamo felici perché solo costruendo una storia comune che si nutre per il futuro dell'esperienza passata e del presente sarà possibile combattere i mali del nostro tempo". Un albero di ulivo proveniente dalle colline di Gerusalemme è stato messo a dimora nel giardino della Scuola Germanica, dagli studenti dei due istituti e dal procuratore del KKL israeliano, l'israeliano Rafael Ovadia. Anche in chiave europea la Task Force contro l'antisemitismo ha potuto contare sempre sul sostegno tedesco e italiano. Una cerimonia commovente scandita dalle preghiere nell'atto della piantagione, dai mille simbolismi della tradizione ebraica, e dai canti Shemà Israel, Gerusalemme d'oro e Gam Gam che, uniti al gospel e dall'introduzione di Bach eseguiti non senza emozione dai ragazzi, accompagnati dal maestro Spizzichino e dal maestro Martin Weber e dai giovani musicisti della "Deutsche Schule Rom". Vai alla homepage 27/01/2008.

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L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra Hiroshima" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

 

Di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 La condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia, invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio di testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno stadio avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto Manhattan" spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò alla costruzione degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario, tratteggiato dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di laboratori assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già lavorando a testate nucleari per missili terra terra – dichiara Barak - e con molta probabilità hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino oltre a quello di Natanz". Secondo Israele, insomma, quanto l'Iran fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta dell'iceberg, uno specchietto per le allodole, dietro cui operano impianti assai più sofisticati con finalità esclusivamente militari. "Le più importanti agenzie d'intelligence internazionali dovrebbero concentrare i loro sforzi - auspica Barak - per capire dove siano l'eventuale centro d'arricchimento clandestino e il gruppo che lavora alle tecnologie militari". La nuova bozza di risoluzione - messa a punto a Berlino la scorsa settimana e approdata ieri all'esame del Consiglio di sicurezza – è un altro sintomo della diffidenza internazionale nei confronti di Teheran. La risoluzione chiede l'immediata sospensione del programma di arricchimento e punta all'introduzione, in caso contrario, di un terzo blocco di sanzioni capace di garantire la sorveglianza degli esponenti alla guida del programma nucleare iraniano. Dunque delle sanzioni ad personam per impedire viaggi all'estero, incontri internazionali o trasferimenti finanziari effettuati da scienziati e comandanti dei Guardiani della Rivoluzione coinvolti nella ricerca nucleare. La messa al bando di alcune personalità del regime era già stata introdotta con due precedenti pacchetti di sanzioni, ma stavolta le restrizioni dovrebbero rivelarsi particolarmente stringenti grazie ad un sistema di controlli e garanzie internazionali.

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Barak: l'Iran prepara un'altra Hiroshima (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 27-01-2008)

 

L'allarme di Barak: "L'Iran prepara un'altra Hiroshima" di Gian Micalessin - domenica 27 gennaio 2008, 07:00 La condizionale per Teheran è finita. La presunzione d'innocenza garantita dal rapporto dei servizi segreti americani dello scorso autunno non basta più. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu sta già valutando la risoluzione contenente le nuove sanzioni contro la Repubblica islamica. Israele lancia, invece, una nuova offensiva divulgando le informazioni raccolte dal Mossad e dall'intelligence militare sul fronte nemico. Quelle informazioni, spiega in un'intervista al Washington Post il ministro della Difesa Ehud Barak, delineano l'esistenza di strutture e impianti clandestini in cui i tecnici controllati dai Guardiani della Rivoluzione studiano e sperimentano l'assemblaggio di testate nucleari. "Per quanto ne sappiamo i loro piani sono ad uno stadio avanzato e hanno superato il livello del cosiddetto progetto Manhattan" spiega Barak facendo riferimento al progetto segreto che portò alla costruzione degli ordigni sganciati su Hiroshima e Nagasaki. Lo scenario, tratteggiato dall'intelligence israeliana sembra delineare l'esistenza di laboratori assolutamente sconosciuti agli ispettori dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica). "Sospettiamo che stiano già lavorando a testate nucleari per missili terra terra – dichiara Barak - e con molta probabilità hanno almeno un altro centro d'arricchimento clandestino oltre a quello di Natanz". Secondo Israele, insomma, quanto l'Iran fa vedere all'Aiea e al mondo è solo la punta dell'iceberg, uno specchietto per le allodole, dietro cui operano impianti assai più sofisticati con finalità esclusivamente militari. "Le più importanti agenzie d'intelligence internazionali dovrebbero concentrare i loro sforzi - auspica Barak - per capire dove siano l'eventuale centro d'arricchimento clandestino e il gruppo che lavora alle tecnologie militari". La nuova bozza di risoluzione - messa a punto a Berlino la scorsa settimana e approdata ieri all'esame del Consiglio di sicurezza – è un altro sintomo della diffidenza internazionale nei confronti di Teheran. La risoluzione chiede l'immediata sospensione del programma di arricchimento e punta all'introduzione, in caso contrario, di un terzo blocco di sanzioni capace di garantire la sorveglianza degli esponenti alla guida del programma nucleare iraniano. Dunque delle sanzioni ad personam per impedire viaggi all'estero, incontri internazionali o trasferimenti finanziari effettuati da scienziati e comandanti dei Guardiani della Rivoluzione coinvolti nella ricerca nucleare. La messa al bando di alcune personalità del regime era già stata introdotta con due precedenti pacchetti di sanzioni, ma stavolta le restrizioni dovrebbero rivelarsi particolarmente stringenti grazie ad un sistema di controlli e garanzie internazionali.

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E' morto Habash, fondatore del FPLP (sezione: Israele/Palestina)

( da "Quotidiano.net" del 27-01-2008)

 

Mobile email stampa MEDIO ORIENTE E' morto Habash, fondatore del FPLP Fu il fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Era considerato un falco all'interno dell'Olp di Yasser Arafat con cui ruppe definitivamente nel 1993 dopo la firma degli accordi di Oslo. Habbash si è sempre rifiutato di riconoscere lo Stato di Israele ed ha sempre sostenuto la lotta armata nella guerra contro lo Stato ebraico Home Esteri prec succ Contenuti correlati Bomba in bar di Amsterdam, un morto e quattro feriti Italiano travolto da un fiume in piena Elicottero si schianta in autostrada, un morto Carolina del Sud, è il giorno di Obama I sondaggi: 37% contro il 30 di Hillary Primo distributore automatico di farmaci con marijuana A fuoco l'hotel Montecarlo di Las Vegas Uno degli alberghi più grandi del mondo Venduto per 275 mila euro un murales di Banksy Amman, 26 gennaio 2008 - è morto a Amman in Giordania George Habash, fu il fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), in cui confluirono diverse organizzazioni preesistenti. Habash, nato nel 1929 al Cairo di origine greco-ortodossa, si laureò in medicina all'università americana di Beirut. Era considerato un falco all'interno dell'Olp di Yasser Arafat con cui ruppe definitivamente nel 1993 dopo la firma degli accordi di Oslo. Habash si è sempre rifiutato di riconoscere lo Stato di Israele ed ha sempre sostenuto la lotta armata nella guerra contro lo Stato ebraico. Per anni è stato il punto di riferimento per tutti i gruppi di opposizione radicali della OLP e ha goduto di un grande prestigio tra le popolazioni palestinesi ed arabe. Nel 1992, a Tunisi, rimase colpito da un ictus cerebrale e fu immediatamente trasferito in un ospedale di Parigi Nello stesso anno, ad ottobre, Habash annunciò il ritiro da tutte le attività politiche per motivi di salute. Idranti contro i palestinesi a Rafah.

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27 gennaio: "Il Giorno della Memoria" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 27-01-2008)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.132 del 27/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Cultura In ricordo delle vittime del nazismo 27 gennaio: "Il Giorno della Memoria" Tutte le attivita' della "Casa della Memoria e della Storia" di Roma Il 27 gennaio di 63 anni fa, nel 1945, il campo di sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, veniva liberato dall'Armata Rossa, l'esercito russo bolscevico. Dal 2000 questa data è stata scelta dal Parlamento Italiano per istituire "Il Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio del popolo ebraico e di tutti i deportati nei campi nazisti. Molte le attività organizzate anche quest'anno dalla Casa della Memoria e della Storia per la giornata odierna. Già giovedì scorso è stata inaugurata un'installazione fotografica di Giuliano Pastori nello Spazio mostre e sulla Terrazza, dal titolo "Berlino 06: Memorie Quotidiane", che sarà visitabile fino al'8 febbraio. Ma la maggior parte delle attività si concentrano proprio oggi: a partire dalle ore 15.00, nella Sala Multimediale, verrà proiettato il film di Davide Ferrario e Marco Belpoliti "La Strada di Levi", che ripercorre dopo sessant'anni l'itinerario dello scrittore Primo Levi per ritornare a casa dopo la liberazione di Auschwitz. Alle 16.30 "Verso la Memoria", una lettura di poesie sul tema della Deportazione, della Resistenza e della Libertà. A seguire, alle 18.05, proiezione del film-documentario "Io c'ero", ricco di testimonianze di superstiti dei campi nazisti che raccontano la cruda realtà della vita nei lager. Per concludere, alle 19.30, "Canzoni della Resistenza, della Guerra e della tradizione democratica del nostro paese", un intervento musicale di Sara Modiglioni, Piero Brega e del Laboratorio di canti popolari, politici e sociali della Scuola di Musiche del Circolo Gianni Bosio. Contemporaneamente, presso il Centro Telematico, a partire dalle ore 15.00 verrà proiettato il filmato "La deportazione e l'internamento nei lager nazisti dei militari italiani", storia della situazione dei militari italiani dopo l'Armistizio dell'8 settembre 1943, quando durante l'internamento non furono considerati prigionieri di guerra in modo che gli venisse sottratta l'assistenza prevista dalla Convenzione di Ginevra. A seguire, alle 15.50, la proiezione dell'intervita/testimonianza a Franco Venturelli, partigiano che nel 1944 venne deportato a Mathausen. Alle 16.30 proiezione del filmato di Sebastiano Rendina "Un popolo per la libertà. La Resistenza in Italia", che ripercorre gli avvenimenti storici che hanno dato forma alla Resistenza Italiana. Alle 17.15 il film-documentario "Memoria presente: ebrei e città di Roma durante l'occupazione nazista", che ricostruisce la persecuzione antisemita nella Capitale anche attraverso interviste a cittadini ebrei. Infine, alle 18.25, la proiezione del film del regista israeliano Eyal Sivan "Uno specialista: ritratto di un criminale moderno", ricostruzione del processo al gerarca nazista Adolf Eichmann svoltosi a Gerusalemme nel 1961. Le attività conclusive si svolgeranno il prossimo martedì: alle 15.00, presso la Sala Multimediale, verrà presentato il libro "Roma la città della memoria &ndash; Guida agli archivi della città contemporanea", censimento degli archivi cittadini. Seguirà, alle 17.00, la presentazione del saggio di Giovanna De Angelis "Le donne e la Shoah", un omaggio al coraggio e alla resistenza delle donne internate nei ghetti e nei campi nazisti. Numerosissime dunque le attività fra le quali scegliere per chi desidera ricordare degnamente questo giorno, e rendere onore ai ricordi e alla memoria di pagine ancora incredibilmente vicine della nostra storia più violenta e dolorosa. Il giorno della memoria Fino al 29 gennaio Casa della Memoria e della Storia Via San Francesco di Sales 5, Roma Ingresso libero Orari: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 18.00 (mostra fotografica) Info: tel. 066876543 www.casadellamemoria.culturaroma.it Valentina Ricci.

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UN PASSO INDIETRO (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 27-01-2008)

 

DI la settimana GABRIELE FERRARIS UN PASSO INDIETRO Abbiamo anche noi la nostra Sapienza. Nel senso dell'università romana, perché in quanto a virtù sapienziali ne scorgiamo poche, nell'alzata d'ingegno di Vincenzo Chieppa, consigliere regionale dei Comunisti Italiani: egli ha pensato bene di sindacare la decisione della Fiera del Libro, che ha scelto Israele come ospite d'onore della prossima edizione. Chieppa ha scritto al presidente della Fiera, Rolando Picchioni, chiedendogli di invitare (per una sorta di "par condicio": è un dramma, quando i politici apprendono uno straccio di latinorum...) anche l'Autorità Palestinese, sempre come ospite d'onore. A far buon peso, un altrimenti ignoto "presidente della Lega degli scrittori giordani" ha invitato gli intellettuali italiani a boicottare la Fiera. Il presidente Picchioni e il direttore Ferrero hanno dato prova di civiltà prendendo quasi sul serio Chieppa (il giordano, era proprio impossibile...), e rispondendogli che il ruolo particolare di Israele alla Fiera di quest'anno non esclude la partecipazione di nessuno, neppure dell'Autorità Palestinese. Ma si sono ben guardati dal considerare l'ipotesi di un "invito cerchiobottista" che, a questo punto, suonerebbe quantomeno imbarazzante. Peccano però d'ottimismo, ritenendo bastevole tale spiegazione. Bisognava partire dai fondamentali, spiegando che: 1) certe derive portano dritte al grottesco (se in futuro l'ospite d'onore fossero gli Stati Uniti, chi convocare per "contrappeso"? L'Iran? La guerriglia irachena?); 2) Israele può avere, come ogni governo, torti gravi, ma è uno Stato democratico, riconosciuto dal consorzio civile; 3) tra i tanti scrittori israeliani di talento, molti manifestano liberamente nel loro Paese dissenso dalle politiche del loro Paese. Le ingerenze dei politici devastano ogni sfera della vita sociale; ancor più quando aggrediscono - spregiando logica, buon senso e sintassi - la cultura. Almeno lì, facciano un passo indietro, non essendo attrezzati per avventurarsi in quei territori. La Fiera è sana e ben gestita: la lascino in pace, baloccandosi piuttosto con i numerosi carrozzoni che sono già riusciti a mandare a ramengo.

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Omaggio del Comune alle lapidi dei caduti (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 27-01-2008)

 

COMMEMORAZIONI Omaggio del Comune alle lapidi dei caduti Commemorazione ufficiale domenica 27 al cimitero monumentale. Il Comune, in collaborazione con l'Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, Associazione nazionale ex internati, Comunità Ebraica di Torino e la Fondazione Teatro Stabile organizza infatti tre momenti di riflessione per il giorno della memoria. Alle 9,30 commemorazione e omaggio alle lapidi dei caduti. Sempre domenica, ma alle 11, a Palazzo Civico, invece, "Celebrazioni in Sala Rossa" alla presenza del sindaco Sergio Chiamparino e del presidente del consiglio comunale Giuseppe Castronovo: è prevista la testimonianza di Pensiero Acutis, presidente regionale Anei, e di Tullio Levi, presidente della Comunità ebraica. Segue un momento musicale "In memoriam" con l'Ensemble da Camera Meitar, che viene da Israele. Partecipa anche il mandolinista Avi Avital. Lunedì 28 alle 17,30 al Teatro Vittoria, via Gramsci 4, si conclude con lo spettacolo "Zingari: l'Olocausto dimenticato", un monologo di e con Pino Petruzzelli a cura del Centro Teatro Ipotesi. Ingresso libero fino a esaurimento posti. Per info Gabinetto del Sindaco 011/442.32.05. \.

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AMMAN. GEORGE HABASH, FONDATORE DEL FRONTE POPOLARE DI LIBERAZIONE DELLA PALESTINA (FPLP) è MOR (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)

 

Amman. George Habash, fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina (Fplp) è morto ad Amman, dove viveva da alcuni anni. Aveva 81 anni. Habash era nato 1926 a Lydda (l'attuale città israeliana di Lod) in una famiglia di mercanti di religione greco-ortodossa. Era un medico e aveva preso come nome di battaglia "Al Hakim", che significa "il dottore", ma anche "il saggio". Aveva creato nel 1967 l'Fplp, che fu per anni uno dei punti di riferimento delle organizzazioni radicali palestinesi. La sua fazione si era sempre rifiutata di riconoscere lo Stato di Israele. Nel 1992 era stato colpito da ictus nel suo esilio di Tunisi e da allora si era ritirato dall'attività politica. Successivamente si era stabilito in Giordania.

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RESPINTA LA MEDIAZIONE DI MUBARAK RESTA APERTA LA FRONTIERA CON L'EGITTO (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 27-01-2008)

 

Respinta la mediazione di Mubarak Resta aperta la frontiera con l'Egitto MICHELE GIORGIO Gerusalemme. La frontiera tra Gaza e l'Egitto rimarrà aperta sino a quando i palestinesi avranno bisogno di rifornirsi. Lo assicurano le autorità del Cairo che tuttavia cercano una via d'uscita alla crisi esplosa lungo il confine e sono perciò tornate ad offrire una mediazione tra Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen, e il movimento islamico Hamas. Offerta rispedita subito al mittente. Abu Mazen ha denunciato come "un crimine" la presa del potere, lo scorso giugno, a Gaza da parte di Hamas e ha messo in chiaro che non dialogherà con gli islamisti. Il rais palestinese non ha fatto alcun riferimento all'incontro al Cairo tra rappresentanti di Fatah e Hamas proposto dall'Egitto, ma le sue parole sono state ugualmente chiare. Il movimento islamico sperava di potersi sedere ad un tavolo di trattative su una riapertura concordata del valico di Rafah e, quindi, di cogliere un riconoscimento politico di sicuro rilievo. Abu Mazen è intenzionato a impedire che ciò accada e nell'entourage del presidente non nascondono il disappunto per le aperture fatte dagli egiziani ad Hamas. Abu Mazen, ha spiegato uno dei suoi più stretti collaboratori, non vuole cambiare le carte in tavola e chiede il rispetto dell'accordo raggiunto nel novembre 2005 che prevede la gestione del valico di Rafah con l'Egitto affidata solo alle forze di sicurezza dell'Anp, con la supervisione degli osservatori dell'Unione europea (attualmente sotto il comando del generale dei carabinieri Pietro Pistolese). E allo scopo evidente di aggirare l'iniziativa egiziana, il presidente dell'Anp solleverà la questione della frontiera di Rafah e di tutti i valichi durante i colloqui che avrà oggi a Gerusalemme col premier israeliano Ehud Olmert con il quale intende verificare la partnership stabilita alla conferenza di Annapolis dello scorso novembre. In anticipo sui colloqui di oggi il presidente palestinese ha esortato i gruppi armati a Gaza a cessare i tiri di razzi Qassam su Israele e lanciato nuove accuse agli islamisti. "Hamas - ha detto - ha commesso un crimine a Gaza...a tutti coloro che lanciano i razzi diciamo: fermatevi, non date a Israele un pretesto per mostrarsi al mondo come vittima". Intanto a Rafah regna la confusione. La frontiera è rimasta aperta anche ieri, per il quarto giorno consecutivo, e il passaggio sta consentendo a centinaia di migliaia di palestinesi di attraversare il valico e recarsi senza alcun controllo in Egitto. Ieri per qualche ora è entrato in funzione anche un servizio di taxi che collegava - per la prima volta - Gaza alla città egiziana di al-Arish al prezzo di 40 shekel (circa sette euro). Il passaggio delle auto è stato a un certo punto della giornata interrotto dalle forze di sicurezza egiziane, ma quello dei pedoni è andato avanti normalmente e con esso il flusso di merci dall'Egitto verso Gaza. Anche numerosi egiziani hanno compiuto il tragitto inverso, alcuni per vendere le loro merci, altri per curiosità. Dall'altra parte di Gaza, al valico di Erez con Israele, ieri almeno 2000 pacifisti hanno manifestato in segno di solidarietà con il popolo palestinese giungendo da diverse città israeliane. Un lungo corteo di autobus e macchine ha scortato alcuni camion carichi di generi di prima necessità destinati agli abitanti della Striscia.

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ARTICOLI DEL 12-1-2008

Bush lascia la terra santa: tornerò a maggio. ora tappa in kuwait. Il ( da "Foglio, Il" del 12-01-2008)

Springborg: <In Medio Oriente Bush cerca la sua exit strategy> ( da "EUROPA.it" del 12-01-2008)

Veltroni, un vero leader (ancora) poco federalista ( da "EUROPA.it" del 12-01-2008)

W. "Rambo" con Teheran non piace agli arabi moderati ( da "EUROPA.it" del 12-01-2008)

Dollaro Usa1,4792<TD class= ( da "Stampa, La" del 12-01-2008)

Un biglietto della Rice a Bush "Stai zitto" ( da "Stampa, La" del 12-01-2008)

Negozi e case dove sorgeva il ghetto Protestano gli ebrei di Senigallia Quel vuoto resti come memoria . Cervellati: difendo il mio progetto ( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)

"dovevamo bombardare auschwitz" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

Un horror alla lumiq per la figlia geraldine - clara caroli ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

Il "dopomorte" dei folli un giallo senza giallo - alfonso cipolla ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

Pagina XV - Torino Una spugna che passa, un'onda che nasce e passa. Questa è l'idea che anima la pri... ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

Bush in israele, a roma allarme anti-terrorismo ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

Israele, Bush in lacrime al museo Hamas gela le speranze di pace E la Rice zittisce il presidente: imbarazzo alla cena con Olmert ( da "Nazione, La (Nazionale)" del 12-01-2008) + 2 altre fonti

La "cantata" di barra per la gente della sanità ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

Ivan cattaneo, rock d'autore un concerto al "fellini '70" ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

Bush in Medioriente tra storia e politica ( da "Voce d'Italia, La" del 12-01-2008)

Jesus christ superstar una notte con la storia - titti tummino ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

Spy game 1 intelligence contro intelligence ( da "Riformista, Il" del 12-01-2008)

Wiesel: sentivamo gli aerei sulle nostre teste e pregavamo che attaccassero il lager ( da "Corriere della Sera" del 12-01-2008)

Bush: <Dovevamo bombardare Auschwitz> ( da "Corriere della Sera" del 12-01-2008)

Bush in Kuwait cerca consensi ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 12-01-2008)

Il Medioriente secondo Bush. Per il futuro Stato palestinese non funziona il modello del fo ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

Caracciolo: Alleati contro Hitler non a difesa degli ebrei ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

Agli Usa diciamo, non lasceremo le colonie ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

Bush si commuove nel museo della Shoah Avremmo dovuto bombardare Auschwitz commenta il presidente. A cena con i ministri israeliani li aveva spronati a sostenere Olmert ma Rice gli ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

Un viaggio nella memoria per il capo della Casa Bianca Prima di ripartire annuncia: tornerò a maggio in Israele ( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

90 minuti per ricordare meglio ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 12-01-2008)

GERUSALEMME Gli Stati Uniti avrebbero dovuto bombardare il ( da "Tempo, Il" del 12-01-2008)

Alessandro Austini a.austini@iltempo.it Il più silenzioso ( da "Tempo, Il" del 12-01-2008)

Scuola di bon ton con la Carlucci Al Bano tra gli allievi del reality ( da "Tempo, Il" del 12-01-2008)

Il Museo Nazionale del Cinema organizza la personale di uno degli autori più controversi del ci ( da "Stampa, La" del 12-01-2008)

Israele, Bush parla troppo Condy Rice: chiudi il becco pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 12-01-2008)

Israele, Bush parla troppo Condy Rice: chiudi il becco ( da "Giornale.it, Il" del 12-01-2008)

IN CITTA' Werner Herzog FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO, VIA MODANE 16, OR.: 12/20, GIOVED ( da "Stampa, La" del 12-01-2008)

Comincia la festa, via dockers e proteste ( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)

Dagli alleati arabi inchini e scetticismo ( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)

Programmi di oggi ( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)

Alla cena ufficiale,Condoleezza Rice (a destra)ha passato un bigliettoa Bush. E il presidentene ha rivelato il contenuto: Mi dicedi chiudere la bocca .Il motivo? Bush rischiava una ( da "Messaggero, Il" del 12-01-2008)

I marrani? erano dei veri cattolici - adriano prosperi ( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

In gioco armi e petrolio ( da "Giornale.it, Il" del 12-01-2008)

Bush avverte Iran e Siria: "Basta aiutare i terroristi" ( da "Quotidiano.net" del 12-01-2008)

CHIUDETE GUANTANAMO, PRIGIONE DELL'ORRORE ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)

BUSH: DOVEVAMO BOMBARDARE AUSCHWITZ ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)

TELLER, L'UOMO CHE DIVENNE STRANAMORE ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)

Stefania Podda ( da "Liberazione" del 12-01-2008)


Articoli DEL 12-1-2008

Bush lascia la terra santa: tornerò a maggio. ora tappa in kuwait. Il (sezione: Israele/Palestina)

( da "Foglio, Il" del 12-01-2008)

 

Presidente americano è partito ieri da Gerusalemme chiudendo la prima parte della missione in medio oriente. "Ci sono buone possibilità per la pace", ha detto George W. Bush. Il presidente americano ha visitato il museo dell'Olocausto di Geruslamme. "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz", ha detto, con le lacrime agli occhi. L'inquilino della Casa Bianca ha annunciato un nuovo viaggio in medio oriente a maggio, per il sessantesimo anniversario dello stato d'Israele.

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Springborg: <In Medio Oriente Bush cerca la sua exit strategy> (sezione: Israele/Palestina)

( da "EUROPA.it" del 12-01-2008)

 

Springborg: "In Medio Oriente Bush cerca la sua exit strategy" Per il direttore del London Middle East Institute, il presidente Usa spera in un'intesa sul con itto palestinese per far dimenticare il fallimento iracheno e trovare un'intesa comune contro l'Iran. LAZZARO PIETRAGNOLI Londra Sono tre gli obiettivi del viaggio del presidente Bush in Medio Oriente secondo Robert Springborg, ex diplomatico americano attualmente direttore del London Middle East Institute: Iran, Israele-Palestina ed Iraq. "In quest'ordine ? sottolinea con Europa al ritorno da un viaggio a Riyadh ? e tutti in una visione strategica, non tanto con l'obiettivo immediato di portare a casa qualche risultato". Perché tiene a sottolineare un ordine preciso nelle priorità del presidente? Perché l'anno scorso e fino a qualche mese fa le priorità erano diverse: ora invece il primo pensiero di Bush è l'Iran, di cui non a caso ha parlato proprio durante il suo primo giorno in Israele. L'amministrazione Bush è in grande difficoltà su questo fronte dopo la pubblicazione del rapporto dei servizi segreti di qualche settimana fa, che negava il pericolo di armi atomiche in Iran: questa difficoltà dell'amministrazione americana si riflette in confusione e disillusione nel mondo arabo, poiché non è più chiaro quale sia la politica americana in questo momento. L'ho potuto constatare in prima persona durante i miei incontri a Riyadh. Bush ha cercato di sminuire la portata di quel rapporto, ma ora, con questa sua visita ai paesi del Golfo, cercherà di ristabilire una politica comune contro Teheran. Non so se ce la farà ma sicuramente la sua prima preoccupazione è qualla di mantenere alto il livello di guardia e di attenzione verso l'Iran, impedendo a questo stato di costruirsi nuove alleanze con i paesi arabi moderati. Il tema è stato un'ombra nei primi giorni della visita di Bush, ma nelle prossime tappe verrà fuori con maggiore peso, così come alla fine del suo viaggio, il presidente ritornerà ad affrontare la questione irachena. In questi giorni, però, la questione al centro della visita è stata quella israeliano-palestinese. Che cosa spera di ottenere Bush e che cosa può realmente ottenere? Come dicevo prima, gli obiettivi di Bush sono strategici, non immediati. Egli non mira ad un accordo di pace, che in questa fase egli sa essere impossibile, ma almeno a un'intesa sulle questioni da discutere per raggiungere in futuro un accordo di pace. Vuole, in questo modo, ristabilire la supremazia del ruolo americano su qualsiasi attività diplomatica nella regione, dopo il parziale stop dei colloqui di Annapolis. Al momento, egli sa che questo è il massimo che può ottenere: c'è un presidente palestinese debole, che non controlla metà dei suoi territori e che resta in piedi solo grazie al supporto occidentale; c'è un premier israeliano altrettanto debole internamente e che non ha alcuna intenzione di chiudere un accordo di pace con i palestinesi in tempi brevi. Olmert non ha alcun interesse, al momento, a raggiungere un'intesa con Abbas, che lo costringerebbe a mediazioni e concessioni che non sono ben viste dalla maggior parte dei suoi concittadini. In queste condizioni l'unica cosa che Bush può fare è mantenere una posizione di equidistanza e forzare le due parti a dialogare, a raggiungere un primo accordo sulle questioni che devono essere messe al centro delle future trattative di pace. Dopo Annapolis, questo viaggio. Perché Bush sta caratterizzando la parte finale della sua amministrazione con una particolare attenzione alla questione israelopalestinese? Dopo il disastro della guerra all'Iraq, c'è stata all'interno dell'amministrazione Bush una frattura: da un lato Condoleezza Rice e l'ala moderata, che spingevano il presidente ad uscire dall'impasse iracheno con una politica di ampia visione dell'intera regione, e dall'altra il vicepresidente Cheney e "i falchi" che invece lo invitavano a proseguire nella azione militare in Iraq. All'inizio quest'ultima linea è stata vincente, ma nel corso dell'ultimo anno, anche grazie alla vittoria dei democratici al Congresso, il presidente è stato costretto a cambiare impostazione. Bush sa che il momentum è stato ormai perso, che non sarà possibile durante il suo mandato trovare una soluzione al conflitto israelopalestinese, ma forza almeno per mandare dei segnali, che gli permettano di concludere il suo mandato presidenziale potendo dire che sono stati fatti passi avanti anche per la soluzione di questo problema. Sa che quest'anno scorrerà molto veloce, ma al tempo stesso cinicamente sa anche che Olmert e Abbas sono deboli e dipendono entrambi dall'amministrazione americana e quindi cerca una qualsiasi intesa di principio per poterla usare come bilanciamento al fallimento iracheno. La questione dell'Iraq era al terzo punto dell'agenda di Bush? Si, il presidente, nella parte finale del suo viaggio, in Arabia Saudita e in Egitto, tornerà ad affrontare con maggiore insistenza la questione dell'Iraq, perché deve ricostruire un'alleanza con i paesi arabi moderati, convincerli ad assumere un ruolo più forte nella soluzione del problema iracheno. Ha capito che senza un diretto intervento dei paesi arabi, non ci sarà possibilità per gli Usa di uscire dall'Iraq in tempi brevi e con una situazione di stabilità accettabile.

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Veltroni, un vero leader (ancora) poco federalista (sezione: Israele/Palestina)

( da "EUROPA.it" del 12-01-2008)

 

GIUSEPPE ADAMOLI * Sono passati tre mesi dalla grande mobilitazione elettorale del 14 ottobre ed è come se fossero passati degli anni. Quel giorno avevo sostenuto Enrico Letta. Mi convinceva per l'immagine moderna e lo sguardo rivolto al futuro e all'Europa, oltre che per la stessa radice culturale. Non avevo votato Walter Veltroni, pur stimandolo come persona, per vari motivi. Mi appariva troppo propenso a piacere a tutti e a dire di sì a cose diverse e contraddittorie. Troppo sindaco di Roma. Soprattutto la sua politica costituzionale era molto distante dalle mie idee. Era stato sostenitore del "sindaco d'Italia", il progetto dell'elezione diretta del capo del governo, attuato in Europa soltanto da Israele e ripudiato dopo una brevissima esperienza. Ed io ho sempre considerato la politica costituzionale il cuore del progetto di un partito politico. In questi tre mesi Veltroni ha dissolto molta della mia diffidenza dicendo dei sì (alla sicurezza) e dei no (ai taxisti), per esempio. Ma in modo particolare perseguendo la "democrazia decidente" non più sul piano dell'elezione diretta del premier, ma di regole elettorali che premiano le coalizioni omogenee capaci di governare e in particolare i partiti più grandi. Quando Veltroni afferma che il sistema francese sarebbe il migliore, ma purtroppo oggi non raccoglie i consensi sufficienti, offre una suggestione importante e insieme dà la misura di un realismo costruttivo. Si è spinto troppo in là, come dice qualcuno nel Pd? Ma perché abbiamo portato tre milioni e mezzo di cittadini alle urne se non per conferire al vincitore una leadership forte da far valere nel partito e nella società? No, non mi sento di condividere questa critica. Abbiamo scelto una strada, dobbiamo percorrerla fino in fondo. Semmai Veltroni dovrebbe essere spronato a concludere le cose che inizia in modo da poterlo giudicare sui risultati concreti. Che potranno venire soltanto se non sarà un leader forte solo in apparenza. Tra le perplessità che mi restano c'è quella sulla forma strutturale che, sotto la sua guida, prenderà il Partito democratico. Veltroni non ha ancora dimostrato di credere nell'organizzazione federale che invece può essere un fattore decisivo di modernizzazione politica e di responsabilizzazione delle classi dirigenti. Quanto è lontano il 14 ottobre! Se si rivotasse oggi gli schieramenti sarebbero probabilmente diversi. Le carte si stanno rimescolando profondamente. In cuor mio era ciò che avevo sperato subito dopo il congresso unitario di Milano. Sarebbe stato un errore cristallizzare il 14 ottobre con le sue alleanze privilegiate, i suoi antagonismi preconcetti, i rischi impliciti di vecchie correnti tradizionali. Quando la fase di voto a livello locale, purtroppo molto burocratica, sarà finalmente terminata, Veltroni avrà la responsabilità di assumere l'iniziativa politica per non permettere che il partito resti ingessato in attesa dei "mitici" congressi. Se questo accadrà saremo travolti dal pessimismo e non ci sarà più un esame di riparazione. * consigliere regionale della Lombardia.

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W. "Rambo" con Teheran non piace agli arabi moderati (sezione: Israele/Palestina)

( da "EUROPA.it" del 12-01-2008)

 

IRAN-USA   PAESI COME L'EGITTO E LA SIRIA PREFERISCONO LA POLITICA DEL DIALOGO ALLE MINACCE ISOLAZIONISTE W. "Rambo" con Teheran non piace agli arabi moderati SIAVUSH RANDJBAR DAEMI La Siria lo definisce un "Rambo" che è giunto in Medio Oriente con lo scopo di seminare zizzania tra l'Iran e il mondo arabo. Il ministro degli esteri saudita lo ha intimato a non mettere a repentaglio il delicato processo di ravvicinamento con Teheran messo in moto di recente. Persino i ministri dell'amico egiziano, Hosni Mubarak, gli hanno parzialmente voltato le spalle accogliendo calorosamente nei giorni scorsi un alto emissario iraniano. Le cancellerie arabe hanno dato chiari segnali di fastidio sulla linea dura di George Bush contro l'Iran, che si è inasprita in seguito alla controversa scaramuccia della settimana scorsa tra unità navali dei due paesi a ridosso dello Stretto di Hormuz. Non appena giunto in Israele, Bush ha subito posto l'Iran al centro dell'attenzione, definendolo una "minaccia per la pace mondiale". Non sembra essere dello stesso avviso la gran parte dei partecipanti alla recente conferenza di pace di Annapolis, il cui andamento fu interpretato da fonti vicine all'amministrazione Bush come un chiaro segno del desiderio di gran parte del Medio Oriente arabo ? Siria inclusa ? di isolare l'Iran. La pubblicazione dell'Nie prima e una rinvigorita iniziativa diplomatica da parte di Teheran poi hanno però contribuito all'indebolimento, perlomeno nel breve termine, di questa ipotesi. Mentre l'Iran riannodava negli ultimi mesi i fili del dialogo sul nucleare con l'Agenzia atomica di Vienna ? il cui direttore generale El Baradei è atteso oggi nella capitale iraniana per dirimire il contenzioso tecnico tra l'Aiea e l'Iran ? il Ccg, Consiglio di cooperazione del Golfo (l'organismo fondato nel 1981 dalle monarchie del Golfo Persico con lo scopo di contrastare la crescente onda rivoluzionaria proveniente dall'Iran neo-khomeinista) invitava per la prima volta un capo distato iraniano alla sua riunione plenaria, svoltasi a dicembre nel Qatar. Il più influente dei regimi arabi conservatori, l'Arabia Saudita, ha allo stesso tempo compiuto un gesto altamente simbolico, invitando Mahmoud Ahmadinejad a prender parte alla cerimonia dell'Haj, il pellegrinaggio annuo dei musulmani alla Mecca. Il presidente iraniano ha contraccambiato l'imprevista apertura di Re Abdullah assentandosi dalle manifestazioni anti-occidentali organizzate ogni anno ai margini dell'Haj da radicali filoiraniani. Pure l'Egitto di Hosni Mubarak, che non intrattiene rapporti diplomatici formali con l'Iran dai tempi della fuga dello Shah dall'Iran nel 1979, ha dato vita al proprio processo di ravvicinamento con Teheran, ospitando per oltre una settimana il tuttora influente ex caponegoziatore nucleare Ali Larijani, che ha definito assai positivi i numerosi incontri tenuti con la leadership del Cairo. Il ministro degli esteri saudita Saud al-Faisal è inoltre intervenuto sull'incidente navale dello Stretto di Hormuz, poche ore dopo le dichiarazioni di fuoco di Bush in Israele, intimando ambedue le parti alla calma e manifestando allo stesso tempo il desiderio del suo governo di proseguire il dialogo con Teheran, a prescindere dai risvolti della visita del presidente americano, il cui arrivo a Riad è previsto per l'inizio della settimana prossima. I governi arabi hanno quindi deciso di seguire la realpolitik che induce, pur tra mille riserve e cautele, a confrontare l'Iran con lo strumento del negoziato serrato, anziché con quello del conflitto armato implicito o esplicito. La concertazione tra le parti ha fruttato l'avallo forse decisivo dell'Iran alla missione a Beirut della Lega Araba ,il cui segretario, Amr Moussa, è chiamato a sbrogliare la crisi istituzionale che ha sinora bloccato l'elezione del generale Michel Suleiman ? gradito sia alla maggioranza filosaudita che al movimento Hezbollah vicino a Teheran e Damasco ? alla presidenza della repubblica. Il presidente Bush potrebbe quindi tornare a casa con un bicchiere mezzo vuoto: le rinnovate promesse israelopalestinesi sul raggiungimento di un accordo di pace definitivo entro il 2008 potrebbero venir bilanciate da un cortese ma fermo rifiuto dei paesi arabi "moderati" ad allinearsi ad una controproducente politica isolazionista che, secondo alcuni osservatori arabi del Golfo, potrebbe favorire un'ulteriore aumento dell'influenza dell'inviso regime islamico iraniano in aree calde come la Palestina, il Libano o l'Iraq.

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Dollaro Usa1,4792<TD class= (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 12-01-2008)

 

Quot. BCE x Euro Var. % Dollaro Usa 1,4792 1 0,6760 -0.88 Yen giapponese 161,1800 100 0,6204 -0.06 Sterlina inglese 0,7555 1 1,3236 -0.82 Franco Svizzero 1,6312 1 0,6130 -0.11 Corona ceca 25,908 100 3,860 -0.20 Corona danese 7,447 10 1,343 0,02 Corona estone 15,647 100 6,391 0,00 Corona islandese 93,650 100 1,068 -1.31 Corona norvegese 7,819 10 1,279 0,26 Corona slovacca 33,268 100 3,006 0,14 Corona svedese 9,398 10 1,064 0,11 Dollaro australiano 1,655 1 0,604 0,40 Dollaro canadese 1,508 1 0,663 -1.96 Dollaro Hong Kong 11,542 1 0,087 -0.86 Dollaro neozelandese 1,882 1 0,531 0,55 Dollaro Singapore 2,119 1 0,472 -0.93 Fiorino ungherese 253,700 100 0,394 0,19 Lat lettone 0,699 1 1,431 -0.04 Leu rumeno 4 10000 2718,204 0,03 Lev bulgaro 1,956 1 0,511 0,00 Lira cipriota 1 Lira maltese 1 Lira turca 1,703 1 0,587 -0.06 Litas lituano 3,453 1 0,290 0,00 Rand sudafricano 10,100 1 0,099 -0.22 Won Sud coreano 1386,820 1000 0,721 -0.84 Zloty polacco 3,582 10 2,792 0,42 Bolivar venezuelano 3,176 1000 314,833 -0.88 Dinaro algerino 98,949 100 1,011 -0.93 Dinaro giordano 1,049 1 0,954 -0.88 Dirham Emirati Arabi 5,433 10 1,841 -0.88 Dollaro bermuda 1,479 1 0,676 -0.88 Dollaro giamaicano 104,387 100 0,958 -0.75 Gourde haitiano 54,161 100 1,846 -1.87 Lek albanese 123,080 1000 8,125 -0.19 Lira egiziana 8,107 10 1,233 -1.06 Peso argentino 4,628 1 0,216 -0.88 Peso colombiano 2954,414 10000 3,385 -0.52 Peso cubano 1,479 100 67,604 -0.88 Peso filippino 60,240 100 1,660 -0.84 Peso messicano 16,193 10 0,618 -0.85 Real brasiliano 2,600 10 3,846 -0.50 Rublo bielorusso 3182,499 10000 3,142 -0.88 Rublo russia 36,048 100 2,774 -0.41 Rupia pakistana 92,700 100 1,079 -0.91 Rupia indiana 58,119 100 1,721 -0.89 Scellino keniota 97,534 100 1,025 -1.73 Shekel israeliano 5,573 10 1,794 -0.01.

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Un biglietto della Rice a Bush "Stai zitto" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 12-01-2008)

 

A GERUSALEMME Un biglietto della Rice a Bush "Stai zitto" GERUSALEMME Una cena rilassata, fin troppo, tanto da culminare in grandi confidenze tra George W. Bush e Tzipi Livni e in un'inedito rimbrotto di Condoleezza Rice al suo capo: "sta zitto". La serata che Bush ha trascorso a Gerusalemme con una cerchia ristretta di fidati di Ehud Olmert è raccontata nel blog del quotidiano spagnolo "El Mundo". Come i due vigorosi baci stampati dal presidente americano sulle guance della ministra degli Esteri quando la Livni gli aveva solo cortesemente teso la mano e l'equivocatile invito di Bush: "Visto che vieni anche tu da Olmert vieni in macchina con me". Nella residenza del premier israeliano Olmert ha reso pan per focaccia abbracciando e baciando la Rice con inconsueto trasporto. Ma il piatto forte era di là da venire. Bush è andato a ruota libera affrontando senza freni la complessità della politica statunitense. E quando si è avventurato in un terreno minato come il futuro politico di Olmert, la Rice è passata dalle smorfie a una misura più concreta: ha preso carta e penna ha passato un biglietto al suo capo. Immediato, mentre Bush leggeva, è calato il silenzio e il Presidente non ha mancato l'occasione di stupire ancora una volta i commensali. "Mi dice - ha confessato - di chiudere il becco".\.

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Negozi e case dove sorgeva il ghetto Protestano gli ebrei di Senigallia Quel vuoto resti come memoria . Cervellati: difendo il mio progetto (sezione: Israele/Palestina)

( da "Resto del Carlino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)

 

Negozi e case dove sorgeva il ghetto Protestano gli ebrei di Senigallia "Quel vuoto resti come memoria". Cervellati: difendo il mio progetto di SANDRO GALLI ? SENIGALLIA ? LEVATA di scudi della Comunità ebraica contro il progetto di edificare piazza Simoncelli, nel cuore Senigallia, dove sorgeva nell'Ottocento il ghetto ebraico. Sulla piazza si affaccia la Sinagoga, visitata lo scorso settembre dal ministro Rutelli in occasione della Giornata europea della cultura ebraica. Il Piano particolareggiato del centro storico, affidato dall'amministrazione comunale all'architetto bolognese Pierluigi Cervellati, urbanista di fama internazionale, prevede nella piazza la realizzazione di abitazioni e botteghe. Un vero e proprio 'schiaffo'. Già i rappresentanti della Comunità ebraica ebbero modo di criticare il progetto quando venne presentato in città, a fine 2004, dallo stesso Cervellati. Critiche che sono proseguite in questi anni e che ora ritornano di attualità, visto che il piano dovrebbe essere a breve discusso in consiglio comunale. Tra i più fermi oppositori al progetto, Ettore Coen: "Sarebbe come utilizzare l'area dove sorgeva un campo di concentramento per un centro commerciale? accusa ? Come israelita sono indignato, mi disgusta che ci sia chi voglia operare una speculazione edilizia, poichè a mio avviso di questo si tratterebbe, nella piazza dove tredici nostri concittadini sono stati uccisi solo perché di religione ebraica. Nel 1753 vennero censiti a Senigallia 650 ebrei residenti che, sommati a quelli che vi soggiornavano durante la Fiera Franca, raggiungevano le mille unità, tutti concentrati nell'attuale piazza Simoncelli. Il dato è enorme se paragonato all'allora popolazione senigalliese di 6mila abitanti. Nel 1799 con il saccheggio del ghetto, tredici furono trucidati; gli altri, temendo per la loro vita, scapparono". La demolizione degli edifici del ghetto iniziò nel 1848 sotto Pio IX, papa nativo di Senigallia. "Non fu certo un evento naturale a creare quel vuoto ? dice Coen ? Un vuoto architettonico che, a mio avviso, simboleggia meglio di ogni altra cosa una comunità che non c'è più, essendo rimasti a Senigallia non più di venti ebrei". L'architetto Cervellati difende la sua visione progettuale, dopo una minuziosa ricerca catastale e iconografica, trovando fonti anche alla British Library sull'antico assetto di piazza Simoncelli. "Nessuna mancanza di rispetto e nessuna intenzione di ricostruire il ghetto ? spiega ?. Ma quello è, appunto, un vuoto nel tessuto urbanistico che va sanato. Il piano mira a valorizzare la città storica dentro le mura, che non deve essere ridotta a un centro direzionale, e attrarre nuovi residenti". Cervellati vorrebbe nella piazza edilizia economica popolare. - -->.

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"dovevamo bombardare auschwitz" - alberto flores d'arcais (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

La memoria "Dovevamo bombardare Auschwitz" Bush in lacrime al museo della Shoah. "L'Iraq? Potremmo restarci dieci anni" Il presidente sconfessa le scelte strategiche degli alleati nel '44-'45 Oggi l'incontro con il generale Petraeus, capo delle forze Usa a Bagdad ALBERTO FLORES D'ARCAIS dal nostro inviato KUWAIT CITY - Si è commosso e per due volte le lacrime gli sono scese sul volto; si è commosso come chiunque abbia visitato Yad Vashem, il memoriale-museo che a Gerusalemme ricorda i sei milioni di morti dell'Olocausto, uccisi per volontà di Hitler e della macchina sterminatrice nazista: "Il male esiste e dobbiamo resistergli". Con una kippà nera in testa, George W. Bush ha rinfocolato la fiamma perenne che arde nella Sala della Rimembranza e insieme a Condoleezza Rice si è mosso lungo le sale che ricordano al mondo il più grave crimine contro l'umanità. Ed è stato di fronte alle immagini (riprese dagli aerei alleati) del più grande campo di sterminio che il presidente americano, dopo aver scambiato qualche parola con il segretario di Stato, è quasi sbottato: "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz". I dettagli li ha raccontati più tardi la stessa Condoleezza, mentre l'Air Force One della Casa Bianca, lasciata la Terra Santa, stava volando verso il Kuwait, seconda tappa del lungo viaggio mediorientale di Bush. Guardando quelle immagini il presidente le aveva chiesto come mai in quel lontano 1944, quando americani, inglesi e russi già erano a conoscenza delle atrocità che venivano commesse nei lager nazisti, le forze alleate non avessero bombardato i campi di concentramento, limitandosi a sorvolarli. Il Segretario di Stato, che in passato ha insegnato scienze politiche all'università di Stanford, ha risposto riproponendo uno dei motivi storicamente noti: "Non pensavano che sarebbe servito a fermare lo sterminio degli ebrei". Il direttore di Yad Vashem, Avner Shalev, che accompagnava Bush e la Rice, ha dato al presidente la sua versione ("Non volevano distrarsi dall'obiettivo della guerra, né dare a vedere che stavano combattendo per gli ebrei") ed è stato a quel punto che Bush ha scandito le parole: "Avremmo dovuto bombardarlo". "Spero che molte persone del mondo vengano qui, è un momento di riflessione per ricordare che il male esiste", ha detto Bush al termine della visita, aggiungendo che "quando incontriamo il male dobbiamo resistergli; sono stato colpito dal fatto che la gente di fronte all'orrore e al male non ha dimenticato Dio, che di fronte a crimini indicibili contro l'umanità, persone coraggiose, giovani e vecchie, siano rimaste ferme nei loro convincimenti". Prima di lasciare Yad Vashem il presidente americano ha firmato il libro degli ospiti con una semplice frase: "Che Dio benedica Israele". Nell'ultima giornata in Terra Santa Bush si è poi recato in elicottero a visitare le rovine di Capernaum (Cafarnao), il villaggio di pescatori dove Gesù di Nazareth aveva vissuto nel primo periodo della sua missione in Galilea, per poi chiudere nel segno della spiritualità, passando dalle acque del lago di Tiberiade fino al Monte delle Beatitudini, il luogo dove Cristo aveva tenuto il "Discorso della Montagna". Accompagnato, racconterà più tardi al pool di giornalisti, da un frate francescano del Texas. Meno spirituale era stata la cena di giovedì, quando dopo gli incontri avuti a Ramallah con i leader palestinesi e lo statement con cui ha tracciato le linee guida per "una pace entro il 2008", Bush si è rilassato lasciandosi andare a qualche confidenza di troppo con il ministro degli Esteri israeliano, signora Tzipi Livni ("Visto che vieni anche tu a cena da Olmert, vieni in macchina con me") e parlando di politica americana: "è come il karate: quando credi di avere schivato il colpo ne arriva uno all'improvviso. Sopravvivere è quasi impossibile". Un po' troppo rilassato, quando si è messo a parlare di politica israeliana, del futuro politico di Olmert. è stato a quel punto che Condoleezza Rice ha preso carta e penna e ha prontamente girato al suo boss un bigliettino. Mentre Bush leggeva, attorno a lui è calato il silenzio. Per nulla intimorito il presidente, sorridendo, ha stupito tutti i presenti rivelando all'istante cosa c'era scritto nella piccola missiva: "Mi dice di stare zitto, di chiudere il becco". Da ieri sera il presidente è in Kuwait, dove questa mattina incontrerà a Camp Arifjan (la più grande base militare Usa nel paese del Golfo) il generale David Petraeus, comandante della forza multinazionale in Iraq. E proprio dell'Iraq ha parlato in un'intervista alla rete televisiva Nbc: "McCain dice che resteremo in Iraq cento anni? Mi sembrano troppi. Ma certamente potremmo restare a lungo, dieci anni".

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Un horror alla lumiq per la figlia geraldine - clara caroli (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

Pagina XII - Torino UN HORROR ALLA LUMIQ PER LA FIGLIA GERALDINE Sfortunatamente non ho fede altrimenti sarebbe più facile accettare l'idea di andarsene nel paese senza carta geografica Il nuovo anno di FilmCommission con Argento Bellocchio e Martone tra cinema e teatro Io qui sono soprattutto andata al cinema - ho amato Cronenberg e l'israeliano "Meduse" - la mia ragazza nei vostri locali notturni Quando ho cominciato a leggere la sceneggiatura non sono riuscita a smettere. Alla fine mi sono addormentata sognando mio padre CLARA CAROLI lla fine dell'intervista, breve, attesa, in coda alle tv e alle radio, quando ormai nella saletta dei Lumiq sono rimasti in pochi e tra questi pochi, felici pochi, le due signore Chaplin, Geraldine e Oona, madre e figlia, per la prima volta insieme in un film, che ancora hanno voglia di concedersi ai microfoni e ai taccuini e chiacchierare di cinema; alla fine dell'intervista, dopo aver divagato su Imago Mortis (ma anche su Cronenberg, sul cinema muto, sulle primarie in Usa e sulla Spagna di Zapatero) e ipnotizzato i cronisti con gli occhi verdi da gatto, con la magrezza ascetica, con le rughe esibite fieramente e un sublime accento poliglotta, la figlia di Charlot si alza, ti abbraccia, ti bacia e ti augura buona fortuna. Tu ringrazi ma lei ringrazia di più, tu sorridi e lei sorride di più. E ti rimane addosso l'impressione di una donna magica. Misses Chaplin, perché ha accettato di girare il film di Stefano Bessoni? "Quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta era sera tardi. Finisco domani mattina, mi sono detta. E invece non sono riuscita a smettere. Ho passato la notte a leggere poi quando finalmente mi sono addormentata ho sognato mio padre che tentava di fissare l'emozione ripetendo all'infinito una scena. Che mi spiegava come catturarla fosse una questione di inquadratura?". E poi? "Poi ho capito che lo script di Stefano, che all'inizio pensavo fosse un pazzo, era stato capace di catturare un universo. Così pur detestando gli horror, ho deciso che sarei stata in questo film". Anche suo padre, Charlie Chaplin, era ossessionato dall'idea di fissare il momento della morte, l'imago mortis attorno alla quale ruota la storia? "No, per niente. Non pensava alla morte, almeno non credo. Non ne abbiamo mai parlato. A casa nostra di sesso, soldi e morte non si poteva parlare, era tabù". E lei ha paura della morte? "Non ho paura della morte, ho paura di morire. Del paese senza mappa, senza carta geografica che c'è dopo". Ha fede? "Sfortunatamente no, altrimenti sarebbe più facile accettare l'idea". E in cosa crede? "Non credo in molto, di questi tempi così orribili, di gravi ingiustizie sociali, alimentati dall'odio e dal conflitto. Forse credo nell'amore, nell'arte. La mia è una generazione cresciuta con l'idea che il cinema potesse cambiare il mondo. Ci credo ancora, ma come la gente che continua ad andare in chiesa senza più vera fede". Cosa avrebbe detto suo padre di questi tempi orribili? "Ci avrebbe fatto un film, Tempi moderni. Ma mio padre era un grande ottimista. Se pensate che nel discorso finale del Grande dittatore, nel '39, riesce a far passare uno spiraglio di luce". Come è stato lavorare con sua figlia? "Non pensavo sarebbe stato così difficile. Il mio personaggio è quello di una vecchia, ricchissima signora, eccentrica, appartenente ad una setta, che colleziona rettili e oggetti antichi legati alle origini della fotografia, tema di fondo della trama di Imago mortis. Vi svelerò un aneddoto. Ho dovuto lavorare con due serpenti, animali che odio e di cui ho il terrore. Ma molto più spaventoso è stato recitare accanto a Oona. In una scena avrei dovuto guardarla e non ci riuscivo, avevo paura, continuavo a guardare Alberto (Amarilla, ndr). Dopo alcuni ciak il regista mi ha imposto: voltati verso di lei. Mi aspettavo di vedere mia figlia e invece ho visto il suo personaggio e da questo ho capito che è una brava attrice". Dove vive? "In Spagna, da 29 anni. In un quartiere di Madrid che è la mia oasi di piacere". Che genere di cinema ama? Sorride. "Alla mia età riesco a ricordare solo i film che ho visto nelle ultime settimane. E in queste ultime settimane ho amato l'israeliano Meduse, il turco Ai confini del Paradiso e Eastern Promises di David Cronenberg, splatter, quasi horror, talmente B-movie da essere geniale". Che progetti ha adesso? "Mi hanno chiamato poco fa, al telefono. Pochi minuti prima della conferenza stampa. Quando mi è squillato il cellulare, prima (un siparietto molto divertente, con una marcetta che suona nel silenzio generale mentre la figlia Oona la sgrida: "Shame on you" e lei si inginocchia sotto il tavolo, ndr) pensavo fossero di nuovo loro. Ho accettato di recitare accanto a Maria Grazia Cucinotta in L'imbroglio del lenzuolo di Alfonso Arau, per Rai Cinema". E qual è il personaggio che le hanno chiesto di interpretare? "La storia è ambientata nel 1905, nel sud Italia poverissimo. Io sono la madre di un ragazzino che non ha mezzi per studiare ma sogna di fare il regista. In casa non ci sono soldi e lei, per racimolare qualcosa, poiché è pianista, suona dal vivo alle proiezioni di film muti. E intanto si ripete, un po' come mi ripeto io: "Se il mio povero padre mi vedesse?"".

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Il "dopomorte" dei folli un giallo senza giallo - alfonso cipolla (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

Pagina XV - Torino Da Tedeschi l'israeliano Gerstein Dall'Accademia una pièce premiata da molti applausi malgrado i limiti IL "DOPOMORTE" DEI FOLLI UN GIALLO SENZA GIALLO Seguendo l'onda della "Soap Opera" Le icone ridipinte nella Grande Mela Resta alla fine un testo disgiunto dalla scena e una scena affannata a inseguire il testo invece di condurlo ALFONSO CIPOLLA Un luogo non luogo, personaggi apparentemente in transito ancorati al proprio passato, un'incomunicabilità sorda seppure loquace, l'impossibilità di sottrarsi alla coercizione d'un destino coatto: sono questi gli ingredienti d'ascendenza beckettiana intorno a cui ruota Nevermore, una serie di variazioni sull'ipotetico dopo-morte saldate insieme dalla drammaturgia di Eric Minetto e Emiliano Poddi e portate in scena, in prima nazionale alla Cavallerizza, dall'Accademia dei Folli. Il testo trae spunto da pagine di Giovanni Arpino, Edgar Allan Poe, Cesare Pavese, Woody Allen, Edgar Lee Masters, Wislawa Szymborska e prende corpo in una sorte di Limbo-sala d'aspetto in cui si ritrovano solitudini diverse ancora ignare della soglia varcata. è un po' una caratteristica dell'Accademia dei Folli - compagnia composta da giovani attori, ma già di lungo corso - quella di misurarsi con la drammaturgia contemporanea. Ma qui la scommessa è maggiore, dato che viene scelto il lavoro di due autori a loro coetanei, usciti dalla scuderia Holden. Ciò che colpisce, vedendo questa ennesima prova dell'Accademia dei Folli, è come questa rimanga ancorata a un sistema di produzione che non riesce a scrollarsi dall'idea di prendere un libro e di metterlo in scena. Ci si domanda perché, potendo lavorare a stretto contatto con chi ha la responsabilità della drammaturgia, non si sia potuto in alternativa immaginare un progetto di scrittura scenica nel senso più ampio, con interscambi costruttivi. L'impressione è che la regia di Carlo Roncaglia abbia esclusivamente cercato un bandolo per puntellare le carenze di un copione senza aver avuto la forza di incidervi. Resta alla fine un giallo senza giallo, un aforisma che rimodula se stesso, un testo disgiunto dalla scena e una scena affannata a inseguire un testo invece di condurlo, invece di prenderlo o farsi prendere per mano. Ma resta anche la fatica degli attori salutata con generosi applausi.

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Pagina XV - Torino Una spugna che passa, un'onda che nasce e passa. Questa è l'idea che anima la pri... (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

Pagina XV - Torino Una spugna che passa, un'onda che nasce e passa. Questa è l'idea che anima la prima personale a Torino dell'artista francese Pierre Yves Le Duc che espone una serie di disegni del ciclo "Soap Opera" da Federica Rosso. I disegni, commentati da un testo di James Putnam, sono su carta e seguono l'evoluzione di un'onda e il suo sciogliersi nello scorrere del tempo. L'immaginario si origina dalle tracce di schiuma prodotte dal movimento circolare di una spugna insaponata, passata su una superficie nera specchiante. Una serie di minimi cambiamenti foglio dopo foglio, come frame di una sequenza, che assomigliano a un'incisione, dove il segno figurativo diventa si avvicina all'astrazione. SOAP OPERA di Pierre Yves Le Duc, inaugurazione venerdì 18 gennaio alle 18, galleria 41artecontemporanea, via Mazzini 41. Info 011/8129544, www.41artecontemporanea.com, fino al 29 marzo La galleria Glance inizia l'anno nella sua nuova sede in un cortile di via San Massimo con la personale di pittura di Scott Grodesky, curata da Norma Mangione. L'artista newyorchese, nato nel 1968 e con un curriculum dove compaiono presenze al Ps1 e alla Biennale di Venezia del 1993, afferma di essere stato ispirato dal pittore di icone Andrej RublËv, monaco russo del XIV secolo la cui vita è stata raccontata dal regista Tarkovskij. Suoi temi sono l'architettura e la famiglia, la città e la casa, il dentro e il fuori. Sono dipinti spesso imperfetti, a volte non finiti, con parti a matita, colori trasparenti e altri vivaci. BOUNCING AROUND THE SUN di Scott Grodesky, galleria Glance, via San Massimo 45. Info 348/9249217, www.galleriaglance.com L'artista israeliano David Gerstein presenta una nuova serie di opere realizzate su lastre d'acciaio poi dipinte con colori vivaci, ispirate a Matisse e al Fauvismo. Ironiche e serene interpretazioni della quotidianità. Le sagome variopinte di mucche, sciatori e fiori sono ritagliate secondo i contorni di scene dal tratto cartoonistico, che si mescolano con il design. Immagini che, attraverso l'ombra, diventano corpi tridimensionali. DAVID GERSTEIN, galleria Ermanno Tedeschi, via Giulio 6, inaugurazione il 17 gennaio 2008 alle 18.30. Info 011/4369917, www.etgallery.it (ol.gam.).

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Bush in israele, a roma allarme anti-terrorismo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

Pagina IV - Roma PIANO DI ALLERTA Bush in Israele, a Roma allarme anti-terrorismo Roma blindata per un allarme terrorismo lanciato dai servizi segreti. La segnalazione è arrivata sulle scrivanie del Viminale giovedì notte: il piano di massima allerta è scattato all'alba e durerà altri due giorni. La visita di Bush in Israele, secondo l'Antitorrorismo, avrebbe innalzato il rischio di un attentato a Roma. Mobilitati centinaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri, in servizi straordinari a Termini e nelle metropolitane del centro, all'aeroporto da Vinci e attorno ai palazzi del potere. Dotate di cani antisabotaggio, le forze dell'ordine sono a caccia di zaini carichi di tritolo e di automobili imbottite di esplosivo. La segnalazione dei Servizi pare infatti faccia riferimento ad attacchi alla Capitale con uomini kamikaze e auto pronte ad esplodere.

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Israele, Bush in lacrime al museo Hamas gela le speranze di pace E la Rice zittisce il presidente: imbarazzo alla cena con Olmert (sezione: Israele/Palestina)

( da "Nazione, La (Nazionale)" del 12-01-2008)
Pubblicato anche in:
(Giorno, Il (Nazionale)) (Resto del Carlino, Il (Nazionale))

 

Dall'inviato GIAMPAOLO PIOLI ? NEW YORK ? HA BISOGNO di Condoleeza Rice al suo fianco che gli tiri la giacca e gli mandi un bigliettino con scritto "chiuda la bocca", quando si avventura con "passione" all'interno dei pericoli intrecci della politica israeliana, ma George Bush da anche il meglio di se quando parla più col cuore che con la ragion di stato. Per questo, nonostante la gaffe alla cena offerta dal premier israeliano, anche se mancano solo 11 mesi reali alla fine del suo mandato, il Capo della Casa Bianca ha compiuto uno dei viaggi più significativi della sua intera presidenza fermandosi due giorni in Israele e Cisgiordania. La sua è stata una vera "spinta" al processo di pace. La denuncia di un'"insofferenza americana" che covava da tempo verso chi vuole solo perdere tempo. Può darsi che quel riferimento così diretto, fatto lunedì dal presidente all'"occupazione" di Israele del 1967, in realtà volesse indicare il ritiro delle truppe di Gerusalemme solo dai territori della Cisgiordania e non del Golan strappato ai siriani e della striscia di Gaza "occupata" da Hamas, ma è nell'aver parlato esplicitamente di "occupazione" il peso politico che il presidente americano ha voluto mettere nelle sue parole. Non è nemmeno un caso se palestinesi e israeliani, solo poche ore prima del suo arrivo, sono riusciti a trovare un calendario per affrontare le "dolorose questioni aperte" come Gerusalemme, i confini e i rifugiati. BUSH HA FATICATO nel non voler sembrare impaziente, ma le sue linee guida sono il contrario del mistero. L'America vede la soluzione del problema dei profughi con una "dignitosa compensazione" e non col ritorno in un territorio che ormai fa parte integrante di Israele. Il Capo della Casa Bianca sostiene che il nuovo Stato palestinese dovrà avere una "continuità territoriale" e non essere la somma di inutili arcipelaghi abitati a macchia di leopardo. Dovrà collegare in altre parole la Cisgiordania a Gaza, ma Gaza dovrà essere prima "purificata" da Hamas e da tutte le formazioni terroristiche che vi trovano ospitalità. Dopo sette anni di distaccata osservazione della seconda intifada, l'improvviso interesse della Casa Bianca lascia perplessi i paesi arabi che in questi giorni lo incontreranno direttamente. Ma ha fatto infuriare anche il partito conservatore del Likud che non ha apprezzato affatto il dichiaratao appoggio di Bush all'attuale premier Olmert, molto in crisi all'interno del suo paese e sotto accusa per la disastrosa guerra in Libano. DA GAZA inoltre anche Hamas boccia i suoi sforzi e il suo ruolo di mediatore: "Non accettiamo nessun accordo di pace firmato da Abu Mazen e mediato da paesi stranieri, perché lui non rappresenta la totalità dei palestinesi ? dice il portavoce del movimento integralista Al Masri ? . Per noi il solo testo che conta è quello del "consenso nazionale" firmato da tutte le fazioni palestinesi un anno fa che riconosce le frontiere del 1967, il diritto al ritorno dei profughi, Gerusalemme come capitale, la totalità sui confini e il rispetto degli accordi dell'Olp. Solo se anche Israele accetterà queste condizioni siamo pronti a concedere una tregua permanente". Sono posizioni queste decisamente lontane e inconciliabili con quelle americane. Ma le 48 ore spese dal presidente Usa fra Israele e i territori occupati rimangono la prima prova tangibile che questa Casa Bianca sul Medio Oriente, adesso vuol fare sul serio. Molto commosso e con gli occhi lucidi Bush ha visitato il museo dell'Olocausto prima di atterrare in Kuwait, dove chiedono la restituzione di alcuni prigioneri rinchiusi senza accuse specifiche da anni a Guantanamo. "Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo ? ha detto ? sarà da ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato bisogna resistergli". Poi rivolto alla Rice ha aggiunto: "Condi ma perché non abbiamo bombardato il campo di Auschwitz? Avremmo dovuto farlo.." - -->.

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La "cantata" di barra per la gente della sanità (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

Pagina XVI - Napoli LA COMMEDIA La "Cantata" di Barra per la gente della Sanità Una volta tanto, grazie alla commedia dell'arte, il rione Sanità alza la testa. Territorio impervio, dove scarseggiano eventi e contenuti artistici, che oggi e domani diventa piazza ideale per incontrarsi e ridere. Ecco perché l'associazione "Altra Napoli" guidata da Ernesto Albanese, con l'Istituto Ozanam, ha deciso di organizzarvi una replica molto speciale - poiché fuori tournée - della "Cantata dei pastori". Lo spettacolo scritto nel Seicento da Andrea Perrucci, e man mano adattato grazie alle improvvisazioni del pubblico che negli anni ha completamente riscritto il testo originale, alle 20 sarà rappresentato nella Basilica di San Vincenzo dalla compagnia di Peppe Barra. Con l'attore-cantante, nel ruolo dello scrivano Razzullo perso in Palestina, il comico Umberto Bellissimo, che incarna il ruolo di Sarchiapone. Sul palco anche diavoli, mangiafuoco, il pastore Benino e, naturalmente, il cast che interpreta la Madonna, San Giuseppe, osti e contadini. Domani alla stessa ora l'unica replica, ingresso libero.

