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Report "Obama"    16-19 APRILE 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Obama

La svolta nucleare ( da "Stampa, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama nel suo discorso a Praga il 5 aprile scorso ha creato una storica finestra di opportunità che è responsabilità di tutti cercare di cogliere. L'entrata in vigore del Ctbt, il Trattato contro gli esperimenti nucleari, e l'avvio del negoziato per un Trattato che proibisca in maniera verificabile la produzione di materiale fissile sono i punti di partenza di qualsiasi credibile

Sassi sulle studentesse ( da "Stampa, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nel momento in cui Teheran cerca nuovi spazi di manovra e vuole sfruttare al massimo le aperture di Obama. Il grande gioco questa volta prevede un aiuto da parte dell'Iran a stabilizzare il vicino di casa e a isolare i taleban (che sono sunniti) irriducibili. In cambio l'Iran potrebbe ottenere un primo riconoscimento a «potenza regionale» a cui tiene strenuamente.

Il giovane Gandhi dorme fra i paria e conquista l'India ( da "Stampa, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 38enne Rahul guida il Congresso alle elezioni presentandosi come una sorta di nuovo Obama Gli avversari induisti del Bjp puntano sull'odio per l'Islam «La nostra è la terra di Rama» VALERIA FRASCHETTI AMETHI (India) Appena il Suv blindato appare sulla strada sterrata, abituata a carri e trattori, il grido si riverbera sui campi di grano: «Lunga vita a Sonia, lunga vita a Rahul».

La Casa Bianca: riveleremo tutti i segreti delle banche ( da "Stampa, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: pubblici per evitare voci incontrollate [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK L'amministrazione di Barack Obama è pronta a rivelare i segreti sullo stato di salute delle banche. Il governo americano valuta l'opzione di rendere noti alcuni «dettagli sensibili» degli stress-test condotti di recente sulle 19 principali istituzioni finanziarie statunitensi.

"Chrysler in bilico i sindacati devono accettare i tagli" ( da "Stampa, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: auto preferito dal presidente Obama è pronto a indossare anche la casacca di Ceo di Chrysler. Lui la mette così: «I titoli a me importano fino a un certo punto. Quello che conta è fare il necessario per risanare l'azienda e io sono disponibile a tutto pur di riuscirci». E, come dice anche in un'intervista al canadese Globe And Mail,

Non basta l'Ipo di Skype Per premiare i suoi azionisti eBay deve vendere Paypal ( da "Stampa, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama sono stati molto riservati sulla questione di porre fine all'assistenza del governo a Fannie and Freddie, nota come tutela. Con il governo che detiene warrant per l'80% delle loro azioni ed entrambe le società che continuano a dichiarare forti perdite, è improbabile che siano in grado di liberarsi in un prossimo futuro.

la ferrari perde la battaglia dei diffusori ( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina Cerasuolo mensurati e zaino GUIDO RAMPOLDI FEDERICO RAMPINI Lo sport La storia Il reportage India, il voto più lungo del mondo La Ferrari perde la battaglia dei diffusori Kabul, il mullah che vuole mediare tra Obama e Taliban

il mondo islamico e la svolta di obama - jean daniel ( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il suo eroe Mustafa Kemal è stato comparato ad Abraham Lincoln da Barack Obama, che li vede entrambi come liberatori. Questi i temi presenti nei discorsi, notevoli per profondità di pensiero, tenuti da Barack Obama davanti al parlamento turco e in occasione della sua visita alla moschea di Santa Sofia. Il successore di George W.

"un fondo per la filiera dell'auto" ( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: force del presidente Usa Barack Obama e appena una il ministro italiano delle Attività produttive, Claudio Scajola». Anche dall´altra parte della barricata, quella degli imprenditori, suona lo stesso disco, anche se i problemi sono diversi: «Le nostre aziende continuano a denunciare i ritardi dei pagamenti sia di chi è a capo della filiera che della Pubblica amministrazione.

detenuto chiama tv "così mi torturano" ( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: raccontando in diretta gli abusi subiti nella prigione creata dall´amministrazione Bush che Barack Obama ha promesso di chiudere. Mohammed al Gharani, catturato a 14 anni, ha detto ai carcerieri che intendeva telefonare a uno zio: si è invece messo in contatto con la rete qatariota a cui ha raccontato di esser stato picchiato con bastoni e di avere i denti rotti.

l'iran a obama: "presto un'offerta sul nucleare" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Esteri L´Iran a Obama: "Presto un´offerta sul nucleare" Ahmadinejad annuncia un pacchetto di proposte. La Corea del Nord espelle gli osservatori Usa Hillary Clinton frena: "Vogliamo il dialogo, ma finora non abbiamo visto alcuna novità" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - L´Iran annuncia «nuove proposte»,

"io, mediatore tra obama e i taliban" l'ultima missione del mullah zaeef - guido rampoldi kabul ( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: mediatore tra Obama e i Taliban" l´ultima missione del mullah Zaeef I tentativi di trattativa finora sono stati inconcludenti Ma col nuovo presidente le cose possono cambiare Tre i nodi principali per un possibile accordo con i combattenti: immunità, lavoro e sicurezza per chi deporrà le armi GUIDO RAMPOLDI KABUL dal nostro inviato Negoziare con i Taliban "

prezzi usa in calo, allarme deflazione e l'economia cinese rallenta ancora - elena polidori ( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: intravisti da Obama, nuovi dati dimostrano che nell´economia mondiale vi sono oggi, inevitabilmente, luci e ombre. Talvolta questo contrasto si registra anche all´interno dello stesso Paese. E´ il caso degli Usa dove c´è un´ombra costituita dall´inflazione che scende a marzo, su base annuale, dello 0,4%: è il primo ribasso da oltre cinquant´

il nuovo "tea-party" degli americani spaventa obama ( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: degli americani spaventa Obama Generali China Life è salita al primo posto nella classifica di febbraio degli assicuratori vita a partecipazione straniera operanti in Cina con una raccolta pari a 155 milioni di euro Negli Stati Uniti la scadenza delle tasse si è trasformata ieri in una giornata nazionale di protesta nelle strade e di fronte ai Parlamenti statali all´

( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: L'Amministrazione di Barack Obama negli Stati Uniti ha ridimensionato le attese: più che prefiggersi di democratizzare l'Afghanistan, come proclamava George W. Bush, punta a neutralizzare il terrorismo. Teme ripercussioni su diritti come quelli invocati nella manifestazione di ieri?

Obama sulla strada di Clinton Gli Usa studiano l'intervento>( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 12 Strategie Hillary annuncia un piano Obama sulla strada di Clinton Gli Usa studiano l'intervento WASHINGTON Potrebbe essere il battesimo del fuoco per il «Comando Africa». Una serie di attacchi per colpire a terra i pirati. La Casa Bianca potrebbe presto impartire l'ordine. E intanto il segretario di Stato Hillary Clinton annuncia misure politiche e tecniche.

Marchionne: mi dividerò tra Torino e Detroit ( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama è considerato dal mondo dell'auto come la vera garanzia passe-partout al matrimonio, l'accordo può pur sempre saltare: siamo nella fase più dura del gioco (dopo la trattativa con la task force della Casa Bianca), ed è l'amministratore delegato Fiat a dire senza mezzi termini che, se i sindacati americani e canadesi non accetteranno i previsti tagli al costo del lavoro,

repubblicani contro le tasse di Obama ( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: repubblicani contro le tasse di Obama Come la rivolta del tè che nel 1773 diede simbolicamente il via alla rivoluzione americana: la destra conservatrice statunitense ha organizzato centinaia di party per protestare contro le troppe tasse di Barack Obama. E lo ha fatto nel Tax Day, cioè la scadenza per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi.

Wal Mart: sarà a la geometria della crisi ( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: consigliere economico di Barack Obama), che proprio per combattere la spirale dei prezzi intervenne con decisione sui tassi d'interesse e sulla liquidità disponibile per il sistema. Ma se con una 'U' tutti (o quasi) gli economisti sono convinti che dovremo fare i conti, il vero incubo che si cerca di esorcizzare (e i piani di stimolo economico varati da molti paesi vanno in questo senso)

L'India, il gigante al voto e la tentazione della sinistra ( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama viene considerato di sinistra, allora forse anche l'America lo è. E nel resto del mondo? Non la Gran Bretagna, né la Francia o la Germania, e certamente non l'Italia. Oggi, però, un altro Paese si reca alle urne e il risultato elettorale potrebbe decretare una virata a sinistra, malgrado tutti i benefici sinora ricevuti dalla globalizzazione e dal capitalismo liberale per lo

Il governo tentato dalla tassa sui ricchi ( da "Stampa, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: non solo Barack Obama, ma anche il centro-destra francese. Se con l'aliquota del 2%, e sopra i 120.000 euro, l'una tantum frutterebbe circa 500 milioni. Sul tavolo del governo erano arrivate diverse ipotesi, anche più pesanti, con contributo a partire da 80.

[FIRMA]STEFANO LEPRI ROMA Una nuova tassa sui ricchi per finanziare l'intervento in Abruz... ( da "Stampa, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: non solo Barack Obama, ma anche il centro-destra francese. Se con l'aliquota del 2%, e sopra i 120.000 euro, l'una tantum frutterebbe circa 500 milioni. Sul tavolo del governo erano arrivate diverse ipotesi, anche più pesanti, con contributo a partire da 80.

Obama milionario grazie ai libri ( da "Stampaweb, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama punta tutto sull'educazione. Lui e la moglie Michelle, infatti, l'anno scorso hanno speso per l'istruzione delle figlie oltre 47mila dollari. E sono anche di più i soldi versati nei fondi di risparmio di Sasha e Malia. Gli Obama possono dare il meglio alle loro piccole soprattutto grazie ai ricavi prodotti con i libri scritti dal presidente.

Rosa Brooks, una liberal anti-guerra al Pentagono ( da "Stampaweb, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Per Barack Obama la risposta a questa apparentemente improbabile domanda è “sì”. Il presidente ha scelto Rosa Brooks, opinionista del Los Angeles Times ed esponente della sinistra radicale, come consigliere del sottosegretario alla Difesa Michèle Flournoy, forse uno dei più convinti sostenitori di politiche di difesa intransigenti e interventiste all?

Ferrovie, Obama lancia l'alta velocità ( da "Stampaweb, La" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: è la rivoluzione dei trasporti annunciata oggi dal presidente Barack Obama, secondo cui la Tav aiuterà gli Usa a ridurre il traffico e l?inquinamento atmosferico, oltre a costituire un buon risparmio energetico. Si tratterà, ha ammesso Obama, di «un progetto a lungo termine», ma appunto per questo, bisogna cominciare subito.

Usa, parte il treno di Obama "8 miliardi per l'alta velocità" ( da "Repubblica.it" del 16-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: il presidente Usa Barack Obama ha oggi annunciato un programma con l'obiettivo di colmare nei prossimi anni il ritardo statunitense nei confronti di paesi europei come Francia e Spagna, orientali come Cina e Giappone. "Abbiamo bisogno di un sistema di trasporto intelligente che risponda ai bisogni del Ventunesimo secolo", ha detto Obama alla Casa Bianca,

Obama in Messico, intesa sul clima "Insieme per l'energie pulita" ( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dichiarazione comune emessa durante la visita del presidente americano Barack Obama in Messico. Obama e il suo collega messicano Felipe Calderon si sono accordati per allargare la cooperazione economica e tecnica su questi temi istituendo quella che è stata definita "la cornice bilaterale Usa-Messico sull'energia pulita e sui cambiamenti climatici", si legge nella dichiarazione.

OBAMA MISSILI E SOGNI ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Arrigo Levi OBAMA MISSILI E SOGNI Si stanno tentando i primi bilanci del viaggio del presidente Obama in Europa, Turchia, ed anche Iraq. Qualcuno ha osservato, con qualche ragione, che la politica della «mano tesa» di Obama (verso i Paesi islamici, verso l'Iran, verso il mondo) non ha per ora avuto molto successo.

"Ricostruiremo senza nuove tasse" ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Da Barack Obama a José Zapatero: «Mi ha detto che c'è un Forte spagnolo, forse di quello si occuperà lui. E dove non arriveranno gli amici - spiega con piglio da ingegnere - interverrà lo Stato, appendendo nei cantieri le date di inizio e fine lavori».

Mimmo Càndito ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Parleranno anche di questo, Obama e Calderón, ma per il presidente americano il Rio Bravo sarà soprattutto un fiume da passare per ritrovare parole che possano essere ascoltate ben più lontano, fino alla lande estreme della Terra del Fuoco.

Obama alla guerra del Sud ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: consigliere di Obama per l'America Latina, spiega che gli obiettivi del viaggio nell'Emisfero Occidentale sono tre: «Affrontare assieme crisi economica, emergenza climatica e minacce alla sicurezza collettiva». In concreto significa che Obama cerca con Calderon una convergenza sui temi-chiave dell'approccio alla regione per arrivare con una piattaforma comune al summit delle Americhe,

La Casa Bianca dà l'immunità agli agenti Cia ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo ha assicurato il presidente Barack Obama in un comunicato che accompagna la pubblicazione di quattro memorandum dell'Amministrazione Bush sui metodi di interrogatorio ammessi nella guerra al terrorismo. Obama ha chiuso tutti i «siti neri», in Asia e nell'Europa dell'Est, e ha deciso la pubblicazione dei documenti segreti.

Il Texas: "Washington ladrona" ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama talmente agguerrito da rubare la scena all'opposizione repubblicana, ancora incapace di ritrovarsi attorno ad un leader davvero condiviso. Perry ha sfruttato la manifestazione del «tea party» anti-tasse svoltasi di fronte al municipio di Austin per far capire alla Casa Bianca che i texani non intendono accettare passivamente l'

ALESSANDRIA Novi Ligure AL VIA ECHOS Venerdi 17, alle 21,15, comincia nell'Oratorio de... ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barak Obama. L'accompagnano Dino Rubino (pianoforte), Riccardo Fioravanti (contrabbasso) e Stefano Bagnoli (batteria). Special guest Fabrizio Bosso (tromba). Inizio alle 20,45, info 0131-234.240. ASTI Moncalvo UNA NUOVA COMMEDIA Venerdì 17 e sabato 18 alle 21 al teatro comunale commedia «In stato di avanzata conservazione (lo sciopero dei becchini)

Carla Marino premiata per il ritratto di Obama ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: SAN LORENZO IN UNA GALLERIA DI MIAMI Carla Marino premiata per il ritratto di Obama SAN LORENZO AL MARE È nata a Finale ligure, vive a lavora a San Lorenzo al Mare, ma nasconde uno spirito «yankee». Carla Marino, pittrice di 56 anni, è stata premiata in America grazie a un quadro dal titolo «The Karma», che ritrae il nuovo presidente Barack Obama.

Il maestro del grissino che aveva sedotto Bush ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il suo «regno» Mauro l'ha chiamato «Camminata in montagna» per ricordare le peculiarità della sua zona, è aperto dalle 6 alle 22, tranne la domenica. Altri sogni? «Un laboratorio negli States». E chissà che non riesca a riallacciare i contatti con la Casa Bianca, dopo tutto Obama è un patito del cibo italiano...

Le elezioni Usa secondo Lotta Comunista ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: al Campus universitario di Legino, Palazzina Branca, aula B2 piano terra. Nel volume sono raccolti oltre 30 anni di studi sulla lotta politica negli Usa, attraversando l'elezione degli ultimi sei presidenti. Dall'analisi critica di stampo leninista non viene esclusa nemmeno la recenti elezione di Barack Obama.

[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK I sindacati dell'auto americani metto... ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama per supervisionare le ristrutturazioni di Detroit e in tale quota rientrerebbe anche il 15 per cento che Fiat potrebbe acquisire per raggiungere il tetto del 35 per cento. Sarebbero questi i dettagli dell'intesa che ruota attorno alla formazione di un consiglio di amministrazione di sette membri e una struttura al vertice che vedrebbe Marchionne nel ruolo di amministratore

[FIRMA]MARCO NEIROTTI INVIATO A L'AQUILA Poveri bambini. Inseguiti per tutta la mattina n... ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: anche se non è Obama e si dispiace di «non aver tempo di star qui ad abbronzarmi con voi». Alle signore consiglia di stare attente agli alpini che «sono peggio dei marinai». A tutti promette che finita l'estate «nessuno resterà nelle tende». Può accadere. Ieri sera tre sindaci spiegavano a proprietari di seconde case: «Se sarà necessario,

La svolta nucleare e la questione Trident Sono un accademico nel Regno Unito in vacanza in... ( da "Stampa, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama ancora non si è pronunciato sul futuro del sistema di difesa contro i missili balistici e di quello marittimo e specialmente sottomarino, che è caratterizzato dalla presenza di testate nucleari. Quanto al Regno Unito, una campagna è in corso ormai da qualche anno per impedire il rinnovo del deterrente nucleare attraverso la sostituzione del corrente meccanismo Trident.

AZIONISTI ( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: si stanno trasformando nei progetti operativi che Rattner e Bloom (gli esperti incaricati da Obama di trovare una soluzione) stanno proponendo alle banche creditrici e ai sindacalisti della Uaw. Se l'operazione funzionerà, negli Usa il modello Fiat-Chrysler potrebbe essere usato anche in altre situazioni di crisi affrontate con imponenti iniezioni di denaro pubblico.

Chrysler, intesa vicina Sindacati nel capitale Spunta l'opzione Opel ( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ma anche di opinione pubblica, che preme su Barack Obama perché «non si può salvare Chrysler e lasciar fallire Gm». Così è pure nelle stanze del potere, e non solo sulle colonne dei quotidiani, che gli Usa parlano dell'ipotesi di mettere in qualche modo insieme almeno «pezzi» delle due ex big di Detroit.

Treni, modello Europa per Obama Pronti 8 miliardi sull'alta velocità ( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: modello Europa per Obama Pronti 8 miliardi sull'alta velocità WASHINGTON L'America di Obama, il paradiso dell'aereo e dell' auto, abbraccia la causa dei treni ad alta velocità, meno inquinanti e più democratici. Partendo per una visita di un giorno in Messico, tema l'antidroga, il presidente ha annunciato uno stanziamento di 13 miliardi di dollari per «

Il premier: case entro l'autunno Dallo Stato aiuti fino al 33% ( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Contro la fatica mi son fatto due iniezioni di cortisone»), ricasca nella battuta su Obama scherzando con un parroco di colore («Complimenti, lei è molto abbronzato ») ma soprattutto cerca di portare allegria tra i 30 bambini, a cui firma autografi («Non rivendeteli a meno di 10 euro, mi raccomando») e regala palloni e magliette della Juve e del Milan.

A Roma per il disarmo ( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: 04/2009 - pag: 14 Usa-Russia A Roma per il disarmo Start Un primo incontro russo-americano per il trattato Start sugli arsenali nucleari (scade a fine anno) avverrà a Roma il 24 aprile Erano stati Barack Obama e Dmitrij Medvedev a impegnarsi a definire un «nuovo accordo complessivo e vincolante» per il disarmo strategico

Per rifondare l'Europa ( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: È un imperativo lanciato dal pericolo di fallimento e capace di ravvivare le speranze, malgrado i mercati in calo: solo un'Europa ringiovanita dalla crisi e accompagnata dalla nuova apertura dell'America al mondo, sotto Obama potrà costruire quella soluzione globale unificata, già abbozzata a grandi linee a inizio del mese. traduzione Rita Baldassarre © Guardian News & Media

Sarkozy a ruota libera ( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Poco intelligente» Veleni anche per Obama e Merkel. Elogio di Berlusconi Perfido con Jospin: «Mi sono spesso battuto con rivali più colti di me che poi non arrivavano al secondo turno» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI Uno si immagina che le riunioni all'Eliseo, se non proprio segrete, si svolgano all'insegna della discrezione.

se riparte dal texas la guerra di secessione - washington ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e ci ha portato via un Kennedy la controffensiva dei Repubblicani contro Obama e la Washington «ladrona» dominata dai Democratici. La possibilità che il secondo stato americano per dimensione, dopo l´Alaska, immenso contenitore di campi, petrolio, tecnologie, silos, raffinerie, manzi dalle lunghe corna e uomini dalla testa calda dove l´Italia potrebbe essere contenuta tre volte,

"zapatero? non è molto intelligente" la gaffe di sarkozy fa infuriare madrid ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Non è molto intelligente" la gaffe di Sarkozy fa infuriare Madrid Obama è carismatico ma governa da due mesi. Merkel mi ha seguito. Berlusconi è stato eletto tre volte DAL NOSTRO INVIATO PARIGI - Barack Obama? «Molto intelligente e carismatico, ma è eletto solo da due mesi e non ha mai gestito un ministero.

la conferenza sul nucleare a roma - ferdinando salleo ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: iraniana sulla questione nucleare in risposta alla mano tesa da Obama "a chi disserra il pugno", comunicata significativamente dai mollah al plenipotenziario dell´Europa Javier Solana, precede di appena pochi giorni la conferenza che si terrà a Roma sul "superamento del pericolo nucleare". Tra ieri e oggi il Segretario di Stato di Reagan, George Shultz, e l´ultimo presidente sovietico,

Obama "assolve" gli agenti Cia e svela gli interrogatori con torture ( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente americano Barack Obama ha annunciato che gli uomini della Cia che ha condotto interrogatori usando vere e proprie tecniche di tortura come il waterboarding non saranno perseguiti. L'annuncio arriva con un comunicato che accompagna la pubblicazione di quattro memorandum dell'amministrazione Bush sui metodi di interrogatorio ammessi nella guerra al terrorismo,

Troppe tasse, il Texas minaccia la secessione dagli States ( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ordine e slogan di tipo "leghista" contro Obama e il governo federale - accusati di "socialismo", di rubare i soldi pubblici e attentare alla "libertà dei singoli Stati" - risuonati in oltre mille città americane, dalla California alla Florida, dal Kansas al Texas, comprese metropoli liberal come New York, Chicago e Washington.

L'orgoglio degli eroi di Fort Alamo e il mito americano della rivolta del tè ( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e ci ha portato via un Kennedy la controffensiva dei Repubblicani contro Obama e la Washington "ladrona" dominata dai Democratici. La possibilità che il secondo stato americano per dimensione, dopo l'Alaska, immenso contenitore di campi, petrolio, tecnologie, silos, raffinerie, manzi dalle lunghe corna e uomini dalla testa calda dove l'Italia potrebbe essere contenuta tre volte,

Obama in Messico, una battaglia comune stop al traffico d'armi per battere i 'narcos' ( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ha detto Obama, consapevole delle resistenze, quasi insuperabili che ci sono proprio in America. "Nessuno di noi si fa illusioni che rimettere il bando sia facile". OAS_RICH('Middle'); In coincidenza con l'arrivo di Obama in Messico la Casa Bianca ha annunciato che altri tre cartelli della droga (Sinaloa, Los Zetas e La Familia Michoachana)

Torture, Obama assolve la Cia ( da "Stampaweb, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo ha assicurato il presidente Barack Obama in un comunicato che accompagna la pubblicazione di quattro memorandum dell?amministrazione Bush sui metodi di interrogatorio ammessi nella guerra al terrorismo. I cosiddetti ?siti nerì, in Asia e nell?Europa dell?Est, sono stati chiusi dall?

Obama apre al dialogo con Cuba ( da "Stampaweb, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il governo cubano secondo Obama «deve manifestare la volontà di fare passi che vanno al di là di questi ultimi 50 anni». Obama ha chiesto a Cuba di impegnarsi per quanto riguarda «i diritti umani, la libertà di stampa, la libertà di opinione, la libertà di movimento».

rivoluzione lido, "salve" seicento cabine - marco preve ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Nonostante il crescente movimento di opinione che da Obama al più piccolo dei comitati locali chiede di ridurre la pressione edilizia, anche questa operazione di qualità, che riaprirà la vista mare da corso Italia, formerà una generazione di velisti e alleggerirà il Lido di tonnellate di cemento, nasce e si sviluppa sotto il segno dell´ennesima variante urbanistica e del calcestruzzo.

dai vecchi frigoriferi ai pannelli solari all'ex electrolux operai a scuola di ecologia - ilaria ciuti ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Lo dice anche Obama». Un futuro anche per loro che si erano visti persi appena saputo che Electrolux chiudeva, ma che ne hanno fatte di tutte: i cortei, i volantini con le loro foto e quelle dei figli, il coinvolgimento delle istituzioni fino alle parrocchie.

la favola glocal di cirasola con il marchio di slow food - antonella gaeta ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Sto per incontrare la segretaria di Obama, stiamo trattando per far piantare i semi della Murgia nell´orto di Michelle». Molto probabilmente ci riuscirà, com´è riuscito a distribuire gratis focaccia di Altamura, complice l´irriducibile Onofrio Pepe, in un McDonald di Chicago. Perché il concetto di un film documentario come "Focaccia Blues" è proprio questo,

pesaro e caserta al paladozza, paghi una e prendi due ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Jamont cita Obama, poi dice. «Non sono un leader, me ne manca anche l´esperienza, ma posso segnare fuori dagli schemi e so difendere. E ognuno dei miei compagni sa fare qualcosa di speciale. Vincere in quel modo ha davvero cambiato il nostro campionato».

obama dà l'immunità alla cia "niente processi per le torture" ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 20 - Esteri Obama dà l´immunità alla Cia "Niente processi per le torture" Pubblici i memo di Bush sul "waterboarding" La Casa Bianca li ha divulgati per "affrontare un capitolo buio e doloroso" DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Gli agenti della Cia che hanno torturato non saranno processati.

troppe tasse, il texas minaccia la secessione - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ordine e slogan di tipo "leghista" contro Obama e il governo federale - accusati di «socialismo», di rubare i soldi pubblici e attentare alla«libertà dei singoli Stati - risuonati in oltre mille città americane, dalla California alla Florida, dal Kansas al Texas, comprese metropoli liberal come New York, Chicago e Washington.

boom della fiat in europa: +14% si arresta la caduta delle vendite - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama . Le quote degli attuali azionisti di Chrysler, Cerberus e Daimler, sarebbero infatti azzerate nell´ambito della ristrutturazione finanziaria. Se l´intesa non dovesse arrivare il Lingotto metterà in atto quel "Piano B" di cui parla Montezemolo e che l´ad della Fiat non ha mai abbandonato in questi mesi.

ferrovie usa, 8 miliardi per l'alta velocità - luca iezzi ( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama ha annunciato ieri la volontà di colmare il ritardo in questo settore nei confronti di paesi europei come Francia e Spagna, orientali come Cina e Giappone. Solo un inizio che per ora vede tra gli itinerari da realizzare il collegamento San Francisco-San Diego in California e quello della costa est,

Sarkozy e le frasi sui leader mondiali La notizia sui giornali internazionali ( da "Stampaweb, La" del 17-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: ROMA «Barack Obama manca di esperienza, José Luis Zapatero non è forse molto intelligente e José Manuale Barroso brilla soprattutto per la sua assenza». Riportate dal quotidiano francese "Liberation", le spietate considerazioni di Nicolas Sarkozy sui suoi colleghi hanno già fatto il giro della stampa internazionale.

Gian Enrico Rusconi ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: riemersa settimane or sono in occasione del viaggio di Barack Obama in Europa. L'opinione pubblica ha preso atto della netta divergenza di prospettiva tra il presidente americano, favorevole alla sollecita accoglienza della Turchia nell'Ue, e l'opposizione di Francia e Germania. Il tema non è stato ulteriormente approfondito, anche perché sono in gioco aspetti di natura molto diversa.

[FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Fame, insetti e annegamenti simulati. Questi e molti altri ... ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Una decisione voluta da Barack Obama ma che lo ha spinto sotto il fuoco incrociato di destra e sinistra. Sono una decina le tecniche approvate nei memo, il primo dei quali risale all'agosto del 2002 ed è siglato dal vice ministro della giustizia Jay Baybee, con l'obiettivo di «terrorizzare» il detenuto, come spiega una nota a piè di pagina.

[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA A meno di cambiamenti dell'ultima ora nella bozza di risoluz... ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: e ci si accordasse su un «testo sostenibile»: secondo il Washington Post, Obama deciderà solo all'ultimo momento. Altre fonti americane sottolineano l'importante operazione di lobby di numerose Ong, secondo le quali «gli Usa devono unirsi alla lotta globale contro il razzismo, una battaglia che l'amministrazione Bush ha abbandonato».

L'inefficienza pesa tra il 3% e il 7,5% del prodotto interno lordo ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: nessuno realisticamente scommetterebbe un soldo bucato sul ripetersi del fenomeno Barack Obama in Italia. Sconosciuto, nero, umili origini, bravissimo? Sicuramente il Barack di casa nostra verrebbe surclassato nel suo tentativo di guidare la politica italiana da concorrenti dotati di uno splendido cognome o di moltissimi soldi. O da ex-veline.

[FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK La Crain Communications di Detroit, che con 1.000 dipendenti e re... ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che ancora non aveva avuto il placet pubblico di Obama, aveva trovato il tempo per un incontro con il guru di Detroit. Il quale gli dispensò questo consiglio: «L'unico modo per vendere l'affare Fiat-Chrysler e ottenere altri miliardi di dollari di prestiti è buttarla in politica, enfatizzando che si tratta di salvare 50 mila posti di lavoro americani».

Lo zar dell'auto indagato per tangenti ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Per Rattner, 56enne ex reporter del New York Times convertito alla finanza prima e alla politica dopo, il rischio dello scandalo pesa molto, specie per il suo ruolo nel processo di riordino del comparto auto per cui è stato chiamato direttamente da Barack Obama.

Ombre sinistre incombono sullo zar dell'auto. Steven Rattner, il capo della task force designat... ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Per Rattner, 56enne ex reporter del New York Times convertito alla finanza prima e alla politica dopo, il rischio dello scandalo pesa molto, specie per il suo ruolo nel processo di riordino del comparto auto per cui è stato chiamato direttamente da Barack Obama.

Una Rete per bloccare l'avversario ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: «Stile Obama», si spingono a sostenere i collaboratori più entusiasti. «Progetto web 2.0»: cioè il Web applicato alla politica, lo strumento-cardine per interagire in tempo reale con la fascia più giovane e dinamica del potenziale elettorato. Ieri si è appreso che Porchietto ha aperto tramite il suo sito - www.

Raul: pronti a parlare con Obama ( da "Stampa, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama negli ultimi tre mesi ai leader di Paesi considerati avversari degli Stati Uniti. Fra i leader presenti al summit si è innescata quasi una gara a consolidare il dialogo a distanza fra Obama e Castro. Il Segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani, Josè Miguel Insulza, si è detto favorevole a riammettere Cuba preannunciando che lo proporrà alla riunione di

raul castro e hillary clinton: sì al dialogo tra usa e cuba ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Alla vigilia del vertice delle Americhe Raul Castro apre a Obama. Ricevendo il plauso del segretario di Stato Usa Hillary Clinton, che aggiunge: «La vecchia politica di Washington verso Cuba ha fallito». ALBERTO FLORES D´ARCAIS ALLE PAGINE 16 E 17

obama sott'accusa per aver perdonato le torture della cia ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 1 - Prima Pagina SERVIZI a Pagina 15 La sinistra: no all´amnistia Obama sott´accusa per aver perdonato le torture della Cia SEGUE A PAGINA 15

provinciali, partenza con scintille - sara strippoli ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: falso Porchietto guarda allo stile Obama tra social network piattaforme video blog e forum SARA STRIPPOLI La candidata presidente Claudia Porchietto prende a prestito l´ Obama style e sceglie la via della politica web.2, il numero uno in caricadella Provincia continua imperterrito a battere il territorio e programmare incontri "reali".

fondi alle staminali ma niente clonazione ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: alle staminali ma niente clonazione Dopo aver annunciato una svolta liberale sulla ricerca sulle cellule staminali, ieri l´amministrazione Obama ha emesso le linee guida su come saranno distribuiti i finanziamenti pubblici. I fondi andranno solo ai laboratori che usano embrioni in eccesso abbandonati nelle cliniche per la fecondazione assistita e non a chi pratica la clonazione.

"la co2 inquina", svolta verde negli usa - valerio gualerzi ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: insediamento alla Casa Bianca di Barack Obama, con il suo sigillo di scientificità, distrugge ora questo alibi, spianando la strada a regole severe per mettere sotto controllo le emissioni di CO2. Una notizia accolta con entusiasmo dagli ambientalisti americani, che pronosticano un primo giro di vite sugli standard dei consumi automobilistici,

"i responsabili devono pagare" ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 15 - Esteri "I responsabili devono pagare" Keith Olberman, commentatore della Msnbc e grande sostenitore di Obama, ha attaccato la decisione di non processare i responsabili delle torture: "Chi è responsabile deve rispondere delle proprie azioni".

torture, polemiche sul "perdono" di obama ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: di Obama La destra: "Folle pubblicare le carte di Bush". E da sinistra: "No all´amnistia" Il capo della Cia, Leon Panetta, aveva cercato di dissuadere il presidente DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Critiche da destra e da sinistra, il plauso (con qualche distinguo) dei media, la richiesta di una commissione d´inchiesta del Senato.

raul tende la mano a obama "cuba pronta a trattare su tutto" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: cercare strade più produttive da seguire perché per il presidente Obama, per me e per la nostra amministrazione l´attuale politica su Cuba è fallimentare». A Port of Spain Obama non incontrerà Chavez, ma altri leader latino-americani si faranno carico di portare sul tavolo il dossier su Cuba. Alcuni paesi del gruppo Alba (Alternativa Bolivariana para America Latina y el Caribe),

Batterie costruite coi virus ( da "Corriere della Sera" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: I virus prima si rivestono di uno strato di fosfato di ferro, poi si attaccano a nanotubi di carbonio per creare una rete di materiale ad alta conducibilità. Le batterie possono essere ricaricate un centinaio di volte. Il prototipo è stato presentato alla Casa Bianca al Presidente Barack Obama. Massimo Spampani

Raul tende la mano a Obama "Cuba pronta a trattare su tutto" ( da "Repubblica.it" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: cercare strade più produttive da seguire perché per il presidente Obama, per me e per la nostra amministrazione l'attuale politica su Cuba è fallimentare". A Port of Spain Obama non incontrerà Chavez, ma altri leader latino-americani si faranno carico di portare sul tavolo il dossier su Cuba. Alcuni paesi del gruppo Alba (Alternativa Bolivariana para America Latina y el Caribe),

Obama offre a Cuba un "nuovo inizio" ( da "Stampaweb, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente americano Barack Obama ha detto che gli Stati Uniti cercano un «nuovo inizio» con Cuba e una «partnership da pari a pari» con tutte le nazioni delle Americhe nonostante decenni di diffidenza reciproca. Obama ha parlato ai leader latino-americani e caraibici presenti al Summit delle Americhe a Port-of-Spain, a Trinidad e Tobago.

Michelle e l'America, è amore vero ( da "Stampaweb, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Michelle Obama può dire di avercela fatta. Alle prese con il difficile compito di ogni First Lady - sostenere il presidente senza oscurarlo, riuscendo nello stesso tempo a entrare nel cuore degli americani -, Michelle esce dalla sfida a testa più che alta: il 76% della popolazione ha di lei un?

Teheran, otto anni per spionaggio alla giornalista iraniana-americana ( da "Repubblica.it" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione Obama e il regime degli ayatollah. Roxana Saberi, in carcere a Teheran dal 31 gennaio scorso, "ha potuto parlare per difendersi" durante il processo, hanno spiegato fonti giudiziarie iraniane. Roxana Saberi, 31 anni, è nata negli Usa da padre iraniano e madre giapponese e da sei anni risiede in Iran con un passaporto iraniano.

Obama e Chavez, un libro e una stretta di mano per la svolta ( da "Stampaweb, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Prove di amcizia fra il presidentissimo venezuelano Hugo Chavez e Barack Obama al V°vertice delle Americhe, in corso a Trinidad e Tobago Ha iniziato il leader della Casa Bianca, che si è avvicinato al presidente venezuelano nel salone Jade dell?hotel Hyatt Regency prima dell?apertura dei lavori del summit per presentarsi.

Obama tende la mano al Sudamerica ( da "Stampaweb, La" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente americano Barack Obama ha detto che gli Stati Uniti cercano un «nuovo inizio» con Cuba e una «partnership da pari a pari» con tutte le nazioni delle Americhe nonostante decenni di diffidenza reciproca. Obama ha parlato ai leader latino-americani e caraibici presenti al Summit delle Americhe a Port-of-Spain, a Trinidad e Tobago.

Obama al Sudamerica: "Ho molto da imparare" e Chavez gli regala un libro di Galeano ( da "Repubblica.it" del 18-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha alla sua sinistra la presidente argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, e alla destra la collega cilena, Michelle Bachelet, che è inoltre presidente di turno dell'Unasur. Dopo l'incontro con i rappresentanti sudamericani, Obama parteciperà ad una serie di riunioni con tutti gli altri 33 presidenti del vertice delle Americhe,

Zaia: "Sì ai dazi se non si riscrivono le regole globali" ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama. Un discorso che non vale solo per quei prodotti un po'burocraticamente indicati come «eccellenze alimentari», le regole rigide servono anche a bloccare la speculazione sui generi di prima necessità «perchè - scandisce Zaia - non è ammissibile che ci si possa arricchire giocando sui "future" delle materie prime che compongono il cibo quotidiano»

Fare la corte all'Iran mette a rischio le alleanze nel Golfo ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione come quella di Obama, che è sì a caccia di qualche successo concreto, ma non a qualunque costo. È infatti imbarazzante, dopo tanta retorica benintenzionata nei confronti dei propri avversari e degli ex Stati-canaglia, far finta di niente e continuare su una linea conciliante mentre una cittadina americana viene condannata a una pena tanto severa per un'

"La Saberi è una spia" Dovrà scontare 8 anni ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama, dopo un solo giorno di processo segreto in una «corte rivoluzionaria» di Teheran. Di doppia nazionalità americana e iraniana, nata e cresciuta in Nord Dakota da papà emigrato dall'Iran e mamma giapponese, la giovane free lance, 31 anni e una corona da Miss del suo Stato vinta nel 1997, stava completando un libro sulla vita e i costumi del Paese paterno quando è stata arrestata

Scrittore-bandiera contro il saccheggio dell'America Latina ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: che Chavez ha regalato a Obama. Galeano è uno dei big della letteratura sudamericana e il libro in questione, pubblicato nel 1971 ancora prima delle dittature di Pinochet e Videla, è tutt'ora uno dei testi di riferimento della sinistra sull'America Latina. Affronta il saccheggio delle risorse di questa regione dal XV al XX secolo.

"La mossa vincente? Aprire all'Avana diffidare di Caracas" ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama e Cuba sta parlando con Washington. Per Chavez sarà difficile continuare a giocare la carta dell'antiamericanismo». La stretta di mano fra Chavez e Obama cosa le suggerisce? «È difficile dire, perché Chavez che stringe la mano a Obama è la stessa persona che negli ultimi tempi lo ha spesso attaccato ed è anche lo stesso che sta inasprendo la repressione contro gli oppositori.

[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Con un I want to introduce myself... ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Bersagliati dalle domande dei reporter al seguito, i collaboratori di Obama evitano di pronunciarsi sulla repressione dell'opposizione a Caracas come sui recenti insulti che lo stesso Chávez ha riversato addosso a Obama. Anche l'annunciato veto di Chávez sulla dichiarazione finale del summit non viene messo troppo in risalto.

Gm adotta il piano Chrysler ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dopo la relazione della task force nominata dal presidente Obama su quella che è stata un tempo l'industria Usa per eccellenza, è destinato a sconvolgere l'assetto di un settore che si è retto per un lungo tratto del Novecento su uno schema consolidato. Con la trasformazione radicale di General Motors e Chrysler, il sistema di Detroit cambia volto e dimensioni.

Maurizio Zoccarato trova su Facebook oltre mille "amici" ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Stile Obama», con il Web applicato alla politica, lo strumento-cardine per interagire in tempo reale con la fascia più giovane e dinamica del potenziale elettorato. Obiettivo: scambiare pensieri, opinioni. Il Web è solo il primo capitolo di una strategia che dovrà necessariamente studiare forme di comunicazione più tradizionali per intercettare la maggioranza degli elettori.

obama: "pronti al confronto con cuba" iran, condannata la reporter: proteste usa - miami dal nostro inviato @fi firma editoriale sx:mario calabresi ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack divide Little Havana Obama: "Pronti al confronto con Cuba" Iran, condannata la reporter: proteste Usa MIAMI DAL NOSTRO INVIATO @FI FIRMA EDITORIALE SX:MARIO CALABRESI La stagione degli uragani è cominciata con sei settimane di anticipo quest´anno a Miami: la decisione di Barack Obama di togliere le restrizioni ai viaggi e all´invio di denaro a Cuba per chi ha parenti nell´

"l'embargo usa va tolto per non dare più alibi per me la fiera del libro in italia resta un sogno" - omero ciai ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: molte speranze da quando il presidente Obama ha tolto i divieti sui viaggi dei cubano-americani e sull´invio di dollari a Cuba. Ma finora il regime ha risposto solo con belle parole. Ora bisogna che si siedano ad un tavolo e comincino a negoziare, noi ci attendiamo che il governo elimini a sua volta il divieto ai cubani di viaggiare all´estero e che liberi i prigionieri politici»

barack pronto al confronto "da voi ho molto da imparare" - alberto flores d'arcais ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: tanto da salutare Obama così: «Con queste mani otto anni fa diedi l´addio a Bush. Oggi voglio essere tuo amico». E a chi gli chiedeva se con Obama alla Casa Bianca miglioreranno i rapporti tra Usa e Venzuela, ha risposto: «Non ho il minimo dubbio, abbiamo iniziato a parlare e penso sia stata un´ottima partenza».

"giusto", "no, è una resa" la mossa di obama spacca little havana - (segue dalla prima pagina) dal nostro inviato ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha fatto la prima mossa, adesso la palla è nel loro campo - sottolinea Joe Garcia - e tutto dipenderà da come si muoveranno. Obama ha mandato un messaggio forte a tutti i cubani: potete viaggiare, comprare, spendere e fare regali, ma se non ve lo faranno fare allora dovrete prendervela con il regime non con l´America.

sindacati canadesi e banche doppio scoglio per fiat-chrysler - salvatore tropea ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama alla Chrysler. E Sergio Marchionne: «O si trova un´intesa con i sindacati o salta tutto e ce ne torniamo a casa». La settimana decisiva per l´alleanza tra Torino e Detroit parte domani da questi due ultimatum. Lo scoglio sono i sindacati, in particolare quelli canadesi, che non ci stanno a rivedere il costo del lavoro e fanno difficoltà anche sulla richiesta del Tesoro americano

g8, albergatori sardi in rivolta "niente ospitalità ai diplomatici" - piergiorgio pinna ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama risiederà alla Maddalena in una stupenda residenza nell´ex arsenale militare. Gli altri capi di Stato verranno accolti a bordo di una supernave da crociera Msc che getterà l´ancora nelle splendide acque dell´arcipelago caro a Garibaldi.

zaia al g8 dell'agricoltura "sì ai dazi salva-imprese" - rodolfo sala ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: green economy di Obama, da lui citato in abbondanza. Però il leghista Luca Zaia, in questa prima giornata del summit con i suoi colleghi ministri dell´Agricoltura del G8, in un vecchio castello del Trevigiano, rilancia il vecchio tema dei dazi. «Non ho una posizione di protezionismo - dice - ma in una condizione di mercato libero occorre certamente trovare un punto di equilibrio:

volcker: "gli usa dovranno sgobbare a lungo" ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 27 - Economia La recessione Volcker: "Gli Usa dovranno sgobbare a lungo" Paul Volcker, ex presidente della Fed e ora consigliere economico di Barack Obama, sostiene che gli Usa per uscire dalla crisi dovranno "sgobbare a lungo".

allison guiderà il salvataggio delle banche ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pagina 27 - Economia La nomina Allison guiderà il salvataggio delle banche Herb Allison, numero uno di Fannie Mae, è stato scelto dall´amministrazione Obama come responsabile del piano di salvataggio delle banche da 700 miliardi di dollari.

- dario olivero ( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Pensa che Barack Obama stia dando nuove speranze all´America? «Lo ammiro molto. Ha qualità che il suo predecessore non sapeva neanche esistessero. Per la prima volta negli ultimi otto anni non mi sento a disagio né provo vergogna per il mio Paese. In teoria l´uomo potrebbe vivere anche senza speranza e paura ma, fino a quando non riuscirà a farlo,

A Obama diamo tempo, ma ascolti il nostro popolo ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: SPERANZA NERA NO AI BLITZ «A Obama diamo tempo, ma ascolti il nostro popolo» «Le sanzioni possono bastare: l'Europa ci creda fino in fondo»

Caso politico L'ala dura del regime vuole arrestare il dialogo con Obama e sconfiggere i moderati alle elezioni ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Caso politico L'ala dura del regime vuole arrestare il dialogo con Obama e sconfiggere i moderati alle elezioni

A che gioco sta giocando l'Iran? È solo una coincidenza che le dichiarazioni concilianti d... ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: amministrazione come quella di Obama, che è sì a caccia di qualche successo concreto, ma non a qualunque costo. È infatti imbarazzante, dopo tanta retorica benintenzionata nei confronti dei propri avversari e degli ex Stati-canaglia, far finta di niente e continuare su una linea conciliante mentre una cittadina americana viene condannata a una pena tanto severa per un'

"Donne e blogger hanno più futuro di Ahmadinejad" ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: solo Obama può salvare l'Iran dalle bombe israeliane. Ha fiducia nel nuovo presidente americano? «Ho imparato a dubitare seguendo il proverbio inglese per cui prima di giudicare il pudding bisogna mangiarlo. Obama rappresenta la speranza, al punto che all'indomani della sua elezione una rivista iraniana è uscita titolando "Perché non possiamo avere uno come lui?

No di Washington alla conferenza sul razzzismo ( da "Stampa, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama in ragione del testo della dichiarazione finale, che accusa Israele di «restringere la libertà di espressione». Gli Usa avevano già boicottato la prima conferenza sul razzismo, a Durban in Sudafrica nel 2001: per la forte ostilità degli organizzatori nei confronti dello Stato ebraico e perché anche in quell'occasione molti Paesi arabi e del Terzo Mondo avevano riproposto il

Teheran, otto anni alla giornalista arrestata ( da "Corriere della Sera" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Il presidente Usa Barack Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton si sono detti «profondamente delusi». Dalla sua elezione, Obama ha dichiarato di voler scongelare i rapporti con Teheran, sospesi dopo la Rivoluzione Islamica nel 1979 e peggiorati per via delle ambizioni nucleari iraniane.

Accordo Fiat-Chrysler al tavolo finale ( da "Corriere della Sera" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Ma sta alla task force di Barack Obama, ora, sciogliere l'ostacolo principale alla chiusura dell'accordo: le banche. E sta agli uomini Chrysler qui con un ruolo evidentemente più attivo, benché sullo sfondo, degli italiani ottenere l'altro via libera cui Marchionne condiziona l'intesa: quello dei sindacati.

La ripresa? Nel secondo trimestre 2010 ( da "Corriere della Sera" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: solitamente, nelle prime elezioni a medio termine, ma Obama sa che potrà tenersi strette le sue maggioranze con una gestione oculata dell'economia. Gli elettori reagiscono ai trend economici più che ai livelli correnti, vale a dire più alla direzione generale dell'economia che alla situazione in corso.

Obama conquista il Sudamerica I leader: "Ora via l'embargo a Cuba" ( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Barack Obama e gli altri 11 capi di Stato dell'Unasur, e ha suscitato una risata generale. Ma lo scherzo nasconde il punto sostanziale che ha dominato il vertice delle Americhe di Trinidad, dove il presidente democratico Barack Obama ha fatto il suo debutto nell'altra metà dell'America conquistando di fatto la stima e la fiducia di gran parte degli undici leader latinoamericani.

La mossa di Barack divide Little Havana ( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Obama ha fatto la prima mossa, adesso la palla è nel loro campo - sottolinea Joe Garcia - e tutto dipenderà da come si muoveranno. Obama ha mandato un messaggio forte a tutti i cubani: potete viaggiare, comprare, spendere e fare regali, ma se non ve lo faranno fare allora dovrete prendervela con il regime non con l'America.

"Donne e blogger hanno più futuro di Ahmadinejad" ( da "Stampaweb, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: Secondo una barzelletta raccontata a Gerusalemme, solo Obama può salvare l?Iran dalle bombe israeliane. Ha fiducia nel nuovo presidente americano? «Ho imparato a dubitare seguendo il proverbio inglese per cui prima di giudicare il pudding bisogna mangiarlo. Obama rappresenta la speranza, al punto che all?

Iran, Ahmadinejad sul caso Saberi "Rispettare i diritti alla difesa" ( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: presidente americano Barack Obama si era detto "deluso" per la condanna di Roxana Saberi, ma era sembrato rinunciare ad avviare una polemica troppo aspra sul caso con le autorità di Teheran. Lo stesso aveva fatto la segretaria di Stato, Hillary Clinton. "Attraverso la Svizzera (che rappresenta gli interessi americani in Iran) esprimeremo la nostra preoccupazione alle autorità iraniane"

Obama frena: l'embargo a Cuba resta ( da "Stampaweb, La" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: incontro con Obama. E ha aggiunto: «È un uomo intelligente, diverso dal suo predecessore». Durante il suo discorso, nell?auspicare un contatto diretto con L?Avana, il presidente Obama ha rinnovato l?invito al governo di Castro a compiere dei «passi» in avanti, ribadendo la disponibilità della Casa Bianca ad impegnarsi con il governo cubano «

Un deposito di CO2 sott'acqua il sogno verde di Manhattan ( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: dove il presidente Barack Obama ha creato un team con l'incarico di valutare i piani relativi all'energia pulita, è la collocazione: un vecchio sito industriale vicino la costa di Linden, nel New Jersey, dall'altro lato di Staten Island. OAS_RICH('Middle'); La produzione di energia elettrica in questo sito permetterebbe all'azienda di venderla sui mercati più cari del Paese e l'

Napolitano elogia la UE e Obama per il loro impegno sull'ambiente ( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)
Argomenti: Obama

Abstract: oggi abbiamo la grande novità di un forte impegno del presidente Obama per la tutela del clima", ma sottolinea anche come "l'Unione europea abbia preso posizione all'avanguardia senza aspettare che tutti gli altri protagonisti dell'economia mondiale fossero pronti a dare il loro contributo e ha aperto una strada che ci auguriamo possa essere seguita con successo".