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Ivan cattaneo, rock d'autore un concerto al "fellini '70" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

Pagina XII - Genova LA MUSICA BALLETTO Ivan Cattaneo, rock d'autore un concerto al "Fellini '70" "Bolero" e "Carmina Burana" per l'esordio di Verdindanza Ivan Cattaneo è il protagonista della serata al Fellini '70 Chic di via XII Ottobre di Luca Risso. Con la sua band proporrà la produzione recente e un'antologia del repertorio classico. Il musicista bergamasco, classe 1953, a dodici anni partecipa alle selezioni dello Zecchino d'Oro, ancora adolescente studia musica e incomincia a suonare in alcuni gruppi locali di blues. A 18 anni si trasferisce a Londra, dove conosce e frequenta Mark Edwards, suo primo grande amico e, tra gli altri, Cat Stevens e il pittore Francis Bacon. Tornato in Italia, l'incontro con Nanni Ricordi segna una svolta. Grazie a lui, nel 1975, incide il suo primo disco Uoaei. In quell'album d'esordio Ivan usa la voce in modo sperimentale, quasi come strumento, seguito da Primo Secondo Frutta, disco accompagnato da un libro e uno spettacolo teatrale. Contemporaneamente Ivan Cattaneo si dedica anche alla scoperta e promozione di nuovi solisti e gruppi emergenti, come Revolver, Electroshock e, soprattutto Anna Oxa. Nel '77 debutta in TV accanto a Roberto Benigni nella trasmissione Televacca. Nel '79 incide con la Premiata Forneria Marconi l'album Superivan, due anni dopo rispolvera vecchie canzoni dei mitici anni '60 in un'operazione affiancata anche alla trasmissione Mister Fantasy. Nasce così l'album 2060 Italian Graffiati, quasi 500 mila copie vendute. Tra le altre attività del musicista (insieme a Caterina Caselli e Red Ronnie fonda a Rimini la celebre discoteca "Bandiera Gialla") lo studio della musica elettronica e la pittura: nel 1989 presenta una colossale opera pittorica "Le 100 Gioconde Haiku", 100 quadri con volti maschili e femminili. Dalle ore 21, via XII Ottobre 182 R. www.teatrofellini.it. Prenotazioni 3936622880. (rita lucido) Inizia questa sera alle 20.30 al Teatro Verdi di Sestri Ponente il festival Verdindanza, con il primo programma del Balletto Arabesque di Sofia (Bulgaria), due classici musicali, Carmina Burana di Carl Orff e Bolero di Ravel, con coreografie di Boryana Sechanova e Margarita Arnaudova. Compagnia creata nel 1967 da alcuni solisti del Teatro dell'opera di Sofia come uno studio sperimentale di balletto, l'Arabesque è l'unica compagnia a essersi imposta per la realizzazione di allestimenti moderni e contemporanei in un paese, la Bulgaria, di forte tradizione classica. Gli appassionati di balletto ricordano senz'altro il Concorso Internazionale di Varna, città sul mar Nero dove dal 1964 si svolge il concorso più prestigioso al mondo, che laurea ogni anno giovanissimi danzatori classici destinati a diventare étoile internazionali (fu così per Mikhail Barychnikov nel 1966, Patrick Dupond nel 1976, Silvie Guillem nel 1983). Tornando al balletto in scena al Verdi (che nel 1968 fu ospite a Genova del Festival Internazionale di Nervi), il programma di questa sera vede in Bolero un omaggio alla storia stessa della compagnia, Margarita Arnaudova fu infatti la prima coreografa e dirigente del gruppo per 20 anni. Domani alle 16 saranno presentate coreografie più recenti: la prima, Aeon (Aria) di Wayne McGregor, progetto in comune con la Random Dance Company di Londra, è la parte finale di una trilogia che cominciò nel 1998, uno show multimediale per otto ballerini e i loro partner virtuali. Seguono Duality su musica di Astor Piazzolla, coreografia di Liz Lee insieme ai danzatori della compagnia; Half cup seeds (Mezzo bicchiere di semi di sesamo) coreografia di Idan Coen (Israele) e Sulle tracce di? coreografia Olesya Pantikina. L'ingresso da 22 a 15 euro. (monica corbellini).

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Bush in Medioriente tra storia e politica (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 12-01-2008)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.117 del 12/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Esteri Il Presidente visita anche i luoghi storici, culturali e spirituali Bush in Medioriente tra storia e politica Gli obiettivi della missione: favorire la pace tra Israele e Palestina e convincere gli arabi ad isolare l'Iran Tel Aviv, 12 gen.- Un tour iniziato tra le zone più calde del Medioriente, ma che proseguirà anche nelle zone dell'oro nero, con due obiettivi principali: quello di favorire il processo di pace tra Israele e Palestina e, nello stesso tempo, convincere gli Stati Arabi sulla strategia internazionale per isolare l'Iran. Questo sembra l'intento delle visite del presidente degli Stati Uniti Gerge W. Bush, iniziate in Israele e Cisgiordania, ma che continueranno in Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto. Bush ha iniziato il suo tour mediorientale concentrandosi sulla zona a più alta tensione: quella israeliana-palestinese. Al termine di una serie di colloqui con i dirigenti israeliani e palestinesi, ha auspicato che si arrivi ad un accordo di pace entro il 2009, invitando Israele a porre fine all'occupazione dei territori. Ma nello stesso tempo il presidente americano ha anche precisato che Israele dovrà avere confini sicuri e difendibili e una migliore garanzia contro gli attacchi terroristici e l'attività di Hamas a Gaza. Queste due condizioni, e cioè fine dell'occupazione dei territori palestinesi e sicurezza di Israele, sono le pietre basilari su cui costruire un accordo di pace che sia duraturo. Bush è giunto anche a Gerusalemme dove ha visitato il museo della storia dell'olocausto. Con una certa commozione il presidente Usa ha dichiarato: “Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità gli animi coraggiosi, giovani e vecchi, devono restare saldi a ciò in cui credono”. Sul futuro Stato Palestinese, Bush ha evidenziato la necessità che lo stesso abbia le caratteristiche di continuità territoriale, rispetto ai tradizionali confini del 1967. Sulla questione dei rifugiati palestinesi il Presidente degli States è apparso ottimista nel trovare una soluzione, lanciando una prima proposta basata su un meccanismo di risarcimento internazionale. Il viaggio in Medioriente di Bush sembra assumere, quindi, svariate sembianze: una storico-culturale, con la visita al museo dell'olocausto, che continuerà anche con lo spostamento in Galilea per una tappa spirituale alla Chiesa delle Beatitudini eretta nel luogo dove Gesù avrebbe tenuto il sermone della montagna; una politico-diplomatica con uno sguardo attento e da vicino sull'andamento dei negoziati tra israeliani e palestinesi e soprattutto sul clima che si respira in questi giorni nei territori più altamente contesi quale la città di Gerusalemme; una politico-strategica alla ricerca di una forte alleanza con gli altri stati arabi, che avverrà nei prossimi giorni, e sarà determinante per contenere la politica espansionistica dell'Iran. Felice Marra.

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Jesus christ superstar una notte con la storia - titti tummino (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

Pagina XVI - Bari IL CARTELLONE Jesus Christ Superstar una notte con la storia Un fenomeno esploso a Londra nel '72 e consacrato da oltre tremila repliche La Compagnia della Rancia porta in scena stasera la versione italiana TITTI TUMMINO Arriva al Teatroteam di Bari Jesus Christ Superstar, il più popolare musical-opera rock al mondo: il capolavoro di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice nella nuova versione in italiano realizzata dalla Compagnia della Rancia e firmata da Fabrizio Angelini va in scena stasera alle 21 e domani alle 18,30 nell'ambito della rassegna "The musical show". L'opera di Webber e Rice che racconta in musica gli ultimi sette giorni della vita di Gesù di Nazareth è messa in scena per la prima volta interamente tradotta, nella filosofia della Compagnia della Rancia, che dall'88 produce in versione italiana i maggiori musical internazionali. Discusso, contestato, ma indiscutibilmente amato dagli appassionati del rock come dai melomani, Jesus Christ Superstar debuttò sul palcoscenico del Mark Hellinger Theatre di Broadway nel 1971, dopo aver conquistato il pubblico in versione album (la voce di Gesù era quella di Ian Gillan dei Deep Purple). Il fenomeno esplose a Londra nel 1972, dove rimase in scena per 3mila 358 repliche, cambiando per sempre l'immagine del musical. Da allora, Jesus Christ Superstar è stato rappresentato in decine di paesi nel mondo, compresi Kenya, Messico, Zimbabwe e Israele, e le liriche di Tim Rice sono state tradotte in oltre dieci lingue fra le quali tedesco, francese, spagnolo, portoghese, russo, ungherese e giapponese. La versione italiana, con la regia e le coreografie di Fabrizio Angelini, oggi tra i registi italiani specializzati nel musical, porta in scena oltre 20 interpreti che danno vita a uno dei più straordinari successi della storia del teatro musicale di tutti i tempi: un cast selezionato con grande cura dopo due audizioni a Milano e Roma, al quale hanno preso parte quasi mille performer, per scoprire voci straordinarie e intense capacità interpretative. La sfida raccolta da Angelini è quella di un'ambientazione lontana dalle atmosfere hippie degli anni Settanta: Gesù si ritroverà a predicare, soffrire e morire ai giorni nostri, per trasmettere profonde e universali verità. Si potranno così cogliere finalmente tutte le sfumature di quest'autentica "musicalissima" rievocazione, per rivivere le indimenticabili canzoni, diventate autentici cult, accompagnati da un'orchestra dal vivo che unisce sonorità leggere con altre dal timbro più duro. Lo spettacolo, prodotto dalla Compagnia della Rancia, si avvale delle musiche di Webber e delle liriche di Rice. Le liriche italiane sono di Michele Renzullo e Franco Travaglio. Il ricco cast è composto da Simone Sibillano (Jesus), Edoardo Luttazzi (Giuda), Valentina Gullace (Maddalena), Marco Romano (Hannas), Andrea Croci (Caifa), Lorenzo Scuda (Pilato), Raffaele Latagliata (Erode), Emiliano Geppetti (Simone), Luca Notari (Pietro) ed è completato da Valentina Buttafarro, Laura Carusino, Gaetano Caruso, Fabrizio Checcacci, Gianluca Ciatti, Enrico D'Amore, Kate Kelly, Brunella Platania, Daniela Pobega, Giorgio Rauchi e Alessandro Salvatori. La direzione musicale è affidata a Giovanni Monti (info 080.521.08.77).

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Spy game 1 intelligence contro intelligence (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 12-01-2008)

 

Spy game 1 intelligence contro intelligence La Cia "scopre" l'atomica israeliana Ma Tel Aviv smentisce il rapporto Nie Gerusalemme. In realtà, si tratterebbe soltanto di un dettaglio. Un'informazione buona per gli studiosi e, soprattutto, per i topi di archivio, alla ricerca di materiale desecretato, come si dice in gergo. Israele aveva, nel 1974, "armamenti in fieri" di tipo nucleare, e una piccola parte era già stata "prodotta e immagazzinata". Roba da storici, insomma. Ma poi non tanto, visto che le informazioni contenute nello Special National Intelligence Assesment, Prospects for further proliferation of nuclear weapons , presumibilmente redatto dalla Cia, erano top secret. E sono state declassificate e dunque rese di dominio pubblico proprio mentre George W. Bush era in Israele, a parlare di Iran, di dossier nucleare, della strategia di contenimento israelo-americana nei confronti di Teheran. Perché mai? Perché una tale tempistica nella pubblicazione di un vecchio documento d'archivio, si chiede Haaretz , che ieri pubblicava la notizia chiedendosi se questa decisione non fosse da mettere in relazione a un altro assessment sul nucleare. L'esplosivo rapporto Nie (National Intelligence Estimate) dello scorso dicembre, in sostanza, quello redatto da 16 agenzie di sicurezza, che ha costretto a ricalibrare le pressioni sull'Iran e congelare, almeno per il momento, l'opzione militare. La tempistica, in effetti, ricorda molto le trame di libri alla Le Carrè, le battaglie tra spie, gli sgambetti tra intelligence, i dispetti che si sono sempre fatti, anche tra servizi di paesi amici. Il documento d'archivio, infatti, non esce solamente a un mese di distanza dal rapporto Nie. Esce anche in contemporanea con un viaggio in gran parte "iraniano", come la visita di Bush in Israele conclusasi ieri con una coda, prima allo Yad Vashem e poi a Cafarnao, sul lago di Tiberiade. I bene informati, prima e durante la visita di Bush, hanno fatto sapere a più riprese - infatti - che uno dei punti cruciali nell'agenda degli incontri tra il presidente americano e gli alti dirigenti politici israeliani, sarebbe stato non tanto il dossier iraniano, quanto le informazioni in possesso dell'intelligence israeliana sulla potenzialità nucleare di Teheran. Per alcuni, informazioni in linea con quelle contenute nel rapporto Nie, che diminuiva la portata del pericolo nucleare iraniano, fermando il perseguimento di un programma offensivo al 2003. Per altri, gli uomini vicini a Ehud Olmert contattati dallo Yediot Ahronot , il premier israeliano avrebbe presentato a Bush "informazioni classificate e aggiornate ottenute a rischio della vita" che mostrano che il pericolo iraniano aumenta ogni giorno che passa. Informazioni dell'intelligence americana contro informazioni dell'intelligente israeliana. Tutte convogliate su Bush, in una battaglia a distanza che non è più di intelligence, ma politica. E per pura coincidenza, da oltre oceano, arriva un documento che mostra come gli Stati Uniti sapessero da più di trent'anni del nucleare israeliano. Di per sé, non una notizia così sconvolgente, visto che di documenti declassificati sul nucleare israeliano è pieno, per esempio, un archivio prezioso e online come quello dei National Security Archives sul sito della George Washington University. E che la storia della cosiddetta "opacità" nucleare israeliana è contenuta nella ricerca più importante, Israel and the bomb , ormai sugli scaffali da tempo, condotta da Avner Cohen e pubblicata nel 1999. Eppure, quel documento assume - che sia stato volontario o meno l'averlo desecretato proprio ora - il valore di uno sgambetto. E di una condotta che già il rapporto Nie aveva fatto emergere. Le agenzie di intelligence americane sono diventate oggettivamente un attore politico. Niente a che vedere, insomma, con il profilo tenuto soprattutto prima dell'attacco anglo-americano all'Iraq, quando proprio i documenti delle intelligence americane - branditi da Colin Powell al consiglio di sicurezza dell'Onu - furono usati come arieti per sostenere la necessità dell'invasione e della via bellica contro Saddam Hussein. Il rapporto Nie dello scorso dicembre, aveva fatto già comprendere che l'aria è diversa, ora, verso l'Iran. E che la decisione per un attacco militare deve essere solamente e unicamente politica, senza avvalersi del bastone dei servizi di sicurezza. Il sottile scontro di questi ultimi due giorni aggiunge, però, un ulteriore ingrediente a una storia già di per sé avvincente. Che il confronto a distanza non è concluso, perché l'opzione militare non è stata del tutto esclusa dalla discussione. 12/01/2008.

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Wiesel: sentivamo gli aerei sulle nostre teste e pregavamo che attaccassero il lager (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 12-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-12 num: - pag: 13 categoria: REDAZIONALE Lo scrittore premio Nobel per la pace Wiesel: sentivamo gli aerei sulle nostre teste e pregavamo che attaccassero il lager DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK - "Conosco molto bene le foto aeree di Auschwitz che hanno fatto piangere George W. Bush: sono stato io a regalarle a Yad Vashem. Ne possedevo due copie; l'altra l'ho regalata al Museo dell'Olocausto di Washington". Il Nobel per la pace Elie Wiesel, che ad Auschwitz ha perso la madre, il padre e la sorellina, ha aspettato tutta la vita questo momento: il mea culpa di un presidente americano per l'America che non ha fermato prima l'orrore. "Il presidente Jimmy Carter mi aveva regalato quelle drammatiche foto nel 1978, quando mi propose di diventare presidente della prima Commissione sull'Olocausto", racconta lo scrittore de "La Notte". "Aveva chiesto all'allora direttore della Cia, Ammiraglio Stansfield Turner, che cosa l'America avesse saputo, allora, "del luogo dove è stato Elie". Fu così che Turner aveva tirato fuori dagli archivi Cia quelle foto che non lasciano alcun dubbio: gli Usa sapevano ma hanno lasciato fare". Perché c'è voluto tanto per giungere a questa ammissione? "Bisognava domandarlo a Carter, Reagan, Bush Sr e Clinton. A tutti loro io chiesi personalmente e più volte di spiegarmi perché gli Stati Uniti, pur sapendo da tanto tempo quanto avveniva nel lager, non fecero nulla per fermare lo sterminio quotidiano di ebrei. Nessuno ha saputo rispondermi. Bush è stato il primo a farlo e lo applaudo per il suo coraggio". Perché proprio lui? "Perché è un uomo molto emotivo che sente profondamente il dramma dell'Olocausto e si è lasciato guidare dal cuore. Da oggi in Israele, dove è già popolare, sarà ancora più amato e rispettato. Soprattutto tra i sopravvissuti". Secondo alcuni storici gli Alleati temevano, bombardando Auschwitz, di uccidere migliaia di prigionieri nel campo. "è una vecchia scusa. Ogni volta che i miei amici ed io sentivamo gli aerei alleati sopra le nostre teste ci auguravamo che le bombe cadessero. Sarebbe stata una morte preferibile alle camere a gas. E comunque gli Alleati avevano altre alternative ". Quali? "Bombardare i binari della ferrovia diretta ad Auschwitz. Ciò avrebbe salvato la vita di migliaia e migliaia di ebrei ungheresi, gli ultimi spediti nel lager quando tutto il mondo ne conosceva gli orrori. Ma è giunta l'ora di rivolgere la stessa domanda ai russi". Cosa intende dire? "L'armata rossa era molto più vicina degli americani ad Auschwitz. Era già in Polonia e nel 1944 aveva liberato il campo di Majdanek. I russi avrebbero benissimo potuto liberare anche il nostro lager dove nel '44, al culmine della mattanza, quasi 10 mila ebrei finivano tutti i giorni nei forni". è vero che Roosevelt e i leader dell'ebraismo temevano di essere accusati di voler trasformare il conflitto in una "guerra ebraica "? "Quel timore esistette solo all'inizio della guerra, non certo nel mezzo. Non dimenticherò mai l'incontro con l'allora presidente del World Jewish Congress, Nahum Goldman, che dopo la guerra mi disse: "Sapevamo ma abbiamo taciuto". Il rimorso l'ha perseguitato per tutta la vita". Alessandra Farkas L'INTERVENTO di Madeleine Albright nelle Opinioni \\ Ebbi quelle foto da Carter.

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Bush: <Dovevamo bombardare Auschwitz> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 12-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-12 num: - pag: 13 categoria: REDAZIONALE In Medio Oriente Si riapre la polemica sul mancato intervento. La cena con Ehud Olmert e il bigliettino della Rice Bush: "Dovevamo bombardare Auschwitz" La reazione (e le lacrime) del presidente Usa dopo la visita al Museo dell'Olocausto Condi: "Ha visto foto aeree e immagini delle ferrovie, e abbiamo discusso del perché non avessimo attaccato" KUWAIT CITY - Per la prima volta un presidente americano si è rammaricato che nella Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti non abbiano tentato di porre fine allo sterminio degli ebrei attaccando Auschwitz e altri campi di concentramento nazisti. "Avremmo dovuto bombardarlo", ha detto George W. Bush, le lacrime agli occhi, rivolgendosi al segretario di Stato "Condi" Rice e a Avner Shalev, direttore del Museo dell' Olocausto a Gerusalemme, lo Yad Vashem. "Guardavamo le foto aeree di Auschwitz scattate dai piloti alleati - ha riferito Shalev - e il presidente si è commosso". La Rice lo ha confermato: "C' erano anche foto delle ferrovie che portavano ai campi. Abbiamo discusso del perché non le bombardammo. Esistono varie spiegazioni. Non c'è stata polemica, solo un riesame di quell'orrendo genocidio". Bush, che nel corso della visita ha alimentato la Fiamma eterna che onora le vittime dell'Olocausto, ha ceduto all'emozione dopo aver pregato alla memoria del milione e mezzo di bambini ebrei sterminati. Con il presidente israeliano Peres e il premier Olmert, ha deposto una corona di fiori. Poi, tra la sorpresa di tutti, ha deprecato che Auschwitz non fosse stata bombardata. Ha commentato lo storico israeliano Tom Segev: "Oggi sappiamo che gli Stati Uniti erano al corrente dello sterminio degli ebrei. Se avessero attaccato i campi di concentramento o le loro ferrovie, forse avrebbero salvato gli ungheresi, gli ultimi internati ad Auschwitz ". In America, l'inattesa protesta del presidente ha riaperto una vecchia ferita: da anni si polemizza sul rifiuto di Washington e Londra di bombardare i lager. Quando si è recato in Galilea, sul Monte delle Beatitudini, Bush ha solo detto all'ospite, il vescovo Skakar, di essere "un pellegrino". Ma congedandosi da Peres e Olmert per andare nel Kuwait, ha promesso loro di tornare a maggio, per il sessantesimo anniversario dello Stato di Israele. Con la devozione dimostrata in Terra Santa, e il velato mea culpa sul silenzio sull'Olocausto al tempo della guerra, Bush ha rafforzato l'impegno assunto a promuovere la pace tra israeliani e palestinesi. Il presidente, che oggi incontrerà il generale David Petraeus, "proconsole " in Iraq, è venuto nel Golfo da un lato per indurre i Paesi arabi a partecipare al dialogo di pace, dall'altro per indurli a formare un fronte comune contro l'Iran. "Condi" (che per evitare gaffes presidenziali durante la cena con Olmert avrebbe zittito Bush scrivendogli su un bigliettino di "chiudere la bocca") ha ammonito che il viaggio del presidente - Bahrein, poi Emirati Arabi e Arabia Saudita - "non illuminerà di luce accecante " gli ospiti. Ma ha insistito che entro l'anno si convertiranno alla causa della pace. Intervistato alla tv Nbc sulla fede, così ostentata a Gerusalemme, Bush ha risposto che facilita il suo rapporto con l'Islam: "La religiosità ci unisce ". Ennio Caretto GUARDA Il video della visita allo Yad Vashem www.corriere.it La notte Bush con Olmert al Memoriale dell'Olocausto a Gerusalemme. Sul libro ha scritto: "God bless Israel".

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Bush in Kuwait cerca consensi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 12-01-2008)

 

Esteri Pagina 113 Medio Oriente. Procede la missione del presidente americano che oggi incontra il generale Petraeus Bush in Kuwait cerca consensi Medio Oriente.. Procede la missione del presidente americano che oggi incontra il generale Petraeus In gioco il piano di pace tra arabi e israeliani --> In gioco il piano di pace tra arabi e israeliani Dopo essersi commosso al museo dell'Olocausto il presidente Bush lascia Gerusalemme e vola in Kuwait, paese dove il padre è un eroe. KUWAIT CITY Lacrime sul volto di Bush davanti al memoriale della Shoah a Gerusalemme. Subito dopo il presidente è volato in Kuwait. Comincia da qui, un luogo importante per la famiglia Bush, il blitz del presidente statunitense in cinque paesi arabi per discutere Iraq, Iran e i negoziati di pace tra israeliani e palestinesi. Comincia dal paese dove George Bush senior è considerato un eroe: fu lui a lanciare la guerra di liberazione del Kuwait dopo l'occupazione da parte dell'Iraq. Ma la decisione dell'ex inquilino della Casa Bianca di non perseguire fino a Baghdad le forze armate in rotta fu anche alla base della sopravvivenza al potere di Saddam Hussein, creando le premesse del successivo conflitto in Iraq, guidato da George Bush junior, con esiti ancora controversi. E la situazione in Iraq sarà esaminata da Bush oggi nell'incontro alla base militare americana di Camp Arifjan, situata circa 50 chilometri a sud di Kuwait City, col generale David Petraeus, responsabile delle forze armate Usa in Iraq, e con l'ambasciatore americano a Baghdad, Ryan Crocker. Bush riceverà dal generale Petraeus un rapporto sui progressi della situazione in Iraq, soprattutto sul profilo della sicurezza, dopo l'aumento di truppe deciso un anno fa. Per l'attuale presidente è questo il primo viaggio in Kuwait ed apre un blitz ambizioso in cinque paesi arabi stretti alleati degli Stati Uniti mirante a incoraggiare il sostegno ai fragili negoziati di pace tra israeliani e palestinesi (che Bush spera ancora, tra lo scetticismo generale, di riuscire a concludere entro il 2008) e a coordinare la reazione alle iniziative aggressive dell'Iran in Medio Oriente. Per quanto riguarda il sostegno dei paesi arabi all'accordo e ad un avvicinamento ad Israele (auspicati da Bush durante la sua visita a Gerusalemme), il segretario di stato Condoleezza Rice ha detto ieri, parlando ai media durante il viaggio dell'Air Force One da Israele al Kuwait, che tale sviluppo "accadrà col tempo". "Non è una situazione che possa avvenire in un lampo - ha aggiunto la Rice - Non accadrà in questo viaggio in Medio Oriente o nel prossimo. È un processo in movimento". "I paesi arabi hanno già fatto un grande passo avanti partecipando alla conferenza di Annapolis - ha osservato la Rice - Se vi saranno progressi nei negoziati tra israeliani e palestinesi, anche i paesi arabi faranno di più". Altro scopo dichiarato del viaggio del presidente Bush è quello di portare avanti, nel suo ultimo anno alla Casa Bianca, la sua crociata per lo sviluppo della libertà e della democrazia in tutto il mondo, specie nei luoghi dove c'è più bisogno di sviluppare questa battaglia.

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Il Medioriente secondo Bush. Per il futuro Stato palestinese non funziona il modello del fo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Il Medioriente secondo Bush. "Per il futuro Stato palestinese non funziona il modello del formaggio svizzero... ". "Sono completamente d'accordo con quello che lei sta dicendo (rivolto ad Abu Mazen), anche se non ho capito niente perché non parlo arabo... ". "Condi, ma perché non bombardammo il campo di Auschwitz? Avremmo dovuto farlo". George Bush, frasi pronunciate dal presidente americano durante la sua visita in Israele e nei territori palestinesi, Ansa 11 gennaio.

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Caracciolo: Alleati contro Hitler non a difesa degli ebrei (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Caracciolo: Alleati contro Hitler non a difesa degli ebrei Umberto De Giovannangeli "Quella dei mancati bombardamenti sui campi di sterminio nazisti, è una questione non ancora risolta. Si può dire questo: è certo che gli Alleati volevano battere la Germania, abbattere Hitler e il Terzo Reich, e in questo quadro consideravano il problema di salvare gli ebrei come una cosa giusta ma di minore importanza". Le considerazioni di George W.Bush allo Yad Vashem rivisitate dallo storico e documentarista Nicola Caracciolo. "Nell'agire in questo modo - riflette Caracciolo - gli Alleati non si rendevano conto o forse non volevano rendersi conto, dell'immensa gravità che la loro scelta portava con sé. Ci sono molte cose che dimostrano un loro atteggiamento molto tiepido nei confronti degli ebrei che rischiavano lo sterminio. A testimoniare questa colpevole sottovalutazione non c'è solo la questione dei bombardamenti, non avvenuti, dei lager nazisti e, soprattutto, delle via di accesso...". Non solo i bombardamenti, dunque. Nicola Caracciolo elenca altri fatti emblematici. "C'è - ricorda - lo sbarco e l'arrivo dei rifugiati ebrei in Palestina: fu spesso impedito e impedito con la forza dagli inglesi. Una vecchia carretta del mare con a bordo centinaia di rifugiati ebrei provenienti dai Balcani non potè far sbarcare i profughi in Palestina e affondò con tante vittime. Un altro esempio ancora: la possibilità per ebrei minacciati dal nazismo di trovare rifugio in Inghilterra o negli Stati Uniti, è stata severamente limitata". "Insomma - è la prima, amara conclusione di Nicola Caracciolo - sono cose che rappresentano una grave colpa per l'Occidente democratico". Un ripensamento critico e autocritico ha segnato la storiografia moderna. "Penso - spiega in proposito Caracciolo - al lavoro prezioso dello storico inglese Martin Gilbert, che ha scritto un libro molto serio e approfondito sull'Olocausto, oltre a essere il più importante biografo di Winston Churchill. Tuttavia....". Quel "tuttavia" ci riporta ad un nervo ancora scoperto nella coscienza, oltre che nella memoria, collettiva. "Va detto - sottolinea in proposito Caracciolo - un certo filo di antisemitismo, che non prenderà certo la forma delle terribili discriminazione di Hitler e non sfocerà nell'Olacausto, era tuttavia presente nei Paesi anglosassoni, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, e questo contribuirà a far sì che questi Paesi si impegnassero meno del dovuto per evitare quello che oggi ci appare essere uno dei più grandi, se non il più grande, tra i crimini della storia umana". Le considerazioni finali investono l'Italia. "Qui - annota Nicola Caracciolo - il discorso si fa più complesso e coglie un comportamento del regime fascista, e dell'Italia, estremamente ambiguo. Il regime di Mussolini ha la forte, incancellabile, responsabilità delle leggi razziali e, dopo l'8 settembre, la Repubblica sociale italiana collaborò con i nazisti nell'arrestare gli ebrei che furono poi deportati nei campi di sterminio nazisti. Fino all'8 settembre, la politica italiana era connotata da una discriminazione molto dura ma non prevedeva lo sterminio. Di modo che gli italiani poterono nelle zone di occupazione che controllavano - in Francia, Grecia, Jugoslavia - far sì che gli ebrei non venissero deportati nei campi di sterminio nazisti". "Direi - conclude Caracciolo - che oggi l'intera storiografia italiana abbia riconosciuta questo ambiguità, comunque colpevole, dell'Italia del ventennio". Il colloquio.

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Agli Usa diciamo, non lasceremo le colonie (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del DANY DAYANIl leader del movimento degli insediamenti che ha guidato le contestazioni anti-Bush "Agli Usa diciamo, non lasceremo le colonie" / Roma u.d.g. È stato l'organizzatore delle manifestazioni anti-Bush. È il leader incontrastato del movimento dei coloni. Su Ehud Olmert ha idee molto chiare. E definitive: "Olmert non ha né capacità né autorità. È il peggior primo ministro nella storia di Israele. La sua politica è un grave errore, provocherà un danno terribile a Israele e destabilizzerà la regione".. A sentenziarlo è Dany Dayan, il leader dei coloni ebraici. Il presidente Bush chiede a Israele di accelerare i tempi per giungere ad una pace con i palestinesi... "Con chi dovremmo fare questa pace e quale ne sarebbe il prezzo? Quale credibilità può avere un personaggio (Abu Mazen, ndr.) che controlla a fatica qualche città della Cisgiordania? Nessuna. Posso non contestare la sua buona fede ma il suo peso è eguale a zero. Guardiamo cosa è accaduto a Gaza: appena Israele molla un territorio, i terroristi di Hamas ne assumono il controllo e lo usano per lanciare missili contro le nostre città. È avvenuto a Gaza, potrebbe avvenire in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr.)..". Ma per la pace si è pronunciata anche la Conferenza di Annapolis. "Quella conferenza ha creato molte aspettative, e le frustrazioni saranno grandi. Annapolis non condurrà alla pace ma a una nuova ondata di violenza. La nostra evacuazione (dai territori) è impossibile, e Olmert non lo farà". Olmert ha ribadito a Bush di voler mantenere gli impegni assunti, tra i quali lo smantellamento degli insediamenti illegali. "Olmert non lo farà, non ne ha la forza. Se procede su questa strada, il suo governo si spacca, e le piazze si riempiranno per contestarlo. Se davvero Olmert intende scacciare dalle loro abitazioni 100-120mila coloni ciò significherebbe la lacerazione definitiva della società". Perché questo rifiuto che non accetta compromessi? "Per ragioni di sicurezza, innanzitutto, perché sappiamo che lasceremo le nostre terre in mano a coloro che non hanno mai smesso l'idea di distruggerci. E poi c'è un'altra ragione che va al cuore della nostra storia: Giudea e Samaria sono parte integrante di Eretz Israel (Cisgiordania, ndr.), sono nella storia del popolo ebraico, più di Tel Aviv. Ai palestinesi possiamo concedere un'ampia autonomia amministrativa, ma uno Stato no, mai, sarebbe un suicidio per Israele. Al ritiro dalla Giudea e Samaria ci opporremo con tutta la forza, senza concessioni e con tutti i mezzi, eccetto la violenza. Attività di lobby politica, manifestazioni, pressioni. È in gioco il futuro di Israele". Lei è stato uno degli organizzatori della protesta contro Bush. "Abbiamo contestato Bush per le sue affermazioni, non certo per quello che rappresenta. Comunque sia, la storia ci ha insegnato che alla fine gli ebrei devono far conto solo su se stessi".

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Bush si commuove nel museo della Shoah Avremmo dovuto bombardare Auschwitz commenta il presidente. A cena con i ministri israeliani li aveva spronati a sostenere Olmert ma Rice gli (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Bush si commuove nel museo della Shoah "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz" commenta il presidente. A cena con i ministri israeliani li aveva spronati a sostenere Olmert ma Rice gli invia un bigliettino: "Chiudi la bocca" di Umberto De Giovannangeli LE LACRIME agli occhi e una frase, dalla quale riemerge un rimorso collettivo: "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz". Parola di George W. Bush, presidente degli Stati Uniti d'America. Una convinzione che Bush esprime durante una commossa visita al Museo della Shoah Yad Vashem, di Gerusalemme. La sua ultima giornata in Israele è stata dedicata a questioni di carattere filosofico-spirituale: da Gerusalemme Bush ha proseguito per il Lago di Tiberiade (Galilea), nei luoghi di Capernaum e del Monte della Beatitudine dove Gesù predicò ed operò miracoli. Proprio una drammatica questione storica gli si è parata davanti mentre a Gerusalemme, accompagnato dal capo dello Stato Shimon Peres e dal premier Ehud Olmert visitava con occhi lucidi di commozione il museo dell'Olocausto. A colpirlo in modo particolare sono state alcune immagini fotografiche di Auschwitz scattate da velivoli della aviazione Usa. Secondo il direttore di Yad Vashem, Avner Shalev, Bush ha scambiato allora qualche parola con la segretaria di Stato Condoleezza Rice, domandandosi per quale ragione non fosse stato deciso un bombardamento che mettesse fine alle atrocità: "Condi, ma perché non bombardammo il campo di Auschwitz? Avremmo dovuto farlo?", chiede Bush alla Rice. Si tratta di una questione che da decenni appassiona gli storici. Informazioni di prima mano sul genocidio degli ebrei in corso ad Auschwitz erano giunte in Occidente dopo la fuga di due internati (Rudolf Vrba e Alfred Wetzler), nell'aprile 1944. Nel giugno 1944 quegli orrori erano stati descritti da organi di informazione fra cui la Bbc e il New York Times. In quei mesi le forze alleate controllavano i cieli di Europa. Come mai dunque le potenze alleate decisero di non intervenire sui campi di sterminio, di preferire altri obiettivi? Bush, secondo Shalev, ha soppesato la questione e poi ha affermato: "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz". Poi, ancora scosso, Bush ha scritto nel libro degli ospiti: "Che Dio benedica Israele". Poco prima, Bush, in testa una kippah, aveva ascoltato commosso una poesia scritta da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai nazisti: "Dio mio, Dio mio, che questa canzone non finisca mai...". Il presidente americano, con il capo chino e gli occhi pieni di lacrime ha deposto una corona presso la fiamma eterna di Yad Vashem e ha commentato: "Spero che molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità - ha continuato - gli animi coraggiosi, giovani e vecchi, devono restare saldi davanti a ciò in cui credono". Dopo appena mezz'ora di volo in elicottero il presidente era già immerso in un'atmosfera molto più serena, guidato sulle orme di Gesù fra le rovine del villaggio di pescatori di Capernaum. "Un'esperienza stupefacente" ha affermato il presidente, che è un cristiano praticante. Dalle pacate acque del lago di Tiberiade è risalito quindi sul vicino Monte della Beatitudine, dove lo attendevano frati francescani. Fra l'altro gli è stato indicato il passaggio: "Beati siano quanti operano per la pace perchè saranno chiamati figli di Dio". Parole che hanno certo avuto un impatto particolare dopo che nei giorni scorsi, fra Gerusalemme, Ramallah e Betlemme, Bush ha cercato di individuare un terreno comune sul quale edificare nei prossimi mesi un trattato di pace che metta fine al conflitto israelo-palestinese.La pacifica e benefica pausa in Galilea è durata poco più di un'ora. Dopo di che Bush è stato prelevato da un elicottero che lo ha portato all'aeroporto di Tel Aviv, da dove a bordo dell'Air Force One ha subito proseguito la sua missione in altre zone calde del Medio Oriente: prima tappa, il Kuwait, dove è giunto nel tardo pomeriggio. Dalle lacrime allo Yad Vashem alla "gaffe della cena".. Durante la cena offerta l'altra sera dal premier israeliano Ehud Olmert, Condoleezza Rice passa un biglietto al Presidente che le sedeva vicina. Dopo alcuni istanti di riflessione, Bush decide di condividere con i commensali il contenuto del messaggio: "Mi dice di chiudere la bocca", precisa, fra le risate generali. In precedenza Bush, particolarmente galante con la ministra degli Esteri Tzipi Livni, era entrato in modo pesante nei giochi politici israeliani, nel tentativo di persuadere i leader del partito laburista Ehud Barak, di Israel Beitenu Avigdor Lieberman e di Shas Ely Yishai a non lasciare la coalizione di governo guidata da Olmert. "Sono a conoscenza - rivela Bush - delle questioni che vengono discusse, anche da parte di persone che siedono qua con noi. Non voglio immischiarmi ma penso che Olmert sia un leader importante e che debba essere aiutato. Siamo in un periodo importante e decisivo. Non dobbiamo lasciarci sfuggire la occasione di pace. Se non lo faremo adesso, poi sarà tutto più difficile". Dalla "gaffe" alla promessa di ritornare. In una breve dichiarazione all'aeroporto di Tel Aviv, prima di lasciare Israele alla volta di Kuwait City, Bush ha definito "molto positiva" la sua visita ed ha ribadito di essere convinto, dopo due giorni di colloqui, "che vi sia una buona possibilità di raggiungere la pace". Il presidente Usa, che è stato salutato all'aeroporto dal suo omologo israeliano Shimon Peres e dal premier Olmert, ha detto di aver accettato l'invito di tornare in maggio in maggio per le celebrazioni dei 60 anni di Israele. "Vi ringrazio molto per l'invito - è il commiato di Bush - lo accetto volentieri".

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Un viaggio nella memoria per il capo della Casa Bianca Prima di ripartire annuncia: tornerò a maggio in Israele (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 12-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Un viaggio nella memoria per il capo della Casa Bianca Prima di ripartire annuncia: tornerò a maggio in Israele.

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90 minuti per ricordare meglio (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 12-01-2008)

 

> Bastano 90 minuti di sonno per studiare o ricordare meglio qualcosa. Sono le conclusioni di uno studio realizzato dall'università di Haifa (Israele): dopo aver memorizzato una sequenza di dati, a un gruppo di individui era consentito di dormire un'ora e mezza, ad altri no. Solo i primi hanno mostrato di ricordare senza problemi.

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GERUSALEMME Gli Stati Uniti avrebbero dovuto bombardare il (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 12-01-2008)

 

GERUSALEMME Gli Stati Uniti avrebbero dovuto bombardare il campo di sterminio nazista di Auschwitz (Polonia): questa la convinzione espressa ieri dal presidente statunitense George Bush durante una commossa visita al Museo della Shoah Yad va-Shem, di Gerusalemme. Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Fa a pezzi la ragazza per mangiarla: 'È stato Dio a dirmelo' Rubano giocattoli Arrestati Bush in israele: "Occasione per la pace" Da un tavolo intorno al quale si sono riuniti tre soggetti ... Ritiro attestati del Pd, bassa affluenza MASSA MARITTIMA Avrebbero usato dei kalashnikov i cinque ... La sua ultima giornata in Israele è stata dedicata a questioni di carattere filosofico-spirituale: da Gerusalemme Bush ha proseguito per il Lago di Tiberiade (Galilea), nei luoghi di Capernaum e del Monte della Beatitudine dove Gesù predicò ed operò miracoli. Proprio una drammatica questione storica gli si è parata davanti mentre a Gerusalemme, accompagnato dal capo dello stato Shimon Peres e dal premier Ehud Olmert visitava con occhi lucidi di commozione il museo dell'Olocausto. A colpirlo in modo particolare sono state alcune immagini fotografiche di Auschwitz scattate da velivoli della aviazione Usa. Secondo il direttore di Yad va-Shem, Avner Shalev, Bush ha scambiato allora qualche parola con il segretario di stato Condoleezza Rice, domandandosi per quale ragione non fosse stato deciso un bombardamento che mettesse fine alle atrocità. 12/01/2008.

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Alessandro Austini a.austini@iltempo.it Il più silenzioso (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 12-01-2008)

 

Alessandro Austini a.austini@iltempo.it Il più silenzioso dei brasiliani, un uomo di poche parole e tanti fatti. La miscela vincente per far dimenticare in fretta un certo Cristian Chivu: Juan ci è riuscito al primo intervento in campo. Da quel momento Roma e la Roma hanno capito di aver preso un campione. Home Sport prec succ Contenuti correlati Fa a pezzi la ragazza per mangiarla: 'È stato Dio a dirmelo' Video sexy, ministro malesiano si dimette Egitto, muoiono due italiane Alle materne anche i figli dei stranieri irregolari La saga degli Agnelli tra eredità e gelosie Bush in israele: "Occasione per la pace" Il centrale della Seleçao non vede l'ora di riprendere l'inseguimento all'Inter e non risparmia consigli per gli acquisti. Brasiliani, ovviamente. Si riparte domenica da Bergamo. Che Roma ritroveremo? "Una squadra più forte di quella che ha chiuso il 2007. Ci siamo riposati dopo tanti impegni ravvicinati e in questi giorni abbiamo avuto il tempo di allenarci bene e recuperare giocatori importanti". è vero che mercoledì Spalletti ha annullato la seduta pomeridiana perché vi ha visto distratti? "No, prima di iniziare l'allenamento al mattino sapevamo già che sarebbe stato l'unico della giornata e proprio per questo siamo rimasti in campo più a lungo". Qualcuno pensa che vi siate già arresi in campionato. "Voglio rassicurare i tifosi: la Roma allo scudetto ci crede ancora. Da parte nostra dobbiamo pensare a fare il massimo e, al tempo stesso, sperare in qualche risultato negativo dell'Inter. Insomma, non dipende solo da noi". Come dice De Rossi, è così frustrante rincorrere i nerazzurri? "No, anche se non è facile giocare con l'obbligo di vincere sempre. Ma vedrete che ora l'Inter si fermerà: non è possibile che una squadra vinca tutte le partite". La Roma è piena di brasiliani, Roberto Mancini ha tanti argentini. Una sfida nella sfida? "Non direi, perché l'Inter è una vera e propria "multi-nazionale". Mettiamola così: è come giocare Brasile-Resto del Mondo". Ronaldo e Adriano che fine faranno? "Sono convinto che presto li rivedremo a grandi livelli, anche in Nazionale". A proposito di Seleçao, lei chi porterebbe dei suoi compagni di nazionale a Trigoria? "è difficile scegliere tra così tanti campioni. Gilberto dell'Herta Berlino è uno di questi. Non è un giocatore comune e se lo fosse non farebbe parte del Brasile". E la Roma lo sta seguendo. Le piacerebbe giocare in coppia con Lucio anche in giallorosso? "Lui è un altro grande difensore e non posso nascondere che con lui mi trovo a meraviglia. Ora ha un contratto col Bayern ma chissà cosa accadrà in futuro. Detto questo, non voglio togliere nulla a Mexes e Ferrari: per me sono due ottimi compagni". Mancini, invece, sembra sempre più lontano dalla Roma. "è un grande calciatore ma se deve rimanere o meno è una decisione in cui non voglio entrare: spetta soltanto a lui e alla società". Col Real che sfida sarà? "Un confronto tra due grandi squadre, sarà bello incontrare il mio amico Robinho. Per noi è un ostacolo difficile, ma ce la giocheremo sia in casa che al Bernabeu: abbiamo tutte le carte in regola per passare il turno". Come procede l'ambientamento in Italia? "Il campionato è molto più competitivo rispetto alla Bundesliga. Avversarie così forti le puoi incontrare solo qui, in Inghilterra e Spagna. Lo sapevo prima di arrivare, ma per fortuna mi sono inserito subito senza troppi problemi". Il segreto? "L'esperienza e la maturità acquisita negli anni. Questo mi aiuta a fare in campo la cosa giusta al momento giusto". Cosa ha dovuto imparare? "La cultura della tattica è una cosa nuova per me e mi sono dovuto adattare. Poi ci sono tanti grandi attaccanti da marcare". Il più forte che ha incontrato? "Non so dirlo". Totti è il più bravo in quel ruolo? "Lui non è solo un grande attaccante ma un campione a 360 gradi: sicuramente è tra i primissimi in Italia". è stato difficile dover rimpiazzare Chivu? "Ad essere sincero non mi sono mai posto il problema. Stiamo parlando di un grande giocatore, lo rispetto, ma sono venuto a Roma convinto di poter dimostrare il mio valore. Fino ad ora ci sono riuscito e l'affetto dei tifosi nei miei confronti lo dimostra". Ha già segnato tre gol in giallorosso. Per caso da bambino faceva l'attaccante? "Come tutti i brasiliani da piccolo pensavo solo a segnare. Ma da quando ho iniziato a giocare a certi livelli ho sempre fatto il difensore". Ha iniziato a conoscere la città? "Roma mi piace, è bellissima, accogliente e mi trovo molto bene con la gente. A volte mi sembra di essere in Brasile". Come va con l'italiano? "Così così....Ma se ho imparato il tedesco ci riuscirò anche stavolta". La prime parole che ha imparato? "Forza Roma....". è vero che stava per finire alla Lazio? "Sì, qualche anno fa c'è stato un contatto con la società allora gestita da Cragnotti: non se ne fece nulla". 11/01/2008.

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Scuola di bon ton con la Carlucci Al Bano tra gli allievi del reality (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 12-01-2008)

 

Tommaso Gandino Dal 25 gennaio, inizierà il nuovo periodo di garanzia che vedrà il venerdì sera Rai Uno e Canale 5 più agguerrite che mai: "Uomo e Gentiluomo", sulla rete ammiraglia di viale Mazzini, si proporrà di rieducare un gruppo di otto uomini, palesemente a digiuno di "buone maniere" e naturalmente incapaci di esprimere la parte sensibile di se stessi, trasformandoli nel partner che ogni donna desidera al proprio fianco. Home Spettacoli prec succ Contenuti correlati Sport e scuola, convegno promosso dall'Einaudi Rubano giocattoli Arrestati La scuola chiude o no? "Giallo" svelato Una scuola a Borgo S. Maria Lega araba "Il Libano è a rischio collasso" Bush in Israele, razzi dal Libano Lo show proporrà un corso accelerato di romanticismo e misura, seguendo i progressi dei partecipanti di settimana in settimana e sottoponendoli a prove pratiche e test da cui una giuria prettamente al femminile, selezionerà i migliori. Alla conduzione, un nome una garanzia di galateo televisivo Milly Carlucci: nel ruolo di maestra di bon ton, insegnerà a otto personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e del giornalismo, come bisogna comportarsi in determinate situazioni. Tra gli allievi della scuola di buone maniere di "Uomo e Gentiluomo", ci saranno il cantante Al Bano Carrisi, lo "scugnizzo" napoletano Nino D'Angelo, il pugile campione europeo Vincenzo Cantatore e il critico del quotidiano "Libero", Alessandro Rostagno. Un programma apparentemente audace per una rete istituzionale, vista la formula di nuova generazione, che si scontrerà il venerdì sera con il collaudatissimo "Ciao Darwin" di Marco Luci e Federico Moccia. Chi avrà la meglio tra il volto istituzionale della Rai Milly Carlucci e l'onnipresenza televisiva delle reti Mediaset, Paolo Bonolis? 12/01/2008.

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Il Museo Nazionale del Cinema organizza la personale di uno degli autori più controversi del ci (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 12-01-2008)

 

Nema internazionale, Eyal Sivan. Emblematico il titolo della rassegna di film a lui dedicata sino al 16 gennaio nella sala Tre del Massimo: "Dubitare, disobbedire, combattere. Il cinema di Eyal Sivan". Nato nel 1964 ad Haifa, in Israele, Sivan è un documentarista noto per le sue posizioni antisioniste. Pochi i suoi lavori approdati nelle sale italiane: svetta "Uno specialista. Ritratto di un criminale moderno", ricostruzione del processo svoltosi nel 1961 nella Casa del Popolo di Gerusalemme nei confronti di Adolf Eichmann, gerarca nazista a capo del dipartimento della sicurezza interna del Terzo Reich. Sivan avrebbe dovuto incontrare il pubblico venerdì 11, alla "prima" italiana del documentario "I volti dei caduti - L'esercito dei morti" sui soldati americani che hanno perso la vita in Iraq, ma è impegnato su un set e ha quindi annullato l'appuntamento. \.

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Israele, Bush parla troppo Condy Rice: chiudi il becco pag.1 (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 12-01-2008)

 

Israele, Bush parla troppo Condy Rice: chiudi il becco di Gian Micalessin - sabato 12 gennaio 2008, 07:00 L'imbarazzo si stempera in una colossale risata, riconsegna al presidente la serata. Otto ore più tardi le risate della cena diventano pianto e commozione davanti alla fiamma eterna del Museo dell'Olocausto. "Spero molti vengano qui da tutto il mondo, questo luogo - sussurra il presidente in lacrime - deve diventare un monito per far capire che il male esiste e quando viene individuato, bisogna resistergli". Davanti ad una cartina aerea di Auschwitz parlotta con la Rice e conclude: "Avremmo dovuto bombardarlo". Infine, prima di volare in Kuwait, Bush visita i resti di Capernaum, dove Gesù stupì i sacerdoti del Tempio, e la Chiesa delle Beatitudini, sorta sui luoghi del Sermone della Montagna. Partendo dall'emirato invaso da Saddam e liberato a suo tempo dal padre, il presidente punta a rilanciare i temi di Annapolis, guadagnare l'appoggio delle nazioni arabe ai piani di pace e consolidare la politica anti iraniana.

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Israele, Bush parla troppo Condy Rice: chiudi il becco (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 12-01-2008)

 

Di Gian Micalessin - sabato 12 gennaio 2008, 07:00 Imbarazzo, ilarità, commozione. Le ultime dodici ore di George Bush in Israele sono una recita senza copione, un'esibizione senza rete durante la quale il presidente riesce a farsi zittire da Condoleezza Rice, ma anche a travolgere ogni schema. Prima trasforma una cena inabissatasi nei gorghi dell'imbarazzo politico in un esilarante cabaret. Poi, prima di volare in Kuwait, commuove se stesso e il mondo suggellando nel raccoglimento e nell'emozione le visite al museo dell'Olocausto e ai luoghi santi della Cristianità. Il meglio, per chi ama la sua fama di gaffeur, lo offre giovedì sera durante la cena con il premier Ehud Olmert e i ministri del governo israeliano. Quella del premier israeliano non è proprio una compagine di fedelissimi. Il rapporto finale della commissione Winograd, incaricata di far luce sulle responsabilità che hanno contribuito agli insuccessi della guerra ad Hezbollah nell'estate 2006, è in dirittura d'arrivo e molti ministri si preparano ad abbandonare il capo al proprio destino. Senza Olmert i piani di pace mediorientali, disegnati ad Annapolis e perfezionati a Gerusalemme, rischiano, però, di diventare lettera morta. George dunque si stringe al fianco dell'amico Ehud, s'infila a gamba tesa nella complessa mischia della politica israeliana, tenta di persuadere i leader del partito laburista Ehud Barak, del partito Israel Beitenu, Avigdor Lieberman e del partito Shas, Ely Yishai a non abbandonare la barca che affonda. "Sono a conoscenza delle questioni in discussione - butta lì mentre Condoleezza vorrebbe tirargli un calcio - non vorrei immischiarmi, ma penso che Olmert sia un leader importante e debba venir aiutato. Non dobbiamo lasciarci sfuggire l'occasione della pace. Se non lo facciamo adesso, dopo sarà tutto più difficile". Il tavolo si gela. Barak guarda nel piatto, Lieberman finge di non sentire, Condoleezza tira fuori carta e penna, butta giù un breve appunto. Il presidente ammutolisce, gli occhi dei commensali incuriositi fissano, congelano, inseguono il passaggio di quel flagrante "pizzino". Bush se lo rigira tra le dita, lo sillaba come un messaggio da baci Perugina, poi alza lo sguardo, allarga le braccia, indica l'imperturbabile Condoleezza e confessa tutto: "Mi dice di chiudere la bocca".

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IN CITTA' Werner Herzog FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO, VIA MODANE 16, OR.: 12/20, GIOVED (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 12-01-2008)

 

I' 12/23, CHIUSO LUNEDI' Nell'ambito della manifestazione "Segni di Vita. Werner Herzog e il cinema", la Fondazione ospita una mostra ricca di strumenti che permettono di approfondire l'idea di cinema dell'artista tedesco. Accanto alla sezione fotografica, l'esposizione segue un itinerario composto da una serie di video. Inaugurazione martedì 15 gennaio; è aperta fino 10 febbraio. Luci d'artista INFO. TORINOCULTURA: 800 015475 Le 19 installazioni saranno illuminate fino al 13 gennaio. Novecento - Trilogia dell'automobile TORINO ESPOSIZIONI, CORSO MASSIMO D'AZEGLIO 15, OR: MARETDI'-DOMENICA 10/18,30. Le più belle auto del '900; fino al 30 marzo. Why Africa? PINACOTECA AGNELLI, VIA NIZZA 230, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/19. INGR.: INT. 7 EURO, RID. E GRUPPI 6, SCUOLE E BAMBINI 6/12 ANNI 3,50. APERTO 8 DIC. E 6 GENN. VISITE GUIDATE 011/0062713. WWW.PINACOTECA-AGNELLI.IT Esposta per la prima volta in Italia una parte della più importante collezione al mondo di arte contemporanea africana. Il tema più ricorrente nelle opere è il profondo legame con il territorio al quale gli artisti si rivolgono proponendo la loro personale esperienza della realtà. La mostra rimane aperta fino al 3 febbraio. Racconti fotografici GAM, VIA MAGENTA 31, OR: MARTEDI'-DOMENICA 10/18, LA BIGLIETTERIA CHIUDE UN'ORA PRIMA. INGRESSO: 7,50 EURO, RIDOTTO 6; INFO 011/4429518. WWW.GAMTORINO.IT Fino al 27 gennaio, sono esposte 50 delle mille opere acquisite negli ultimi 5 lustri. Nella sala didattica, al piano interrato, è ospitata poi, sino al 20 gennaio, la mostra fotografica scaturita dal workshop di Bruna Biamino. Tempeste polari MUSEO DELLA MONTAGNA, P.LE MONTE DEI CAPPUCCINI 7, OR.: 9/19, LUNEDI' CHIUSO. WWW.MUSEOMONTAGNA.ORG Manifesti e film dei primi trent'anni di cinema sulla grande avventura esplorativa in Artide e Antartide. Fino al 10 febbraio. Dragone e Torino ARCHIVIO DI STATO, VIA PIAVE 21, OR.: MARTEDI'-SABATO 12,30/18, DOMENICA 15/18 "Dragone e Torino. Cinquant'anni d'arte e di vita", esposizione di documenti storici che testimoniano della vita culturale torinese, raccolti da Jolanda e Angelo Dragone. L'esposizione prosegue sino al 13 gennaio. Splendide preziosità quotidiane MUSEO DI ANTROPOLOGIA, VIA ACCADEMIA ALBERTINA 17 La collezione si arricchisce di un centinaio di reperti del primo '900 dell'Asia Centrale. Le opere rimarranno in esposizione sino al 31 marzo. Torino inedita ARCHIVIO STORICO DELLA CITTÀ DI TORINO, VIA BARBAROUX 32, OR.: LUNEDI'-VENERDI' 8,30/16,30 Quattro panorami di Luigi Vacca, fino al 31 marzo. Massimo Ghiotti RETTORATO, VIA PO 17. OR: 7.30/18 (INGRESSO VIA PO) E 7,30/19,30 INGRESSO VIA VERDI.; SABATO E DOMENICA INGRESSO VIA PO 15,30/19,30. La mostra comprende sette opere monumentali dai titoli: "Triade dialettica", "Origo", "Tristan und", "Le ruote torinesi del carro di Fetonte", "Signum", "Kouros metallurgico" ed "Esprit de gèomètrie", che dà il titolo alla esposizione. Un'ottava scultura dal titolo: "Scultura modulare urbana 3002 ", costituita da 46 putrelle della medesima lunghezza, è collocata in Piazza Castello, nell'area alla convergenza delle vie Po e G.Verdi. L'esposizione è stata prorogata sino a martedì 15 gennaio. Paolo Guasco PIEMONTE ARTISTICO CULTURALE, VIA ROMA 264, ORARI: LUNEDI' - SABATO 15,30/19,30, INGRESSO LIBERO Fino al 26 gennaio, Piemonte Artistico Culturale propone una antologica del pittore torinese Paolo Guasco. La mostra segue quella tenuta alla Civica Galleria d'Arte Filippo Scroppo di Torre Pellice. Alle opere già esposte si aggiunge un importante nucleo appartenente agli anni '70. A fioca. nevica. BIBLIOTECA PRIMO LEVI, V. LEONCAVALLO 17, OR.: LUN.15,30 /19,30; MAR. E MER. 14/19,30; GIO. VEN. SAB. 8,15/14 Diciotto opere di artisti piemontesi, fino al 15 gennaio. Iscrizioni a IoEspongo INFO 011/5692009 E SUL SITO WWW.ASSOCIAZIONEAZIMUT.NET Sono aperte le iscrizioni gratuite a IoEspongo 11ª edizione, concorso dedicato ai giovani artisti emergenti. Le attività di confronto saranno pittura, scultura, e fotografia. Il pubblico selezionerà i finalisti che saranno giudicati in seguito da una giuria di professionisti. I vincitori del concorso, riceveranno in premio l'allestimento di una mostra personale ed un catalogo. Daniel Glaser Magdalena Kuntz Miha Strukelj GAGLIARDI ART SYSTEM, CORSO VITTORIO EMANUELE II 90, ORARIO: 15/20 Martedì 15 gennaio, dalle 18,30 alle 21, s'inaugurano due mostre: la prima, di Daniel Glaser e Magdalena Kuntz, presenta tre installazioni, mentre la seconda, di Miha Strukelj indaga i confini tra pittura e disegno nell'era della tecnologia. Entrambe le esposizioni terminano il 26 febbraio. Ernesto Jannini e Fausto Morviducci FUSION ART GALLERY, PIAZZA PEYRON 9/G, ORARIO: MARTEDI', GIOVEDI' E VENERDI' 16,30/19,30 O SU APPUNTAMENTO 335/6398351 Personali a cura di Edoardo Di Mauro e Walter Vallini; proseguono sino al 29 gennaio. Stanze-Salvatore Astore ALLEGRETTI, VIA SAN FRANCESCO D'ASSISI 14, ORARIO: MAR-SAB 10/13 E 14/19 Personale; sino al 31 gennaio. Le opere del calendario SALOTTO DELL'ARTE, VIA ARGONNE 1/C, ORARI: LUNEDÌ - VENERDÌ 16,30/19, SABATO 10,30/19,30 Martedì 15 gennaio alle 18,30 s'inaugura una esposizione delle opere pittoriche e sculture pubblicate sul calendario 2008 del "Corriere dell'arte". A queste, si aggiungono alcune altre di: Giancarlo Aleardo Gasparin, Martino Bislacco, Alberto Maria Marchetti, Adri Mazzetti, Lia Laterza, Anna Borgarelli, Adelma Mapelli, Massimo Alfano, Ines Daniela Bertolino, Giorgio Flis, Dolores Dosio e Tatiana Veremejenko. Sino a sabato 26. Anni '60 ARTEREGINA, CORSO REGINA MARGHERITA 191, ORARI: MARTEDI' - VENERDI' 15/19, SAB. 9,30/12,30 E 15/19 " Frammenti di storia - Anni '60 - Artisti torinesi " (Sergio Agosti, Nino Aimone, Alfredo Billetto, Romano Campagnoli, Antonio Carena, Francesco Casorati, Mauro Chessa, Mario Davico, Pietro Gallina, Gino Gorza, Horiki Katsutomi, Angelo Maggia, Pino Mantovani, Adriano Parisot, Piero Rambaudi, Piero Ruggeri, Sergio Saroni, Giacomo Soffiantino e Mario Surbone. Sino al 31. Grafica di artisti futuristi GALLERIA NARCISO, PIAZZA CARLO FELICE 18, ORARIO: 10/12,30 E 15,30/19,30 Collettiva; sino al 19 gennaio. Marcello Giovannone FOGLIATO, VIA MAZZINI 9, OR.: 10/12,30 E 16/19,30, CHIUSO FESTIVI E LUNEDI' MATTINA Fino al 29 gennaio, personale "Impronte del tempo". David Gerstein ERMANNO TEDESCHI, VIA C. I. GIULIO 6, ORARI: MARTEDI'-SABATO 11/13 E 16/20 O SU APP. 011/4369917 Giovedì 17 gennaio alle 18,30, inaugurazione della personale dell'artista israeliano. Sino al 29 febbraio. Silvio Brunetto GALLERIA D'ARTE BERMAN, VIA ARCIVESCOVADO 9/18, ORARIO: MARTEDI' - SABATO 10/12,30 E 16/19 "Inverno bianco", personale in esposizione sino al 9 febbraio. Carlo Del Corso OMNIA TEMPORA, VIA BORGO DORA 23/D, OR.: MARTEDI'-SABATO 9/13 E 15/19 Personale : "Fantasia antica della luce"; sino al 20 gennaio. Incisioni GALLERIA IL CALAMO, VIA DELLA ROCCA 4/L. ORARIO: 10,30/12,30 E 16,30/19,30 "Incisioni dal XV al XX secolo", opere grafiche di maestri antichi e moderni, tra cui alcuni giapponesi. Sino a fine febbraio. Pippo Leocata FOGOLA, PIAZZA CARLO FELICE 15, ORARIO: LUNEDI' 15,30/19,30, DAL MARTEDI' AL SABATO 10,30/19,30, DOMENICA 10,30 13 Esposizione di olii su tela ed acqueforti del pittore catanese; sino al 31 gennaio. Ceramiche TERRE D'ARTE, VIA MARIA VITTORIA 20/A Fino al 12 gennaio, "Timeless glamour", opere di Clara Garesio. Un regalo per Natale ARTEINCORNICE, VIA VANCHIGLIA 11 Fino al 12 gennaio, una raccolta di proposte-dono. Collezioni GALLERIA DEL PONTE, CORSO MONCALIERI 3, OR.: MAR-SAB 10/12,30 E 16/19,30; DIC. APERTO DOMENICA E FEST. Dai Sei di Torino a Carol Rama; fino al 26 gennaio. Umberto Mastroianni LA CLESSIDRA, CORSO MEDITERRANEO 69/8, ORARIO: 10/12,30 E 16/19,30 CHIUSURA LUNEDÌ Fino al 24 gennaio, sono esposte alcune opere di Umberto Mastroianni e di pittori del 900. Mathew Sawyer GALLERIA SONIA ROSSO, VIA GIULIA DI BAROLO 11/H, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 15/19 O SU APPUNTAMENTO 011/8172478 Sino al 31 prosegue la personale di collages "Don't tell the others what we were singing". Quadreria GALLERIA MICRO', PIAZZA VITTORIO VENETO 10, ORARI: MARTEDI' - VENERDI' 16/19,30, SABATO 10,30/12,30 E 16/19,30 Esposizione di Natale della galleria, fino al 26 gennaio. Hispanidad GALLERIA 44, VIA DELLA ROCCA 4/I, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10,30/12,30 E 16/19,30, WWW.GALLERIA44.COM Opere pittoriche del maestro Munoz Vera e degli allievi della Scuola di Chinchòn. Sino al 12 gennaio. Ettore Spalletti NMB, VIA MAZZINI 50/E, ORARIO: 10/13 E 16/20 CHIUSO DOMENICA E LUNEDI' Fino al 26 gennaio, due lavori installativi di Spalletti. Gabriele Arruzzo GALLERIA ALBERTO PEOLA, VIA DELLA ROCCA 29, ORARIO: LUNEDI'-SABATO 15,30/19,30 O SU APPUNTAMENTO 011/8124460 "Hortus conclusus", personale pittorica; sino a sabato 26 gennaio. Angiolo Volpe LA TESORIERA, CORSO FRANCIA 268, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10/13 E 16/20 Mostra personale di pastelli, in esposizione fino al 19 gennaio. Il vetro è duro PRON ART&DESIGN, VIA DELLA CONSOLATA 8, ORARIO: MARTEDI'-VENERDI' 16/20 Lavori in vetro, bianchi o neri, di Massimo Micheluzzi. Sino all'11 gennaio. Paul Fryer GUIDO COSTA PROJECTS, VIA MAZZINI 24, ORARIO: LUNEDI'-SABATO 11/13 E 15/19 "In Loving Memory", prima personale italiana dell'artista britannico Paul Fryer. Le opere rimarranno in esposizione sino al 31 gennaio. Incisioni IN-FOLIO, C.SO AGNELLI 34 (2°PIANO), ORARIO: 10,30/12,30 E 15,30/19 200 opere originali maestri dal XV al XIX secolo; sino al 31. Attraversamenti GALLERIA MAR & PARTNERS, VIA PARMA 64, ORARIO: MARTEDI'-VENERDI' 15,30/19,30 O SU APPUNTAMENTO 011/854362 Opere di M. Cirino, A. Aquilani, G. Sabatini. Sino al 21 gennaio. Incisioni di Grandi Maestri SALAMON, VIA VOLTA 9, ORARIO: 10/12,30 E 16/19,30, CHIUSO DOM.E LUN. MATT., DIC. APERTO I FESTIVI Fino al 26, stampe di M. Schongauer, I. Van Meckenem, Durer, Rembrandt, Casorati e altri. Carol Rama GALLERIA CARLINA, PIAZZA CARLINA 17/A, ORARIO: 10/12,30 E 15,30/19,30, LUNEDI' E FEST. SU APP. 011/8173344 Opere inedite, fino al 12 gennaio. Segno forma e colore BIASUTTI, VIA DELLA ROCCA 6/B, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10,30/12,30 E 15,30/19,30 Collettiva, fino al 26 gennaio. Eraldo Taliano GALLERIA PAOLO TONIN, VIA SAN TOMMASO 6, ORARIO: LUNEDI'-VENERDI' 10,30/12,30 E 15,30/19,30 Personale, sino al 31 gennaio. L'insostenibile leggerezza dell'eros MARENA ROOMS, VIA DEI MILLE 38, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 15,30/19,30 Sino al 26 gennaio, collettiva sull'eros. Art away NON PERMANENT GALLERY, VIA MONTEMAGNO 37, ORARIO: MARTEDI' - SABATO 15,30/19,30 OPPURE SU APPUNTAMENTO 011/3724084 Collettiva pittorica e fotografica dal titolo: "Sit number 7: Art away - non conventional Xmas". Espongono: Fernando Montà, Mariella Bogliacino, Mauro Trucano, Nëri Ceccarelli, Nicola Boursier, Oscar Bagnoli, Paolo Cotza, Piero Ariotti, Pier De Felice, Radà e Umberto Grati. Sino al 26 gennaio. Piero Rambaudi ROCCATRE VIA DELLA ROCCA 3 OR.: MAR-SAB 10,30/12,30 E 16/19,30 Prosegue sino al 19 la personale di Rambaudi di opere su carta e oli su tela. E' accompagnata da una collettiva di artisti contemporanei (Paulucci, Carol Rama, Bozzetto, Graziani e altri). Enrico De Paris E. T. GALLERY, VIA C. I. GIULIO 6. ORARIO: MARTEDI'-SABATO 11/13 E 16/20 O SU APPUNTAMENTO 011/4369917 "Bio-landscape", serie di nuovi dipinti; sino al 14 gennaio. Felice Casorati GALLERIA MAZZOLENI, PIAZZA SOLFERINO 2. ORARIO: MARTEDI'-DOMENICA 10/13 E 16/19,30 WWW.MAZZOLENIARTE.IT "Dipinti, sculture, disegni. 1907-1963"; sino al 15 gennaio. Daniel Spoerri BIASUTTI & BIASUTTI, VIA BONAFOUS 7/L, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 10/12,30 15,30/19,30 I giochi dello stupore, sino al 19. Non è tutto oro quello che luccica CATARTICA, VIA GARIBALDI 9 BIS, ORARIO: FINO AL 23 DICEMBRE 10/22, 8-26 GENNAIO MA-SA 16/20 Mostra-boutique gioielli e bijoux di 15 artisti. Fino al 26 gennaio. In Tarot Mistique FATTORE K, VIA C. BALBO 10/D, ORARIO: MARTEDI'-SABATO 18/2 DI NOTTE Opere di G. Scolaro e D. Bologna sino al 15 gennaio. Leonor Autunes ASSOCIAZIONE BARRIERA, VIA CRESCENTINO 25, ORARIO: MARTEDI'-VENERDI' 16/19,30, SA. 10/13 Sino al 13 gennaio, una mostra ispirata all'opera di Mollino. Ponte tra le culture FRATIA, CORSO GIULIO CESARE 29 BIS, 3° PIANO, OR.: 15/18 "Arte. Ponte tra le culture e le differenze", collettiva internazionale, fino al 19 gennaio. Il Girotondo dell'Orsa ATELIER COLANGELO, VIA MAZZINI 39, ORARIO: 17/19,30 Fino all'11 gennaio, ceramiche di Margherita Piccardo ed una installazione. Sergio Spagnolo ATELIER "ARTUPART" VIA MASSENA 42/A Prosegue fino al 28 febbraio la personale dell'artista. Paolo Carta SUD, VIA P. TOMMASO 18 BIS, OR.: MAR-SAB 19/2 DI NOTTE "Tra ispirazione e realtà", personale dedicata alle tradizioni sarde; fino all'8 febbraio. Collettiva LA BOTTEGA DEL FIGLIUOL PRODIGO, VIA MAZZINI 34, APERTO LUN-SAB 10/17 Esposizione permanente di dipinti ed incisioni di stampo figurativo ed astratto. Opere di: E. Broggini, A. Lo Bello, F. Gagliardi. Illustrazione SPAZIO STEINER, LUNGO DORA AGRIGENTO 20/A, ORARI: LUNEDI'-SABATO 9/13, FESTIVI ESCLUSI "Cosa fanno le befane il resto dell'anno", viaggio fantastico nell'illustrazione per l'infanzia. Inaugurazione sabato 12 gennaio, ore 11; prosegue sino all'8 febbraio. Innovazione e design LICEO COTTINI, VIA CASTELGOMBERTO 20 Mostra itinerante; sino al 12 gennaio. Oscar Bagnoli Neri Ceccarelli ALLOCCO ARREDAMENTI, CORSO GALILEO FERRARIS 26 Doppia personale pittorica; sino al 26 gennaio. Antonello Beniamino CORTILE DI C.SO VITTORIO E. 108 Fino al 15 gennaio, è esposta la scultura "La Sacra Famiglia". Carlotta Tararbra CAFFE' FIORIO, VIA PO 8 Dipinti su Torino ed interpretazioni dei grandi maestri; l'esposizione prosegue fino al 10 febbraio. Another Christmas ARGONAUTA, VIA XX SETTEMBRE 78 M-I, ORARIO: DAL MARTEDI' AL SABATO DALLE 15,30 ALLE 19 Collettiva di artisti italiani e stranieri; le opere rimarranno in esposizione sino al 12 gennaio. Pierpaolo Rovero RISTORANTE CANTINA DI BABETTE, VIA ALFIERI 16/F, ORARIO: 12,30/15 E 20/22,30, CHIUSO SABATO MATTINA E DOMENICA Personale di Pierpaolo Rovero intitolata: "Esecuzioni". Le opere rimarranno in esposizione sino a metà gennaio. Kurt Mair COOPERATIVA BORGO PO E DECORATORI, VIA LANFRANCHI 28. ORARIO: 10/30/12,30 E 15/19,30, CHIUSO MERCOLEDI' Incisioni a colori. Inaugurazione mercoledì 16 gennaio alle 18. La mostra rimane aperta sino al 12 febbraio. Titti Garelli THE TEA, VIA CORTE D'APPELLO 2 "Christmas Tea", personale di acquerelli; le opere rimarranno in esposizione , sino al 12 gennaio. Elisabetta Astolfi ORDINE DEGLI AVVOCATI, VIA SANTA MARIA 1, ORARIO: 10/12 E 15/19,30 "Alla ricerca di Avalon", ventuno dipinti. Inaugurazione sabato 12 gennaio alle 18. L'esposizione prosegue sino al 19 gennaio e nei pomeriggi di apertura, sarà presente l'artista. Pink art UNICREDIT, C.SO GIULIO CESARE 109 Collettiva; le opere rimarranno in esposizione sino a fine gennaio. UniRebum UNICREDIT, V. NIZZA 148 Collettiva; le opere rimarranno in epsposizione sino al 30 gennaio. Il Cavalletto BANCA SELLA, PIAZZA CASTELLO 125, ORARIO: DAL LUNEDÌ AL VENERDÌ 8,30/13,25 E 14,40/15,40 Fino a giovedì 21 gennaio, mostra collettiva "Il Cavalletto presenta i suoi Pittori". IN PROVINCIA Gilbert & George CASTELLO DI RIVOLI, P. MAFALDA DI SAVOIA, RIVOLI. ORARIO: MAR.-GIO. 10/17, VEN, SAB E DOM 10/21. INGR. INT. 6,50, RID. 4,50 EURO. TEL. 011/9565220 NAVETTA DALLA STAZIONE METRO FERMI: ORE 9/10,30/11,30/14,25/16. WWW.CASTELLODIRIVOLI.ORG La più grande ed esaustiva retrospettiva dedicata all'opera di Gilbert & George mai realizzata. La rassegna, progettata dagli stessi artisti e curata da Jan Debbaut, già direttore delle Collezioni della Tate e Ben Borthwick, assistente curatore alla Tate, dà la possibilità di seguire il loro processo creativo dagli anni Settanta ad oggi. Sono presentate circa centocinquanta opere, tra le quali Six Bomb Pictures (Immagini bomba) del 2006 e il gruppo ispirato agli atti di terrorismo a Londra. L'esposizione è ancora aperta fino al 13 gennaio. Marc Chagall SALA DELLE ARTI, CERTOSA REALE DI COLLEGNO, VIA TORINO 9, OR.: MAR-VEN 15/18,30 E FESTIVI 10/12 E 15/18,30 "Nicolaj Gogol' - Le anime morte", esposizione di 96 acqueforti, dal 1925 al 1948. Sino al 17 febbraio. Appunti -Marcello Levi VILLA REMMERT, VIA ROSMINI, 1, CIRIÈ. ORARIO: VENERDI'-DOMENICA 15/20. INGR.: INT. 4 ?, RID 2 ?, INFO: 011/3797600 "Marcello Levi: uno sguardo su Torino tra gli anni Sessanta e Settanta" è il terzo appuntamento espositivo della rassegna "Appunti. Arte contemporanea dal dopoguerra alla fine del XX secolo", un ciclo di cinque mostre curate dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per gli spazi di Villa Remmert. Questa mostra si concentra su un episodio artistico specifico: l'emergere, nella Torino di fine anni sessanta, del movimento dell'Arte Povera, raccontato attraverso la collezione di un protagonista. La mostra prosegue fino al 16 gennaio. Enrico Reycend VILLA VALLERO, CORSO INDIPENDENZA 168, RIVAROLO CANAVESE ORARIO: SABATO16/19 E DOMENICA15/19; SCUOLE E GRUPPI 0124/454680 Retrospettiva; sino al 27. Carlo Levi Giovanni Santilio CASA DEL CONTE VERDE, VIA PIOL 8, RIVOLI Sino al 13 gennaio, prosegue la personale di Santilio "La mia patria è dove l'erba trema" e due mostre, di cui una fotografica, dedicate a Carlo Levi. 200? . infinite emozioni! GALLERIA CIVICA PALAZZO OPESSO, VIA SAN GIORGIO 3, CHIERI. ORARIO: FERIALE 16/19, SABATO E FESTIVI 10,30/12,30 E 16/19 Inconsueti calendari fotografici per il 2008. Sono presentati, inoltre, alcuni "incontri" tra fotografia ed incisione. Le immagini sono di: Enrico Aliberti, Maurizio Bachis, Elisabetta Bersezio & Federico Ponzetto, Dino Mammola, Matteo Maso, Cesare Matta, Renato Paviglianiti, Andrea Quaglino & Sophie Ancel. Inaugurazione sabato 12 gennaio alle 18. L'esposizione prosegue fino al 27 gennaio. Body and soul BIBLIOTECA ARDUINO, MONCALIERI. OR.: LUN.-VEN. 14/19, SAB. 9,30/13,30, SCUOLE SU PRENOT. 011/6401603 Oltre 50 opere affrontano il tema della corporeità nella visione di 40 artisti. Sino al 23 febbraio. Tony Cragg TUCCI RUSSO, V. STAMPERIA 9, T. PELLICE. OR.: ME-DO 10,30/13-15/19 "Sculptures and Drawings", di Personale dell'artista Tony Cragg, sino al 30 gennaio. Nelle sale 1 e 2, opere di Merz, Paolini, Penone, Vercruysse e altri. Personali CASCINA ROLAND, V. ANTICA DI FRANCIA 11, VILLAR FOCCHIARDO, OR: VEN 15/19, MER, GIO, SAB. E FEST. SU APP. 328/8649957. INGR. LIBERO Sino al 13 gennaio "L'infinito e oltre" di Venere Chillemi e "Radici" di Ana Paula Di Franco. "Il colore delle mie emozioni", acquerelli di Dario Grasso, prosegue invece sino alprimo febbraio. Ermanno Barovero IL QUADRATO, V. DELLA PACE 8, CHIERI. OR.: MAR-SAB 16,30/19 "Il colore del vento e appunti salentini", personale. Fino al 15 gennaio. Marcello Domiziano Caro MEDIATECA DI VIA ALFIERI 4, PIOSSASCO, OR.: LUN.-VEN. 14/19 Quadri-murales sul tema dell'adeguatezza umana alla vita. Sino al 25 gennaio. Francesco Preverino RELAIS BARRAGE, STR. SAN SECONDO, PINEROLO Personale, sino al 28 febbraio. Roberto Simone DINOITRE LIBRERIA, VIA CAVOUR 2, ORBASSANO. ORARI DI APERTURA: LUN 15,30 - 19,30, MAR-SAB 9,30 - 12,30 ; 15,30 - 19,30 Esposizione personale di dipinti a olio. Aperitivo di inaugurazione domenica 13 gennaio, alle ore 11. L'esposizione rimane aperta sino a giovedì 7 febbraio. Opere Recenti GRAN CAFFÈ ROMA, PIAZZA S. LORENZO 23, GIAVENO. ORARI: LUNEDÌ- SABATO 8/21, MARTEDÌ CHIUSO Al Gran Caffè Roma espongono: Giuseppe Arizio, Pippo Ciarlo, Adriano Franco e Giorgio Viotto. Le opere rimarranno in esposizione sino al 25 gennaio. Franco Galetto CAFFE' DELLA RIVA, PASSEGGIATA MARCONI 6, POIRINO. CHIUSO IL MARTEDI' Sino al 3 febbraio, mostra personale di opere astratte.