Articoli

La svolta nucleare (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Franco Frattini La svolta nucleare La proliferazione delle armi di distruzione di massa, in primis quelle nucleari è la principale minaccia alla nostra esistenza nel XXI secolo. Abbiamo avuto difficoltà ad accorgercene, avendo vissuto per quasi mezzo secolo sotto la prevedibilità della deterrenza bipolare. A vent'anni dalla fine della Guerra fredda questo scenario è però totalmente cambiato. In un contesto di estrema fluidità ed imprevedibilità dei rapporti internazionali il nuovo multipolarismo economico e politico rischia oggi di essere accompagnato da un crescente «multipolarismo nucleare», che se non verrà tempestivamente contenuto e sufficientemente regolato, rischia di mettere a repentaglio la sicurezza dell'umanità. Tanto più che la corsa al nucleare si manifesta con maggiore intensità proprio in quelle aree dove le tensioni internazionali sono maggiori, dal Golfo all'Estremo Oriente asiatico. Un mondo ad alta densità di Stati nucleari, anche se dotati di arsenali limitati e non comparabili a quelli delle due ex superpotenze, sarebbe caratterizzato dall'imprevedibilità e dall'incertezza sul nostro domani. E ciò anche perché la proliferazione nucleare non interessa più esclusivamente gli Stati. Nel mondo di oggi, centrifugo ed interdipendente allo stesso tempo, è diventato più facile per individui, gruppi terroristici ed attori non statali impossessarsi clandestinamente di materiale utilizzabile per la fabbricazione di armi nucleari. Cosa si può fare per arginare questa minaccia che ci riguarda tutti? Deve cambiare innanzitutto la nostra impostazione al problema della proliferazione: non possiamo agire più «caso per caso» e in maniera reattiva di fronte alla minaccia di questo o quel Paese che dichiara di voler sviluppare capacità nucleari sfidando o insinuandosi nelle maglie del regime normativo internazionale esistente, il Trattato di Non Proliferazione (Tnp), definito oltre quarant'anni fa, in un contesto storico assai diverso da quello attuale. C'è bisogno di rafforzare ed universalizzare il regime normativo multilaterale che fa capo al Tnp, adattandolo alla realtà complessa del XXI secolo. In particolare abbiamo bisogno di compiere più chiari e coraggiosi passi in avanti in tutti e tre i settori che compongono il Tnp: la non proliferazione, il disarmo e l'uso pacifico dell'energia nucleare. Innanzitutto, essendo oggi diventato più facile proliferare, le regole del Tnp devono essere rese più rigorose e i poteri di controllo ed ispettivi dell'Aiea, l'Agenzia di supervisione nucleare, rafforzati. È a tal fine necessario rendere universali i Protocolli Aggiuntivi dell'Aiea, i quali aumentano la capacità di verifica dell'Agenzia e, quindi, riducono il rischio che materiale e tecnologie nucleari vengano dirottati a fini militari. Dopo il precedente nordcoreano del 2003, bisognerà anche studiare un regime di salvaguardie che possa sopravvivere all'eventualità in cui uno Stato decida di ritirarsi unilateralmente dal Tnp. In secondo luogo in un mondo dove aumentano le esigenze da parte di un maggior numero di Paesi di utilizzo dell'energia nucleare, sia per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti energetici che per rendere il consumo di energia compatibile con gli standards ambientali, c'è l'esigenza di creare meccanismi multilaterali affidabili, che governino la produzione e distribuzione del combustibile nucleare. La creazione di una banca internazionale del combustibile nucleare, posta sotto il controllo dell'Aiea, risponderebbe a queste esigenze. Infine, occorre che regole e strumenti per prevenire la proliferazione siano accompagnati da un impegno condiviso delle attuali potenze nucleari a procedere gradualmente sulla strada del disarmo, in quello che era nello spirito e nella lettera (l'art.VI) del Tnp. La svolta annunciata dalla nuova amministrazione americana e dal presidente Obama nel suo discorso a Praga il 5 aprile scorso ha creato una storica finestra di opportunità che è responsabilità di tutti cercare di cogliere. L'entrata in vigore del Ctbt, il Trattato contro gli esperimenti nucleari, e l'avvio del negoziato per un Trattato che proibisca in maniera verificabile la produzione di materiale fissile sono i punti di partenza di qualsiasi credibile sforzo verso il disarmo. L'altra condizione indispensabile, dove da parte americana sono emersi nuovi segnali incoraggianti, è il rilancio del negoziato tra Stati Uniti e Russia per definire un regime «post-Start» (il Trattato Start scadrà nel dicembre di quest'anno) con una drastica riduzione del numero di testate nucleari in possesso di ciascuna delle due potenze. Infine, condizione indispensabile per un disarmo credibile, è che vi siano analogo impegno e volontà politica anche da parte delle altre potenze nucleari. L'Italia, in quanto Presidente del G8, ed in sintonia con i principi della Strategia contro la proliferazione dell'Unione Europea, intende incoraggiare attivamente la creazione di un contesto favorevole per giungere a progressi significativi in tutti i tre settori del Tnp, anche in vista della Conferenza di Riesame del Trattato, che prenderà avvio nell'aprile del 2010. Non possiamo l'anno prossimo permetterci un nuovo fallimento come quello testimoniato nella Conferenza di Riesame del 2005. Riteniamo sia necessario, in vista della Conferenza del 2010, mobilitare le energie di governi, esperti e società civile per creare la necessaria massa critica di consenso internazionale per realizzare una svolta sul tema del nucleare. La Conferenza che si svolge da oggi a Roma con la partecipazione di uomini politici di grande fama internazionale, tra i quali l'ex Segretario di Stato Schultz ed il presidente Gorbaciov si propone di dare ulteriore forza e chiarezza alla nostra visione di un mondo sicuro ed il più possibile de-nuclearizzato. L'incontro di Roma ha l'obiettivo di approfondire il dialogo sulla prospettiva di un mondo libero da armi nucleari e sui passi concreti necessari per realizzarla. Sarà una tappa importante verso il Vertice della Maddalena dove è nostra intenzione promuovere al massimo livello l'impegno politico dei governi del G8 sulla non proliferazione. *Ministro degli Affari Esteri

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Sassi sulle studentesse (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Sassi sulle studentesse [FIRMA]GIORDANO STABILE Le Trecento si sono radunate strette e compatte davanti all'Università sciita di Kabul, con i fazzoletti colorati in testa, senza burqa e con tanta rabbia dentro. Urlavano «vergogna!». Urlavano «no alla legalizzazione dello stupro!». Erano quasi tutte giovani studentesse, della minoranza sciita afgana che ha espresso storicamente gran parte della borghesia progressista di questo Paese. E che adesso si ritrovano sul capo una legge retriva apprezzata persino dai taleban. Di fronte un contro corteo di almeno un migliaio di persone, moltissime le donne, sciite anche loro, che dagli insulti, «Siete cagne, occidentali, non donne sciite!», sono passati rapidamente al lancio delle pietre, un tentativo di lapidazione di massa fermato a stento dal cordone di poliziotti che si sono messi a sparare in aria e poi anche alle gambe, visto che si registrano almeno tre feriti. Nel tumulto si è sgretolato anche il quadrato delle 300 studentesse, ma non si è fermata l'onda di indignazione contro la legge sul diritto di famiglia firmata lo scorso mese dal presidente Hamid Karzai. L'articolo 132 stabilisce (soltanto per le famiglie degli sciiti) che le mogli debbano assecondare sempre i desideri dei mariti, e che un uomo degno di questo nome debba avere un rapporto con la consorte «almeno una volta ogni quattro notti», a meno che non sia indisposta. I matrimoni con le bambine, pratica comune in Afghanistan e non soltanto tra gli sciiti, vengono di fatto legalizzati e si proibisce alle donne di uscire di casa senza il permesso del coniuge, come ai tempi del mullah Omar. Karzai, sommerso dalle critiche, su pressione degli alleati europei e americano - che sostengono il suo traballante governo con 85 mila soldati e aiuti per miliardi di dollari - si è impegnato a modificare l'articolo 132, «se risulterà in contrasto con la Costituzione». Finora il responso dei costituzionalisti non è arrivato e difficilmente arriverà prima del 20 agosto, data stabilita per le elezioni presidenziali. Karzai per farsi rieleggere ha bisogno dei voti dei partiti che rappresentano la minoranza sciita, oltre il 10 per cento della popolazione, ed è stato di manica larga nelle concessioni a quelli più integralisti. Suggeritore del famigerato articolo 132 è l'ayatollah Mohammad Asif Mohsini, ispiratore anche del contro corteo integralista e che ha definito le trecento studentesse «apostate e schiave dei cristiani» e ha radunato in piazza una massa d'urto sufficiente a disperderle. A organizzare la protesta erano invece state le poche attiviste dei diritti umani e parlamentari oggi presenti in Afghanistan. Una di loro è Sabrina Sabiq, che ha cercato invano di fermare l'approvazione della legge in Parlamento: «Le pressioni dei religiosi sciiti hanno spazzato via tutto, abbiamo dovuto votare il provvedimento in blocco, non articolo per articolo, come prevede il regolamento». L'avvocato Fauzia Kofi punta invece il dito contro l'Iran. «Karzai cerca nuove alleanze per rimanere la potere - accusa -. È disposto a sacrificare donne e bambine per far passare gli integralisti sciiti dalla sua parte». Il riavvicinamento di Karzai all'Iran sta rimettendo in moto il grande gioco nella regione, nel momento in cui Teheran cerca nuovi spazi di manovra e vuole sfruttare al massimo le aperture di Obama. Il grande gioco questa volta prevede un aiuto da parte dell'Iran a stabilizzare il vicino di casa e a isolare i taleban (che sono sunniti) irriducibili. In cambio l'Iran potrebbe ottenere un primo riconoscimento a «potenza regionale» a cui tiene strenuamente. L'Afghanistan è da sempre nella sfera di influenza persiana, per lingua e cultura, ma è sulla religione che ci sono stati gli scontri maggiori. La dinastia persiana safavide, all'inizio del 1700, cercò di imporre la religione sciita alle tribù afgane che si rivoltarono e arrivarono a saccheggiare la capitale persiana Isfahan. I safavidi furono spazzati via e il successore Nadir Shah riuscì a riportare sotto il suo controllo i guerrieri pashtun soltanto arruolandoli nell'esercito e dando pari dignità a sciiti e sunniti. La minoranza sciita afghana, oggi, guarda a Teheran ma anche a Washington. Abas Noyan, deputato sciita moderato, citato dal sito Afghanistan News, ha chiesto a Karzai di rimandare la legge in Parlamento per «permettere l'emendamento dell'articolo 132». Le Trecento, intrepide sotto la sassaiola e riprese dai siti di tutto il mondo, hanno almeno smosso qualcosa. Guarda il video degli scontri su www.lastampa.it

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Il giovane Gandhi dorme fra i paria e conquista l'India (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

PAESE DIVISO Reportage Da domani alle urne 714 milioni di elettori Il voto dura un mese Il giovane Gandhi dorme fra i paria e conquista l'India Il 38enne Rahul guida il Congresso alle elezioni presentandosi come una sorta di nuovo Obama Gli avversari induisti del Bjp puntano sull'odio per l'Islam «La nostra è la terra di Rama» VALERIA FRASCHETTI AMETHI (India) Appena il Suv blindato appare sulla strada sterrata, abituata a carri e trattori, il grido si riverbera sui campi di grano: «Lunga vita a Sonia, lunga vita a Rahul». Avvolta nella modesta eleganza di un sari pistacchio, Priyanka Gandhi è accolta come una principessa dalla folla di braccianti e disoccupati sotto il gazebo allestito tra i terreni di Amethi, nel più popoloso stato indiano dell'Uttar Pradesh. E' venuta a coccolare il feudo elettorale di famiglia. Mentre la madre e il fratello sono in tournée per il subcontinente per acciuffare più voti possibili dai 714 milioni di cittadini chiamati alle urne per le elezioni parlamentari che inizieranno oggi e durereranno fino al 13 maggio e che, oltre ai due partiti nazionali - Congresso e Bharatiya Janata Party (Bjp) - vedranno competere più di 1000 partiti locali. In nessun altro posto l'identificazione tra il Congresso e i Nehru-Gandhi è tanto forte come ad Amethi. Priyanka non lo nasconde: «Sono venuta qui per l'affetto che lega la mia famiglia a questa terra». Il primo premier indiano Jawaharlal Nehru si candidò da qui, seguito dai nipoti Sanjay e Rajiv. L'unica volta che la dinastia politica perse qui fu dopo il periodo dell'Emergenza, quando Indira si conferì poteri semi-dittatoriali. Ora è di nuovo la volta di suo nipote Rahul, già eletto parlamentare nel 2004. «Il compito di mio fratello è portare a termine i sogni irrealizzati di nostro padre», dice Priyanka. L'allusione a Rajiv, l'ex-premier e marito dell'italiana Sonia ucciso nel '91, scatena un applauso che pare non finire. Nell'adiacente circoscrizione di Rae Bareli, dove è candidata la vedoda Gandhi, sui tetti di chioschi e capanne sventola l'arancio-verde-bianco delle bandiere del Congresso. Dopo aver guidato la traballante alleanza governativa degli ultimi cinque anni, Manmohan Singh è stato riconfermato candidato premier del laico Congresso. Di fatto è stato Rahul, però, il volto della campagna. Merito del cognome certo, e dell'età. Con un parlamento affollato da 70enni, il partito spera che i 38 anni di Gandhi facciano da calamita elettorale per quel 65% di votanti sotto i 35 anni. In più, le sue iniziative vagamente obamiane verso l'amni admi - «l'uomo comune» cui si rivolge la campagna - non passano inosservate in un Paese dove la forbice tra ricchi e poveri resta abissale. «Nessun politico ha mai passato la notte nelle case di contadini e intoccabili come fa lui» fa notare l'attivista Manika. Eppure le performance economiche del governo Singh (prima della crisi globale il Pil indiano viaggiava sull'8%), così come il discreto successo del programma «100 giorni di lavoro» per i disoccupati rurali, non saranno probabilmente sufficienti al Congresso per assicurarsi una sonora vittoria. I nazionalisti del Bjp continuano ad accusare Singh di essere una marionetta della «straniera» Sonia. Dalla loro hanno l'alto numero di attentati terroristici. Violenze che aiutano a far leva sui sentimenti di coloro che mal sopportano i 160 milioni di musulmani del Paese. Il candidato premier L.K. Advani ha promesso riforme liberali e tagli alla tasse. Ma il suo partito non ha abbandonato lo sciovinismo dell'hindutva, che persegue il sogno di un'India induista. Così, a una manciata di chilometri da Amethi, è ad Ayodhya che si ferma il tour elettorale di Narendra Modi, uomo di ferro del Bjp e governatore del Gujarat già ai tempi in cui lo stato fu teatro di un pogrom antimusulmano che fece circa 2000 morti. La tappa è carica di simbologia e Modi non manca di sottolinearlo. «Non è questa la terra di Rama?», chiede sollevando dalla folla tinta dello zafferano del partito un roboante «Sì!». Fu in questa città che nel '92 una masnada di radicali buttò giù la moschea di Babri, costruita dai Mogul su quello che gli indù ritengono essere il luogo di nascita del dio Rama. In caso di vittoria, il Bjp si è impeganto a edificare un tempio dedicato alla divinità. «Se davvero verrà costruito scoppieranno rivolte», commenta Awub Nizam, avvocato islamico di Ayodhya e fan del Congresso. Non è solo nella minoranza musulmana che le ferite lasciate dai fondamentalisti bruciano ancora. In Orissa l'arcivescovo Raphael Cheenath ha chiesto, senza successo, il posticipo del voto. Il motivo? Le circa 22 mila persone, vittime delle persecuzioni anticrisitiane dell'agosto scorso, che non potranno recarsi alle urne perché tuttora nei campi per rifugiati o nascosti altrove. Il distretto di Kandhamal, epicentro degli scontri, ancora non è sicuro. Tanto più da quando il Bjp ha candidato uno dei principali accusati delle rivolte. Nonostante gli indiani siano per l'80% indù, l'agenda dell'81enne Advani sembra comunque riscuotere scarso successo. I sondaggi danno in vantaggio il Congresso, ma soprattutto prevedono la crescita dei partiti regionali. Primo tra tutti il Bahujan Samaj Party di Mayawati, la «regina degli intoccabili» che promette più giustizia sociale ai diseredati. Per ora l'unica certezza sembra essere che da questo portentoso evento democratico - numericamente il più grande al mondo - verrà fuori un governo vacillante dato da opportunistiche alleanze postelettorali. Il che, seppur sintomo di salute della democrazia indiana, difficilmente produrrà le tante riforme di cui il Paese ha bisogno.

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La Casa Bianca: riveleremo tutti i segreti delle banche (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

DOPO I GRANDI CRAC STOP ALLA RISERVATEZZA FINORA PRATICATA DALLA FEDERAL RESERVE La Casa Bianca: riveleremo tutti i segreti delle banche "Test di solidità" pubblici per evitare voci incontrollate [FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK L'amministrazione di Barack Obama è pronta a rivelare i segreti sullo stato di salute delle banche. Il governo americano valuta l'opzione di rendere noti alcuni «dettagli sensibili» degli stress-test condotti di recente sulle 19 principali istituzioni finanziarie statunitensi. «All'inizio di maggio saranno resi noti a tutti parte dei risultati degli stress test», spiega il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs. La decisione rappresenta un'inversione di rotta rispetto alle indicazioni date la scorsa settimana dalla Federal Reserve che aveva chiesto il riserbo. La sensazione maturata negli ultimi giorni è che il silenzio possa essere interpretato come un segnale di pericolo e rischi di alimentare la sfiducia dei mercati. «Il proposito di questi programmi era di prevenire il panico non di causarlo», dice un funzionario dell'amministrazione secondo cui è dovere del governo e degli operatori spiegare «la reale posizione delle banche in termini di solidità». Sebbene la convinzione generale sia che tutti i principali istituti passino i test, alcuni potrebbero ottenere un voto più elevato mentre altri potrebbero rivelarsi ancora molto vulnerabili, nonostante i miliardi di dollari ricevuti dal governo nell'ambito del Tarp, il piano salva-finanza approvato lo scorso anno. Nonostante quindi la percezione di un generale miglioramento molti analisti temono che alcuni istituti siano ancora appesantiti dagli «asset tossici» accumulati con la crisi immobiliare. Non è chiaro quanto e cosa le autorità vogliano rivelare sulle banche: sino ad ora il Tesoro si è limitato a confermare che renderà noto «l'ammontare complessivo» di nuovi capitali che il governo intende iniettare. Ma alcuni all'interno dell'amministrazione ritengono che sia opportuno levare i veli su vari aspetti dei test anche per confermare la validità degli esami. Il rischio inoltre è che mantenendo il riserbo assoluto le banche possano formulare loro valutazioni fornendo un quadro che non rispecchia la reale situazione ottenuta dai test. Citigroup e Bank of America ad esempio hanno espresso pareri decisamente positivi sull'andamento del primo trimestre, mentre Wells Fargo attende per il periodo compreso tra gennaio e marzo utili da tre miliardi di dollari. Queste informazioni hanno stimolato un certo ottimismo ma potrebbero non essere del tutto in linea con l'andamento degli esami basato su parametri di più lungo periodo. Gli istituti saranno così incoraggiati a rendere note informazioni come «l'ammontare delle perdite accumulabili» o i fattori in termini di liquidità, indebitamento e volumi del capitale più o meno solidi. In questo modo potrà essere tracciata una mappatura del sistema bancario sulla quale il governo si muoverà in maniera più efficiente concentrandosi sulle istituzioni più a rischio. Il cambio di orientamento è stato dettato inoltre dalla corsa di alcune banche alla restituzione dei fondi Tarp al fine di liberarsi dei vincoli imposti dal governo a chi ottiene fondi pubblici. Così hanno fatto ad esempio alcuni istituti di piccole dimensioni, o la stessa Goldman Sachs che ha raccolto cinque miliardi di dollari in nuove azioni per ripagare parte dei dieci miliardi di debito Tarp. Altre banche sembrano orientate nella stessa direzione. Tuttavia restituendo i fondi pubblici gli istituti potrebbero non vedersi affrancati del tutto dagli obblighi imposti dalle autorità. In novembre il governo ha avviato un programma che consentiva alle banche di emettere obbligazioni dietro «garanzie straordinarie» della Fdic, l'agenzia che vigila sui depositi. Un debito, finora pari a 300 miliardi di dollari che consente al governo di imporre nuove restrizioni in caso lo reputi necessario sul piano delle garanzie.

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"Chrysler in bilico i sindacati devono accettare i tagli" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

L'AD DEL LINGOTTO DISPOSTO A GUIDARE ANCHE LA CASA DI DETROIT IL NEW YORK TIMES «Lo spezzatino non sarebbe la soluzione migliore per l'azienda e per i lavoratori» "Chrysler in bilico i sindacati devono accettare i tagli" «Il primo trimestre il più brutto del 2009 Ma in Europa a marzo siamo saliti al 9,2%» «Prima fusione Chrysler-Gm e poi Torino» [FIRMA]FRANCESCO SPINI INVIATO A ZURIGO Va e viene dalla sua sedia in prima fila all'assemblea dell'Ubs a Zurigo. Qualche sigaretta per spezzare queste interminabili sette ore di dibattito, e soprattutto molte telefonate intercontinentali per Sergio Marchionne. «Sto parlando con gli americani anche da qui - dice l'amministratore delegato Fiat -, il dialogo è aperto: ci sono moltissime cose da risolvere, la situazione con i sindacati canadesi e Usa non è ancora definita. Quindi sino a che non creiamo le condizioni necessarie per una base industriale solida su cui andare avanti restano tutte ipotesi...» Anche se, dice, «io l'intenzione di arrivare a una buona conclusione ce l'ho» e «in una maniera decente, che rispetti gli interessi di tutte le persone coinvolte». Per questo il manager dell'auto preferito dal presidente Obama è pronto a indossare anche la casacca di Ceo di Chrysler. Lui la mette così: «I titoli a me importano fino a un certo punto. Quello che conta è fare il necessario per risanare l'azienda e io sono disponibile a tutto pur di riuscirci». E, come dice anche in un'intervista al canadese Globe And Mail, «è possibile che io mi trovi a dover dividere il mio tempo tra la guida di Fiat e quella di Chrysler». Marchionne è realista: esiste un 50% di possibilità che l'accordo vada in porto e un altro 50 che salti. A 15 giorni dal termine fissato da Obama gli ostacoli non mancano. Ci sono i sindacati, cui è già stato chiesto di adeguare il costo del lavoro a quello applicato in Nord America dalle aziende tedesche e giapponesi, mediamente 40 dollari l'ora. Ma con i canadesi l'accordo per tagliare di 19 dollari nazionali per arrivare almeno a quota 55(e pareggiare con quanto Chrysler paga negli stabilimenti Usa) non si è trovato. «Siamo pronti ad andarcene - avverte Marchionne - non possiamo prendere impegni con questa società se non possiamo vedere la luce in fondo al tunnel». E non sono neppure i sindacati l'ostacolo principale per la stretta finale. «No, perché non abbiamo ancora avuto l'accordo dalle banche che hanno finanziato la Chrysler. Ci sono opportunità per tutti, vediamo di sfruttarle in maniera intelligente». Se poi non si troverà l'incontro, Fiat non starà lì a guardare, ma proseguirà con lo sviluppo industriale, per arrivare a quei 5,5 o 6 milioni di vetture «in maniera razionale, condividendo le piattaforme che è la cosa essenziale». O con Chrysler o con qualcun altro: «Di piani B ce ne sono parecchi. A livello europeo e americano rispondiamo sempre al telefono, a chiunque: ci sediamo e parliamo con tutti». Una Chrysler in bancarotta, però, non conviene a nessuno: «Penso che l'obiettivo di tutti quelli coivolti in questo progetto sia evitare che Chrysler arrivi al chapter 11». Rilevarne alcuni asset? «Se si arriverà a quel punto valuteremo, ma la preferenza è trovare una soluzione con il Tesoro Usa, i sindacati e i creditori che permetta una transizione morbida dalla attuale Chrysler ad una nuova». Ma il tempo stringe e l'ad Fiat invita a «fare attenzione a ogni atto che possa distruggere l'operatività commerciale di Chrysler». Per questo «qualunque cosa debba accadere, deve accadere in fretta e poi il business deve andare avanti. Vendere asset di una società in liquidazione non è necessariamente il miglior modo di creare valore». Tanto meno per i lavoratori, «che sono quelli di cui mi preoccupo maggiormente». Ma Fiat non chiederà più tempo a Obama per proseguire nelle trattative: «No - sbotta Marchionne - non c'è una sola ragione per cui cui Fiat non debba chiudere entro il 30 aprile». Sempre negli Stati Uniti, Cnh Capital cercherà di sfruttare le opportunità di credito offerte dalla Federal Reserve, anche per ripagare un passato finanziamento avuto da Fiat. «Ci stiamo lavorando - dice il top manager del Lingotto - fino a quando il mercato non riparte, sfruttiamo anche queste risorse. Ci avvarremo di tutto quello che si può ottenere, come del resto fanno i nostri concorrenti». Intanto ci sono le soddisfazioni all'interno di una crisi che morde. A marzo, conferma l'ad, la quota di mercato Fiat ha superato il 9%, «intorno al 9,2%. E' un passo avanti enorme, se si guardano i risultati del 2008 avevamo circa il 7,8%». Ma il primo trimestre, quanto ai conti, si confermerà «duro, come ho sempre detto. Il mercato dell'auto è ripartito a marzo. Quello delle macchine movimento terra è completamente ingessato, mentre per i camion non vedremo niente fino alla seconda metà dell'anno. Probabilmente questo sarà il più brutto trimestre del 2009». Una fusione tra Chrysler e General Motors potrebbe essere una soluzione migliore per rafforzare l'industria dell'auto statunitense. Lo suggerisce il New York Times in un'analisi affidata alla rubrica «breakingviews». In un articolo intitolato «Una fusione automobilistica potrebbe dare frutti», gli autori sottolineano che piuttosto che prolungare «l'incerto futuro di Chrysler come compagnia indipendente, il governo farebbe meglio a unire Chrysler e Gm», un'ipotesi che raforzerebbe il loro valore patrimoniale e garantirebbe anche un risparmio dei costi. Quanto all'intesa tra Chrysler e Fiat, il Nyt dice che non c'è ragione per cui l'ad del Lingotto «non possa stringere un'alleanza con la società nata dalla fusione tra Gm e Chrysler. Potrebbe perfino avere una chance di guidarla».