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Comincia la festa, via dockers e proteste (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)

 

La città dei Beatles e dei portuali in lotta raccontati da Ken Loach, inaugura l'anno da capitale della cultura con un concerto di Ringo Starr. Ma il restyling non risolve i gravi problemi di disoccupazione e emigrazione. E intensifica l'azione della polizia. Oggi una manifestazione contro gli ultimi arresti Orsola Casagrande Liverpool Non potevano che essere i Beatles ad inaugurare il primo giorno di Liverpool, capitale della cultura 2008. Ringo Starr si è esibito sul tetto della St George's Hall di fronte a migliaia di cittadini e curiosi giunti da tutta l'Inghilterra. Nei prossimi mesi ci sarà spazio anche per Paul McCartney, l'altro pezzo di Beatles. È certamente una Liverpool tirata a lucido quella che si presenta davanti agli occhi. In effetti il restyling della città è iniziato anni fa. Volendo dare una data, dopo la fine dello sciopero dei suoi dockers, nel 1998. Anzi proprio in quell'anno il comune ha presentato la sua candidatura a capitale della cultura. Quasi a voler segnare la fine di un capitolo. Un simbolico voltare pagina. Ma quella pagina è ancora ben presente nella vita della città e dei suoi cittadini. È vero, tanta acqua è passata sotto i ponti, i docks non sembrano nemmeno più quelli della fine degli anni '90. Oggi assomigliano più a una romantica promenade. Eppure, calpestando quei moli non si può non scavare nella memoria. Nel vento tagliente riemergono, avvolte nella nebbie, le immagini dei portuali che formano i picchetti. Si intravede la fiamma tremolante che scaldava le notti dei dockers in sciopero permanente. Si vedono le donne che portano fiere le pentole di minestra ai loro uomini. Tornano alla mente le immagini del film-documentario di Ken Loach, The flickering flame. Liverpool celebra quest'anno la sua nomina a capitale della cultura e i dockers non sono presenti in questa festa. Almeno a livello ufficiale. Perché per esempio, proprio in occasione dell'opening, la rivista Nerve ha pubblicato un calendario che ripropone le tappe più significative della Merseyside Resistance, le lotte operaie e studentesche degli ultimi trent'anni. Liverpool che come città industriale (il dopoguerra ha segnato il declino della cantieristica navale e in città sono state aperte fabbriche di automobili) non è vissuta mezzo secolo ha provato dunque a reinventarsi sin dalla fine degli anni '80. Città di immigrati, molti irlandesi, è vissuta del porto e delle attività ad esso connesse fino alla seconda guerra mondiale. Quindi ha provato la via dell'industria. E fino agli anni '80 ha retto: i suoi camalli li ha riciclati nel settore metalmeccanico, un piccolo numero è rimasto nei docks a difendere il poco lavoro rimasto. Dai 700mila abitanti degli anni '70 è passata ai 400mila che fatica a mantenere oggi. L'emorragia non si è ancora esaurita. L'amministrazione locale punta su questo 2008 per il rilancio della città. Che in questi anni si è reinventata anche utilizzando il proprio passato come prodotto di marketing. La musica naturalmente è il prodotto clou nella strategia della "new Liverpool": i Beatles, ovviamente, e ancora i Beatles con i loro luoghi simbolo. Che poi significa anche la promozione di nuovi locali-cloni dal leggero sapore retrò. Per dare il senso del dinamismo e della nuova città giovane però Liverpool ha puntato anche sull'arte. Il progetto fortemente voluto dal comune di portare anche nella città del Merseyside la Tate è riuscito. E Liverpool è diventata un polo d'arte importante in Inghilterra, capace di attirare visitatori e turisti. Lo sbarco dell'arte è coinciso con la pulizia delle aree più povere della città. Fino al 2004 Liverpool come Reggio Calabria vantava il triste primato degli aiuti economici europei destinati appunto alle zone più depresse. Fin da subito ai fautori della nuova Liverpool è parso chiaro che anche i docks dovevano essere utilizzati nel rilancio. Così si è proceduto alla trasformazione del porto. Ma la memoria dei dockers e della loro epica lotta non si può certo cancellare. Per due anni i camalli hanno lottato per salvare il loro posto di lavoro e per condizioni migliori. Lo sciopero cominciò il 28 settembre del 1995. I picchetti furono attaccati dalla polizia, i dockers picchiati e arrestati. Ma andarono avanti fino al gennaio 1998. Non una sconfitta, ma un'uscita di scena pacata di fronte ad un accordo che prevedeva pochi posti di lavoro salvati e molte buoneuscite. Un accordo voluto dai sindacati e accettato alla fine dai dockers stremati da un anno e mezzo di lotta. Oggi a Liverpool sarà una giornata di tensione. Dopo la grande festa di ieri infatti il Liverpool social forum ha deciso di confermare la manifestazione in programma da settimane. Dato che mai tutto ciò che luccica è oro, i giovani del social forum stanno portando avanti la loro denuncia di quello che qualcuno ha già ribattezzato la cultura capitalista di Liverpool (gioco di parole tra Liverpool culture of capitalism e Liverpool capital of culture). La manifestazione è stata promossa per difendere la giustizia sociale e i diritti dei lavoratori che, dicono al forum, sono sempre più minacciati. Nell'operazione di pulizia che ormai è una caratteristica delle città che ospitano qualche evento internazionale, le vittime sono anche i lavoratori e gli attivisti di Liverpool. Arrestati, malmenati, fermati. È successo a un gruppo di Friends of Palestine, che stava volantinando per la pace in medioriente. Ma anche ai militanti di Merseyside Animal Rights che sono stati arrestati e in attesa di processo con pesanti accuse dopo che avevano cercato di evitare gli attacchi della polizia ai loro banchetti informativi e ai picchetti. La manifestazione di oggi, nelle intenzioni degli organizzatori, dovrebbe attraversare il centro della città. I manifestanti distribuiranno volantini e lettere di protesta alla questura e al comune.

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Dagli alleati arabi inchini e scetticismo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)

 

George Bush Dagli alleati arabi inchini e scetticismo George W. Bush ieri, ultimo giorno della sua visita in Israele, ha visitato il Museo dell'Olocausto dove, di fronte alle immagini dello sterminio degli ebrei, ha commentato: "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz" e si è ripetutamente domandato perché, all'epoca, non venne presa una decisione simile. Poco dopo ha lasciato lo Stato ebraico per il Kuwait, la prima delle tappe in programma tra i suoi alleati nel Golfo. L'evidente scopo del tour è quello di consolidare il fronte anti-iraniano scosso dal recente rapporto dei servizi di sicurezza Usa che ha ridimensionato le capacità nucleari di Tehran, frenando così in conseguenza il desiderio di una nuova guerra del presidente americano. Nel mondo arabo Bush troverà regimi disposti ad assecondarlo e popolazioni scettiche - se non ostili - verso la sua politica in Medioriente. Sondaggi svolti ieri da alcune televisioni satellitari hanno messo in evidenza che buona parte dei cittadini arabi pensa che il viaggio di George W. Bush non stia favorendo la pace, anzi. Il 56% dei telespettatori al Arabiya è convinto che Bush sia venuto nella regione solo per aiutare gli israeliani. "Bush chiede agli Stati arabi di sostenere Israele e intanto annulla sia il diritto dei profughi che la validità delle risoluzioni dell'Onu sulla questione palestinese", ha scritto il quotidiano al Quds al Arabi. "Per consolidare la patria ebraica, Bush cancella il diritto al ritorno dei palestinesi", ha rincarato il libanese a-Safir. Giudizi che vanno alla sostanza degli obiettivi del presidente statunitense, volti a terminare il capitolo palestinese alle condizioni poste dagli alleati israeliani. Non sorprende perciò la soddisfazione di Tel Aviv e la cautela dell'Anp nei confronti della "visione" di Bush. Fonti israeliane hanno parlato di proposte "in linea con quanto ci siamo detti con gli americani". La soddisfazione ostentata giovedì sera dal premier israeliano Olmert è legittima, perché il presidente americano ha confermato ciò che aveva scritto nella "lettera di garanzie" consegnata nel 2004 al suo precedessore Ariel Sharon: ovvero che Israele non dovrà tornare alle linee del 1967. Nella visione di Bush, lo Stato ebraico deve mettere termine all'occupazione ma avrà il diritto di annettersi quelle porzioni di Cisgiordania dove sono situate le principali concentrazioni di insediamenti colonici. Bush ha evitato riferimenti al muro costruito in Cisgiordania e che, di fatto, segna il confine futuro tra Israele e Palestina alle condizioni dettate da Tel Aviv, e, più di tutto, ha avanzato l'idea di un meccanismo di indennizzo internazionale alternativo al diritto al ritorno per i profughi. Infine, non facendo proposte per Gerusalemme, ha avallato l'attuale controllo israeliano sull'intera città, inclusa la sua parte araba (Est), occupata nel 1967. Più chiaro di così non si può, eppure ciò non ha impedito ad Abdallah Abdallah, capo della commissione Esteri del Parlamento dell'Anp, di applaudire Bush. Abdallah sa bene che la continuità territoriale dello Stato palestinese di cui ha parlato il capo della Casa Bianca è un sogno, data la situazione sul terreno. La Cisgiordania è spaccata in quattro zone a causa della incessante espansione delle colonie ebraiche: Nablus e Jenin (nel nord), Ramallah (a ovest), Gerico (a est), Betlemme ed Hebron (a sud). Gerusalemme Est, che i palestinesi rivendicano come la loro capitale, è tagliata fuori dal resto del territorio del futuro Stato, essendo circondata da insediamenti israeliani. Per il presidente dell'Anp Abu Mazen è il momento delle scelte. Bush e Olmert gli chiedono di accettare quello che nel 2000 a Camp David rifiutò Yasser Arafat: la rinuncia al controllo dei luoghi santi islamici e cristiani nel settore Gerusalemme Est e di cancellare la risoluzione 194 dell'Onu che sancisce il diritto al ritorno per i profughi. Avrà Abu Mazen la lucidità necessaria per fare gli interessi del suo popolo?.

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Programmi di oggi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 12-01-2008)

 

Programmi di oggi CHE TEMPO CHE FA SHOW RAITRE Infiamma la polemica, ma Adriano Sofri partecipa alla puntata serale dello show che torna dopo una settimana di sosta per parlare di "Chi è il mio prossimo", il suo ultimo saggio. Ospite anche Flavio Insinna che approfitterà di una breve pausa nella conduzione di Affari tuoi per tornare al suo punto di partenza artistico ed alla sua passione, il teatro, con il nuovo spettacolo "Senza swing". Chiude, imperdibile, Antonio Albanese. I MIGLIORI ANNI VARIETÀ RAIUNO Non si sono sforzati molto in Rai per le otto puntate del nuovo varietà del sabato sera. Conduce Carlo Conti (ormai è ovunque) in un "viaggio" fra i vari decenni della storia italiana messi a confronto fra canzoni, film, varietà e eventi. Motivetti tanti, si inizia con gli anni '50 con ospite Johnny Dorelli a confronto (!) con gli '80 di Toto Cutugno... Madrine Pamela Camassa e Maria Elena Vandone. TGR MEDITERRANEO ATTUALITÀ RAITRE Oltre diecimila palestinesi sono reclusi nelle carceri israeliane "Una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra" denunciano gli organizzatori. Se ne parla nella puntata odierna. Dalla Cisgiordania ci si sposta poi in Israele per un'altra iniziativa culturale, il Museo del Fumetto e della Caricatura di Holon, inaugurato in un paese simbolo dei conflitti e delle tensioni politiche in Medio Oriente. UN GIORNO IN PRETURA ATTUALITA' RAITRE Ultima puntata de " Le colpe degli altri",dedicata all'Argentina. Mostrerà il processo celebrato nell'aula della seconda Corte di Assise del Tribunale di Roma e il dolore delle madri di Plaza de Mayo. Il ciclo si chiude con la sentenza dei cinque imputati tutti contumace, che si difendono e giustificano le loro colpe con la scusa dell'obbedienza "dovuta".

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Alla cena ufficiale,Condoleezza Rice (a destra)ha passato un bigliettoa Bush. E il presidentene ha rivelato il contenuto: Mi dicedi chiudere la bocca .Il motivo? Bush rischiava una (sezione: Israele/Palestina)

( da "Messaggero, Il" del 12-01-2008)

 

"STRIGLIATA" DELLA RICE Alla cena ufficiale, Condoleezza Rice (a destra) ha passato un biglietto a Bush. E il presidente ne ha rivelato il contenuto: "Mi dice di chiudere la bocca". Il motivo? Bush rischiava una gaffe su questioni interne al governo israeliano. A sinistra, Bush con Olmert e Peres al museo dell'Olocausto.

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I marrani? erano dei veri cattolici - adriano prosperi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 12-01-2008)

 

Cultura Il libro di Fritz Heymann, studioso tedesco vittima della Shoah I MARRANI? ERANO DEI VERI CATTOLICI Secondo il ricercatore, gli ebrei battezzati emigrarono da Spagna e Portogallo che li perseguitavano con l'Inquisizione, per motivi economici e sociali, non religiosi ADRIANO PROSPERI orte o battesimo. Una storia dei marrani di Fritz Heymann (Giuntina, pagg.153, euro 13) è un relitto, il frammento residuo di una vasta indagine storica: uno dei tanti frammenti affioranti dal mondo sommerso della Shoah. Ed è un libro importante. C'è solo un particolare da correggere: la scelta editoriale del titolo. Bisognerebbe scrivere non "Morte o battesimo", ma "Battesimo e morte". Perché nella storia dei marrani non ci fu un'alternativa se battezzarsi o morire, ma al contrario: proprio in quanto battezzati il tribunale religioso dell'Inquisizione li poté accusare di apostasia e condannarli a morte. Marrano è un insulto: lo si usava per indicare ebrei e islamici all'interno del mondo cristiano. La cosa è, in generale, tutt'altro che insolita. La lingua di comunicazione registra, impassibile ma non imparziale, sconfitte e abiezioni. L'infamia dei vinti può sbiadire, può anche trasformarsi in un titolo glorioso se cambiano i rapporti di forza. Ma in questo caso insulto era e insulto resta. Viene in mente il Don Giovanni di Mozart: "Sta mangiando, quel marrano...". E viene in mente che chi scrisse questa frase, Lorenzo Da Ponte, era egli stesso un marrano, cioè propriamente un ebreo battezzato. Il sospetto e l'odio verso uomini come lui prendevano argomento dal fatto che quel battesimo era stato originariamente imposto a minoranze ebraiche in paese cristiano. Il ricordo di quella violenza alimentava il sospetto e l'odio. Si immaginava che tutti gli ebrei battezzati continuassero a serbarsi segretamente fedeli all'antica religione - tutti, anche a distanza di diverse generazioni. Così si giustificavano le vessazioni, i pogrom, le radici dell'antisemitismo. Oggi, finita l'epoca dei pogrom, il marrano continua ad essere nei libri di storia ancora quella stessa figura inquieta, portatrice di un'identità di confine, spinta a muoversi sul crinale di fedi diverse, perennemente in movimento tra paesi diversi - l'Ebreo errante, insomma, che battezzato cerca di tornare all'antica fede e intanto abbandona e tradisce ogni fede. Azzardiamo un'ipotesi rozza e grossolana: il senso di colpa collettivo, alimentato dalle radici cristiane europee, ha portato a cancellare i sentimenti antichi ma non gli antichi pensieri. Il marrano degli storici è ancora l'ebreo mascherato da cristiano che vedevano in lui gli uomini dell'Inquisizione. L'opera di Fritz Heymann propone una tesi diversa: questo libro andrà letto perciò non solo come quel messaggio da un continente inabissato che di fatto è ma anche come un punto di vista nuovo e importante. Intorno al 1937, Fritz Heymann, pubblicista affermato, si dedicò a ricerche sulla storia dei marrani. Aveva lasciato quella Germania a cui aveva dedicato tutto se stesso e per la quale, giovanissimo, era andato volontario nella prima guerra mondiale. Si era rifugiato ad Amsterdam. Considerava la persecuzione antisemita tedesca iniziata nel 1933 come uno di quei grandi cicli della storia ebraica segnati dall'esodo: dall'Egitto, da Gerusalemme, dalla Spagna nel 1492 e ora, dal 1933, dalla Germania. Dove sarebbero andati ora non era chiaro: forse in America, forse in Eretz Israel. Con questi pensieri si dedicò alla storia dei marrani: esplorò molti archivi soprattutto spagnoli, raccolse una gran quantità di documenti in vista di una storia esauriente della questione che però non scrisse. Scelse la forma di una narrazione storica in forma di conferenze che tenne - forse - ad Amsterdam davanti ad altri emigranti come lui. Dopo l'occupazione tedesca visse nascosto in Olanda finché, catturato nel 1942 dalle SS, finì i suoi giorni ad Auschwitz. Ci resta il testo delle conferenze: sua madre, per la quale Heymann riuscì a ottenere un visto per l'Argentina, lo portò con sé e lo mise a disposizione del Leo Baeck Institute nel 1959. Il libro è importante per l'idea che lo regge. Per Friz Heymann era evidente un fatto: i marrani erano generalmente dei cristiani cattolici, vivevano in un mondo cristiano e chiedevano soltanto di fare il loro lavoro. Perché emigrarono? Non per motivi religiosi, ma per motivi economici e sociali. Ve li costrinse l'ostilità del contesto spagnolo e portoghese, dove un popolo miserabile e una nobiltà invidiosa del loro livello di ricchezza e di cultura si servirono dell'Inquisizione per eliminarli. E dove andarono? Anche qui Heymann rovescia lo stereotipo tradizionale che, vedendo nell'ebreo il diverso, lo associava al vitello d'oro della Bibbia e immaginava che il marrano creasse ricchezza dove andava: la Spagna decadde economicamente perché i marrani se ne andarono? No: i marrani lasciarono la Spagna fiutando la decadenza del paese; Livorno e Amsterdam fiorirono perché gli ebrei vi si trasferirono? No: i marrani seguivano le correnti del commercio e della finanza di cui erano esperti e se lasciavano un luogo per un altro era perché percepivano tempestivamente i mutamenti in atto. Gli argomenti concreti e gli esempi che l'autore ricava dalle fonti che ha esplorato meritano di essere attentamente considerati. Ma il libro è una lettura emozionante per la tensione che lo percorre. La domanda che apre la quinta conferenza ha risonanze forti nel nostro presente: "Perché grandi gruppi etnici emigrino, abbandonino la loro patria e ne cerchino una nuova è una domanda che anche oggi, in questo stadio della guerra, mi sembra sia attuale...". Heymann era un uomo coraggioso e dotato di grande libertà intellettuale. Se si dedicò alla ricerca storica lo fece perché - scrisse - "il destino degli ebrei dell'Europa centrale aveva spazzato via la polvere dai documenti e gettato un raggio di luce nell'oscurità". Con parole quasi identiche un altro ebreo tedesco - Walter Benjamin - definiva proprio allora la sua idea della ricerca storica.

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In gioco armi e petrolio (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 12-01-2008)

 

Di Fiamma Nirenstein - sabato 12 gennaio 2008, 09:14 Il viaggio di George Bush negli Stati arabi è cominciato ieri nel Kuwait, dove è arrivato proveniente da Israele. Andrà poi nel Bahrain, negli Emirati Arabi Uniti, in Arabia Saudita e in Egitto. Qualcuno dice che potrebbe recarsi anche in Irak. Scrive il Jerusalem Post che a Riyad Bush berrà il tè con il re saudita Abdullah nel palazzo Nasirya, al cui interno vi sono pavimenti di marmo, candelieri di cristallo, pareti nelle quali sono stati incastonati oro e pietre preziose. Questo lusso è possibile grazie alla produzione petrolifera saudita. Riyad è certo soddisfatta del prezzo raggiunto per barile: 100 dollari. I sauditi hanno ridotto la vendita a 450mila barili al giorno, nonostante le richieste degli Usa. Costo del greggio ed estremismo politico si intrecciano. Washington ha ripetutamente esortato alcune capitali arabe a manovrare in modo da reprimere quei circoli e quei movimenti che incitano all'estremismo, all'odio. Bush deve agire con circospezione: c'è da risolvere il problema del petrolio, diventato per il suo Paese troppo caro. Il capo della Casa Bianca si presenta quindi ai sauditi con un pacchetto di armi, la cui vendita certo non sarà gradita a Israele: si tratta di un accordo da 20 miliardi di dollari di cui fanno parte le Jdams (Joint direct attack munitions), "bombe intelligenti" guidate dal laser. Gli americani cercano con questo contratto non solo di ricevere il petrolio di cui hanno bisogno,ma anche di ottenere la fedeltà del reame che, nella strategia Usa, è destinato a divenire il punto di riferimento della coalizione anti- Iran. L'Iran e la jihad islamica sono i protagonisti di una guerra che mette in pericolo il mondo intero. Bush sa benissimo che dipende dalla sua abilità in questa visita in Medio Oriente se la pace può tentare di spiccare il volo. La strategia del presidente non riguarda solo "due Stati per due popoli", le bombe, i missili, i terroristi dell'Iran e di Al Qaida, siriani, Hamas, Hezbollah e altri. Agli arabi Bush appare debole con le sue "bombe intelligenti" se, mentre si trova a Gerusalemme, i sauditi inviano un messaggio di autonomia, quasi di minaccia: qualunque cosa il presidente americano e Olmert dicano dell'Iran, Riyad stabilirà da sola e senza influenze esterne le proprie posizioni. Nei giorni della permanenza del capo della Casa Bianca in terra israeliana, Hamas, armato da Teheran, intensificava i lanci dei suoi razzi contro le case degli ebrei. E i capi sciiti libanese Nasrallah e iracheno Al Sadr invitavano i leader arabi a boicottare Bush.

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Bush avverte Iran e Siria: "Basta aiutare i terroristi" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Quotidiano.net" del 12-01-2008)

 

Mobile email stampa MEDIO ORIENTE Bush avverte Iran e Siria: "Basta aiutare i terroristi" Se è vero che al Qaeda "ha subito duri colpi in Iraq" negli ultimi mesi, allora non bisogna abbassare la guardia. Il presidente americano ha lanciato un avvertimento a Damasco e Teheran: "Cessare il sostegno alle milizie integraliste" responsabili degli attacchi contro le truppe della coalizione Home Esteri prec succ Contenuti correlati Il viaggio di Bush in Medio Oriente Jenna Bush chiama il padre durante uno show tv Bush a cena fa la corte alla Livni e viene zittito dalla Rice Il presidente Bush nei Paesi del Golfo In lacrime al museo dell'Olocausto Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Al Qaeda: "Accogliete Bush con le bombe" Kuwait City, 12 gennaio 2008 - Ancora nessuna decisione sul ritiro delle truppe Usa dall'Iraq. Ma la strategia militare americana nel paese Mediorientale è in linea con gli obiettivi e i programmi prefissati: è dunque plausibile che la riduzione di 30.000 uomini del contingente americano possa avvenire secondo il calendario prefissato, e cioè entro il mese di luglio del 2008. E' questa la sostanza del discorso che il presidente George W. Bush ha rivolto questa mattina ai militari Usa a Camp Arifjan, la principale base americana in Kuwait. Bush non ha fornito date precise, ma ha confermato: "siamo sulla buona strada per fare quello che avevamo promesso di fare". Il presidente ha avuto un colloquio con il comandante in capo delle truppe Usa in Iraq, il generale Petraeus. Sarà lui, ha detto, a decidere se e quando sarà il caso di ridurre il contingente americano. Una decisione che sarà presa sulla base dei progressi registrati sul terreno. Progressi già visibili, ha detto Bush. Con la nuova strategia militare, adottata l'anno scorso, l'Iraq è infatti diventato un paese in cui "sta tornando la speranza". "Dobbiamo fare tutto quanto è in nostro potere per ottenere ulteriori passi avanti nel 2008", è stato l'invito di Bush ai militari. E se è vero che al Qaeda "ha subito duri colpi in Iraq" negli ultimi mesi, allora non bisogna abbassare la guardia. "L'Iraq è adesso un paese diverso rispetto a un anno fa", ha sottolineato il presidente americano, che ha lanciato un avvertimento a Damasco e Teheran. La Siria deve "ridurre la sua flotta di terroristi" che si infiltrano in Iraq, ha detto Bush, mentre l'Iran deve "cessare il suo sostegno alle milizie integraliste" responsabili degli attacchi contro le truppe della coalizione. L'inquilino della Casa Bianca, infine, non dimentica nemmeno le autorità di Baghdad, a cui rende merito e rivolge un monito. "Sono stati compiuti dei progressi. Ma non ci saranno scuse per loro: devono fare di più", ha concluso.

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CHIUDETE GUANTANAMO, PRIGIONE DELL'ORRORE (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)

 

"Chiudete Guantanamo, prigione dell'orrore" Washington. Chiudere Guantanamo, il campo di detenzione divenuto il simbolo dei metodi adoperati dagli Usa nella lotta al terrorismo. Manifestazioni di protesta e sit-in - organizzata dall'organizzazione per i diritti umani Amnesty International - si sono svolti ieri in città e capitali di tutto il mondo, a sei anni di distanza dall'inaugurazione del famigerato centro di prigionia, allestito nella base militare che si trova sulla piccola porzione di territorio cubano sotto gestione americana. Una manifestazione di protesta si è svolta anche a Washington ed è stata duramente repressa: la polizia ha arrestato 71 manifestanti presso la sede della Corte Suprema degli Stati Uniti. Gli arresti sono avvenuti all'interno e all'esterno dell'edificio e sono stati motivati dalla violazione del divieto di dar vita a dimostrazioni non autorizzate alla Corte Suprema. Amnesty International, col sostegno di oltre 1.200 parlamentari di ogni parte del mondo, ha presentato ieri all'amministrazione Bush un piano d'azione per porre fine alle detenzioni illegali e alle torture nel contesto della "guerra al terrore". Il piano d'azione, si legge in una nota, consiste in 13 raccomandazioni per far cessare queste pratiche che violano i diritti umani, senza compromettere la capacità del governo di combattere il terrorismo. L'organizzazione fornisce inoltre consigli pratici, come sollecitato dal governo di Washington, per chiudere Guantanamo. "Guantanamo è un'anomalia che dev'essere immediatamente corretta. Il solo modo per farlo è chiudere il centro di detenzione", ha dichiarato Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International. Il piano d'azione, sottoscritto da parlamentari di numerosi paesi - tra cui Giappone, Israele, Regno Unito e Italia - chiede il ripristino dell'"habeas corpus", la fine delle detenzioni segrete, l'incriminazione e il processo di fronte a tribunali indipendenti e imparziali oppure il rilascio di tutti i detenuti. Al momento, infatti, i poteri straordinari conferiti al presidente americano dopo l'11 settembre, consentono l'incarcerazione di semplici sospettati, dei quali può anche non essere resa nota l'identità. I detenuti non godono di garanzie per il diritto di difesa, vivono del tutto isolati, in celle strette e senza alcun genere di conforto. E, soprattutto, la denominazione di "nemici combattenti illegittimi" tiene i prigionieri in un limbo giuridicamente indefinito. "Le pratiche illegali adottate dal governo americano, esemplificate da Guantanamo e dal programma Cia di detenzioni segrete, hanno promosso il pericoloso concetto che i diritti umani fondamentali possono essere messi da parte in nome della sicurezza nazionale", ha sottolineato Khan. La popolazione carceraria di Guantanamo è adesso intorno a quota 270, dopo che in questi sei anni sono stati circa 800 i presunti terroristi transitati nella base militare americana. Una settantina di prigionieri sono destinati ad andarsene, non appena gli Usa troveranno governi disposti ad accoglierli. A Washington ieri una Corte d'appello federale ha respinto la richiesta di quattro britannici che sostengono di essere stati sistematicamente torturati per due anni a Guantanamo. I quattro volevano citare in giudizio esponenti del Pentagono, ma i giudici di Washington hanno detto no. r.m.

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BUSH: DOVEVAMO BOMBARDARE AUSCHWITZ (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)

 

Bush: "Dovevamo bombardare Auschwitz" MICHELE GIORGIO Gerusalemme. George W. Bush ha lasciato, ieri, Israele ed è giunto in Kuwait per proseguire nelle capitali del Golfo un viaggio che, affrontato il negoziato israelo-palestinese, ora si concentra sulla questione del programma nucleare iraniano. Nei prossimi giorni sarà in Bahrein, negli Emirati, in Arabia Saudita ed Egitto. Potrebbe anche recarsi in visita a sorpresa in Iraq. Un tour intenso per verificare il sostegno dei Paesi arabi moderati alla sua strategia di isolamento di Teheran e, forse, alla possibilità di un attacco militare contro le centrali atomiche iraniane. Prima di partire da Tel Aviv, il presidente americano ha annunciato che tornerà a maggio, per partecipare alle celebrazioni per il 60esimo anniversario della fondazione dello Stato ebraico. È stata la visita al museo dell'Olocausto di Gerusalemme, la tappa più importante delle ultime ore di Bush in Israele. Con gli occhi lucidi per la commozione e il capo chino, il presidente degli Stati Uniti si è raccolto in meditazione di fronte alla fiamma eterna che ricorda i sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti. In completo blu e con in testa la kippà ebraica, Bush è stato accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Ehud Olmert. Dietro c'erano il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, e il segretario di Stato Condoleezza Rice. Quest'ultima è stata protagonista durante la cena ufficiale di giovedì di un episodio insolito quando ha passato un biglietto a George Bush che le sedeva vicino. Dopo alcuni istanti di riflessione, il presidente ha deciso di condividere con i commensali il contenuto del messaggio: "Mi dice di chiudere la bocca" ha precisato, fra le risate generali. In precedenza Bush era entrato in modo pesante nei giochi politici israeliani, nel tentativo di persuadere i leader del partito laburista Ehud Barak, del partito Israel Beitenu Avigdor Lieberman e del partito Shas Ely Yishai a non lasciare la coalizione di governo. Visitando il museo dell'Olocausto il presidente americano ha osservato: "Ciò che più mi impressiona è che queste persone di fronte all'orrore e alla malvagità non abbandonarono il loro Dio". "Di fronte a inauditi crimini contro l'umanità, spiriti coraggiosi, giovani e anziani, sono rimasti ancorati con fermezza in ciò che credevano", ha aggiunto. "Avremmo dovuto bombardare Auschwitz" ha affermato subito dopo, secondo il racconto di Avner Shalev il presidente del museo dell'Olocausto. Ad un certo punto - ha raccontato Shalev - Bush si è rivolto a Condoleezza Rice per chiederle le ragioni per cui l'amministrazione Roosevelt all'epoca decise di non bombardare il campo. Si tratta di una questione che da decenni appassiona gli storici. Le forze alleate controllavano i cieli di Europa, come mai non colpirono i campi di sterminio? La Rice, che è docente di scienze politiche, ha spiegato che gli Usa non ritenevano allora che una tale azione avrebbe fermato lo sterminio degli ebrei. Il presidente americano, ascoltate le risposte, ha insistito: "Avremmo dovuto bombardare". Mezz'ora dopo, a bordo dell'elicottero, il presidente americano era già immerso in un'atmosfera più serena. Dal lago di Tiberiade è risalito sul vicino Monte della Beatitudine, dove lo attendevano frati francescani. Poi è stato prelevato nuovamente dall'elicottero che lo ha portato all'aeroporto di Tel Aviv da dove, a bordo dell'Air Force One, ha proseguito per il Kuwait. Prima della partenza il presidente Usa israeliani e palestinesi a lavorare con intensità per raggiungere un accordo di pace definitivo entro il 2008 ed ha affermato che la soluzione per i profughi palestinesi verrà trovata con la creazione dello Stato di Palestina. Idee che però appaiono difficilmente applicabili nel giro di un anno. Proteste anche a Washington contro il campo di prigionia di Guantanamo In alto, Bush al Museo dell'Olocausto.

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TELLER, L'UOMO CHE DIVENNE STRANAMORE (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 12-01-2008)

 

A CENT'ANNI DALLA NASCITA Teller, l'uomo che divenne Stranamore Ugo Cundari La storia dell'umanità annovera più di una figura di scienziato che magari anche giocando sulla propria presunta pazzia ha vestito i panni dell'astuto provocatore. Tra i più noti appartenenti a questa cerchia di eletti, le cui invenzioni hanno inciso profondamente sul corso della storia, bisogna ricordare il fisico Edward Teller, di cui martedì ricorre il centenario della nascita. Ebreo di origini ungheresi, si laureò in fisica in Germania sotto la guida di Heisenberg. Dopo poco, per sfuggire a Hitler, si trasferì negli Stati Uniti iniziando una rapida e brillante carriera scientifica, tanto che, durante la Seconda guerra mondiale partecipò attivamente al progetto Manhattan per la realizzazione della bomba atomica. Celebre il suo ricordo del primo test a cui assistette: "Dovevamo sdraiarci a terra con la schiena al ground zero. Ma io disobbedii. Indossai degli occhiali neri sotto altri da saldatore e un paio di spessi guanti per proteggermi ulteriormente la vista, mi spalmai il volto di una potente crema antisolare contro le bruciature. Intravidi un enorme anello luminoso, sollevai il guanto da un occhio e fu come se un sole cocente illuminasse una stanza buia". Successivamente, nel '52, costruì la bomba H contro la volontà della comunità scientifica, ormai votata alla "pace della guerra fredda". Poco dopo la bomba all'idrogeno provocò l'opinione pubblica mondiale sostenendo che le sue scoperte potevano anche essere usate a scopi pacifici e civili: le sue bombe potevano essere fatte esplodere sotto terra per sbancare e movimentare grandissime quantità di terra e un'operazione simile la battezzò "operazione Plowshare" nei primi anni '60, con lo scopo di ampliare in poco tempo il canale di Panama. Ma l'allora presidente Kennedy accolse con scetticismo la sua proposta, tanto che il fisico sbottò: "Impiegherei meno tempo a realizzare il mio piano di quanto impiegherei a indurre lei ad approvarlo". Con il presidente Reagan, però, ebbe più fortuna, diventando suo personale consigliere in merito alla difesa e allo scudo spaziale, convincendolo a fare grossi investimenti nel progetto che poi sarà battezzate "guerre stellari"; si impegnò poi per la costruzione di centrali nucleari per la produzione di energia. Follia o strenua volontà di dare un senso civile alle sue scoperte mortali? Di certo, si sa che il regista Stanley Kunbrick, proprio a Teller si ispirò per dare vita allo splendido personaggio del dottor Stranamore nell'omonima pellicola del 1964. Teller nella sua vita ha ricevuto numerose onorificenze, fra le quali l'"Albert Einstein Award", l'"Enrico Fermi Award", l'"Harvey Prize from the Technion-Israel Institute" e il "National Medal of Science". Fu un uomo di coraggio - da giovane perse un piede sotto un tram, ma non se ne lamentò mai - un cultore di Platone e dei altri classici dell'antichità, nonché un discreto pianista. È morto cinque anni fa all'età di novantacinque anni.

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Stefania Podda (sezione: Israele/Palestina)

( da "Liberazione" del 12-01-2008)

 

Il vicepres. Confindustria ci risponde Sulla sicurezza siamo sempre in prima linea Stefania Podda I fatti: la prossima Fiera del Libro, che si svolgerà a maggio a Torino, è dedicata ad Israele. In quel mese, Israele celebrerà i sessant'anni dalla nascita del suo Stato, ma in quegli stessi giorni i palestinesi ricorderanno la nakba, la tragedia di un intero popolo. E' dunque partita una campagna di boicottaggio e a Liberazione è stato chiesto di aderire ad un'iniziativa contrapposta (la lettera del Direttore di La Rinascita la potete leggere a pagina 14) che abbia al suo centro quanto - secondo i promotori - a Torino verrà invece passato sotto silenzio: ossia la durissima politica di occupazione, le terribili condizioni di vita nei Territori, l'embargo che sta strangolando Gaza e le discriminazioni subìte dagli arabo-israeliani. Realtà di cui questo questo giornale si occupa, e che questo giornale denuncia e continuerà sempre a denunciare. Il punto è però un altro, e per nulla sovrapponibile a tutte le buone ragioni di cui si è parlato. Il punto è questo: il boicottaggio culturale è un'arma politica? No, non lo è. E' una risposta sbagliata e pericolosa, che porta all'isolamento e alla radicalizzazione delle posizioni, che porta a chiusure identitarie vanificando quelle aperture e quelle libertà di cui la cultura è portatrice. E che non giova a nessuna causa. Nemmeno a quella palestinese. Boicottare la Fiera del Libro è la giusta risposta alla politica di Israele? Secondo noi, no. Come non lo è la proposta di tagliare i contatti con le università israeliane, di escluderne i professori da ogni collaborazione con gli atenei europei, di cancellarli dai progetti di ricerca, dalle conferenze. Se ne parla spesso, se ne è parlato di nuovo nei mesi scorsi con la mozione votata in Gran Bretagna dall'Ucu, il principale sindacato di docenti e lettori. Iniziative diverse, con uno stesso comune denominatore. Non è difficile infatti cogliere la pericolosità dell'equazione che vuole che gli intellettuali siano responsabili della pessima politica del proprio paese, dell'idea di soffocare la loro voce in nome di un presunto peccato originale, ascrivibile di diritto alla loro nazionalità. La letteratura, se è buona letteratura, è lo specchio della società che la produce, ma è uno specchio infranto. Non rimanda un'immagine intera, ma frammenti che si ricompongono a rifletterne le contraddizioni, le diverse pulsioni e anime. La letteratura israeliana non fa eccezione. Grossman, Yehoshua, Oz, e il più giovane Keret: sono i nomi che saranno a Torino. Con sfumature diverse, sono la coscienza critica d'Israele. L'orazione di David Grossman al funerale del figlio Uri, morto in Libano, è uno dei più bei testi sull'assurdità della guerra e sulla sconfitta di una società che ha perso i suoi ideali. Davvero non è interessante e non è giusto ascoltare la sua voce? Confrontarsi con loro nei dibattiti che ci saranno? E quale potrebbe essere la logica prosecuzione di questa scelta?Boicottare i libri? E perché - in base alla stessa logica di primazia della politica - non fare a meno della cultura americana? Infine, un'ultima considerazione: chiamare al boicottaggio culturale di Israele, sovrapponendo piani diversi, rischia di alimentare l'antisemitismo. E stavolta - basta fare un giro su molti siti - il giusto diritto di critica alla politica israeliana non c'entra nulla. Bisognerebbe tenerne conto. 12/01/2008.

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ARTICOLI DELL’11-1-2008

Intanto Bush vola alto ( da "EUROPA.it" del 11-01-2008)

Bush nei territori: "Voglio la pace entro la fine del mio mandato" ( da "Stampa, La" del 11-01-2008)

Bush ai palestinesi: pace nel 2008 e uno Stato vero Il presidente incontra Abu Mazen: Israele lasci i territori. Voi combattete il terrorismo ( da "Nazione, La (Nazionale)" del 11-01-2008) + 2 altre fonti

Bush in palestina "la pace entro un anno" ( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)

Il soccorso dell'"amico americano" ma olmert è ora a un passo dal k.o. - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)

Bush preme su israeliani e palestinesi "scelte difficili, ma la pace è possibile" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)

La pace in medio oriente sulla via di damasco - marek halter ( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)

Insieme a Condoleezza nella chiesa della natività ( da "Unita, L'" del 11-01-2008)

Il presidente americano questa volta ha parlato chiaro ( da "Unita, L'" del 11-01-2008)

Bush a Ramallah: Palestina entro il 2008 Il presidente americano incontra Abu Mazen alla Muqata, il vecchio quartier generale di Arafat Monito a Israele: La pace va facilitata . Og ( da "Unita, L'" del 11-01-2008)

<Io che intervistai Bin Laden vi dico: prepara un attentato come quello dell'11 settembre> pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)

Bush: <Entro l'anno la pace in Palestina> ( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)

Bush: <Entro l'anno la pace in Palestina> pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)

La palestinese: aspetto i fattil'israeliano: serve il dialogo ( da "Secolo XIX, Il" del 11-01-2008)

MO: BUSH; PACE NEL 2008,NO A STATO PALESTINESE GROVIERA/ANSA ( da "Secolo XIX, Il" del 11-01-2008)

Bush a Ramallah: <Pace entro l'anno> ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 11-01-2008)

"Pane per Betlemme": i biglietti vincenti della lotteria ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 11-01-2008)

Gli israeliani sperano nelle pressioni di Bush per trovare la pace ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 11-01-2008)

Visita di Bush a Ramallah ( da "Voce d'Italia, La" del 11-01-2008)

Il sindaco (cristiano) di Betlemme escluso dal ricevimento ( da "Manifesto, Il" del 11-01-2008)

L'Europa nel kibbutz lungo la frontiera ( da "Manifesto, Il" del 11-01-2008)

Bulldozer Bush a Ramallah ( da "Manifesto, Il" del 11-01-2008)

Guerra e pace 1 per i due stati, nuovi confini e indennizzi ai profughi ( da "Riformista, Il" del 11-01-2008)

<Gaza collegata alla Cisgiordania Così George W. mette in crisi l'alleato> ( da "Corriere della Sera" del 11-01-2008)

Bush: pace e fine dell'occupazione israeliana ( da "Corriere della Sera" del 11-01-2008)

Pace Israele-Palestina La spinta di Bush ( da "Corriere della Sera" del 11-01-2008)

La Carta Islamica aprirà l'Europa ai fondamentalisti ( da "Libero" del 11-01-2008)

In Iraq 500mila falsi morti Scoperti i dossier truccati ( da "Libero" del 11-01-2008)

Bush ai palestinesi: <Voglio la pace entro l'anno> ( da "Libero" del 11-01-2008)

Aldo Baquis TEL AVIV Nell'incontro privato di mercoledì ( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

Benedetto XVI potrebbe fare il suo viaggio in Terra Santa ( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

Bush a Ramallah, nel bunker che fu di Arafat ( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

Il pm Boccassini lascia il sindacato delle toghe ( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

Bush visita il museo dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi ( da "Quotidiano.net" del 11-01-2008)

Bush visita il museo dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi ( da "Quotidiano.net" del 11-01-2008)

Israele, Bush in lacrime al museo della Shoah ( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)

Bush a Ramallah, nel bunker che fu di Arafat ( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

Testimonianze ( da "Voce d'Italia, La" del 11-01-2008)

Bush in lacrime visita il museo dell'Olocausto ( da "Voce d'Italia, La" del 11-01-2008)


Articoli dell’11-1-2008

Intanto Bush vola alto (sezione: Israele/Palestina)

( da "EUROPA.it" del 11-01-2008)

 

JANIKI CINGOLI Bush arriva a Gerusalemme in un momento in cui numerose incognite e molte polemiche si addensano sulla ripresa dei negoziati, sia riguardo agli insediamenti israeliani, sia per la ripresa degli attacchi dei miliziani legati ad al Fatah in Cisgiordania. È la sua prima visita in Terra Santa come presidente, e ci si attende che egli ribadisca la sua determinazione a sostenere il negoziato di pace. Per Israele l'alleanza con gli Usa è strategica e vitale. Ma lo è anche per i palestinesi. Quindi i suoi interventi possono avere un peso non secondario. Ma, al di là degli effetti immediati, quali possono essere gli sviluppi a medio termine per il processo di pace? Annapolis ha sbloccato il processo diplomatico, facendo procedere in parallelo la trattativa sulle misure di fiducia e quella sull'accordo finale. Quindi, non ci sono più ostacoli a negoziare. Ma è concretamente possibile, il negoziato? I palestinesi certo non sono privi di problemi, data la situazione a Gaza e con Hamas, ma Abu Mazen sembra determinato a procedere con la trattativa. Più difficile la situazione israeliana, con Olmert insidiato dalla prossima pubblicazione del rapporto Winograd e dalle reiterate minacce di crisi di Liberman e del partito religioso Shas. Olmert d'altronde è stretto anche da Barak, che tende a scavalcarlo a destra sui temi della sicurezza per posizionarsi al centro in vista delle future elezioni. Nelle scorse settimane sono stato in Medio Oriente e ho avuto modo di parlare con molti esperti e policy makers delle due parti, traendone valutazioni anche molto discordanti. Sono sul tappeto tre possibili scenari: 1. Il negoziato sul Final Status va bene, così come quello sulle misure di fiducia, e si arriva all'accordo finale entro il 2008. 2. Il negoziato sul Final Status si trascina, senza risultati concreti, mentre si ottengono sviluppi sulle misure di fiducia (rimozione dei blocchi stradali e degli avamposti illegali, rilascio dei prigionieri da parte israeliana; più incisivo impegno contro il terrorismo da parte palestinese). In più arrivano gli ingenti finanziamenti annunciati a Parigi (7,4 miliardi di dollari), che consentono un rilancio dell'economia palestinese e un rafforzamento di Abu Mazen. 3. Entrambe le fasi negoziali si trascinano senza risultati sostanziali, i blocchi stradali e gli avamposti illegali restano salvo rare eccezioni, i prigionieri vengono rilasciati con il contagocce. Arrivano un po' di soldi, quel tanto che basta per alimentare la sopravvivenza e lo statu quo palestinese. La maggioranza degli interlocutori palestinesi che ho incontrato ondeggiano tra il secondo e il terzo scenario. Un importante consigliere di Fayad, il premier palestinese, ha espresso invece un cauto ottimismo. Il governo Fayad, mi è stato sottolineato, è sostanzialmente un governo di indipendenti, che non include nessuna autorevole personalità di al Fatah, il che ovviamente genera tensioni e ricorrenti richieste di rimpasto. Abu Mazen utilizza Fayad per arginare la vecchia guardia di Fatah e Fatah per contenere l'indipendenza di Fayad. Un autorevole analista, sotto condizione di anonimato, opta invece decisamente per lo scenario più pessimista: non si procederà neanche sulle misure di fiducia, perché Fayad può arrivare a ristabilire un po' di law and order nelle maggiori città palestinesi, come ha già fatto a Nablus, ma non può e neanche vuole smantellare la struttura militare palestinese, non solo le milizie ma anche le fabbriche di armi. I servizi israeliani lo sanno, e quindi non rimuoveranno i blocchi stradali e le altre misure di sicurezza. Quindi ci si limiterà a qualche gesto simbolico, e ad alimentare quel rivolo di denaro sufficiente a mantenere lo statu quo. Da parte israeliana, alcuni tra i più autorevoli commentatori optano per lo scenario intermedio. Pare loro improbabile che si proceda sul Final Status. Va detto, però, che da parte di altri primari policy maker, di diverso orientamento politico, dal centro alla sinistra, si dà per possibile un nuovo scenario. Olmert e Abu Mazen, che hanno stabilito una forte intesa tra loro, procederebbero su un binario parallelo rispetto ai negoziati ufficiali sul Final Status: mentre questi seguono il consueto iter stop and go , essi per conto loro arriverebbero a concordare almeno una bozza di accordo globale, attraverso canali informali, come ai tempi dei negoziati segreti di Oslo, mentre a Washington si perdeva tempo nei negoziati ufficiali. Olmert, se a fine gennaio riuscirà a superare lo scoglio del rapporto Winograd, attenderebbe a fino a metà luglio, quando la Knesset è chiusa fino a novembre, in modo da evitare immediate mozioni di sfiducia alla Knesset, e poi eventualmente andare alle elezioni sulla base della bozza di accordo raggiunto, e quindi di una pace possibile. Diversi fra loro affermano che Olmert potrebbe spingersi non solo a fare proprie le proposte di Clinton a Camp David, ma anche la sostanza dello stesso accordo di Ginevra. Abu Mazen, per conto suo, sa che a un certo punto dovrà tornare al tavolo negoziale con Hamas, anche per le forti pressioni saudite e egiziane, ma vuole tornarci su un piano di forza, avendo ricevuto i soldi dei donor e avendo trovato una piattaforma di possibile accordo, e non di debolezza come accadrebbe ora. L'impressione che ho ricevuto è che è in moto un meccanismo di negoziato parallelo, con elementi concreti di approfondimento, anche se nessuno può dire se questo tentativo potrà andare in porto, essendo troppe le incognite sul tappeto.

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Bush nei territori: "Voglio la pace entro la fine del mio mandato" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 11-01-2008)

 

Sharh al Quds, la strada insolitamente deserta che collega il check point di Khalandia al centro di Ramallah, è tappezzata di manifesti pubblicitari "Cowboy 2000". Una marca di jeans americana. L'unico, involontario, benvenuto locale a George W. Bush che ieri mattina ha fatto visita al presidente palestinese Abu Mazen e al premier Salam Fayad, prima tappa del blindatissimo mini-tour cisgiordano terminato nel pomeriggio nella Basilica della Natività a Betlemme. Non una bandiera a stelle e strisce, se non all'interno del palazzo governativo della Muqata al sicuro da piromani agit-prop, balconi e finestre inanimati secondo l'ordine della Guardia Nazionale, nessuna aspettativa. Una città silenziosamente ostile per "l'amico di Ariel Sharon". Eppure, ammette in serata l'avvocato Sami Khoury, "il texano ha detto cose importanti e sorprendenti per uno come lui". La tv palestinese ripropone fino a notte fonda i servizi con le frasi che, dal punto di vista locale, riassumono il suo discorso. "Stop all'occupazione israeliana iniziata nel '67". "Blocco degli insediamenti e rimozione degli avamposti illegali". "Uno Stato palestinese sovrano, indipendente, senza discontinuità territoriale, entro gennaio 2009". "Nuovi meccanismi di sostegno internazionale alla pace, comprese le compensazioni, per risolvere la questione dei profughi". L'inquilino della Casa Bianca parla ai palestinesi perché intendano i Paesi arabi che visiterà nei prossimi giorni, Egitto, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi. Il loro aiuto nella sfida globale contro l'Iran è fondamentale e Bush è disposto a ricambiarlo scendendo direttamente in campo in Terra Santa. Al termine di un incontro di un'ora con Abu Mazen e otto ministri, George W. Bush, il secondo presidente americano in carica a recarsi nei Territori dopo Bill Clinton nel 1998, formalizza il suo impegno per la soluzione del conflitto israelo-palestinese: "L'accordo di pace sarà una realtà entro la fine del mio mandato". Certo, sono necessarie "concessioni dolorose da entrambe le parti", "l'aiuto dei Paesi arabi", "una soluzione per lo status di Gerusalemme". Ma, almeno sulla carta, la promessa rafforza quello fatta mercoledì a Gerusalemme al premier israeliano Olmert. Il neoincaricato generale William Fraser si occuperà di monitorare i progressi della Road Map. Sono le nove quando Bush, a bordo dell'automobile presidenziale, attraversa di gran carriera il check point di Khalandia diretto a Ramallah. Avrebbe dovuto viaggiare in elicottero, ma non è stato possibile a causa della nebbia, malinconica come l'umore degli abitanti che l'aspettano loro malgrado. La città, solitamente caotica, appare inanimata, spettrale. Il presidente arriva in Cisgiordania dopo la duplice colazione con il leader dell'opposizione israeliana Bibi Netanyahu e con i due figli di Ariel Sharon, ai quali ha spiegato che la nuova politica americana non è un tradimento del sostegno incondizionato dato al padre quando era primo ministro. "The Times They are A-Changing": sono i tempi che stanno cambiando. Alla Muquata, sul piazzale adiacente al mausoleo di Arafat, l'accoglie un Abu Mazen cordiale alla maniera di un vecchio amico, tappeti rossi, il picchetto d'onore. Qualche isolato più in là, nei pressi di piazza al Manar, duecento manifestanti brandiscono cartelli polemici ("Afghanistan, Iran, Palestine, Iran?", "It is the occupation, stupid", "Gaza on my mind") spintonati dai poliziotti ai quali, come i sessantottini europei, urlano che "la nostra protesta è la vostra protesta". "Credo che le forze palestinesi si stiano rafforzando e gli israeliani debbano aiutarli, non ostacolarli, in questo percorso", dice George Bush prima di accomodarsi a tavola alla Muqata, un pranzo per settanta persone fornito dal prestigioso ristorante Darna ma supervisionato, piatto per piatto, dalla scrupolosa security americana. Ricche "mezze", gli antipasti arabi, gamberi, riso, carne di montone, filetto, cheese cake, insalata di frutta e tremila sandwiches per militari e bodyguard: 90 mila schekel di cibo, circa 24 mila dollari, un terzo degli stipendi mensili dell'intera Ramallah. Il presidente americano apprezza il pasto e incoraggia l'economia palestinese che "ha bisogno di uno Stato omogeneo, senza posti di blocco". Per questo, per garantire la sicurezza "sacrosanta" d'Israele, Abu Mazen è chiamato a "combattere il terrorismo e smantellare le infrastrutture dei terroristi". Il convitato di pietra è il partito islamico Hamas che da Gaza partecipa al banchetto con violente manifestazioni di protesta, una bomba alla scuola americana di Gaza City, un razzo Qassam lanciato nella caffetteria del kibbutz Yad Mordechai, vicino Sderot. "Il presidente palestinese, il nostro presidente, ha dimenticato un terzo del suo popolo sotto assedio quotidiano a Gaza" attacca Ismail Radwan, uno dei portavoce di Hamas. "La visita di Bush serve solo a rafforzare l'occupazione israeliana e forzare una spaccatura tra i palestinesi che non si sentono rappresentati da questa leadership" incalza da Ramallah Ahmad Bahar, dirigente del Palestinian Legislative Council. Ma Abu Mazen tira dritto. Il presidente palestinese giudica quella di George W. Bush "una visita storica che dischiude grandi speranze per la nostra gente". Se, come ha annunciato il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Stephen Hadley, il presidente americano tornerà una seconda volta prima della fine dell'anno sarà il benvenuto. La Muquata è pronta: "La pace è un'opzione strategica per i palestinesi. Questo governo sta adottando passi concreti verso l'istituzione di un regime democratico in vista della costituzione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est per capitale". Bush ascolta le parole del collega tradotte dall'arabo e annuisce. A tratti appare perplesso, oltre la lingua c'è un mondo che ignora e sta appostato, silenzioso, scettico, nella città deserta.

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Bush ai palestinesi: pace nel 2008 e uno Stato vero Il presidente incontra Abu Mazen: Israele lasci i territori. Voi combattete il terrorismo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Nazione, La (Nazionale)" del 11-01-2008)
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(Giorno, Il (Nazionale)) (Resto del Carlino, Il (Nazionale))

 

Bush ai palestinesi: pace nel 2008 e uno Stato vero Il presidente incontra Abu Mazen: "Israele lasci i territori. Voi combattete il terrorismo" dall'inviato GIAMPAOLO PIOLI ? NEW YORK ? MOLTI NEL MONDO arabo rimangono scettici, ma le parole di Bush sono forti. "Un accordo di pace tra israeliani e palestinesi comporta la fine dell'occupazione militare iniziata nel 1967 da Israele ? dice il presidente Usa ? Si deve prevedere la fine dell'espansione degli insediamenti e la rimozione degli avamposti illegali. La Palestina deve diventare la patria dei palestinesi e Israele quella del popolo ebreo". Non sono frasi nuove, ma pronunciate invece che a Washington nel cuore del Medio Oriente, dove continuano a piovere razzi su kibbuz israeliani, hanno un significato e un impatto molto più profondo. A Ramallah di fianco al presidente Abu Mazen, Bush aggiunge: "La sicurezza è un problema fondamentale. Nessun accordo e nessuno stato palestinese può nascere dal terrore e i palestinesi devono combattere il terrorismo e smantellare le infrastrutture dei terroristi". Centinaia di persone protestano e gridano "Bush criminale di guerra", ma le parole non arrivano alle orecchie del capo della Casa Bianca, che crede possibile "la pace entro l'anno". Nel palazzo del governo palestinese, alle spalle dei due leader, durante la conferenza stampa è stato appeso una grande ritratto di Arafat, che però le telecamere ufficiali non inquadrano. La tomba provvisoria del leader palestinese è a soli 30 metri ma Bush non si ferma nemmeno in segno di rispetto. Il suo "motorcade" procede spedito verso la chiesa della Natività a Betlemme, dove il presidente si trattiene a pregare per qualche minuto e passando sotto la bassa porta dell'umiltà dice: "E' un momento molto intenso e provo una forte emozione nel trovarmi nel luogo dove è nato il nostro salvatore". LA SUA PRIMA giornata in un territorio in guerra da decenni ha lo scopo di seminare messaggi non ambigui. "Servono concessioni politiche dolorose da entrambe le parti ? insiste Bush ? Solo queste permetteranno di raggiungere una pace duratura nel pieno rispetto degli impegni già presi con la road map". Più che un vertice di sostanza, quello di Bush col presidente palestinese Abu Mazen e col premier israeliano Olmert è diventato soprattutto un doppio summit di immagini e di segnali incrociati. I palestinesi ? che soltanto da due giorni sono seduti al tavolo negoziale per affrontare anche le ultime questioni spinose come lo status di Gerusalemme, i confini , la continuità del nuovo stato palestinese e il problema dei rifugiati ? vogliono un maggior coinvolgimento americano nelle trattative. "Soltanto se gli Stati Uniti continueranno a premere Israele si potrà arrivare a quache risultato" dicono i negoziatori di Abu Mazen. Bush avrà un altro faccia a faccia con Olmert in queste ore, prima di dirigersi nei paesi arabi ai quali ha già chiesto "mosse distensive da tempo necessarie". La Casa Bianca fa capire che il presidente è pronto a tornare a Gerusalemme nei prossimi mesi, ma lascia sul campo il generale William Fraser III, incaricato di monitorare i progressi nel negoziato e di assistere entrambe le parti soprattutto sul piano della sicurezza. Il presidente americano ha lanciato anche un monito a Israele: "Non deve compiere azioni che minano gli sforzi dei palestinesi per ristabilire la sicurezza nei territori occupati". E al suo fianco Abu Mazen riferendosi a Gaza aggiunge: "Hamas ha compiuto un atto di sovversione e adesso deve riconoscere la legittimità internazionale e l'iniziativa di pace araba". Ma a pochi chilometri da loro il leader degli Hezbollah libanesi Nasrallah definisce il viaggio di Bush "una grande operazione d'inganno" e aggiunge: "Dice di essere qui per proteggere i paesi arabi del Golfo dall'Iran, ma il nemico che lui indica è un falso nemico". Il premier israeliano Olmert ha presentato però un nuovo dossier segreto a Bush, preparato dall'intelligence israeliana, nel quale si sostiene che "l'Iran sta continuando la sua corsa al nucleare" per costruire la bomba e potrebbe essere in grado di realizzarla entro il 2009. Un rapporto che contraddice una lunga analisi dei servizi segreti americani, i quali avrebbero stabilito invece che Teheran dal 2003 non ha più proseguito con le sue ricerche nucleari a scopo militare. Mentre il presidente Usa è in Medio Oriente la situazione in Iraq e Afganistan evolve. IL PENTAGONO ha annunciato l'inizio di una nuova offensiva "Phantpom Phoenix" alle porte di Bagdad con l'impiego di 23mila militari e dei caccia bombardieri che hanno scaricato oltre 40mila chilogrammi di bombe su 40 obiettivi terroristici ritenuti basi di Al Qaeda. In Afganistan invece altri tremila marines sono pronti a partire per Kabul nel tentativo di bloccare quella che è ormai stata definita la "taleban offensive" dopo che gli alleati della Nato si sono rifiutati di inviare nuove truppe da combattimento. - -->.