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Non basta l'Ipo di Skype Per premiare i suoi azionisti eBay deve vendere Paypal (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Non basta l'Ipo di Skype Per premiare i suoi azionisti eBay deve vendere Paypal Per Fannie e Freddy è difficile trovare nuovi top manager I direttori finanziari vengono licenziati ovunque. Ma potrebbe essere difficile trovare nuovi top manager per i giganti dei mutui statunitensi, Fannie Mae e Freddie Mac perché sembrano lavori ingrati. Le paghe sono basse, le ingerenze degli Enti di regolamentazione e legislativi numerose e le possibilità di riforme scarse. Ora nessuna delle due società può sopravvivere come entità privata; i loro nuovi direttori potrebbero essere poco più che custodi. La frustrazione del lavoro ha costretto il chief executive di Freddie, David Moffett, a dare le dimissioni dopo essere stato in carica appena sei mesi. Si prevede che Herb Allison, la sua controparte presso Fannie, lascerà presto la società per gestire il programma statunitense Tarp (Troubled Asset Relief Program - Programma di aiuti per gli asset tossici). Entrambi sono stati assunti dopo che il governo era entrato in possesso delle società dei mutui a settembre. A quel tempo, il Dipartimento del Tesoro concesse alle due società massicce linee di credito e il loro Ente di regolamentazione, la Federal Housing Finance Agency, allentò i limiti relativi alla crescita del loro portafoglio. Ciò poteva sembrare necessario per mantenere la disponibilità a concedere mutui. Ma sostenendole, ha permesso a Fannie e Freddie di continuare a sfruttare i loro sussidi statali per ottenere prestiti convenienti e battere la concorrenza delle fonti private di ipoteche, mantenendo il loro predominio e rendendo molto più difficile metterle su un piano commerciale. I legislatori e l'amministrazione Obama sono stati molto riservati sulla questione di porre fine all'assistenza del governo a Fannie and Freddie, nota come tutela. Con il governo che detiene warrant per l'80% delle loro azioni ed entrambe le società che continuano a dichiarare forti perdite, è improbabile che siano in grado di liberarsi in un prossimo futuro. Un direttore ambizioso potrebbe trovare stimolante la sfida di un ridimensionamento e rilancio di una società con una forte partecipazione azionaria personale. Per ora, tuttavia, non ci sono segnali che indichino la volontà politica per una tale azione. Un'alternativa meno allettante sarebbe di ridimensionare Fannie e Freddie nel tempo. \ Ebay ha optato per la semplificazione. Martedì, la società ha annunciato che nel 2010 venderà Skype, il suo servizio telefonico Internet, attraverso un'offerta pubblica iniziale. Questa è una buona notizia per i suoi azionisti. Skype non si era mai integrata con le altre attività di eBay: le omonime aste internet e i pagamenti online PayPal. Ma se eBay vuole premiare gli azionisti, deve vendere anche Paypal. Skype è un asset interessante. I proventi di 551 milioni di dollari nel 2008 sono stati quasi del 50% superiori a quelli dell'anno precedente. Ebay prevede che i profitti raggiungeranno 1 miliardo fra tre anni. E i fondatori di Skype, insieme con un piccolo gruppo di private equity, hanno presentato un'offerta per la società di circa di 2 miliardi. Il piano dell'Ipo indica che il management di eBay ritiene questa cifra non ancora sufficiente. La proposta di un'Ipo potrebbe essere un tentativo di ricevere un'offerta più alta. Ma perfino 2 miliardi in contanti sarebbero un toccasana per gli azionisti di eBay, che l'anno scorso hanno visto la capitalizzazione di Borsa della società scendere della metà a 19 miliardi. Il denaro potrebbe fornire utile capitale circolante per contribuire ad aggiustare l'attività delle aste in difficoltà. Ma se eBay vuole agire nell'interesse dei suoi azionisti, dovrebbe scorporare Paypal. Il sistema di pagamenti online è un motore di crescita. Sebbene l'anno scorso l'attività delle aste di eBay abbia registrato una crescita dei profitti solo dell'1% soltanto, i profitti di Paypal hanno ottenuto un forte aumento del 26%. E si ritiene che questi profitti raddoppieranno nei prossimi tre anni a 5 miliardi, con margini degli utili del 20%. Ciò potrebbe portare il valore di Paypal a 15 miliardi. Potrebbe valere di più una volta libera, poiché i concorrenti di eBay, come Google e Amazon, potrebbero far aumentare il giro d'affari di Paypal quando non farà più parte di una società rivale. Mettere Skype in vendita è un buon inizio per eBay. Se non altro, le fornirà esperienza per un'azione successiva ancora più importante. \

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la ferrari perde la battaglia dei diffusori (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Cerasuolo mensurati e zaino GUIDO RAMPOLDI FEDERICO RAMPINI Lo sport La storia Il reportage India, il voto più lungo del mondo La Ferrari perde la battaglia dei diffusori Kabul, il mullah che vuole mediare tra Obama e Taliban

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il mondo islamico e la svolta di obama - jean daniel (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 32 - Commenti IL MONDO ISLAMICO E LA SVOLTA DI OBAMA JEAN DANIEL Ho scritto la settimana scorsa che i potenti dell´economia di mercato avevano fatto in modo di «cambiare tutto affinché nulla cambi». Non potrei certo fare la stessa osservazione sui nuovi rapporti che il presidente americano ha deciso di intrattenere con l´islam. è una svolta reale e profonda, un cambiamento della mentalità occidentale e della configurazione geopolitica. A mio parere, un evento considerevole. Indubbiamente, dalle parole e dagli scritti di Barack Obama, fin da quando era senatore dell´Illinois, poi candidato del partito democratico e infine nuovo presidente degli Stati Uniti, si potevano intuire quelle che sarebbero state le sue scelte politiche fondamentali. Era già apparsa chiara la sua volontà di presentare al mondo un volto radicalmente diverso degli Stati Uniti, ponendo fine alle guerre in Iraq e Afghanistan e ai conflitti in Medio Oriente. E inoltre era deciso a respingere, nella sua lotta contro il terrorismo, lo spirito di crociata che portava a stigmatizzare non solo l´islamismo radicale, ma l´islam nella sua totalità. Tutto questo, lo ha confermato nettamente nel corso della sua visita all´Ankara. Perché questa scelta della Turchia? Innanzitutto, questo Paese fa parte della Nato e desidera entrare nell´Unione europea, confermando così la propria aspirazione a integrarsi nell´Occidente. Poi perché confina con l´Iraq e con l´Iran, e potrebbe avere un´influenza su entrambi. E perché grazie ai suoi rapporti pacifici con Israele, ha potuto facilitare i negoziati con i siriani, e potrà aiutare gli Stati Uniti a esercitare pressioni sia su Hamas che sui nuovi dirigenti israeliani. Infine, perché questo Paese musulmano è anche un Paese laico: il suo eroe Mustafa Kemal è stato comparato ad Abraham Lincoln da Barack Obama, che li vede entrambi come liberatori. Questi i temi presenti nei discorsi, notevoli per profondità di pensiero, tenuti da Barack Obama davanti al parlamento turco e in occasione della sua visita alla moschea di Santa Sofia. Il successore di George W. Bush si è peraltro concesso il piacere di una rivalsa, ricordando come la Turchia avesse scelto liberamente la democrazia, senza bisogno che qualcuno gliela imponesse (sottinteso: come in Iraq). Questa strategia geopolitica volta radicalmente le spalle al manicheismo di concetti quali «asse del male» o «Stati canaglia», suscettibili di condurre a comportamenti interventisti, o anche, per essere più precisi, di giustificare una guerra preventiva contro l´Iran. Non dimentichiamo che tuttora, in Israele e in taluni ambienti americani, un´eventualità del genere non viene affatto esclusa. Anche se frattanto gli iraniani hanno accettato l´invito americano a partecipare alla «Conferenza dei sei» sulla proliferazione nucleare. Questo giro di boa non ha affatto il significato di una propensione più o meno pronunciata ad abbassare la guardia davanti a eventuali risposte provocatorie da parte di Paesi ai quali si è offerta la pace; ma comporta che non si prendano più alla lettera, ad esempio, gli incitamenti iraniani alla distruzione di Israele, o le fantasmagorie dei Taliban quando ingiungono agli Usa di lasciare l´Afganistan. La proclamata riconciliazione con l´Islam schiude agli Stati Uniti la possibilità di inserirsi nella politica interna dei singoli Stati musulmani, per favorire in essi le forze di pace. Barack Obama ha potuto così permettersi di consigliare ai turchi di riconciliarsi con gli armeni � pur senza esortarli a riconoscere il genocidio; e di invitarli a fare passi avanti nelle aperture verso i curdi, o a favorire a Cipro un ravvicinamento tra le popolazioni turca e greca. Il presidente americano ha fatto appello al premier turco Recep Tayyip Erdogan affinché lo aiuti a conseguire due obiettivi prioritari in Medio Oriente: l´unità tra Hamas e l´Autorità palestinese, e l´insediamento di uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele. «Vorrei dire con chiarezza», ha detto ad Ankara Barack Obama, «con la maggior chiarezza possibile, che gli Stati Uniti non sono e non saranno mai in guerra contro l´Islam. Di fatto, il nostro partenariato con il mondo musulmano è cruciale. (...) Noi ascolteremo con grande attenzione, dissiperemo i malintesi, troveremo terreni comuni. Saremo rispettosi anche quando non saremo d´accordo. (...) Gli americani musulmani hanno arricchito gli Stati Uniti. Molte famiglie americane hanno componenti musulmani; e molti americani hanno vissuto in Paesi a maggioranza musulmana. Io lo so bene, semplicemente perché sono uno di loro». Con quest´ultima espressione: «sono uno di loro», Barack Obama ha proclamato la sua volontà di farla finita con la minaccia di scontro tra civiltà cara a Samuel Huntington, o con le profezie di uno studioso dell´Islam come Bernard Lewis, schierato con i turchi contro i curdi, fautore della guerra contro l´Iraq, che non vede alcuna ragione di porre fine al conflitto tra cristiani a musulmani in atto da undici secoli. Trascinato dal suo slancio, Barack Obama non si è chiesto se l´integrazione della Turchia nell´Unione europea fosse o meno una questione da lasciar decidere agli europei, che hanno pur sempre qualche motivo per preoccuparsi della loro identità, qualora venisse estesa a 76 milioni di musulmani turchi. Molto probabilmente, nell´ottica di Obama un po´ di islam in più in Europa offrirebbe il vantaggio di far arretrare di un tanto la minaccia del conflitto tra civiltà. Non si è chiesto neppure se non fosse rischioso esortare Anders Fogh Rasmussen, l´ex presidente danese candidato alla segreteria generale della Nato, a scusarsi coi turchi per aver permesso ai suoi concittadini di farsi beffe (con le ben note caricature su Maometto) di alcuni aspetti della religione islamica. è stato senza dubbio un modo per permettere a Erdogan di salvare la faccia davanti ai suoi alleati islamici. Resta il fatto che quest´islamofilia di Barack Obama, a otto anni dalla distruzione delle torri di Manhattan, è a mio parere uno dei maggiori avvenimenti di questi ultimi quindici anni. Traduzione di Elisabetta Horvat

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"un fondo per la filiera dell'auto" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina VI - Torino "Un fondo per la filiera dell´auto" La proposta di Morgando per salvare anche le piccole imprese Un fondo speciale, a cui contribuiscano lo Stato, le banche, l´Unione europea, la Banca europea per gli investimenti, per sostenere l´innovazione dell´intera filiera dell´auto. Uno strumento che, però, dev´essere accessibile anche alle piccole imprese. La proposta arriva dal segretario del Pd piemontese, Gianfranco Morgando, che nella conferenza «L´auto del futuro», organizzata alla Galleria d´arte moderna, non perde l´occasione per attaccare il Governo, in particolare sugli eco-incentivi: «Quello che oggi si è ottenuto - dice il leader dei democratici piemontesi - è l´effetto di avere riaperto il paracadute, dopo averlo incredibilmente chiuso mentre si stava precipitando». Questo perché, spiega Morgando, «resta ancora un mistero come l´esecutivo possa aver lasciato cadere gli incentivi ecologici del governo Prodi in una fase di aperta crisi del settore, salvo poi reinserirli alcuni mesi più tardi». Senza contare che la misura ha avuto conseguenze minime sulle fabbriche italiane del Lingotto: «Gli effetti - continua il segretario regionale del Pd - si riverseranno sui lavoratori italiani solo per quella parte delle vetture prodotte nel nostro Paese: il 31% del mercato, quello detenuto da Fiat, detratta la quota, pari a circa un terzo, della produzione che è realizzata in Polonia. Rimangono circa 80 mila vetture, delle 460 mila aggiuntive auspicate dal Governo». Il segretario Morgando conclude l´intervento e si apre la tavola rotonda con le parti sociali. Ma la musica non cambia, tutti battono sullo stesso chiodo: il governo deve fare di più. Lo dicono i sindacati: «Senza un intervento molto forte rischiamo di perdere parte della produzione italiana. Se il futuro del Lingotto è produrre 550 mila vetture, come accadrà quest´anno, basteranno tre stabilimenti sui cinque che ci sono attualmente in Italia», attacca la Fiom torinese. Ribadisce la Fismic, con il segretario nazionale Roberto Di Maulo: «Marchionne ha incontrato dieci volte la task-force del presidente Usa Barack Obama e appena una il ministro italiano delle Attività produttive, Claudio Scajola». Anche dall´altra parte della barricata, quella degli imprenditori, suona lo stesso disco, anche se i problemi sono diversi: «Le nostre aziende continuano a denunciare i ritardi dei pagamenti sia di chi è a capo della filiera che della Pubblica amministrazione. Inoltre tutte le operazioni svolte per supportare i confidi e garantire l´accesso al credito, per quanto apprezzabili, sono state portate avanti con forti ritardi», accusa Fabio Schena dell´Api Torino. Il direttore del Centro studi dell´Unione industriale, Mauro Zangola, rincara la dose: «La crisi di liquidità è il problema dei problemi: la denuncia il 90 per cento delle imprese. Il Governo sta facendo poco». (ste.p.)

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detenuto chiama tv "così mi torturano" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 20 - Esteri Guantanamo Detenuto chiama tv "Così mi torturano" WASHINGTON - Un afgano detenuto a Guantanamo da sette anni è riuscito ieri a telefonare ieri alla tv al Jazeera, raccontando in diretta gli abusi subiti nella prigione creata dall´amministrazione Bush che Barack Obama ha promesso di chiudere. Mohammed al Gharani, catturato a 14 anni, ha detto ai carcerieri che intendeva telefonare a uno zio: si è invece messo in contatto con la rete qatariota a cui ha raccontato di esser stato picchiato con bastoni e di avere i denti rotti. è stata la prima intervista di un prigioniero a Guantanamo: nella base i giornalisti sono ammessi in cambio di un impegno scritto a non parlare con i detenuti.

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l'iran a obama: "presto un'offerta sul nucleare" - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 20 - Esteri L´Iran a Obama: "Presto un´offerta sul nucleare" Ahmadinejad annuncia un pacchetto di proposte. La Corea del Nord espelle gli osservatori Usa Hillary Clinton frena: "Vogliamo il dialogo, ma finora non abbiamo visto alcuna novità" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - L´Iran annuncia «nuove proposte», la Corea del Nord caccia gli ispettori americani. è un dossier nucleare a due volti quello che la Casa Bianca si trova oggi ad esaminare, nel tentativo di trovare una via d´uscita ai rapporti con i due Paesi che (insieme a Pakistan e Afghanistan) rendono agitati i sonni della diplomazia americana. Le caute aperture di Obama a quelli che nell´amministrazione Bush erano considerati i perni dell´«asse del male» finora non hanno ancora dato i frutti sperati, se non un´inversione dei ruoli tra Teheran e Pyongyang. Lo ha chiarito Hillary Clinton, gettando acqua sul fuoco dei facili entusiasmi: «Vogliamo il dialogo e siamo pronti a impegnarci con l´Iran - ha detto ieri sera - ma finora non abbiamo visto nulla che somigli a una proposta». In attesa delle elezioni di giugno, comunque, il duro Ahmadinejad fa un passo e si dice pronto a negoziare, a «dare inizio a una nuova era e perfino a dimenticare il passato». Mentre Kim Jong-il fa la faccia feroce, sfida il mondo con i suoi missili e mette alla porta gli scienziati Usa che seguivano (come da accordo) il disarmo della centrale nucleare di Yongbyon. «Hanno detto che vogliono risolvere le questioni aperte attraverso i canali diplomatici e per noi è un´ottima cosa», dice agli americani il presidente iraniano dopo che Obama si era detto disponibile ad ammorbidire le posizioni Usa per favorire il dialogo. Resta però da chiarire il nodo dell´arricchimento dell´uranio, dopo che la Casa Bianca ha definito «inesatto» il resoconto del New York Times secondo cui gli Usa avrebbero autorizzato l´Iran a proseguire il processo anche durante i negoziati. è questo il vero scoglio, quello cui sembra riferirsi Ahmadinejad («se qualcuno prova a parlarci con un tono arrogante, la risposta sarà quella offerta a Bush») e su questo la Casa Bianca dovrà adesso prendere una difficile decisione. Gli Stati Uniti sono comunque disposti a valutare ogni eventuale, nuova proposta che arrivi dal regime degli ayatollah in merito al programma nucleare. A parlarne ieri è stato uno dei portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Wood: «Se presenteranno un nuovo pacchetto che riguarda il loro programma nucleare, allora lo guarderemo per capire di cosa si tratta, lo prenderemo in considerazione e lo valuteremo. La nostra speranza è che si risponda a tutte le preoccupazioni che gli Stati Uniti e altri Paesi hanno verso le attività nucleari dell´Iran». Se con Teheran la diplomazia sotterranea degli ultimi mesi fa comunque passi in avanti, il disgelo con la Corea del Nord ha subito una pesante battuta d´arresto. Pyongyang ha informato l´Aiea che ha iniziato a riattivare il proprio programma nucleare, e ieri ha cacciato gli ispettori internazionali.