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Bush in palestina "la pace entro un anno" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)

 

Abu Mazen: aperta una speranza Bush in Palestina "La pace entro un anno" GERUSALEMME - "Pace entro un anno". Così durante la sua visita in Palestina Bush ha promesso che l'accordo in Medio Oriente dovrà sancire la "fine dell'occupazione cominciata nel 1967" da Israele. Secondo Bush l'intesa "dovrà stabilire che la Palestina è la patria del popolo palestinese, come Israele è la patria del popolo ebraico". E nel primo viaggio ufficiale in Israele e nei Territori il presidente americano ha ribadito che israeliani e palestinesi firmeranno un accordo di pace entro la fine del suo mandato, nel gennaio 2009. Secondo Abu Mazen "si è aperta una speranza". FLORES D'ARCAIS E STABILE A PAGINA 11.

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Il soccorso dell'"amico americano" ma olmert è ora a un passo dal k.o. - alberto stabile (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)

 

Gli abbracci a Bush a venti giorni dal temuto rapporto sulla fallimentare guerra in Libano Il soccorso dell'"amico americano" ma Olmert è ora a un passo dal k.o. ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente GERUSALEMME - Undici mesi per concludere con un "trattato di pace" un conflitto che va avanti da sessant'anni, sono un periodo estremamente breve in rapporto ad un obiettivo così ambizioso. Ma per il primo ministro Ehud Olmert, i tempi potrebbero essere molto più stretti: il suo destino politico, e con esso la possibilità di arrivare alla pace entro la scadenza stabilita da Bush, si gioca nei prossimi venti giorni. Quanti ne rimangono prima che la commissione Winograd, sull'esito fallimentare della seconda guerra del Libano, consegnerà le sue conclusioni. Già chi parla di uno tsunami in procinto di scatenarsi sulla scena politica israeliana. Una delle chiavi suggerita dai commentatori israeliani per interpretare le molte cose non dette, fra le tanti roboanti dichiarazioni, che hanno accompagnato la visita di Bush è proprio questa: la debolezza politica di Olmert (alla quale Ben Caspit, di Maariv ha fatto corrispondere la debolezza di Bush, paragonato ad un "elefante in ginocchio" incapace di rialzarsi, e alla quale si deve aggiungere la fragilità di Abu Mazen). Nell'arco di due settimane e mezzo, il primo ministro israeliano potrebbe ritrovarsi abbandonato dagli alleati e, quel che è peggio, isolato nel suo stesso partito. Almeno un terzo del gruppo dirigente di Kadima, secondo Yedioth Aaronoth, sarebbe pronto ad eleggere un nuovo leader se le posizione di Olmert dovesse, alla luce del rapporto Winograd, risultare insostenibile. In questo quadro, la visita di Bush, che Olmert ha presentato come "partner e amico personale", sarebbe offerto al premier la possibilità di presentarsi agli occhi dell'opinione israeliana come un leader affidabile e munito della necessaria statura internazionale. Persino l'insistenza con cui, d'accordo con il presidente Shimon Peres, Olmert ha sottoposto al presidente americano il dossier iraniano, farebbe parte di questa strategia. Nel corso di un lungo incontro a quattr'occhi con Bush, il premier ha dettagliatamente illustrato all'ospite un dossier elaborato dai servizi segreti israeliani, la cui finalità era di dimostrare che il regime degli Ayatollah continua a coltivare i piani per dotarsi dell'arma nucleare. Le conclusioni opposte raggiunte dall'intelligence americana, secondo cui Teheran ha cessato già nel 2003 i programmi per costruire la bomba atomica, sarebbero, dunque, sbagliate. Ma perché sollevare con forza questo tema proprio mentre l'Amministrazione americana sembra finalmente impegnarsi a rivitalizzare il processo di pace con i palestinesi? Olmert, si dice a Gerusalemme, vede la questione iraniana e la questione palestinese politicamente collegate. Sarebbe più facile, ha scritto Aluf Benn su Haartez, vendere (all'opposizione di destra e agli alleati recalcitranti di Olmert) le inevitabili concessioni implicite nella nascita di uno stato palestinese se gli Stati Uniti decidessero di rimuovere con decisione la minaccia iraniana. Parallelamente, Bush potrebbe più facilmente imporre all'opinione pubblica americana un'azione di forza contro il regime di Teheran se potesse, al tempo stesso, vantare progressi sul versante del conflitto tra Israele e i palestinesi. Al di là di questi retroscena, resta il fatto che davanti alla telecamere tutti i protagonisti della scena israeliana, e segnatamente i "cavalli di razza" di Kadima, hanno cercato di presentarsi in almeno un fotogramma come persone assai vicine al presidente americano. Momento clou di questa tendenza, le paroline sussurrate dalla ministra degli Esteri, nonché candidata alla leadership di Kadima, Tzipi Livni all'orecchio dei Bush durante la cerimonia di benvenuto all'aeroporto Ben Gurion. Molti si sono chiesti quale era il messaggio che la Livni doveva urgentemente trasmettere all'orecchio di Bush, davanti ad un Olmert non si capisce se divertito o esterrefatto, e se non potesse esserci un momento più opportuno. La corsa ad apparire "in touch" col presidente è proseguita alla cena ufficiale di ieri sera, quando a forza di proteste, la speaker della Knesset Dalia Yitzhik, laburista, vicina a Shimon Peres, è risucita a trovare un posto a tavola al posto del segretario del governo Yekhezkel.

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Bush preme su israeliani e palestinesi "scelte difficili, ma la pace è possibile" - alberto flores d'arcais (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)

 

La foto di Arafat Bush preme su israeliani e palestinesi "Scelte difficili, ma la pace è possibile" A Ramallah l'incontro con Abu Mazen: "Finirà l'occupazione del '67" "Ma la risoluzione del problema dei profughi sarà a carico del futuro Stato palestinese" ALBERTO FLORES D'ARCAIS dal nostro inviato RAMALLAH - Il primo, forte, segnale lo lancia da Ramallah, da quella Muqata che fu residenza-quartier generale (ed oggi anche mausoleo) di Arafat: la pace si può fare "entro il 2008". Poi, rientrato a Gerusalemme dopo aver visitato uno dei luoghi più cari alla cristianità (Betlemme), George W. Bush detta dalla Città Santa i punti chiave perché venga risolto una volta per tutte l'eterno conflitto tra israeliani e palestinesi: fine "dell'occupazione israeliana del 1967", ma con una revisione (favorevole ad Israele) dei confini del 1949; creazione di una "Palestina che abbia una continuità territoriale" (tra Cisgiordania e Gaza); certezza che Israele abbia "confini sicuri, riconoscibili e difendibili"; risoluzione del problema dei profughi (a carico del nuovo Stato palestinese) con l'aiuto e la compensazione della comunità internazionale. In una fredda giornata di nebbia che lo ha costretto a rinunciare al previsto volo in elicottero da Gerusalemme a Ramallah, facendogli toccare da vicino "la frustrazione dei posti di blocco", il presidente americano ha spinto decisamente il piede sull'acceleratore della diplomazia nella convinzione di poter lasciare in eredità ("prima della fine del mio mandato") una pace vera e reale in una regione che di fatto non l'ha mai vista nei sessanta anni di vita dello Stato ebraico; lo fa con una chiarezza di linguaggio destinata a provocare qualche inevitabile malumore in entrambe le parti e qualche feroce discussione in sede di negoziato, ma con una notevole dote di realismo nell'invitare sia gli israeliani che i palestinesi a prendere atto che è giunto il tempo "delle scelte difficili, servono concessioni dolorose da entrambe le parti"; invitando Olmert ed Abbas all'apertura di negoziati "seri e immediati": "Un accordo di pace deve e può avvenire entro la fine di quest'anno". "Si deve mettere fine all'occupazione iniziata nel 1967". Non è la prima volta che il presidente americano usa un termine (occupazione) che gli israeliani non amano e che è considerato quasi uno slogan palestinese, ma è forse la prima volta che viene usato con un accento così preciso: "Si deve mettere fine all'occupazione del 1967. L'accordo deve stabilire la Palestina come patria del popolo palestinese, proprio come Israele è patria del popolo ebraico. I negoziati devono assicurare che Israele abbia confini sicuri, riconoscibili e difendibili. E che la Palestina sia contigua, sovrana e indipendente. La creazione della Palestina è dovuta da tempo, il popolo palestinese lo merita. Aumenterà la stabilità nella regione e contribuirà alla sicurezza del popolo di Israele". Sarebbe però sbagliato leggere queste parole come un cambio nella linea della Casa Bianca, come una concessione di troppo ai palestinesi. In questi suoi giorni di visita in Israele e nei Territori Bush - accolto del resto nello Stato ebraico come il presidente americano più impegnato nella difesa di Israele - ha maturato la convinzione di poter sfruttare proprio questa sua posizione di "amico e alleato fedele" per spingere il governo di Gerusalemme all'accordo. Fine dell'occupazione del 1967 dunque, ma anche ridefinizione di quelli che erano i confini del 1949, questa volta in un senso favorevole ad Israele. La Casa Bianca non si aspetta (né chiederà) un ritiro israeliano da tutti i territori occupati, ma una serie di aggiustamenti che tengano conto di alcuni ormai storici insediamenti: "Il territorio è una questione sulla quale devono decidere le due parti, ogni accordo di pace richiederà aggiustamenti concordati lungo le linee dell'armistizio del 1949 che tengano conto delle realtà esistenti e della continuità territoriale per i palestinesi". Quanto al nodo più difficile, quello di Gerusalemme, il presidente americano non si è voluto sbilanciare, esortando i due governi a lavorare su questa "difficile" questione: "Entrambe le parti hanno profonde preoccupazioni politiche e religiose. Per raggiungere una pace durevole il presidente Abbas e il primo ministro Olmert dovranno riunirsi e fare scelte difficili, e io penso che le faranno". Oltre ai confini e a Gerusalemme, Bush ha messo sul tavolo anche il terzo problema centrale del negoziato, quello sui profughi. La questione verrà risolta "dall'esistenza di uno stato palestinese", se ne dovrà quindi fare carico la futura Palestina e i rifugiati potranno fare ritorno nel loro nuovo Stato ma non in Israele. In cambio ha proposto la creazione di un fondo per gli indennizzi ai profughi: "Con la nascita di uno Stato palestinese occorre pensare a nuovi meccanismi internazionali, comprese le compensazioni per risolvere la questione dei profughi". Infine un richiamo alle due parti per rispettare gli obblighi della Road Map: "Da parte israeliana ciò comprende la fine dell'espansione degli insediamenti e la rimozione degli avamposti illegali. Da parte palestinese occorre affrontare i terroristi". Solo il tempo sarà in grado di dire se quella nebbiosa di ieri potrà essere effettivamente ricordata come una giornata storica per la pace in Medio Oriente. Alla Casa Bianca ne sono convinti tanto da confermare che Bush è intenzionato a compiere un altro viaggio a Gerusalemme prima della fine del suo mandato, quindi entro il 2008.

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La pace in medio oriente sulla via di damasco - marek halter (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 11-01-2008)

 

Cultura La pace in medio oriente sulla via di damasco MAREK HALTER a pace in Medio Oriente passa per Damasco. So bene che la mia affermazione stupirà più d'uno e ne irriterà altri. Tuttavia, questa è la mia convinzione al ritorno dal mio primo viaggio nella Siria di Bachar el-Assad. Alla partenza sono stato criticato per la mia decisione: la Siria non fa parte dell'Asse del Male, secondo la definizione del presidente Bush? Dovrebbe essere del tutto logico che la pace si negozi tra nemici, ma non tutti l'intendono così. L'unica vera questione è sapere in che momento avviare il dialogo, questione che ha più a che vedere con la politica che con la morale. La Siria è matura per la pace. Lo attesta la presenza di un vice-ministro siriano alla conferenza di Annapolis al fianco di Israele e dell'Arabia Saudita, nemici giurati del suo alleato, l'Iran. Sarebbe un errore continuare a isolare la Siria, Paese che ha lunghi chilometri di confine in comune con Israele, Turchia, Libano e Giordania: l'Occidente deve convincersene, nel momento in cui l'America è impantanata in Iraq e procede a fatica nella ricerca di una pace israelo-palestinese accettabile dalle due controparti. Una politica di ostracismo accentua la dipendenza della Siria dall'Iran di Ahmadinejad, condanna il Libano al regime degli Hezbollah, ovvero ?sul lungo periodo ? a scomparire. Infine, conduce inevitabilmente alla guerra tra Siria e Israele. "Politica e teologia sono le sole due grandi questioni" diceva, ormai più di un secolo fa, il britannico William Ewart Gladstone. Ebbene, con la Siria, unico Paese laico del mondo arabo, è ancora possibile fare politica tenendosi alla larga dalla teologia. I siriani tengono molto alla loro laicità. Perfino il gran mufti del Paese, Ahmad Badr Al-Din Hassoun, si professa laico ? il che, secondo lui, impone di rispettare le altre religioni. Ha invitato il sottoscritto ? un ebreo polacco e scrittore francese ? a rivolgersi ai fedeli in occasione della preghiera del venerdì in una delle Moschee più famose del mondo musulmano, la moschea delle Omayyadi a Damasco. Lo ha fatto, ha spiegato, perché "lei è un khakham", termine che tanto in arabo quanto in ebraico significa erudito. In Siria vivono ancora alcune centinaia di ebrei. A Damasco sono un'ottantina e solo nella capitale si contano venti sinagoghe, benché per mancanza di fedeli soltanto una sia aperta. Gli ebrei in Siria hanno un'unica restrizione: non possono aver alcun tipo di rapporto con Israele. Siria e Israele sono in guerra. Ho fatto visita al Centro della loro comunità in compagnia dell'Ambasciatore di Francia, Michel Duclos. Non appena siamo scesi dall'automobile, ci siamo ritrovati circondati. C'erano tutti gli ebrei di Damasco. Erano tutti presenti, ci aspettavano, ci hanno applaudito. Mi hanno commosso. Anche il loro presidente, Albert Caméo si è commosso: sono molto rari i visitatori. Alla testa di un Paese nel quale sul piano religioso l'80 per cento degli abitanti aderisce al movimento sunnita, Bachar el-Assad non ha avvenire alcuno nell'Iran sciita. La popolazione siriana osserva con angoscia le migliaia di pellegrini iraniani ? tra i quali spiccano le donne coperte da capo a piedi di nero, chiuse nelle loro prigioni ambulanti ? che vengono a raccogliersi in preghiera sul reliquiario nel quale, secondo la tradizione, è conservata la testa di Hossein, figlio di Ali, primo imam sciita assassinato a Karbala nel 680. L'islamizzazione della società siriana significherebbe la fine della dinastia Assad, la fine della supremazia del partito socialista Baas. Per Bachar el-Assad, è una corsa contro il tempo: per lui è impellente intavolare negoziati con Israele e aprirsi così all'Occidente. Non è un caso se, davanti ai dirigenti del partito Baas, il presidente siriano ha dedicato quasi per intero il suo discorso alla pace con Israele. Da quanto mi risulta, né la stampa occidentale, né quella israeliana ne hanno riferito, ed è un vero peccato. "Siamo favorevoli alla ripresa dei negoziati" ha detto Bachar el-Assad. "Che gli israeliani tengano bene a mente che una pace vera, una pace permanente, è preferibile a qualsiasi altra situazione temporanea?". Il presidente siriano ha aggiunto che se non sarà possibile "pronunciare davanti agli israeliani la parola terra oppure restituzione della terra siriana in cambio della pace, allora, quantomeno, come ha fatto Itzhak Rabin, che si scriva una frase analoga in una lettera vincolante". Si tratta di un'allusione alla promessa scritta dell'ex Primo ministro israeliano di ritirarsi dalle alture del Golan in cambio di una pace definitiva con la Siria. Tale lettera, il contenuto esatto della quale non conosciamo, prevedeva, secondo le informazioni in nostro possesso più fasi e tappe, finalizzate a dimostrare la buona volontà dei belligeranti. I siriani avrebbero dovuto recuperare le alture del Golan nell'arco di dieci anni. Ma Itzhak Rabin è stato assassinato e il padre di Bachar el-Assad, che aveva negoziato quel documento di intesa, è morto anch'egli. è vero, il presidente siriano non è democratico. Ma conosciamo forse molti democratici alla testa dei Paesi mediorientali o africani? Dobbiamo forse imporre il nostro sistema politico alla Siria a colpi di cannone, come ha fatto il presidente Bush in Iraq? Raymond Aron giustamente diceva che "in politica la scelta non è tra bene e male, ma tra preferibile e deprecabile". La pace in Medio Oriente non è concepibile senza la Siria e non perché abbia un gran peso nel mondo arabo, ma perché il suo orgoglio nazionale è forte e il suo margine di perniciosità immenso. I media internazionali accusano violentemente la Siria, a torto o a ragione, ma per il momento senza prove concrete, di essere implicata nell'omicidio di Rafiq Hariri e di altri deputati libanesi. Queste affermazioni hanno come primo effetto quello di riavvicinare al potere l'opposizione siriana. Aprire ai siriani il mercato europeo significa aiutarli a liberarsi dell'influenza economica dell'Iran. Accettare da parte di Israele i negoziati con la Siria significa indebolire tutti i gruppi terroristi, compreso Hamas, che hanno base a Damasco. Soltanto un regime forte, come quello odierno di Bachar el-Assad, potrà fare un passo avanti verso la pace con Israele senza temere reazioni di piazza. Traduzione di Anna Bissanti.

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Insieme a Condoleezza nella chiesa della natività (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 11-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del BETLEMME Insieme a Condoleezza nella chiesa della natività Le telecamere scrutano il suo volto. Commosso. Come quello di Condoleezza Rice. Sul piano emozionale, due sono le tappe più significative della visita di George W.Bush in Israele e nei Territori: ieri Betlemme, oggi lo Yad Vashem, il Museo dell'Olocausto a Gerusalemme Betlemme, ovvero la visita alla chiesa della Natività. Il Presidente, confidano i suoi più stretti collaboratori, ha fortemente voluto che questa tappa fosse inserita nel programma del viaggio. Durante la sua visita alla ciesa della Natività, Bush si è chinato per varcare la Porta dell'umilità, l'ingresso di pietra alto appena un metro e 20 centimetri che conduce all'interno dell'antichissima chiesa e poi alla grotta dove sarebbe nato Gesù. "È stato un momento molto intenso", riferiscono testimoni oculari. "Mi sento pervaso di una forte emozione - commenta Bush - nel trovarmi nel luogo in cui è nato il nostro salvatore". Il presidente si dice convinto dell'esistenza dell'Onnipotente, "e il più grande regalo che l'Onnipotente può fare a ciascun uomo, donna o bambino - afferma - è la libertà". Ma la realtà di Betlemme non parla di libertà. Ma di oppressione. Lungo il tragitto, cartelli in inglese denunciano che "l'occupazione è terrorismo" e chiedono agli Stati Uniti di "smettere di dare aiuto all'occupazione e morte ai nostri bambini". Tra i notabili della città che accolgono il presidente americano non c'è il sindaco: un'assenza che ha una motivazione politica. Victor Batarse, 72 anni, eletto sindaco nel 2005, è membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), organizzazione che gli Stati Uniti considerano terroristica. Batarse inoltre era stato eletto sindaco grazie al sostegno dei membri del consiglio municipale che rappresentano il movimento islamico Hamas, pure considerato terroristico dagli Usa. "Nessuno - dice il sindaco - mi ha informato della visita di Bush. Mi è stato solo detto di pulire le strade. Cosa che ho fatto". u.d.g.

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Il presidente americano questa volta ha parlato chiaro (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 11-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del YAEL DAYANLa figlia del generale della guerra dei sei giorni: nella tappa israeliana mi ha delusa ma con i palestinesi ha preso impegni precisi "Il presidente americano questa volta ha parlato chiaro" di Umberto De Giovannangeli "Più che il sostegno al processo di pace, George W.Bush ha voluto rafforzare la leadership traballante sia di Ehud Olmert sia di Abu Mazen. Devo dire che ero rimasta delusa dalla genericità delle affermazioni fatte dopo gli incontri con Peres e Olmert, delusione che è stata in parte fugata dalle impegnative considerazioni fatte dal presidente Bush nel suo incontro con Abu Mazen. Se quelle espresse a Ramallah sono le reali intenzioni degli Stati Uniti, il processo di pace ha speranza di svilupparsi". A parlare è Yael Dayan, scrittrice, più volte deputata laburista, figlia dell'eroe della Guerra dei Sei giorni: il generale Moshe Dayan. Come valuta i due giorni in Israele e Cisgiordania di George W.Bush? "Deludente nella sua parte israeliana, incoraggiante in quella palestinese. La mia speranza è che a prevalere nei fatti sia questa seconda "versione" degli intendimenti americani". Procediamo con ordine. Perché la delusione? "Ho avuto l'impressione che la preoccupazione maggiore del presidente Bush sia stata di dare una mano ad un primo ministro, Olmert, in gravissima difficoltà e atteso tra poche settimane alla prova del fuoco quando sarà reso pubblico l'intero rapporto della Commissione Winograd sulla conduzione della guerra in Libano. Per questo ha evitato di calcare la mano su questioni cruciali per lo sviluppo del processo di pace, come il blocco della colonizzazione nei Territori e a Gerusalemme Est. L'altra preoccupazione che ha mosso Bush è stata quella di rassicurare Israele sul fatto che l'America non sottovaluta la minaccia iraniana. Diciamo che a Gerusalemme abbiamo visto all'opera un Bush "difensivo", col freno a mano tirato." Mentre a Ramallah? "Anche a Ramallah, come a Gerusalemme, Bush ha sostenuto un leader in difficoltà, ma lo ha fatto alzando il tiro, con affermazioni impegnative che mi auguro siano supportate dai fatti: penso all'impegno di giungere ad un accordo di pace entro il 2008. Non meno significativa è stata la sottolineatura che lo Stato palestinese deve avere una contiguità territoriale: un messaggio lanciato a Israele per ciò che concerne il futuro degli insediamenti, non solo quelli illegali. Lo Stato palestinese non può essere una finzione formale né un assemblaggio di cantoni. Ed è in questo contesto che il presidente Usa ha giustamente collocato la questione della sicurezza d'Israele. D'altro canto, Bush e ancora di più Condoleezza Rice sono consapevoli che la leadership di Abu Mazen può reggere alla sfida di Hamas solo se avanza il processo di pace e se in questo procedere la popolazione palestinese vede modificarsi in meglio la propria condizione di vita. Non voglio certo tessere le lodi di Bush, da lui mi dividono tantissime cose, ma ho avuto l'impressione che la ferita della guerra in Iraq lo abbia portato a capire che la democrazia non può essere imposta dall'esterno con la forza ma deve crescere dall'interno e gli Stati Uniti possono dare un contributo importante in questo processo, se però puntano sulla politica e non sulla forza militare, recuperando così quel credito, in particolare nel mondo arabo, venuto meno con la guerra in Iraq". E Israele come dovrebbe favorire questo processo? "Con il coraggio del più forte. Che usa questa forza non per imporre il suo punto di vista ma per promuovere diritti e giustizia. E nel far questo, si dimostra lungimirante, perché solo riconoscendo i diritti degli altri è possibile custodire i propri. Giungere ad una pace giusta, e per ciò duratura, con i palestinesi è il miglior regalo che Israele può fare a se stesso, perché solo con la pace è possibile conciliare la necessaria sicurezza con l'indispensabile mantenimento dei caratteri democratici della nostra esperienza nazionale". Una pace giusta. Quale? "Non c'è niente da inventare. Le basi esistono: le risoluzioni Onu, la Road Map, l'Iniziativa di Ginevra.Su ogni questione cruciale - i confini, Gerusalemme, la sicurezza, i rifugiati, le risorse idriche.- sono stati indicate soluzioni di compromesso ragionevoli, che il negoziato dovrebbe solo articolare meglio, tenendo conto di una realtà diversa da quella di trent'anni fa e facendo della reciprocità la bussola che orienta la trattativa. Il punto non è il contenuto della pace, ma la volontà politica di raggiungerla. E questo può avvenire solo parlando ai rispettivi popoli il linguaggio della verità". Il che rimanda alla statura politica dei leader. "So che molti israeliani rimpiangono i "grandi vecchi", quelli che incutevano rispetto e trasmettevano sicurezza. Ma di quella generazione siamo ormai "orfani". Dobbiamo saper elaborare il lutto e crescere come coscienza collettiva che dalla società influenzi le scelte vitali della dirigenza politica. La pace significa normalità, e normalità vuol dire anche fare a meno dell'"uomo della provvidenza"".

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Bush a Ramallah: Palestina entro il 2008 Il presidente americano incontra Abu Mazen alla Muqata, il vecchio quartier generale di Arafat Monito a Israele: La pace va facilitata . Og (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 11-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Bush a Ramallah: Palestina entro il 2008 Il presidente americano incontra Abu Mazen alla Muqata, il vecchio quartier generale di Arafat Monito a Israele: "La pace va facilitata". Oggi la visita al museo dell'Olocausto di Umberto De Giovannangeli LA PRIMA VOLTA di George W. Bush in Palestina. Tra speranze, promesse e impegni concreti. E da Ramallah, il presidente Usa assicura i palestinesi: il vostro non sarà uno "Stato groviera".E fissa anche i tempi per uno storico accordo di pace: entro il 2008. Bush è accolto a Ramallah, "capitale " della Cisgiordania, da un picchetto armato davanti al quale sfila al fianco di Abu Mazen su un lungo tappeto rosso. Se pur ospite della Muqata (l'ex storico quartier generale del defunto Yasser Arafat), il presidente Usa come previsto sin dalla vigilia evita accuratamente di volgere lo sguardo verso il mausoleo che custodisce le spoglie del rais, e che sorge a meno di 30 metri dall'ingresso del palazzo che varca con passo solenne. "La pace è una opzione strategica per i palestinesi", assicura Abu Mazen prendendo la parola, aggiungendo che il suo governo sta adottando passi concreti verso la istituzione di un regime democratico, in vista della costituzione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est per capitale. Subito dopo, tocca al presidente Bush delineare la sua visione della futura Palestina che dovrà essere, afferma, uno Stato con una contiguità territoriale "La pace entro il 2008 è possibile. Possiamo farcela". Bush, che parla sotto un gigantesco ritratto di Arafat, imprime una brusca accelerata ai negoziati di pace tra israeliani e palestinesi con una raffica di proposte centrate sui problemi più delicati. Dopo due giorni di colloqui in Israele e in Cisgiordania, il presidente Usa affronta il problema dei rifugiati proponendo un meccanismo di compensazione internazionale collegato alla nascita dello Stato palestinese. Prende di petto la questione dei futuri confini di uno stato palestinese ammonendo che Israele dovrà por fine alla "occupazione iniziata nel 1967" e che in ogni caso la futura Palestina dovrà avere una "continuità territoriale" evitando la creazione di uno "Stato groviera". Una formulazione che getta le basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la Cisgiordania e per una mappa degli insediamenti israeliani che non frammenti la Palestina. Il presidente Usa fa anche un accenno all'armistizio del 1949, che ha stabilito una "Linea verde" che nessuno può mettere in discusisone, sottolineando però la necessita di adattare la situazione alle nuove realtà. Bush parla anche dello status di Gerusalemme, notando che si tratta di un problema "molto duro" che richiederà "concessioni dolorose" da entrambe le parti. Sono proposte decise ed esplicite quelle avanzate ieri i da Bush dopo avere ascoltato il giorno prima a Gerusalemme i timori israeliani sulla sicurezza e dopo avere visto di persona, trasferendosi in auto dalla Città Santa alla roccaforte palestinese di Ramallah, le muraglie, i posti di blocco, le barriere di filo spinato che rendono ogni giorno la vita difficile ai palestinesi. Bush dice di capire "la frustrazione" dei palestinesi per questa situazione. Ma aggiunge di comprendere altrettanto bene la necessità di sicurezza di Israele. "La sicurezza è fondamentale: nessun accordo di pace e nessuno Stato palestinese possono nascere dal terrore", afferma l'inquilino della Casa Bianca. Bush doveva recarsi a Ramallah in elicottero ma il maltempo ha fatto scattare il "piano B": lo spostamento in auto, su un percorso presidiato da migliaia di agenti palestinesi. La visita avviene tra straordinarie misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città fantasma, con gli abitanti diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti, Un tentativo di protesta da parte di 200 cittadini di Ramallah viene bloccato immediatamente dagli agenti. Bush, che ha parlato sotto un gigantesco ritratto di Arafat, ribadisce più volte di "ritenere possibile un accordo di pace entro il 2008". Gli fa eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno della pace: la pace nel mondo comincerà dalla Terra Santa". Il presidente Usa sottolinea di "non amare le scadenze, ma io ne ho una: mi restano dodici mesi, ma ce la possiamo fare a raggiungere un accordo di pace entro il mio mandato". Ma un grosso ostacolo è il controllo della Striscia da parte di Hamas, col lancio di razzi contro il territorio israeliano. Abu Mazen accusa Hamas di avere compiuto un atto di sovversione a Gaza. Israele accusa Abu Mazen di non riuscire a controllare l'attività di Hamas. Il premier Olmert ha ribadito l'altro ieri che "non vi può essere pace" nella regione "finchè continuerà l'attività dei terroristi". Bush rimarca che i palestinesi devono scegliere "tra il caos e la pace", tra "un futuro con due Stati e lo status quo". Ma il presidente Usa insiste anche sulla necessità che entrambe le parti facciano uno sforzo maggiore per rispettare in pieno gli impegni già presi con la Road Map. Questo significa in particolare il massimo controllo dei palestinesi sulle attività terroristiche nei territori. E significa per gli israeliani congelare lo sviluppo di nuovi insediamenti e smantellare al più presto gli avamposti illegali. Una prospettiva, quest'ultima, che divide Israele. A ribadirlo a Bush sono alcune centinaia di coloni oltranzisti che inscenano una manifestazione di protesta a Gerusalemme, al grido "Bush ricorda, Eretz Israel (la Terra d'Israele) non si tocca". In nottata, la prima reazione ufficiosa d'Israele alle proposte avanzate dal presidente Usa. Ed è una presa di posizione incoraggiante. "Vediamo quanto detto da Bush come la base per andare avanti. Accettiamo quelle proposte. Le consideriamo in linea con quanto ci siamo detti con gli americani e come un positivo punto d'inizio per andare avanti", afferma una fonte governativa.

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<Io che intervistai Bin Laden vi dico: prepara un attentato come quello dell'11 settembre> pag.1 (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)

 

"Io che intervistai Bin Laden vi dico: prepara un attentato come quello dell'11 settembre" di Stefano Zurlo - venerdì 11 gennaio 2008, 07:00 Adesso Atwan ride quasi divertito. "A Jalalalabad mi fecero salire su un pick up, s'inerpicò sulle montagne in direzione Tora Bora. Mi trovai infine davanti a una caverna, l'ingresso, in legno, ben mimetizzato. Bin Laden vestiva una sorta di poncho dalle fogge afghane, era molto alto, all'altezza del personaggio che si stava costruendo. Affascinante, carismatico Mi disse subito di non registrare perché temeva gli errori, sia quelli grammaticali che teologici". L'intervista, che si svolge nella sede della Link University di Roma, si interrompe un attimo: un giornale arabo chiede ad Atwan un breve commento sulla visita di Bush in Israele. L'autore del libro La storia segreta di Al Qaida - presto tradotto in italiano da Eurilink, la casa editrice dell'ateneo - sgrana gli occhi scuri: "Ricordo che dentro quella caverna c'erano tredici o quattordici persone, tutte armate. A un certo punto si sentirono rumori assordanti e tutti si precipitarono fuori impugnando fucili o pistole. Anche Osama prese il kalashnikov che aveva strappato ad un generale russo e corse fuori. Invece dopo un quarto d'ora erano tutti indietro: Osama si scusò e mi spiegò che quella era un'esercitazione, poi entrò nel vivo della conversazione: la sua ossessione era cacciare gli americani dall'Arabia. Mi spiegò tranquillamente che si preparava alla Guerra santa contro gli Usa e aggiunse che c'era lui dietro l'attentato in Somalia che era costato la vita a 19 soldati americani". Sembra incredibile ma quella intervista andò avanti per tre giorni: "Dormimmo nella stessa stanza, nel retro della grotta. Mangiammo piatti poverissimi, uova e patate o poco altro. Faceva freddo, avevo paura, ma intanto lui si preparava a una nuova fuga. "Chissà", mi disse prima di congedarmi, "potrei andare nello Yemen, dove ci sono montagne che ricordano quelle di qua"". Dal '98, quando il suo emissario fu arrestato a Londra, Atwan ha smarrito il gomitolo che lo portava da qualche parte nel mondo fino a Bin Laden. "Ma sono sicuro: è ancora vivo. Solo che non ha più un esercito, una gerarchia sotto di lui. Al Qaida ormai è un marchio, ci sono tante cellule, idealmente legate in un network planetario. Al Qaida farà ancora parlare di sé". E lui, il profeta invisibile del terrore mondiale? "Non è più un comandante militare, è una sorta di guru, di grande vecchio, di leader spirituale. E vive in una grande città del Pakistan, O forse nello Yemen come un uomo qualunque, anonimo, ma capace di tenere in scacco il mondo".

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Bush: <Entro l'anno la pace in Palestina> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)

 

Bush: "Entro l'anno la pace in Palestina" di Fiamma Nirenstein - venerdì 11 gennaio 2008, 07:00 da Ramallah "Alla fine del mio secondo mandato, il trattato di pace sarà pronto". Sorrisi e applausi nel salone della Mukata risistemata e abbellita, dove tante volte Arafat e i suoi uomini, ancora tutti là con Abu Mazen molto contento di accogliere Bush, hanno comunicato le loro risoluzioni ai giornalisti: stavolta, George Bush a fianco di Abu Mazen lo riscalda e fortifica con la sua presenza, e promette la pace in tempo per godersela. Ma, al di là delle cerimonie, alla fine l'atmosfera non è più la stessa. I check point, i confini del '67, le costruzioni negli insediamenti, la sicurezza di Israele, la lotta contro Hamas. La logica di Bush non combacia con quella palestinese. La lotta al terrorismo chiede il suo tributo, e Bush glielo concede. Per esempio, a una domanda sui check point la logica americana di Bush fa scandalo: "So che gli israeliani vi fermano anche per due ore, e mi dispiace. Ma il motivo è la sicurezza. A me, non mi hanno fermato. Con la pace, i check point chiuderanno". Dignitari e giornalisti erano stupefatti. E Hamas? Bush non ha avuto pietà per Fatah: "Sta a voi e solo a voi fermarlo, o volete che questa feroce organizzazione che ha distribuito assassinii agli israeliani e disgrazie al proprio popolo, determini il vostro destino?". Troppo americano? Forse, ma Bush ha cercato di compensare i palestinesi con la promessa del suo impegno, che vuol dire denaro e pressione su Israele, e fede in Abu Mazen: lo ha chiamato più volte "president" e non "chairman" come nel passato, mentre eguali, l'una accanto all'altra, si levavano le bandiere americana e palestinese. Molte le parole di fede nella pace ("ci credo perché vedo la forza dei due leader"), le promesse a essere là a sostenere lo sforzo ("con l'aiuto necessario, nell'interesse non solo dei palestinesi e degli israeliani ma di tutto il mondo"). Bush ha cercato di apparire imparziale, dando un colpo al cerchio ("l'occupazione deve finire... parliamo di uno Stato con territori contigui, non di un gruviera svizzero") e uno alla botte ("la sicurezza degli israeliani deve essere assicurata... potete rimanere inchiodati al passato ma questo non porterà niente di buono ai palestinesi").

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Bush: <Entro l'anno la pace in Palestina> pag.1 (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)

 

Bush: "Entro l'anno la pace in Palestina" di Fiamma Nirenstein - venerdì 11 gennaio 2008, 07:00 Abu Mazen ha ribadito il suo impegno a raggiungere un accordo, ha detto che la visita riflette il desiderio di pace dei palestinesi: ha sfidato l'odio di Hamas e di chi ha sparato. durante la visita. ben 20 missili su Sderot. Alle sette, quando Bush ha incontrato i figli di Ariel Sharon e poi Bibi Netanyahu, avrebbe dovuto godere l'aurora sulla Città vecchia. Invece Gerusalemme gli ha mostrato un volto impenetrabile, candido. Bagnato. Bush così, invece di usare l'elicottero, ha dovuto viaggiare attraverso i check point di Ramallah, mentre la Sicurezza impazziva e gli abitanti della cittadina venivano bloccati in casa; ha pagato la mancata visita alla tomba di Arafat con un grande ritratto del raìs piazzato proprio dove parlava ai giornalisti; la gente per strada osannava uno strano sosia del raìs, con keffiah e divisa. Dopo la visita Bush è volato a Betlemme e ha visitato la chiesa della Mangiatoia. A sera la sorpresa, un discorso di cui i palestinesi non saranno contenti: i due Stati devono convivere l'uno accanto all'altro lo Stato palestinese patria dei palestinesi, quello d'Israele per il popolo ebraico, ovvero: nessun sogno di distruggere Israele; per la suddivisione territoriale, Bush non ha fatto riferimento ai confini del 1967: ha parlato di accordi che riflettano i cambiamenti avvenuti sul terreno, ovvero di possibili scambi territoriali. Bush inoltre non ha più parlato di "diritto al ritorno" ma di "soluzione per il problema dei profughi" e di "compensazioni economiche necessarie". Di nuovo, della sicurezza di Israele. Non ha detto una parola sulla richiesta di fermare ogni costruzione soprattutto a Gerusalemme est. Andandosene, ha detto in sostanza "fate voi, ma fatelo entro l'anno". E così comincia una nuova, terribile mischia.

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La palestinese: aspetto i fattil'israeliano: serve il dialogo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Secolo XIX, Il" del 11-01-2008)

 

Le opinioni nMilano. Il presidente Bush incontra Abu Mazen a Ramallah e si dice "fiducioso che uno Stato palestinese possa nascere presto." Ma nelle terre che incorniciano Geusalemme lo scetticismo prevale, anche se nessuno vuole chiudere la porta alla speranza. Amina Odeh, giornalista palestinese esperta in diritti umani, prova a spiegarci la prospettiva dei suoi "compaesani senza Paese": "Bush jr. non è il primo presidente americano che viene in visita qui, prima ci sono stati Clinton e Carter. Quindi considero questo incontro come gli altri. Rimangono molti problemi da risolvere: il muro, l'acqua come risorsa, Gerusalemme, le frontiere, i rifugiati e i prigionieri, gli insediamenti dei coloni... Certo, è benvenuta ogni iniziativa che miri alla creazione di uno Stato palestinese indipendente, come è peraltro stabilito dalle risoluzioni delle Nazioni Unite. Bush da tempo parla della sua visione riguardo alla creazione di uno Stato palestinese; sentiamo sempre le stesse cose, ma per ora non ci sono stati progressi. Parlare non è abbastanza , non è come prendere impegni. Poi ha cercato di evitare il ricordo di Arafat, nostro storico leader: non sarebbe stato più saggio rispettare i sentimenti popolari?". Per Amina Odeh, "la cosa più urgente, in tutti i casi, rimane la considerazione di cosa succede sul territorio: credo perciò che la pace in Medio Oriente debba essere fatta con il supporto indispensabile dell'Onu". Mentre si aspetta la costituzione di una Palestina riconosciuta dagli israeliani "è necessario creare, in tempi stretti, misure di salvaguardia e di sicurezza per il benessere del popolo. Non ci sono problemi con nessuno dei coadiuvanti il dialogo, cioè con americani e europei; ma vorrei che Bush avanzasse proposte concrete, in primis, per risolvere la questione dei coloni. Sarei fiera di lui se lo facesse, e anche se tenesse sempre aperta la porta tra le due parti che negoziano". Infatti si è sempre sul filo del rasoio. "Occorrerà tempo per chiudere le questioni aperte. Serve la massima attenzione. Ma rimane bene accetta ogni delegazione Usa che possa aiutarci, che lavori per il ritiro dell'occupazione israeliana, per fermare la violenza e la privazione dei diritti umani: tematiche che spesso diventano tabù a causa di veti incrociati. Vorrei sentire che lo Stato palestinese sarà realtà nei prossimi anni: sarebbe un obiettivo centrato. Forse non succederà durante l'epoca Bush, che si chiude nel 2008. Magari nel prossimo anno?". Tutto sommato è quello che si augurano anche alcuni israeliani. Una minoranza, forse. Yaron Frost è"deputy editor" di Yedoth Ahronoth, primo quotidiano israeliano. Suona l'altra campana. Indipendentemente dalle risoluzioni Onu e dagli interventi Usa, dice, è a livello di popoli che deve crescere il sostegno. Troppo spesso israeliani e palestinesi non comunicano e non ascoltano le ragioni dell'altro. Lo ha spiegato al convegno internazionale per la Pace in Medio Oriente organizzato dalla Fondazione Peres e dal Museo Picasso di Malaga. Presenti giornalisti e adolescenti da tutti i Paesi dell'area del Mediterraneo. Scopo dell'iniziativa: favorire la cooperazione, la comunicazione e il rispetto. "Niente è più importante del dialogo tra i popoli. Purtroppo molti israeliani, ad esempio, non si interrogano sulle condizioni di vita difficili dei palestinesi. Come è vero che per ogni rivendicazione o lamentela dei palestinesi, si può contrapporre il punto di vista, anche questo legittimo, del mio popolo. Bisogna andare avanti". Valerio Venturi 11/01/2008.

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MO: BUSH; PACE NEL 2008,NO A STATO PALESTINESE GROVIERA/ANSA (sezione: Israele/Palestina)

( da "Secolo XIX, Il" del 11-01-2008)

 

RAMALLAH. "La pace entro il 2008 è possibile. Possiamo farcela". Il presidente americano George W. Bush, dopo una storica visita a Ramallah all'ex-quartier generale di Yasser Arafat, ha impresso ieri una brusca accelerata ai negoziati di pace tra israeliani e palestinesi con una raffica di proposte centrate sui problemi più delicati. Bush, dopo due giorni di colloqui in Israele e in Giordania, ha affrontato il problema dei rifugiati proponendo un meccanismo di compensazione internazionale collegato alla nascita dello Stato palestinese. E ha preso di petto la questione dei futuri confini di uno Stato palestinese ammonendo che Israele dovrà porre fine alla "occupazione iniziata nel 1967" e che in ogni caso la futura Palestina dovrà avere una "continuità territoriale" evitando la creazione di uno "Stato groviera". Una formulazione che getta le basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la Cisgiordania e per una mappa degli insediamenti israeliani che non frammenti la Palestina. Bush ha parlato anche dello status di Gerusalemme, notando che si tratta di un problema "molto duro" che richiederà"concessioni dolorose" da entrambe le parti. Sono proposte decise ed esplicite quelle avanzate da Bush dopo avere ascoltato ieri a Gerusalemme i timori israeliani sulla sicurezza e dopo avere visto di persona, trasferendosi in auto dalla Città Santa alla roccaforte palestinese di Ramallah, le muraglie, i posti di blocco, le barriere di filo spinato che rendono ogni giorno la vita difficile ai palestinesi. Bush ha detto di capire "la frustrazione" dei palestinesi per questa situazione. Ma ha aggiunto di comprendere altrettanto bene la necessità di sicurezza di Israele. "La sicurezza è fondamentale: nessun accordo di pace e nessuno Stato palestinese possono nascere dal terrore". Era la prima volta di Bush in Israele e la prima visita di un presidente Usa in Cisgiordania dal viaggio di Bill Clinton nel dicembre 2008. La visita è avvenuta tra straordinarie misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città fantasma, con gli abitanti diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti. A Bush ha fatto eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno della pace: la pace nel mondo comincerà dalla Terra Santa". Ma un grosso ostacolo è il controllo di Hamas e di Gaza, col lancio di razzi contro il territorio israeliano. Abu Mazen ha accusato Hamas di avere compiuto un atto di sovversione a Gaza. Gli israeliani accusano Abu Mazen di non riuscire a controllare l'attività di Hamas. Il premier Ehud Olmert ha ribadito che "non vi può essere pace" nella regione "affinché continuerà l'attività dei terroristi". Bush ha detto ieri che i palestinesi devono scegliere "tra il caos e la pace". cristiano del riccio (Ansa) 11/01/2008.

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Bush a Ramallah: <Pace entro l'anno> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 11-01-2008)

 

Esteri Pagina 112 Per il presidente degli Stati Uniti il futuro stato palestinese dovrà avere "contiguità territoriale" Bush a Ramallah: "Pace entro l'anno" Per il presidente degli Stati Uniti il futuro stato palestinese dovrà avere "contiguità territoriale" --> RAMALLAH "La pac e entro il 2008 è possibile. Possiamo farcela". Il presidente americano George W. Bush, dopo una storica visita a Ramallah all'ex-quartier generale di Yasser Arafat, ha impresso ieri una brusca accelerata ai negoziati di pace tra israeliani e palestinesi con una raffica di proposte centrate sui problemi più delicati. Bush, dopo due giorni di colloqui in Israele e in Giordania, ha affrontato il problema dei rifugiati proponendo un meccanismo di compensazione internazionale collegato alla nascita dello stato palestinese. Ed ha preso di petto la questione dei futuri confini di uno stato palestinese ammonendo che Israele dovrà por fine alla "occupazione iniziata nel 1967" e che in ogni caso la futura Palestina dovrà avere una "continuità territoriale" evitando la creazione di uno stato groviera . Una formulazione che getta le basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la Cisgiordania e per una mappa degli insediamenti israeliani che non frammenti la Palestina. Il presidente Usa ha fatto anche un accenno all'armistizio del 1949, che ha stabilito una linea verde che nessuno può mettere in discusisone, sottolineando però la necessita di adattare la situazione alle nuove realtà. Bush ha parlato anche dello status di Gerusalemme, notando che si tratta di un problema "molto duro" che richiederà "concessioni dolorose" da entrambe le parti. Sono proposte decise ed esplicite quelle avanzate ieri da Bush dopo avere ascoltato ieri a Gerusalemme i timori israeliani sulla sicurezza e dopo avere visto di persona, trasferendosi in auto dalla Città Santa alla roccaforte palestinese di Ramallah, le muraglie, i posti di blocco, le barriere di filo spinato che rendono ogni giorno la vita difficile ai palestinesi. Bush ha detto di capire "la frustrazione" dei palestinesi per questa situazione. Ma ha aggiunto di comprendere altrettanto bene la necessità di sicurezza di Israele. La visita a Ramallah è avvenuta tra straordinarie misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città fantasma, con gli abitanti diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti, un tentativo di protesta da parte di 200 cittadini di Ramallah viene bloccato immediatamente dagli agenti. Bush, che ha parlato sotto un gigantesco ritratto di Arafat, ha ribadito più volte di "ritenere possibile un accordo di pace entro il 2008". Gli ha fatto eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno della pace: la pace nel mondo comincerà dalla Terra Santa". Il presidente Usa ha sottolineato di "non amare le scadenze, ma io ne ho una: mi restano dodici mesi, ma ce la possiamo fare a raggiungere un accordo di pace entro il mio mandato". Ma un grosso ostacolo è il controllo di Hamas e di Gaza, col lancio di razzi contro il territorio israeliano. Abu Mazen ha accusato Hamas di avere compiuto un atto di sovversione a Gaza. Gli israeliani accusano Abu Mazen di non riuscire a controllare l'attività di Hamas. Il premier Ehud Olmert ha ribadito che "non vi può essere pace" nella regione "finché continuerà l'attività dei terroristi". Bush ha detto che i palestinesi devono scegliere "tra il caos e la pace", tra "un futuro con due stati e lo status quo". Ma il presidente ha insistito sulla necessità che entrambe le parti facciano uno sforzo maggiore per rispettare in pieno gli impegni già presi con la roadmap. Questo significa il massimo controllo dei palestinesi sulle attività terroristiche nei territori e lo stop a nuove colonie.

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"Pane per Betlemme": i biglietti vincenti della lotteria (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 11-01-2008)

 

Cronaca di Cagliari Pagina 1022 solidarietà "Pane per Betlemme": i biglietti vincenti della lotteria Solidarietà --> Sono stati estratti il 6 gennaio i tagliandi vincenti della tradizionale lotteria di beneficenza "Pane per Betlemme" il cui ricavato sarà devoluto interamente a un gruppo di padri salesiani che da anni operano in Palestina a beneficio dei più deboli. I religiosi gestiscono un grande forno panificatore e ogni giorno forniscono gratuitamente il pane caldo a tutti i bisognosi che ne fanno richiesta. La lotteria è stata promossa come ogni anno dalla Circoscrizione numero 4 di Cagliari presieduta da Alessandro Sorgia in collaborazione con l'associazione sportiva Sigma Calcio, diretta da Maria Rosaria Cascu. Ecco di seguito le sigle degli otto biglietti vincenti. 1° premio: n°9758 (abbinato al Televisore Lcd 32 pollici). 2° premio: n°3697 (Sistema Home Theatre Cinema). 3° premio: n°7828 (Dvd Recorder Dvx). 4° premio: n°1091 (Foto-camera digitale). 5° premio: n°3924 (Telefono cellulare Gsm). 6° premio: n°3479 (Lettore portatile Dvd). 7° premio: n°3451 (Digitale terrestre). 8° premio: n°3280 (Cornice digitale). Complimenti ai fortunati vincitori. Chi non avesse ancora provveduto a ritirare il premio può rivolgersi alla segreteria della società Sigma, in via Castiglione, vicino al campo di calcio in erba. ( p.l. ).

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Gli israeliani sperano nelle pressioni di Bush per trovare la pace (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 11-01-2008)

 

Commenti Pagina 316 Gli israeliani sperano nelle pressioni di Bush per trovare la pace --> George W. Bush ha chiesto ieri (giovedì) al rais palestinese Abu Mazen, in un incontro a Ramallah, di scegliere tra Stato o caos. Abu Mazen ha chiesto a Bush di fare pressione per il congelamento della costruzione di insediamenti in territorio palestinese. È la prima visita del leader americano da presidente degli Stati Uniti in Israele e Territori. Bush è stato accolto con grandi onori all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv da tutti i ministri del governo Olmert. I mass media ricevono il leader dubbiosi: la visita, dicono in molti, arriva troppo tardi. Il mandato di Bush scade nel gennaio 2009 e nessuno crede a un accordo entro l'anno. In una conferenza stampa dopo l'incontro tra i due leader, il premier israeliano ha detto d'essere pronto a iniziare trattative sui punti chiave del conflitto - rifugiati, Gerusalemme, confini - e di riconoscere la necessità di penose concessioni da entrambe le parti. Per Olmert, la visita di Bush ha in questo momento un'importanza quasi vitale. Sei settimane fa, ad Annapolis, in Maryland, si è seduto a un tavolo con il presidente palestinese e i mediatori americani, promettendo di tentare la via del negoziato e mettendosi contro parte del suo stesso governo. Era da sette anni, dall'era di Camp David, che israeliani e palestinesi avevano chiuso i dossier delle trattative. Il primo ministro è sostenuto da una coalizione variegata, parte della quale è fortemente contraria a ogni tipo di accordo, di ritiro territoriale. Ci sono i religiosi del gruppo Shas, c'è il ministro Avigdor Liebarman, del partito di destra estrema Israel Beitenu, contrario a concessioni, c'è il ministro della Difesa laburista, Ehud Barak, che attende la pubblicazione dei risultati finali del rapporto Winograd sulla guerra in Libano per decidere se lasciare il governo, attivando la crisi. C'è Benjamin Netanyahu, all'opposizione, capo della destra storica del Likud, che ha molte riserve sui programmi stesi ad Annapolis. Aveva stupito e creato perplessità una prima decisione dell'Amministrazione americana di non mettere nell'agenda del presidente incontri con leader dell'opposizione durante il suo soggiorno a Gerusalemme. Soltanto all'ultimo momento è stato chiamato l'ufficio di Bibi Netanyahu per organizzare il colloquio di giovedì mattina fra i due. Olmert ha bisogno di questo viaggio presidenziale, delle pressioni americane. Chi, infatti, tra i suoi pericolosi alleati di coalizione o chi tra i riottosi membri dell'opposizione potrà con leggerezza mettere in difficoltà il leader del governo, dopo che il presidente americano, guida del più grande alleato d'Israele, ha definito Olmert "un amico" e benedetto i suoi sforzi con i palestinesi? Gli Stati Uniti sono il maggior alleato di sempre del Paese, il governo che elargisce lauti finanziamenti annui e ogni politico israeliano ritiene un incubo la possibilità di incrinare, in qualsiasi posizione si trovi, i rapporti con Washington. Tutti, in Israele, ricordano con terrore i giorni in cui il governo Shamir, nel 1991, si trovò incastrato ad affrontare l'opposizione di George Bush padre, allora presidente, e del suo segretario di stato James Baker: l'Amministrazione si rifiutò allora di garantire 10 miliardi di dollari in prestiti immobiliari senza ottenere in cambio la garanzia di un congelamento degli insediamenti. Olmert spera che la visita del presidente Bush sia in grado di dargli una spinta forte, capace di immobilizzare ogni tendenza contraria, impossibilitando i suoi avversari a opporsi all'avallo del leader americano alla politica del governo. Poche settimane fa, il celebre direttore del quotidiano liberale Haaretz, David Landau, ha partecipato a un incontro privato tra intellettuali israeliani e segretario di Stato americano. A Condoleezza Rice, durante una chiacchierata, ha detto che "Israele dovrebbe essere violentata dagli Stati Uniti per mettere fine al conflitto", una frase che, prontamente riportata dai mass media locali, aveva creato un vivace e spesso indignato dibattito. Landau aveva poi raccontato di augurarsi che Washington imponesse una soluzione al conflitto grazie al suo peso e alla sua posizione, livellando così le differenze politiche interne israeliane. ROLLA SCOLARI.

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Visita di Bush a Ramallah (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 11-01-2008)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.116 del 11/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Esteri Continuano ad essere pesanti le condizioni di vita per la persone in Cisgiordania Visita di Bush a Ramallah Il presidente degli Stati Uniti scende in campo per incentivare il processo di pace affermando che si avra' un accordo entro la fine del suo mandato Ramallah, 11 gen.- Nuove speranze arrivano sul processo di pace in Medio Oriente. A diffonderle lo stesso presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, in visita ieri mattina a Ramallah dove, in una conferenza stampa congiunta con il presidente Mahmoud Abbas, ha affermato che “sarà firmato un trattato di pace entro la scadenza del mio mandato". Oltre al peso delle parole anche la località scelta per questo importante annuncio ha stupito molti osservatori visto che l'incontro fra Bush e Abbas si è tenuto nella Muqata, la storica residenza dove il leader palestinese Yasser Arafat è rimasto assediato dalle forze militari israeliane dopo l'inizio della seconda intifada. Bush è apparso desideroso di volersi mettere completamente in gioco senza risparmiarsi il rischio di intervenire in uno dei più lunghi e complicati conflitti del mondo. "Sono fiducioso che con aiuti appropriati lo stato della Palestina emergerà – ha affermato Bush, sottolineando però che la maggiore responsabilità rimane ai leader palestinesi ed israeliani i quali dovranno "collaborare per fare scelte dure". Già mercoledì nel suo colloquio con il primo ministro israeliano Ehud Olmert, il presidente degli Stati Uniti aveva parlato in tono fiducioso del processo di pace riguardo il quale si era detto “molto speranzoso”, ma era sembrato più cauto ed infatti si era detto consapevole che sarebbe stato un “duro lavoro”. Ieri invece, sebbene non abbia perso l'ovvio realismo che bisogna mantenere quando si parla di questo conflitto, Bush è apparso desideroso di sciogliere le riserve per un intervento più incisivo, da molti ritenuto pericoloso perché, in caso di fallimento delle trattative, verrebbe seriamente minata la sua credibilità. "Sono fiducioso che con aiuti appropriati lo stato della Palestina emergerà” questo uno dei commenti rilasciati dall'inquilino della Casa Bianca che ha poi aggiunto di essere pronto a fornire direttamente questi “aiuti appropriati” sotto forma di supporto politico ed economico. Da notare anche che Bush, da molti criticato per l'eccessivo appoggio ad Israele in questo conflitto, è apparso a tratti critico nei confronti di Tel Aviv a cui ha chiesto di fare attenzione durante i suoi raid per colpire i terroristi di non coinvolgere le forze di sicurezza di Abbas. In riferimento al futuro Stato palestinese ha affermato che il suo territorio dovrà essere unito, senza interruzioni di blocchi di sicurezza e senza la presenza di un numero eccessivo di insediamenti di coloni ebraici perché “uno Stato a groviera non funziona”. Mahmoud Abbas è ovviamente apparso molto soddisfatto dell'atteggiamento di Bush, anche perché questo significa maggiore prestigio per lui stesso che è risaputo non godere della totale fiducia da parte di una larga fetta del popolo palestinese. Abbas ha sottolineato come l'attuale leader americano sia il primo presidente ad essersi impegnato completamente per appoggiare la creazione di uno Stato palestinese e lo ha invitato a fare pressioni su Israele perché allenti le restrizioni imposte per motivi di sicurezza sulla Cisgiordania. A questa richiesta, però, Bush ha reagito in modo piuttosto cauto affermando di capire la frustrazione dei Palestinesi, ma anche quella degli israeliani che “vogliono sapere se ci sarà protezione dai pochi che uccidono”. Secondo i più critici verso l'attuale amministrazione statunitense l'impegno di Bush servirebbe per ricucire lo strappo con il mondo arabo generato dagli errori dell'intervento in Iraq. Lo stesso annuncio di voler arrivare ad un accordo di pace entro la fine del suo mandato, come affermato da Bush stesso, non sarebbe altro che l'ultimo tentativo di guadagnare consensi da parte di un Presidente che, non potendo più essere rieletto, non ha nulla da perdere. Al di là di questi incontri ai vertici politici c'è una situazione veramente preoccupante. Una suora italiana di Ephpheta Paolo VI, organizzazione religiosa che opera in Palestina aiutando bambini con problemi comunicativi, che per motivi di riservatezza ha preferito non rivelare il suo nome ha spiegato a News Italia Press/Voceditalia che “si vive veramente in condizioni difficili. Sono parecchi anni che mi trovo qui e a dire il vero non ho notato grandi miglioramenti, anzi direi che c'è stata una sorta di involuzione. Adesso per esempio è molto difficile muoversi, anche noi suore siamo praticamente in prigione e questo rende più difficile svolgere il nostro lavoro. Ovviamente speriamo che le parole di speranza di oggi possano avverarsi, ma la situazione è molto incerta. Ci sono persone pronte a venirsi incontro e convivere, ma anche molte che invece rimangono distanti. I lunghi anni di conflitto hanno lasciato solchi profondi. Non è nemmeno possibile individuare di chi sia la responsabilità per quanto qui è tutto confuso”. Agenti italiani formano i poliziotti di Malta dopo l'adesione dell'isola al Trattato di Schengen La Valletta – E' terminato con successo un programma di addestramento del personale della polizia di Malta dopo che l'isola ha completato il suo ingresso nell'area del Trattato di Schengen. Il programma, reso possibile grazie a 56.000 euro forniti dalla stessa Unione Europea, è stato condotto dai membri italiani di SIRENE, Division of the International Police Cooperation Service in Rome. Seminari riguardanti il Sistema Informativo di Schengen sono stati tenuti per i membri della polizia doganale e giudiziaria. Grazie a questo programma la Police International Relations Unit è riuscita a raggiungere gli standard richiesti dalla Convenzione di Schengen, così che Malta possa farvi parte senza problemi.

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Il sindaco (cristiano) di Betlemme escluso dal ricevimento (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 11-01-2008)

 

"Terrorista" secondo gli Usa Il sindaco (cristiano) di Betlemme escluso dal ricevimento "Per quanti di noi professano la fede cristiana, non c'è posto più sacro" della grotta dove secondo la tradizione è nato Gesù Cristo. Parole di George Bush che, emozionato e felice di essere a Betlemme, ha finto di non accorgersi di una assenza di rilievo nel gruppo di dignitari incaricato di riceverlo davanti alla Chiesa della Natività: quella del sindaco Victor Batarseh. L'Anp non lo ha invitato, per evitare un imbarazzo al presidente Usa. Il sindaco cattolico della città "più sacra ai cristiani" infatti è un membro del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, movimento marxista incluso nell'elenco infinito di "organizzazioni terroristiche" che Dipartimento di Stato e Casa Bianca allungano ogni anno. "Non mi hanno invitato alla cerimonia ufficiale, mi hanno boicottato", ci ha detto Batarseh che ieri abbiamo raggiunto telefonicamente nel suo ufficio al comune di Betlemme. Ma come, lei è il primo cittadino della città con il sito religioso che lo stesso Bush ha definito il più sacro per i cristiani e viene tenuto a distanza? E' andata proprio così. Nei giorni scorsi non ho ricevuto alcuna comunicazione ufficiale dell'arrivo di Bush da parte delle autorità palestinesi competenti. Mi hanno solo avvertito, senza precisare per quale motivo, di fare il possibile per tenere pulita e in ordine Betlemme. Ho pensato che per motivi di sicurezza preferivano non riferirsi esplicitamente all'arrivo del presidente americano nella nostra città ma poi ho capito che non mi avrebbero invitato alla cerimonia di benvenuto. Come si spiega questa decisione incredibile dato il suo ruolo a Betlemme? Forse con la sua appartenenza al Fronte popolare e al fatto che la sua amministrazione è formata anche da esponenti di Hamas? Non ne ho la certezza ma certo non posso escluderlo. In ogni caso Betlemme è una città aperta e ospitale. Una città che accoglie tutti, turisti, pellegrini, fedeli di tutte le fedi, quindi anche George Bush. Cosa avrebbe voluto dire al presidente americano e non ha avuto la possibilità di farlo? Gli avrei parlato, allo stesso tempo, da sindaco di Betlemme e da palestinese qualsiasi. Gli avrei spiegato che governo una città che ama la pace ma che è strangolata dal muro israeliano, che la mia gente vorrebbe una esistenza normale ma non ne ha la possibilità. Gli avrei detto che i palestinesi sono un popolo che aspira soltanto alla libertà e all'indipendenza e niente di più. Qualcuno però mi ha impedito di farlo. (mi.gio).

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L'Europa nel kibbutz lungo la frontiera (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 11-01-2008)

 

L'ultimo episodio della serie diretta da Corso Salani arriva in Israele. Le sei storie verranno trasmesse su Raitre, a "Fuori orario", da lunedì prossimo Cristina Piccino Roma Da lunedì prossimo (Raitre, 0.50) Fuori orario inizia la programmazione di Confini d'Europa, serie di sei storie che sono altrettanti luoghi firmata da Corso Salani. Anche autore di sceneggiatura e montaggio (con Vanessa Picciarelli), delle riprese e della fotografia. É importante dirlo perché Salani dai suoi esordi è un regista indipendente economicamente e soprattutto nella sensibilità, il suo è un cinema di viaggio, eccentrico e molto lontano dai "format" italiani anche quando racconta storie d'amore e rabbia per averli perduti questi amori troppo spesso impossibili. In pratica cioè quasi sempre, dal primo e spiazzante - era l'89 - Voci d'Europa con cui conquistò il pubblico criticamente poco malleabile di Riminicinema. Nel tempo Salani ha moltiplicato le sue geografie emozionali e di conoscenza sospese tra la prima persona e un "io" collettivo, la curiosità per l'altrove, il jet lag interiore come ricerca sul tempo del cinema, sugli spazi, sulle frontiere mobili dell'orizzonte, quanto entra nell'obiettivo e cosa resta fuori campo invadendo però la narrazione... Confini d'Europa è poi una bella scommessa produttiva: low budget e troupe leggerissima, insieme alla giovane e assai dinamica Vivo Film in coproduzione c'è Raitre con Fuori orario contrastando un'idea produttiva del servizio pubblico che è o superbudget (e film formattati per nulla innovatvi) o niente. Si può invece, anche in Rai, produrre con poco cose intelligenti, che funzionano su piccolo schermo nella serialità e ugualmente al cinema. Yotvata, il nome viene dalla Bibbia, la fuga dall'Egitto - gli altri confini sono Ceuta e Gibilterra, Rio de Onor, Imatra, Tusli, Chisinau - è un kibbutz. Un'Europa fuori carta dunque, infatti è Israele. Il film comincia a Tel Aviv, lungo il mare di locali e folla, e continua nel deserto del Neghev, al confine con la Giordania. É lì che la protagonista, Eliana, una ragazza come sono i personaggi centrali di tutta la serie, decide di vivere non tollerando più la metropoli. Attrice di teatro, persona confusa, monologa su questo suo essere e sulla scoperta che è anche per lei, israeliana, quel mondo completamente sconosciuto. Stavolta Salani non è in scena, segue invisibile Eliana, filma i suoi incontri, ascolta le parole delle persone che vivono nel kibbutz socialista e sionista dove tutti guadagnano lo stesso perché come spiegano se non fosse così finirebbe il riconoscimento dell'importanza del lavoro di ognuno. Sul cancello ci sono la bandiera di Israele e quella giordana con due colombe. Il cartello dice: " va in pace e torna in pace...". Oltre quel cancello, confine fisico e di Storia, molti palestinesi vennero cacciati dopo il 48 e la Nakhba, quando Israele si è costituito come stato, col divieto eterno per loro e i loro discendenti di tornare. Oggi chi lavora nel kibbutz si muove protetto dagli M16, il conflitto è la vita quotidiana, dunque le immagini, anche se Salani non teorizza, non cerca la facilità dell' immagine "di guerra" che non racconta né mostra nulla. La sua è una traccia, l'esperienza di un incontro. Persino quell'accostamento di Israele-confine d'Europa, che poi è il 48 appunto, è l'olocausto e quel senso di colpa dell'occidente. Ma è anche la proiezione di sé, il suo riconoscersi, specchiarsi, che genera molte ambiguità. C'è questo nel film di Salani? Forse. E c'è dell'altro, l'interrogarsi su una realtà, sul senso di una scelta, sui paesaggi meravigliosi di durezza. L'incontro non è sempre risposta, anzi non lo è quasi mai. Le domande Salani le lascia aperte. Per sé e per lo spettatore.

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Bulldozer Bush a Ramallah (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 11-01-2008)

 

Il presidente Usa in Cisgiordania: basta occupazione e pace nel 2008, ma alle condizioni di Israele. "I profughi? Nello Stato di Palestina". Niente visita alla tomba di Arafat Michele Giorgio Gerusalemme È rimasto sorpreso chi pensava che la visita di George Bush in Cisgiordania si sarebbe risolta in un evento mediatico, condito da frasi scontate del presidente americano, oppure con storielle divertenti sull'enorme quadro con l'immagine di Yasser Arafat che è stato appeso alle spalle del presidente statunitense durante la conferenza stampa con Abu Mazen. Dalla nebbia fitta che ieri avvolgeva la Cisgiordania sono emerse dichiarazioni di Bush di grande rilievo per il futuro di questa terra. Altro che facilitare il negoziato senza imporre soluzioni, come aveva affermato incontrando gli alleati israeliani. Ieri il presidente Usa, al suo rientro a Gerusalemme dal tour cisgiordano, ha dettato le condizioni per la creazione dello Stato di Palestina, a cominciare dalla rinuncia della leadership palestinese al diritto al ritorno dei profughi della guerra del 1948 ai villaggi e centri abitati di origine, ora in territorio israeliano, sancito dalla risoluzione 194 dell'Onu, e che per 60 anni è stato uno dei princìpi che ha unito i palestinesi sparsi nel mondo. I profughi, ha detto Bush, potranno "tornare" solo nel futuro Stato di Palestina e un "meccanismo internazionale" provvederà a risarcirli economicamente. L'Anp di Abu Mazen e di Salam Fayyad seguirà questo percorso? L'interrogativo è scottante. Certo è che ieri non sono state un segnale incoraggiante le abbondanti manganellate che la polizia palestinese ha distribuito sulla schiena dei manifestanti, non di Hamas ma appartenenti ad associazioni e ong laiche, che nel centro di Ramallah protestavano contro la politica svolta da Bush per sette anni a danno delle aspirazioni palestinesi. Un accordo di pace richiederà "concessioni politiche dolorose" sia dall'una sia dall'altra parte ha sottolineato Bush che ha scelto il giorno della sua "storica" visita in Cisgiordania - sono state queste le parole di Abu Mazen che ha ringraziato più volte il presidente Usa - per mettere tutto nero su bianco. Il discorso del presidente Usa ha presentato elementi di novità, non ultimo l'uso dei termini "occupazione israeliana" in Cisgiordania. "Adesso è il momento di compiere scelte difficili", ha incalzato, sostenendo che è possibile firmare un accordo entro la fine del 2008. Poi a proposito delle frontiere del futuro Stato di Palestina che dovrebbe sorgere accanto a Israele, l'inquilino della Casa Bianca ha subito precisato che "qualsiasi accordo richiederà aggiustamenti" alle linee tracciate per Israele alla fine degli anni Quaranta. Parole in linea perfetta con quella lettera di assicurazioni consegnata dallo stesso Bush nel 2004 all'ex premier israeliano Ariel Sharon, in cui il presidente americano autorizzava Israele ad annettersi ampie porzioni della Cisgiordania occupata, in particolare le aree con le più ampie concentrazioni di colonie ebraiche che pure sono state costruite in violazione della legge internazionale. Uno schiaffo violento ai palestinesi che rivendicano l'intera Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Bush ha però concesso che i palestinesi meritano più di quello staterello a macchia di leopardo che si sta disegnando sul terreno sotto la pressione della colonizzazione israeliana e di un apartheid mascherato. Subito dopo ha piazzato un'altra stoccata decisiva: "L'accordo di pace - ha detto - deve istituire una Palestina patria della popolazione palestinese proprio come Israele è la patria per la popolazione ebraica". È esattamente ciò che il governo di Ehud Olmert vuole: il riconoscimento immediato da parte di Abu Mazen di Israele quale Stato ebraico in cambio della nascita dello Stato di Palestina. Un richiesta posta sul tavolo ad ogni sessione delle trattative riprese dopo l'incontro di Annapolis, organizzato da Bush lo scorso novembre, e che i negoziatori palestinesi sino ad oggi hanno respinto, perché non solo pregiudica la trattativa sul futuro dei profughi, ma mette a rischio anche la minoranza palestinese in Israele (1,5 milioni, il 20% della popolazione totale). In serata un portavoce della Casa Bianca, Gordon Johndroe, ha specificato che Bush si riferiva alla Cisgiordania quando parlava di occupazione israeliana ed infatti il presidente americano non ha avanzato proposte sul destino di Gerusalemme facendo intendere che Washington gradisce lo status attuale, ovvero il controllo israeliano su tutta la città, compresa la zona araba (Est) che i palestinesi considerano capitale del loro futuro stato. Infine Bush ha offeso la memoria del popolo palestinese ignorando ieri a Ramallah il mausoleo che ospita le spoglie di Yasser Arafat. Ha tirato diritto anche se l'edificio si trova a 30 metri dall'ingresso del palazzo dove sono avvenuti i colloqui con Abu Mazen.