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"io, mediatore tra obama e i taliban" l'ultima missione del mullah zaeef - guido rampoldi kabul (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 38 - Esteri Sassi contro il corteo delle donne Aprire il dialogo con i seguaci più moderati del mullah Omar è la sfida delle diplomazie occidentali ma per farcela serve l´aiuto di personalità "di mezzo", come l´ex "detenuto 306" di Guantanamo "Io, mediatore tra Obama e i Taliban" l´ultima missione del mullah Zaeef I tentativi di trattativa finora sono stati inconcludenti Ma col nuovo presidente le cose possono cambiare Tre i nodi principali per un possibile accordo con i combattenti: immunità, lavoro e sicurezza per chi deporrà le armi GUIDO RAMPOLDI KABUL dal nostro inviato Negoziare con i Taliban "moderati", riconciliazione. Non sono soltanto auspici le formule oscure e imprecise che da alcuni mesi appartengono al linguaggio di alcune diplomazie Nato. In gran segreto, gli occidentali hanno aperto vari canali di comunicazione con i Taliban: «Fin troppi», dice chi sa e teme sovrapposizioni dannose. A questo dialogo sotterraneo, sregolato e finora inconcludente, l´amministrazione Obama ha imposto un nuova prospettiva. Raddoppiano i propri soldati in Afghanistan, Washington adesso dice: solo un successo militare può aprire la strada ad una soluzione politica. Ma questa tempistica non sembra escludere paci separate con alleati dei Taliban, se è vero che la settimana scorsa emissari di Gulbuddin Hekmatyar, un sinistro capobanda afgano, erano negli Usa per trattare con gli americani, come lamentava un portavoce del presidente Karzai. Inoltre si avvertono toni diversi all´interno dell´Amministrazione, e in ogni caso la nuova dottrina non è così rigida da scoraggiare quei governi che da tempo cercano scorciatoie alla "soluzione politica". Questo variegato partito del compromesso si attende molto dal mullah che adesso ci accoglie nella sua casa di Kabul. Si chiama Abdul Salaam Zaeef, ex "detenuto 306" di Guantanamo, il più influente stando ad un rapporto delle guardie americane: «E´ il re della prigione». Se non fosse finito laggiù, e dopo varie sevizie in basi militari, potremmo dire che quasi quattro anni di carcere duro gli anno fatto bene. Lo ricordiamo nel 2001, ambasciatore dei Taliban a Islamabad: grasso, arrogante, querulo. Oggi è un uomo pacato e soave, avvoltolato nella sua mantellina come in un bozzolo. Quale sia oggi la sua identità politica, dipende dai punti di vista. Davanti alla sua casa ci sono un poliziotto dentro una garitta di legno, per sorvegliarlo, e un suo uomo di fiducia, per proteggerlo. Non si è unito alla guerriglia afgana, e gli occidentali lo considerano il prototipo del Talib "moderato". Ma è libero, e i guerrieri Taliban forse ne diffidano. Però il mullah Omar lo considera un uomo sul quale può ancora contare. Se non mantenesse i contatti con quello che chiama tuttora l´«Emiro», varie diplomazie non tenterebbero di accreditarlo come il "facilitatore" della "riconciliazione". In quel ruolo, si disse, ha partecipato ad un pranzo tra afgani organizzato l´anno scorso alla Mecca dalla corte saudita. In seguito Zaeef si è tirato indietro, intuendo un tentativo, sostiene, di dividere i Taliban. E il mullah Omar ha posto condizione iperboliche per un dialogo con l´amministrazione Bush (impegno occidentale a ritirarsi entro una certa data, liberazione dei Taliban detenuti, eccetera). Ma quando chiedo a Zaeef se vi sia ancora uno spazio per il negoziato, scopro che la nuova presidenza americana suggerisce maggior duttilità a lui, e forse anche al mullah Omar. «Se volete davvero dialogare con i Taliban - mi dice - dovete riconoscerli come opposizione, garantire l´immunità agli inviati nominati dall´emiro e offrire ad essi una sede sotto protezione Onu, in Arabia saudita, in Pakistan, a Dubai, a Londra, ovunque. Se avessero queste assicurazioni, i Taliban potrebbero ammorbidirsi». Queste sono condizioni nuove. E l´indicazione delle possibili sedi di una legazione diplomatica Taliban, non è casuale. Arabia saudita, Pakistan e Gran Bretagna sono i Paesi che più si sono adoperati per dare al conflitto afgano una "soluzione politica". Dunque Zaeef sta dicendo che per negoziare i Taliban ora si accontenterebbero di essere riconosciuti come interlocutori legittimi. Come opposizione afgana. Non si fidano di Obama («Sono Cia e Pentagono a scrivere l´agenda della politica estera americana, non il presidente», dice Zaeef). Ma se ottenessero quanto chiedono, «potrebbero ammorbidirsi». E Zaeef si vedrebbe riconosciuto quel ruolo ufficiale che ritiene indispensabile per aprire un canale ufficiale di comunicazione: «Se mi chiedono di dire ai Taliban questo o quello, non posso farlo se non ho la garanzia che in seguito non sarò arrestato per aver avuto contatti con loro». Aggiunge il mullah che in passato «voi occidentali avete perso un mucchio di occasioni e vi siete fidati di chi vi ha derubato vendendo false informazioni». Come a suggerire: non gettate al vento anche questa opportunità. E´ praticabile, utile, onorevole la strada che propone mullah Zaeef? Cominciamo col dire che conosce la materia come nessun altro. Riconoscimento e legittimazione internazionale dei Taliban sono questioni che cominciò a trattare in segreto, e per conto di mullah Omar, a ridosso dell´11 settembre 2001. Erano infatti questi i temi di un negoziato occulto in cui Zaeef, all´epoca ambasciatore in Pakistan, fu il principale interlocutore degli americani e il tramite con l´emiro. Egli ne racconta in un´autobiografia che uscirà in settembre a Londra, "La mia vita con i Taliban, da Kandahar a Guantanamo". «Il negoziato - mi anticipa - verteva su un baratto: se avessimo consegnato Osama gli Stati Uniti ci avrebbero riconosciuti. A quel punto, garantivano gli americani, avremmo avuto il riconoscimento di molti altri Paesi, il seggio alle Nazioni Unite, lo scongelamento dei nostri conti bancari all´estero, l´ammissione nella World Bank e in altri istituti del credito internazionale, e di conseguenza i finanziamenti per costruire il gasdotto dal Turkmenistan», un progetto particolarmente caro alla Unocal, la compagnia petrolifera californiana. Ma mullah Omar non volle scaricare Osama (né espellere dal business del gas turkmeno il rivale di Unocal, l´argentina Bridas, ci ricorda Zaeef). Dov´è oggi bin Laden? «Non è più in Afghanistan e non credo vi tornerà. Non credo che i Taliban lo accetterebbero. In Afghanistan, al fianco dei Taliban, combattono pashtun pachistani, ma non stranieri, non arabi». Qui Zaeef introduce un importante elemento negoziale. All´interno della guerriglia non ci sono i "moderati" di cui si vaneggia in Europa. Ma ci sono, e non da ora, un´area scettica sul sodalizio con al Qaeda; e un´altra, maggioritaria, che riceve finanziamenti e addestramento dalla gente di bin Laden. Stando a Zaeef, i Taliban veri e propri, cioè quelli che fanno capo a mullah Omar, oggi sarebbero il primo gruppo. E´ molto dubbio che sia così. Ma non è irrilevante che Zaeef voglia accreditare questa idea: se infatti i Taliban prendessero le distanze da bin Laden, cadrebbe il principale ostacolo alla loro ammissione ad un negoziato internazionale. Resterebbe però una questione non meno dirimente, i Taliban dovrebbero riconoscere i diritti minimi delle donne, che hanno sempre represso brutalmente. E´ questione su cui possono cambiare idea? Zaeef è evasivo. Dice: «Non ne sono sicuro. Adesso sono concentrati sull´obiettivo di cacciare gli stranieri dall´Afghanistan, il resto per loro non conta. In futuro forse si ammorbidiranno. Hanno acquisito esperienza, prima erano molto giovani e molto emotivi. Anche l´emiro ha più esperienza». Tutto questo può essere detto in un altro modo: come intuisce anche la diplomazia europea, nella cerchia di mullah Omar alcuni si sono resi conto che i Taliban non possono vincere la guerra con la Nato. E di conseguenza sono disponibili, così come vari governi occidentali, ad un compromesso politico. Forse lo è anche il piccolo mullah che si fece emiro. Ma se oggi Omar scaricasse Al Qaeda e scoprisse che le donne possono andare a scuola e lavorare, una grossa parte del movimento Taliban gli volterebbe le spalle. E in quel caso negoziare con lui avrebbe poco senso. Eppure altre strade sono percorribili. L´ambasciatore Ettore Sequi, rappresentante dell´Unione europea a Kabul, premette che l´obiettivo non è la «riconciliazione», termine scivoloso, ma un` «inclusione» dei Taliban che abbiano rinunciato alla lotta armata dentro un percorso politico circoscritto dalla Costituzione afgana (gli europei la considerano un buon strumento, e ora vi si appellano per chiedere a Kabul una modifica del diritto di famiglia sciita, piuttosto misogino). Nel concreto il dialogo potrebbe muovere da un terreno neutro, per esempio la campagna di vaccinazioni antipolio (i Taliban hanno fatto sapere che non la contrasteranno, e un accordo permetterebbe di verificare quanto siano in grado di controllare le varie bande guerrigliere). Ma in una prima fase bisognerebbe dare soluzione a tre questioni tecniche che sono centrali, conclude Sequi: offrire ai comandanti che depongono le armi una sorta di amnistia; una fonte di reddito; e garanzie che non finiranno assassinati dagli ex compagni Taliban, come accaduto anche di recente.

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prezzi usa in calo, allarme deflazione e l'economia cinese rallenta ancora - elena polidori (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 26 - Economia Prezzi Usa in calo, allarme deflazione e l´economia cinese rallenta ancora Wal-Mart: recessione lunga. Ma arrivano segnali ok per la Germania Negli Stati Uniti l´inflazione arretra dello 0,4 percento, tendenza che non si registrava dal �50 Rialza la testa il Pil tedesco. La Bundesbank: non sono necessari nuovi aiuti ELENA POLIDORI ROMA - Non è mai facile uscire dalla recessione. Così, dopo i primi segni «di speranza» intravisti da Obama, nuovi dati dimostrano che nell´economia mondiale vi sono oggi, inevitabilmente, luci e ombre. Talvolta questo contrasto si registra anche all´interno dello stesso Paese. E´ il caso degli Usa dove c´è un´ombra costituita dall´inflazione che scende a marzo, su base annuale, dello 0,4%: è il primo ribasso da oltre cinquant´anni, per l´esattezza dal 1950. E subito la gelata dei prezzi fa scattare tra gli esperti l´allarme deflazione. Inoltre, scende più delle attese anche la produzione industriale: meno 1,5%, sempre a marzo. Ma ecco che il beige book della Federal Reserve segnala una luce: in alcune aree del Paese, e segnatamente in 5 distretti su 12, la recessione rallenta e la situazione economica migliora. E ancora: ombre in Spagna dove pure si intravede un rischio - deflazione, visto che a marzo i prezzi accusano un calo dello 0,1%, il minimo dal 1962. Ombre anche in Cina dove, secondo stime ufficiose, il Pil potrebbe rallentare ancora nel primo trimestre, crescendo «solo» del 6%, cioè meno del 6,8% degli ultimi tre mesi del 2008 che rappresentava il minimo dal 1992: si saprà oggi, con certezza. Nelle prossime ore il governo deciderà anche se varare o meno eventuali altri piani di stimolo dell´economia. Una luce arriva invece dalla Germania dove la Barclays ipotizza un rialzo del Pil nel secondo trimestre dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti. In più la Bundesbank si dice convinta che non servono per il Paese altre misure perché gli interventi anti-crisi già decisi «produrranno i loro effetti nel corso dell´anno». E´ chiaro che se si riprende la locomotiva d´Europa è un bene per tutti. Ma Jean-Claude Juncker, presidente dell´Eurogruppo, pare muoversi con estrema cautela: bene i pacchetti di stimolo varati dai governi europei finora, ma se le misure non dovessero bastare «riconsidereremo il tutto». Più pessimista Mike Duke, manager di Wal-Mart, il gigante della grande distribuzione: la fine della recessione è lontana, c´è ancora «molta tensione» nell´economia. Bianco-nero, perciò, in una continua altalena di segnali contrastanti. E in mezzo, altri dati che vanno ciascuno per un verso o per l´altro. Sulle case, per esempio, negli Usa si registra un calo delle richieste settimanali di mutui per la prima volta da un mese: l´indice scende dell´11%; ribasso analogo anche per i rifinanziamenti. Ma è record dei pignoramenti: più 44% a marzo. In Giappone, la vendita di nuovi appartamenti nel 2008 registra un crollo del 31%. E l´Opec, il cartello dei produttori di petrolio, taglia di nuovo le stime sulla domanda di greggio, che calerà di 1,37 milioni di barili al giorno attestandosi a 84,2 milioni. Segno che il cavallo ancora non beve.

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il nuovo "tea-party" degli americani spaventa obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 28 - Economia Global market Il nuovo "tea-party" degli americani spaventa Obama Generali China Life è salita al primo posto nella classifica di febbraio degli assicuratori vita a partecipazione straniera operanti in Cina con una raccolta pari a 155 milioni di euro Negli Stati Uniti la scadenza delle tasse si è trasformata ieri in una giornata nazionale di protesta nelle strade e di fronte ai Parlamenti statali all´insegna di un nuovo "tea party" come quello di Boston nel 1773. Allora furono i coloni, irritati per le tasse imposte dagli inglesi, a buttare in mare le casse di tè dalla tolda delle navi britanniche; adesso sono i gruppi di conservatori del Tea (Taxed enough already, già abbastanza tassati) a scendere in piazza contro il boom della spesa pubblica e la politica fiscale di Barack Obama. Giocando d´anticipo, il presidente ha promesso di riformare e semplificare la legislazione, che ha definito "mostruosa". Ma non sarà facile. E intanto, grazie a Internet e al ruolo-guida di alcuni commentatori tv, il movimento anti-tasse rischia di coagulare l´opposizione alla Casa Bianca democratica. Arturo Zampaglione [la fed in stile eurotower] L´epicentro della crisi globale è stato negli Usa e lì continuano anche le scosse di assestamento. Sono americane le maggiori istituzioni finanziarie messe in ginocchio e sono sempre a stelle e strisce i giganti industriali sull´orlo del baratro (Detroit docet). Un intero modello capitalista, con i suoi strumenti di regolamentazione e vigilanza, messo in discussione. Succede così che Eurolandia si lecchi ferite meno gravi grazie ad una formula più prudente. E che la Fed guardi alla Bce come qualcosa da studiare e, magari, imitare. Secondo il Wall Street Journal, La Federal Reserve potrebbe adottare un sistema di conferenze stampa regolari, sul modello utilizzato dall´Eurotower, per comunicare la propria politica. Non si finisce mai di imparare. Marco Patucchi

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(sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 16/04/2009 - pag: 12 L'intervista Sassi sulle manifestanti in piazza a Kabul contro la legge pro-stupri. Emma Bonino: «Sbagliato cedere ai talebani sui diritti umani» «Aiutiamo le donne o perderemo l'Afghanistan» KABUL Sassi contro le donne a Kabul. Dopo l'approvazione da parte del Parlamento della legge che stabilisce la subordinazione della moglie al marito, e in pratica ne autorizza lo stupro, un gruppo di un centinaio di attiviste per i diritti umani ha manifestato in piazza denunciando «l'insulto alla dignità delle donne» sancito con l'approvazione del testo e scandendo slogan come: «Non vogliamo la legge talebana». Il corteo è stato però preso di mira da un gruppo di circa 200 uomini (tra loro c'erano anche delle donne) che hanno iniziato a lanciare sassi inneggiando alla «giustizia islamica». Un cordone di poliziotti e di poliziotte è riuscito a tenere separati i due gruppi. Il presidente Hamid Karzai, su pressione degli occidentali, ha promesso di rivedere il testo, che riguarda solo la minoranza sciita del Paese. Secondo il presidente afghano, tuttavia, polemiche e preoccupazioni potrebbero risultare da una «traduzione impropria, perfino errata della legge o di una sua cattiva interpretazione». ROMA Quella dei sassi lanciati sulle afghane scese in piazza contro la legge sugli obblighi di letto per le mogli sciite è una delle notizie che ci ricordano quanto l'Afghanistan resti diverso da come noi occidentali lo vorremmo. Benché sia giusto difendere i diritti delle donne, non stiamo coltivando più illusioni di quante un sano idealismo ne autorizzerebbe? «Il corpo del Paese è meno retrogrado di quanto sembra. L'Afghanistan ebbe nel 1964 una Costituzione che prevedeva il lavoro delle donne. Non era la Svezia, ma succedeva nel 1964. E prima che i talebani andassero al potere, mentre i maschi erano sempre in guerra, spettava alle afghane tenere in piedi la pubblica amministrazione. Non imponiamo nulla, aiutiamo le afghane che chiedono aiuto. E sui diritti di base non si negozia », risponde Emma Bonino, radicale, vicepresidente del Senato, promotrice di un appello per non far entrare in vigore la legge contestata firmato anche da musulmane, tra le quali il ministro egiziano per la Famiglia Moushira Khattab. L'Amministrazione di Barack >Obama negli Stati Uniti ha ridimensionato le attese: più che prefiggersi di democratizzare l'Afghanistan, come proclamava George W. Bush, punta a neutralizzare il terrorismo. Teme ripercussioni su diritti come quelli invocati nella manifestazione di ieri? «Bisogna capire che neppure la nostra sicurezza sarebbe salvaguardata se l'Afghanistan tornasse a uno stadio così crudele e reazionario come quando governavano i talebani. Erano stati loro a togliere le ragazze dalle scuole, a proibire i tacchi perché avrebbero sprigionato un rumore erotico, a vietare le calze bianche perché attiravano l'attenzione. Ho letto con preoccupazione un commento di Gideon Rachman sul Financial Times secondo il quale siamo lì per combattere il terrorismo, non per difendere i diritti umani. Non è nemmeno una buona Realpolitik ». Chi ha sentito di recente a Kabul? «Martedì, al telefono, Sima Samar, presidente della commissione governativa sui diritti umani. Soprattutto sull'ultima coppia assassinata, due che uscivano insieme senza essere sposati». Attualmente che ne è della legge che imporrebbe alle sciite, consenzienti o meno, il sesso con il marito? «Dopo le sollecitazioni estere il presidente Hamid Karzai ha chiesto al ministro della Giustizia di valutare se viola la Costituzione. Cerchiamo di riempire questa pausa con l'appello che è su www.npwj.o rg ». Se la legge entrerà in vigore, il ministro della Difesa Ignazio La Russa aveva ipotizzato sul Corriere un ritiro delle militari italiane. «È importante trovare una posizione univoca della comunità internazionale, senza che ogni Paese faccia le cose sue». Maurizio Caprara Protesta Donne sciite manifestano a Kabul contro una legge che impone, tra l'altro, l'autorizzazione del marito per lavorare. Violenta reazione di un gruppo di uomini (a destra) (Afp e Epa) Reazione A fermare la folla rabbiosa di uomini, almeno cinquecento, che colpiscono le donne lanciando pietre, deve intervenire la polizia afghana (Afp/Shah Marai)

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Obama sulla strada di Clinton Gli Usa studiano l'intervento (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 16/04/2009 - pag: 12 Strategie Hillary annuncia un piano Obama sulla strada di Clinton Gli Usa studiano l'intervento WASHINGTON Potrebbe essere il battesimo del fuoco per il «Comando Africa». Una serie di attacchi per colpire a terra i pirati. La Casa Bianca potrebbe presto impartire l'ordine. E intanto il segretario di Stato Hillary Clinton annuncia misure politiche e tecniche. Per un eventuale attacco, le condizioni aiutano. Una risoluzione Onu contempla interventi sui nascondigli dei corsari. Il fronte interno opinione pubblica, Congresso non sembra ostile. E i media, complici le notizie che arrivano dall'area, fanno la loro parte. Dopo l'assalto alla «Alabama», un altro cargo Usa è finito sotto tiro e i corsari minacciano di uccidere i marinai americani. Gli equipaggi si appellano a Obama: «Svegliamoci, è ora di agire». Il presidente ha preso nota ed ha lasciato capire di voler far qualcosa di decisivo. Più cauto il segretario alla Difesa Robert Gates. Il Pentagono dispone nella regione di forze considerevoli. Oltre alle unità della Task Force 150 (anti-pirateria) può contare sulle navi della Quinta Flotta, dislocate di solito nella regione del Golfo Persico. A Camp Lemonier (Gibuti) gli Usa hanno i duemila uomini della «Combined Task Force» che si sommano ai marines imbarcati. Gli scenari considerati prevedono il ricorso a operazioni multiforze: 1) Uso di aerei senza pilota Predator armati di missili. 2) Attacchi di cannoniere volanti C 130. 3) Incursioni di commandos elitrasportati. 4) Raid anfibi dei Navy Seals. Dopo mesi di confronto, l'intelligence si presume dovrebbe aver raccolto una lista di obiettivi. Le imbarcazioni dei corsari, diversi rifugi, le strutture peraltro modeste usate dai banditi, alcuni capi. A Washington, poi, non si esclude che la mappa dei bersagli sia ampliata includendo le basi del movimento islamista Shabab e di altre fazioni qaediste. Organizzazioni già colpite negli ultimi due anni. Sulla carta dunque tutto facile. Appunto, sulla carta. Perché il teatro somalo riserva brutte sorprese. A cominciare da quelle che presenta qualsiasi atto di contro-guerriglia. Una presenza prolungata in territorio ostile aumenta la possibilità di perdite. C'è poi il rischio di coinvolgere civili innocenti. I pirati non vanno in giro con il pappagallo sulla spalla. Spesso sono pescatori che diventano banditi nel momento che abbordano la nave. E una volta a terra è ancora più difficile individuarli. Medesimi timori per i rifugi. Sono villaggi che prosperano grazie alla pirateria, ma restano dei villaggi con donne, vecchi e bambini. Scudi umani prevede l'intelligence che i pirati useranno imitando i guerriglieri somali all'epoca dell'intervento Onu negli anni '90. Una pagina tragica chiusasi con l'episodio passato alla storia come «Black Hawk Down», l'elicottero americano abbattuto dagli insorti. Una pagina che fatalmente viene riaperta ogni qualvolta si parla di Mogadiscio. Guido Olimpio Il precedente del '93 Clinton intervenne in Somalia, ma fu costretto al ritiro (una scena del film Black Hawk Down)

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Marchionne: mi dividerò tra Torino e Detroit (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 16/04/2009 - pag: 25 Corsa a Chrysler L'amministratore delegato Fiat: ostacolo principale le banche. I sindacati cedano sul costo del lavoro Marchionne: mi dividerò tra Torino e Detroit «Pronto a tutto per chiudere, niente proroghe. Se non va in porto abbiamo molti piani B» «Non prendiamo impegni se non intravediamo la fine del tunnel» «Il primo trimestre sarà il peggiore del 2009» MILANO Il colpo d'acceleratore c'è. Non è detto sia tale da portare a una firma già per giovedì prossimo, 23 aprile, giorno di consiglio a chiusura di un trimestre che Sergio Marchionne definisce con una sola parola: «Duro». Sarà però anche «il peggiore del 2009». Per cui, in fondo, a Torino lo considerano ormai archiviato. Sigillarlo con il primo passo della «nuova Fiat», quella che guarda all'asse con Detroit, avrebbe quindi un valore più che simbolico. Ma, coincida o no con le ore del board, la sigla sull'operazione Chrysler appare sempre più vicina. E non solo perché la scadenza è comunque dietro l'angolo, a fine mese. Ci sono tutte le cautele del caso, al Lingotto, e non sono puramente formali. Anche se il via libera di Barack Obama è considerato dal mondo dell'auto come la vera garanzia passe-partout al matrimonio, l'accordo può pur sempre saltare: siamo nella fase più dura del gioco (dopo la trattativa con la task force della Casa Bianca), ed è l'amministratore delegato Fiat a dire senza mezzi termini che, se i sindacati americani e canadesi non accetteranno i previsti tagli al costo del lavoro, «noi siamo assolutamente pronti a mollare la presa su Chrysler. Non ho alcun dubbio. Non possiamo prendere un impegno se non intravediamo la luce alla fine del tunnel». Ma è proprio in questa bordata, sparata non a caso ieri mattina dalle colonne del canadese Globe and Mail, che tutto sommato si nasconde una delle chiavi delle pesanti schermaglie negoziali. Non è Torino che ha da perdere se l'accordo saltasse: è Chrysler che fallirebbe, e sarebbero i suoi dipendenti a «pagare di più» il conto della bancarotta. «È per loro che mi preoccupo», non per Fiat: «Se non va da una parte va da un'altra, qualcosa troviamo. Ci sono parecchi 'piani B'». E sarà una coincidenza, però a poche ore dall'intervista i sindacati canadesi (i più «rigidi » secondo Marchionne) annunciavano che sì, accettano l'invito a tornare al tavolo delle trattative. Si riprenderà lunedì. Non che la strada sia tranquillamente in discesa. Il sindacato «non è» l'ostacolo principale: manca soprattutto «l'intesa con le banche che hanno finanziato Chrysler». E infatti anche lì si negozia a oltranza. Negli Usa come in Canada (dove il gruppo ha tre stabilimenti) sono però in molti a vedere una discreta moral suasion da parte dei governi, che leggono nelle nozze con Fiat l'unica concreta chance di «rifondazione» della più piccola delle ex big three. La prima garanzia Washington l'ha pretesa con il piano industriale. La seconda, è l'impegno diretto di chi con quel piano ha convinto la Casa Bianca. Era scontato per chiunque conosca Marchionne che, in caso di accordo in porto, il numero uno del Lingotto sarebbe stato il vero uomo forte. Ed è vero che lui, all'inizio, aveva rassicurato così quanti sui mercati temevano un suo assorbimento totale su Detroit: «Darò il mio contributo dal consiglio». Oggi su richiesta dell'amministrazione Usa dà invece la disponibilità all'incarico anche ufficiale come chief executive officer. «Di fondo è possibile, ma i titoli a me importano fino a un certo punto. Mi importa fare tutto quello che è necessario per risanare l'azienda». A questo Marchionne si dice «disponibile: a fare tutto il necessario ». E quindi sì, «è possibile che io debba dividere il mio tempo tra gestione Fiat e gestione Chrysler». È d'altra parte quanto, nella sostanza, avrebbe fatto comunque. Ed è naturale, visto che si va verso un'integrazione. Poi certo: il ruolo di Ceo comporta obblighi pure formali che rendono più gravoso il part time «atlantico». Però la scommessa è di quelle epocali. Lui la vuole vincere ed è ovviamente pronto a partire: alla fine, sebbene dia ancora «al 50% le possibilità di accordo», quel che vede è che «non c'è una sola ragione per cui Fiat non possa chiudere entro il 30 aprile». Raffaella Polato

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repubblicani contro le tasse di Obama (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 16/04/2009 - pag: 26 La protesta come nel 1773 «Tea Party» repubblicani contro le tasse di Obama Come la rivolta del tè che nel 1773 diede simbolicamente il via alla rivoluzione americana: la destra conservatrice statunitense ha organizzato centinaia di party per protestare contro le troppe tasse di Barack Obama. E lo ha fatto nel Tax Day, cioè la scadenza per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi. I conservatori riconoscono l'enormità della crisi economica ma sono convinti che il piano del presidente costi troppo e non sia altro che un enorme cumulo di spesa pubblica a carico del contribuente. Efficace lo slogan scelto: «Tea Party» contro il Tax Day. Immediata la replica di Obama: «Entro l'anno sarà pronta una riforma per la semplificazione del sistema». Il 16 dicembre del 1773 a Boston venne organizzata una protesta contro la decisione del governo britannico di aumentato la pressione fiscale contro i «coloni» costituendo un nuovo balzello con il Tea Act. I bostoniani gettarono in mare tonnellate di tè stivate nelle navi inglesi ormeggiate in porto. Da qui il riferimento patriottico della protesta odierna che ha visto cortei e manifestazioni in tutti i 50 Stati d'America. Il Tea Party del 1773 in una stampa d'epoca. A destra la protesta di ieri

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Wal Mart: sarà a la geometria della crisi (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 16/04/2009 - pag: 27 Recessione Parla il numero uno Mike Duke Wal Mart: sarà a «U» la geometria della crisi MILANO «Questa non è una recessione a 'V'. C'è ancora molto stress, l'uscita dalla crisi non sarà rapida». Mike Duke, amministratore delegato di Wal Mart, s'è unito ieri al coro di economisti e capi d'azienda che da tempo ipotizzano una depressione economica a 'U'. Le parole del leader del maggior gruppo mondiale di grande distribuzione, un colosso da un milione di dipendenti, non hanno avuto grande effetto sul titolo in Borsa (che ha guadagnato lo 0,33%), nè sul listino (il Dow Jones ha chiuso a più 1,38%) ma hanno comunque riportato al centro dell'attenzione le diverse forme che una recessione può assumere. Secondo il capo di Wal Mart, cioè di un manager che più di qualunque altro conosce gli umori dei consumatori, bisogna dire addio alle ultime illusioni di una caduta dell'economia seguita da una rapida ripresa. E per capire cosa significa una recessione a 'V' conviene ricordare la fine della bolla speculativa della cosiddetta new economy all'inizio del millennio, con il collasso delle dot.com. Oppure la gelata seguita alla raffica di scandali legati al boom delle aziende internet e agli attacchi terroristici dell' 11 settembre, che portarono l'economia americana in piena recessione. Durò sei mesi, dal marzo al novembre 2001. Una crisi a 'V', appunto. Quella suggerita da Duke (ma ampiamente stimata dall'Fmi come dall'Ocse e da altre istituzioni multilaterali) è invece una correzione a 'U'. Vale a dire che la parte bassa della curva si protrarrà molto più a lungo. Esempio perfetto: la crisi petrolifera d'inizio anni '70, quando la guerra dello Yom Kippur quadruplicò i prezzi del petrolio e andò a saldarsi con le crescenti spese del governo Usa per finanziare l'ultima fase della guerra del Vietnam, portando l'economia americana alla stagflazione. In tutto, la fase recessiva andò avanti per due anni, fino al 1975. E due anni, dal 1980 al 1982, durò anche la fase di crescita sottozero (in America ma anche in altri paesi occidentali) innescata dalla rivoluzione khomeinista nell'Iran del 1979. Anche in quell'occasione la miccia fu accesa dal decollo dei prezzi petroliferi e dalla conseguente impennata dell'inflazione nei paesi consumatori. Ma a mandare in rosso l'economia Usa contribuì in modo decisivo l'atteggiamento della Federal Reserve, guidata allora da Paul Volcker (oggi consigliere economico di Barack Obama), che proprio per combattere la spirale dei prezzi intervenne con decisione sui tassi d'interesse e sulla liquidità disponibile per il sistema. Ma se con una 'U' tutti (o quasi) gli economisti sono convinti che dovremo fare i conti, il vero incubo che si cerca di esorcizzare (e i piani di stimolo economico varati da molti paesi vanno in questo senso) è quello di una recessione a 'L'. Come dire: economia a precipizio, senza risalita in tempi prevedibili. I due esempi che la storia recente si porta addosso fanno entrambi paura. Una classica 'L' è quella del Giappone negli anni '90, che si è trascinata per oltre un decennio e che per certi aspetti non è ancora archiviata. L'altra 'L' è la recessione più famosa (e temuta): la Grande Depressione che da 1929, con il crollo di Wall Street seguito dal collasso delle banche e poi dalla chiusura delle aziende e da milioni di disoccupati, è andata avanti fino al 1939.

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L'India, il gigante al voto e la tentazione della sinistra (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 16/04/2009 - pag: 15 Il cambiamento possibile Il Paese che più ha beneficiato della globalizzazione potrebbe rispondere in modo sorprendente alla crisi L'India, il gigante al voto e la tentazione della sinistra Elezioni al via: spunta un terzo «polo» tra il partito del Congresso e il Bjp di BILL EMMOTT Negli ultimi tempi, si sente spesso dire che la crisi economica rischia di innescare la marcia indietro della globalizzazione, riportare in vigore l'interventismo statale, persino segnare una svolta politica a sinistra. Eppure, è difficile trovare esempi di paesi dove ciò stia realmente accadendo. Se Barack Obama viene considerato di sinistra, allora forse anche l'America lo è. E nel resto del mondo? Non la Gran Bretagna, né la Francia o la Germania, e certamente non l'Italia. Oggi, però, un altro Paese si reca alle urne e il risultato elettorale potrebbe decretare una virata a sinistra, malgrado tutti i benefici sinora ricevuti dalla globalizzazione e dal capitalismo liberale per lo meno, in base alle nostre valutazioni europee. Parliamo della più grande democrazia del pianeta, l'India. Tutto ciò che attiene alle elezioni politiche indiane è impressionante. Le operazioni di voto sono lunghissime si svolgono nell'arco di circa cinque settimane e riguardano 543 circoscrizioni, 714 milioni di elettori, oltre 800.000 seggi elettorali, protetti da sei milioni di addetti, tra funzionari e forze dell'ordine. Le percentuali dei votanti non sono alte, in confronto all'Italia, ma anche un 60 per cento all'incirca rappresenta un risultato considerevole, se teniamo conto del fatto che oltre un terzo degli adulti indiani è analfabeta. Sono cifre ragguardevoli, ma la cosa più sorprendente della politica e delle elezioni in questo Paese è un'altra: l'incredibile frammentazione politica dell'India. Oltre 40 partiti politici avevano seggi nel Parlamento uscente. La coalizione di governo, guidata dall'Indian National Congress, uno dei due soli partiti politici su scala nazionale, raccoglieva dieci partiti, ma contava sul sostegno informale di altri quattro. La precedente coalizione, che ha governato il paese dal 1998 al 2004, è stata guidata dall'altro partito nazionale, il Bharatiya Janata Party (Bjp) partito nazionalista indù e combinava anch'esso le forze di dieci partiti, ma in diversi momenti era stato appoggiato da un'altra dozzina di schieramenti. In confronto a quella indiana, la politica italiana persino sotto la Prima Repubblica appare banale. Ma gli stessi risultati elettorali, in India, sono tutt'altro che semplici: non si tratta soltanto del numero dei voti e dei seggi conquistati, ma anche delle potenziali alleanze tra i vari partiti. È qui che entra in gioco la possibilità di una svolta a sinistra, ma per motivi legati alla frammentazione, anziché al dibattito politico. L'India, sotto il governo guidato dal Partito del Congresso, ha assistito al periodo di massima crescita economica della sua storia: fino al 2009, il tasso annuale di crescita del Pil ha fatto registrare oltre l'8 per cento. Quest'anno, la crescita ha subito un forte rallentamento, per il collasso degli scambi internazionali e la crisi dei mercati finanziari. Gli economisti prevedono per l'anno in corso una crescita del 4-5 per cento. Il governo in carica non sarà considerato responsabile di questa contrazione, perché tutti sanno che ha avuto cause globali. Ma non si è nemmeno guadagnato molta stima per gli eccellenti risultati economici finora raggiunti, e il motivo è duplice. Innanzitutto, i contadini indiani hanno tratto ben pochi vantaggi dal successo economico del paese, e questo conta molto sotto il profilo politico, visto che il 70 per cento della popolazione vive ancora nei villaggi. Secondo, negli ultimi anni l'inflazione ha danneggiato i poveri, a causa degli aumenti dei prezzi dei carburanti e delle derrate alimentari. La fiammata inflazionistica oggi si è attenuata, ma il ricordo non è stato cancellato. Nelle ultime elezioni politiche, nel 2004, il governo guidato dal Bjp era dato per vincente, grazie ai buoni risultati economici. Ma la natura frammentaria della politica indiana, associata al malcontento della popolazione rurale, ne ha decretato la sconfitta. Nel 2009, molti analisti politici in India prevedono che il Partito del Congresso si assicurerà un numero sufficiente di seggi per formare un nuovo governo, con l'aiuto di Rahul, figlio di Sonia Gandhi, che ha in mano, di fatto, le redini del partito. I fedelissimi della famiglia Gandhi sperano che Rahul possa occupare la poltrona di primo ministro tra un anno o due, pur avendo ancora 38 anni in un Paese dove i premier hanno in genere tra i 70 e gli 80 anni. Ma gli analisti potrebbero sbagliarsi di nuovo. Il Bjp potrebbe rivelarsi forte abbastanza da formare la propria coalizione di governo. In quel caso, i cambiamenti sarebbero assai pochi, dato che il Bjp e il Partito del Congresso concordano fondamentalmente su politica estera ed economica. Già si annuncia peraltro una terza possibilità. I partiti che contano sul sostegno delle caste inferiori della società indiana, vale a dire dei ceti più poveri, negli ultimi tempi si sono rafforzati politicamente. Il maggiore tra questi partiti, basato in uno degli stati più grandi, l'Uttar Pradesh, è guidato da una donna, Mayawati. Se i partiti come il suo raccoglieranno un buon numero di voti in queste elezioni, per via dell'insoddisfazione rurale e il brutto ricordo dell'inflazione, potrebbe anche darsi che Mayawati riesca a formare una coalizione di governo, alleandosi con ogni probabilità con i partiti comunisti indiani. Al momento, i sondaggi di opinione non puntano affatto in questa direzione, ma nell'India rurale, diffusamente analfabeta e divisa politicamente, i sondaggi di opinione si rivelano spesso ingannevoli. Se sarà Mayawati a formare il nuovo governo, allora l'India, uno dei giganti emergenti della globalizzazione, potrebbe virare bruscamente a sinistra, rivedendo le riforme economiche e persino ripristinando le barriere commerciali. Questo sì che sarebbe un risultato sorprendente. (Traduzione di Rita Baldassarre) Urne tecnologiche A sinistra, un addetto alla sicurezza riposa davanti alle macchine per il voto (chiuse come valigette). Accanto, controllo di una «valigetta» (Ap)

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Il governo tentato dalla tassa sui ricchi (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Il governo tentato dalla tassa sui ricchi [FIRMA]STEFANO LEPRI ROMA Una nuova tassa sui ricchi per finanziare l'intervento in Abruzzo: in mattinata sembrava cosa fatta, mentre in serata il governo ha deciso di frenare. «È assolutamente infondato e del tutto falso che sia stata presa alcuna decisione in merito ad una tassa sui ricchi diretta a qualsiasi scopo» ha precisato Palazzo Chigi in una nota dopo un'incontro Berlusconi-Tremonti. L'idea di una addizionale per il terremoto era stata discussa in un pre-consiglio dei ministri tenutosi in mattinata ed il premier avrebbe potuto annunciarla questa mattina nel corso di una nuova visita in Abruzzo. Il comunicato serale non è un no assoluto; tutte le ipotesi restano in tavola, comprese sigarette, benzina, lotterie. Per come si era appreso in giornata, si studiava una addizionale Irpef per i redditi alti, sopra 120.000 - 140.000 euro l'anno, con una aliquota almeno del 2%. In pratica è la stessa una tantum che il segretario del Pd Dario Franceschini aveva proposto poco più di un mese fa con un differente scopo, aiutare i disoccupati; e che allora parecchi esponenti del Popolo delle libertà avevano definito «demagogica» o addirittura «iniqua» (mentre Umberto Bossi era favorevole). Redditi sopra i 120.000 euro annui li ha dichiarati, nel 2006 (ultimi dati disponibili), lo 0,56% dei contribuenti. A proporre di tassarli per finanziare la ricostruzione in Abruzzo era stato per primo Pierferdinando Casini dell'Udc, martedì. Cambiano i tempi, cambiano le mode. Molti governi nel mondo nella crisi attuale stanno pensando di tassare più i ricchi; non solo Barack Obama, ma anche il centro-destra francese. Se con l'aliquota del 2%, e sopra i 120.000 euro, l'una tantum frutterebbe circa 500 milioni. Sul tavolo del governo erano arrivate diverse ipotesi, anche più pesanti, con contributo a partire da 80.000 euro, oppure con aliquota fino al 4%. La mezza smentita è forse collegata alla scelta, imposta dalla Lega Nord, di non accoppiare il referendum alle elezioni europee. Secondo il Partito democratico, una separata giornata di voto costerebbe circa 400 milioni di euro. Dato che le due cifre sono simili, l'opposizione avrebbe parlato di una tassa per contentare la Lega. In ogni caso per il sisma non basteranno 500 milioni. Si dovrà forse arrivare a due miliardi. La cifra di 12 miliardi necessari in un arco di tempo più lungo, fatta dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, non è stata confermata. «Una valutazione precisa non c'è ancora» ha detto il ministro Roberto Calderoli. In serata Silvio Berlusconi ha fatto il punto a palazzo Grazioli con Giulio Tremonti e con il sottosegretario Guido Bertolaso. Le risorse urgenti saranno stanziate nel consiglio dei ministri che, rinviato, si terrà la prossima settimana all'Aquila. Tra le altre ipotesi di nuove entrate pro-terremoto resta anche l'addizionale su Lotto e Superenalotto di cui si era già parlato (200 milioni?) più tasse sulle slot-machines, più tasse sulle sigarette, 5 centesimi in più al litro sulla benzina (250 milioni in ragione annua); quanto a tagli alle spese, si parla di risparmiare sui farmaci del Servizio sanitario nazionale, a carico o delle imprese produttrici o dei farmacisti. Un discorso a parte riguarda il 5 per mille. Proteste da tutti gli schieramenti politici hanno accolto l'ipotesi di inserire i soccorsi al terremoto tra le «buone cause» tra cui i contribuenti possono scegliere. Sarebbe una perdita netta per il volontariato, spesso per associazioni che proprio in questo momento si stanno dando da fare in Abruzzo, hanno detto esponenti del Pdl come del Pd e dell'Udc. «Non si toglie nulla al volontariato - ha ribattuto Tremonti - se no il 5 per mille non l'avrei pensato tanti anni fa. Si dà in più, una causale in più e soldi in più. Non soldi in meno al volontariato, ma soldi in più per il terremoto». I soldi in più, in qualsiasi caso, dovranno essere trovati, visto che con la scelta del 5 per mille i contribuenti si limitano a spostare da una destinazione ad un'altra fondi già esistenti. Nel bilancio 2009 allo scopo sono disponibili 380 milioni.

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[FIRMA]STEFANO LEPRI ROMA Una nuova tassa sui ricchi per finanziare l'intervento in Abruz... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]STEFANO LEPRI ROMA Una nuova tassa sui ricchi per finanziare l'intervento in Abruzzo: in mattinata sembrava cosa fatta, mentre in serata il governo ha deciso di frenare. «È assolutamente infondato e del tutto falso che sia stata presa alcuna decisione in merito ad una tassa sui ricchi diretta a qualsiasi scopo» ha precisato Palazzo Chigi in una nota dopo un'incontro Berlusconi-Tremonti. L'idea di una addizionale per il terremoto era stata discussa in un pre-consiglio dei ministri tenutosi in mattinata ed il premier avrebbe potuto annunciarla questa mattina nel corso di una nuova visita in Abruzzo. Il comunicato serale non è un no assoluto; tutte le ipotesi restano in tavola, comprese sigarette, benzina, lotterie. Per come si era appreso in giornata, si studiava una addizionale Irpef per i redditi alti, sopra 120.000 - 140.000 euro l'anno, con una aliquota almeno del 2%. In pratica è la stessa una tantum che il segretario del Pd Dario Franceschini aveva proposto poco più di un mese fa con un differente scopo, aiutare i disoccupati; e che allora parecchi esponenti del Popolo delle libertà avevano definito «demagogica» o addirittura «iniqua» (mentre Umberto Bossi era favorevole). Redditi sopra i 120.000 euro annui li ha dichiarati, nel 2006 (ultimi dati disponibili), lo 0,56% dei contribuenti. A proporre di tassarli per finanziare la ricostruzione in Abruzzo era stato per primo Pierferdinando Casini dell'Udc, martedì. Cambiano i tempi, cambiano le mode. Molti governi nel mondo nella crisi attuale stanno pensando di tassare più i ricchi; non solo Barack Obama, ma anche il centro-destra francese. Se con l'aliquota del 2%, e sopra i 120.000 euro, l'una tantum frutterebbe circa 500 milioni. Sul tavolo del governo erano arrivate diverse ipotesi, anche più pesanti, con contributo a partire da 80.000 euro, oppure con aliquota fino al 4%. La mezza smentita è forse collegata alla scelta, imposta dalla Lega Nord, di non accoppiare il referendum alle elezioni europee. Secondo il Partito democratico, una separata giornata di voto costerebbe circa 400 milioni di euro. Dato che le due cifre sono simili, l'opposizione avrebbe parlato di una tassa per contentare la Lega. In ogni caso per il sisma non basteranno 500 milioni. Si dovrà forse arrivare a due miliardi. La cifra di 12 miliardi necessari in un arco di tempo più lungo, fatta dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, non è stata confermata. «Una valutazione precisa non c'è ancora» ha detto il ministro Roberto Calderoli. In serata Silvio Berlusconi ha fatto il punto a palazzo Grazioli con Giulio Tremonti e con il sottosegretario Guido Bertolaso. Le risorse urgenti saranno stanziate nel consiglio dei ministri che, rinviato, si terrà la prossima settimana all'Aquila. Tra le altre ipotesi di nuove entrate pro-terremoto resta anche l'addizionale su Lotto e Superenalotto di cui si era già parlato (200 milioni?) più tasse sulle slot-machines, più tasse sulle sigarette, 5 centesimi in più al litro sulla benzina (250 milioni in ragione annua); quanto a tagli alle spese, si parla di risparmiare sui farmaci del Servizio sanitario nazionale, a carico o delle imprese produttrici o dei farmacisti. Un discorso a parte riguarda il 5 per mille. Proteste da tutti gli schieramenti politici hanno accolto l'ipotesi di inserire i soccorsi al terremoto tra le «buone cause» tra cui i contribuenti possono scegliere. Sarebbe una perdita netta per il volontariato, spesso per associazioni che proprio in questo momento si stanno dando da fare in Abruzzo, hanno detto esponenti del Pdl come del Pd e dell'Udc. «Non si toglie nulla al volontariato - ha ribattuto Tremonti - se no il 5 per mille non l'avrei pensato tanti anni fa. Si dà in più, una causale in più e soldi in più. Non soldi in meno al volontariato, ma soldi in più per il terremoto». I soldi in più, in qualsiasi caso, dovranno essere trovati, visto che con la scelta del 5 per mille i contribuenti si limitano a spostare da una destinazione ad un'altra fondi già esistenti. Nel bilancio 2009 allo scopo sono disponibili 380 milioni.

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Obama milionario grazie ai libri (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Svelato il reddito del presidente degli Stati Uniti. Obama punta tutto sull'educazione. Lui e la moglie Michelle, infatti, l'anno scorso hanno speso per l'istruzione delle figlie oltre 47mila dollari. E sono anche di più i soldi versati nei fondi di risparmio di Sasha e Malia. Gli Obama possono dare il meglio alle loro piccole soprattutto grazie ai ricavi prodotti con i libri scritti dal presidente. Se non fosse ,appunto, il presidente americano, Barack potrebbe vivere bene con i diritti dei suoi libri, che costituiscono il grosso degli oltre due milioni e mezzo di dollari che gli Obama hanno guadagnato nel 2008. Ma se non fosse presidente i due volumi che illustrano la sua visione dell’America e la sua strada verso il sogno americano non sarebbero dei best-seller. "I sogni di mio padre" e "Il coraggio della speranza" sono stati in classifica rispettivamente per 142 e per 67 settimane, le vendite alimentate prima dalla corsa alla Casa Bianca, poi dalla trionfale elezione dello scorso novembre. Barack e Michelle dichiarato al fisco per l’anno scorso 2,65 milioni di dollari; hanno pagato 855mila dollari di tasse federali e quasi 70mila di imposte statali, mentre 172mila dollari sono andati in beneficenza a 37 organizzazioni. Decisamente più contenuto il reddito del vice-presidente, Joe Biden, e della moglie: poco più di 269mila dollari perlopiù derivanti dallo stipendio di senatore del Delaware e dai diritti del suo libro. Una curiosità: compilando la dichiarazione dei redditi, Obama e la moglie si sono tolti la soddisfazione di riempire la casella occupazione scrivendo «presidente degli Stati Uniti» e «First Lady».

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Rosa Brooks, una liberal anti-guerra al Pentagono (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

Può una giornalista ferocemente liberal, senza peli sulla lingua nelle sue critiche a Bush e Rumsfeld, paladina del pensiero anti-guerra, entrare al Pentagono con un ruolo di primo piano? Per Barack Obama la risposta a questa apparentemente improbabile domanda è “sì”. Il presidente ha scelto Rosa Brooks, opinionista del Los Angeles Times ed esponente della sinistra radicale, come consigliere del sottosegretario alla Difesa Michèle Flournoy, forse uno dei più convinti sostenitori di politiche di difesa intransigenti e interventiste all’interno dell’intera amministrazione. Brooks non è un volto nuovo a Washington: durante i due mandati di Bill Clinton, ha lavorato per il dipartimento di Stato in qualità di consigliere anziano del vice-segretario Harold Hongju Kho. Ma il suo ingresso al Pentagono non sta mancando di suscitare polemiche. In particolare, a Brooks, che è anche docente di legge e direttrice del Centro per i diritti umani all’Università di Georgetown, non si perdonano i legami con George Soros, il controverso imprenditore, politico e filantropo di origini ungheresi, noto per le sue posizioni anti-imperialiste e anti-Bush, oltre che per la condotta spregiudicata negli affari e per alcune eclatanti azioni di speculazione monetaria, che gli sono valse critiche feroci dal mondo politico e finanziario e una condanna in Francia per insider trading: Brooks è stata consulente legale del presidente dell’Open Society Institute, la fondazione benefica fondata da Soros per salvaguardare i diritti fondamentali degli individui, attraverso azioni di promozione della democrazia, della giustizia, dell’istruzione e dell’indipendenza dei media. L’ex opinionista condivide con Soros l’aspra opposizione a George W. Bush e alle sue politiche: se nel 2003 Soros affermava che rimuovere Bush dal suo incarico era “l’obiettivo principale della sua vita”, Brooks non è stata più tenera verso l’ex presidente e dalle colonne del Los Angeles Times ha lanciato più volte duri attacchi alla passata amministrazione. “George W. Bush e Dick Cheney non dovrebbero essere trattati come criminali da punire. Dovrebbero essere trattati come psicotici da curare”, scriveva Brooks nell’ottobre del 2007. E nel marzo 2009: “Le più grandi bugie legali dell’amministrazione Bush hanno aperto la strada ad uno degli episodi più vergognosi della nostra storia, inclusa l’autorizzazione ufficiale della tortura”. Dichiarazioni riprese da Bill O’ Reilly, conduttore di “The O’Reilly Factor” e commentatore politico per Fox News, che alla scelta di Obama di ingaggiare Rosa Brooks ha dedicato parte di un puntata estremamente critica nei confronti della nuova amministrazione: “Questa donna sarebbe il principale consigliere al Dipartimento della difesa? Stiamo scherzando? Michael Moore non era disponibile?”, ha commentato sarcastico O’Reilly. Il programma ha fatto anche trapelare il malumore che serpeggia, neppure troppo nascosto, negli ambienti militari: contattati dal giornalista, diversi funzionari del dipartimento si sono detti “scioccati” di fronte alla mossa del presidente. Il sottosegretario Flournoy, interpellato, non ha rilasciato commenti: ma è un silenzio che appare eloquente. + Finestra sull'America, di Maurizio Molinari commenti (0) scrivi

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Ferrovie, Obama lancia l'alta velocità (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON Anche gli Stati Uniti devono passare ai treni ad alta velocità: è la rivoluzione dei trasporti annunciata oggi dal presidente Barack Obama, secondo cui la Tav aiuterà gli Usa a ridurre il traffico e l’inquinamento atmosferico, oltre a costituire un buon risparmio energetico. Si tratterà, ha ammesso Obama, di «un progetto a lungo termine», ma appunto per questo, bisogna cominciare subito. Il presidente ha lodato i vantaggi dell’alta velocità insieme al vicepresidente Joe Biden e il segretario ai Trasporti Ray LaHood: «Questa non è una visione fantasiosa del futuro o un sogno a occhi aperti - ha insistito Obama - sta succedendo già, ma il problema è che sta succedendo altrove». E ha citato i grandi risultati ottenuti su questo fronte da altri paesi fra cui Cina, Giappone, Francia e Spagna. Negli Stati Uniti il sistema di trasporto ferroviario per passeggeri è concentrato soprattutto negli Stati densamente popolati del Nordest, mentre i collegamenti a lunga distanza, dalla metà del secolo scorso, si svolgono soprattutto in aereo o in automobile. Ma proprio per questo, ha sottolineato il presidente, le mitiche ’highways’ americane e anche le rotte aeree sono «congestionate».