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Guerra e pace 1 per i due stati, nuovi confini e indennizzi ai profughi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 11-01-2008)

 

Guerra e pace 1 per i due stati, nuovi confini e indennizzi ai profughi Bush a Ramallah cerca geografie possibili Cade il mito della Linea Verde. La "vision" di George W. tiene conto delle colonie. Gerusalemme resta un'incognita Gerusalemme. Mano alle mappe, e al portafogli. La "visione" di George W. Bush per avere due stati democratici, Israele e Palestina, che vivano l'uno accanto all'altro in sicurezza, si gioca tutta tra carte geografiche e studi sugli indennizzi. Le carte geografiche dovranno essere studiate nel dettaglio, per definire i nuovi confini, che non seguiranno più la linea verde del 1967 e quella dell'armistizio del 1949. Il portafogli è quello che dovrà aprire la comunità internazionale per pagare gli indennizzi ai profughi palestinesi del 1948. Bush jr. lo aveva già detto chiaro nell'aprile del 2005, quando il suo amico Ariel Sharon - l'uomo che gli aveva mostrato la Cisgiordania e le colonie israeliane nella visita che l'allora governatore del Texas aveva compiuto nel 1998 - si recò negli Stati Uniti, proprio per ottenere la flessibilità anche formale di Washington sulla questione dei confini. Ora, nelle dichiarazioni di ieri sera alla fine del suo viaggio tra Gerusalemme e Ramallah, il presidente americano rende la sua "visione" ancor più precisa: l'accordo si farà "su aggiustamenti concordati reciprocamente sulla linea dell'armistizio del 1949 in cui si riflettano le realtà attuali (le colonie israeliane in Cisgiordania, ndr ) e si assicuri che uno stato palestinese sia praticabile e contiguo (la rimozione dei posti di blocco e dei piccoli avamposti dei coloni radicali, e - al massimo - la riprogrammazione di alcune strade separate, ndr)". Cade, definitivamente, il mito della Linea Verde, nell'ultima mediazione americana. Una necessità considerata persino nella piattaforma di Ginevra elaborata da Yasser Abed Rabbo e Yossi Beilin, ma resa più cruda nelle parole di Bush. Che anche su di un altro punto delicatissimo, quello dei profughi palestinesi della guerra del 1948, ha rotto un altro tabù, quando ha detto - sempre ieri sera in una Gerusalemme segnata da sorte di "zone verdi" inaccessibili - che la questione dei rifugiati deve essere risolta dal futuro stato palestinese. Un'affermazione complessa, che non racchiude il suo significato soltanto negli indennizzi ai singoli profughi che verranno con tutta probabilità pagati non da Israele, ma dalla comunità internazionale. Vi è l'altro corno della questione, che riguarda il probabile rientro di una parte dei rifugiati entro i confini del nuovo stato palestinese: un quadro che gli intellettuali israeliani e palestinesi favorevoli alla soluzione di "un solo stato" avevano previsto già da parecchio tempo, come un modo per modificare lo stesso significato del nodo dei rifugiati. Da questione internazionale a mero contenzioso tra due stati, Israele e Palestina. Se Bush vuole, come ha detto, la fine dell'occupazione che dura dal 1967, questo non vuol dire - insomma - che Israele si ritirerà da tutti i territori che nella guerra dei Sei Giorni ha occupato. Lo sanno i due leader, Olmert e Abbas, che si sono mostrati entrambi contenti, di fronte alle telecamere, dell'appoggio di Bush, elogiato dall'uno e dall'altro governo. Ora lo sa anche chi ha pensato, prima e dopo Annapolis, che la mediazione americana portasse a una pace più vicina alle storiche risoluzioni dell'Onu. Che, a questo punto, perdono del tutto il loro valore. L'ambiguità, nella "visione" secondo il fervente cristiano George W. Bush, rimane su Gerusalemme. "Questione dura", secondo la sua definizione. Perché lì, su Gerusalemme, le posizioni israeliane si fanno ancor più intransigenti. E di quello che è Gerusalemme oggi, Bush ha avuto una timida percezione nel suo viaggio in macchina verso Ramallah (distanza in linea d'aria: 15 chilometri), sotto coprifuoco neanche virtuale per le misure di sicurezza attuate ieri mattina in occasione dell'incontro con Abbas alla Muqata. E poi nel pomeriggio, nel suo viaggio verso Betlemme (distanza in linea d'aria da Gerusalemme: dieci chilometri), dove Bush ha visto la Natività e poco altro, in una cittadina anch'essa completamente bloccata e tirata a lucido come non mai. Gerusalemme è complessa. Ed è proprio a Gerusalemme che la geografia degli insediamenti israeliani dentro la parte orientale araba trova i suoi punti di più difficile soluzione, e le posizioni meno flessibili. Anche Bush ora deve averlo percepito. In molti, in questi giorni, gli hanno mostrato le "loro" mappe e le diverse legende a margine per interpretarle. 11/01/2008.

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<Gaza collegata alla Cisgiordania Così George W. mette in crisi l'alleato> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 11-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2008-01-11 num: - pag: 6 categoria: REDAZIONALE Lo storico Michael Oren, esperto del rapporto tra Usa e Medio Oriente "Gaza collegata alla Cisgiordania Così George W. mette in crisi l'alleato" DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Nel libro ricorda il viaggio di Herman Melville, appassionato lettore delle Mille e una notte, partito per il Medio Oriente "con uno spazzolino e un solo cambio di vestiti". Per Michael Oren, delle parole chiave del titolo - Potere, Fede e Fantasia - l'autore di Moby Dick incarna l'ultima. George W. Bush ha invece esibito il potere e oggi la fede, quando si fermerà alla Montagna delle Beatitudini, nel nord di Israele. Niente fantasia o almeno non sorprese, nella prima visita da presidente. "Il discorso di Bush ha rappresentato il più succinto e preciso riassunto della sua dottrina per porre termine al conflitto israelo-palestinese" spiega Oren che ai rapporti tra gli Stati Uniti e il Medio Oriente ha dedicato 773 pagine. Lo storico non considera l'appello alla fine dell'occupazione la parte più forte. Ricorda che il presidente aveva già usato le stesse parole, anche più dure, nel giugno del 2002. "Per Israele gli aspetti più controversi sono il numero di volte che Bush ha citato la necessità di creare uno Stato palestinese che abbia contiguità. Con un legame territoriale tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, qualunque possano essere i timori dei governi israeliani per la sicurezza ". Oren elenca i punti della dottrina che il leader americano ha ripetuto: "La Road Map resta centrale e va rilanciata, sostegno all'economia palestinese, un apprezzamento per il piano di pace arabo e un appello ai Paesi arabi perché diano il via libera alle relazioni con Israele, negoziati sulle questioni fondamentali ". Bush ha nominato i confini del 1949. "La linea armistiziale è mobi-le, non è una frontiera sacra come quella del 1967. Resta l'idea che ci possano essere aggiustamenti o scambi territoriali". Lo storico è analista allo Shalem Center, un centro sponzorizzato dalla destra americana. E' convinto che tra i candidati alla presidenza negli Stati Uniti solo Rudolph Giuliani potrebbe allontanarsi dalla linea definita dall'amministrazione Bush. "I consiglieri di Giuliani per il Medio Oriente sono dei falchi, con posizioni intransigenti ". Un futuro accordo tra israeliani e palestinesi finirà comunque per occupare l'agenda del prossimo presidente. "Entro la fine di quest'anno, come promesso da Bush, è forse possibile raggiungere un'intesa. Ma per realizzarla ci vorrà molto più tempo". Oren non è d'accordo con Ben Caspit, prima firma del quotidiano Maariv. "Si fa chiamare il leader del mondo libero - scrive Caspit - e al mondo libero non resta che fare il conto alla rovescia per i giorni che resterà al potere. Parla di un accordo nei prossimi mesi, non si sa se piangere o ridere. Sfortunatamente, il capo dell'ala militare di Hamas è molto più influente di lui da Gaza e Marwan Barghouti dalla prigione". Dice lo storico: "Se la situazione in Iraq si stabilizza e vengono poste le basi per la nascita di uno Stato palestinese, il bilancio della sua presidenza sarà diverso". \\ "Per Israele gli aspetti più controversi sono i ripetuti appelli a uno Stato palestinese che abbia contiguità" Davide Frattini.

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Bush: pace e fine dell'occupazione israeliana (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 11-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Primo Piano - data: 2008-01-11 num: - pag: 6 categoria: REDAZIONALE Bush: pace e fine dell'occupazione israeliana Impegno per la nascita di uno Stato palestinese "sovrano" entro la fine dell'anno Il presidente Usa ha invitato Olmert e Abu Mazen a rispettare la Road Map e combattere l'estremismo GERUSALEMME - Dalla Città Santa alla ricerca della pace dopo due millenni di guerre, George Bush ha ieri enunciato, con un linguaggio incredibilmente franco, la sua dottrina per la firma di un "trattato " permanente tra israeliani e palestinesi, non un'intesa di principio, entro la scadenza del suo mandato nel gennaio del 2009. In una breve dichiarazione dopo un colloquio con il presidente palestinese Abu Mazen a Ramallah in Cisgiordania e un'emotiva visita a Betlemme, Bush ha proposto che Israele ponga fine "all'occupazione del '67" della Palestina, sospenda la costruzione degli insediamenti e smantelli gli avamposti illegali, in maniera che essa possa configurarsi come uno Stato "a continuità territoriale ". Poche ore prima, alla conferenza stampa congiunta con Abu Mazen, Bush aveva detto che il futuro Stato palestinese "non dovrà essere un formaggio svizzero a buchi", uno Stato gruviera. Più tardi, il consigliere della sicurezza Stephen Hadley è andato oltre: il presidente, ha spiegato, "immagina uno Stato della Palestina, non due", chiede cioè che Gaza e la Cisgiordania siano collegate tra di loro. Bush, tuttavia, ha appoggiato anche Israele con due proposte: di "modificare" - di fatto, ampliare - le sue frontiere del '49, e di istituire "un meccanismo internazionale che includa indennizzi" per il trasferimento dei rifugiati palestinesi nel loro Stato a venire. Riprendendo la formula della "sicurezza in cambio di territori" - la Palestina non può nascere dal terrorismo, ha ammonito - il presidente ha offerto a Israele un nuovo baratto: "Aggiustamenti di confine che tengano conto delle realtà esistenti ", ossia che conglobino i più vicini e principali insediamenti israeliani in Palestina. E spostando sull'Autorità palestinese la responsabilità di provvedere ai quattro milioni di rifugiati, sia pure con aiuti esterni, lo ha sgravato di un serio problema: "La Palestina dovrà essere la casa dei palestinesi come Israele è la casa degli ebrei". Ma Bush non si è pronunciato sui due maggiori ostacoli alla "visione", come la chiama, di due Stati in pacifica convivenza: Gerusalemme che, ha ammesso, è la questione più dolorosa da risolvere; e Hamas che, ha lamentato, probabilmente non si convertirà alla pace entro un anno. Bush aveva esposto la dottrina nel discorso del giugno del 2002, quando per la prima volta un presidente americano si era schierato per uno Stato palestinese. Ma il vigore con cui l'ha ribadita ieri, la ribalta di Gerusalemme, la sua disponibilità a mediare l'hanno resa più realistica e prammatica. Visitando Betlemme, Bush ha attribuito l'ispirazione per il suo piano "alla mia fede nell'Onnipotente ". Ma il presidente è apparso deciso sia con Abu Mazen che con il premier israeliano Ehud Olmert: ha invitato entrambi a rispettare la Road Map, il percorso negoziale; ha chiesto al primo di combattere gli estremisti e al secondo di non indebolire le forze di sicurezza palestinesi; e ha esortato i Paesi arabi a "porgere la mano" a Israele e favorire un accordo. Paradossalmente, a scuotere Bush ha forse contribuito il brutto tempo. Costretto a rinunciare all'elicottero, il presidente ha visto dall'auto il muro eretto da Israele, i posti di blocco, e il disagio dei palestinesi. Devono scomparire, ha detto: la Palestina deve diventare una garanzia di sicurezza per gli israeliani, e i due popoli devono "dimostrare il coraggio delle scelte più difficili". Insieme George W. Bush e il presidente palestinese Abu Mazen durante la conferenza stampa congiunta ieri a Ramallah (Infophoto) Ennio Caretto.

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Pace Israele-Palestina La spinta di Bush (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 11-01-2008)

 

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Prima Pagina - data: 2008-01-11 num: - pag: 1 autore: di ENNIO CARETTO categoria: REDAZIONALE Il presidente: accordo entro l'anno Pace Israele-Palestina La spinta di Bush GERUSALEMME - Dalla Città Santa George Bush ha ieri enunciato la sua dottrina per la pace in Medio Oriente. Un "trattato" entro l'anno che deve vedere Israele porre fine "all'occupazione del '67" della Palestina e sospendere la costruzione degli insediamenti. Bush ( nella foto AFP mentre saluta dietro la statua di San Geronimo durante la visita a Betlemme) pensa alla Palestina come uno Stato "a continuità territoriale". Il presidente ha appoggiato anche Israele con due proposte: indennizzi e ampliamento delle frontiere. A PAGINA 6 Frattini.

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La Carta Islamica aprirà l'Europa ai fondamentalisti (sezione: Israele/Palestina)

( da "Libero" del 11-01-2008)

 

Esteri 11-01-2008 La Carta Islamica aprirà l'Europa ai fondamentalisti di ANDREA MORIGI BRUXELLES È l'anno europeo del dialogo interculturale e l'islam non si fa sfuggire l'occasione per aggiungere un ennesimo strumento nel proprio arsenale della guerra santa. Da otto anni la Federazione delle organizzazioni islamiche in Europa (Fioe) tentava di far uscire la Carta dei Musulmani e ieri 400 gruppi, in rappresentanza di oltre venti Paesi, Russia e Turchia comprese, l'hanno firmata ufficialmente. Fra loro anche 130 "moschee" italiane aderenti all'Ucoii, rappresentata dal suo presidente, l'imam di Trento Aboulkheir Bregheiche. LA JIHAD PER DIFESA Sei paginette in tutto. Dichiarazioni per lo più generiche, ma tra le quali spiccano i capisaldi della dottrina dei Fratelli Musulmani, raggruppati nel Vecchio Continente proprio nella Foie. Al paragrafo 10, si parla ormai di "jihad nella sua accezione di guerra", seppur limitato "come uno dei mezzi a disposizione di ogni stato sovrano quando ha la necessità di difendersi contro l'aggressione". La solita ambiguità che consente di giustificare gli attentati di Hamas e condannare come terrorismo l'autodife sa di Israele. Anzi, sottolinea la portavoce de La Destra, Daniela Santanchè, "è pericoloso il riferimento al jihad perché si accetta l'esistenza di un'interpretazione violenta di questa parola", così elastica da giustificare "le milizie islamiche irachene, afgane e palestinesi". Che poi la Carta rigetti "la violenza e il terrorismo, sostenga cause giuste e affermi i diritti di tutti i popoli a difendersi con mezzi legittimi", è una formulazione quanto mai utile a comprendere un'accusa diretta a Israele e gli Stati Uniti, considerati invasori delle terre islamiche e di cui liberarsi al più presto. All'Europa, invece, sembra adattarsi il ruolo di Eurabia, sempre meno Occidente cristiano e sempre più propaggine del Medio Oriente islamico. Con qualche eccezione, rappresentata ieri dal vicepresidente dell'Euro parlamento Mario Mauro il quale ha tra le sue deleghe anche quella per i rapporti con le chiese e le comunità religiose. L'espo nente di Forza Italia e del Ppe, presente alla firma, richiama "la responsabilità di convivenza tra ebrei, cristiani e musulmani", gelando il clima in sala. Concede, nel suo intervento, qualche apertura istituzionale, dichiarando "incoraggiante" la parte "dedicata alla famiglia come condizione indispensabile per la felicità degli individui e per una società stabile, nonché l'apertu ra a una parità tra uomo e donna". Ma, aggiunge "pura convivenza e tolleranza, a un estremo, vuol significare una mancanza di qualsiasi comunicazione o reale comprensione". Se si tratti di una scivolosa strategia di accreditamento dei fondamentalisti o dell'indizio di fratture interne al mondo islamico, di certo il paragrafo 7, che parla del rapporto uomo-donna, non convince la reattiva Santanché: "È troppo facile dire che "l'Islam è per l'egua glianza fra l'uomo e la donna" senza rinnegare apertamente la poligamia, praticata da tanti musulmani nel vecchio continente pur essendo illegale". E Mario Borghezio, capogruppo europeo della Lega Nord, avverte: "L'Europa non cada nella trappola dei fondamentalisti che perseguono, secondo l'insegnamento del Corano, la solita strategia basata sull'uso ipocrita e falso delle parole. La loro condanna del terrorismo non si riferisce certo a quello vero, che tiene sotto la morsa della paura in scacco tutto l'Occidente, quello di Al Qaeda e dei kamikaze. Nel testo, addirittura, si richiama alla jihad, non certo in senso spirituale, ma, al contrario, per essi il terrorismo sono le misure antiterroristiche poste in essere da chi intende difendersi dal vero terrorismo". Promette battaglia, "a cominciare dall'Aula di Strasburgo", per "segnalare la pericolosità di questo falso moderatismo in tutte le sedi istituzionali europee". I GRUPPI RADICALI Non gli mancheranno gli elementi di valutazione, a partire dalla presenza, nella Foie, di organizzazioni come il Muslim Council of Britain, il cui fondatore Kamal Helbawy si proponeva, in un'intervista ad Al-Sharq alAwsat, "l'instaurazione di un califfato islamico, seguendo il cammino del profeta". E Maometto non era scrupoloso sull'uso offensivo della spada. Oppure, in Francia, si potrà scavare nei rapporti che intercorrono tra l'Union des organisations islamiques françaises e il Comitato di Beneficenza e di Soccorso ai Palestinesi, fuorilegge in Israele perché accusato di sostenere di Hamas, ma libero di raccogliere fondi e distribuire video e volantini antisemiti alle riunioni dell'Uoif. Magari col pretesto della legittima difesa. O del rifiuto di integrarsi, invocato dalla rivista della Islamische Gemeinschaft tedesca, Al Islam: "I musulmani dovrebbero mirare a un accordo tra loro e lo stato tedesco col fine di una giurisdizione separata per i musulmani". Che contraddice, ma nemmeno tanto, la Carta Ue, dove si afferma: "I musulmani sono chiamati a integrarsi positivamente nelle loro rispettive società, sulla base di un armonioso equilibrio tra la preservazione della loro identità islamica e i doveri di cittadinanza". VERSIONI PER I FRATELLI Sulla rivista dei Fratelli musulmani tedeschi, Al Islam, si sostiene che: "A lungo termine, i musulmani non potranno ritenersi soddisfatti dall'accettazione del diritto familiare, patrimoniale e processuale tedesco [...] I musulmani dovrebbero mirare a un accordo tra loro e lo stato tedesco col fine di una giurisdizione separata per i musulmani". PER GLI INFEDELI Nella Carta dei Musulmani, firmata ieri pubblicamente a Bruxelles, si spiega che: "I musulmani sono chiamati a integrarsi positivamente nelle loro rispettive società, sulla base di un armonioso equilibrio tra la preservazione della loro identità islamica e i doveri di cittadinanza". Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.

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In Iraq 500mila falsi morti Scoperti i dossier truccati (sezione: Israele/Palestina)

( da "Libero" del 11-01-2008)

 

Esteri 11-01-2008 In Iraq 500mila falsi morti Scoperti i dossier truccati di GLAUCO MAGGI NEW YORK La pubblicazione su una rivista medica come l'inglese Lancet, specializzata per gli articoli sulle malattie e sulle nuove cure e medicine, sollevò più di un sospetto: "Le vittime civili in Iraq superano le 650mila dall'invasione del 2003", si leggeva sul rapporto uscito nell'ottobre del 2006. Più sospetta ancora la data della pubblicazione, tre settimane prima delle elezioni del novembre 2006, quando il dibattito politico era incentrato sull'attacco dei Democratici alla guerra in Iraq. Ora è tutto chiarito, grazie ad un articolo del National Journal magazine, firmato da Neil Munro e Carl Cannon, che hanno ricostruito la storia gonfiata dall'inizio, partendo dai soldi forniti da un finanziatore al di sotto di tutti i sospetti, George Soros, per arrivare alla individuazione del ricercatore, un ex braccio destro del dittatore Iracheno. Ma la bocciatura definitiva viene da due altri studi indipendenti. The Iraqi Body Count ("la conta dei cadaveri iracheni"), gruppo non governativo britannico che si basa sulle notizie apparse, valuta in 47.668 il numero dei morti accertati. E ieri l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha fissato il conteggio delle vittime civili attorno a 150 mila, comunque ben al di sotto di un quarto del tetto indicato da Lancet, una cifra che sarebbe più elevata di tutti i morti della Guerra Civile degli Stati Uniti. La metodologia della OMS è basata su interviste campione ed ha, secondo gli estensori, il 95% di certezza statistica che il numero reale oscilli tra 104 mila e 223mila, da cui una stima per 150 mila. Il numero delle vittime nei conflitti è sempre stato politicamente utilizzato, e per lo più in funzione anti Usa e anti Israele. A Sabra e Shatila, nel settembre 1982, il campo di profughi palestinesi fu attaccato da militanti della falange libanese: per giorni e mesi il numero della strage fu fissato dai palestinesi a 3500, per lo più donne e bambini, ad uso della stampa mondiale. Una commissione internazionale, lavorando su dati della Lebanese Red Cross, della International Red Cross, della Lebanese Civil Defense, dei medici dell'esercito libanese e dei parenti delle vittime, ridimensionò poi il numero a 460, di cui 35 donne e bambini e il resto miliziani armati palestinesi. Soros, il No Global più ricco del mondo con i suoi 8 miliardi di dollari, ne ha spesi 20 milioni nel 2004 per cercare di impedire la rielezione di Bush: nell'occasione del rapporto di Lancet sulle vittime irachene ha staccato un assegno da 45mila dollari, un terzo dell'intero costo della ricerca (145mila dollari). Evidentemente sapeva che i risultati sarebbero stati propagandisticamente efficaci, visto che a condurre lo studio sarebbe stato un ricercatore iracheno motivato come lui, Riyadh Lafta, che era stato un funzionario del ministero della salute ai tempi di Saddam. Lafta non seguì la pratica, abituale tra i ricercatori seri, di fornire la metodologia e i dati che avevano portato alla cifra stellare di 655 mila ad altri studiosi per una verifica sulla validità scientifica dello studio. Nondimeno, gli estensori e coautori della ricerca, Gilbert Burnham e Les Roberts della Johns Hopkins University, trovarono la porta spalancata a Lancet, fornendo il testo a condizione che uscisse in piena campagna elettorale. Al tempo, le stime del governo iracheno e del Pentagono erano di oltre 10 volte più basse (50.000 e 30.000 rispettivamente), e Bush commentò l'uscita della sparata dei 655 mila morti così: "Non lo considero un rapporto credibile". Anche gli inglesi lo rigettarono, ma naturalmente i media non si fecero invece pregare nel prenderlo per buono: il Wall Street Journal ha scritto che in America la bufala di Lancet "è apparsa in 25 show televisivi e in 188 articoli di quotidiani e periodici". La inattendibilità del rapporto non è provata solo dalla faziosità acclarata del finanziatore. Roberts, noto oppositore della estromissione di Saddam dal potere, ha partecipato senza successo alle elezioni per il posto di deputato Democratico nel 24° Distretto Congressuale di New York nel 2006, motivando il suo impegno "come una combinazione di Iraq e di uragano Katrina". Quanto a Richard Horton, il direttore di Lancet che ha preso a scatola chiusa il rapporto e ne ha accelerato i tempi di pubblicazione, in un rally a Manchester, Inghilterra, nel settembre del 2006 dichiarò: "Quest'asse di imperialismo anglo-americano estende la sua influenza attraverso la guerra raccogliendo potere e ricchezza, così a milioni sono lasciati a morire in povertà e malattie". Foto: IN TERRA SANTA La conferenza stampa del presidente statunitense George W. Bush nel cortile della chiesa di Santa Caterina presso la Natività, a Betlemme, nei Territori palestinesi AP 650mila Le vittime civili della guerra in Iraq secondo "Lancet" 150mila Le vittime civili della guerra in Iraq secondo l'Oms 45 mila I dollari spesi da Soros per finanziare lo studio di "Lancet" Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.

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Bush ai palestinesi: <Voglio la pace entro l'anno> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Libero" del 11-01-2008)

 

Esteri 11-01-2008 Bush ai palestinesi: "Voglio la pace entro l'anno" di GUGLIELMO SASININI Raffiche di mitra sparate in aria, urla di giubilo, gli uomini dei servizi di sicurezza coperti di polvere ma con il dito sul grilletto, cinque elicotteri da combattimento costantemente in volo. Questa ieri mattina la cornice della storica visita a Ramallah di George Bush. A tratti il presidente degli Stati Uniti e persino apparso commosso, poi si è dichiarato ottimista sulla possibilità di una pacifica convivenza tra il futuro Stato palestinese e quello israeliano. Ma a tu per tu con Abu Mazen, non ha più sorriso e si è rivolto con tono molto fermo al premier dell'ala palestinese "buona" , premettendo che l'ap poggio di cui gode da parte degli Stati Uniti, di Israele, della comunità internazionale, non è incondizionato. Il presidente americano ha chiesto senza mezzi termini ad Abu Mazen di stroncare tutti i gruppi terroristici integralisti palestinesi, a partire da Hamas, condizione essenziale per garantire la sicurezza di Israele e per convincere Olmert a dare il via allo smantellamento degli insediamenti ebraici illegali. Pur di arrivare, nei tempi più brevi possibili, a raggiungere questo obiettivo, Bush ha detto al leader palestinese di antica scuola arafatiana, che è disposto a chiedere al Consiglio di Sicurezza dell'Onu di considerare persino l'ipotesi dell'invio di un contingente di caschi blu per affiancare Abu Mazen nella sua operazione di ristabilimento della legalità in tutti i Territori. Qualora il Palazzo di Vetro non fosse in grado di far passare una risoluzione in questo senso, l'inquilino della Casa Bianca (che la notte scorsa aveva messo al corrente delle sue intenzioni gli israeliani) ha ventilato ad Abu Mazen la possibilità di rinforzare il suo operato nella guerra contro Hamas e Jihad islamica mettendogli a disposizione un contingente di rangers americani. Due opportunità per Abu Mazen: la possibilità di ottenere immediate risorse economiche dagli Stati Uniti, e la protezione, inserita in un contesto antiterrorismo, da parte dell'intelligence americana, di quella israeliana, nonché dei reparti di élite. L'alternativa è il disastro e la disgregazione dei Territori nella morsa della guerra civile. Al che Israele non starebbe alla finestra. Il discorso del presidente di fronte alle telecamere palestinesi è stato estremamente diretto. "A partire da oggi voi, grazie al vostro presidente, avete la storica opportunità di realizzare una pace durevole entro l'anno, così da avvicinarvi alla realizzazione del sogno che inseguite da sessant'anni: uno Stato autonomo palestinese. Ma il mio ruolo può essere solo quello di un amico, vi sprono a combattere il terrorismo che si annida al vostro interno e a considerare lo Stato di Israele come il vostro miglior vicino di casa. Volete che gli uomini che hanno portato il caos tra voi siano al governo? È finita l'epoca delle complicità, delle giustificazioni nei confronti di ogni forma di terrorismo. Pensate al futuro e a quello dei vostri figli ". A gelare i bollenti spiriti la dichiarazione dell'ambasciatore israeliano in America, Meridor Sali,che ieri era al seguito di Bush: "Nel caso la diplomazia fallisca, siamo pronti ad un attacco militare congiunto contro l'Iran". Intanto la Quinta flotta americana ha completato il suo dispiegamento nelle acque del Golfo Persico, mentre una seconda squadra navale d'appoggio sta per raggiungere l'Oceano Indiano. Domani Bush, dopo gli ultimi incontri in Israele, si sposterà in Kuwait. Ostenterà tranquuillità, parlerà di pace nella regione, di come proteggere i giacimenti, ma a telecamere spente squadernerà alcune "ipotesi alternative" con l'occhio sempre rivolto a Teheran. Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.

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Aldo Baquis TEL AVIV Nell'incontro privato di mercoledì (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

 

Aldo Baquis TEL AVIV Nell'incontro privato di mercoledì sera a Gerusalemme il premier israeliano Ehud Olmert ha consegnato al presidente statunitense George Bush un documento scottante, frutto dello sforzo dei servizi di spionaggio dello stato ebraico. Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Colazione in saldo Sconti sul caffè Ronaldo a giugno al Flamengo. Lucarelli a Parma Col 'Tratta e vinci' salvo solo il sindacato Aldo Ciaramella CAMPOBASSO Un Campobasso sulla ... Aldo Giuliani RIPI I lavori di ... Ecco Ronaldo titolare contro gli Emirati Conteneva, secondo la stampa odierna, informazioni molto aggiornate sulla minaccia nucleare iraniana. Lo stesso Olmert lo aveva ricevuto in visione appena il giorno prima. Per renderlo il più completo possibile l'intelligence di Israele ha dovuto compiere un notevole sforzo organizzativo. Diverse vite sono state messe in pericolo, scrive la stampa. Dietro le quinte, sostiene il rapporto, lontano da occhi indiscreti prosegue lo sforzo dell'Iran di dotarsi di armi atomiche. "Ogni giorno che passa, il pericolo cresce" ha detto Olmert a Bush. Nelle ultime settimane i dirigenti di Israele si erano preparati con diligenza i compiti e quando Bush è arrivato a Gerusalemme ha sentito un coro di opinioni allarmate sulla minaccia iraniana: dal capo dello stato Shimon Peres, dal ministro della difesa Ehud Barak. 11/01/2008.

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Benedetto XVI potrebbe fare il suo viaggio in Terra Santa (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

 

Benedetto XVI potrebbe fare il suo viaggio in Terra Santa nel 2009. Lo afferma l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Oded Ben-Hur. "La visita non è prevista per quest'anno - ha detto il diplomatico a margine di una conferenza sulla libertà religiosa, svoltasi presso la Pontificia Università della Santa Croce - ma ci sono sviluppi che potrebbero assicurare la visita il prossimo anno". Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Il Papa bacchetta Veltroni "A Roma gravissimo degrado" ISERNIA Agli occhi di Satana, come nemico "Benedetto XVI è ... Clemente Pistilli TERRACINA Dissequestrati i primi beni del ... Stabilimenti, Benedetto: "No alle proroghe" GIULIANOVA Si terrà la prossima ... Benedetto XVI: "Il calcio sia veicolo di onestà e solidarietà" "Siamo fiduciosi - ha aggiunto - e facciamo passi avanti". 11/01/2008.

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Bush a Ramallah, nel bunker che fu di Arafat (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

 

RAMALLAH "La pace entro il 2008 è possibile. Possiamo farcela". Il presidente americano George W. Bush, dopo una storica visita a Ramallah all'ex-quartier generale di Yasser Arafat, ha impresso ieri una brusca accelerata ai negoziati di pace tra israeliani e palestinesi con una raffica di proposte centrate sui problemi più delicati. Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Assassinio Bhutto, spunta un dossier scottante Studenti in affitto, oro nero Meredith, la verità dai pc Inchiesta "Why not": 40 indagati Will Smith: "Sostengo Obama per il cambiamento Usa" La pace incastrata nelle scatole cinesi Bush, dopo due giorni di colloqui in Israele e in Giordania, ha affrontato il problema dei rifugiati proponendo un meccanismo di compensazione internazionale collegato alla nascita dello stato palestinese. Ed ha preso di petto la questione dei futuri confini di uno stato palestinese ammonendo che Israele dovrà por fine alla "occupazione iniziata nel 1967" e che in ogni caso la futura Palestina dovrà avere una "continuità territoriale" evitando la creazione di uno 'stato grovierà. Una formulazione che getta le basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la Cisgiordania e per una mappa degli insediamenti israeliani che non frammenti la Palestina. Il presidente Usa ha fatto anche un accenno all'armistizio del 1949, che ha stabilito una "linea verde"è che nessuno può mettere in discusisone, sottolineando però la necessita di adattare la situazione alle nuove realtà. Bush ha parlato anche dello status di Gerusalemme, notando che si tratta di un problema "molto duro" che richiederà "concessioni dolorose" da entrambe le parti. Sono proposte decise ed esplicite quelle avanzate da Bush dopo avere ascoltato il giorno prima a Gerusalemme i timori israeliani sulla sicurezza e dopo avere visto di persona, trasferendosi in auto dalla Città Santa alla roccaforte palestinese di Ramallah, le muraglie, i posti di blocco, le barriere di filo spinato che rendono ogni giorno la vita difficile ai palestinesi. Bush ha detto di capire "la frustrazione" dei palestinesi per questa situazione. La visita è avvenuta tra straordinarie misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città fantasma, con gli abitanti diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti, Un tentativo di protesta da parte di 200 cittadini di Ramallah viene bloccato immediatamente dagli agenti. Bush, che ha parlato sotto un gigantesco ritratto di Arafat, ha ribadito più volte di "ritenere possibile un accordo di pace entro il 2008". Gli ha fatto eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno della pace: la pace nel mondo comincerà dalla Terra Santa". Dopo la storica visita a Ramallah, il presidente Bush ha visitato a Betlemme la Basilica della Natività, che ospita la grotta della nascità di Gesù. Bush ha detto di essere stato colpito dal senso di pace del luogo. La Casa Bianca ha già fatto sapere che Bush ritornerà sicuramente almeno una volta in Medio Oriente prima della fine del suo mandato. 11/01/2008.

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Il pm Boccassini lascia il sindacato delle toghe (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

 

Ilda Boccassini ha lasciato l'Associazione nazionale magistrati per motivi "maturati" nel tempo. Nel contempo ha deciso di revocare al Consiglio superiore della magistratura (Csm) anche la propria domanda per il posto di procuratore aggiunto della Repubblica a Milano, benchè a questo incarico avesse a breve la pressochè certezza di essere nominata proprio in base ai medesimi criteri che a metà dicembre hanno determinato il Csm a preferirle in questa fase il collega Francesco Greco. Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Primarie Usa, Hillary vince e torna in corsa Emergenza rifiuti, ecco il piano per lo smaltimento Il tecnico Oronzo tra letterine doping e partite truccate Tra mille ripensamenti del gip Ahmetovic resta in carcere Bush in Israele, razzi dal Libano Lazio, buon compleanno pensando a Gabriele Sandri Delle dimissioni dall'Anm - presentate il 20 dicembre, e già trasmesse a Roma all'Anm nazionale - ha preso atto l'altro ieri, nella prima riunione del 2008, la giunta della sezione milanese. Di certo le dimissioni non hanno a che fare con la prudente posizione dell'Anm sulle vicende De Magistris e Forleo. 10/01/2008.

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Bush visita il museo dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Quotidiano.net" del 11-01-2008)

 

Mobile email stampa MEDIO ORIENTE Bush visita il museo dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi Il presidente americano, da tre giorni in Israele e nei territori palestinesi, ha visitato il memoriale di Yad Vashem, dedicato all'Olocausto degli Ebrei in Europa Home Esteri prec succ Contenuti correlati Il viaggio di Bush in Medio Oriente Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Gerusalemme, 11 gennaio 2008 - Il presidente americano George W. Bush, da tre giorni in Israele e nei territori palestinesi, si è recato questa mattina al memoriale di Yad Vashem, museo dedicato all'Olocausto degli Ebrei in Europa. Situato a Gerusalemme, Yad Vashem è stato chiuso temporaneamente al pubblico per l'occasione: imponenti le misure di sicurezza adottate, con soldati appostati sui tetti ed elicotteri che sorvolavano l'area durante la visita. Bush era a accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres, dal primo ministro Ehud Olmert, dal presidente di Yad Vashem Tommy Lapid e dalle due responsabili degli esteri Condoleezza Rice e Tzipi Livni. Si tratta della seconda visita di Bush al memoriale, dove si era recato già nel 1988 quando era governatore del Texas. La visita al Museo dell'Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme, è stata contrassegnata da una forte commozione per il presidente americano Bush che si è raccolto davanti al memoriale della Shoah con le lacrime agli occhi. Bush, in testa una kippah, ha ascoltato commosso una poesia scritta da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai nazisti. Il presidente americano, con il capo chino e gli occhi pieni di lacrime ha deposto una corona presso la fiamma eterna di Yad Vashem e ha commentato: ''Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità - ha continuato - gli animi coraggiosi, giovani e vecchi, devo restare saldi davanti a ciò in cui credono''. La visita di tre giorni del presidente americano in Israele e nei territori palestinesi si conclude oggi con un una visita ai siti cristiani della Galilea. Prossima tappa il Kuwait. Il viaggio di Bush in Medio Oriente.

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Bush visita il museo dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Quotidiano.net" del 11-01-2008)

 

Mobile email stampa MEDIO ORIENTE Bush visita il museo dell'Olocausto Il presidente con le lacrime agli occhi Il presidente americano, da tre giorni in Israele e nei territori palestinesi, ha visitato il memoriale di Yad Vashem, dedicato all'Olocausto degli Ebrei in Europa Home prec succ Contenuti correlati Il viaggio di Bush in Medio Oriente Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Gerusalemme, 11 gennaio 2008 - Il presidente americano George W. Bush, da tre giorni in Israele e nei territori palestinesi, si è recato questa mattina al memoriale di Yad Vashem, museo dedicato all'Olocausto degli Ebrei in Europa. Situato a Gerusalemme, Yad Vashem è stato chiuso temporaneamente al pubblico per l'occasione: imponenti le misure di sicurezza adottate, con soldati appostati sui tetti ed elicotteri che sorvolavano l'area durante la visita. Bush era a accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres, dal primo ministro Ehud Olmert, dal presidente di Yad Vashem Tommy Lapid e dalle due responsabili degli esteri Condoleezza Rice e Tzipi Livni. Si tratta della seconda visita di Bush al memoriale, dove si era recato già nel 1988 quando era governatore del Texas. La visita al Museo dell'Olocausto Yad Vashem a Gerusalemme, è stata contrassegnata da una forte commozione per il presidente americano Bush che si è raccolto davanti al memoriale della Shoah con le lacrime agli occhi. Bush, in testa una kippah, ha ascoltato commosso una poesia scritta da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai nazisti. Il presidente americano, con il capo chino e gli occhi pieni di lacrime ha deposto una corona presso la fiamma eterna di Yad Vashem e ha commentato: ''Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità - ha continuato - gli animi coraggiosi, giovani e vecchi, devo restare saldi davanti a ciò in cui credono''. La visita di tre giorni del presidente americano in Israele e nei territori palestinesi si conclude oggi con un una visita ai siti cristiani della Galilea. Prossima tappa il Kuwait. Il viaggio di Bush in Medio Oriente.

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Israele, Bush in lacrime al museo della Shoah (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 11-01-2008)

 

Di Redazione - venerdì 11 gennaio 2008, 11:19 Gerusalemme - La visita al museo dell'olocausto Yad Vashem a Gerusalemme, è stata contrassegnata da una forte commozione per il presidente americano George W. Bush che si è raccolto davanti al memoriale della Shoah con le lacrime agli occhi. Accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres, dal primo ministro Ehud Olmert, dal presidente di Yad Vashem Tommy Lapid e dalle due responsabili degli esteri Condoleezza Rice e Tzipi Livni, Bush, in testa una kippah, ha ascoltato commosso una poesia scritta da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai nazisti: "Dio mio, dio mio, che questa canzone non finisca mai....". Bush, con il capo chino e gli occhi pieni di lacrime ha deposto una corona presso la fiamma eterna di Yad Vashem e ha commentato: "Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità - ha continuato - gli animi coraggiosi, giovani e vecchi, devo restare saldi davanti a ciò in cui credono". Bush lascerà oggi Israele per continuare la sua visita in Medio Oriente e recarsi in vari paesi del Golfo. Le proposte di Bush per la pace è stata accolta con soddisfazione in Israele e con più cautela tra i palestinesi la "visione" espressa ieri da Bush sul futuro dello Stato ebraico e dei Territori occupati. Abbandonando la prudenza mostrata in passato, il presidente Usa ha esortato le parti a lavorare con intensità per raggiungere un accordo di pace definitivo entro il 2008, ha chiesto entro quella data - per la fine del suo mandato - la fine dell'occupazione israeliana e la nascita di uno Stato palestinese e affermato che la soluzione per i profughi palestinesi verrà trovata con la creazione dello Stato di Palestina. Non ha avanzato proposte precise invece per lo status futuro di Gerusalemme. Restano le difficoltà Molte delle proposte del leader Usa, però, appaiono difficilmente applicabili nel giro di un anno. Un funzionario governativo israeliano, ieri sera, ha parlato di "passo avanti negli sforzi per raggiungere la pace" e di proposte "in linea con quanto ci siamo detti con gli americani". Poco dopo, durante il ricevimento in onore del presidente Usa, il premier Olmert e il suo vice Haim Ramon non hanno mancato di ostentare la loro soddisfazione. Ad esprimere riserve è stato solo il ministro dell'industria Eli Yishai, del partito religioso Shas, che ha sottolineato che Israele "non può raggiungere la pace solo con una metà della popolazione palestinese", in riferimento alla divisione netta che oggi vede la Cisgiordania controllata dal presidente dell'Anp Abu Mazen e la Striscia di Gaza nelle mani del movimento islamico Hamas. Perplessità analoghe sono state manifestate anche dal leader dell'opposizione Benyamin Netanyahu (Likud) che, incontrando ieri Bush, ha affermato che Abu Mazen è un partner di pace "virtuale" perché, a suo dire, troppo debole nei confronti di Hamas.

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Bush a Ramallah, nel bunker che fu di Arafat (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 11-01-2008)

 

"La pace entro il 2008 è possibile. Possiamo farcela". Il presidente americano George W. Bush, dopo una storica visita a Ramallah all'ex-quartier generale di Yasser Arafat [...] Home prec succ Contenuti correlati Assassinio Bhutto, spunta un dossier scottante Studenti in affitto, oro nero Meredith, la verità dai pc Inchiesta "Why not": 40 indagati Will Smith: "Sostengo Obama per il cambiamento Usa" La pace incastrata nelle scatole cinesi [...] ha impresso ieri una brusca accelerata ai negoziati di pace tra israeliani e palestinesi con una raffica di proposte centrate sui problemi più delicati. Bush, dopo due giorni di colloqui in Israele e in Giordania, ha affrontato il problema dei rifugiati proponendo un meccanismo di compensazione internazionale collegato alla nascita dello stato palestinese. Ed ha preso di petto la questione dei futuri confini di uno stato palestinese ammonendo che Israele dovrà por fine alla "occupazione iniziata nel 1967" e che in ogni caso la futura Palestina dovrà avere una "continuità territoriale" evitando la creazione di uno 'stato grovierà. Una formulazione che getta le basi per un corridoio territoriale tra Gaza e la Cisgiordania e per una mappa degli insediamenti israeliani che non frammenti la Palestina. Il presidente Usa ha fatto anche un accenno all'armistizio del 1949, che ha stabilito una "linea verde"è che nessuno può mettere in discusisone, sottolineando però la necessita di adattare la situazione alle nuove realtà. Bush ha parlato anche dello status di Gerusalemme, notando che si tratta di un problema "molto duro" che richiederà "concessioni dolorose" da entrambe le parti. Sono proposte decise ed esplicite quelle avanzate da Bush dopo avere ascoltato il giorno prima a Gerusalemme i timori israeliani sulla sicurezza e dopo avere visto di persona, trasferendosi in auto dalla Città Santa alla roccaforte palestinese di Ramallah, le muraglie, i posti di blocco, le barriere di filo spinato che rendono ogni giorno la vita difficile ai palestinesi. Bush ha detto di capire "la frustrazione" dei palestinesi per questa situazione. La visita è avvenuta tra straordinarie misure di sicurezza: Ramallah è diventata una città fantasma, con gli abitanti diffidati dall'uscire di casa o di salire sui tetti, Un tentativo di protesta da parte di 200 cittadini di Ramallah viene bloccato immediatamente dagli agenti. Bush, che ha parlato sotto un gigantesco ritratto di Arafat, ha ribadito più volte di "ritenere possibile un accordo di pace entro il 2008". Gli ha fatto eco Abu Mazen: "Il 2008 sarà l'anno della pace: la pace nel mondo comincerà dalla Terra Santa". Dopo la storica visita a Ramallah, il presidente Bush ha visitato a Betlemme la Basilica della Natività, che ospita la grotta della nascità di Gesù. Bush ha detto di essere stato colpito dal senso di pace del luogo. La Casa Bianca ha già fatto sapere che Bush ritornerà sicuramente almeno una volta in Medio Oriente prima della fine del suo mandato. 11/01/2008.

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Testimonianze (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 11-01-2008)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.116 del 11/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Spettacolo Al Teatro Olmetto di Milano Testimonianze la realta' di Israele tra passato e presente Duplice appuntamento al Teatro Olmetto di Milano che con gli spettacoli "La guerra che non si può vincere", al suo debutto nazionale dal 14 al 27 gennaio 2008, e "Affittasi monolocale zona ghetto - memorie" dal 2 al 17 febbraio 2008, ci offre uno spunto di riflessione su un tema più che mai attuale e dal quale oggi è impossibile restare indifferenti: Israele e i momenti più significati della sua lunga e travagliata storia.. "La guerra che non si può vincere" è il titolo del libro con il quale l'israeliano David Grossman, uno dei più riconosciuti scrittori contemporanei, ha ripercorso le tappe della guerra più violenta, radicata, tragica e che, ancora nel 21° secolo, stenta a spegnersi : quella tra arabi ed ebrei, da cui sembra non esserci più una via d'uscita. Eugenio de' Giorgi trasforma i 34 articoli di Grossman, intrisi forse ancora di un sogno di pace, in sei quadri teatrali di grande intensità, accompagnati dalle vicende familiari e dagli affetti di un ragazzo di Tel Aviv, la cui vita normale diventa, in questi luoghi dove il consueto è rappresentato dal conflitto, dal sangue o da un attentato, un'esistenza straordinaria, unica e commovente. In " Venezia 1516, affittasi monolocale zona ghetto - memorie", Eugenio de Giorgi, unico interprete, diretto da Massimo Navone, presenta una serie di personaggi della Venezia cinquecentesca legati alla storia del Ghetto, i quali, un po' rifacendosi all' ilarità delle maschere della commedia dell'arte, un po' riprendendo i toni dell'humor yiddish, portano a riflettere su un tema tutt'altro che gioviale: la segregazione e la persecuzione degli ebrei. "La guerra che non si può vincere" di David Grossman adattamento e regia di Eugenio de'Giorgi con Alberto Faregna, Andrea Brancone, Amanda Sanni, Miriam Camerini, Giovanna Neiger, Mattia Preti dal 14 al 27 gennaio 2008 "Affittasi monolocale zona ghetto - memorie" di e con Eugenio de Giorgi regia di Massimo Navone dal 2 al 17 febbraio 2008 Teatro Olmetto via Olmetto 8/a, 20123 Milano. Spettacoli: feriali ore 21.00 - giovedi ore 19.30 - festivi ore 16.00 Teatro Olmetto, via Olmetto 8/a, 20123 Milano. Ingressi: Euro 16,00 (intero) - Euro 11,00 (giovani max 26 anni e anziani oltre 60 anni), abbonamento a 6 spettacoli a Euro 42,00 Per informazioni: Tel. 02 72021503 - biglietteria@teatrolmetto.com Giusy De Donno.

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Bush in lacrime visita il museo dell'Olocausto (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 11-01-2008)

 

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.116 del 11/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Esteri Ultimo giorno in Israele del presidente Usa Bush in lacrime visita il museo dell'Olocausto Domani il viaggio proseguira' alla volta della Galilea e poi in Kuwait Gerusalemme, 11 Gen.- Ultimo giorno in Israele per il presidente Usa che domani proseguirà il suo viaggio recandosi in Galilea. La giornata per Bush è iniziata con una visita al museo dell'Olocausto di Gerusalemme e ad accompagnarlo c'era il presidente israeliano Shimon Peres, il primo ministro Ehud Olmert, dal presidente di Yad Vashem Tommy Lapid e i due responsabili degli esteri Condoleeza Rice e Tzipi Livni. Davanti al memoriale della Shoah il presidente si è commosso. Ascoltando una poesia scritta da Hanna Senech, paracadutata in Ungheria nel 1944 e fucilata dai nazisti, ha dichiarato: "Dio mio, dio mio, che questa canzone non finisca mai....". E con gli occhi pieni di lacrime ha deposto una corona alla fiamma eterna di Yad Vashem continuando: “Spero che se molti nel mondo verranno in questo luogo, sarà da ammonimento che il male esiste e che se il male viene individuato, bisogna resistergli. Di fronte ai tremendi crimini contro l'umanità gli animi coraggiosi, giovani e vecchi, devono restare saldi davanti a ciò in cui credono”. Dopo la visita al museo Bush andrà in Galilea poi lascerà Israele verso i vari paesi del Golfo: prima tappa il Kuwait. Valentina Pellegrino.

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ARTICOLI DEL 10-1-2008

 

GEORGE W. BUSH INCONTRA OLMERT E dà un avvertimento alL'IRAN. Il presidente ( da "Foglio, Il" del 10-01-2008)

Bush arriva in Medio Oriente, ma il suo vero obiettivo è l'Iran ( da "EUROPA.it" del 10-01-2008)

Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" ( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)

Anche dai propri acerrimi nemici ci può essere qualcosa da imparare. E da imitare. Almeno cos&# ( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

Bush: Teheran minaccia il mondo ( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

Eyal Sivan, autore controverso di Israele ( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

Bush a Gerusalemme "Teheran ci minaccia pronti a reagire" ( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

Israeliani e palestinesi, la letteratura è confronto ( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

MEDIO ORIENTE IL PRESIDENTE USA, IN VISITA PER LA PRIMA VOLTA, INSISTE SUL PROCESSO DI PACE E ATTACCA L'IRAN: UN PERICOLO PER IL MONDO 0 Bush in Israele e Cisgiordania, ma il negoz ( da "Giorno, Il (Nazionale)" del 10-01-2008) + 2 altre fonti

La Difesa iraniana: falso il video del Pentagono ( da "Unita, L'" del 10-01-2008)

Bush in Israele: pace possibile ma l'Iran resta una minaccia Il presidente Usa a Gerusalemme: tutte le opzioni sono aperte Sullo stop alle colonie frizioni con Olmert. Oggi da Abu ( da "Unita, L'" del 10-01-2008)

Per Hamas l'attacco a Teheran sarebbe atto di guerra ( da "Unita, L'" del 10-01-2008)

Bush punta tutto sulla pace ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 10-01-2008)

Bush in israele "l'iran minaccia la pace mondiale" - flores d'arcais e stabile alle pagine 12 e 13 ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

Storia e pericoli del nemico rosso venuto dall'asia - giuseppe barbera ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

Immondizia in prima pagina "è una vergogna per l'italia" - goffredo locatelli ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

"la pace? nessuna svolta in vista" - mila rathaus ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

Il presidente usa parla di pace e minaccia l'iran ( da "Secolo XIX, Il" del 10-01-2008)

Bush, prima volta in israele "l'iran è una minaccia per tutti" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

Bush ospite sgradito in Medio Oriente ( da "Secolo XIX, Il" del 10-01-2008)

Ma i razzi di hamas fanno saltare l'agenda - alberto stabile ( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

Non più solo soldati nelle nostre pellicole ( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)

Iran, Bush mostra i muscoli ( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)

Fiera del libro, arriva Israele. Pacifisti pronti al boicottaggio ( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)

Medio oriente 1 comincia il tour di george w.: la questione palestinese resta a margine ( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

Medio oriente 3 scenari ( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

Medio oriente 2 visto dagli states ( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

Anticipazione l'analisi storica ( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

Segue eredità ( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

All'aeroporto Ben Gurion e poi a Gerusalemme Ovest, sorrisi, apprezzamenti reciproci, strett ( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: L'Iran,una minaccia per la pace ( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)

Così mentre il dibattito delle Primarie sta entrando nella sua fase più accesa, il ( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)

Barak spinge la Livni verso la guida del governo ( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)

Bush in Israele: <L'Iran resta una minaccia> ( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)

Gerusalemme salvata dai giochi dei bimbi ( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)

GERUSALEMME È giunto in Israele per cogliere la ( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: <L'Iran non provochi o risponderemo> pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Lega araba Il Libano è a rischio collasso ( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: <L'Iran non provochi o risponderemo> ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Premiata l'ambasciatrice dell'Olp in Ue ( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)

Non scordiamoci che loro vogliono dominare il mondo pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Storica visita in Cisgiordania Bush a colloquio con Abbas ( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)

Senza titolo. pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: "Iran, se provocati risponderemo" di Fiamma Nirenstein - giovedì 10 gennaio 2008, 0... ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush da Abu Mazen: "Israele e Palestina due Stati per la pace" ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: "Iran, se provocati risponderemo" ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush da Abu Mazen: "Israele e Palestina due Stati per la pace" di Redazione - giovedì 10 gennaio 200... ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

La pace incastrata nelle scatole cinesi ( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)

Prima volta di Bush in Israele, 'Iran minaccia per la pace' ( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)

Iran e Arabia Sudidita, due paesi in continuo avvicinamento ( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)

Prima volta di Bush in Israele, "Iran minaccia per la pace" ( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)

Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" ( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)

Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" ( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)

Da Gerusalemme il sì alla moratoria sull'aborto dei pro life israeliani ( da "Foglio, Il" del 10-01-2008)

Un'asse dei sunniti per la vita di Israele ( da "Opinione, L'" del 10-01-2008)

Intervista a Gianadrea Gaiani / Il Libano? Come Napoli, ma più in grande ( da "Opinione, L'" del 10-01-2008)

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)

BUSH: L'IRAN MINACCIA LA PACE MONDIALE ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)

NEL GOLFO UNA PROVOCAZIONE DI TEHERAN ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)

IL PRIMO VIAGGIO DEL PRESIDENTE IN ISRAELE: IN AGENDA LA MINACCIA NUCLEARE E GLI OSTACOLI AL PROCESSO DI PACE ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)

Bush da Abu Mazen: Israele e Palestina, presto la pace ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush da Abu Mazen: Israele e Palestina, presto la pace pag.1 ( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)


Articoli

GEORGE W. BUSH INCONTRA OLMERT E dà un avvertimento alL'IRAN. Il presidente (sezione: Israele/Palestina)

( da "Foglio, Il" del 10-01-2008)

 

Americano ha iniziato ieri la visita di stato in medio oriente. "Scorgiamo una nuova opportunità di pace qui in Terrasanta e di libertà in tutta la regione", ha detto Bush. Durante l'incontro con il premier israeliano, Ehud Olmert, l'inquilino della Casa Bianca ha definito l'Iran "una minaccia per la pace mondiale" e ha aggiunto che gli Stati Uniti useranno "tutte le opzioni aperte" per difendere i propri interessi. Olmert ha ribadito la serietà di Israele nei negoziati di pace con l'Autorità nazionale palestinese. Oggi Bush incontra il leader dell'Anp, Abu Mazen. A lui, ha anticipato, sarà chiesto di non concedere asilo ai terroristi e di fermare il lancio di razzi sulle città israeliane (articolo a pagina tre). Cinque persone sono morte durante un raid israeliano in territorio palestinese partito in risposta al lancio di alcuni Qassam che hanno colpito lo stato ebraico.


Bush arriva in Medio Oriente, ma il suo vero obiettivo è l'Iran (sezione: Israele/Palestina)

( da "EUROPA.it" del 10-01-2008)

 

Comincia oggi ufficialmente il viaggio del presidente statunitense George W. Bush in Medio Oriente, l'ultimo del suo mandato in questa regione. In nove giorni Bush visiterà undici paesi: in testa alla sua agenda ci sono il conflitto israelopalestinese e la minaccia iraniana. Fouad Ajami sul Wall Street Journal titola il suo editoriale sul viaggio 'Bush d'Arabia'. Secondo Ajami: "Un anno fa un tour del genere sarebbe stato impensabile, ma ora molte cose sono cambiate e Bush ha potuto chiudere la sua carriera da presidente con un addio a una parte del mondo che la sua politica ha molto influenzato. Il presidente americano non andrà in Egitto, Israele, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, negli Emirati Arabi e nei Territori Palestinesi per rendersi conto della situazione. Dopo quasi due mandati e due grandi guerre nel mondo arabo sa bene di cosa si tratta. Bush è qui per riaffermare il suo messaggio politico. È senz'altro il leader americano la cui politica in questi territori è stata più coerente". L'editoriale del Christian Science Monitor pone l'accento su uno dei principali obiettivi del viaggio: la questione iraniana. "Persino l'altra grande questione al centro della visita", scrive il quotidiano, "cioè la pace tra Israele e i palestinesi, potrebbe essere compromessa dalla minaccia di Teheran. Israele avrebbe infatti chiesto a Washington di neutralizzare l'Iran in cambio della sua partecipazione al processo di pace. Posto che l'Iran è il vero obiettivo del viaggio, la tappa di Bush in Arabia Saudita, il 14 gennaio, è critica. I sauditi, alleati degli Stati Uniti nella regione, hanno rapporti con il presidente iraniano Ahmadinejad". Un commento, ancora sul Christian Science Monitor, sottolinea i buoni rapporti che al momento intrattengono americani e sauditi: "molti saranno stupiti di sapere che oggi l'Arabia Saudita ha voltato le spalle al terrorismo. La sede dei luoghi più sacri dell'islam vuole la pace ed è vicina a Washington. È questa la chiave che Bush deve usare per aprire le porte del Medio Oriente".


Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)

 

Mobile email stampa IL VIAGGIO IN MEDIO ORIENTE Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Il presidente degli Stati Uniti, in Medio Oriente per rilanciare il processo di pace israelo-palestinese, ha ribadito che "l'Iran non è un paese trasparente". Olmert: "Incoraggiato e rafforzato dalla posizione americana" Home Esteri prec succ Gerusalemme, 9 gennaio 2008 - "L'Iran è una minaccia per la pace mondiale": lo ha affermato il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, nel corso della conferenza stampa congiunta tenuta a Gerusalemme, al termine del suo incontro con il premier israeliano Ehud Olmert. Per Bush, "l'Iran non è un Paese trasparente". "Credo che possiamo risolvere questo problema diplomaticamente", ha aggiunto il presidente Usa, ribadendo la sua intenzione di mantenere una forte pressione internazionale su Teheran, affinchè sospenda il suo programma di arricchimento dell'uranio. A sua volta Olmert ha affermato di sentirsi "incoraggiato e rafforzato" dalla posizione americana in merito al dossier iraniano. ISRAELE ACCOGLIE BUSH George W. Bush ha creato "un sentiero per la pace" che Israele è disposto a percorrere; ma ha anche consigliato di "non sottovalutare la minaccia dell'Iran", suggerimento sul quale lo Stato ebraico ha tutte le intenzioni di insistere: le due frasi del presidente israeliano Shimon Peres, pronunciate nel breve discorso di benvenuto, riassumono il senso della prima visita di Bush nello Stato ebraico come capo della Casa Bianca. "Siamo stati attaccati sette volte, ma non abbiamo mai perso l'attaccamento per la democrazia e per la pace", ha ricordato Peres, sottolineando come "gli Stati Uniti ci sono stati vicini in pace e in guerra"; "grazie per questo sostegno: ora abbiamo le basi per la pace su tre assi: politico, economico e di sicurezza, anche per fermare la pazzia dell'Iran". "Il 2008 deve essere il momento di passaggio per arrivare alla realtà della pace. I prossimi 12 mesi saranno un momento di pace che non deve essere disatteso", ha proseguito il Presidente israeliano, che ha concluso: "Noi siamo pronti per la pace, dovrà essere un momento costruttivo e non distruttivo, non è mai troppo tardi per la pace". Olmert si è da parte sua limitato a ricordare "i legami intoccabili fra i due Paesi, basati su ideali comuni", per poi terminare su una nota personale, notando come nei due anni dalla sua elezione Bush sia diventato un "amico e confidente". Con analoga nota personale ha esordito lo stesso Bush, scusandosi per l'assenza della First Lady Laura: "Sono passati quasi dieci anni dalla mia ultima visita in Israele e non vedevo l'ora di tornare. Dobbiamo assolutamente resistere e combattere il terrorismo", ha proseguito Bush, che ha insistito sulla necessità di dare "obbiettivi basati sulla giustizia e la liberta, e la giustizia è basata sui diritti umani": "Non vogliamo solo difenderci, vogliamo una pace duratura e vediamo nuove opportunità di pace in Terra Santa e per tutta la regione. Dio vi benedica", ha concluso il Presidente. Ai brevi discorsi dei protagonisti - più politico quello di Peres, in ossequio al protocollo, assai più generico quello del premier Olmert - ha fatto da contraltare una complicata cerimonia di benvenuto: Bush ha impiegato oltre venti minuti a percorrere il tappeto rosso steso dalla scaletta dell'Air Force One al podio montato a bordo pista. Accolto da Peres e Olmert in completo blu, camicia bianca e cravatta azzurro chiaro - i colori della bandiera dello Stato ebraico - dopo gli inni nazionali e il saluto (in ebraico) del rappresentante delle forze armate un sorpreso Bush è stato accompagnato - spinto, a tratti, da Peres, in un curioso balletto del "vada avanti lei" - a passare in rassegna il nutrito picchetto d'onore israeliano: due file di soldati ai quali solerti ufficiali hanno personalmente sistemato i baschi come da regolamento, come rivelato dalle telecamere. Riguadagnato non senza qualche imbarazzo il tappeto rosso, è stata la volta dei saluti ai rappresentanti delle comunità religiose e all'intero governo israeliano: particolarmente caloroso l'abbraccio con il ministro degli Esteri Tzipi Livni; infine la delegazione statunitense, con in testa il Segretario di Stato Condoleezza Rice alla quale Olmert, per non essere da meno, ha dedicato baci e abbracci. Finiti i discorsi, Bush è salito sull'elicottero che lo porterà alla residenza di Peres, dove avranno inizio i colloqui veri e propri. Quattro le questioni fondamentali che verranno presentate da Peres, a detta della stampa israeliana: "spingere il dialogo con i palestinesi; garantire che la sicurezza di Israele venga garantita in qualsiasi futuro accordo per la Cisgiordania; la minaccia rappresentata dall'Iran e il rapporto dell'intelligence statunitense secondo il quale Teheran avrebbe abbandonato i propri programmi nucleari; infine, un'analisi strategica della situazione della sicurezza in Israele". Tuttavia, come nota un'analisi del quotidiano israeliano Ha'aretz, "non ci si deve aspettare alcuna concessione da parte degli Stati Uniti: nessuna di tali questioni è stata discussa preliminarmente e l'itinerario di Bush - che chiuderà il suo giro di visite nei Paesi arabi - rende difficili dei gesti nei confronti di Israele". Questo è il motivo per cui la visita di oggi "ha lo scopo di creare un'atmosfera positiva e dimostrare il coinvolgimento della Casa Bianca nel processo di pace": "Israele dovrà aspettare la prossima visita di Bush, prevista per il sessantesimo anniversario della nascita dello Stato ebraico, per ricevere il regalo d'addio del Presidente". Il viaggio di Bush in Medio Oriente.


Anche dai propri acerrimi nemici ci può essere qualcosa da imparare. E da imitare. Almeno cos&# (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

 

Anche dai propri acerrimi nemici ci può essere qualcosa da imparare. E da imitare. Almeno così la devono pensare gli iraniani e a fornirne la prova è un fotoreporter del quotidiano turco "Sabah", che per primo ha immortalato il muro, in perfetto stile israeliano, che gli iraniani stanno costruendo lungo il confine con l'Iraq. Un muro che si prefigge l'obiettivo di scoraggiare l'ingresso nel Paese dei militanti curdi del Pjak, organizzazione nata nel 2004 da una costola del Pkk. Tra montagne innevate, a volte sferzate da venti gelidi e più volte oppresse da una fitta nebbia, gli iraniani hanno cominciato a mettere le fondamenta di una barriera in cemento armato alta cinque metri e lunga quattro chilometri. Il punto di partenza si trova alla frontiera Hajj Umran, lì dove da una parte del confine sorge la gigantografia di Massud Barzani, governatore curdo del Nord Iraq, poco tollerato dai turchi che lo accusano di dare esilio ai miliziani del Pkk, e dall'altra si ergono enormi i ritratti degli ayatollah Khomeyni, padre fondatore della Repubblica islamica, e di Ali Khamenei, attuale guida suprema dell'Iran. Quello che il fotografo è riuscito a immortalare, prima di essere avvistato dalle vedette, è lo scheletro del muro: le colonne tra le quali verranno inseriti singoli lastroni di cemento armato. "Mentre mi allontanavo - racconta - un iraniano si è preoccupato di dirmi che il muro non sarà di ostacolo alle relazioni e alla cooperazione tra Iran e Iraq". In realtà, gli iracheni hanno già alzato la voce per quanto sta avvenendo. Inoltre in molti mettono in discussione l'efficacia di questo tipo di barriera lungo un confine che si estende per ben 1.500 chilometri e che, nonostante i numerosi posti di blocco, si è sempre dimostrato facile da superare. Il Pjak (Partito per una vita libera in Kurdistan), non è conosciuto come il Pkk - responsabile, pochi giorni fa, dell'ultimo sanguinoso attacco nella città turca di Diyarbakir - ma in passato è stato in grado di infliggere perdite significative tra le fila dell'esercito iraniano. Come il Pkk, punta alla creazione di un "Grande Kurdistan", capace di raccogliere i 35 milioni di curdi attualmente divisi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria. Conterebbe un migliaio di militanti decisi a minare la credibilità del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Il premio Pulitzer Seymour Hersh, giornalista del New Yorker, ha recentemente affermato che il Pjak starebbe ricevendo aiuti e supporto da Stati Uniti e Israele. Affermazione, questa, smentita dagli Usa e che non trova conferma neanche nelle parole del leader del Pjak Hussein Afsheen, il quale si limita a ricordare che "il supporto logistico e ideologico viene offerto dal Pkk, quello economico dai curdi iraniani". Com'era prevedibile, la diffusione della notizia dell'effettiva costruzione di un muro contro il terrorismo di matrice curda ha immediatamente animato il dibattito in Turchia, in questa settimana in cui il bilancio delle vittime dell'attentato di Diyarbakir continua ad essere aggiornato. I morti, al momento sei, sono tutti civili: 4 studenti, un padre che attendeva la figlia all'uscita da scuola e un venditore ambulante. "Non credo all'efficacia di queste misure: anche in Israele il muro si è dimostrato un fallimento", commenta Deniz Ulke Aridogan, rettore della Università Bahceshehir di Istanbul ed esperta di terrorismo, "mi auguro che la Turchia non segua mai questa strada, ma che anzi punti a creare nuove porte e finestre con i propri vicini, specie con l'Iraq". Non la pensano però così molti suoi connazionali, che sui siti lasciano messaggi rabbiosi, spesso animati da sentimenti antiamericani. E poi c'è chi sceglie l'arma dell'ironia: "Lungo la nostra frontiera - commenta un lettore del Sabah - non riusciamo neanche a mettere il filo spinato. Figuriamoci un muro".