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Usa, parte il treno di Obama "8 miliardi per l'alta velocità" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 16-04-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Al via l'alta velocità ferroviaria negli Stati Uniti: il presidente Usa Barack Obama ha oggi annunciato un programma con l'obiettivo di colmare nei prossimi anni il ritardo statunitense nei confronti di paesi europei come Francia e Spagna, orientali come Cina e Giappone. "Abbiamo bisogno di un sistema di trasporto intelligente che risponda ai bisogni del Ventunesimo secolo", ha detto Obama alla Casa Bianca, prima di lasciare Washington alla volta del Messico. L'alta velocità Usa verrà finanziata con 8 miliardi di dollari presi dai fondi per il rilancio dell'economia, di un totale di 787 miliardi di dollari, varati dal Congresso a febbraio, ai quali si aggiungeranno altri finanziamenti della Casa Bianca, 5 miliardi di dollari in 5 anni. Il presidente ha riconosciuto che "si tratta soltanto di un primo passo, sabbiamo benissimo che il programma è a lungo termine" Il piano complessivo è molto ambizioso, vista anche l'estensione degli Stati Uniti. Tra gli itinerari prioritari spiccano il collegamento San Francisco-San Diego, in California, e quello della costa est, dal New England alla Florida. (16 aprile 2009

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Obama in Messico, intesa sul clima "Insieme per l'energie pulita" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

CITTA' DEL MESSICO - Gli Stati Uniti e il Messico si sono impegnati a lottare insieme contro i cambiamenti climatici e a sviluppare forme di energia non inquinanti. Lo afferma una dichiarazione comune emessa durante la visita del presidente americano Barack Obama in Messico. Obama e il suo collega messicano Felipe Calderon si sono accordati per allargare la cooperazione economica e tecnica su questi temi istituendo quella che è stata definita "la cornice bilaterale Usa-Messico sull'energia pulita e sui cambiamenti climatici", si legge nella dichiarazione. Al centro del nuovo impegno ci saranno "energia rinnovabile, efficienza energetica, meccanismi di mercati, sfruttamento delle foreste e della terra, lavoro ecologico, sviluppo di tecnologie con basso uso di energia dal carbone, strategie contro l'effetto serra". Il Messico - si afferma inoltre nella dichiarazione - ospiterà la prossima sessione del forum delle maggiori potenze mondiali sul clima. (17 aprile 2009

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OBAMA MISSILI E SOGNI (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Arrigo Levi OBAMA MISSILI E SOGNI Si stanno tentando i primi bilanci del viaggio del presidente Obama in Europa, Turchia, ed anche Iraq. Qualcuno ha osservato, con qualche ragione, che la politica della «mano tesa» di Obama (verso i Paesi islamici, verso l'Iran, verso il mondo) non ha per ora avuto molto successo. La Corea del Nord ha risposto lanciando un missile a lunga gittata, in violazione delle regole del Consiglio di Sicurezza. L'Iran non ha l'aria di voler sospendere il lavoro per acquisire una «potenzialità nucleare», a fini forse pacifici forse bellici (e intanto Israele e America sperimentano i lanci di missili anti-missili, per precauzione). La presa di posizione di Obama a favore dell'ingresso della Turchia nell'Unione Europea è stata subito respinta dalla Francia. Infine, i Paesi della Nato hanno offerto alla nuova strategia afghana dell'America «un appoggio retorico ma poche unità di combattimento», come ha scritto «Time». Fin qui, sempre secondo «Time», il risultato principale della missione Obama è stato di ottenere «manifestazioni adoranti». In verità c'è qualcosa di più. Mentre l'America di Bush riusciva ad apparire in ogni momento dalla parte del torto, l'America di Obama appare dalla parte della ragione. Questo è importante. L'influenza nel mondo dell'America si basa sulla sua potenza militare e sulla disponibilità a usarla (forse i pirati del Mar Rosso hanno fatto male a sfidarla); ma anche sulla sua credibilità, sulla sua capacità di farsi ascoltare e di ascoltare. Il cambiamento è importante, perché anche la potenza dell'America ha dei limiti, e ha bisogno di essere affiancata, con mezzi politici oltre che militari, da una coalizione di amici. Ma è possibile che il frutto principale del viaggio di Obama riguardi il rapporto con la Russia di Medvedev. Dalla Russia, da mesi se non da anni, riceviamo un succedersi di docce calde e fredde. Sembra che l'incontro dei due Presidenti abbia dato finalmente inizio a una stagione di grandi negoziati strategici (vedi il giudizio di ieri sulla «Stampa» del ministro Frattini). Che cosa si siano detti a Londra Obama e Medvedev ce lo ha riferito lo stesso Obama nel suo discorso di Praga. Ha annunciato che America e Russia negozieranno «un nuovo trattato per la riduzione delle armi strategiche... mirando a un nuovo accordo legalmente vincolante per la fine dell'anno». Questo potrebbe voler dire un accordo tra i governi già a luglio (lo ipotizzano fonti giornalistiche americane), da definirsi in occasione della visita di Obama a Mosca, e da far approvare al Congresso Usa entro dicembre. Si parla di una riduzione nel numero delle testate nucleari di cui oggi dispongono ambedue le superpotenze (più di tremila a testa) ad appena (si fa per dire) 1200 o 1500 per parte, non sappiamo entro quanto tempo. Trent'anni fa Paul Nitze pensava che si sarebbe potuto ridurle a qualche decina soltanto. Un tale accordo sarebbe la premessa necessaria di un più complesso negoziato multilaterale per rafforzare le disposizioni del «Trattato di Non Proliferazione» e le misure sul controllo della «materia prima» nucleare. Gli esperti, come Graham Allison, o come El Baradei, non lasciano dubbi, nelle loro analisi, di quanto complessa sia questa successiva fase di un negoziato che dovrebbe ridurre il pericolo oggi più grave: quello che un gruppo di terroristi si impossessi di un'arma nucleare. Non si arriverà presto a risultati concreti (i negoziati strategici al tempo della Guerra Fredda continuarono per decenni). Utopistico, e forse anche di dubbia credibilità, appare il «sogno» di Obama di un mondo senza armi nucleari. Lui stesso dice che forse non farà in tempo a vederlo realizzato. Ne siamo più che convinti. Ma sognare fa bene. Lo slogan di Obama, «Yes we can», ricorda quello di Martin Luther King: «I have a dream». Era ora che la potente America ricominciasse a sognare. Più cauta è apparsa la posizione di Obama sul sistema di difesa anti-missile che Bush progettò di collocare in Polonia e Repubblica Ceca, proprio ai confini della Russia: che ha parlato di una grossolana provocazione minacciando contromisure più o meno credibili. (In realtà non c'è ancora niente di fatto; ma la provocazione, politica se non strategica, sicuramente c'era e c'è). Finché rimarrà la minaccia iraniana, ha detto il Presidente, «intendiamo andare avanti con un sistema di difesa antimissile che sia pari ai costi e sperimentato». Non ha ripetuto quanto aveva detto il vicepresidente Biden nel discorso di febbraio a Monaco. Biden aveva usato parole quasi identiche, ma con un'aggiunta: «Agiremo in consultazione con gli alleati Nato e con la Russia». Penso che la parola di Biden valga anche per Obama, e che anche su questo si dovrà trattare. Fra America, Russia e Unione Europea. CONTINUA A PAGINA 29

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"Ricostruiremo senza nuove tasse" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

"Ricostruiremo senza nuove tasse" [FIRMA]ALESSANDRO BARBERA ROMA Mentre accarezza teste, loda gli alpini e inaugura scuole da campo, il premier la mette così: «Quanto costerà la ricostruzione? Adesso ragionevolmente nessuno può fare cifre». Otto, dieci, o addirittura dodici miliardi come evocava Bobo Maroni? A Palazzo Chigi la parola d'ordine è cautela. Cautela sui costi che effettivamente lo Stato si dovrà accollare, perché si attendono i dati del censimento che la Protezione civile sta facendo immobile per immobile. E cautela su come verranno reperite le risorse. «Questo non significa che trovarle sia un problema. Al riguardo siamo sereni: i fondi ci sono». Berlusconi non ha ancora smaltito i titoli dei giornali che davano per probabile una tassa di solidarietà per i ricchi. Ci tiene a prendere le distanze: «Di ipotesi ce ne sono tante. So che qualcuno l'ha evocata. Io ho detto che non c'è assolutamente nessuna decisione». Per il Cavaliere, spiegano a Palazzo Chigi, l'uso della leva fiscale sarà l'ultima ratio. Solo laddove non fossero sufficienti le risorse, allora ci si penserà. E comunque, il premier vorrebbe evitare nuove imposte sui redditi. Secondo Davide Tabarelli di Nomisma, basterebbe un ritocco di 5 centesimi dell'accisa sulla benzina per garantire all'erario due miliardi di euro. Altre risorse potrebbero arrivare da un ritocco al prezzo delle sigarette. Se ne parlerà forse già oggi in un vertice di governo, di certo le decisioni verranno prese entro venerdì 24, quando il consiglio dei ministri si riunirà all'Aquila. Berlusconi insiste perché si evitino nuove tasse, e spera nel genio contabile di Giulio Tremonti. Per gestire l'emergenza delle prime settimane c'è ancora da spendere 150 milioni del fondo calamità, l'Unione europea potrebbe stanziare molto rapidamente altri 200 milioni. Il resto potrebbe arrivare da una lotteria ad hoc o dalla destinazione di una quota delle entrate da giochi. Per la ricostruzione vera e propria invece Berlusconi è convinto non ci sia alcun problema: le risorse in questo caso potranno arrivare dal superfondo attivato a Palazzo Chigi. Non sono risorse immediatamente spendibili - tecnicamente le si definisce in conto capitale - ma si tratta di ben nove miliardi di euro attivabili, almeno in parte, entro un anno. Non lo dice, ma è evidente che se nelle giravolte contabili fosse necessario fare un po' di deficit in più, per lui - viste le condizioni in cui versano le finanze pubbliche di tutti i Paesi vicini - non sarebbe un dramma. Il meccanismo di aiuto alle famiglie ricalcherà per certi versi quello adottato per il terremoto dell'Umbria. Se allora la ricostruzione fu finanziata da finanziamenti pubblici e dall'intervento dei privati (allora si attivò lo sgravio Irpef), questa volta il governo pensa a coinvolgere le banche. Chi deve ricostruire o ristrutturare - spiega il premier - «avrà il 33% a fondo perduto», e poi «mutui a tasso agevolato fino alla metà del valore dell'immobile». Non è poi da escludere che il governo proponga a istituti di credito e assicurazioni di farsi carico direttamente della ricostruzione di interi edifici. «Vorremmo chiudere le tende e costruire case vere prima dell'autunno», azzarda. «I controlli contro mafia e speculazioni saranno rigidissimi. E le abitazioni saranno a prova di scossa, come quelle costruite in Giappone». Per il restauro del patrimonio artistico invece il premier pensa ad una «lista di nozze» da proporre ai Paesi amici. Luciano Marchetti - già impegnato nel dopo-sisma di Umbria e Marche - sarà commissario ad hoc. I beni da restaurare sarebbero 38: «Sottoporrò l'elenco a tutti gli amici che si sono offerti», dice il Cavaliere. Da Barack Obama a José Zapatero: «Mi ha detto che c'è un Forte spagnolo, forse di quello si occuperà lui. E dove non arriveranno gli amici - spiega con piglio da ingegnere - interverrà lo Stato, appendendo nei cantieri le date di inizio e fine lavori».

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Mimmo Càndito (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Analisi Mimmo Càndito SE IL NUOVO SUD AMERICA COMINCIA DA RIO BRAVO A dire che oggi il Messico è una sorta di colonia secondaria di Washington si rischia un esercizio di ideologia antiyanqui, ma certo le relazioni che legano gli Usa al suo vicino del Sud hanno una forte connotazione di dipendenza, non solo economica. Gli Stati Uniti hanno un forte bisogno del petrolio che importano dal Messico, e però il loro legame si è soprattutto rinsaldato dopo la firma del Trattato di libero commercio che ha consentito un outsourcing di grande profitto senza che venisse restituito al paese ospitante granché di quei guadagni. La dipendenza dal Nord è uno dei temi che stanno nello sfondo della quinta «cumbre de las Americas», e dunque le relazioni difficili tra Washington e Città del Messico si disperdono poi all'interno di un orizzonte continentale dove il progetto di un riequilibrio passa anche attraverso le ambizioni di leadership del Brasile e la ricucitura con l'ampio fronte della «izquierda latinoamericana». I 3.000 chilometri di frontiera che dividono Messico e Usa sono la metafora del dramma che divide il Nord e il Sud del mondo, perché l'unica parte del pianeta dove questi due mondi dividano una terra comune. E i 30 chilometri del muro d'acciaio eretto tra Tijuana e San Diego sono soltanto una corta appendice del muro che si vorrebbe elevare lungo l'intero confine, per frenare il milione di clandestini che ogni anno tentano di passare a Nord (oggi ci sono negli Usa 12 milioni di messicani, 8 milioni «indocumentados»). E in questo traffico di uomini e di speranze confluisce, inevitabilmente, il ricco mercato della droga, con un bilancio di morti ammazzati che ogni anno supera le 5000 vittime. Parleranno anche di questo, Obama e Calderón, ma per il presidente americano il Rio Bravo sarà soprattutto un fiume da passare per ritrovare parole che possano essere ascoltate ben più lontano, fino alla lande estreme della Terra del Fuoco.

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Obama alla guerra del Sud (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Retroscena LE MOSSE DI PECHINO SOLDI E TECNOLOGIA CINESI MAURIZIO MOLINARI Messico La prima tappa dal presidente Calderón per confermare la «relazione speciale» con l'ingombrante vicino L'approccio La Casa Bianca mette da parte la visione egemonica di Bush «Vogliamo un rapporto paritario» Obama alla guerra del Sud Viaggio in America Latina per raccogliere la sfida della crescente influenza cinese Con una serie di accordi bilaterali ha radicato la sua presenza nel continente All'Argentina un megaprestito da mille miliardi. Fondi per l'industria petrolifera brasiliana CORRISPONDENTE DA NEW YORK Barack Obama inizia in Messico il viaggio sul quale conta per rilanciare i rapporti «su un piano di parità» con il Sudamerica ma l'ostacolo che trova sulla strada è la crescente influenza economica regionale della Cina di Hu Jintao. L'arrivo a Città del Messico e l'incontro con il presidente Felipe Calderon è stato voluto dalla Casa Bianca per sottolineare la «relazione speciale» che unisce le due nazioni e Daniel Restrepo, consigliere di Obama per l'America Latina, spiega che gli obiettivi del viaggio nell'Emisfero Occidentale sono tre: «Affrontare assieme crisi economica, emergenza climatica e minacce alla sicurezza collettiva». In concreto significa che Obama cerca con Calderon una convergenza sui temi-chiave dell'approccio alla regione per arrivare con una piattaforma comune al summit delle Americhe, nel fine settimana a Trinidad e Tobago, dove incontrerà anche i leader dei Paesi finora più ostili agli Stati Uniti: Venezuela, Bolivia, Nicaragua ed Ecuador. «Cerchiamo un rapporto paritario con tutti» dice Barack Obama in un'intervista al canale in spagnolo della Cnn, sottolineando come gli Stati Uniti non devono considerarsi «ad un livello diverso» rispetto agli altri partner regionali. «Non dobbiamo dire ad altri Paesi quali strutture politiche devono darsi, l'unica cosa che possono dire è che la forza dell'America è nell'essere una democrazia dove si celebrano periodiche elezioni che obbligano chi è eletto a rendere conto del proprio operato» sottolinea Obama puntando a rilanciare i rapporti con il Sudamerica dopo le tensioni registrate negli anni di George W. Bush, che portarono fra l'altro al fallimento del summit delle Americhe del 2005 in Argentina. In tale ambito Obama si dice «pronto a parlare del tema dei rapporti con Cuba» - l'unico paese non invitato al summit - ribadendo le aperture fatte nei giorni passati e dicendosi convinto che l'Avana «può recitare un ruolo importante nella crescita dell'intera regione», augurandosi però che Raul Castro «compia passi avanti sul rispetto dei diritti umani». Ma sulle intenzioni di Barack di rilanciare i legami con il Sudamerica, facendo perno sui rapporti privilegiati con Messico e Brasile, pende l'incognita di una novità: il fattore-Cina. Negli ultimi due anni infatti Pechino è stata abile a sfruttare le tensioni dei singoli Paesi con Washington per guadagnare progressivamente terreno e influenza, come dimostra il fatto che nelle settimane recenti ha collezionato una serie di accordi bilaterali che suggeriscono una tendenza in forte crescita. In Argentina l'intesa riguarda un prestito di oltre dieci miliardi di dollari che i cinesi hanno dato per incentivare l'acquisto di loro aspirazioni da parte di aziende locali. E' un tipo di penetrazione commerciale molto aggressivo, già sperimentato in Indonesia e Sud Corea, destinato a fare concorenza innanzitutto alle esportazioni americane. In Brasile invece il governo cinese ha investito dieci miliardi di dollari nella compagnia petrolifera nazionale, lasciando intendere la volontà di attingere alle risorse dell'America Latina per rispondere alla domanda di energia del mercato interno. E' un modello di investimento che ha già avuto successo in Africa e ripeterlo nel cuore dell'Amazzonia significa volersi insediare economicamente nel cuore dell'area considerata il «cortile di Washington» dalle feluche del Dipartimento di Stato. In Ecuador e Venezuela invece i finanziamenti cinesi sono andati a progetti di sviluppo, al fine di gettare le basi di una più vasta cooperazione con due delle capitali che hanno rapporti politici più tesi con Washington. Nel caso di Quito i cinesi hanno accettato di pagare con la costruzione di una centrale idroelettrica mentre in Venezuela a firmare il versamento di 12 miliardi di dollari è stato Xi Jinping, vicepresidente, al termine di un incontro con Hugo Chavez durante il quale si è discusso anche l'aumento delle esportazioni di petrolio di Caracas per Pechino, passate negli ultimi mesi da 380 mila a 1 milioni di barili al giorno. «La Repubblica Popolare sta giocando una partita dai tempi lunghi - ha spiegato Gregory Chin, politologo della canadese York University, al New York Times - al fine di gettare le basi economiche di quella che può diventare presto influenza politica». David Rothkopf, ex alto funzionario del Dipartimento del Commercio durante l'amministrazione Clinton, ritiene che la penetrazione cinese avvenga «a colpi di assegni» e sia il «risultato della stagione di crisi coincisa con gli anni di Bush», costituendo dunque una delicata sfida strategica per i piani di Obama.

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La Casa Bianca dà l'immunità agli agenti Cia (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

TORTURA La Casa Bianca dà l'immunità agli agenti Cia Gli agenti della Cia che hanno usato «in buona fede» forme di tortura come il «waterboarding» non passeranno guai con la giustizia. Lo ha assicurato il presidente Barack Obama in un comunicato che accompagna la pubblicazione di quattro memorandum dell'Amministrazione Bush sui metodi di interrogatorio ammessi nella guerra al terrorismo. Obama ha chiuso tutti i «siti neri», in Asia e nell'Europa dell'Est, e ha deciso la pubblicazione dei documenti segreti.

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Il Texas: "Washington ladrona" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

SI ALLARGA LA PROTESTA LANCIATA DAL TEA-PARTY: «LA COSTITUZIONE PREVEDE CHE POSSIAMO LASCIARE L'UNIONE» Il Texas: "Washington ladrona" [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK «Secessione!». Il grido lanciato dal governatore del Texas, Rick Perry, dal palco del comizio anti-tasse di Austin, capitale dello Stato, paventa lo scenario della fuga dall'Unione sull'onda della protesta contro lo «statalismo socialista» dell'attuale governo. Perry è uno dei governatori che più si batte contro le politiche economiche dell'amministrazione democratica: prima ha rimandato al mittente i 550 milioni di aiuti federali previsti dallo stimolo fiscale voluto dalla Casa Bianca «perché non voglio indebitare i miei nipoti» e poi assieme ai colleghi di South Carolina e Louisiana, Mark Sanford e Bobby Jindal, ha creato un fronte di Stati anti-Obama talmente agguerrito da rubare la scena all'opposizione repubblicana, ancora incapace di ritrovarsi attorno ad un leader davvero condiviso. Perry ha sfruttato la manifestazione del «tea party» anti-tasse svoltasi di fronte al municipio di Austin per far capire alla Casa Bianca che i texani non intendono accettare passivamente l'imposizione di «tasse e debiti». «Abbiamo di fronte a noi diversi possibili scenari - ha detto, prendendo la parola dopo un concerto di musica country - siamo parte di una grande Unione che non c'è alcun motivo di dissolvere, ma se Washington continua a mettere prepotentemente il naso nella vita del popolo americano sapete tutti che cosa può avvenire, il Texas è un posto unico e siamo gente che ama l'indipendenza» come dimostra il fatto che «nel 1845 entrammo nell'Unione ma con la chiara intesa che ne saremmo anche potuti uscire» e dunque la «secessione» è possibile. Come dire, questa volta potremmo davvero farlo. Il motivo è il testo di una risoluzione che il Congresso del Texas sta prendendo in esame per riaffermare la validità del 10° emendamento della Costituzione americana secondo il quale «i poteri non delegati agli Stati Uniti dalla Costituzione, e che la Costituzione non proibisce agli Stati, spettano agli Stati o al popolo». «Il problema che ci troviamo ad affrontare è l'esistenza di un governo che è divenuto oppressivo nei confronti degli Stati a causa delle ripetute interferenze che fa», aggiunge il governatore, le cui parole pesano tanto quanto l'economia del Texas che vanta il secondo Pil degli Usa - oltre un trilione di dollari - grazie a risorse energetiche, agricole e commerciali che ne fanno uno dei polmoni dell'economia nazionale. Ma più della ricchezza, evidenziata anche dai minori effetti della recessione nazionale, ciò che conta per i texani è un regime fiscale assai leggero, opposto rispetto alle pesanti misure adottate dal governo federale. I cittadini infatti pagano imposte locali con un'aliquota fissa dell'8,7 per cento e non devono far fronte ad alcuna imposta statale sul reddito perché il Texas alimenta le proprie casse grazie ad un'Iva del 6,25 per cento. È un sistema di contributi che spiega perché gran parte delle aziende presenti nell'indice «Fortune 500» - le più ricche del Paese - hanno il proprio quartier generale in Texas. Senza contare che questo Stato è un «donatore di Washington» in quanto per ogni dollaro di tasse federali versato dai contribuenti riceve benefici per 96 centesimi. In tale cornice, paventare la secessione serve a Perry per ambire al ruolo di leader nazionale di movimento anti-tasse che nasce dal basso senza contare che potrebbe aiutarlo a vincere la battaglia della rielezione contro la sfidante Kay Bailey Hutchinson, senatrice repubblicana incarnazione dell'establishment di Washington.