Bush: Teheran minaccia il mondo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

 

Gli Swarzy boys dietro McCain ALL'INTERNO Parla il guru dei sondaggisti Paci Molinari La visita in Israele "Siamo con voi, ma smantellate le colonie" Lo staff di Terminator ha guidato il successo dei repubblicani Semprini "Ha trionfato grazie alla rabbia delle donne Era imprevedibile".


Eyal Sivan, autore controverso di Israele (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

 

Personale Eyal Sivan, autore controverso di Israele Si apre questa sera al Massimo "Dubitare, disobbidire, combattere. Il cinema di Eyal Sivan", personale del documentarista israeliano noto per le sue posizioni poco allineate a quelle del governo. Per una settimana si susseguono sullo schermo della sala Tre del locale di via Verdi 18 i lavori che l'hanno portato ad esser considerato uno degli autori di rilievo del panorama del "cinema del vero" internazionale. S'inizia oggi dalle 20,45 con due opere ambientate nel più grande campo profughi palestinese costruito dall'Onu: "Aqabat-Jaber, vita di passaggio" e "Aqabat-Jaber, pace senza ritorno?". Biglietti a 5 euro. L'autore ha annullato l'incontro con il pubblico previsto domani sera. \.


Bush a Gerusalemme "Teheran ci minaccia pronti a reagire" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

 

LA PRIMA TAPPA DEL TOUR DEL PRESIDENTE USA IN MEDIO ORIENTE Bush a Gerusalemme "Teheran ci minaccia pronti a reagire" FRANCESCA PACI CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME "Gli uomini vanno a Baghdad, ma i veri uomini vogliono andare a Teheran". La battuta che circolava nei corridoi della Casa Bianca alla vigilia della guerra in Iraq sta perdendo un po' d'appeal tra i neoconservatori a stelle e strisce tentati, in parte, dalla via diplomatica. L'amministrazione americana segnata dalla disavventura irachena tentenna, il presidente no: al termine delle sue prime ventiquattr'ore in Israele, George W. Bush chiarisce l'obiettivo centrale del tour mediorientale che nei prossimi giorni lo porterà in Cisgiordania, Egitto, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi: "L'Iran era una minaccia, è una minaccia, sarà una minaccia alla pace mondiale se la Comunità internazionale non impedirà che si doti delle conoscenze per costruire armi nucleari". E poco importa se il luogo, Gerusalemme, suggerirebbe altre priorità. Israele preferisce far fronte comune contro Teheran, prima di affrontare i nodi della Road Map e i "consigli" dell'amico americano, risoluto nel chiedere al governo Olmert "sacrifici seri" come lo smantellamento delle colonie ebraiche in Cisgiordania. L'Iran unisce, il post-Annapolis meno. Bush difende "la giusta reazione israeliana" ai razzi Qassam, che ieri hanno nuovamente bersagliato la cittadina di Sderot, sorta di benvenuto di Hamas al presidente americano. "Una cosa è provocare, altra è reagire" osserva l'inquilino della Casa Bianca, scambiandosi sorrisi e pacche sulle spalle con il premier Ehud Olmert. Bush cita lo scontro sfiorato tra unità da guerra statunitensi e lance dei pasdaran iraniani, domenica nello stretto di Hormuz: "Se attaccassero le nostre navi ci sarebbero conseguenze gravi. Consiglio loro di non provarci". Musica per le orecchie israeliane, disturbate dall'ultimo rapporto dell'intelligence statunitense sul nucleare iraniano, fermo, secondo gli 007, al 2003. Secondo il presidente americano "un Paese che ha avuto un programma segreto può facilmente riavviarlo segretamente". Nel caso l'avesse fatto, aggiunge il collega Shimon Peres dalla residenza ufficiale di Beit Hanassi "ripulita" per l'occasione dal busto "scomodo" dell'ex presidente Katsav, "L'Iran non dovrebbe sottostimare la determinazione israeliana all'autodifesa". La Road Map resta per ora sullo sfondo, offuscata anche dalle proteste antiamericane opposte e simmetriche dell'estrema destra e dell'estrema sinistra israeliana. Ed a Gaza di Hamas. Stamattina il presidente americano, accompagnato dal Segretario di Stato Condoleezza Rice, incontrerà la leadership palestinese alla Muqata, la sede del governo di Ramallah. Con il presidente Abu Mazen e il premier Salam Fayad parlerà di sicurezza, tappe negoziali, della soluzione due popoli per due Stati, uno dei quali definito "ebraico" da Bush con disappunto della controparte. Bush ignora i mugugni, ripete d'essere ottimista: "Il Medioriente ha l'opportunità unica di combattere i terroristi e diffondere democrazia e libertà". A partire da Gerusalemme. Gli Stati Uniti sono qui per questo, chiosa, per agevolare i negoziati: "I palestinesi hanno l'obbligo di combattere il terrorismo, attivo non solo a Gaza. Ma è necessario che gli insediamenti in Cisgiordania spariscano". Gli interessati annuiscono, devono. Convinti o meno che siano.


Israeliani e palestinesi, la letteratura è confronto (sezione: Israele/Palestina)

( da "Stampa, La" del 10-01-2008)

 

Elzeviro Elena Loewenthal Israeliani e palestinesi, la letteratura è confronto La Fiera del Libro, con la sua stagionale fioritura per i viali di Torino e il sole estivo che si sgranchisce le ossa, è ancora lontana. Malgrado i rigori invernali, la polemica già avvampa, talmente prevedibile e così precoce da fare allargare le braccia. Siccome il paese ospite della prossima edizione sarà Israele (che compirà i suoi primi sessant'anni in maggio), il segretario provinciale dei comunisti italiani ha lanciato una lettera per chiedere di "associare" all'ospitalità la Palestina. Rimostranza curiosa, questa, in nome di pari opportunità di cui da sempre la letteratura si fa un bel baffo: per fortuna, la parola scritta è ancora uno dei pochi luoghi al mondo in cui non vige la legge della spietata concorrenza, e nemmeno dell'aut/aut commerciale. Un libro non esclude un altro, anzi. Celebrare una letteratura non significa screditarne un'altra, anzi. Questa protesta, però, è ottusa anche per altre ragioni. Perché ripropone per l'ennesima volta l'idea di un Israele "nemico globale", come se tutto ciò che riguarda questo paese (dalla politica all'high tech, dalla letteratura agli agrumi) fosse "a scapito" d'altro: del suo avversario ma anche della giustizia stessa, della morale comune. In maggio a Torino avremo occasione di ascoltare autori come Oz, Yehoshua, Grossman, che hanno fatto del confronto con l'"altro" - nella fattispecie "il nemico" palestinese - la cifra della loro scrittura. Scrivo per mettermi nei panni degli altri, spiega Grossman in Con gli occhi del nemico. Praticamente tutta la letteratura israeliana contemporanea è guidata dall'esigenza profonda di capire il proprio mondo attraverso e malgrado il conflitto, varcando, almeno sulla pagina, il confine che la guerra stabilisce. C'è poi un altro aspetto della questione che dà alla protesta del segretario provinciale una sfumatura paradossale. La letteratura palestinese fa anch'essa i conti con la dura realtà del conflitto. Lo fa in modo ironico con scrittrici come Suad Amiry (Sharon e mia suocera), che si rifà ai modelli del compianto Emil Habibi - vittima della solita ottusità quando fu boicottato dal suo mondo arabo per aver ricevuto l'Israel Prize, nel 1992. Ma c'è anche una letteratura palestinese che scrive - magistralmente - in ebraico. Arabi come il poeta Anton Shammas e il giovane narratore Sayed Kashua, che rispondono alla complessità del reale con un intreccio di identità, idee, culture, facendo propria la lingua dell'"altro" per antonomasia. Sfuggendo, loro per primi, agli sterili dogmatismi invocati dal segretario provinciale.


MEDIO ORIENTE IL PRESIDENTE USA, IN VISITA PER LA PRIMA VOLTA, INSISTE SUL PROCESSO DI PACE E ATTACCA L'IRAN: UN PERICOLO PER IL MONDO 0 Bush in Israele e Cisgiordania, ma il negoz (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giorno, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)
Pubblicato anche in:
(Nazione, La (Nazionale)) (Resto del Carlino, Il (Nazionale))

 

MEDIO ORIENTE IL PRESIDENTE USA, IN VISITA PER LA PRIMA VOLTA, INSISTE SUL PROCESSO DI PACE E ATTACCA L'IRAN: "UN PERICOLO PER IL MONDO" Bush in Israele e Cisgiordania, ma il negoziato non avanza ? NEW YORK ? ANCHE LA SUA PRIMA visita in Israele, considerata un'"occasione storica" per la pace, è stata in qualche modo oscurata dalla lunga minaccia iraniana. "L'Iran rimane un pericolo per il mondo ? ha detto Bush ? e le sue provocazioni avranno gravi conseguenze se tenterà di attaccare navi americane. Il consiglio agli iraniani è semplice: non fatelo più". Il presidente è atterrato a Gerusalemme per continuare il lavoro iniziato ad Annapolis. Potrebbe segnare il coronamento di uno straordinario obiettivo della sua politica estera: diffondere la libertà in Medio Oriente, mettere le basi per due stati ? uno israliano e uno palestinese ? che possono vivere in Pace uno vicino all'altro. Le parole di Bush non sono fermate dai razzi che gli Hezbollah libanesi hanno lanciato ieri da oltre confine e nemmeno dai ventimila manifestanti che a Gaza contestano la sua visita di due giorni chiamandolo "vampiro". Il premier israeliano Olmert, pronto a negoziare anche le questioni "questioni difficili", non vuol cedere su un punto: "Non ci sarà pace e accordo ? dice durante la conferenza stampa ? fino a quando continuerà il terrorismo a Gaza. Discuterò con Abu Mazen di questa situazione, ma deve essere chiaro che non saranno tollerati nei loro territori rifugi per i terroristi". Oggi in Cisgiordania Bush vedrà anche il presidente palestinese "per avere anche l'altra versione dei fatti". Nel suo discorso di saluto il presidente Usa ha ripetuto che l'alleanza fra statunitensi e israeliani dovrà garantire prima di tutto la sicurezza dello "stato ebraico" e questo ha fatto infuriare Hamas a Gaza, che lo considera discriminatorio e riduttivo per il ritorno dei rifugiati palestinesi. BUSH HA PERÒ dichiarato anche che gli "insediamenti illegali" dovranno sparire dai territori occupati, ma su questo Olmert ha dato solo un generico assenso senzas impegnarsi in date precise. Al di là delle parole incoraggianti, il processo di pace sembra incagliato un'altra volta e non è un caso se soltanto ieri i due gruppi di negoziatori hanno ricevuto il disco verde per mettere sul tavolo anche le cosidette questioni strategiche, come la definizione dello status di Gerusalemme, i confini e il ritorno dei rifugiati. Bush preme perché israeliani e palestinesi riescano a completare lo storico sforzo nei prossimi dodici mesi ma proprio quando si affrontano le questioni spinose che hanno provocato la rottura nel 2000 anche tra Arafat e Barak, gli israeliani sembrano innestare la retromarcia. Non è un caso se Olmert parlando proprio di Gerusalemme ha tenuto a precisare puntigliosamente: "Anche se ne parliamo nei negoziati, Gerusalemme non può essere considerata come gli altri territori palestinesi". Significa che se qualcuno volesse sceglierla come capitale del nuovo stato e non solo come rispettata "città santa" e specialmente protetta, potrebbero nascere nuove insormontabili differenze. In una conversazione bilaterale però, quasi come un virus sottocutaneo, ma minaccia di Teheran spunta sempre e ossessiona il governo israeliano, non favorevole ad intraprendere una coraggiosa via diplomatica. Ci si è messo anche il premio Nobel presidente Peres a gettare benzina sul fuoco, quando nel dicorso di saluto a Bush ha detto:" Bisogna fermare la pazzia di Teheran, Hezbollah e Hamas. L'Iran non deve sottovalutare la determinazione di Israele a difendersi". Dopo la visita in Cisgiordania, Bush si dedicherà ai paesi arabi alleati per rinsaldare amicizie arrugginite negli ultimi mesi e soprattutto dopo il conflitto in Iraq. Giampaolo Pioli - -->.


La Difesa iraniana: falso il video del Pentagono (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 10-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del LO SCONTRO NEL GOLFO La Difesa iraniana: falso il video del Pentagono Una "goffa falsificazione" montata nel vano tentativo di "instillare in altri Paesi la paura dell'Iran". Così Teheran ha definito ieri un video mostrato dal Pentagono a sostegno della versione americana di un contatto tra unità navali Usa e motovedette iraniane avvenuto domenica nello Stretto di Hormuz. Il ministro della Difesa iraniano, Mostafa Mohammad Najjar, ha ribadito le affermazioni già fatte nei giorni scorsi da altri dirigenti di Teheran, secondo le quali ciò che ha avuto luogo è stato un "normale" controllo effettuato dai Pasdaran (Guardiani della rivoluzione) dell'identità delle navi americane in transito. Ma gli Stati Uniti hanno riaffermato l'intento provocatorio e aggressivo degli equipaggi della Repubblica islamica e hanno lanciato un nuovo duro monito. "Devono fare molta attenzione, perché se ciò avvenisse di nuovo, dovranno subire le conseguenze di un tale incidente", ha detto Stephen Hadley, consigliere per la sicurezza del presidente George W. Bush. Hadley parlava durante il viaggio che portava lui e Bush in Israele. Il video mostrato ieri, ha detto Washington, è stato ripreso dal ponte della nave americana Hopper, che transitava nello Stretto di Hormuz insieme ad altre due unità, la Port Royal e la Ingraham. Le immagini mostrano alcune imbarcazioni veloci, che non portano insegne o bandiere, mentre si avvicinano e girano intorno alle tre unità Usa. Poi una voce che il Pentagono attribuisce ad un iraniano grida in inglese con un forte accento straniero la minaccia di far saltare in aria le navi.


Bush in Israele: pace possibile ma l'Iran resta una minaccia Il presidente Usa a Gerusalemme: tutte le opzioni sono aperte Sullo stop alle colonie frizioni con Olmert. Oggi da Abu (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 10-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del Bush in Israele: pace possibile ma l'Iran resta una minaccia Il presidente Usa a Gerusalemme: tutte le opzioni sono aperte Sullo stop alle colonie frizioni con Olmert. Oggi da Abu Mazen di Umberto De Giovannangeli DALLA TERRA SANTA lancia un nuovo monito al regime dei Pasdaran: "L'Iran è una minaccia per la pace mondiale" e "tutte le opzioni sono sul tavolo" se gli iraniani tenteranno ancora di attaccare navi americane. Minacce e rassicurazioni. A dispensarle è George W.Bush. Tra imponenti misure di sicurezza, il presidente Usa ha iniziato ieri la sua attesissima visita in Medio Oriente. Prima tappa, Israele. "Cerchiamo una pace duratura. Cerchiamo una nuova opportunità per la pace qui in Terra Santa e per la libertà attraverso tutta la regione". Così Bush al suo arrivo all'aeroporto "Ben Gurion" di Tel Aviv pochi minuti prima delle 11:00 (ore locali, le 10:00 in Italia. È la sua prima visita di Stato in Israele, e Bush ricorda di essere stato qui l'ultima volta solo dieci anni fa, quando era governatore del Texas: "Non vedevo l'ora di tornare", dice, visibilmente emozionato. Ad accoglierlo il presidente israeliano Shimon Peres e il premier Ehud Olmert. "Stati Uniti e Israele sono alleati forti. La fonte di questa forza è la fiducia condivisa nel potere della libertà umana - scandisce Bush nel suo primo discorso pronunciato appena sceso dall'Air Force One - . I nostri popoli hanno costruito in circostanze difficili due grandi democrazie. E l'alleanza tra le nostre due nazioni contribuisce a garantire la sicurezza di Israele come Stato ebraico". Per Olmert, il presidente americano è "il più forte alleato di Israele nella lotta al terrorismo", uno statista di "straordinario coraggio" e "mio amico personale e confidente". Un amico che punta sulla pace fra israeliani e palestinesi. E al tempo stesso, è un amico che farà di tutto per proteggere Israele dalla minaccia iraniana. "L'Iran non deve sottovalutare la determinazione di Israele a difendersi", avverte Peres. "L'Iran era, è, e sarà una minaccia alla pace mondiale se la Comunità internazionale non si unirà per impedire che quella nazione si doti delle conoscenze per costruire armi nucleari", sottolinea a sua volta Bush. E, alludendo ai propositi dichiarati del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad di cancellare lo Stato ebraico dalla faccia della terra, Bush aggiunge: "Un Paese che ha fatto le dichiarazioni come quelle fatte riguardo al nostro amico Israele è un Paese che deve essere preso sul serio e la Comunità internazionale deve capire bene quale minaccia rappresenta l'Iran alla pace mondiale". Le parole del presidente Usa rassicurano Israele. Olmert afferma "di uscire questa sera incoraggiato e rafforzato dalla posizione espressa dal presidente George W. Bush" a proposito dell'Iran. Questo Paese, rimarca Olmert in una conferenza stampa al termine del suo incontro con Bush a Gerusalemme, è stato al centro di un "colloquio approfondito" con il presidente americano nel corso del quale i due leader si sono scambiati le informazioni in loro possesso sul programma nucleare e hanno discusso "la questione in tutti i suoi aspetti". Rispondendo durante la conferenza stampa ad una domanda sull'incidente di domenica tra unità navali dei due Paesi nel pressi dello Stretto di Hormuz, Bush taglia corto: "Il mio consiglio agli iraniani è semplice: non fatelo più". E avverte: "Tutte le opzioni sono sul tavolo per difendere i nostri interessi". Ma in Terra Santa, George W.Bush vuol essere portatore di speranza. La speranza della pace tra israeliani e palestinesi. Una pace che "potrebbe avverarsi entro la fine del mio mandato", e cioè entro il 2008, dice il presidente Usa. Ed è per questo pronto a fare pressioni sulle parti affinchè si arrivi a questo storico risultato. "Se ci sarà bisogno di una piccola pressione, provvederò". A Bush non sfuggono i tanti ostacoli che intasano il cammino negoziale. Tra questi, gli insediamenti. In conferenza stampa, il capo della Casa Bianca afferma senza mezzi termini che Israele deve rimuovere gli insediamenti illegali costruiti in Cisgiordania: "Devono essere rimossi... ne parliamo ormai da quattro anni". Ma sul futuro delle colonie, restano differenze di posizione tra Usa e Israele. Lo status di Gerusalemme per quanto riguarda gli insediamenti è diverso da quello dei Territori, e questa posizione israeliana è stata espressa con chiarezza, dice Olmert parlando con i giornalisti al termine del suo incontro con Bush. L'altro ieri tuttavia la segretaria di Stato americana Condoleezza Rice in un'intervista concessa alla stampa israeliana, si era mostrata di tutt'altro parere: "Gli Stati Uniti hanno chiarito da tempo - aveva affermato - che fra gli insediamenti nei Territori e quelli a Gerusalemme est, non esiste alcuna differenza. In particolare noi ci siamo espressi contro Har Roma sin dall'inizio". Quando Olmert ieri sera ha invece sostenuto il contrario, il presidente americano che era al suo fianco ha reagito solo con un lieve sorriso. In sala ad ascoltare c'era anche Condoleezza Rice che si è mostrata imperturbabile. Oggi altra tappa cruciale del viaggio mediorientale del presidente Usa: la prima volta di Bush in Cisgiordania, dove incontrerà il presidente palestinese Abu Mazen, "un leader seriamente intenzionato a promuovere la pace". "La mia prima domanda sarà: cosa intendi fare per impedire il lancio di missili contro Israele?", anticipa Bush. E poi "gli chiederò cosa possiamo fare per aiutarlo" a fermare i terroristi. Il territorio palestinese, sottolinea il presidente Usa, "non può essere un rifugio sicuro per i terroristi e per quanti vogliono distruggere Israele".


Per Hamas l'attacco a Teheran sarebbe atto di guerra (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unita, L'" del 10-01-2008)

 

Stai consultando l'edizione del MAHMOUD AL ZAHARL'ex ministro degli Esteri del movimento integralista a Gaza: per noi il presidente Usa è ospite sgradito "Per Hamas l'attacco a Teheran sarebbe atto di guerra" di Umberto De Giovannangeli Mentre Ramallah si appresta a ricevere la visita di George W.Bush, Gaza manifesta la sua ostilità verso il presidente americano. Gaza, ovvero Hamas: assieme all'Iran, il convitato di pietra della missione mediorientale del capo della Casa Bianca. Mahmoud al Zahar, 58 anni, già ministro degli Esteri del governo Hamas, è l'incontestato leader dell'ala oltranzista del movimento islamico palestinese: è lui, oggi, l'"uomo-forte" di Gaza. "Tutti coloro che ripongono molte speranze nella visita di Bush - afferma al Zahar - resteranno delusi". Cosa rappresenta per Hamas George W.Bush che oggi incontrerà a Ramallah il presidente dell'Anp Abu Mazen? "Rappresenta un ospite sgradito. La sua visita serve solo a garantire il sostegno militare, politico e morale all'occupazione e a Olmert, e a rafforzare le spaccature tra palestinesi. Dopo la sua visita, Israele si sentirà ancor più legittimato a proseguire con l'assedio a Gaza,con le uccisioni, gli arresti arbitrari, l'occupazione" . Ma il presidente americano ha ribadito il suo impegno per la realizzazione di una pace fondata su due Stati. "E quale sarebbe per il signor Bush lo "Stato" di Palestina? A deciderne le dimensioni, i caratteri, l'autonomia è sempre e solo Israele. Il signor Bush è pronto a chiamare "Stato" i bantustan realizzati dagli israeliani: frammenti di territorio circondati dalle colonie. Noi diciamo al signor Bush: non è questa la Palestina per la quale ci battiamo. E se volesse davvero essere credibile agli occhi dei palestinesi, allora si adoperi per fermare i massacri perpetrati dagli israeliani. Ma lui non lo farà mai". Gli Stati Uniti sostengono l'Anp e considerano Hamas una organizzazione terroristica. "Questa è la loro concezione della democrazia! Avevano chiesto libere elezioni nei Territori, queste elezioni si sono tenute e hanno visto il successo di Hamas. Ma quel responso non poteva essere accettato da chi si illudeva che il popolo palestinese avrebbe sostenuto le forze della corruzione e del cedimento a Israele. Contro un governo legittimo, contro un parlamento eletto dal popolo, è stato praticato l'embargo e sono state applicate punizioni collettive che durano da due anni. Per la prima volta nella storia a essere sanzionato è un popolo sotto occupazione. Ma hanno fatto male i loro calcoli: Hamas ha mantenuto e rafforzato i suoi legami con il popolo palestinese del quale è parte fondamentale. Ma questo al signor Bush non interessa: per lui chiunque si oppone all'espansionismo sionista e lotta per i propri diritti è da considerare un criminale, e qualunque organizzazione pratichi il diritto di resistenza è un gruppo terrorista. Per Bush gli unici arabi accettabili sono quelli che sostengono gli interessi americani, e poco importa se questi personaggi sono screditati agli occhi dei loro popoli". Cosa significherebbe per Hamas un attacco americano all'Iran? "Sarebbe un atto di guerra non solo contro uno Stato sovrano ma contro tutti quei movimenti e quei popoli che in Medio Oriente si battono per veder riconosciuti i propri diritti e per contrastare la politica dei due pesi e due misure imposta dagli stati Uniti nella regione. Un attacco all'Iran rafforzerebbe il dominio americano in Medio Oriente e verrebbe visto da Israele come un via libera per regolare i conti con il popolo palestinese e le forze della resistenza. L'Iran ha sempre sostenuto con generosità la causa palestinese. Attaccare l'Iran è anche un modo per colpire la resistenza palestinese, per indebolire il fronte che si oppone alle politiche espansioniste di Stati Uniti e Israele. Nessuno può chiedere ad Hamas di chiudere gli occhi di fronte a un attacco militare all'Iran. Un attacco all'Iran finirebbe per ottenere il risultato opposto a quello teorizzato dai falchi del Pentagono: invece che un Medio Oriente "pacificato", gli americani e i loro alleati si troverebbero un Medio Oriente infuocato". Bush intende rafforzare le speranze emerse dalla Conferenza di Annapolis. "E quali sarebbero queste speranze? E chi le nutrirebbe? Quella di Annapolis è stata una pseudoconferenza di pace imposta da Bush per sostenere Olmert dopo la disfatta israeliana in Libano. Hamas non si unirà mai al coro di quanti intendono avallare la pax americana declamata ad Annapolis e ribadita oggi dal signor Bush, o spacciare per pace le pseudo-concessioni di Israele. Ma non è vero che Hamas pensa solo alle armi...". E a cos'altro? "In passato abbiamo anche avanzato la proposta di una "hudna" (tregua, n.d.r.) con Israele, a patto che Israele ponesse fine agli assassini mirati, liberasse i prigionieri palestinesi detenuti nelle sue carceri e ripiegasse sui confini del 1967. La risposta è l'assedio di Gaza, sono le punizioni collettive, le uccisioni di dirigenti e militanti dell'Intifada, la confisca delle terre palestinesi, la costruzione del Muro dell'apartheid in Cisgiordania. In queste condizioni, parlare di pace non ha senso".


Bush punta tutto sulla pace (sezione: Israele/Palestina)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 10-01-2008)

 

Esteri Pagina 109 Medioriente. Il presidente incontra Olmert. Hamas spara razzi Bush punta tutto sulla pace Medioriente.. Il presidente incontra Olmert. Hamas spara razzi Intanto minaccia l'Iran: non scherzate con fuoco --> Intanto minaccia l'Iran: non scherzate con fuoco GERUSALEMME È giunto in Israele per cogliere la "opportunità storica" di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Ma il presidente americano George W. Bush, nel primo giorno del suo ambizioso viaggio in Medio Oriente, si ritrova ad agitare la sciabola nei confronti dell'Iran, ammonendo Teheran, dopo l'incidente di domenica nello Stretto di Hormuz, che vi saranno "serie conseguenze" in caso di nuove provocazioni contro le navi Usa . "L'Iran continua ad essere una minaccia per la pace mondiale - afferma Bush -. Il mio consiglio a Teheran è di non continuare in questi attacchi provocatori: non fatelo più". La gamma delle "serie conseguenze" non è precisata ma Bush sottolinea che "tutte le opzioni" sono sul tavolo. Poco prima la Casa Bianca aveva già ammonito l'Iran "a non scherzare col fuoco". Lo scopo principale della visita, la prima di Bush in Israele da presidente, rischia quasi di passare in secondo piano. Anche se l'inquilino della Casa Bianca ha spiegato che esiste una "opportunità storica" per arrivare ad un accordo di pace e per "diffondere la libertà in Medio Oriente". Al suo fianco il premier Olmert ribadisce che Israele "non deve perdere questa opportunità". Ma esistono dei limiti ben precisi, mette in risalto Olmert: non possono essere tollerati lanci di razzi da parte di Hamas, dalla striscia di Gaza, contro israeliani innocenti. "Non ci sarà pace finché il terrorismo non cesserà - ha detto Olmert -. Finché continuerà il terrorismo a Gaza sarà difficile giungere ad un accordo con i palestinesi". Razzi sono partiti in serie anche ieri dai territori di Hamas. La reazione israeliana è stata immediata con una rappresaglia militare che ha provocato la morte di tre persone, fra cui due civili. Oggi il presidente Bush si reca in Cisgiordania per incontrare a Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen. "Discuterò con lui il problema di questi attacchi terroristici", ha detto Bush.


Bush in israele "l'iran minaccia la pace mondiale" - flores d'arcais e stabile alle pagine 12 e 13 (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

 

I razzi di Hamas fanno saltare l'agenda del presidente Usa Bush in Israele "L'Iran minaccia la pace mondiale" FLORES D'ARCAIS E STABILE ALLE PAGINE 12 E 13.


Storia e pericoli del nemico rosso venuto dall'asia - giuseppe barbera (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

 

Pagina X - Palermo Storia e pericoli del nemico rosso venuto dall'Asia Il lungo viaggio del punteruolo fino alla Sicilia dove sta sterminando le piante GIUSEPPE BARBERA (segue dalla prima di cronaca) Fino a non molto tempo fa la fonte proteica di questo punteruolo che sta sterminando le palme di Palermo, eliminava, deliziosa alternativa, anche gli indubbi incomodi del cannibalismo. Quando poi, come in Thailandia, in Malesia, nelle Filippine e in Indonesia ha preso spazio la coltura industriale della palma da olio, della palma da cocco o della palma del sago (che fornisce una farina ricca di amido simile alla manioca) si è imposta un'altra fondante legge ecologica. Quella che insegna che dove c'è ricchezza di specie e alta biodiversità c'è complessità e quindi stabilità, ma dove al contrario si impone la monocoltura, i cicli vitali della materia e dell'energia si interrompono, saltano gli equilibri tra le popolazioni di piante e di animali, gli ecosistemi si indeboliscono. Gli organismi più forti, i più adatti alle nuove circostanze, prendono il sopravvento. Ed ecco un nuovo pericolo per la delicata coesistenza dell'uomo e del pianeta che lo ospita: gli spazi delle monocolture tropicali, con il loro carico di pesticidi che uccide i naturali nemici dell'insetto letale e di erbicidi che seccano le erbe e i cespugli dove questi avrebbero potuto rifugiarsi, divengono stretti. Rosso per il colore ferruginoso e come ogni pericolo di cui si ha vero timore non conosce confini, il punteruolo li supera facilmente e nei nuovi ambienti, non frenato da nemici naturali, si diffonde a grande velocità. "Ecco s'avanza uno strano soldato/ vien dall'Oriente, non monta destrier/ è la guardia rossa che marcia alla riscossa?.". Le paure del mondo occidentale assumono oggi, anche con il Punteruolo che uccide le palme della nostra città, il volto degli squilibri ecologici, dei disastri annunciati, di nature aliene provenienti da ambienti sconvolti dal modello di vita egoista che ha ovunque esportato. Il Punteruolo, poderoso e aggressivo, temibile già dall'aspetto per il lungo rostro che usa per scavare, membro della più numerosa famiglia del regno animale (i Curculionidi, 400.000 specie fino adesso individuate), avanza verso occidente, nei climi temperati, approfittando della resistenza al freddo che i cambiamenti climatici rendono comunque meno rigoroso e selettivo. Nelle regioni aride non avrebbe trovato le palme tropicali ma, non meno appetibili, le diffusissime Phoenix. La palma da datteri innanzitutto, la pianta che ha accompagnato la storia dell'uomo fin dai tempi più antichi, e la palma delle Canarie che nelle boscaglie delle isole atlantiche dopo le glaciazioni si è differenziata dalla sua parente africana per una maggiore adattabilità al clima più fresco e ai suoli più umidi, rinunciando però alla capacità di produrre frutti squisiti e nutrienti e restando così confinata al rango, importante ma comunque inferiore, delle palme esclusivamente ornamentali. Presto qualificato come una pest, nei primi anni Ottanta è presente nelle regioni del Golfo, nel 1987 arriva in Arabia, nel 1992 è in Iran e poi in Egitto, in Palestina e in Israele. L'anno dopo è in Spagna e nel 2004 in Italia dove sbarca nascosto nelle palme di un vivaista di Pistoia che aveva importato piccole piante dall'Egitto da acclimatare, far crescere e poi rivendere a caro prezzo. La bramosia dei proprietari di giardini che acquistano grandi ma fragili palme già adulte per il loro "verde a pronto effetto", rimanda a un'altra regola dell'ecologia, quella che impone tempi lenti all'evoluzione biologica e che l'uomo dovrebbe rispettare quando, nei suoi sistemi artificiali e tecnologici, contravviene al dolce imperativo della pazienza, la prima virtù dei giardinieri e degli agricoltori. L'invasore rosso, clandestino nei covi scavati negli stipiti delle palme, è trasportato lungo tutta l'Italia dal commercio delle palme o dai piccoli balzi alati non più lunghi di 1,5 chilometri degli adulti discreti volatori; nel 2005 è in Sicilia e quindi in veloce diffusione verso il Nord, arriva in Campania, in Lazio, torna in Toscana ed è infine anche in Liguria. I danni che provoca la sua voracità sono molto gravi. Le piante collassano improvvisamente, le chiome appassite si afflosciano come ombrelli richiusi. In Egitto molte oasi sono state seriamente minacciate fino all'estinzione, ma la palma da datteri ha, per fortuna sua e dei suoi coltivatori, la caratteristica di emettere polloni, cioè nuovi germogli dalla base dello stipite. Su di essi, forse perché più gustosi e teneri, l'insetto si insedia più facilmente ma non porta alla morte certa della pianta e permette all'uomo un più facile avvistamento e un'efficace eliminazione dei polloni infestati. Lo stesso non succede alla palma delle Canarie che cresce su un unico stipite e che in Sicilia è, almeno finora, l'ospite preferito e più appetibile alla voracità ininterrotta delle larve nate dalle oltre 250 uova che un singolo adulto può deporre alla base o all'inserzione delle foglie o in un apposito buco scavato con il rostro e chiuso da un impasto di saliva. Si è stimato che da una coppia di punteruoli in sole 4 generazioni possano teoricamente discendere 53 milioni di individui. La minaccia per il paesaggio mediterraneo è grande e si teme anche per le palme da datteri, così eleganti per lo stipite filiforme, e per le palme nane, le sole che vivono spontanee nella natura siciliana. Si passano in rassegna metodi e strategie di lotta, tornano utili decenni di esperienze e di paure nella lotta contro i nemici naturali delle piante. La prima strada che viene seguita è la più facile e scontata, quella dei pesticidi chimici che avvelenano gli invasori biologici. Fallita la speranza che poche palline di naftalina siano sufficienti a tenerli lontani si è provato con principi attivi di ogni tipo e in ogni forma. Bombe chimiche, distribuite con irrorazioni sulle foglie o alla base dello stipite o con iniezioni in endoterapia. Anche i gas letali emessi dal fosfuro di alluminio sono stati testati. Sono gli agenti chimici, le armi letali di una guerra che di fronte ai pericoli dell'invasione aliena non conosce ostacoli. Muoiano pure gli altri insetti benefici, muoiano gli uccelli e i rettili, si isterilisca il suolo e si avvelenino le falde acquifere. Tornano gli anni delle "primavere silenziose" e dei veleni nei giardini e nelle campagne. Ma i risultati sono scarsi, il punteruolo, sicuro nel rifugio dello stipite e pronto a volare lontano, sopravvive. Si capisce che per avere successo, per frenarlo, bisogna accorgersi in tempo della sua presenza, si capisce che la prevenzione è necessaria. E, finalmente, allo stragismo della lotta chimica subentra l'intelligenza della natura e delle tecnologie dolci. Una sonda acustica consente di ascoltare il poderoso e rumoroso lavorio delle mandibole delle fameliche larve fin dall'inizio dell'infestazione, in tempo utile a sopprimere la palma malata e a impedire che diventi un covo di nuovi aggressori. L'allarme lo lanciano anche le trappole a feromone appese allo stipite e riempite di quella sostanza che i maschi emettono per richiamare le femmine e che l'uomo ha sintetizzato in laboratorio. Le prime che arrivano in volo affogheranno prima dell'abbraccio nuziale in un liquido dolce e velenoso, ma serviranno a lanciare l'allarme. L'illusione sessuale funziona anche con la tecnica del maschio sterile. Bombardato in laboratorio dai raggi gamma sarà incapace di fecondare le femmine. I ricercatori del Peres Center of Peace, in Israele, hanno addirittura pensato di far ricorso ai cani Golden Retriever: li addestrano facendoli giocare con palline formate dalla rosura e dalla colatura delle piante colpite che contengono tracce odorose dell'invasore e poi li lanciano a caccia di palme malate. Risultati scarsi, finora, quelli dei pacifisti israeliani. Lotta preventiva, eradicazione, misure di quarantena ai confini sono, in effetti, seppure parzialmente, i soli mezzi efficaci. Si spera, nei laboratori e nei campi sperimentali, che anche la lotta biologica giunga presto a dare una mano. Che si affermi un diverso modo di contrapporsi ai nemici delle piante non aggredendoli con la chimica ma alleandosi con i loro nemici naturali, ricreando ecosistemi prossimi alla naturalità o, dove non è possibile, allevando in laboratori funghi, batteri, lieviti, virus, nematodi, insetti che, lanciati nei campi, possano contenere, se non eliminare, il Punteruolo mantenendo in vita e incrementando anzi la schiera dei suoi nemici naturali. Le palme, i paesaggi mediterranei, gli agricoltori delle oasi frenatori del deserto che avanza, i mangiatori di datteri zuccherosi e di dolcini orientali a base di datteri, mandorle e pistacchi, burro e miele, affidano alla lotta biologica le loro speranze. Sanno che, fosse dipeso da loro, si sarebbero rivolti fin dall'inizio ai benefici della biodiversità, ai suoi equilibri, alla sua capacità di sopportare e vincere gli invasori alieni.


Immondizia in prima pagina "è una vergogna per l'italia" - goffredo locatelli (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

 

Pagina VI - Napoli Immondizia in prima pagina "è una vergogna per l'Italia" Dagli arabi ai cinesi, Napoli è un disastro mondiale GOFFREDO LOCATELLI Da Pechino a New York, da Tel Aviv a Montevideo, le brutte immagini di Napoli e dintorni sono finite sulle prime pagine dei principali giornali del pianeta. Lo sconquasso dell'immondizia ha vanificato in pochi giorni i giudizi positivi sulla regione registrati nel secondo semestre del 2007. Dal giugno scorso un boom di articoli positivi aveva determinato una decisa inversione di tendenza rispetto ai primi mesi dell'anno. Al punto da far balzare la Campania al terzo posto (dopo Lazio e Veneto) nella classifica italiana delle mete più citate dalle principali testate internazionali. Era stata la stampa tedesca la più favorevole, seguita da quella americana, inglese, spagnola, francese e australiana. Ma la "Frankfuerter Allgemeine Zeitung", che a giugno scriveva "I paesaggi campani sono le migliori cartoline che esistano...", oggi invece titola: "Napoli puzza fino al cielo". E Dirk Schumer in un lungo reportage spiega: "Il caos da guerriglia urbana che Napoli sta offrendo al mondo mostra in scala ridotta un problema globale: tutti producono rifiuti ma nessuno vuole saperne del loro smaltimento. A questo dilemma si trova nel mondo civilizzato sempre un compromesso: con le discariche, gli inceneritori, la separazione e il riciclaggio dei rifiuti. Ma a Napoli non è così. Qui si ha da fare con una posizione speciale: qui l'azione pubblica è impossibile senza un compromesso con la criminalità organizzata. Questa constatazione è più tragica dello stesso ventre di Napoli, eppure è una città che ha dato al paese a più riprese dei grandi personaggi: il presidente Napolitano, il capitano della Nazionale di calcio Cannavaro, il teorico della democrazia Benedetto Croce, il maestro Riccardo Muti, il grande attore Tony Servillo, o il filosofo della comicità Totò. Ma i napoletani, che simpatizzano e dimostrano per la camorra, che bruciano l'immondizia e ritengono lo stato un nemico da saccheggiare, appartengono indissociabilmente alla nostra Europa...". In Finlandia i media locali hanno dato spazio alla crisi dell'immondizia di Napoli, ieri il maggior quotidiano finlandese, "Helsingin Sanomat", è uscito con un editoriale intitolato "Il caos dei rifiuti di Napoli è una vergogna per l'Italia". "Il colpevole maggiore è l'inerzia sia dell'amministrazione comunale che dei politici napoletani". Dal Belgio Alberto Bertoni, consigliere diplomatico dell'Ambasciata italiana a Bruxelles aggiunge: "Oggi tutti e tre i quotidiani che acquistiamo - "Le Soir", "La Libre Belgique" e l'"Echo" - hanno dedicato un articolo alla questione dei rifiuti in Campania". In Francia l'autorevole "Le Monde" ricorda che nove mesi fa l'Italia era stata già invitata a "mettere rapidamente ordine nella gestione dei suoi rifiuti con una decisione presa il 26 aprile scorso dalla Corte europea di giustizia. In quella occasione i giudici di Lussemburgo avevano dato ragione alla Commissione europea, che aveva iniziato nel 2003 una procedura d'infrazione contro l'Italia per il non rispetto di tre direttive concernenti la raccolta e il trattamento dei rifiuti". Decine di lettere a "Le Monde" vanno commentando i servizi su Napoli: "è assurdo come si possa lasciare una così bella città seppellire sotto tonnellate di rifiuti". E ancora: "Questa crisi è salutare, nel senso che essa ci ricorda che la nostra società dei consumi genera milioni di tonnellate di immondizia che si vorrebbe nascondere da qualche parte... Due miliardi di euro non sono stati sufficienti a risolvere il problema napoletano. Ma anche con 50 la situazione non cambierebbe di una virgola. Bisogna semplicemente chiedere un miracolo a San Gennaro, il solo che a Napoli può sgombrare i rifiuti. Ah, questi italiani... Ma dove sono finiti i tempi della grandezza di Roma, il suo rigore, il suo spirito di civismo e di progresso?". Scrive ancora "Le Monde": "Non è affatto un problema di discariche. è l'illustrazione tragica dello sfascio e del fallimento dello Stato italiano. Le montagne di immondizia simboleggiano il marciume dello stato, dei politici e dell'amministrazione del Paese. La corruzione, il non rispetto delle regole e delle leggi forgiano una mentalità di disincanto e spinge i cittadini di questo paese a un ultra edonismo. Essi, disincantati, si rifugiano nel calcio, nelle ninfette delle tv di Berlusconi e della Rai?". Anche i quotidiani e le reti televisive della Svizzera stanno dando risalto all'argomento. Tra i maggiori giornali "Il Corriere del Ticino" pubblica un commento di prima pagina intitolato: "Napoli, spazzatura e camorra". E la "Neue ZÜrcher Zeitung": "Neapel versinkt immer tiefer im Abfall" (e cioè "Napoli affonda sempre più nei rifiuti"). In Portogallo il quotidiano "Pubblico", uno dei principali del paese, titola: "Exército italiano intervém na guerra do lixo em Nàpoles". Traduzione: "L'esercito interviene nella guerra della spazzatura". E in Ungheria, il "Magyar Nemzet" di Budapest: "La guerra dei rifiuti ha devastato Napoli". Karl Turicchia dell'Ambasciata italiana di Stoccolma spiega che tutti i media svedesi seguono la vicenda dell'immondizia. Ecco alcuni esempi di ieri: sul "Dagens Nyheter" un articolo firmato dal corrispondente Peter Loewe, con un commento intitolato "Il trattamento dei rifiuti una fonte di reddito per la camorra". Sul "Svenska Dagbladet" un servizio della corrispondente Gunilla von Hall intitolato "Militari impiegati contro la montagna di rifiuti". "Napoli a fuoco" è il titolo dell'"Expressen". Il telegiornale "Rapport" della tv nazionale ha spiegato che da 14 anni "il trattamento dei rifiuti in Campania è definito un'emergenza, mentre le connivenze tra politici, imprese e camorra hanno trasformato il trattamento dei rifiuti in una grande fonte di lucro". Negli Stati Uniti giornali e televisioni stanno bombardando da una settimana con le notizie da Napoli. "La sporca realtà dell'Italia meridionale", titola Gabriel Kahn sul "Wall Street Journal". Che scrive: "Le montagne di spazzatura accumulate per le strade di Napoli sono illuminanti della sgradevole realtà del Sud: la combinazione di uno Stato debole e di una potente criminalità organizzata. La situazione di Napoli ha evidenziato l'incapacità del governo di affrontare anche i più elementari problemi urbani". Tracy Wilkinson, sul "Los Angeles Times", attacca il suo articolo così: "L'odore che si respira a Pianura è un incrocio tra uova marce, pelle bruciata e animali morti. La gente cerca di non respirare profondamente e di mantenere i bambini all'interno delle case. Peggio della puzza delle fogne... Centomila tonnellate di immondizia marcisce ai lati delle strade avvelenando l'aria e imbarazzato il governo italiano se la prende con la camorra. A Napoli, che già prima era una città caotica, in questi ultimi giorni regna addirittura l'anarchia. Hanno impiccato i loro leader locali in effigie, appendendo manichini ai lampioni...". Il "New York Times", che nell'agosto scorso aveva scoperto a Napoli (via Loggia di Genova), "uno dei migliori ristoranti del mondo", stavolta ha messo l'emergenza rifiuti in prima pagina con la foto di una mamma con passeggino tra la spazzatura. Un lungo servizio attribuisce a politica e camorra le responsabilità per la situazione e dà spazio all'ira dei napoletani. Si sottolinea, inoltre, come gli interventi di emergenza degli ultimi giorni abbiano reso meno tesa la situazione, ma viene evidenziato come manchi una soluzione di lungo termine e resti il pericolo di nuovi disordini. Dall'altra parte del mondo, a Pechino, la vicenda spazzatura viene seguita e aggiornata quotidianamente dall'"Agenzia Nuova Cina", che invia a tutti i giornali cinesi dettagliati servizi e fotografie (troneggiano quelle degli autobus dati alle fiamme). Va un po' meglio in Australia, dove Roberto Mengoni, consigliere dell'ambasciata italiana a Canberra, dice: "Per fortuna la stampa australiana non ha dato molto risalto alla notizia della guerra dell'immondizia della Campania, ma dubito che resteranno indifferenti per molto, se la situazione non migliora". Anche in America Latina Napoli è in vetrina. "El Pais" di Montevideo (Uruguay) pubblica un reportage dal titolo "Napoli brucia sotto una montagna di spazzatura"; con foto e lunga storia dove dipinge in malo modo la città e i napoletani, compreso Bassolino. "La Nacion" di Costarica scrive: "100 mila tonnellate di rifiuti si accumulano nelle strade". La "Tv Univision": "Enfrentamientos en Napoles por basurero....se oponen a reapertura de tiraderos...". La "Nacion" di Buenos Aires titola: "Enfierno en Napoles por la basura accumulata", con grandi foto in prima pagina e commento. La "TV azteca": "Enera tension reapertura de basurero en Napoles...". Insomma tutti contro i napoletani che osteggiano l'apertura della discarica. In Brasile i tre principali quotidiani ("O Globo", "Folha de SÃo Paulo" e "Estado de SÃo Paulo") hanno pubblicato articoli sulla questione. Il "Folha" cita lo scrittore Roberto Saviano e le analisi dell'OMS che mostrano come in vari comuni della regione la percentuale di mortalità è maggiore che nel resto del Paese e ciò a causa della contaminazione delle acque provocata dagli sversamenti illegali. "Lo stato italiano ha speso più di un miliardo di euro e ha nominato 8 commissari per gestire la crisi senza che la situazione sia migliorata". "O Globo" scrive che per trovare una soluzione alla crisi il governo dovrà affrontare la camorra che ha trasformato la spazzatura in un affare altamente lucrativo." Il corrispondente della "BBC" in Italia, Christian Fraser, sta diffondendo informazioni riprese da catene di giornali e siti internet sull'emergenza napoletana: "è un problema che si protrae da circa 15 anni per il quale il governo ha speso invano 2,9 miliardi di dollari". La ricerca di una soluzione, ha detto Fraser, conduce "inevitabilmente ad un compromesso con la camorra, per la quale la raccolta dei rifiuti è molto redditizia per la camorra". Anche nei paesi arabi è arrivata con forza la puzza dell'immondizia napoletana. Spiega a "Repubblica" l'ambasciatore italiano in Qatar, Giuseppe Buccino, originario di Napoli: "Purtroppo questa volta qualcosa è arrivato fin qua. A cominciare da "Al Jazeera": non solo il canale in lingua araba ma anche quello in inglese ha dato rilievo alla questione. Oggi sulla stampa locale in lingua inglese ("Gulf Times") compare una brutta vignetta, che vi mando in visione. Insomma, a differenza che in passato, questa volta il danno di immagine per Napoli e per tutto il Paese è notevole...". In Israele, dove hanno problemi ben più gravi a cui pensare, Ilana Ostermann dell'Ambasciata italiana a Tel Aviv racconta: "Gli organi di stampa locali hanno riferito notizie sulle vicende dell'immondizia a Napoli e in Campania, senza però aggiungere commenti sull'argomento. Articoli sono stati pubblicati dai principali quotidiani israeliani: da "Yediot Aharonot" a "Maariv" ed "Haaretz", e da siti internet quali "Ynet" ed "Haaretz"". L'unica nota confortante arriva per fortuna da Hanoi: "Vi confermo che in Vietnam le notizie relative all'immondizia a Napoli non hanno avuto alcuna eco sulla stampa locale". Firmato: Simone Landini, primo segretario capo dell'Ambasciata d'Italia ad Hanoi.


"la pace? nessuna svolta in vista" - mila rathaus (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

 

Parla il politologo Yossi Alpher: "Gli obiettivi della Casa Bianca sono poco ambiziosi" "La pace? Nessuna svolta in vista" Lo scopo non è più risolvere il conflitto ma solo definire i contorni di un futuro Stato MILA RATHAUS GERUSALEMME - Yossi Alpher, politologo, ex direttore del Centro Jaffee di Studi Strategici e consulente di Ehud Barak, oggi a capo dell'organizzazione israelo-palestinese Bitterlemons, è pessimista sulle prospettive di pace e i risultati della visita del presidente americano. Bush farà pressioni su Olmert perché il governo israeliano cominci ad applicare la sua parte della Road Map, smantellando gli avamposti illegali nei territori? "No, ha già relegato il monitoraggio di questa fase ad una commissione. In un'intervista ha detto: "Parlerò dell'espansione degli insediamenti israeliani e di come ciò rappresenti... un ostacolo al successo [dei negoziati]". Questo è il massimo delle pressioni che farà su Olmert. D'altra parte, nemmeno dirà pubblicamente alla leadership palestinese di Ramallah, che i loro sforzi di arrivare ad una pace non approderanno a nulla, finché non troveranno il modo di riformare Al Fatah e di ristabilire la loro sovranità su Gaza, ora controllata da Hamas". Quindi lei non ritiene che il presidente americano voglia fare uno sforzo reale per fare avanzare il processo di pace? "No. La sua visita, come il vertice di Annapolis che l'ha preceduta, non rappresenta una svolta nell'atteggiamento della sua amministrazione nei confronti del conflitto israelo-palestinese. Il suo obiettivo, in questo anno di presidenza, si è ridotto a "definire i contorni di uno Stato palestinese": decisamente meno ambizioso di una risoluzione del conflitto. Ma forse è meglio così, perché ogni intervento di Bush in Medio Oriente è finito male e in ogni caso, sia Olmert che Abu Mazen sono troppo deboli per riuscire a portare a buon fine il processo di pace. "Secondo indiscrezioni pubblicate dalla stampa israeliana, Olmert vuole sfruttare la visita di Bush per assicurarsi l'imprimatur americano alla propria idea di come sarà il futuro Stato palestinese, con ampie concessioni alle preoccupazioni di Israele per la sicurezza, compreso il controllo della Valle del Giordano e dei blocchi di insediamenti. Vuole, insomma, rafforzare la propria posizione negoziale nei confronti di Abu Mazen e migliorare la sua immagine presso il pubblico israeliano".


Il presidente usa parla di pace e minaccia l'iran (sezione: Israele/Palestina)

( da "Secolo XIX, Il" del 10-01-2008)

 

Il discorso nGerusalemme. È giunto in Israele per cogliere la "opportunità storica" di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Ma il presidente americano George W. Bush, nel primo giorno del suo ambizioso viaggio in Medio Oriente, agita la sciabola nei confronti dell'Iran, ammonendo Teheran, dopo l'incidente di domenica nello Stretto di Hormuz, che vi saranno "serie conseguenze" in caso di nuove provocazioni contro le navi Usa. "L'Iran continua ad essere una minaccia per la pace mondiale - afferma Bush nella conferenza stampa congiunta col premier israeliano Ehud Olmert -. Il mio consiglio a Teheran è di non continuare in questi attacchi provocatori: non fatelo più". La gamma delle "serie conseguenze" non è precisata, ma Bush sottolinea che "tutte le opzioni" sono sul tavolo. Poco prima la Casa Bianca aveva già ammonito l'Iran "a non scherzare col fuoco". Facendo sapere che erano pronte nuove sanzioni contro la brigata iraniana Qods per avere fomentato la violenza in Iraq. Lo scopo principale della visita, la prima di Bush in Israele da presidente, rischia quasi di passare in secondo piano. Anche se l'inquilino della Casa Bianca ha spiegato che esiste una "opportunità storica" per arrivare ad un accordo di pace e per "diffondere la libertà in Medio Oriente". Il premier Olmert ribadisce che Israele "non deve perdere questa opportunità" e afferma di essere disposto "a quelle difficili decisioni" inevitabilmente legate a un accordo di tale portata. Ma esistono dei limiti ben precisi, mette in risalto Olmert: non possono essere tollerati lanci di razzi da parte di Hamas, dalla striscia di Gaza, contro israeliani innocenti. "Non ci sarà pace finché il terrorismo non cesserà - dice Olmert -. Finché continuerà il terrorismo a Gaza sarà difficile giungere ad un accordo con i palestinesi". Razzi sono partiti in serie anche oggi dai territori di Hamas. La reazione israeliana è stata immediata con una rappresaglia militare che ha provocato la morte di 3 persone, fra cui 2 civili. Oggi Bush si reca in Cisgiordania per incontrare a Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen. "Discuterò con lui il problema di questi attacchi terroristici", dice Bush, "deve essere chiaro che non saranno tollerati dai loro territori rifugi per i terroristi". Nel suo primo commento, appena giunto in Israele, Bush aveva affermato che l'alleanza tra Stati Uniti e Israele garantisce sicurezza al paese come "stato ebraico". È una espressione respinta dai palestinesi perché chiude di fatto la porta ad un ritorno dei profughi palestinesi costretti ad evacuare la regione quando venne creato Israele: 4 milioni di persone che rappresentano uno dei maggiori problemi da risolvere tra le due parti. Hamas ha reagito : "Questo equivale a stabilire un regime di apartheid nella nostra regione ai danni della popolazione palestinese". A Gaza alcune migliaia di attivisti di Hamas hanno manifestato sventolando immagini di Bush ritratto come un vampiro che succhia sangue musulmano. A Gerusalemme sono stati dislocati dalle autorità di Tel Aviv oltre 10 mila agenti per proteggere la sicurezza di Bush. Bush ha fatto impegnare Olmert e Abu Mazen a fare tutto il possibile per raggiungere uno storico accordo di pace "entro il 2008". Ma esiste molto scetticismo in Medio Oriente sulla possibilità che questa promessa possa tradursi in realtà. Cristiano del Riccio (Ansa) 10/01/2008.


Bush, prima volta in israele "l'iran è una minaccia per tutti" - alberto flores d'arcais (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

 

Bush, prima volta in Israele "L'Iran è una minaccia per tutti" Misure di sicurezza straordinarie a Gerusalemme e oggi a Ramallah Il presidente Usa a Olmert: pronti a fermare i terroristi Il nodo dei coloni. Rice: non c'è differenza tra Territori e Gerusalemme George W. vorrebbe lasciare la Casa Bianca almeno con un successo ALBERTO FLORES D'ARCAIS dal nostro inviato GERUSALEMME - "Se l'Iran attaccherà navi americane vi saranno gravi conseguenze". Giunto (per la prima volta da presidente) in Israele - tappa d'esordio di un viaggio che per otto giorni lo porterà anche nei paesi del Golfo, in Arabia Saudita ed Egitto - George W. Bush ha voluto lanciare proprio da Gerusalemme, la capitale (mai riconosciuta ufficialmente) dello Stato che ayatollah e pasdaran di Teheran vorrebbero far scomparire dalle mappe del pianeta, un duro messaggio agli iraniani. Dopo l'incidente avvenuto domenica scorsa nello stretto di Hormuz - di cui il Pentagono ha rilasciato un video, definito "falso" da Teheran - il presidente americano ha precisato che in caso di una nuova provocazione da parte della flotta iraniana "tutte le opzioni sono sul tavolo"; poi, rispondendo alla domanda di un giornalista israeliano, ha aggiunto: "il mio consiglio agli iraniani è semplice: non fatelo più". Nel primo giorno della visita del presidente Usa, il "caso Teheran" - l'Iran resta "una minaccia alla pace nel mondo", dice ancora Bush - finisce quasi per mettere in ombra la delicata questione del processo di pace avviato ad Annapolis e che dal tour mediorientale di Bush dovrebbe (stando agli auspici della Casa Bianca) trovare una nuova spinta propulsiva. Del resto a sollevare il tema iraniano era stato proprio un israeliano, il presidente Shimon Peres - un tempo considerato la colomba dello schieramento politico - che (insieme al premier Olmert) si era recato ieri mattina ad accogliere il leader americano all'aeroporto Ben Gurion: "La minaccia iraniana non va sottovalutata, occorre fermare la pazzia di Hamas, Hezbollah ed Iran". Un processo di pace che va a rilento ma su cui i leader di Usa e Israele puntano anche per motivi politici personali: con il primo ministro Olmert che da ogni accordo (anche parziale) può trovare nuova linfa per restare a capo di un governo perennemente traballante; e con Bush che vorrebbe lasciare la Casa Bianca alla fine dell'anno cancellando i disastri iracheni con un successo che sarebbe miracoloso: ponendo le basi perché la politica dei "due Stati" (uno israeliano e uno palestinese) in pace tra loro, diventi qualcosa di più reale di una semplice utopia. Ecco dunque Bush che - a dispetto dei razzi che da Gaza piombano in Israele in concomitanza con il suo arrivo - scorge "una nuova opportunità di pace qui in Terrasanta e di libertà in tutta la regione: sono venuto qui con grandi speranze e il ruolo degli Stati Uniti sarà quello di promuovere una visione di pace. Il ruolo della leadership israeliana e di quella palestinese è di fare il duro lavoro necessario per definire quella visione"; che chiede ad Israele di smantellare gli avamposti istituiti illegalmente dai coloni nei territori palestinesi ("devono essere rimossi, ne parliamo ormai da quattro anni") e che promette di affrontare con il presidente palestinese Abbas - che incontrerà questa mattina a Ramallah - la questione dei razzi lanciati contro Israele: "la mia prima domanda sarà: cosa intendi fare sulla questione del lancio di razzi Qassam contro Israele? E poi gli chiederò cosa possiamo fare per aiutarlo a fermare i terroristi". Il premier israeliano Ehud Olmert lo ha rassicurato: israeliani e palestinesi sono impegnati "molto seriamente" nei negoziati per arrivare alla creazione di due Stati che vivano in pace, fianco a fianco; "entrambe le parti, io credo, stanno cercando molto seriamente di fare progressi per realizzare questa visione". Promettendo che Israele farà la propria parte Olmert ha chiesto però che "anche i palestinesi rispettino i loro obblighi e mettano fine al terrorismo e non soltanto nella Striscia di Gaza". Per il premier israeliano è arrivato il momento per dare vita a uno Stato palestinese proprio perché "c'è un presidente americano così amico di Israele" e una leadership palestinese moderata: "Dico grazie a Dio che posso avviare negoziati diplomatici avendo Bush tra i miei partner. Grazie a Dio possiamo avviare colloqui diplomatici nel momento in cui la più grande potenze del mondo è guidata da un tale amico di Israele". Al di là delle dichiarazioni ufficiali resta però un certo scetticismo. A ricordare quanto la pace sia ancora lontana ci avevano del resto pensato sin dal mattino anche i principali giornali israeliani, che hanno accolto l'arrivo Bush con titoli piuttosto diversi: da quello di benvenuto ("Welcome, Mr. President") di Yediot Ahronot al più scettico Maariv ("Bush, elefante azzoppato, giunge a mani vuote"), fino alla provocazione del Jerusalem Post che in prima pagina spara una grande pubblicità a pagamento ("Presidente, come vi abbiamo perso?") e un titolo che ricorda come "mentre Bush arriva, esplode la crisi degli insediamenti". E proprio sugli insediamenti Olmert chiarisce che lo status di Gerusalemme è diverso da quello dei Territori, e questa posizione israeliana è stata espressa "con chiarezza". Punto di vista piuttosto differente da quello sostenuto dal Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice: "Gli Stati Uniti hanno chiarito da tempo che fra gli insediamenti nei Territori e quelli a Gerusalemme est, non esiste alcuna differenza".


Bush ospite sgradito in Medio Oriente (sezione: Israele/Palestina)

( da "Secolo XIX, Il" del 10-01-2008)

 

L'immagine degli usa ai minimi storici Secondo gli analisti "è ingenua l'illusione di farsi perdonare". Soltanto per Israele è un amico 10/01/2008 BEIRUT. La visita del presidente americano George W. Bush in Medio Oriente suscita una diffusa ostilità fra le popolazioni, perché molti lo considerano un guerrafondaio che persegue un'egemonia israelo-americana, e non la pace e la democrazia. Nelle strade è visto come colui che, invadendo l'Afghanistan e l'Iraq per portare "la guerra al terrorismo", ha provocato il caos e aiutato il reclutamento di al Qaeda. Molti lo identificano con gli abusi americani nella prigione di Abu Ghraib, in Iraq, e con le ingiustizie perpetrate nel centro di detenzione di Guantanamo. Le sue parole in favore della democrazia e dei diritti umani sono l'opposto del suo appoggio agli autocrati che governano Pakistan, Egitto, Arabia Saudita, e del boicottaggio di Hamas dopo che il gruppo armato islamista ha vinto le elezioni palestinesi del 2006. Secondo un sondaggio sulle attitudini globali condotto lo scorso anno dal Pew Research Center, un think-tank statunitense, "l'immagine americana nei Paesi islamici del Medio Oriente e dell'Asia è ai minimi storici". Pochi arabi o iraniani pensano che la prima visita ufficiale di Bush in Israele e nei Territori occupati possa portare a qualche significativo passo avanti nel processo di pace; molti invece dubitano che questo sia il suo scopo. "Non credo porterà a qualcosa" dice Diaa Rashwan, analista al Centro di studi politici e strategici al-Ahram del Cairo. "Bush ha avuto sette anni per cercare di risolvere i problemi di questa zona del mondo. Viene solo per dire arrivederci. Forse coltiva l'ingenua illusione che il viaggio possa migliorare la sua immagine e che la gente lo possa perdonare. Non andrà così". Molti israeliani considerano Bush come il miglior amico che il loro Paese abbia mai avuto alla casa Bianca. Non può sorprendere che gli arabi siano convinti che egli sia il peggior nemico dei palestinesi. "L'amministrazione americana è responsabile di aver appoggiato l'occupazione israeliana e le sue violazioni della legge internazionale. Questi fatti non spariranno dalla memoria di chi accoglierà il presidente Bush", ha scritto ieri il quotidiano siriano Tishreen. Bush incontrerà separatamente i leader di Israele e Anp per dare nuovo impulso ai colloqui iniziati in novembre alla conferenza di Annapolis. L'obiettivo è arrivare, entro l'anno, all'accordo per creare uno Stato palestinese. Ma prevale lo scetticismo. "Non mi sembra ci sia una nuova visione. Non mi sembra che su Annapolis si possa costruire qualcosa", dice Sulayman Awad Ibrahim, un analista del Gulf Research Centre di Dubai. "Se vuole entrare nei libri di storia nel suo ultimo anno come presidente, ci provi pure. Però già non è riuscito a Clinton" (L'ex presidente Bill Clinton provò a trovare un accordo quadro per il Medio Oriente nel 2000, alla fine del suo secono mandato, senza tuttavia riuscirvi, ndr). Dopo Annapolis, Israele ha presentato altri piani per allargare gli insediamenti in Cisgiordania e ha lanciato incursioni nella Striscia di Gaza per cercare di neutralizzare le basi dei militanti che da lì lanciano razzi in territorio israeliano. Questo ha preoccupato l'Autorità palestinese mentre Bush ha definito i nuovi insediamenti israeliani un "impedimento" ma non ha pubblicamente chiesto di sospenderli. "Non possiamo considerare la visita di Bush come una mossa in favore della pace", dice Abdel-Bari Atwan, direttore del quotidiano Al-Quds al-Arabi, basato a Londra. "È un uomo capace di fare la guerra, non la pace. Va in Medio Oriente per prepararne un'altra". Bush vuole assolutamente evitare che l'Iran possa costruire bombe nucleari e non ha escluso il ricorso all'opzione militare, anche se i servizi segreti americani il mese scorso hanno detto di essere "sufficientemente sicuri" che Teheran abbia "interrotto il suo programma nucleare militare" nel 2003. Il presidente americano cercherà l'appoggio arabo per contenere l'Iran quando il suo viaggio lo porterà nei Paesi del Golfo e in Egitto. Durante i suoi anni alla Casa Bianca, paradossalmente, l'influenza della Repubblica islamica sciita è cresciuta perché l'invasione dell'Afghanistan ha eliminato il regime dei Talebani e quella dell'Iraq ha fatto fuori Saddam Hussein, due dei principali nemici dei mullah, e in più a Baghdad si è installato un governo dominato dagli sciiti. Anche se Bush continua a sottolineare il pericolo costituito dall'Iran, l'eventualità di un'azione americana o di più pesanti sanzioni Onu contro Teheran è diminuita dopo la pubblicazione delle stime dei servizi segreti Usa. Questo può significare due cose. La prima: è improbabile che gli arabi possano rispondere positivamente agli inviti di Bush per costruire un asse contro l'Iran. La seconda: che la possibilità di un approccio più incline al dialogo fra Washington e Teheran, nel momento in cui alla Casa Bianca si sarà insediato il prossimo presidente americano, sia tutt'altro da escludere.Alistair Lyon (Reuters) 10/01/2008 la promessaAbu Mazen e Olmert invitati a raggiungere un accordo entro il 2008 10/01/2008.


Ma i razzi di hamas fanno saltare l'agenda - alberto stabile (sezione: Israele/Palestina)

( da "Repubblica, La" del 10-01-2008)

 

Ma i razzi di Hamas fanno saltare l'agenda Strade chiuse a auto e pedoni, cecchini sui tetti e negozi deserti per la visita ALBERTO STABILE dal nostro corrispondente gerusalemme - "Somewhere over the rainbow". Da qualche parte oltre l'arcobaleno, canta Adi Bar Lev, 13 anni, la piccola diva dai capelli rossi e i denti imprigionati dall'apparecchio, porgendo una rosa rossa per ciascuno ai due presidenti. E a George Bush, che forse non s'aspettava un'accoglienza così intima e calorosa come quella che gli riserva Shimon Peres nella prima tappa del suo viaggio in Medio Oriente, vengono i lucciconi. La scelta della canzone non poteva essere più deliziosamente inappropriata: ovunque ma non qui si realizzano i sogni, suggeriva Judy Garland, nel 1939, mentre il mondo si preparava alla guerra. E se nonostante lo "spirito di Annapolis" e le pacche sulle spalle tra Olmert ed Abu Mazen, la "navetta" di Condoleezza Rice e la generosità dei paesi donatori, cominciasse a serpeggiare il dubbio che 10-12 mesi sono un lasso di tempo troppo breve per una cosa così grande come la pace tra israeliani e palestinesi? Ma il refrain è dolce e la voce di Adi avvolgente e questo finirà con il diventare il logo di questa visita. La scena diciamolo francamente, non spinge all'ottimismo. Nonostante la sua anima austera, dura come la pietra di cui è fatta, Gerusalemme è città di suoni, di colori, di folle variegate. Di traffico, di affari, di politica e di preghiera. Ma oggi è deserta e triste come un suk in un giorno di chiusura, privata delle linfa della sua gente. La quale, saggiamente, piuttosto che imbattersi in strade chiuse anche ai pedoni, per non dire delle macchine, e posti di blocco a non finire, ha preferito restarsene a casa. Così, tutta l'area attorno all'Hotel King David sembra uno spazio alieno, l'anticamera silenziosa e asettica di un laboratorio speciale, il crogiolo di un bunker a cielo aperto. Eppure su questi marciapiede s'allineano i negozi del turismo: grandi gioiellieri e pataccari, gallerie raffinate e tappetari, autonoleggi e ristoratori. Oggi, invece, i negozianti se ne stanno mani nelle tasche ad osservare il cauto affannarsi di giovani in abito scuro e camicia bianca, con rossi distintivi all'occhiello e, qualcuno, col filo bianco di un auricolare che risale dal colletto della camicia. E' vero che non è più tempo di folle transennate e di bandierine nazionali affidate a scolaresche rese felici dalla insperata vacanza, e non c'è motivo di dubitare che la visita di Bush sarà, come dice l'analista di Haaretz, Daniel Ben Simon, "molto, molto calorosa", in un senso e nell'altro. Ma questi sentimenti d'amicizia verso quello che il premier Olmert ha definito "il più forte e fidato alleato d'Israele" verrà misurato soltanto attraverso il freddo termometro dei discorsi ufficiali e dei talk-show televisivi. Naturalmente, per il bene della sicurezza. L'obbligo di garantire la sicurezza di Bush pesa tutto su Israele, ma i pericoli riguardano soprattutto la parte palestinese verso cui vengono indirizzate le misure. E allora, per cominciare, chiusura totale dei Territori, fino a venerdì. Una sanzione indiscriminata e paradossale, se è vero che il presidente americano è venuto per spingere gli interlocutori recalcitranti ad andare avanti sulla via del negoziato. Non sono soltanto i tiratori scelti appostati sui tetti o l'aerostato che ondeggia sul cielo del King David a instillare scetticismo e sfiducia. Le formazioni armate palestinesi, gli esclusi da quello che non è mai stato e non sarà mai il banchetto della pace, ma è pur sempre meglio di un futuro di sangue e di guerra, gli intransigenti nemici del dialogo, le molte milizie fiorite a Gaza con e talvolta anche contro il volere di Hamas, hanno voluto dare a Bush un benvenuto alla maniera terroristica che praticano ormai come loro unica risorsa. Per tutto il giorno sono piovuti missili Kassam e colpi di mortaio su Sderot e sul Negev meridionale, contribuendo ad alterare sensibilmente l'agenda dei colloqui. Fino a spingere Olmert, apparso accanto a Bush ("il Satana", secondo la definizione di Hamas presa in prestito da Khomeini) ad ammonire: "Non ci sarà pace finchè non cesserà il terrorismo anche da Gaza". Un avvertimento che finisce con il richiamare l'invito lanciato dato da Shimon Peres in mattinata a fermare la "follia di Hamas e degli Hezbollah". Al di qua dell'arcobaleno, dunque, i sogni sembrano in pericolo. Di nemici del compromesso e della pace, l'uno essendo inseparabilmente legato all'altra, se ne trovano anche in Israele ed hanno colto l'occasione della presenza di Bush per farsi sentire. La polizia ha usato la mano forte contro un paio di coloni estremisti che appartengono ormai più al colore che alla storia. Ma altri hanno trovato modo di impiantare nella notte due avamposti illegali, uno vicino a Betlemme, l'altro vicino a Ramallah. Non basterà il tono un po' guascone di Bush, "the outposts, yeah, had to go!" (gli avamposti illegali, certo, devono andarsene) a spingere il governo israeliano a fare quello che in base alla Road Map avrebbe dovuto cominciare a fare già nel 2003. Oggi, i coloni estremisti che paventano il compromesso si daranno appuntamento a Piazza Zion, tradizionale ritrovo della destra. Ma Bush passerà parte della giornata a Ramallah, in visita al presidente Abu Mazen e forse Gerusalemme per un po' potrà respirare.


Non più solo soldati nelle nostre pellicole (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)

 

"Non più solo soldati nelle nostre pellicole" "In questi ultimi anni il cinema è rinato ma dopo un lungo periodo buio... Ora i cineasti hanno cominciato a guardarsi dentro, a raccontare al mondo le contraddizioni del loro paese, usando linguaggi nuovi, ma soprattutto facendo documentari". Incontro con il critico cinematografico Dan Muggia, direttore artistico del Kolno'a Festival 2007 e professore alla Sam Spiegel Film School di Gerusalemme Credevate davvero che l'Italia fosse l'unico paese dove il cinema e la cultu Chiara Organtini Roma "Ma credevate davvero che l'Italia fosse l'unico paese dove il cinema e la cultura in genere sono così bistrattati? Illusi". Ci riporta tutti con i piedi per terra Dan Muggia, critico cinematografico italo-israeliano nonché direttore artistico del Kolno'a Festival 2007, nota manifestazione sul cinema ebraico e israeliano appena conclusasi alla Casa del Cinema di Roma. "In realtà - spiega Muggia - anche Israele rientra nel gruppo dei paesi che non mette un soldo per la cultura". O almeno non ne mette abbastanza. Eppure il cinema israeliano sta vivendo un momento felice: molti film partecipano alla maggior parte dei festival internazionali e riescono ad aggiudicarsi notevoli riconoscimenti. Non a caso al Kolno'a Festival sono stati proiettati lungometraggi e documentari già premiati al Tribeca Festival e al Sundance. My father, My lord di David Volach, ne è un esempio... Nella lista dei documentari selezionati dall'Idfa, l'International Documentary Film Festival di Amsterdam, Israele è al quarto posto, dopo Stati uniti, Olanda e Francia. Certamente il cinema israeliano in questi ultimi anni è rinato ma dopo un lungo periodo buio... Nel corso degli anni '90 si erano tutti un po' stancati di vedere solo film sul conflitto israelo-palestinese; sembrava che i cineasti fossero capaci solo di realizzare pellicole di fiction o documentari in cui si parlava del conflitto. In un paese di 7 milioni di abitanti, nel 1999 nelle sale si strappavano solo 150mila biglietti e non c'era una vera e propria pluralità di pellicole, quelle che avevano successo (se di successo si può parlare con queste cifre!) erano poche, due o tre e magari americane, e da sole si spartivano questa piccola torta di incassi. E nonostante facessero film politici, quasi esclusivamente sul conflitto, in realtà i registi israeliani non realizzavano film di lotta. In questo modo finivano per non vedere ciò che stava realmente accadendo nel paese. L'Europa e l'America volevano vedere un film sul conflitto? Israele era sempre pronto a soddisfare questo desiderio. Poi è accaduto qualcosa. Hanno cominciato a "guardarsi dentro", a raccontare al mondo, ai loro connazionali, quel che è Israele, con tutti i suoi problemi sociali, economici; usando linguaggi nuovi, sfruttando la capacità di diffusione della commedia, ma soprattutto facendo documentari. E ora di soldati non ne vedi più tanti nelle nostre pellicole. Abbiamo risolto il conflitto? Nient'affatto. E così è iniziata l'era dei documentari... Israele è un paese molto giovane, ricco di contraddizioni e di grandi periferie. A parte Tel Aviv, grande centro dal punto di vista culturale, politico e economico, tutto quel che gli sta intorno è periferia. Ecco, i registi di non fiction hanno seguito proprio la scia di questi contrasti. Basti pensare a un documentario come Paper Dolls di Tomer Heymann, in cui si racconta della doppia o forse tripla vita di alcuni immigrati filippini in Israele, che durante la settimana sono badanti per gli anziani del quartiere ortodosso di Benei Beraq e poi nel weekend si trasformano in "bambole di cartapesta" che si esibiscono in spettacoli drag. Ma il "piccolo impero" dei documentari, come lei stesso lo ha definito, è stato favorito dall'aspetto economico? La ricchezza culturale a volte nasce in momenti di grande penuria economica... I registi che non sono più riusciti a fare film di finzione, o anche quelli che si sono accostati solo negli ultimi tempi alla cinematografia, hanno dovuto fare i conti con la mancanza di fondi per la fiction, per questo hanno ripiegato sui documentari. Poi hanno scoperto che anche su quel fronte li aspettava la stessa odissea... I fondi per i documentari infatti sono ancora più modesti! Però questo ha permesso loro di esprimersi in libertà senza avere il fiato sul collo dei produttori e i documentari, non essendo proiettati nelle sale ma alla televisione (in Israele ci sono solo due reti private e una pubblica!), non danno "problemi di botteghino". Quanto denaro pubblico viene destinato alla cinematografia in Israele e come viene distribuito? Molto poco, solo 10 milioni di euro. Il sistema di distribuzione di questi fondi è simile a quello anglosassone: vengono girati alle fondazioni per l'incoraggiamento del cinema, ce ne sono diverse: una per i documentari, una per i lungometraggi, un'altra per i tele-dramma e altre ancora; queste lottano tra loro per avere i finanziamenti, anche perché vengono assegnati in parti non necessariamente uguali. Poi le fondazioni premiano i progetti cinematografici più meritevoli. In questo modo i registi non si immettono in quel labirinto della politica e dei ministeri che tutti deprecano... E questo significa che c'è un organo "non politico" che si occupa di cinema. Ma non sussiste il rischio che si creino delle "strane vicinanze" tra il mondo delle fondazioni e quello della politica? Il proprietario di una delle catene più grandi di cinema in Israele - Lev Cinema - è anche direttore di una delle fondazioni. E si può immaginare che peso riesca ad avere... Tuttavia di solito c'è una certa trasparenza, ci si può ancora fidare. In Italia se non hai alle spalle una produzione navigata e non hai trascorsi di "grandi botteghini", puoi anche dimenticarti i soldi pubblici. In più se la Rai compra un documentario non è detto che lo mandi in onda, e comunque non lo comprerebbe per più del 40% del suo valore, mentre normalmente un documentario da 52-56 minuti (con poche citazioni d'archivio) costa in media almeno 60-80mila euro. Per i canali satellitari poi, il suo costo è ancora più basso. In Israele riesci a fare un buon documentario già con 90-100 mila dollari e i cineasti, che sono sempre attenti al pubblico mondiale, si avvalgono delle coproduzioni con la Finlandia, l'Inghilterra, gli Usa, e qualche italiano, come Stefano Talli e Giovanni Tamberi che hanno anche distribuito Souvenirs, proiettato al Kolno'a Festival. Ad ogni modo con la nuova legge del cinema israeliano i soldi concessi per i film rientrano al 50% tramite la vendita dei film stessi ai canali privati. Sembrerebbe un sistema più efficiente... In realtà se ti dicono che non hanno fatto incassi con le reti private, il tuo 50%, come regista e autore del film, sarà nullo. L'idea tuttavia rimane sempre molto affascinante e se funzionasse a dovere sarebbe molto buona. Allo stesso tempo questa legge non permette di avere dei fondi pubblici per più del 70% del budget, sia per i film che per i documentari. Prima era un bel 100%... E come si applica questo sistema nei confronti degli autori arabi, magari con cittadinanza israeliana, o con quelli palestinesi che vivono nei territori dello Stato di Israele? La possibilità di accedere a quei fondi c'è anche per loro. Badal, documentario che è arrivato anche al Kolno'a Festival, è di una regista araba, Ibtisam Mara'na, mentre la produzione è israeliana, eppure ha preso dei fondi pubblici. Paradise Now, uscito nel 2005, è un film di un regista palestinese, Hany Abu-Assad, e anche questo ha ottenuto dei fondi pubblici. L'importante per ottenere dei finanziamenti è che almeno il 50% della produzione sia israeliana. Purtroppo il punto è che sono in pochi, pochissimi a richiederli. Il soggetto di questa storia, sfortunatamente è ancora il conflitto.


Iran, Bush mostra i muscoli (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)

 

Il presidente americano a Gerusalemme: pronti a usare la forza, sanzioni per un generale di Tehran. E la Palestina quasi sparisce Michele Giorgio Gerusalemme È solida e strategica l'alleanza tra Stati Uniti e Israele, soprattutto quando si parla dell'Iran e del suo programma di produzione di energia nucleare. Il presidente americano non lo ha nascosto ieri nel primo dei tre giorni di visita nello Stato ebraico. Ha attaccato con veemenza Teheran e avvertito che Washington non esiterà a usare la forza per "difendere" i suoi interessi, in riferimento all'incidente di domenica scorsa nello stretto di Hormuz tra le forze navali dei due paesi. L'Iran ha descritto come un "falso" il filmato su Hormuz reso pubblico dagli americani e minimizzato l'accaduto ma gli Usa, annunciavano ieri dal Dipartimento di stato, faranno scattare sanzioni contro il generale Ahmed Foruzandeh, comandante delle forze iraniane di elite al-Qods e di alcuni iracheni rifugiati in Iran. Sanzioni che puntano al casus belli? In ogni caso le parole di fuoco pronunciate da Bush sono state musica per le orecchie del premier israeliano Ehud Olmert, che ha offerto all'alleato più stretto uno spettacolo fatto di fiori, danze, cori e festeggiamenti senza precedenti. Il presidente americano ha contraccambiato tanto affetto perdonando un agente segreto israeliano che negli anni '80 mise in pericolo la sicurezza degli Usa. Bush stasera inviterà al suo ricevimento anche Rafi Eitan che oltre vent'anni fa fece precipitare Israele e Usa in una rara crisi di rapporti, guidando una rete di spionaggio di cui fu protagonista Jonathan Pollard, un ufficiale dei servizi di intelligence della marina statunitense, che passò a Israele informazioni segrete di eccezionale importanza. E mentre Olmert e Bush tenevano il loro incontro a Gerusalemme, discutendo di Iran e "terrorismo", a Gaza due civili palestinesi, Khadra Wahdan e Mohammed Kafarna, venivano uccisi dall'esercito israeliano che ha colpito "per errore" la loro abitazione invece di una presunta base di attivisti armati. Un terzo palestinese è stato ammazzato a nord della Striscia. Ufficialmente volto a rilanciare il negoziato diretto israelo-palestinese, ripartito a fine novembre ad Annapolis, il viaggio di Bush in Israele e in sei paesi arabi si sta rivelando una missione anti-iraniana, in vista di un ulteriore inasprimento delle sanzioni contro Teheran e della preparazione di un attacco militare ritenuto da molti solo questione di tempo. Bush ieri non ha usato mezze parole. Ha detto con tono perentorio che gli Stati Uniti sono pronti a ogni soluzione pur di difendere gli interessi nazionali di fronte ad "atti ostili" di Teheran. "Tutte le opzioni sono sul tavolo per difendere i nostri interessi", ha affermato. D'altronde era stato un alto responsabile israeliano ad anticipare che i colloqui tra Bush e Olmert non avrebbero affrontato, se non di striscio, il negoziato israelo-palestinese ma sarebbero stati incentrati sulla crisi iraniana. "Riguarderanno principalmente l'Iran. Il primo ministro presenterà al presidente dei nuovi elementi raccolti dai servizi di intelligence israeliani dopo la diffusione del rapporto dei servizi americani", ha riferito il funzionario, confermando di fatto che la recente pubblicazione delle relazione delle principali agenzie di intelligence Usa - che ha ridimensionato la portata delle ambizioni nucleari di Teheran - ha rotto le uova nel paniere di chi a Washington e Tel Aviv preparava un attacco all'Iran. In Medio Oriente c'è piena consapevolezza dei reali obiettivi della missione di Bush e la stampa araba non ha mancato di sottolinearli. Il giornale panarabo Al Arab On-Line ha scritto che l'inquilino della Casa Bianca "viene per istigare gli arabi alla guerra all'Iran". "Bush si appresta a sparare la sua ultima cartuccia", è stato invece il commento di al Hayat che in una vignetta mostra Bush con in mano una colomba della pace gonfiata ad aria. In un'altra si vede il leader palestinese Abu Mazen andare a tutto gas su una moto senza ruote con la didascalia: "Sta partendo per le trattative". Stamani a Ramallah Bush vedrà proprio Abu Mazen, tra eccezionali misure di sicurezza e raduni di protesta. Il presidente palestinese vuole progressi reali al tavolo delle trattative ma Bush ha chiarito che gli Usa "faciliteranno" il negoziato e non proporranno soluzioni. Il "progetto di pace" che piace a Washington è quello israeliano. Il presidente Usa non è andato oltre il ripetere la sua richiesta di rimozione degli avamposti colonici israeliani in Cisgiordania, senza però mettere sotto pressione Olmert.


Fiera del libro, arriva Israele. Pacifisti pronti al boicottaggio (sezione: Israele/Palestina)

( da "Manifesto, Il" del 10-01-2008)

 

Tel Aviv ospite della rassegna letteraria torinese. I gruppi di solidarietà con la Palestina: ci batteremo contro la normalizzazione dell'occupazione Fiera del libro, arriva Israele. Pacifisti pronti al boicottaggio 60 anni dalla Nakba "Non compreremo volumi delle case editrici che, partecipando, saranno complici della violazione dei diritti dei palestinesi" Michelangelo Cocco La Fiera internazionale del libro di Torino, in programma dall'8 al 12 maggio prossimi nel capoluogo piemontese, finisce nel mirino dei gruppi di solidarietà con la Palestina. Nel 60° anniversario della fondazione dello Stato ebraico, che per i palestinesi significò la nakba (catastrofe), la distruzione di circa 400 villaggi e l'esodo forzato dal nuovo stato di 800.000 abitanti arabi, gli attivisti annunciano contestazioni contro la principale rassegna italiana di letteratura, che accoglierà Israele come ospite straniero. La polemica è stata innescata da una lettera del consigliere regionale dei Comunisti italiani (Pdci), Vincenzo Chieppa, a Rolando Picchioni, presidente della Fondazione per il libro, la musica e la cultura. Chieppa ha ricordato che "in Palestina purtroppo continuano le uccisioni quotidiane ad opera dell'esercito israeliano, il muro della vergogna separa famiglie e conoscenti, vengono quotidianamente violati i diritti di un intero popolo" e chiesto "di rivedere la scelta operata in relazione all'individuazione della nazione ospite d'onore, confermando ovviamente la scelta finora compiuta, ma aggiungendo quale ulteriore ospite d'onore della manifestazione l'Autorità palestinese". Gli organizzatori hanno risposto picche. "L'anno prossimo avremo l'Egitto capofila e sarà di scena tutto il mondo arabo - spiega al manifesto Nicola Gallino, capo ufficio stampa della Fiera -. La Fiera inoltre non può essere condizionata: ogni paese, in accordo coi principi di pluralismo, ha libertà di presentare gli scrittori che preferisce, ogni forma di censura sarebbe disastrosa". È annunciata la presenza di pezzi da novanta come Amos Oz, Abraham Yeoshua e David Grossmann. Ma per Alfredo Tradardi - presidente della sezione italiana dell'International solidarity movement - "l'invito dà a Israele la possibilità di fare propaganda, ribaltando grazie agli scrittori l'immagine di uno stato protagonista 60 anni fa di un'operazione di pulizia etnica e che quotidianamente viola i diritti dei palestinesi". In un articolo apparso nell'agosto scorso sul quotidiano Ha'aretz Dan Orian, un ex funzionario del dipartimento letteratura presso la divisione per gli affari culturali e scientifici del ministero degli esteri israeliano, ha descritto la cooperazione tra governo e scrittori come basata su un mutuo interesse: questi ultimi "cercano la massima esposizione all'estero per il loro lavoro e il ministero vuole usarli, per mostrare la faccia attraente, sana d'Israele". "Quando Zeruya Shalev va in Germania, la gente fa la fila fuori all'auditorium per ascoltarla. Noi siamo percepiti come aggressivi, come quelli che impongono le chiusure nei Territori, ma improvvisamente appare un autore che parla delle relazioni all'interno della famiglia e la cui scrittura è chiaramente non politica. Questo può cambiare l'intera percezione della società israeliana", ha detto Orian. Sergio Cararo annuncia già un'iniziativa di boicottaggio: alle case editrici verrà spedita una lettera in cui si chiederà di disertare la Fiera. "Gli attivisti solidali con la Palestina sono grandi lettori e acquirenti di libri" ammonisce il fondatore del Forum Palestina. E se gli Ebrei contro l'occupazione e il torinese Comitato di solidarietà con la Palestina - due realtà che portano avanti iniziative comuni - si riuniranno a breve per decidere sul da farsi, il Comitato "Gaza vivrà" (una sua delegazione è appena rientrata dalla Palestina), deciderà in un'assemblea in programma a Firenze il 27 gennaio. "Ma aderiremo certamente, contro un'iniziativa che vuole legittimare al 100% la politica Israeliana di cancellazione della Palestina" assicura il presidente Leonardo Mazzei.


Medio oriente 1 comincia il tour di george w.: la questione palestinese resta a margine (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

 

Medio oriente 1 comincia il tour di george w.: la questione palestinese resta a margine Bush riparte da Israele, ma l'obiettivo è l'Iran Mentre l'opinione pubblica dello stato ebraico attende con ansia l'esito del voto americano, tiene banco il controverso rapporto Nie sulla minaccia di Teheran Gerusalemme. Nel gioco degli specchi, è difficile capire dov'è - se non la verità - almeno la realtà. Quando poi si usa il caleidoscopio mediorientale, è persino difficile capire dove si è. Scena prima: l'Air Force One atterra all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv alle 11 e 48 di ieri mattina. Dirette tv e, in pista, l'intera Israele politica ad accogliere Gorge W. Bush nella sua prima visita da presidente degli Stati Uniti: leader religiosi (sono stati i due rabbini, l'ashkenazita e il sefardita, ad aprire la lunga fila di chi ha omaggiato Bush), poi l'intero governo, l'opposizione, i rappresentanti delle altre fedi. Soltanto in Israele Bush jr. ha potuto godere di una simile accoglienza. Come se, oltre che l'inquilino della Casa Bianca, fosse per Israele come la regina Elisabetta per i paesi del Commonwealth. Scena seconda: l'aria sonnacchiosa di Gerusalemme, e la rassegna stampa dei giornali israeliani. Timorosi di trovarsi bloccati dalla sicurezza (quasi diecimila poliziotti a governare la tre giorni di Bush), dai cortei dei vip, dalle chiusure a singhiozzo delle strade, i gerosolimitani hanno cercato, per quanto possibile, di rimanere a casa, in una giornata decisamente uggiosa, tra freddo e minacce di pioggia. A lavorare sono i diplomatici, i poliziotti, i politici. E i giornalisti, soprattutto quelli israeliani, nei talk show e nelle innumerevoli analisi accurate su che cosa sia veramente venuto a fare Bush. E su che cosa succederà ora che Hillary Clinton, la più decisa sostenitrice di Israele tra i candidati alle presidenziali Usa, è riuscita a battere Barack Obama nel New Hampshire. Lì, nel circo mediatico, la gioia, la deferenza, l'orgoglio che si percepiva sulla pista dell'aeroporto di Ben Gurion lascia il campo a un cinismo profondo. Un esempio per tutti: il durissimo attacco che Ben Caspit, editorialista politico di punta di Ma'ariv , ha lanciato dalle colonne del suo quotidiano, uno dei più ascoltati d'Israele. Bush non è un'anatra zoppa, è un "elefante zoppo", e "noi israeliani siamo il suo negozio cinese". "Il danno che Bush ha causato al mondo e agli Stati Uniti è eclissato solamente da quello che ha fatto in Medio Oriente", scrive Caspit. L'attacco è tutto alla strategia mediorientale di Bush: "La democratizzazione che sta continuando a cercare di instillare negli stati arabi sta mettendo a fuoco la regione". Dall'Iraq sino all'Iran, il vero convitato di pietra di queste ore israeliane di Bush. Strano. Per l'establishment politico israeliano, invece, è proprio la "visione" di Bush il cuore di un'accoglienza incredibilmente calda. Come se Bush fosse stato l'unico, strenuo, tetragono difensore dell'Israele di Sharon e ora di Olmert. Bush ha avuto ragione, dal 2001 in poi. Lo ha fatto capire Shimon Peres, nel suo primo discorso davanti all'Air Force One. E lo aveva detto lo stesso Bush nelle interviste rilasciate alla vigilia del suo tour mediorientale. La sua politica nella regione era ed è giusta, aveva detto ai due notisti politici dello Yedioth Ahronot . Tanto giusta che i contemporanei non l'hanno compresa e solranto la storia le renderà merito. Ma la storia, per il momento comunque, può ancora attendere. Ora Bush deve portare a casa un risultato prima di cedere il proprio ruolo, ed è per questo che - pur avendolo evitato per tanti anni - ha deciso, alla fine del doppio mandato, di essere l'ennesimo inquilino della Casa Bianca che investe prestigio e fatica sul dossier israelo-palestinese. Bush vuole essere però, almeno formalmente, solo il supervisore. Nessun incontro a tre, dunque. Nessuna riunione congiunta tra Bush e i due leader che dovrebbero arrivare a un accordo entro la fine del 2008, e la conclusione dell'amministrazione Bush. Ma intanto le pressioni americane hanno raggiunto un risultato: il meeting tra Olmert e Mahmoud Abbas di martedì, per dire che, sì, ci si occuperà dei "punti chiave" del negoziato. I soliti, da sempre: Gerusalemme, rifugiati, confini, colonie. La questione israelo-palestinese, il faticoso percorso dei negoziati sono, però, soltanto il fondale del palcoscenico. In ballo c'è altro, in una visita, quella in Israele e in Cisgiordania, aggiunta all'ultimo momento nel tour mediorientale che - sino al recente cambiamento di programma - aveva come obiettivo soprattutto il consolidamento dei rapporti tra Stati Uniti e paesi del Golfo. Annapolis, ma soprattutto il rapporto Nie degli organismi di intelligence sul nucleare iraniano, hanno fatto riprogrammare il viaggio di Bush nella regione più calda della sua presidenza. La priorità è una sola e indiscussa. La strategia verso l'Iran, da ricalibrare però dopo il rapporto del National Intelligence Estimate che ha avuto l'effetto di una doccia ghiacciata su chi già voleva scaldare i motori di una nuova operazione militare nella regione. E se qualcuno avesse nutrito dubbi sulla centralità del dossier iraniano, ci ha pensato il presidente Peres a chiarire subito dov'è la sostanza del viaggio di Bush. "Non sottostimare la minaccia iraniana", ha ricordato Peres già alle primissime battute del suo discorso all'arrivo del presidente americano, ancor prima di accennare alla pace con i palestinesi. Se l'Iran ha smesso di pensare al programma nucleare militare nel 2003, la via diplomatica è l'unica percorribile, sembrano dire molti paesi del Golfo, che hanno aperto canali importanti di comunicazione con Teheran, soprattutto nelle ultime settimane. E che non vogliono mettere in pericolo non solamente gli equilibri politici e la pace, ma anche il redditizio momento economico del Golfo, dove il surplus di guadagni decretato dal caro-petrolio sarebbe invece messo a rischio dai venti di guerra verso l'Iran. La via diplomatica e delle sanzioni pare essere stata scelta anche da Bush, che su questo è stato molto preciso proprio di fronte all'audience israeliana. Sostegno "senza se e senza ma" a Israele, nel caso in cui l'Iran attaccasse. Ma gli Usa, al momento, preferiscono di gran lunga la strada della pressione politica, perché il rapporto Nie ha tolto il casus belli dal dossier. Certo, i casus belli sono sempre dietro l'angolo, come dimostra il caso dello Stretto di Hormuz di tre giorni fa. Ma il rapporto Nie è stato fondamentale. Lo dice anche il risultato della riunione ad alto livello che il governo israeliano, assieme ai vertici militari e dell'intelligence, ha tenuto domenica. Le informazioni in mano a Israele sul nucleare iraniano collimano al 90% con quelle americane, secondo le indiscrezioni di fine riunione raccolte da Yediot Ahronot . Tutti, insomma, sanno che ora più che mai il dossier iraniano è più importante di quello sul conflitto israelo-palestinese. Lo dice il percorso che seguirà Bush, dalla Giordania al Kuwait, assieme a Egitto, Emirati Arabi, Bahrein, Arabia Saudita. Lo dice soprattutto la nebbia che circonda la politica americana verso Teheran da dicembre a oggi. Israele vorrebbe diradarla, quella nebbia, visto che il suo assetto verso l'Iran di Ahmadinejad si è modificato soltanto di pochi gradi. E Bush invece - pur pensandola allo stesso modo sulla strategia del regime iraniano - sa che ora è necessario calibrare di nuovo il proprio arsenale. Politico e diplomatico prima ancora che militare. 10/01/2008.


Medio oriente 3 scenari (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

 

Medio oriente 3 scenari Il peso sciita in una pace (im)possibile è il primo nemico del fondamentalismo La reazione sunnita è il frutto avvelenato dell'Iraq Beirut. Da più parti si continua a sostenere che la creazione di uno stato palestinese, insieme con il ritiro di Israele nei confini precedenti al 1967, rappresenterebbe una svolta decisiva per la pace in Medio Oriente. Oggi questa tesi, in seguito alle traumatiche conseguenze provocate dalla guerra americana in Iraq nell'insieme della regione - un puzzle inestricabile di crescenti tensioni etniche e religiose - va in realtà considerata certamente necessaria ma non più sufficiente. Un dato, in particolare, ha acquisito un peso cruciale: il risveglio della comunità sciita (tra il 10 e il 15% dell'intero mondo musulmano) non soltanto in Iraq ma anche nel resto del Medio Oriente. Conflitto sciita-sunnita. Il progetto iniziale (almeno quello dichiarato) dell'amministrazione Bush in Iraq (un nuovo regime democratico che rappresentasse un precedente contagioso per tutto il Medio Oriente) ha decisamente favorito - grazie anche al pragmatismo tattico dell'ayotallah Sistani che ha evitato lo scontro tra sciiti e truppe Usa costringendo il proconsole Bremer ad accettare la proposta di un parlamento direttamente eletto in base al principio del "one man, one vote" - la nascita del primo governo a maggioranza sciita nella lunga storia del mondo arabo. La minoranza sunnita di etnia araba (circa il 20% degli iracheni) ha vissuto la "svolta democratica" imposta dall'esterno come un complotto ordito dagli americani insieme con gli sciiti, ovvero gli "eretici" da sempre reietti ed emarginati nel mondo musulmano (con la sola esclusione dell'Iran dove gli sciiti rappresentano circa il 90% della popolazione). È importante notare che la componente sunnita, ma non araba, della società irachena, i curdi (circa il 20% degli abitanti), ha scelto l'alleanza con gli sciiti ben sapendo che tale strategia era l'unica che poteva garantire il mantenimento della sostanziale autonomia conquistata negli anni novanta grazie alla no flight zone e aprire le porte a quella indipendenza già promessa ai curdi alla fine della prima guerra mondiale. Tzunami sciita in Medio Oriente. I paesi della regione (a maggioranza sunnita salvo il Libano e il Bahrein) hanno tutti avvertito, in modo più o meno acuto a seconda della composizione religiosa interna, la sfida proveniente dalla riscossa sciita in Iraq. Due fenomeni, tra loro strettamente intrecciati, si sono verificati. Da un lato la tradizionale protesta sciita ha ripreso vigore: l'esempio iracheno ha spinto sia gli sciiti libanesi (ormai maggioranza relativa con circa il 35% della popolazione) che quelli del Bahrein (il piccolo paese petrolifero del golfo dove un emiro sunnita governa con pugno di ferro una larghissima maggioranza sciita) a pretendere, con pragmatismo e senza ricorrere alla violenza terrorista, una più forte rappresentanza. Il principio del "one man, one vote" è stato fatto proprio nei due paesi e spiega, tra l'altro, attuale impasse, densa di pericoli, della crisi libanese (i sunniti, con il sostegno Usa, non intendono riconoscere la proiezione istituzionale dei nuovi rapporti di forza così come chiede in particolare Hezbollah). Anche in Arabia saudita si è fatta più decisa, da parte sciita (circa il 10% della popolazione ma concentrata nelle zone più ricche di petrolio), la richiesta di una maggiore partecipazione ai governi locali e a livello centrale. La reazione sunnita. In tutta la regione clerici wahabiti e salafiti, mentre incoraggiano i giovani radicali sunniti (specie in Arabia saudita) a unirsi alla Jihad in Iraq contro i "crociati e gli eretici", alimentano, sfruttando le stesse parole d'ordine e la stessa intolleranza religiosa, il vasto risentimento contro i regimi arabi moderati e filo-occidentali allo scopo di potenziare le fila dell'estremismo terrorista, sempre di matrice sunnita vicino ad Al Qaeda, che ha colpito a New York, Madrid, Londra, Algeri, Amman e altrove. L'obiettivo di fondo dei terroristi è evidente e dichiarato: arrivare a uno scontro generalizzato contro i nuovi "crociati" che hanno invaso i "luoghi santi" dell'Islam e al tempo stesso affidare ai gruppi sunniti più radicali il controllo del potere. In questo quadro, la lotta al pragmatismo sciita, più aperto al pluralismo e alla convivenza con altri gruppi etnici nonché religiosi (come dimostrano il caso libanese e perfino quello iracheno) è diventato parte integrante della stessa battaglia contro l'occidente. Il ruolo crescente dell'Iran. È ormai un luogo comune constatare come la guerra irachena abbia accentuato il peso di Teheran in tutto il Medio Oriente. Si tratta di un processo che alimenta l'incertezza dei governi arabi moderati, sempre più fragili di fronte all'assedio dell'estremismo sunnita e alle rivendicazioni sciite. Un processo denso di inquietanti incognite. Tra queste, l'ipotesi di una guerra tra le due componenti storiche del mondo musulmano che potrebbe coinvolgere non soltanto Iran e Arabia Saudita ma anche altri paesi arabi e una parte dello stesso occidente. 10/01/2008.


Medio oriente 2 visto dagli states (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

 

Medio oriente 2 visto dagli states In patria sembra il canto dell'anatra zoppa New York. "Nella regione e nel mondo arabo si pensa che Bush sia stato finora soltanto uno spettatore. Probabilmente è ingiusto, ma è la realtà", dice Bruce Riedel, un ex agente della Cia ed ex consulente di tre presidenti americani per il Medio Oriente, che ora lavora alla Brookings Institution di Washington. Per gli americani, a quanto pare, nonostante la buona volontà sbandierata dall'attuale inquilino della Casa Bianca, il viaggio in Medio Oriente è tardivo e difficilmente produrrà risultati concreti. "Gran parte dei leader mediorientali considerano Bush insieme ingenuo e duro e faranno del loro meglio per usare il vantaggio di giocare in casa per sensibilizzarlo alla loro percezione della realtà", incalza Jon Alterman, uno studioso del Center for Strategic and International Studies. Annunciato all'ultimo momento, organizzato in pochi giorni e iniziato proprio mentre in New Hampshire chiudevano i seggi elettorali delle prime primarie e l'intera America guardava da un'altra parte, il viaggio di George Bush in Medio Oriente non ha certo suscitato, tra gli esperti, un'ondata di entusiasmo o di ottimismo. Eppure, il tour del presidente americano è sicuramente ambizioso. La Casa Bianca ha puntigliosamente preparato l'opinione pubblica, Bush ha concesso una serie di interviste ai giornali della regione e alle agenzie di stampa, e ha dedicato all'evento il suo messaggio radiofonico del sabato, i suoi collaboratori hanno presentato i "briefing" non ufficiali per illustrare ai giornalisti i vari aspetti del viaggio. Tra gli obiettivi di George W., anticipati alla Reuters, "far avanzare i progressi ottenuti ad Annapolis, aiutare le parti a rimanere focalizzate sulla grande opportunità, che è la definizione di uno stato palestinese". Bush ha ricordato "ai nostri amici e alleati arabi che possono contare sugli Stati Uniti per la sicurezza della regione e che hanno una grande opportunità di dare una mano", aggiungendo: "Ho fiducia che ci possa essere un accordo per la fine del 2008. Bisogna convincere le parti che il momento di prendere le decisioni difficili è ora, e che gli Stati Uniti possono aiutarle". Di fatto, anche l'amministrazione sa bene che l'impegno non sarà facile. Dopo le strette di mano di Annapolis sotto lo sguardo di gran parte dei paesi mediorientali, compresa la Siria, la situazione non è certo migliorata. Bush, per di più, conosce benissimo l'ostilità e la sfiducia che la guerra in Iraq ha lasciato nei suoi confronti, malgrado il relativo successo di Annapolis. Per la Casa Bianca, però, ci sono anche molte ragioni per muoversi lo stesso. La prima, chiarissima, è di carattere interno. L'inizio delle primarie ha fatto ufficialmente diventare il presidente "un'anatra zoppa", una figura senza più alcun vero potere in un paese che ormai guarda al futuro. Come già avevano fatto altri presidenti nel passato, anche Bush ha riempito il suo calendario per l'anno appena cominciato con una serie di impegni all'estero, che lo porteranno dall'Asia all'Europa e all'Africa subsahariana. La scelta del Medio Oriente per cominciare era in un certo senso naturale, anche per un presidente che ha ignorato per sette anni il dramma del conflitto israelo-palestinese. Una soluzione del conflitto, ora, lo porterebbe un passo avanti a Bill Clinton nel giudizio della storia, mettendo in ombra gli errori della guerra in Iraq. Sia pure con diverse sfumature e con una diversa enfasi sul dialogo, tra l'altro, nessuno dei candidati per le elezioni del 2008 ha in realtà presentato fino a ora un progetto per il Medio Oriente molto diverso da quello della Casa Bianca. 10/01/2008.


Anticipazione l'analisi storica (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

 

Anticipazione l'analisi storica Washington e Gerusalemme: 60 anni di relazioni speciali e contraddittorie Verso il superamento della politica dei piccoli passi Si può senz'altro parlare di Special Relationship tra Stati Uniti e Israele a patto, tuttavia, che si precisino i termini e le modalità attraverso le quali tale legame si è articolato nel corso del tempo. Poiché se esiste un tema che è stato fatto oggetto di fraintendimenti ripetuti, di equivoci reiterati se non di pregiudizi totali, è proprio ciò che riguarda la qualità e la natura del legame che intercorre tra questi due paesi. L'ampia diffusione del fortunato libro di Edward Said, Orientalism , divenuto il testo di riferimento per la critica all'"imperialismo" culturale ed economico occidentale, ha contribuito a rafforzare quelle posizioni che riducono l'ampiezza e la complessità della politica statunitense a pochi, netti e costantemente ripetuti calcoli d'interesse. In realtà le scelte praticate da Washington, dalla nascita d'Israele ad oggi, sono state spesso così diversificate, di amministrazione in amministrazione, da risultare tra di loro spesso contraddittorie. Inoltre, ogni azione era e rimane il risultato della mediazione all'interno delle diverse componenti della burocrazia amministrativa e politica. Una policrazia, un complesso di apparati decisionali, si contende l'ultima parola sul cosa fare e sul come realizzarlo. Fondamentale, da questo punto di vista, è il trattamento delle informazioni, ovvero cosa si ritiene sia importante (e chi sia chiamato a stabilire l'ordine delle priorità). Poiché è solo sulla scorta di ciò che si assumono le decisioni che, di volta in volta, vengono poi trasformate in atti concreti. Storicamente, negli ultimi cinquant'anni, gli Usa hanno costruito una serie di robusti rapporti bilaterali con alcuni paesi della regione, soprattutto l'Egitto e l'Arabia Saudita (prima del 1979 anche l'Iran della dinastia Pahlevi), sostituendosi negli anni Cinquanta alla Gran Bretagna e istituendo relazioni privilegiate con le élite politiche locali, nell'ottica della cooperazione per la sicurezza più che della innovazione socioeconomica. Per due decenni, tra il 1950 e la fine degli anni Sessanta, è l'Egitto ad essere al centro delle preoccupazioni statunitensi e a determinare i passi compiuti dalle diverse amministrazioni succedutesi, da quella Truman a Johnson. Fino ad una certa data i protettori d'Israele nel consesso internazionale erano da cercarsi nella Gran Bretagna e nella Francia. Se Harry Truman non aveva mai fatto mistero della sua simpatia per la causa sionista, buona parte dell'amministrazione statunitense riteneva inderogabile il proseguimento della politica di appeasement verso gli arabi. Si ingenerò così una duplice condotta politica, dove alle aperture della Presidenza verso Gerusalemme facevano seguito le calcolate chiusure del Dipartimento. La Special Relationship con Gerusalemme data quindi ad anni recenti e ruota su alcuni elementi che dal 1967 fanno premio riguardo ad altri aspetti, fino ad allora invece prevalenti. La guerra dei Sei giorni è l'evento periodizzante, nella misura in cui introduce un ulteriore fattore di tensione tra Est ed Ovest - quindi di divisione e allineamento tra fronti contrapposti - che era in parte mancato nei lustri precedenti. Più per necessità che per una qualche virtù, quindi, è in questo scenario che l'opzione cade su Gerusalemme, per impedire che il nazionalismo arabo, nella sua versione più militante e radicale, quella nasseriana, abbia la meglio e con esso i suoi patrocinatori moscoviti. In realtà la scelta degli Usa, è di mantenere l'equilibrio militare tra Israele e i vicini arabi, essendo questi foraggiati abbondantemente dall'Urss. In altre parole, il sostegno al paese ha più una valenza contenitiva delle spinte altrui che non una sua promozione come interlocutore privilegiato. Si tratta, nella logica americana, di un atto di "realismo" più che di idealismo. Gli Stati Uniti inaugurano così una politica di "grand design", basata sul bilanciamento dei poteri con l'Urss, marcandola strettamente in ogni suo passo compiuto nella regione. Il maggiore promotore della svolta che si compie negli anni Settanta è Henry Kissinger, la cui linea interventista (in sostanza, maggiore sostegno ad Israele) si confronta con la cautela di non poca parte delle Amministrazioni Nixon e Ford. Negli anni Ottanta che il quadro muta ancora. Sulla scena campeggia l'Iran della "rivoluzione islamica". Non di meno il rinnovato attivismo del regime sovietico diventa fonte di nuova preoccupazione. Il conflitto arabo-israeliano perde temporaneamente la sua centralità regionale, sostituendosi ad esso il Golfo Persico e l'Afghanistan (invaso dai sovietici nel dicembre del 1979). È in questo contesto, ancora una volta fortemente polarizzato, che il rapporto tra Usa e Israele si intensifica. L'Amministrazione Reagan, sia pure accordando un rapporto di partnership militare anche a Arabia Saudita, Egitto e Giordania, stabilisce e sottoscrive nel novembre del 1981 un memorandum di intesa strategica con Israele. La politica di Strategic Cooperation si traduce così in un rapporto di mutua assistenza su tutti gli ambiti legati alla sicurezza. I successivi sviluppi del quadro geopolitico, dominati dal declino dell'Unione Sovietica, porteranno gli americani a superare la politica kissingeriana dei "piccoli passi" per optare verso un disegno di più ampio respiro, dove l'obiettivo di una destinazione finale dei Territori palestinesi si accompagni alla contemporanea transizione verso l'autonomia palestinese. Tratto da "Israele. Storia dello Stato. Dal sogno alla realtà (1881-2007)", Editrice La Giuntina 10/01/2008.


Segue eredità (sezione: Israele/Palestina)

( da "Riformista, Il" del 10-01-2008)

 

Segue eredità Otto anni di occasioni mancate L'11 settembre ha sconvolto questi piani. Chi era stato eletto come amministratore di condominio si doveva trasformare in un giorno nel commander-in-chief, in un generale in guerra. I generali, si sa, non hanno tutti le stesse qualità. Ci sono brillanti tattici, come Patton o MacArthur, che annientano il nemico sul campo di battaglia, ma poi credono che la loro abilità li autorizzi a dettare l'agenda politica al loro presidente. Generali che vincerebbero tutte le battaglie, per poi perdere le guerre. Che forse non hanno letto bene Machiavelli e Clausewitz, e finiscono rimossi. Oppure ci sono generali metodici, non eccelsi sul campo, ma che sanno gestire grandi coalizioni multinazionali, sanno tenere i generali egocentrici al loro posto e vincono le guerre. Come Eisenowher. O come Grant. E diventano anche presidenti. Nel XXI secolo un presidente non comanda in battaglia, ma sceglie i suoi collaboratori e assegna loro compiti e poteri. Se questi sono incapaci, la colpa, in fine, è sua e solo sua e su questo la sua legacy è giudicata. Un Segretario alla Difesa (Rumsfeld) convinto di vincere le guerre al risparmio, certo che l'avversario sarà così stupido da combattere alle sue regole (un altro cattivo studente di Clausewitz). Un Vice Segretario alla Difesa (Wolfowitz), ottimo professore, che ha letto di guerra, ma non ha mai indossato un'uniforme ed è ossessionato dal prossimo Olocausto e dai fiori che gli iracheni getteranno sugli americani. Un Vice Presidente (Cheney) che è un "enigma avvolto in un mistero", che è stato responsabile della Difesa, ma era troppo impegnato (come il suo presidente) per andare in Vietnam. Un altro pio illuso, convinto, evidentemente, che quando i soldati muoiono, ci sia la soundtrack di sottofondo e siano puliti e interi come in un film sulla Seconda Guerra Mondiale. Forse consapevole di che "corte dei miracoli" aveva riunito, George W. Bush aveva deciso di affidar il ruolo di chi sta con i piedi per terra alla professoressa Rice. Se un presidente ha un bravo, e soprattutto realista, consigliere alla sicurezza nazionale, egli può pretendere di essere "l'idealista", che guarda agli alti valori. Le presidenze di successo si fondano su di un mix di grande realismo con un pizzico di idealismo. Alla fine, anche la professoressa realista si è convinta che si potesse rifare il Medio Oriente dalle scrivanie sul Potomac, e non risolvendo il conflitto israelo-palestinese, che richiedeva tutti e otto gli anni della presidenza e non un misero viaggio all'undicesima ora. Il 12 settembre eravamo veramente tutti "americani". Solo un carattere al di fuori dell'ordinario poteva mettere insieme un team che così bene riuscisse a gettare al vento il credito e la simpatia di quel giorno. La cosa peggiore però è che quando arriverà il giorno in cui servirà veramente che l'America "faccia l'America", gli americani saranno diventati troppo isolazionisti, troppo amareggiati e delusi per quello che è successo dentro e fuori il loro paese e si gireranno dall'altra parte. E chi rimetterà insieme Umpty Dumpty allora? Giampiero Giacomello 10/01/2008.


All'aeroporto Ben Gurion e poi a Gerusalemme Ovest, sorrisi, apprezzamenti reciproci, strett (sezione: Israele/Palestina

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( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)

Di ERIC SALERNO All'aeroporto Ben Gurion e poi a Gerusalemme Ovest, sorrisi, apprezzamenti reciproci, strette di mano e vistose e amichevoli pacche sulle spalle. Il primo giorno della visita del presidente americano ha rispettato il copione. Le immagini trasmesse in tutto il mondo, le dichiarazioni di Bush, del presidente israeliano Shimon Peres, del premier Olmert non hanno riservato sorprese. Misti ai convenevoli, un messaggio chiaro. Washington continua a considerare l'Iran una "minaccia alla pace mondiale", si servirà della diplomazia per impedire a Teheran di riprendere e portare a termine il suo progetto nucleare ma non tollererà un'altra "provocazione" come quella messa in atto (secondo la versione americana) dalle motovedette iraniane nel golfo di Hormuz. "Il mio consiglio agli iraniani è semplice: non fatelo più", le parole secche di Bush, labbra strette e occhi freddi. L'Iran, sicuramente per volontà d'Israele, è stato tenuto in primo piano. "Il rapporto del National intelligence estimate (Nie) potrebbe aver mandato il segnale a qualcuno che gli Stati Uniti non pensano che l'Iran sia una minaccia", ha sottolineato il presidente, riferendosi al rapporto del dicembre scorso secondo il quale Teheran ha sospeso lo sviluppo del suo programma nucleare nell'autunno del 2003. "Io ho detto che l'Iran era una minaccia, è una minaccia e sarà una minaccia se la comunità internazionale non resterà unita per impedire che ottenga l'arma nucleare". Al suo arrivo in aeroporto, prima di raggiungere in elicottero Gerusalemme, e dopo aver parlato a lungo con Peres e Olmert, il capo della Casa Bianca si è detto "speranzoso" riguardo alla possibilità di un accordo sulla creazione di uno stato palestinese a fianco d'Israele. La sua "visione" non è nuova. Ciò che lascia scettici non soltanto molti palestinesi è che si sta ancora parlando di una "visione". "Arriva a mani vuote", il titolo caustico del quotidiano centrista Maariv. Sono trascorsi quindici anni dagli accordi d'Oslo e la stretta di mano tra Arafat e Rabin per rilevare la loro volontà di porre fine allo scontro tra i due popoli. La "visione", allora, era la stessa d'oggi. Bush ha parlato della serietà d'intenti di Olmert e Abbas. E che saranno necessari molti sacrifici e compromessi. Al presidente palestinese chiederà, oggi quando lo incontrerà a Ramallah, come intende affrontare la situazione nella striscia di Gaza dove quotidianamente gruppi estremisti lanciano missili contro Israele e ieri pomeriggio migliaia di sostenitori di Hamas hanno marciato per le strade bruciando bandiere americane per protestare contro la visita di Bush "assassino e vampiro". Con Olmert, durante la conferenza stampa congiunta, ha insistito (unica critica al comportamento israeliano) per lo smantellamento delle mini-colonie "illegali". "Ne stiamo parlando da quattro anni. Debbono scomparire". "E' un momento storico", ha ripetuto più di una volta Bush. Peres ha parlato di "nuove opportunità", Olmert è "felice di poter negoziare con un amico come il presidente americano al suo fianco". Tre gruppi di negoziatori esamineranno nei mesi a venire la "visione", ossia come dovrà essere lo stato palestinese, le modalità della sua realizzazione e, dunque, le questioni di sicurezza e gli insediamenti che Israele (come ha ripetuto Olmert) non vuole smantellare e, poi, come aiutare economicamente i palestinesi a vivere meglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush in Israele: L'Iran,una minaccia per la pace (sezione: Israele/Palestina)

( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: "L'Iran, una minaccia per la pace" Bandiere Usa bruciate in piazza dai sostenitori di Hamas.

 

 

 

 

 

 

 

 

Così mentre il dibattito delle Primarie sta entrando nella sua fase più accesa, il (sezione: Israele/Palestina)

( da "Messaggero, Il" del 10-01-2008)

Di GIUSEPPE MAMMARELLA Così mentre il dibattito delle Primarie sta entrando nella sua fase più accesa, il presidente Bush arriva in Israele per affrontare l'ultimo (del suo mandato) tentativo di trovare una soluzione al più lungo conflitto della nostra epoca. È difficile che quel tentativo abbia successo. La situazione in Iraq, pur con i progressi degli ultimi mesi, rimane senza una prospettiva precisa, così in Afghanistan, tenuto sotto scacco dalla crisi pakistana. Continua, e pure episodicamente si accresce, la tensione con l'Iran. Nello sfondo restano le grandi sfide, quelle dei Paesi emergenti, Cina e India, della Russia con i nuovi programmi spaziali, quelli dell'ambiente e dell'energia e quelli dei nuovi squilibri nella finanza internazionale. Nessuno di questi problemi potrà essere affrontato e risolto dall'attuale presidenza nei pochi mesi che rimangono e nonostante la ben nota ambizione di Bush di lasciare un'impronta nella storia è probabile che essi verranno trasmessi alla prossima amministrazione più o meno nel loro stato attuale salvo imprevedibili sviluppi. L'attuale campagna elettorale riporta per alcune sue caratteristiche a quella del 1968, quando l'amministrazione del repubblicano Richard Nixon ereditò la crisi vietnamita e non solo, dall'amministrazione democratica di Lindon Johnson. Anche durante quella campagna, condotta sotto la spinta della situazione vietnamita, si parlò molto di cambiamento. Poi, grazie alla leadership di un Presidente che, pur con tutti i limiti personali che emergeranno dalla crisi del Watergate, ben conosceva i meccanismi della politica internazionale, e la guida di un grande segretario di Stato, Henry Kissinger, si impose una politica che riuscì a mantenere la sostanza degli equilibri internazionali nel quadro di una delle fasi più delicate della Guerra fredda. Oggi la situazione è più complessa e - data la moltiplicazione degli attori - più difficili sono gli equilibri da mantenere, ma la posta in gioco non è meno importante. Nel rispetto della fisiologia di un grande sistema democratico come quello americano, è bene che il dibattito elettorale si svolga nel modo più ampio e più libero, è anzi augurabile che esso si allarghi a temi che fino ad oggi sembrano essere rimasti periferici, come quelli dell'economia e della finanza internazionale, decisivi per il futuro del potere mondiale. Ma, alla fine, è augurabile che la strada della Casa Bianca si apra a colui, democratico o repubblicano, nero o bianco, uomo o donna, che sappia coniugare l'ansia di cambiamento che percorre la società americana con il rispetto di quella continuità di obiettivi e di programmi che permettano all'America e ai suoi alleati di continuare a svolgere nel mondo quella missione di pace e di progresso che, pur con tutte le contraddizioni, ha illuminato la nostra epoca.

 

 

 

 

 

 

 

 

Barak spinge la Livni verso la guida del governo (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-10 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE La manovra Alleanza fra i ministri della Difesa e degli Esteri per sostituire il premier Barak spinge la Livni verso la guida del governo DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME - Lo sguardo severo e accigliato. Attorno, sacchi di sabbia e reti mimetiche. Dall'alto di una collina in Cisgiordania, Tzipi Livni contempla i villaggi palestinesi. "E la poltrona di premier", hanno commentato i giornali israeliani, dopo che i consiglieri del ministro degli Esteri hanno fatto circolare le foto. Quattro immagini: circondata dagli ufficiali dell'esercito, mentre studia le operazioni o mentre un generale la aggiorna sugli ultimi raid a Nablus. "Pose da primo ministro, alla Ariel Sharon ", scrive in prima pagina il Jerusalem Post. "Le fotografie vogliono presentare al pubblico un lato di Tzipi Livni che gli israeliani non conoscono e che lei deve coltivare. Soprattutto dopo la Seconda guerra in Libano, non si diventa capo del governo in questo Paese senza offrire credenziali militari". Una gita a sorpresa in Cisgiordania, accompagnata dagli alti comandi - fanno notare gli analisti - non si organizza senza il permesso del ministero della Difesa guidato da Ehud Barak. Tra il soldato più decorato della storia d'Israele e il ministro degli Esteri, sarebbe nata un'alleanza che si prepara al rapporto finale della commissione Winograd. Quando fra una ventina di giorni i saggi emetteranno la loro sentenza, potrebbe decidersi il destino di Ehud Olmert. Il futuro dipende anche dalla scelta di Barak, che aveva promesso di lasciare il governo dopo i risultati conclusivi dell'inchiesta. Il leader laburista vuole convincere i deputati di Kadima, il partito del primo ministro, a formare un esecutivo alternativo, che possa resistere fino alle elezioni nel 2010. Livni sarebbe la candidata alla sostituzione, Barak resterebbe alla Difesa per garantire l'esperienza militare. Se l'intesa non viene raggiunta, i laburisti puntano a fissare una data per il voto anticipato, attorno a novembre di quest'anno. Perfino Benjamin Ben-Eliezer, ministro per le Infrastrutture laburista e fino ad ora un alleato di Olmert, ha parlato di un possibile cambio al vertice. "Se il dossier Winograd è così duro contro Olmert da dover esigere le dimissioni ma il premier non se ne va e Kadima non lo caccia, apriremo i negoziati per andare alle urne". "Subito dopo i risultati dell'inchiesta, Livni deve decidere che cosa voglia fare", commenta un altro dirigente della sinistra. Anche Olmert in queste settimane sta corteggiando il ministro degli Esteri. Dopo la pubblicazione della prima parte del rapporto, Livni aveva chiesto le dimissioni del premier, per poi decidere di rimanere nel governo. Adesso Olmert vorrebbe che l'ex avvocatessa e funzionaria del Mossad lo appoggiasse pubblicamente. "Una conferenza stampa in favore del primo ministro renderebbe più facile anche per Barak restare nella coalizione", spiegano dall'ufficio di Olmert al Jerusalem Post. Davide Frattini Ieri L'ex premier Ariel Sharon, in coma da due anni, durante una puntata in Cisgiordania assieme ai militari Oggi Il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni osserva i villaggi palestinesi dall'alto di una collina della Cisgiordania.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush in Israele: <L'Iran resta una minaccia> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Esteri - data: 2008-01-10 num: - pag: 17 categoria: REDAZIONALE La visita Il presidente americano chiede a Olmert di smantellare le colonie e ai palestinesi di stroncare il terrorismo Bush in Israele: "L'Iran resta una minaccia" Avvertimento a Teheran: "Per difenderci tutte le opzioni sono sul tavolo" Tuttavia il capo della Casa Bianca ha lasciato intendere che una cosa sarebbe un'azione difensiva nel Golfo persico, un'altra un conflitto vero e proprio: una distinzione fatta per placare i timori dei Paesi arabi GERUSALEMME - Alla sua prima visita da presidente in Israele, che dà il via a una settimana in Medio oriente e nel Golfo Persico, George W. Bush ha ieri parlato di guerra e di pace. Di guerra con l'Iran se attaccherà di nuovo le unità della Quinta flotta americana nello stretto di Hormuz. E di pace tra gli israeliani e i palestinesi, con la scomparsa degli insediamenti illegali dei primi dai territori occupati, e del terrorismo tra i secondi. "Tutte le opzioni sono sul tavolo per quanto riguarda la protezione dei nostri mezzi" ha detto Bush riferendosi all'incidente di domenica con l'Iran nel Golfo Persico. Poco più tardi a Washington, il ministero del Tesoro americano ha annunciato nuove sanzioni contro quattro membri della "Qods force" iraniana, tra cui il generale Ahmed Foruzandeh "per attività terroristiche in Iraq" e contro la tv Al Zawra, basata in Siria. Venuto a Gerusalemme per varare il negoziato israelo- palestinese impostato ad Annapolis un mese fa, Bush si è subito trovato di fronte al fantasma dell'Iran. All'arrivo, il presidente israeliano Shimon Peres lo ha accolto definendo Teheran "una minaccia". Ma alla conferenza stampa successiva con il premier israeliano Ehud Olmert, Bush ha cercato di abbassare i toni: una cosa, ha lasciato intendere, sarebbe un'azione difensiva nel Golfo Persico, un'altra un conflitto vero e proprio. Distinguere tra una rappresaglia per Hormuz e la strategia dell'isolamento dell'Iran è stata una necessità per Bush, che da domani si recherà in Kuwait, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Arabia saudita per formare un fronte comune contro Ahmadinejad, e che incontrerà grande opposizione. Ma la distinzione ha causato disagio a Israele che teme gli effetti de "la pazzia dell'Iran, di Hamas e di Hezbollah" sul processo di pace, come ha ricordato Peres. Il velato contrasto su Teheran non ha però turbato la visita di Bush. Nessun governo l'aveva accolto con tanto calore: Olmert ha parlato di "amore e ammirazione " di Israele per lui. Alla conferenza stampa congiunta, Bush si è dichiarato ottimista sulla pacifica convivenza tra due futuri Stati separati, israeliano e palestinese. Il presidente, che oggi andrà a Ramallah in Cisgiordania per incontrare Abu Mazen, ha sottolineato che gli chiederà "un forte impegno" a stroncare i gruppi terroristici, come lo ha chiesto ieri a Olmert per smantellare gli insediamenti israeliani illegali. "Abbiamo una storica opportunità di stabilire una pace durevole entro la fine dell'anno - ha asserito - ma il mio ruolo può essere solo di sprone, la responsabilità di realizzarla sarà vostra". Ma a Gaza è stata battaglia. Dopo che una pioggia di missili si è abbattuta su Sderot, una città israeliana di confine, peraltro senza fare vittime, tre palestinesi sono morti nel contrattacco di Israele, e ovunque sono esplose violenti dimostrazioni di protesta. Ennio Caretto Accoglienze Ballo e saluti israeliani per Bush, bandiere bruciate dai palestinesi. E una maglia di calcio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Gerusalemme salvata dai giochi dei bimbi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Corriere della Sera" del 10-01-2008)

Corriere della Sera - NAZIONALE - sezione: Libri - data: 2008-01-10 num: - pag: 49 categoria: REDAZIONALE Destini La storia di Omri e Ziaad scritta da Manuela Dviri e illustrata da Staino Gerusalemme salvata dai giochi dei bimbi è la storia di Omri e Ziaad. Un bambino israeliano e uno palestinese divisi da Gerusalemme: "A Gerusalemme ci sono delle mura; e intorno alle mura e dentro le mura c'è spesso la guerra". Lo zio di Omri è morto per una bomba palestinese, il fratello di Ziaad per un fucile israeliano. Capita poi che Omri e Ziaad si trovino accanto in una stanza d'ospedale. Si temono e si evitano, non sanno come parlarsi. Un gioco portato da un infermiere spezza la paura: se è possibile fare un puzzle insieme, il destino può essere diverso da bombe e fucili. Ziaad "ha molta meno voglia di uccidere tantissimi israeliani"; Omri è turbato da un palestinese con cui si può giocare e che "non imbroglia neanche tanto a carte". Finché la morte stessa, il muro più alto, non finisce per unire. Dice Omri: "Anche Ismail, il fratello di Ziaad, è morto". Anche, appunto. è la scandalosa conclusione dei due bambini: forse anche lo zio di Omri e il fratello di Ziaad in cielo "riescono a giocare a dama e a carte e fanno anche loro i puzzle insieme". La storia di Manuela Dviri illustrata da Staino ( Shalom, Omri. Salam, Ziaad, Sinnos editrice, pagine 45, e 12) cammina sull'orlo del baratro. Da un lato c'è il rischio dell'oscena edulcorazione del dramma, dell'ingenuità dell'infanzia usata per nasconderci la profondità dell'odio. Dall'altro c'è la sfida alla rassegnazione, all'ineluttabilità di un destino di morte; un lutto che prende senso lottando per la vita, identità collettive omicide battute da vitali storie private. Dove sta la storia di Omri e Ziaad? Nell'infanzia usata per non ammettere quanto sangue ancora ci aspetta? O nell'infanzia che sa fermare l'emorragia? Lo zio di Omri si chiama Joni, come il figlio di Manuela Dviri morto soldato in combattimento al confine col Libano nel 1998. Dviri non ha paura di camminare sull'orlo del baratro. Lo dice ogni parola della sua sceneggiatura. La matita di Staino si adatta docilmente, con i sorrisi dei bambini e i denti aguzzi dei loro incubi, con i verdi scuri degli anfibi israeliani, e gli schizzi di sangue degli ordigni palestinesi. Omri e Ziaad camminano sull'orlo del baratro, non ci sono alibi per gli adulti cui spetta prenderli per mano verso la parte giusta. Marco Ventura Manuela Dviri, scrittrice e giornalista, collabora con il "Corriere della Sera".

 

 

 

 

 

 

 

 

GERUSALEMME È giunto in Israele per cogliere la (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)

GERUSALEMME è giunto in Israele per cogliere la ... GERUSALEMME è giunto in Israele per cogliere la "opportunità storica" di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Ma il presidente americano George W. Bush, nel primo giorno del suo ambizioso viaggio in Medio Oriente, si ritrova ad agitare la sciabola nei confronti dell'Iran, ammonendo Teheran, dopo l'incidente di domenica nello Stretto di Hormuz, che vi saranno "serie conseguenze" in caso di nuove provocazioni contro le navi Usa . Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Bush in Israele, razzi dal Libano Dagli arbitri un segnale da raccogliere La vita a Israele in un bel noir Pier Vincenzo Rosiello Accogliere il Natale significa ... Presi l'autista e il capo scorta di Bin Laden Sarkò: "Sposerò Carla lo saprete a cose fatte" "L'Iran continua ad essere una minaccia per la pace mondiale - afferma Bush nella sua conferenza stampa congiunta col premier israeliano Ehud Olmert -. Il mio consiglio a Teheran è di non continuare in questi attacchi provocatori: non fatelo più". La gamma delle "serie conseguenze" non è precisata ma Bush sottolinea che "tutte le opzioni" sono sul tavolo. Poco prima la Casa Bianca aveva già ammonito l'Iran "a non scherzare col fuoco". Facendo sapere che erano pronte nuove sanzioni contro la brigata iraniana Qods (l'elite della Guardia Rivoluzionaria) per avere fomentato la violenza in Iraq. Lo scopo principale della visita, la prima di Bush in Israele da presidente, rischia quasi di passare in secondo piano. Anche se l'inquilino della Casa Bianca ha spiegato che esiste una "opportunità storica" per arrivare ad un accordo di pace e per "diffondere la libertà in Medio Oriente". Al suo fianco il premier Olmert ribadisce che Israele "non deve perdere questa opportunità" ed afferma di essere disposto "a quelle difficili decisioni" inevitabilmente legate ad un accordo di tale portata. Ma esistono dei limiti ben precisi, mette in risalto Olmert: non possono essere tollerati lanci di razzi da parte di Hamas, dalla striscia di Gaza, contro israeliani innocenti. "Non ci sarà pace finchè il terrorismo non cesserà - ha detto Olmert -. Finchè continuerà il terrorismo a Gaza sarà difficile giungere ad un accordo con i palestinesi". Razzi sono partiti in serie anche ieri dai territori di Hamas. La reazione israeliana è stata immediata con una rappresaglia militare che ha provocato la morte di tre persone, fra cui due civili. Oggi il presidente Bush si reca in Cisgiordania per incontrare a Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen. "Discuterò con lui il problema di questi attacchi terroristici", ha detto Bush, "deve essere chiaro che non saranno tollerati dai loro territori rifugi per i terroristi". Nella cerimonia di benvenuto all'aeroporto il presidente israeliano Shimon Peres aveva detto che "bisogna fermare la pazzia di Iran, Hamas ed Hezbollah: l'Iran non deve sottovalutare la determinazione di Israele a difendersi". 10/01/2008.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush in Israele: <L'Iran non provochi o risponderemo> pag.1 (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: "L'Iran non provochi o risponderemo" di Fiamma Nirenstein - giovedì 10 gennaio 2008, 07:00 La sorpresa maggiore si è avuta sull'Iran: Bush ha spiegato che l'Iran per lui è e resta un Paese pericoloso, e che se anche nel 2003 ha interrotto la produzione della bomba atomica, o ci è già tornato o ci può tornare in ogni momento. Gli Usa si impegneranno a fondo per fermarlo, ha detto, e nonostante abbia parlato di sanzioni come strumento principale, il tono era quello di chi corregge l'idea che gli Usa se ne resteranno a braccia conserte se Ahmadinejad dovesse insistere con i progetti aggressivi. Bush ha ribadito il diritto di Israele a difendersi: "Questo sarà, oggi, il primo problema di cui parlerò ad Abu Mazen". Ha spiegato che lo Stato palestinese a cui puntano le trattative in corso comprende Gaza, e che nessuna sua parte dovrà essere una sentina terroristica. Bush ha enumerato fra i problemi da affrontare quello del diritto al ritorno: Condi annuiva. Infine Olmert ha menzionato l'impegno di Israele a sgomberare gli avamposti illegali degli insediamenti, ma ha aggiunto che su Gerusalemme esistono leggi e problemi di sicurezza. Bush ha taciuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lega araba Il Libano è a rischio collasso (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)

Lega araba "Il Libano è a rischio collasso" BEIRUT Il Libano "è in pericolo, ma la sua salvezza è possibile ed è una responsabilità araba". Lo ha dichiarato il segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa, giunto iero pomeriggio a Beirut per promuovere un piano arabo per porre fine alla crisi politica libanese. Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Bush in Israele, razzi dal Libano I comitati civici rilanciano sul tema della legalità Lottomatica in Eurolega "scopre" la panchina "Il rischio è che il problema vero dei salari venga ... Alitalia, il governo apre il dialogo con la Lega Nord Sale la tensione Razzi in Israele Il Libano smentisce Parlando con i giornalisti al suo arrivo all'aeroporto di Beirut, Mussa ha aggiunto che il piano - approvato domenica scorsa al Cairo dai 22 ministri degli esteri della Lega Araba - gode della "unanimità araba, del sostegno regionale e dell' impeto internazionale". Nella sua missione Mussa incontrerà il presidente del Parlamento, Nabih Berri, il premier Fuad Siniora e i principali leader politici e cercherà di ottenere il sostegno della maggioranza parlamentare antisiriana e dell' opposizione guidata da Hezbollah al piano arabo, che prevede l' elezione alla presidenza della Repubblica del comandante in capo dell' esercito libanese, generale Michel Suleiman, e la formazione di un "governo di unità". 10/01/2008.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush in Israele: <L'Iran non provochi o risponderemo> (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: "L'Iran non provochi o risponderemo" di Fiamma Nirenstein - giovedì 10 gennaio 2008, 07:00 Due leader determinati a cercare una pace perigliosa, ma che non si dimenticano per un attimo del terrorismo come nemico principale: questo è stato ieri l'impatto fra Bush e Olmert e la loro comune promessa. Pace e lotta alla jihad, anche a quella iraniana. In più tre sorprese e quattro diversi sfondi. George W. Bush è arrivato in Israele verso mezzogiorno sospendendo il respiro stesso della nazione legata all'America da tutti i fili più fragili e importanti: la democrazia, la resistenza al terrorismo, il senso del confine, la palestra bellica... Gerusalemme era silente e nebbiosa, niente auto, i negozi e le scuole chiusi, solo migliaia di poliziotti e gli uomini della sicurezza americana nei dintorni dell'Hotel King David. I teatri: il primo quello dei sorrisi, del jet lag che chiude gli occhi della Rice seduta, l'ossessivo lavoro della sicurezza, le cravatte di Olmert, Peres e Bush e i tailleur pantalone di Tzipi Livni e di Condi. Il secondo: bandiere israeliane e americane in fiamme, dimostrazioni di Hamas a Gaza, slogan furiosi per mettere in difficoltà Abu Mazen. Il terzo teatro: Sderot, disperata in un giorno terribile, con gli altoparlanti che gridano "colore rosso", la parola d'ordine che preannuncia i missili kassam. Ne sono stati sparati dieci da Gaza: un ferito, case distrutte, urli di sirene, madri in lacrime che corrono di qua e di là con neonati senza rifugio. Il quarto: due incursioni dell'esercito israeliano per bloccare l'attacco, due nidi di missili distrutti a Gaza e due morti. Shimon Peres prima, e poi Olmert con Bush sono arrivati quasi alle pacche sulle spalle, Peres ha baciato Condi, si sono sentiti una quantità di reciproci complimenti: alla conferenza stampa a casa del premier è stato riaffermato l'impegno per la pace entro il 2008 deciso ad Annapolis, la necessità di sacrifici consistenti e, da parte di Bush, la fiducia in Abu Mazen e Olmert. Notevoli il reiterato impegno di Bush a legare il tema della pace con quello della lotta al terrorismo, un apprezzamento diretto della bravura di Israele a lottare e restare democratica, la descrizione decisa della crudeltà di chi uccide innocenti, donne e bambini, per perseguire scopi fanatici e insensati. Bush ha ribadito, alla vigilia di un giro che lo porta in Paesi nessuno dei quali è democratico, nell'individuazione della democrazia il bene supremo e portatore di pace per il mondo arabo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Premiata l'ambasciatrice dell'Olp in Ue (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)

I conflitti mediorientali, le persecuzioni razziali e religiose: è il filo rosso del Premio Nonino 2008, che sarà assegnato il 26 gennaio a Percoto (Udine) alla palestinese Leila Shahid (foto), la rappresentante dell'Olp in Europa che da sempre si batte per la pace in Palestina, e a La Maison Des Journalistes di Parigi, "casa" per 130 cronisti costretti a fuggire dal proprio paese (Turchia,Camerun, Algeria, Haiti, Birmania). Home Interni Esteri prec succ Contenuti correlati Nuove aule, tornano a scuola gli alunni della "Volpicelli" Premiata la banca Garigliano PARMA Uccide il nonno a colpi di fucile Una semplice lite ... VIA CESARE LAURENTI Ennesimo colpo ... Colpo d'occhio Rieti, primo colpo in trasferta La Giuria, composta tra gli altri da Ermanno Olmi e dal Nobel Naipaul, premierà anche due scrittori: l' irlandese William Trevor e il vietnamita Nguyen Huy Thiep. 10/01/2008.

 

 

 

 

 

 

 

 

Non scordiamoci che loro vogliono dominare il mondo pag.1 (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Non scordiamoci che loro vogliono dominare il mondo di Redazione - giovedì 10 gennaio 2008, 07:00 L'islam detesta la donna, nel senso che la donna può vivere solamente rinchiusa, segregata, priva di qualunque strumento di emancipazione. Ne abbiamo avuto la dimostrazione anche in Italia e in tutto il resto d'Europa negli ultimi anni. Qualsiasi donna, qualsiasi ragazza che, educata secondo i principi europei, abbia tentato la sorte, ha rischiato la vita, torture, botte, e qualche volta è stata ammazzata. Qualsiasi seria documentazione ampia e minuziosa può ricostruire la deriva dagli anni del pieno funzionamento del dialogo euro-arabo alle scelte perverse più recenti sul piano della politica estera: una ideologia antisemita e antisionista, la demonizzazione di Israele e degli Stati Uniti, lo sdoganamento del terrorismo islamico e di Yasser Arafat, fino alle recenti leggende metropolitane e ai tentativi di bugie sull'attentato dell'11 settembre e su quelli che sono seguiti a Madrid e a Londra. Questa politica naturalmente ha condotto e conduce alla mancata integrazione degli immigrati musulmani e al proliferare di cellule terroriste islamiche in tutto il continente europeo. Tutto questo si può dire in semplicità e crudezza nelle parole di una dizionario. Basta leggerlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Storica visita in Cisgiordania Bush a colloquio con Abbas (sezione: Israele/Palestina)

( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)

Mobile email stampa IL VIAGGIO IN MEDIO ORIENTE Storica visita in Cisgiordania Bush a colloquio con Abbas All'indomani dell'incontro con il primo ministro israeliano Ehud Olmert il Presidente americano è arrivato in Cisgiordania tra imponenti misure di sicurezza Home prec succ Contenuti correlati Il viaggio di Bush in Medio Oriente Jenna Bush chiama il padre durante uno show tv Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Al Qaeda: "Accogliete Bush con le bombe" Divieto di legiferare sulla riduzione ai gas inquinanti Schwarzenegger fa causa all'amministrazione Bush Il presidente scarta un cappotto La first lady trova una borsetta Bush scrive al leader Kim Jong II Ramallah, 10 gennaio 2008 - Il presidente americano George W. Bush è arrivato a Ramallah, in Cisgiordania, per colloqui con il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il premier Salam Fayyad, all'indomani dell'incontro con il primo ministro israeliano Ehud Olmert. Tra imponenti misure di sicurezza il capo della Casa Bianca, giunto in auto a causa della nebbia che ha impedito l'uso dell'elicottero, è stato accolto da un picchetto militare e da Abbas su un tappeto rosso. Bush è il secondo presidente americano in carica a recarsi nei territori, dopo la visita di Bill Clinton nel 1998.

 

 

 

 

 

 

 

 

Senza titolo. pag.1 (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush da Abu Mazen: "Israele e Palestina due Stati per la pace" di Redazione - giovedì 10 gennaio 2008, 10:49 Fatah: "Nessun motivo di ottimismo" "Non abbiamo alcun motivo di ottimismo": lo ha detto Sufian Abu Zaida, un dirigente di al-Fatah, mentre a Ramallah (Cisgiordania) è in corso l'incontro fra il presidente dell'Anp e il presidente Usa. Lo scetticismo dei palestinesi, secondo Abu Zaida, si basa anche sulla conferenza stampa di ieri a Gerusalemme "in cui il premier israeliano Ehud Olmert ha confermato che la espansione dei rioni ebraici a Gerusalemme est proseguirà". Per realizzare progressi, questo il parere di Abu Zaida, è necessario che "su israeliani e palestinesi siano esercitate pressioni massicce: non perchè i rispettivi leader non abbiano buona volontà, ma perchè i problemi sono troppo complessi per poter essere risolti senza un deciso intervento dall'esterno". Da Olmert nuove prove minacce dell'Iran Informazioni molto aggiornate sulla "minaccia nucleare iraniana" sono state inoltrate al presidente statunitense dal premier israeliano Ehud Olmert ieri, durante il loro prolungato incontro a quattr'occhi. Lo scrivono oggi i quotidiani israeliani Yediot Ahronot e Maariv, secondo cui Bush si è rafforzato nella persuasione che l'Iran rappresenti una pericolo per la pace nel mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush in Israele: "Iran, se provocati risponderemo" di Fiamma Nirenstein - giovedì 10 gennaio 2008, 0... (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush in Israele: "Iran, se provocati risponderemo" di Fiamma Nirenstein - giovedì 10 gennaio 2008, 09:21 Due leader determinati a cercare una pace perigliosa, ma che non si dimenticano per un attimo del terrorismo come nemico principale: questo è stato ieri l'impatto fra Bush e Olmert e la loro comune promessa. Pace e lotta alla jihad, anche a quella iraniana. In più tre sorprese e quattro diversi sfondi. George W. Bush è arrivato in Israele verso mezzogiorno sospendendo il respiro stesso della nazione legata all'America da tutti i fili più fragili e importanti: la democrazia, la resistenza al terrorismo, il senso del confine, la palestra bellica... Gerusalemme era silente e nebbiosa, niente auto, i negozi e le scuole chiusi, solo migliaia di poliziotti e gli uomini della sicurezza americana nei dintorni dell'Hotel King David. I teatri: il primo quello dei sorrisi, del jet lag che chiude gli occhi della Rice seduta, l'ossessivo lavoro della sicurezza, le cravatte di Olmert, Peres e Bush e i tailleur pantalone di Tzipi Livni e di Condi. Il secondo: bandiere israeliane e americane in fiamme, dimostrazioni di Hamas a Gaza, slogan furiosi per mettere in difficoltà Abu Mazen. Il terzo teatro: Sderot, disperata in un giorno terribile, con gli altoparlanti che gridano "colore rosso", la parola d'ordine che preannuncia i missili kassam. Ne sono stati sparati dieci da Gaza: un ferito, case distrutte, urli di sirene, madri in lacrime che corrono di qua e di là con neonati senza rifugio. Il quarto: due incursioni dell'esercito israeliano per bloccare l'attacco, due nidi di missili distrutti a Gaza e due morti. Shimon Peres prima, e poi Olmert con Bush sono arrivati quasi alle pacche sulle spalle, Peres ha baciato Condi, si sono sentiti una quantità di reciproci complimenti: alla conferenza stampa a casa del premier è stato riaffermato l'impegno per la pace entro il 2008 deciso ad Annapolis, la necessità di sacrifici consistenti e, da parte di Bush, la fiducia in Abu Mazen e Olmert. Notevoli il reiterato impegno di Bush a legare il tema della pace con quello della lotta al terrorismo, un apprezzamento diretto della bravura di Israele a lottare e restare democratica, la descrizione decisa della crudeltà di chi uccide innocenti, donne e bambini, per perseguire scopi fanatici e insensati. Bush ha ribadito, alla vigilia di un giro che lo porta in Paesi nessuno dei quali è democratico, nell'individuazione della democrazia il bene supremo e portatore di pace per il mondo arabo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush da Abu Mazen: "Israele e Palestina due Stati per la pace" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Di Redazione - giovedì 10 gennaio 2008, 10:49 Ramallah - Il presidente americano George W. Bush è arrivato questa mattina a Ramallah per incontrare il corrispettivo palestinese Abu Mazen. Tra imponenti misure di sicurezza il capo della Casa Bianca, giunto in auto a causa della nebbia che ha impedito l'uso dell'elicottero, è stato accolto da un picchetto militare e da Abbas su un tappeto rosso. Bush è il secondo presidente americano in carica a recarsi nei territori, dopo la visita di Bill Clinton nel 1998. Si tratta della prima visita di un presidente Usa alla sede del governo dell'Anp. Come riporta la stampa israeliana, Bush ha precedentemente visto presso l'hotel King David di Gerusalemme dove alloggia il leader dell'opposizione Benjamin Netanyahu e i figli dell'ex premier Ariel Sharon, Omri e Gilad. Due Stati per la pace Il presidente George W. Bush ha detto oggi a Ramallah, in Cisgiordania, che sia il premier israeliano Ehud Olmert sia il presidente palestinese Abu Mazen comprendono l'importanza di due stati democratici che vivano in pace l'uno a fianco dell'altro. "Un accordo di pace fra israeliani e palestinesi - continua Bush - verrà firmato entro la fine del mio mandato, che scade nel gennaio del 2009". In precedenza lo stesso auspicio era stato espresso dal presidente palestinese Abu Mazen. "La pace è una opzione strategica per i palestinesi" ha aggiunto il presidente dell'Anp. "Il mio governo sta adottando passi concreti verso l'istituzione di un regime democratico, in vista della costituzione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est per capitale". Visita a Betlemme Tremila agenti di sicurezza, palestinesi e statunitensi, hanno preso posizione nel centro di Betlemme (Cisgiordania) e lungo la principale arteria di ingresso in attesa della visita del presidente Bush, prevista nel primo pomeriggio. Ancora non è noto se Bush arriverà a bordo di un convoglio di limousine blindate oppure in elicottero. Secondo il programma ad attendere l'ospite nella Piazza della Mangiatoia ci saranno il governatore di Betlemme Salah Taamri e il ministro del turismo Kouloud Daibes. Bush visiterà la Basilica della Natività dove, a quanto pare, si raccoglierà in preghiera. Dopo di che farà ritorno a Gerusalemme.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush in Israele: "Iran, se provocati risponderemo" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Di Fiamma Nirenstein - giovedì 10 gennaio 2008, 09:21 Due leader determinati a cercare una pace perigliosa, ma che non si dimenticano per un attimo del terrorismo come nemico principale: questo è stato ieri l'impatto fra Bush e Olmert e la loro comune promessa. Pace e lotta alla jihad, anche a quella iraniana. In più tre sorprese e quattro diversi sfondi. George W. Bush è arrivato in Israele verso mezzogiorno sospendendo il respiro stesso della nazione legata all'America da tutti i fili più fragili e importanti: la democrazia, la resistenza al terrorismo, il senso del confine, la palestra bellica... Gerusalemme era silente e nebbiosa, niente auto, i negozi e le scuole chiusi, solo migliaia di poliziotti e gli uomini della sicurezza americana nei dintorni dell'Hotel King David. I teatri: il primo quello dei sorrisi, del jet lag che chiude gli occhi della Rice seduta, l'ossessivo lavoro della sicurezza, le cravatte di Olmert, Peres e Bush e i tailleur pantalone di Tzipi Livni e di Condi. Il secondo: bandiere israeliane e americane in fiamme, dimostrazioni di Hamas a Gaza, slogan furiosi per mettere in difficoltà Abu Mazen. Il terzo teatro: Sderot, disperata in un giorno terribile, con gli altoparlanti che gridano "colore rosso", la parola d'ordine che preannuncia i missili kassam. Ne sono stati sparati dieci da Gaza: un ferito, case distrutte, urli di sirene, madri in lacrime che corrono di qua e di là con neonati senza rifugio. Il quarto: due incursioni dell'esercito israeliano per bloccare l'attacco, due nidi di missili distrutti a Gaza e due morti. Shimon Peres prima, e poi Olmert con Bush sono arrivati quasi alle pacche sulle spalle, Peres ha baciato Condi, si sono sentiti una quantità di reciproci complimenti: alla conferenza stampa a casa del premier è stato riaffermato l'impegno per la pace entro il 2008 deciso ad Annapolis, la necessità di sacrifici consistenti e, da parte di Bush, la fiducia in Abu Mazen e Olmert. Notevoli il reiterato impegno di Bush a legare il tema della pace con quello della lotta al terrorismo, un apprezzamento diretto della bravura di Israele a lottare e restare democratica, la descrizione decisa della crudeltà di chi uccide innocenti, donne e bambini, per perseguire scopi fanatici e insensati. Bush ha ribadito, alla vigilia di un giro che lo porta in Paesi nessuno dei quali è democratico, nell'individuazione della democrazia il bene supremo e portatore di pace per il mondo arabo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush da Abu Mazen: "Israele e Palestina due Stati per la pace" di Redazione - giovedì 10 gennaio 200... (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush da Abu Mazen: "Israele e Palestina due Stati per la pace" di Redazione - giovedì 10 gennaio 2008, 10:49 Ramallah - Il presidente americano George W. Bush è arrivato questa mattina a Ramallah per incontrare il corrispettivo palestinese Abu Mazen. Tra imponenti misure di sicurezza il capo della Casa Bianca, giunto in auto a causa della nebbia che ha impedito l'uso dell'elicottero, è stato accolto da un picchetto militare e da Abbas su un tappeto rosso. Bush è il secondo presidente americano in carica a recarsi nei territori, dopo la visita di Bill Clinton nel 1998. Si tratta della prima visita di un presidente Usa alla sede del governo dell'Anp. Come riporta la stampa israeliana, Bush ha precedentemente visto presso l'hotel King David di Gerusalemme dove alloggia il leader dell'opposizione Benjamin Netanyahu e i figli dell'ex premier Ariel Sharon, Omri e Gilad. Due Stati per la pace Il presidente George W. Bush ha detto oggi a Ramallah, in Cisgiordania, che sia il premier israeliano Ehud Olmert sia il presidente palestinese Abu Mazen comprendono l'importanza di due stati democratici che vivano in pace l'uno a fianco dell'altro. "Un accordo di pace fra israeliani e palestinesi - continua Bush - verrà firmato entro la fine del mio mandato, che scade nel gennaio del 2009". In precedenza lo stesso auspicio era stato espresso dal presidente palestinese Abu Mazen. "La pace è una opzione strategica per i palestinesi" ha aggiunto il presidente dell'Anp. "Il mio governo sta adottando passi concreti verso l'istituzione di un regime democratico, in vista della costituzione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est per capitale". Visita a Betlemme Tremila agenti di sicurezza, palestinesi e statunitensi, hanno preso posizione nel centro di Betlemme (Cisgiordania) e lungo la principale arteria di ingresso in attesa della visita del presidente Bush, prevista nel primo pomeriggio. Ancora non è noto se Bush arriverà a bordo di un convoglio di limousine blindate oppure in elicottero. Secondo il programma ad attendere l'ospite nella Piazza della Mangiatoia ci saranno il governatore di Betlemme Salah Taamri e il ministro del turismo Kouloud Daibes. Bush visiterà la Basilica della Natività dove, a quanto pare, si raccoglierà in preghiera. Dopo di che farà ritorno a Gerusalemme.

 

 

 

 

 

 

 

 

La pace incastrata nelle scatole cinesi (sezione: Israele/Palestina)

( da "Tempo, Il" del 10-01-2008)

La visita del Presidente statunitense George W. Bush in Israele e nei Territori palestinesi segna un punto molto alto nei buoni rapporti tra l'Amministrazione americana ed Israele. Home prec succ Contenuti correlati Bush in Israele, razzi dal Libano Sale la tensione Razzi in Israele Il Libano smentisce John Voice A pochi giorni da un viaggio del presidente ... "Non lasciamo cadere il grido di allarme del Presidente di ... Sabatini nuovo presidente di "Molise acque" GOVERNO Meritiamo di meglio Il presidente ... Il Presidente della Repubblica israeliana, Shimon Peres, non ha esitato ad accogliere il collega americano sostenendo che il suo viaggio rappresenta "il momento della verità per la pace in Medio Oriente". è ovvio che durante la visita saranno discusse questioni centrali per la pace e per la nascita dello Stato palestinese: i confini, gli insediamenti ebraici, lo status di Gerusalemme ed il ritorno dei profughi palestinesi, ma è la questione iraniana il secondo importantissimo tema che Bush dovrà affrontare. Il Presidente americano ha una grande aspirazione: quella di creare "un sentiero per la pace" che Israele sia disposto a percorrere; le dichiarazioni di Olmert non lasciano molto spazio a trattative americane con l'ostico Iran. La politica statunitense definita ad Annapolis, con il concorso di molte diplomazie, tra le quali si è particolarmente distinta quella italiana, si fonda sull'assoluta volontà di far sì che i prossimi dodici mesi siano testimoni di quel passaggio epocale che conduce dall'attuale tregua alla pace; il che è possibile con una iniziativa a più voci. La determinazione della Casa Bianca è evidente e, dopo la lunga guerra - ancora in corso - contro il terrorismo in Afghanistan ed in Iraq, i consiglieri di Bush vogliono proclamare che la pace è un bel fiore che può essere colto ed offerto per il benessere dei popoli, ma in questo straordinario e pericoloso viaggio del Presidente americano devono essere affrontati ancora molti, troppi ostacoli. La pace in Terra Santa non è prescindibile dalla distensione in tutta la regione e non è possibile coinvolgere i protagonisti (gli Hezbollah libanesi, i militanti di Hamas nella striscia di Gaza, gli oltranzisti sunniti in Iraq, i siriani, gli iraniani) senza un rafforzamento del processo di dialogo a più voci aperto ad Annapolis. Nessuno può contestare il ruolo-guida della superpotenza statunitense, un ruolo necessario ma non sufficiente. Oggi a Ramallah e a Betlemme il Presidente americano rischia di essere attaccato dai terroristi di al Qaeda o da una moltitudine di disperati. è certamente un atto di coraggio il suo ed un atto di fiducia verso Abu Mazen, il presidente palestinese che duramente si è opposto ad Hamas, ma è anche il segno di quanto sia delicata la fibra della tela che dovrebbe in dodici mesi stabilizzare la pace. La storia, non solo quella recente, ci ha dimostrato che non è possibile gestire la pace senza la partecipazione di tutti gli attori. Eccessive dichiarazioni ottimistiche rischiano di aggravare la situazione e, forse, si dovrebbe essere soddisfatti se da questo viaggio si potessero ricavare nuove e rafforzate ragioni di intesa tra Israele e palestinesi, aiutati dagli Stati Uniti. L'Unione Europea, nel caso, deve essere pronta ad offrire i suoi buoni uffici. Giuseppe Scanni 10/01/2008 Sondaggi sbagliati, ma solo per la Clinton.

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima volta di Bush in Israele, 'Iran minaccia per la pace' (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.115 del 10/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Esteri Dal Libano lancio di razzi contro Israele Prima volta di Bush in Israele, "Iran minaccia per la pace" Soluzione della questione israelo-palestinese entro gennaio 2009 Tel Aviv, 10 gen.- “L'Iran è stato una minaccia, è una minaccia e sarà una minaccia se la comunità internazionale non coopererà”. è un duro attacco quello che George W. Bush lancia contro Teheran, durante la sua prima visita in Israele da presidente degli Stati Uniti, consapevole che la questione iraniana è la chiave di volta per arrivare ad una soluzione duratura dei conflitti in Medio Oriente. Durante la conferenza stampa che è seguita al suo incontro con il premier israeliano, Ehud Olmert, Bush ha ricordato che il problema del nucleare rimane cruciale nel rapporto con l'Iran: “Un Paese che ha avuto un programma segreto – ha affermato - può facilmente riavviarlo segretamente. Un Paese che può arricchire l'uranio per scopi civili può facilmente trasferire quelle conoscenze in un programma militare”. L'Iran, inoltre, si configura come uno degli ostacoli alla soluzione del conflitto israelo-palestinese. Riferendosi alle dichiarazioni attribuite al presidente iraniano Ahmadinejad, che avrebbe auspicato la cancellazione di Israele dalle carte geografiche, Bush ha affermato: “Un Paese che ha fatto dichiarazioni come quelle riguardo al nostro amico Israele è un Paese che deve essere preso sul serio e la comunità internazionale deve capire bene quale minaccia rappresenta l'Iran alla pace mondiale”. Nel suo discorso, Bush ha parlato anche dello scontro navale che si è sfiorato domenica in acque internazionali nello Stretto di Ormuz, tra navi da guerra statunitensi e lance dei pasdaran iraniani, che secondo molti sarebbe da interpretare come un tentativo di alzare la tensione proprio in vista della visita del presidente in Medio Oriente. Bush ha minacciato “gravi conseguenze” se dovesse esserci un attacco di Teheran alle navi Usa, in quanto verranno applicate tutte le misure necessarie “per proteggere i nostri interessi”. Ma quanto accaduto nello Stretto di Ormuz non è l'unico “avvertimento” lanciato a Bush alla vigilia del suo arrivo in Medio Oriente. Anche l'attentato che si è registrato martedì a Beirut, nel quale sono rimasti feriti due caschi blu irlandesi e un civile, sarebbe riconducibile alla visita del presidente statunitense. E, per l'occasione, anche Hezbollah è tornato a lanciare razzi contro Israele, i primi dalla fine della guerra, un anno e mezzo fa. Sostenitori di Hamas, invece, hanno manifestato contro Bush a Gaza, mentre il Comitato di resistenza popolare, uno dei gruppi armati che operano nella Striscia, ha fatto sapere che i lanci di razzi compiuti ieri mattina dal nord della Striscia verso Israele “sono il nostro personale messaggio per l'arrivo del presidente americano”. Riguardo alla questione israelo-palestinese, l'obiettivo di Bush in questa missione è quello di consolidare quanto stabilito ad Annapolis lo scorso novembre, quando israeliani e palestinesi si sono impegnati ad arrivare ad un accordo di pace entro gennaio 2009, quando scadrà il mandato del presidente Usa. Si tratta, ha affermato, di un'”opportunità storica” per il Medio Oriente di combattere il terrorismo, e si è detto certo che il primo ministro israeliano e il presidente palestinese stiano facendo sul serio. Da sottolineare, comunque, che Bush ha parlato di uno “stato ebraico”, mentre i palestinesi rifiutano di riconoscerlo come tale, sostenendo che in questo modo ai rifugiati palestinesi verrebbe negato il diritto di fare ritorno alle loro case che si trovano nel territorio di Israele. L'agenda della missione di Bush in Medio Oriente prevede, dopo il meeting con i leader israeliani, altre tappe per incontrare i leader degli altri paesi della regione che dovranno essere coinvolti nel processo di pace e che dovranno appoggiare gli Usa contro la minaccia iraniana. Oggi il presidente statunitense sarà in Cisgiordania, prima a Ramallah per incontrare il presidente Abu Mazen e poi a Betlemme per visitare la Basilica della Natività; quindi proseguirà la sua visita nei prossimi giorni in Kuait, Bahrein, Emirati Arabi, Arabia Saudita ed Egitto, e tornerà a Washington il 16 gennaio. In ogni caso, come sottolinea il quotidiano israeliano Ha'aretz, da questa missione in Medio Oriente non bisogna aspettarsi alcuna concessione da parte degli Stati Uniti, dal momento che nessuna di queste questioni è stata dibattuta preliminarmente. La visita serve solo a creare un'atmosfera positiva e a dimostrare il coinvolgimento di Washington nel processo di pace, ma perché si faccia concretamente qualcosa (“il regalo d'addio del presidente”, lo definiscono gli analisti del giornale) bisognerà attendere l'anniversario dei sessant'anni dalla nascita di Israele, in occasione del quale Bush tornerà a Tel Aviv. Simone Storti simone.storti@voceditalia.it.

 

 

 

 

 

 

 

 

Iran e Arabia Sudidita, due paesi in continuo avvicinamento (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.115 del 10/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Esteri Iran e Arabia Sudidita, due paesi in continuo avvicinamento Per quanto concerne Teheran una visita al maggiore avversario nella lotta per la leadership regionale, l'Arabia Saudita, puo' costituire un metodo efficace per allargare il proprio bacino di consenso all'intera umma musulmana e per incrementare cosi' il ruolo di riferimento che il regime degli Ayatollah mira di svolgere nel Medio Oriente Milano, 10 gen.- La partecipazione di qualche settimana fa del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad alle celebrazioni religiose per l'Haji, il sacro pellegrinaggio dei musulmani alla Mecca, ha senza dubbio aggiunto un ulteriore elemento di analisi nella complessa storia dei rapporti tra Iran e Arabia Saudita, una storia fatta di momenti tragici, come l'Haji del 1987 in cui persero la vita 402 pellegrini iraniani, così come di inattesi rilanci, proprio come quello a cui, secondo molti analisti, stiamo attualmente assistendo. Per spiegare le ragioni del recente avvicinamento, testimoniato dai tre incontri al vertice svoltisi tra le leadership iraniane e saudite a partire dall'entrata in carica del presidente Ahmadinejad, è sicuramente utile il ricorso a motivazioni squisitamente interne: entrambi i regimi hanno continua necessità di incrementare la propria legittimità e un miglioramento dei rapporti con l'antagonista degli ultimi decenni, ottenendo effetti molto positivi a riguardo. Per quanto concerne Teheran, il parziale fallimento delle promesse populiste sta costringendo ormai da tempo il presidente ultra-conservatore a ricercare il sostegno della propria popolazione con una crescita del proprio attivismo in politica estera, un intento che ben si sposa con quello di aumentare il proprio ascendente nel mondo islamico nel caso della lotta contro il Piccolo Satana Israele e il Grande Satana Stati Uniti. In questo contesto una visita al maggiore avversario nella lotta per la leadership regionale, l'Arabia Saudita, può costituire un metodo efficace per allargare il proprio bacino di consenso all'intera umma musulmana e per incrementare così il ruolo di riferimento che il regime degli Ayatollah mira di svolgere nel Medio Oriente. Per Riad è invece centrale l'effetto che un simile avvicinamento può avere sulla nutrita comunità sciita presente in Arabia Saudita, che, pur costituendo una porzione variabile dal 5 al 20% della popolazione, diventa la componente maggioritaria nelle regioni orientali ricche di petrolio, con una percentuale che cresce fino al 75%; per le autorità saudite l'apertura a Teheran, soprattutto in occasione di una festività religiosa, costituisce un prezioso strumento per ribadire le basi comuni tra mondo sunnita e sciita e quindi la sostanziale unità confessionale all'interno dell'Islam. Oltre alle motivazioni interne, non mancano ragioni di collaborazione sotto il profilo regionale: Iran e Arabia Saudita sono uniti nell'impegno della lotta ad Al Qaeda e, sebbene da parte di entrambi non manchino spazi di ambiguità nei propri rapporti con alcuni settori del terrorismo, soprattutto nelle zone più delicate come l'Iraq, la battaglia comune contro le derive estremiste e anti-sistemiche è da anni nelle agende sia di Riad che di Teheran. Lo stesso vale per l'antagonismo contro ogni soluzione del conflitto arabo-israeliano che non rispetti le rivendicazioni dei Palestinesi, anche se in questo caso le posizioni del presidente iraniano si sono sempre contraddistinte per un atteggiamento molto più oltranzista rispetto a quelle della monarchia saudita. I segnali di avvicinamento tra i due paesi non sminuiscono, però, l'importanza dei fattori di conflittualità che permangono tra loro: Riad e Teheran continuano a costituire i maggiori poli di attrazione del mondo islamico, una situazione che li pone ipso facto su una strada di inevitabile conflittualità. A ciò si aggiunge il fatto che Iran e Arabia Saudita hanno una posizione diversa rispetto ad alcuni dei principali teatri di tensione a livello regionale, primo tra i quali il Libano: con riferimento al paese dei cedri, Riad non ha mai nascosto una sostanziale convergenza di interessi rispetto a Washington, nonché un sostegno ai cristiani maroniti in opposizione al fronte filo-siriano e a Hizbullah. In occasione della guerra dell'agosto 2006 tra Israele e Hizbullah le autorità saudite, si unirono a quelle giordane e egiziane per condannare le iniziative del gruppo sciita libanese e per ribadire, come era già avvenuto in occasione della Risoluzione Onu 1559, il proprio sostegno al disarmo di Hizbullah. Appare chiaro come, in questa occasione la posizione saudita abbia rispecchiato i timori reali di alcuni governi arabi della crescente influenza iraniana nella regione nonché l'ambizione saudita di indebolire la presa siriana sul Libano e di riportare così Damasco nel fronte dei paesi arabi, rompendo la sua alleanza con Teheran. Diverso è il caso dell'Iraq dove Riad sta cercando di individuare un proprio spazio di azione, soprattutto sotto il profilo diplomatico distinto da quello di Washington, sebbene a oggi i risultati di queste iniziative siano stati ancora piuttosto modesti. Alla luce di questi segnali apparentemente contraddittori, gli innegabili passi in avanti nelle relazioni tra Iran e Arabia Saudita non devono essere sminuiti quanto piuttosto interpretati come iniziative atte a delineare con maggiore chiarezza i rapporti di forza tra i due competitori regionali che, riconosciutisi tali e riconosciuti alcuni degli interessi comuni, come la lotta al terrorismo o la regionalizzazione della risoluzione del conflitto in Iraq, hanno intrapreso un percorso di maggior dialogo, un percorso ulteriormente incentivato e favorito dalla fase di attivismo diplomatico che i due paesi stanno attraversando in questi ultimi anni. Resta da vedere se le iniziative assunte da Teheran e Riad contribuiranno ad accelerare lo scontro tra le loro ambizioni regionali o, al contrario, costituiranno le basi per una forma di distensione, con effetti positivi nei principali scenari di tensione regionali, primo tra i quali il conflitto arabo-israeliano nonché nella lotta contro il nemico comune Al Qaeda. Claudia Castiglioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima volta di Bush in Israele, "Iran minaccia per la pace" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Voce d'Italia, La" del 10-01-2008)

La Voce d'Italia - nuova edizione anno II n.115 del 10/01/2008 Home Cronaca Politica Esteri Economia Scienze Spettacolo Cultura Sport Focus Esteri Dal Libano lancio di razzi contro Israele Prima volta di Bush in Israele, "Iran minaccia per la pace" Soluzione della questione israelo-palestinese entro gennaio 2009 Tel Aviv, 10 gen.- “L'Iran è stato una minaccia, è una minaccia e sarà una minaccia se la comunità internazionale non coopererà”. è un duro attacco quello che George W. Bush lancia contro Teheran, durante la sua prima visita in Israele da presidente degli Stati Uniti, consapevole che la questione iraniana è la chiave di volta per arrivare ad una soluzione duratura dei conflitti in Medio Oriente. Durante la conferenza stampa che è seguita al suo incontro con il premier israeliano, Ehud Olmert, Bush ha ricordato che il problema del nucleare rimane cruciale nel rapporto con l'Iran: “Un Paese che ha avuto un programma segreto – ha affermato - può facilmente riavviarlo segretamente. Un Paese che può arricchire l'uranio per scopi civili può facilmente trasferire quelle conoscenze in un programma militare”. L'Iran, inoltre, si configura come uno degli ostacoli alla soluzione del conflitto israelo-palestinese. Riferendosi alle dichiarazioni attribuite al presidente iraniano Ahmadinejad, che avrebbe auspicato la cancellazione di Israele dalle carte geografiche, Bush ha affermato: “Un Paese che ha fatto dichiarazioni come quelle riguardo al nostro amico Israele è un Paese che deve essere preso sul serio e la comunità internazionale deve capire bene quale minaccia rappresenta l'Iran alla pace mondiale”. Nel suo discorso, Bush ha parlato anche dello scontro navale che si è sfiorato domenica in acque internazionali nello Stretto di Ormuz, tra navi da guerra statunitensi e lance dei pasdaran iraniani, che secondo molti sarebbe da interpretare come un tentativo di alzare la tensione proprio in vista della visita del presidente in Medio Oriente. Bush ha minacciato “gravi conseguenze” se dovesse esserci un attacco di Teheran alle navi Usa, in quanto verranno applicate tutte le misure necessarie “per proteggere i nostri interessi”. Ma quanto accaduto nello Stretto di Ormuz non è l'unico “avvertimento” lanciato a Bush alla vigilia del suo arrivo in Medio Oriente. Anche l'attentato che si è registrato martedì a Beirut, nel quale sono rimasti feriti due caschi blu irlandesi e un civile, sarebbe riconducibile alla visita del presidente statunitense. E, per l'occasione, anche Hezbollah è tornato a lanciare razzi contro Israele, i primi dalla fine della guerra, un anno e mezzo fa. Sostenitori di Hamas, invece, hanno manifestato contro Bush a Gaza, mentre il Comitato di resistenza popolare, uno dei gruppi armati che operano nella Striscia, ha fatto sapere che i lanci di razzi compiuti ieri mattina dal nord della Striscia verso Israele “sono il nostro personale messaggio per l'arrivo del presidente americano”. Riguardo alla questione israelo-palestinese, l'obiettivo di Bush in questa missione è quello di consolidare quanto stabilito ad Annapolis lo scorso novembre, quando israeliani e palestinesi si sono impegnati ad arrivare ad un accordo di pace entro gennaio 2009, quando scadrà il mandato del presidente Usa. Si tratta, ha affermato, di un'”opportunità storica” per il Medio Oriente di combattere il terrorismo, e si è detto certo che il primo ministro israeliano e il presidente palestinese stiano facendo sul serio. Da sottolineare, comunque, che Bush ha parlato di uno “stato ebraico”, mentre i palestinesi rifiutano di riconoscerlo come tale, sostenendo che in questo modo ai rifugiati palestinesi verrebbe negato il diritto di fare ritorno alle loro case che si trovano nel territorio di Israele. L'agenda della missione di Bush in Medio Oriente prevede, dopo il meeting con i leader israeliani, altre tappe per incontrare i leader degli altri paesi della regione che dovranno essere coinvolti nel processo di pace e che dovranno appoggiare gli Usa contro la minaccia iraniana. Oggi il presidente statunitense sarà in Cisgiordania, prima a Ramallah per incontrare il presidente Abu Mazen e poi a Betlemme per visitare la Basilica della Natività; quindi proseguirà la sua visita nei prossimi giorni in Kuait, Bahrein, Emirati Arabi, Arabia Saudita ed Egitto, e tornerà a Washington il 16 gennaio. In ogni caso, come sottolinea il quotidiano israeliano Ha'aretz, da questa missione in Medio Oriente non bisogna aspettarsi alcuna concessione da parte degli Stati Uniti, dal momento che nessuna di queste questioni è stata dibattuta preliminarmente. La visita serve solo a creare un'atmosfera positiva e a dimostrare il coinvolgimento di Washington nel processo di pace, ma perché si faccia concretamente qualcosa (“il regalo d'addio del presidente”, lo definiscono gli analisti del giornale) bisognerà attendere l'anniversario dei sessant'anni dalla nascita di Israele, in occasione del quale Bush tornerà a Tel Aviv. Simone Storti simone.storti@voceditalia.it.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)

Mobile email stampa IL VIAGGIO IN MEDIO ORIENTE Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" All'indomani dell'incontro con il primo ministro israeliano Ehud Olmert il Presidente americano è arrivato in Cisgiordania tra imponenti misure di sicurezza Home Esteri prec succ Contenuti correlati Il viaggio di Bush in Medio Oriente Jenna Bush chiama il padre durante uno show tv Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Al Qaeda: "Accogliete Bush con le bombe" Divieto di legiferare sulla riduzione ai gas inquinanti Schwarzenegger fa causa all'amministrazione Bush Il presidente scarta un cappotto La first lady trova una borsetta Bush scrive al leader Kim Jong II Ramallah, 10 gennaio 2008 - Il presidente americano George W. Bush è arrivato a Ramallah, in Cisgiordania, per colloqui con il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il premier Salam Fayyad, all'indomani dell'incontro con il primo ministro israeliano Ehud Olmert. Tra imponenti misure di sicurezza il capo della Casa Bianca, giunto in auto a causa della nebbia che ha impedito l'uso dell'elicottero, è stato accolto da un picchetto militare e da Abbas su un tappeto rosso. Bush è il secondo presidente americano in carica a recarsi nei territori, dopo la visita di Bill Clinton nel 1998. Il presidente americano George Bush ha detto oggi di credere che l'accordo di pace tra israeliani e palestinesi verrà firmato prima della fine del suo mandato. Il presidente americano ha risposto alle domande dei giornalisti nel corso di una conferenza stampa congiunta tenuta con il presidente palestinese Mahmoud Abbas dopo i colloqui a Ramallah. Gli americani "sono molto impegnati" nei negoziati di pace, ha affermato il leader della Casa Bianca, che si è poi detto "fiducioso del fatto che con l'aiuto necessario, lo stato palestinese emergerà... ". Quanto agli insediamenti in Cisgiordania, Bush ha detto che "le parti hanno ognuna i propri obblighi che le derivano dalla Road Map...abbiamo manifestato le nostre preoccupazioni sull'ampliamento degli insediamenti". La Road Map prevede che Israele fermi l'espansione degli insediamenti nella prima fase e che i palestinesi rafforzino la sicurezza per contrastare il terrorismo: "Credo che le forze di sicurezza palestinesi stiano migliorando. Il mio messaggio agli israeliani è che dovrebbero aiutare, non ostacolare, la modernizzazione delle forze di sicurezza palestinesi", ha affermato Bush. Il viaggio di Bush in Medio Oriente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" (sezione: Israele/Palestina)

( da "Quotidiano.net" del 10-01-2008)

Mobile email stampa IL VIAGGIO IN MEDIO ORIENTE Bush a colloquio con Abbas "Pace entro la fine del mio mandato" All'indomani dell'incontro con il primo ministro israeliano Ehud Olmert il Presidente americano è arrivato in Cisgiordania tra imponenti misure di sicurezza Home prec succ Contenuti correlati Il viaggio di Bush in Medio Oriente Jenna Bush chiama il padre durante uno show tv Il presidente Bush in Israele: "Teheran è una minaccia per la pace mondiale" Al Qaeda: "Accogliete Bush con le bombe" Divieto di legiferare sulla riduzione ai gas inquinanti Schwarzenegger fa causa all'amministrazione Bush Il presidente scarta un cappotto La first lady trova una borsetta Bush scrive al leader Kim Jong II Ramallah, 10 gennaio 2008 - Il presidente americano George W. Bush è arrivato a Ramallah, in Cisgiordania, per colloqui con il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il premier Salam Fayyad, all'indomani dell'incontro con il primo ministro israeliano Ehud Olmert. Tra imponenti misure di sicurezza il capo della Casa Bianca, giunto in auto a causa della nebbia che ha impedito l'uso dell'elicottero, è stato accolto da un picchetto militare e da Abbas su un tappeto rosso. Bush è il secondo presidente americano in carica a recarsi nei territori, dopo la visita di Bill Clinton nel 1998. Il presidente americano George Bush ha detto oggi di credere che l'accordo di pace tra israeliani e palestinesi verrà firmato prima della fine del suo mandato. Il presidente americano ha risposto alle domande dei giornalisti nel corso di una conferenza stampa congiunta tenuta con il presidente palestinese Mahmoud Abbas dopo i colloqui a Ramallah. Gli americani "sono molto impegnati" nei negoziati di pace, ha affermato il leader della Casa Bianca, che si è poi detto "fiducioso del fatto che con l'aiuto necessario, lo stato palestinese emergerà... ". Quanto agli insediamenti in Cisgiordania, Bush ha detto che "le parti hanno ognuna i propri obblighi che le derivano dalla Road Map...abbiamo manifestato le nostre preoccupazioni sull'ampliamento degli insediamenti". La Road Map prevede che Israele fermi l'espansione degli insediamenti nella prima fase e che i palestinesi rafforzino la sicurezza per contrastare il terrorismo: "Credo che le forze di sicurezza palestinesi stiano migliorando. Il mio messaggio agli israeliani è che dovrebbero aiutare, non ostacolare, la modernizzazione delle forze di sicurezza palestinesi", ha affermato Bush. Il viaggio di Bush in Medio Oriente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Da Gerusalemme il sì alla moratoria sull'aborto dei pro life israeliani (sezione: Israele/Palestina)

( da "Foglio, Il" del 10-01-2008)

16.000 bambini oggi sono vivi grazie alla sua organizzazione Efrat. "Necessario prevenire aborti dopo l'Olocausto" Roma. "Il mio sì alla vostra moratoria è in nome della santificazione della vita che è parte della storia del popolo ebraico". Il chirurgo Eli Schussheim è un eroe in Israele. Dirige da vent'anni la più grande organizzazione antiabortista. Si chiama "Efrat". Quando il faraone ordinò l'uccisione di tutti i nuovi nati ebrei, disse alle levatrici: "Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere". Le levatrici disubbidirono: "Non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono vivere i bambini". Una di loro, Miriam, che era anche sorella di Mosè, acquisì così il nome di Efrat, che risale all'espressione ebraica "pru u'revu", il precetto "siate fecondi e moltiplicatevi". "Efrat svolge lo stesso ruolo in Israele che ebbe Miriam in Egitto" ci dice Schussheim, che ha combattuto nella guerra dei Sei giorni del 1967 e in quella di Yom Kippur del 1973. "Sono medico chirurgo e salvavo vite umane in Argentina. Sono arrivato in Israele nel 1964 e dopo che la Knesset legalizzò l'aborto, decisi di battermi contro di esso tramite una organizzazione che aiutasse le donne a tenere i loro figli. Molte madri sono state convinte dalla nostra organizzazione a non abortire. Nessuna di loro oggi si pente di averli salvati da un aborto che sembrava inevitabile. Abbiamo aiutato a far nascere 16 mila bambini". Ruti Tidhar, l'infaticabile guida degli oltre duemila volontari dell'organizzazione Efrat, parla di "restaurare il diritto di scegliere la vita". Uno dei fondatori, Tzvi Binn, dice che lavorano per una "aliayh interna", una emigrazione dei non nati dall'estinzione verso la vita. (10/01/2008).

 

 

 

 

 

 

 

 

Un'asse dei sunniti per la vita di Israele (sezione: Israele/Palestina)

( da "Opinione, L'" del 10-01-2008)

Oggi è Gio, 10 Gen 2008 Edizione 6 del 10-01-2008 Lo scopo di Bush in Medio Oriente: far riconoscere lo Stato ebraico dai regimi musulmani sunniti Un'asse dei sunniti per la vita di Israele di Federico Punzi George W. Bush è da ieri a Tel Aviv per la sua prima visita in Medio Oriente da quando è presidente. Oggi si recherà in Cisgiordania, a Ramallah, per incontrare il presidente palestinese Abu Mazen. All'ordine del giorno il negoziato di pace tra israeliani e palestinesi rilanciato dalla conferenza di Annapolis. Le difficoltà dell'impresa sono emblematicamente rappresentate dai katiusha sparati dal Libano, per la prima volta dopo un anno e mezzo, e dal fitto lancio di razzi Qassam da Gaza che ieri hanno salutato Bush al suo arrivo. Negli ultimi due anni e mezzo, dopo il ritiro dalla Striscia di Gaza, caduta nelle mani di Hamas, si calcola che ben 9280 missili abbiano colpito il territorio israeliano. E' il principale problema di sicurezza per Israele, senza risolvere il quale, osservava ieri il quotidiano israeliano Ha'aretz, è impensabile un ritiro dalla Cisgiordania. La visita di Bush in effetti si svolge "in un momento nel quale né il vento della sicurezza né quello della politica sembrano soffiare a suo favore", conclude Ha'aretz. Tuttavia Annapolis, di conseguenza, va vista sotto una luce diversa rispetto alle molte che l'hanno preceduta. Il conflitto israelo-palestinese non è più considerato a Washington come la madre di tutti i conflitti in Medio Oriente, risolto il quale ogni cosa andrebbe al suo posto. Viceversa, altre situazioni sono di ostacolo a una pace duratura tra israeliani e palestinesi: su tutte, le ambizioni egemoniche di Iran e Siria e il riconoscimento di Israele da parte degli Stati arabi. Non bisogna quindi commettere l'errore di giudicare il percorso avviato ad Annapolis secondo i criteri delle altre "road map". Certo, la conferenza in sé è stata poco più di una "photo opportunity", ma mai così politicamente significativa. Tutti sono dovuti andare ad Annapolis, persino la Siria, per non rimanere isolati come l'Iran. Per quanto riguarda i negoziati diretti, i principali ostacoli sono sempre costituiti dalla sicurezza di Israele e dalle questioni dello status di Gerusalemme e del rientro dei profughi palestinesi. Attraverso i profughi, Al Fatah si prefigge da sempre di negare di fatto il carattere ebraico di Israele, una sorta di via demografica alla distruzione del nemico. Ma Bush sa bene che oltre a incoraggiare i negoziati diretti, ci sono altri obiettivi che possono risultare determinanti. Per questo, più che concentrarci sui risultati delle visite del presidente Usa a Tel Aviv e a Ramallah, che avranno più che altro "lo scopo di creare un'atmosfera positiva e dimostrare il coinvolgimento della Casa Bianca", faremmo bene a guardare alle altre tappe della missione, che si concluderà il 16 gennaio dopo aver toccato Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto. L'obiettivo primario è il consolidamento di quell"alleanza" che Washington sta faticosamente cercando di comporre tra paesi sunniti ? dall'Arabia Saudita agli Emirati, dall'Egitto al Pakistan ? e Occidente per il contenimento delle ambizioni egemoniche dell'Iran sull'intera regione. Quella "cortina sunnita", che contrastando la minaccia iraniana dovrebbe favorire un accordo tra israeliani e palestinesi, è però ben lungi dall'essere compatta. Eppure, è una carta che non può non essere giocata. Ai palestinesi uno stato in cambio della rinuncia al terrorismo. Ai paesi arabi sunniti Bush offre di aiutarli a difendersi dall'Iran in cambio del riconoscimento di Israele. Il successo o meno della visita di Bush e degli sforzi di questo 2008 dovrà quindi essere misurato non tanto, o solo, sui progressi tra israeliani e palestinesi, ma nel consolidamento e l'efficacia di quell"alleanza". La fragilità di Abu Mazen in Cisgiordania, l'instabilità libanese e pakistana, l'ambiguità dei paesi arabi più influenti, come Egitto e Arabia Saudita, sono fattori che non aiutano. La stessa provocazione iraniana nello stretto di Hormuz, nei giorni scorsi, ha il sapore di una minaccia agli interlocutori degli Stati Uniti. Convincere gli stati arabi, Arabia Saudita ed Egitto in testa, a riconoscere ? nonostante i sicuri contraccolpi islamisti sul piano interno ? il diritto degli ebrei in quanto tali ad avere uno stato in Palestina, sarà impresa durissima. Ma senza questo riconoscimento l'insuccesso è assicurato. Il carattere irrazionale e fanatico dei regimi arabi ci rende perplessi circa la possibilità che sul nodo centrale del carattere ebraico di Israele facciano prevalere considerazioni di realpolitik, ma le condizioni favorevoli per un tentativo ci sono.

 

 

 

 

 

 

 

 

Intervista a Gianadrea Gaiani / Il Libano? Come Napoli, ma più in grande (sezione: Israele/Palestina)

( da "Opinione, L'" del 10-01-2008)

Oggi è Gio, 10 Gen 2008 Edizione 6 del 10-01-2008 Intervista a Gianadrea Gaiani / Il Libano? Come Napoli, ma più in grande di Elisa Borghi Il Libano come Napoli? Gianandrea Gaiani, direttore della cliccatissima rivista online analisidifesa.it, sostiene che sia proprio così. E commentando la bollente situazione del Paese dei Cedri - sempre più controllato da Hezbollah - e della missione Unifil dell'Onu lì dislocata, si spinge in un ardito paragone. Non passa giorno senza che dal Libano partano razzi o missili diretti contro Israele. Martedì un veicolo dell'Unifil, la missione che dovrebbe fare da cuscinetto fra Hezbollah e lo stato ebraico, è stato investito dall'esplosione di una bomba e due soldati irlandesi sono rimasti feriti. Perché i militari dell'Onu non riescono a portare la pace come dovrebbero? Perché alla missione Unifil mancano gli strumenti, anche se le truppe ci sono. In Libano è come a Napoli. A Napoli ci sono più di mille spazzini che non possono lavorare perché non sanno dove portare il pattume, in Libano ci sono 12mila soldati che non possono operare come si deve perché non possono bloccare un veicolo per vedere cosa trasporta, né vedere i documenti delle persone, e quando scoprono case, bunker o rifugi dove è sospetta la presenza di depositi di armi di Hezbollah i caschi blu non possono ispezionarli ma devono avvertire i soldati libanesi che, se vogliono, vanno a controllare e se non vogliono non ci vanno, visto che loro hanno la piena sovranità. E finora non è mai successo o non è stato mai reso noto che i libanesi abbiano effettuato un controllo richiesto dai soldati Onu o abbiano sequestrato armi degli Hezbollah. La prima missione Unifil venne schierata nel 1978, dopo trent'anni di insuccessi perché lasciare ancora i caschi blu sul terreno? La missione ha un significato politico, quello di creare una forza che separi i contendenti: Hezbollah da una parte, Israele dall'altra. È vero che la missione non riesce e non è mai riuscita prima, ma oggi Unifil non ha più i 2000 uomini dell'anno scorso, bensì dodicimila - dodicimila! - che non hanno nessuna possibilità operativa. Questa missione avrebbe un senso se fosse rimasta con gli standard numerici precedenti, duemila persone che fanno quello che possono e riportano quello che vedono. Quando si schiera una divisione abbondante, con mezzi pesanti, o questa forza ha delle regole di ingaggio e un mandato Onu che le permetta di svolgere un ruolo veramente operativo, oppure è una tigre di carta che non fa altro che aumentare il numero di potenziali ostaggi e bersagli. Perché l'Italia ha deciso di intervenire così massicciamente in Libano? Io credo che per l'Italia, la Francia e la Spagna l'Unifil abbia costituito un alibi per evitare di inviare i rinforzi numericamente consistenti richiesti dalla Nato in Afghanistan. Abbiamo preferito mandare 2600 soldati in Libano a non fare nulla, in modo da poter dire: non chiedeteci truppe per altri fronti. Quella libanese ha il vantaggio di essere una missione Onu, e se scoppia un conflitto tra Israele ed Hezbollah l'Onu per non perdere la faccia si può anche defilare. Esclude dunque che questa possa diventare una missione ad alto rischio per i militari italiani? No, lo può diventare se aumentano gli attentati come quello contro gli spagnoli, che sono il contingente più attivo nel ricercare i nascondigli di armi che Hezbollah mantiene nel Sud. Quell'attentato non lo ha fatto Hezbollah, ma milizie che come Hezbollah e quelle di Al Qaeda sono legate alla Siria. L'intelligence siriano controlla il Libano meridionale tramite queste forze, dunque gli attentati sono un avvertimento. Un avvertimento? Hezollah ha ricostruito le sue linee militari, con le postazioni di lancio di razzi a lunga gittata fornitegli dall'Iran, appena a Nord del fiume Litani, cioé appena oltre la zona controllata dai caschi blu. Ma per tirare la gran parte dei loro razzi, i Katiuscia che hanno 25 chilometri di raggio d'azione, i miliziani devono cominciare a portare queste armi nel Sud, cioè nel settore dell'Onu. Forse gli attentati servono a intimidire i caschi blu, a dirgli: non guardatevi troppo intorno perché noi ci stiamo muovendo. Gli attacchi dimostrano inoltre che i caschi blu sono inutili. Se sono lì per impedire che la guerra ricominci, il lancio di razzi che può portare Israele a rispondere alle provocazioni trasforma l'Onu da una forza di interposizione a una forza che si trova in mezzo a due che si sparano addosso. Quindi tutti a casa? O la missione dell'Onu assume un vero senso, cioé un ruolo attivo o diventa il potenziale bersaglio di chiunque.

 

 

 

 

 

 

 

 

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)

Più che alle ideologie progressiste di origine europea a cui gli americani sono autenticamente refrattari è a un pragmatico processo di revisione che periodicamente rimette tutto in gioco e in discussione che gli americani affidano il loro futuro e il loro progresso. Per i piccoli atti della vita quotidiana come per le grandi problematiche sociali la capacità di cambiare e di adattarsi a situazioni mutevoli è stato uno degli elementi che durante tutto il ventesimo secolo ha permesso all'America di mantenere la leadership mondiale, non solo quella politica e militare, ma anche quella economica e culturale. Il cambiamento è parte del Dna americano e specie in una fase di grandi trasformazioni esterne come quella attuale, la capacità del Paese di adeguarvisi deciderà del suo ruolo nei prossimi vent'anni. Di cambiamento si continuerà quindi a parlare nel corso della campagna elettorale e sarà interessante seguirne gli sviluppi via via che esso si misurerà e si confronterà con i problemi reali, quelli della società e della politica internazionale. E tuttavia, accanto alla voglia e alla necessità di cambiare resta per una potenza mondiale come l'America l'obbligo di continuità e di conferma per le proprie posizioni, i propri interessi e per gli impegni assunti nei confronti degli alleati. Così mentre il dibattito delle primarie sta entrando nella sua fase più accesa, il presidente Bush arriva in Israele per affrontare l'ultimo (del suo mandato) tentativo di trovare una soluzione al più lungo conflitto della nostra epoca. È difficile che quel tentativo abbia successo. La situazione in Iraq, pur con i progressi degli ultimi mesi, rimane senza una prospettiva precisa, così in Afghanistan, tenuto sotto scacco dalla crisi pachistana. Continua, e pure episodicamente si accresce, la tensione con l'Iran. Nello sfondo restano le grandi sfide, quelle dei Paesi emergenti, Cina e India, della Russia con i nuovi programmi spaziali, quelli dell'ambiente e dell'energia e quelli dei nuovi squilibri nella finanza internazionale. Nessuno di questi problemi potrà essere affrontato e risolto dall'attuale presidenza nei pochi mesi che rimangono e nonostante la ben nota ambizione di Bush di lasciare un'impronta nella storia è probabile che essi verranno trasmessi alla prossima amministrazione più o meno nel loro stato attuale salvo imprevedibili sviluppi. L'attuale campagna elettorale riporta per alcune sue caratteristiche a quella del 1968, quando l'amministrazione del repubblicano Richard Nixon ereditò la crisi vietnamita e non solo, dall'amministrazione democratica di Lindon Johnson. Anche durante quella campagna condotta sotto la spinta della situazione vietnamita e della cultura di sinistra che aveva prevalso durante tutto un decennio, si parlò molto di cambiamento. Poi, grazie alla leadership di un presidente che, pur con tutti i limiti personali che emergeranno dalla crisi del Watergate, ben conosceva i meccanismi della politica internazionale, e la guida di un grande segretario di Stato come Henry Kissinger, prevarrà una politica che, pur smobilitando posizioni impossibili da conservare, riuscirà a mantenere la sostanza degli equilibri internazionali nel quadro di una delle fasi più delicate della Guerra fredda. Oggi la situazione è più complessa e data la moltiplicazione degli attori più difficili sono gli equilibri da mantenere, ma la posta in gioco non è meno importante. Nel rispetto della fisiologia di un grande sistema democratico come quello americano, è bene che il dibattito elettorale si svolga nel modo più ampio e più libero, è anzi augurabile che esso si allarghi a temi che fino ad oggi sembrano essere rimasti periferici come quelli dell'economia e della finanza internazionale decisivi per il futuro del potere mondiale. Ma alla fine è augurabile che la strada della Casa Bianca si apra per colui, democratico o repubblicano, nero o bianco, uomo o donna, che sappia coniugare l'ansia di cambiamento che percorre la società americana con il rispetto di quella continuità di obiettivi e di programmi che permettano all'America e ai suoi alleati di continuare a svolgere nel mondo quella missione di pace e di progresso che, pur con tutte le contraddizioni, ha illuminato la nostra epoca. Giuseppe Mammarella.

 

 

 

 

 

 

 

 

BUSH: L'IRAN MINACCIA LA PACE MONDIALE (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)

LA MISSIONE Bush: "L'Iran minaccia la pace mondiale" Incontro con Olmert "Opportunità storica" Oggi vede Abu Mazen nell'ex sede di Arafat CRISTIANO DEL RICCIO Gerusalemme. È giunto in Israele per cogliere la "opportunità storica" di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Ma il presidente Bush, nel primo giorno del suo ambizioso viaggio in Medio Oriente, si ritrova ad agitare la sciabola nei confronti dell'Iran, ammonendo Teheran, dopo l'incidente di domenica nello Stretto di Hormuz, che vi saranno "serie conseguenze" in caso di nuove provocazioni contro le navi Usa . "L'Iran continua ad essere una minaccia per la pace mondiale - afferma Bush nella sua conferenza stampa congiunta col premier israeliano Ehud Olmert -. Il mio consiglio a Teheran è di non continuare in questi attacchi provocatori: non fatelo più". La gamma delle "serie conseguenze" non è precisata ma Bush sottolinea che "tutte le opzioni" sono sul tavolo. Poco prima la Casa Bianca aveva già ammonito l'Iran "a non scherzare col fuoco". Facendo sapere che erano pronte nuove sanzioni contro la brigata iraniana Qods (l'elite della Guardia Rivoluzionaria) per avere fomentato la violenza in Iraq. Lo scopo principale della visita, la prima di Bush in Israele da presidente, rischia quasi di passare in secondo piano. Anche se l'inquilino della Casa Bianca ha spiegato che esiste una "opportunità storica" per arrivare ad un accordo di pace e per "diffondere la libertà in Medio Oriente". Al suo fianco il premier Olmert ribadisce che Israele "non deve perdere questa opportunità" ed afferma di essere disposto "a quelle difficili decisioni" inevitabilmente legate ad un accordo di tale portata. Ma esistono dei limiti ben precisi, mette in risalto Olmert: non possono essere tollerati lanci di razzi da parte di Hamas, dalla striscia di Gaza, contro israeliani innocenti. "Non ci sarà pace finchè il terrorismo non cesserà - ha detto Olmert - e finchè continuerà il terrorismo a Gaza sarà difficile giungere ad un accordo con i palestinesi". Razzi sono partiti in serie anche ieri dai territori di Hamas. La reazione israeliana è stata immediata con una rappresaglia militare che ha provocato la morte di tre persone, fra cui due civili. Oggi il presidente Bush si reca in Cisgiordania per incontrare a Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen. Nel suo primo commento, appena giunto in Israele, nella cerimonia di benvenuto all'aeroporto di Tel Aviv, Bush aveva affermato che l'alleanza tra Stati Uniti e Israele garantisce sicurezza al Paese come "Stato ebraico". È una espressione vigorosamente respinta dai palestinesi perchè chiude di fatto la porta ad un ritorno dei profughi palestinesi (e dei loro discendenti) costretti ad evacuare la regione quando venne creato Israele: ormai quattro milioni di persone che rappresentano uno dei maggiori problemi da risolvere tra le due parti. Hamas ha reagito immediatamente: "Questo equivale a stabilire un regime di apartheid nella nostra regione ai danni della popolazione palestinese". A Gaza alcune migliaia di attivisti di Hamas hanno manifestato sventolando immagini di Bush ritratto come un vampiro che succhia sangue musulmano. A Gerusalemme sono stati dislocati dalle autorità di Tel Aviv oltre 10.000 agenti per proteggere la sicurezza di Bush. Il presidente americano ha fatto impegnare Olmert ed il palestinese Abu Mazen a fare tutto il possibile per raggiungere uno storico accordo di pace "entro il 2008". Ma esiste molto scetticismo in Medio Oriente (e non solo qui) sulla possibilità che questa promessa possa tradursi in realtà. Tra gli scopi del viaggio di Bush c'è quello di convincere i maggiori alleati arabi degli Usa a dare il loro sostegno al negoziato di pace tra israeliani e palestinesi e a coordinare le iniziative per bloccare la aggressività iraniana nella regione.

 

 

 

 

 

 

 

 

NEL GOLFO UNA PROVOCAZIONE DI TEHERAN (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)

"Nel Golfo una provocazione di Teheran" Gerusalemme. È ancora l'Iran al centro delle preoccupazioni del presidente americano. Nella cerimonia di benvenuto all'aeroporto il presidente israeliano Shimon Peres aveva detto che "bisogna fermare la pazzia di Iran, Hamas ed Hezbollah: l'Iran non deve sottovalutare la determinazione di Israele a difendersi". L'Iran è balzato al primo posto dei colloqui dopo l'incidente diplomatico scoppiato fra navi militari iraniane e americane in pattugliamento del Golgo. Lo scambio di accuse non si placa, anzi è accentuato dalla diffusione di un video girato da una delle navi statunitensi la cui autenticità è stata subito negata da Teheran: "Una goffa falsificazione" montata nel vano tentativo di "instillare in altri Paesi la paura dell'Iran". Così le autorità iraniane hanno definito il video mostrato dal Pentagono a sostegno della versione americana di un contatto tra unità navali Usa e motovedette iraniane avvenuto domenica nello Stretto di Hormuz. Il ministro della Difesa iraniano, Mostafa Mohammad Najjar, ha ribadito le affermazioni già fatte nei giorni scorsi da altri dirigenti di Teheran, secondo le quali ciò che ha avuto luogo è stato un "normale" controllo effettuato dai Pasdaran (Guardiani della rivoluzione) dell'identità delle navi americane in transito. Ma gli Stati Uniti hanno riaffermato l'intento provocatorio e aggressivo degli equipaggi della Repubblica islamica e hanno lanciato un nuovo duro monito. "Devono fare molta attenzione, perchè se ciò avvenisse di nuovo, dovranno subire le conseguenze di un tale incidente", ha detto Stephen Hadley, consigliere per la sicurezza del presidente George W. Bush. Hadley parlava durante il viaggio che portava lui e Bush in Israele, che ha citato tra i suoi principali obiettivi quello di arginare l'influenza iraniana nella regione. E lo stesso Bush, prima di partire martedì da Washington, aveva definito "un atto provocatorio" il comportamento degli iraniani. Il video, ha detto Washington, è stato ripreso dal ponte della nave americana Hopper, che transitava nello Stretto di Hormuz insieme ad altre due unità, la Port Royal e la Ingraham. Le immagini mostrano alcune imbarcazioni veloci, che non portano insegne o bandiere, mentre si avvicinano e girano intorno alle tre unità Usa. Poi una voce che il Pentagono attribuisce ad un iraniano grida in inglese con un forte accento straniero la minaccia di far saltare in aria le navi. Secondo un alto ufficiale iraniano, si tratta di "una falsificazione così goffa che le immagini e le voci del video non sono nemmeno sincronizzate". Il presidente americano George Bush riceve dal premier israeliano Ehud Olmert una maglietta con i colori di Israele A destra, il presidente iraniano Ahmadinejad.

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PRIMO VIAGGIO DEL PRESIDENTE IN ISRAELE: IN AGENDA LA MINACCIA NUCLEARE E GLI OSTACOLI AL PROCESSO DI PACE (sezione: Israele/Palestina)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 10-01-2008)

Il primo viaggio del presidente in Israele: in agenda la minaccia nucleare e gli ostacoli al processo di pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush da Abu Mazen: Israele e Palestina, presto la pace (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Di Redazione - giovedì 10 gennaio 2008, 17:21 Ramallah - Il presidente americano George W. Bush è arrivato questa mattina a Ramallah per incontrare il corrispettivo palestinese Abu Mazen. Tra imponenti misure di sicurezza il capo della Casa Bianca, giunto in auto a causa della nebbia che ha impedito l'uso dell'elicottero, è stato accolto da un picchetto militare e da Abbas su un tappeto rosso. Bush è il secondo presidente americano in carica a recarsi nei territori, dopo la visita di Bill Clinton nel 1998. Si tratta della prima visita di un presidente Usa alla sede del governo dell'Anp. Come riporta la stampa israeliana, Bush ha precedentemente visto presso l'hotel King David di Gerusalemme dove alloggia il leader dell'opposizione Benjamin Netanyahu e i figli dell'ex premier Ariel Sharon, Omri e Gilad. Due Stati per la pace Bush ha detto oggi a Ramallah, in Cisgiordania, che sia il premier israeliano Olmert sia il presidente palestinese Abu Mazen comprendono l'importanza di due stati democratici che vivano in pace l'uno a fianco dell'altro. "Un accordo di pace fra israeliani e palestinesi - continua Bush - verrà firmato entro la fine del mio mandato, che scade nel gennaio del 2009". In precedenza lo stesso auspicio era stato espresso dal presidente palestinese Abu Mazen. "La pace è una opzione strategica per i palestinesi" ha aggiunto il presidente dell'Anp. "Il mio governo sta adottando passi concreti verso l'istituzione di un regime democratico, in vista della costituzione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est per capitale". "Via i posti di blocco israeliani" "La visione ultima è di non avere più posti di blocco nel territorio palestinese, e questo potrà accadere quando sarà creato uno Stato. Ho sentito che anche il capo dei mediatori palestinesi ha passato molte ore bloccato ai posti di blocco - ha proseguito Bush - e io capisco questa frustrazione. Ma la sicurezza di uno Stato è essenziale, e quindi capisco anche il bisogno degli israeliani di sentirsi sicuri. I posti di blocco - ha concluso Bush - rispecchiano la realtà, e noi stiamo lavorando per modificare questa realtà".

 

 

 

 

 

 

 

 

Bush da Abu Mazen: Israele e Palestina, presto la pace pag.1 (sezione: Israele/Palestina)

( da "Giornale.it, Il" del 10-01-2008)

Bush da Abu Mazen: Israele e Palestina, presto la pace di Redazione - giovedì 10 gennaio 2008, 17:21 Visita a Betlemme Tremila agenti di sicurezza, palestinesi e statunitensi, hanno preso posizione nel centro di Betlemme (Cisgiordania) e lungo la principale arteria di ingresso in attesa della visita del presidente Bush, prevista nel primo pomeriggio. Ancora non è noto se Bush arriverà a bordo di un convoglio di limousine blindate oppure in elicottero. Secondo il programma ad attendere l'ospite nella Piazza della Mangiatoia ci saranno il governatore di Betlemme Salah Taamri e il ministro del turismo Kouloud Daibes. Bush visiterà la Basilica della Natività dove, a quanto pare, si raccoglierà in preghiera. Dopo di che farà ritorno a Gerusalemme. Fatah: "Nessun motivo di ottimismo" "Non abbiamo alcun motivo di ottimismo": lo ha detto Sufian Abu Zaida, un dirigente di al-Fatah, mentre a Ramallah (Cisgiordania) è in corso l'incontro fra il presidente dell'Anp e il presidente Usa. Lo scetticismo dei palestinesi, secondo Abu Zaida, si basa anche sulla conferenza stampa di ieri a Gerusalemme "in cui il premier israeliano Ehud Olmert ha confermato che la espansione dei rioni ebraici a Gerusalemme est proseguirà". Per realizzare progressi, questo il parere di Abu Zaida, è necessario che "su israeliani e palestinesi siano esercitate pressioni massicce: non perchè i rispettivi leader non abbiano buona volontà, ma perchè i problemi sono troppo complessi per poter essere risolti senza un deciso intervento dall'esterno". Da Olmert nuove prove minacce dell'Iran Informazioni molto aggiornate sulla "minaccia nucleare iraniana" sono state inoltrate al presidente statunitense dal premier israeliano Ehud Olmert ieri, durante il loro prolungato incontro a quattr'occhi. Lo scrivono oggi i quotidiani israeliani Yediot Ahronot e Maariv, secondo cui Bush si è rafforzato nella persuasione che l'Iran rappresenti una pericolo per la pace nel mondo.