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ALESSANDRIA Novi Ligure AL VIA ECHOS Venerdi 17, alle 21,15, comincia nell'Oratorio de... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

ALESSANDRIA Novi Ligure AL VIA ECHOS Venerdi 17, alle 21,15, comincia nell'Oratorio della Maddalena una nuova edizione del festival internazionale di musica Echos, che si propone di valorizzare i luoghi più suggestivi dell'Alessandrino. L'apertura è con il duo Antonov-Ponten, violoncello e pianoforte. Casale Monferrato GRANDI PAS DE DEUX Sabato 18 al teatro Municipale appuntamento con la compagnia di balletto classico di Liliana Cosi e Marinel Stefanescu. Inizio alle 21, info 0142/444.314. Valenza IL JAZZ DI CAFISO Martedì 21 al Sociale concerto del sassofonista siciliano Francesco Cafiso. Di recente ha suonato per l'insediamento del presidente Usa, Barak Obama. L'accompagnano Dino Rubino (pianoforte), Riccardo Fioravanti (contrabbasso) e Stefano Bagnoli (batteria). Special guest Fabrizio Bosso (tromba). Inizio alle 20,45, info 0131-234.240. ASTI Moncalvo UNA NUOVA COMMEDIA Venerdì 17 e sabato 18 alle 21 al teatro comunale commedia «In stato di avanzata conservazione (lo sciopero dei becchini)» di Pellegrino Delfino presentato dalla compagnia Agar. Ingressi: da 13 a 16 euro. Info: 0141/31.383. Asti IL JAZZ DEI SEX MOB Lunedì 20 alle 21,30 al Diavolo Rosso I Sex Mob, una delle più interessanti band della scena newyorkese: Steven Bernstein alla tromba, Briggan Krauss al saxofono, Tony Scherr al basso e Kenny Wollesen alla batteria. Ingressi: 10 euro. Asti GIORGIO CONTE E GOZZANO Martedì 21 alle 21 al Teatro Alfieri Giorgio Conte presenta il suo nuovo spettacolo «È questa l'ora antica torinese. Colloqui con Guido Gozzano». Ingressi: da 12 a 25 euro. Info: 0141/399. 057. BIELLA Castelletto Cervo DOPPIO LIVE AL KOKO Venerdì 17 alle 22,30 doppio live con The Mojomatics e gli Helene's Mates (8 euro). Sabato 18, stessa ora, tocca a The Banshee e The Wonkies (5 euro). Biella GRANDE OPERA AL SOCIALE Al teatro Sociale sabato 18 è in programma il «Nabucco» di Verdi con l'Orchestra Filarmonica italiana. Biglietti 25, 22, 20 e 12 euro. Info: 015/25.62.793. Biella MUSICA ANTICA A PALAZZO A Palazzo La Marmora prende il via il Festival Internazionale di Musica Antica Bugella Civitas. Alle 21 di sabato 18 è atteso Hopkinson Smith al liuto barocco. Ingresso libero. Info: 339/61.17.354. Biella VIAGGIATORI DI PIANURA Domenica 19 al teatro Sociale Villani va in scena «Viaggiatori di pianura. Tre storie» con Laura Curino e Natalino Balasso. CUNEO Saluzzo JAZZ CON FLAVIO BOLTRO Jazz d'autore, mercoledì 22 aprile, all'Interno due, (ore 22) con Flavio Boltro alla tromba, Giovanni Mazzarino al pianoforte, Marco Micheli, al contrabbasso e Francesco Sotgiu, alla batteria. Ricco in programma. Caraglio IN SCENA I MARCIDOS La compagnia Marcido Marcidoris e Famosa Mimosa porta al teatro Civico, sabato 18, alle 21, «Memoria dello studio per le Serve», con Maria Luisa Abate e Paolo Oricco. Direzione di Marco Isidori. Ingresso 12 euro. Saluzzo OPERE DI ENRICO PAULUCCI L'«Omaggio a Enrico Paulucci» è il fiore all'occhiello della 14ª di «Saluzzo arte» allestita da sabato 18 aprile al 3 maggio, nelle Antiche Scuderie nell'ex caserma Mario Musso. Ingresso 5 euro. Visite giovedì e venerdì 15-19, sabato e prefestivi, 15-22,30, domenica e festivi, 15-19. NOVARA Novara A TEMPO DI MUSICAL Sarà Robin Hood, il principe del ladri, il protagonista del musical in cartellone sabato 18 aprile al teatro Coccia. Protagonista Manuel Frattini. Inizio alle ore 21, biglietti da 14 a 28 euro. Si replica domenica 19 alle ore 16. Trecate PROFUMO DI BROADWAY Manuela Custer sabato 18 al teatro Silvio Pellico in una serata dedicata ai musical di stampo americano con il concerto «Profumo di Broadway». Inizio alle ore 21, biglietti a 10 euro. Oleggio OB LAB BAND LIVE Jazz, swing e rivoluzione. Concerto della Ob Lab Revolution band in programma sabato 18 aprile a Villa Tellier. Inizio alle ore 15, ingresso libero. Novara CLASSICA A TEATRO Mercoledì 22 al teatro Coccia spazio alla musica classica con il Quartetto di Roma Inizio alle 21. VERBANIA Stresa VIAGGIATORI CON BALASSO Si ride con Natalino Balasso e Laura Curino, affiancati da Cristian Burruano e Liyu Jin, sabato 18 alle 21,15 al Palazzo dei congressi di Stresa. Viene proposto «Viaggiatori di pianura». Biglietti a 15 euro. VERCELLI Crescentino SI CONCLUDE LA STAGIONE Al teatro Angelini alle 21 di sabato 18 andrà in scena «Niente sesso siamo inglesi». Con Gianfelice Imparato, Valerio Santoro, Loredanma Giordano e Luigi Montini. Partecipazione di Erica Blank. Biglietti da 18 a 15 euro. Varallo JAZZ IN VILLA Domenica 19, alle 17,30 al Teatro Civico chiude la rassegna «Musica a Villa Durio. Alla ribalta il quartetto con il trombettista Flavio Boltro. Biglietti 10 euro. AOSTA Saint-Vincent CONCERTO DI VENDITTI Antonello Venditti è in concerto venerdì 17, alle 21, nella sala Gran Paradiso del Grand Hotel Billia di Saint-Vincent. Ingresso 30 euro. Info: 0165/361164. LIGURIA Alassio POVIA IN CONCERTO Povia inaugura il suo tour 2009 sabato 18, alle 21, al Palalassio. Savona SETTIMANA DELLA CULTURA Visite gratuite alle collezioni della Pinacoteca Civica, conferenze e «Festival internazionale della maiolica» dal 18 al 26 aprile a Palazzo Gavotti.

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Carla Marino premiata per il ritratto di Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

SAN LORENZO IN UNA GALLERIA DI MIAMI Carla Marino premiata per il ritratto di Obama SAN LORENZO AL MARE È nata a Finale ligure, vive a lavora a San Lorenzo al Mare, ma nasconde uno spirito «yankee». Carla Marino, pittrice di 56 anni, è stata premiata in America grazie a un quadro dal titolo «The Karma», che ritrae il nuovo presidente Barack Obama. È una tela dedicata ai «venti nuovi» della politica internazionale, che si è aggiudicata il Top 12 Vip award alla One Gallery Place di Miami. «É una grande soddisfazione essere riuscita a vincere questa e altri competizioni, sempre negli Stati Uniti, anche se decisamente il ritratto di Barack Obama non è fra le mie opere preferite», ammette Marino. Ma si sa, i gusti artistici degli americani sono un po' particolari. L'autrice, che definisce la sua arte astratta «animismo», è stata protagonista di varie performance a San Lorenzo e Cipressa. Caratterizzata da uno spirito controcorrente, ha fondato un gruppo, gli Art Rebels, che ha promosso numerose collettive. A testimonianza delle sua voglia di stupire, per un certo periodo ha deciso di dipingere soltanto clown. A Miami il tema era il «Karma», strettamente legato all'atteggiamento delle persone, spaziando da visione di pace a rappresentazioni di catastrofi, secondo il dettame che «ogni cosa nel mondo ha una connessione». Nel recente approdo in terra statunitense la pittrice ha anche proposto lavori che uniscono l'arte digitale dell'elaborazione fotografica a immagini del Dna umano. Aggiunge: «Come prossime iniziative intendo partecipare a gare italiane, tra cui il Premio "Lorenzo il Magnifico" a Firenze, in rappresentanza di una galleria newyorkese. È curioso come attraverso la "carta" americana stia raccogliendo maggiore attenzione a casa mia».\

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Il maestro del grissino che aveva sedotto Bush (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Personaggio L'inventore degli «stirati» di Torino 2006 La bottega-laboratorio lascia Forno: tutti a Salassa Il maestro del grissino che aveva sedotto Bush ALESSANDRO BALLESIO Succede che ai Giochi Invernali di Torino 2006 uno chef della Casa Bianca, al seguito della delegazione a stelle e strisce, sgranocchi un grissino e se ne innamori all'istante: «Questi li devo far assaggiare al presidente Bush». Quel grissino così semplice e così croccante lo aveva sfornato un panettiere di Forno Canavese, Mauro Demartini, che oggi a 34 anni è uno dei produttori più apprezzati della Provincia, ed esporta negli Stati Uniti, in Cina, in Giappone e in mezza Europa. Oltre che rifornire alcuni tra i ristoranti e gli alberghi più conosciuti d'Italia, come Il Cambio di Torino e Il Cappello Verde di Siena. Si è appena trasferito a Salassa, dove ha aperto con la moglie Elisa (e i piccoli Liliana e Filippo che, chissà, forse un giorno seguiranno le sue orme) una specie di quartier generale del gusto, o se vogliamo una Eataly in miniatura con vineria, caffetteria, spazio vendita dei prodotti tipici della zona. E naturalmente il bancone per presentare la sua specialità assoluta. La storia di Mauro sembra una favola: «Ho cominciato nel '90 come apprendista. E otto anni dopo mi sono messo per conto mio». La bottega, per chi la ricorda, sapeva d'antico: quattro stanze in un vecchio palazzo nel centro storico di Forno Canavese. L'avventura inizia da qui: entra nel Paniere dei prodotti tipici della Provincia, alla rassegna Cibum di Parma entra in contatto con i fornitori di Harrod's, i grandi magazzini londinesi di Mohammed Al Fayed. E i grissini volano a Piccadilly Line. Poi le Olimpiadi invernali, un'altra vetrina eccezionale. Sì, ma qual è la magia degli «stirati»? Lui sorride, perché non c'è poi quel gran segreto: «La semplicità, e poi rimangono croccanti a lungo e si accompagnano con ogni pasto. Sono senza conservanti e senza grassi. L'ideale per chi ha problemi di dieta e di digestione». Gli ingredienti: una miscela di farine italiane, acqua, lievito e sale. Tutto qui? No, ci vuole tutta la passione del «maestro». E la fantasia. Arrivano i grissini al peperoncino, all'erba cipollina, alla menta e al rosmarino. Ma tutti quei camion, per il trasporto delle bontà di casa Demartini, non riescono più a circolare nel budello di Forno Canavese. E la bottega diventa troppo piccola. «Mi è spiaciuto perché nel mio paese è cominciato tutto. Ma mi serviva un biglietto da visita differente». Eccolo. In strada Valperga 27/29 c'è l'ex Degra, una fabbrica di stampaggio a caldo che ora ospita un albergo e altri locali. Il suo «regno» Mauro l'ha chiamato «Camminata in montagna» per ricordare le peculiarità della sua zona, è aperto dalle 6 alle 22, tranne la domenica. Altri sogni? «Un laboratorio negli States». E chissà che non riesca a riallacciare i contatti con la Casa Bianca, dopo tutto Obama è un patito del cibo italiano...

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Le elezioni Usa secondo Lotta Comunista (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

CAMPUS DI LEGINO Le elezioni Usa secondo Lotta Comunista «La democrazia imperialistica in America», sottotitolo «Come gli Stati Uniti eleggono il Presidente», è il nuovo libro di Franco Palumberi, edito da «Lotta comunista» che sarà presentato questo pomeriggio, alle 17, al Campus universitario di Legino, Palazzina Branca, aula B2 piano terra. Nel volume sono raccolti oltre 30 anni di studi sulla lotta politica negli Usa, attraversando l'elezione degli ultimi sei presidenti. Dall'analisi critica di stampo leninista non viene esclusa nemmeno la recenti elezione di Barack Obama.

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[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK I sindacati dell'auto americani metto... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK I sindacati dell'auto americani mettono da parte i negoziati con Gm per accelerare quelli con Chrysler in coincidenza con le indiscrezioni di «Automotive News» secondo cui si profila una bozza di accordo sul nuovo assetto della casa automobilistica di Detroit. In forza di tale intesa la quota maggiore di azioni andrebbe a Fiat e al sindacato United Auto Worker (Uaw) mentre la presenza degli attuali principali azionisti, il fondo Cerberus e Daimler, verrebbe azzerata. Le indiscrezioni sulla scelta di Uaw di impegnarsi sui negoziati su Chrysler seguono di 24 ore il monito giunto dall'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, sulla necessità di passi indietro da parte del sindacato per ottenere una consistente riduzione del costo del lavoro. «I sindacati hanno letto l'intervista di Marchionne in cui minacciava di uscire dalla trattativa e hanno capito che senza Fiat la Chrysler non ha alcuna speranza di sopravvivere, dunque hanno fatto marcia indietro» spiega John McElroy, analista della Society of Automotive Analysts dell'Illinois. Fonti della Uaw, chiedendo l'anonimato, affermano che «dare la priorità a Chrysler in questo momento si spiega con l'avvicinarsi della scadenza del 30 aprile stabilita dal governo» superata la quale vi sarebbe la procedura della bancarotta, con la vendita a pezzi del colosso automobilistico e le relative ricadute negative sul fronte dell'occupazione. Shawn Morgan, portavoce di Chrysler, oppone il «no comment» a chi gli chiede se la scelta di Uaw lascia intendere che l'accordo sia prossimo, ma un altro segnale che suggerisce la schiarita arriva dal Canada, dove l'unione dei Canadian Auto Workers ha fatto sapere di «voler riprendere i colloqui con Marchionne». A spiegare il passo in avanti dei sindacati, secondo «Automotive News», sarebbe il fatto che in una Chrysler salvata Uaw «potrebbe ricevere una quota molto significativa, forse addirittura maggiore dell'iniziale 20 per cento». I fondi per tale aumento verrebbero dalla conversione di metà dei 10,6 miliardi di dollari che Chrysler deve ai sindacati in obblighi sanitari. In tale quadro la quota di Fiat, sempre secondo le indiscrezioni di «Automotive News», sarebbe del 20 per cento con la possibilità di salire a blocchi di 5 punti percentuali fino al limite del 35 per cento parallelamente al raggiungimento degli obiettivi fissati nella fornitura a Chrysler della tecnologia necessaria per costruire una nuova generazione di auto per il mercato statunitense. Un terza importante quota di Chrysler andrebbe a un fondo controllato dalla task force designata dal presidente Barack Obama per supervisionare le ristrutturazioni di Detroit e in tale quota rientrerebbe anche il 15 per cento che Fiat potrebbe acquisire per raggiungere il tetto del 35 per cento. Sarebbero questi i dettagli dell'intesa che ruota attorno alla formazione di un consiglio di amministrazione di sette membri e una struttura al vertice che vedrebbe Marchionne nel ruolo di amministratore delegato affiancato da un presidente americano, probabilmente Jim Press, attuale numero 2 del Ceo uscente Bob Nardelli. Su questa ipotesi di accordo pende tuttavia il giudizio dei creditori, in possesso di 6,9 miliardi di debiti, che hanno già rifiutato l'offerta presentata del ministero del Tesoro di ottenere un miliardo di dollari in cambio dell'azzeramento e stanno per presentare una contro-offerta. In presenza di un avvicinamento fra Fiat e sindacati dell'auto potrebbero essere proprio le banche creditrici ad avere l'ultima parola sul nuovo assetto di Chrysler.

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[FIRMA]MARCO NEIROTTI INVIATO A L'AQUILA Poveri bambini. Inseguiti per tutta la mattina n... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]MARCO NEIROTTI INVIATO A L'AQUILA Poveri bambini. Inseguiti per tutta la mattina nella tendopoli da telecamere: «Sei contento di andare a scuola? Rivedrai i tuoi compagni?». Dicono di sì, non stanno a spiegare che è da quella notte di fine del mondo che li vedono lungo i corridoi ghiaiosi fra le tende. Poveri bambini. Adesso sanno cosa prova Vasco Rossi prima del concerto, quando deve ripetere le stesse cose a tante televisioni diverse. Ma lui è abituato e ci guadagna pure bene. Poi fa lo spettacolo. Loro anche. Prima con il ministro Gelmini, poi con il capo del governo Berlusconi che fa le interrogazioni: «Quante dita ha una mano? E dieci mani?». Era importante davvero per le famiglie questa scuola nel campo di Poggio Picenze. Trenta piccoli - dall'asilo nido dei 18 mesi alla materna alle elementari - con quattro maestre, le loro, quelle dalle quali si fanno prendere in braccio con fiducia. In tre tende hanno ricostruito le classi con i banchi, davanti agli ingressi dondoli e vasi di fiori. Anche in altri «villaggi» maestre richiamate dal Comune, maestre scampate ai crolli e sfollate organizzano scuola, ma qui ci sono proprio i banchi e c'è l'imprimatur dall'alto. Sarebbe la loro festicciola, una donna porta pure i cannoli e li fa passare tra la gente, severa: «Giù le mani, sono per loro». Lo stesso sindaco, Nicola Menna, nel saluto al ministro, fa cenno allo stupore per un assalto che poteva aspettarsi e che con un lapsus chiama «guerra mediatica». I piccoli che di notte hanno freddo sopportano un caldo tosto nelle tre tende blu, aspettando che abbia fine il circo e la loro vita torni alle cure delle insegnanti e poi delle famiglie. In questa confusione di uniformi e festa mediatica, la dolcezza sopravvive: le maestre, tenere nonostante siano braccate quanto i bambini. Donatella Galeoto risponde con pacatezza perfino quando le domandano se farà l'appello. Per cosa? Per sentire due assenze giustificate? Dalla morte. Ci sono stati due bimbi uccisi qui. Eppure la festa degenera con un altro microfono verso un uomo dolente: «Loris sarebbe stato contento di essere qui?». Mah, forse un banco marroncino è meglio di una piccola bara bianca. E' tutta allegra così la giornata. Il ministro Gelmini arriva senza chiasso, al microfono non spreca parole e, nella simbologia dell'inaugurazione, evita trionfalismi, bada alla tenda-scuola come elemento in più per lavorare sui traumi dei bambini. Il presidente Berlusconi è in forma: regala magliette di Milan e Juventus (nelle preferenze vince la Juventus), recita un po' di Palazzeschi, trova il parroco «abbronzato» anche se non è Obama e si dispiace di «non aver tempo di star qui ad abbronzarmi con voi». Alle signore consiglia di stare attente agli alpini che «sono peggio dei marinai». A tutti promette che finita l'estate «nessuno resterà nelle tende». Può accadere. Ieri sera tre sindaci spiegavano a proprietari di seconde case: «Se sarà necessario, per l'inverno firmeremo le ordinanze». Un po' seccati: «Il governo promette e noi faremo i cattivi». Eppure c'è un imbuto tritatutto: «Quelle sono passerelle, spot tv, ma è importante averli, ricordare che il tuo paese non c'è più in tanti muri, ma c'è nelle persone spossate». Davanti alla scuola da campo un padre lo dice alla Gelmini: «Perché invece di queste passeggiate non investite qui i soldi dell'election day?». Nei municipi o in quel che ne resta l'ottimismo di governo è utile, tra le tende il sorriso e l'ottimismo troppo cozzano con gli animi.

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La svolta nucleare e la questione Trident Sono un accademico nel Regno Unito in vacanza in... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

La svolta nucleare e la questione Trident Sono un accademico nel Regno Unito in vacanza in Italia. Leggo con grande interesse l'intervento del ministro degli Esteri Frattini sul processo di riesame del trattato sulla non proliferazione di armi nucleari. È importante che l'Italia, presidente temporaneo del G8, mandi un messaggio forte sulla necessità di rafforzare gli strumenti di attuazione di questo trattato in vista di un disarmo nucleare totale dei Paesi membri. Per giungere a questo scopo è indispensabile accrescere i poteri della Aiea e agire in maniera chiara per condannare azioni unilaterali che siano incompatibili con il trattato (il riferimento alla Corea del Nord qui è estremamente adatto). Tuttavia, mi ha stupito il silenzio «rumoroso» del ministro sull'attuale posizione di due tra i più importanti Paesi nuclearizzati: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Nonostante le speranze riposte nel cambio di presidente, Barack Obama ancora non si è pronunciato sul futuro del sistema di difesa contro i missili balistici e di quello marittimo e specialmente sottomarino, che è caratterizzato dalla presenza di testate nucleari. Quanto al Regno Unito, una campagna è in corso ormai da qualche anno per impedire il rinnovo del deterrente nucleare attraverso la sostituzione del corrente meccanismo Trident. Nonostante le ripetute espressioni d'impegno a rispettare il trattato di non proliferazione, l'attuale ministro della Difesa e il suo collega agli Esteri hanno ribadito che Trident verrà sostituito con un nuovo sistema, e che non ci sarà una nuova consultazione o un dibattito parlamentare. L'organizzazione Campaign for Nuclear Disarmament (Cnd) sta insistendo perché il dibattito continui almeno sulla stampa e tra i parlamentari britannici, seppure informalmente, così che si possa giungere alla conferenza di riesame del 2010 con una diversa agenda, una che sia più in sintonia con gli impegni assunti mediante il trattato. La risposta standard del governo è che la sostituzione di Trident non comporta un aumento delle testate nucleari e perciò non viola la lettera del trattato. È ovvio, tuttavia, che ne viola lo spirito perché va contro il suo scopo primario, cioè raggiungere l'obiettivo del disarmo. Di tutto questo, però, non c'è traccia nell'intervento del ministro Frattini e data la posizione attuale dell'Italia nel G8 c'è da rammaricarsi... Posso essere contattata all'indirizzo email A.Andreangeli@liverpool.ac.uk, o ai numeri 06 812 0672 o 335 6396370. DR. ARIANNA ANDREANGELI, LIVERPOOL LAW SCHOOL, UNIVERSITY OF LIVERPOOL, LIVERPOOL, UK È probabile che il nostro ministro degli Esteri Frattini abbia taciuto sulla questione del programma Trident proprio perché è ancora in discussione. La sua richiesta di chiarezza comunque è puntuale. Facciamo volentieri i postini e giriamo la sua lettera alla Farnesina, tramite questo spazio.

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AZIONISTI (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Prima Pagina data: 17/04/2009 - pag: 1 AZIONISTI IN TUTA di MASSIMO GAGGI I sindacati dell'auto e la «task force» del Tesoro nuovi azionisti, insieme alla Fiat, della Chrysler. L'ultima ipotesi per il salvataggio del gruppo automobilistico di Detroit dà l'idea di quanto l'operazione Fiat-Chrysler stia diventando, per la Casa Bianca, una sorta di laboratorio della riforma del capitalismo made in Usa. La prima impressione è quella di un pezzo di «capitalismo renano» trapiantato oltre Atlantico. Sindacalisti consiglieri d'amministrazione come nell'esperienza tedesca. Un trust controllato dal governo che diventa azionista: una soluzione che ricorda l'Iri, la logica originaria delle Partecipazioni statali. Con la Fiat che diventa non solo partner tecnologico, ma anche unico vero garante della capacità della nuova azienda di operare in una logica di mercato. Fino al punto di indurre il senatore repubblicano del Tennessee Bob Corker, fino a ieri nemico giurato di Detroit, a dichiararsi favorevole all'intervento della Fiat e, addirittura, ad affidare il salvataggio a manager europei. Scenari che un anno fa sarebbero stati considerati pura fantascienza, si stanno trasformando nei progetti operativi che Rattner e Bloom (gli esperti incaricati da Obama di trovare una soluzione) stanno proponendo alle banche creditrici e ai sindacalisti della Uaw. Se l'operazione funzionerà, negli Usa il modello Fiat-Chrysler potrebbe essere usato anche in altre situazioni di crisi affrontate con imponenti iniezioni di denaro pubblico. Non è detto che sia la soluzione giusta: il capitalismo renano ha garantito per decenni una notevole stabilità del sistema produttivo dell'Europa continentale, ma non certo i livelli di redditività ai quali il mondo anglosassone è abituato. Rendimenti elevati che, in America, non vanno solo a «ingrassare» i grandi capitalisti, ma sono carburante indispensabile per i fondi pensione e altri tipi di risparmio familiare come i fondi per gli studi universitari dei figli. Attenti, però, a considerare l'operazione che sta prendendo forma lungo il triangolo Washington-Detroit- Torino come un ritorno al passato: anche in tempi di forti interventi pubblici antirecessione, negli Usa vige un rispetto del denaro del taxpayer che è un sicuro antidoto all'assistenzialismo. Ai lavoratori, poi, vengono chiesti sacrifici enormi: tagli a pensioni, sanità e stipendi (in cambio di quote della nuova società) fino ad avere costi di produzione pari a quelli degli stabilimenti più competitivi costruiti dai giapponesi negli «States». È qui che gli uomini della Casa Bianca fissano il loro ancoraggio all'economia di mercato. Diventa, così, essenziale anche il negoziato con le union canadesi che riprenderà lunedì. Con l'italo-canadese Sergio Marchionne chiamato a svolgere il ruolo di regista (più o meno) occulto di una vera reinterpretazione dei meccanismi della globalizzazione: l'incognita canadese su un'impresa italo-americana che potrebbe estendersi fino a comprendere la tedesca Opel. Con Obama che non solo non fa il protezionista, ma benedice.

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Chrysler, intesa vicina Sindacati nel capitale Spunta l'opzione Opel (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 17/04/2009 - pag: 3 Verso Detroit Moral suasion della Casa Bianca con le banche Chrysler, intesa vicina Sindacati nel capitale Spunta l'opzione Opel Per Torino l'ipotesi di rilevare anche pezzi di Gm MILANO C'è ancora una variabile molto, molto politica: quella parte di opposizione, ma anche di opinione pubblica, che preme su Barack Obama perché «non si può salvare Chrysler e lasciar fallire Gm». Così è pure nelle stanze del potere, e non solo sulle colonne dei quotidiani, che gli Usa parlano dell'ipotesi di mettere in qualche modo insieme almeno «pezzi» delle due ex big di Detroit. Se problema sarà, per la Fiat che punta alla più piccola delle case americane, potrebbe però esserlo (semmai) più avanti: in fondo a Gm Barack Obama ha concesso 30 giorni in più, la dead line tra nuovi aiuti pubblici e probabile bancarotta qui scade il 31 maggio. Fine aprile rimane invece la scadenza per «l'unica strada» definizione e insieme chiara indicazione della task force voluta dalla Casa Bianca che può salvare Chrysler. Il matrimonio con il Lingotto, appunto, la consegna delle chiavi di Auburn Mills a Sergio Marchionne. E se ufficialmente tutti si attengono alla cautela d'obbligo, nella realtà i colpi d'acceleratore che potrebbero portare a qualche novità già giovedì prossimo (giorno del board Fiat) continuano. L'ultimo è la notizia, lanciata ieri da Automotive News, del possibile ingresso del sindacato Usa nell'azionariato. È un chiaro segnale che i negoziati si stanno sbloccando, che la potente United Workers Association va verso la conferma del «sì» a Marchionne anche sul punto più delicato (il taglio del costo del lavoro). E non è il solo effetto del piano presentato da Fiat, base della discreta moral suasion governativa. Passi avanti si registrano nelle trattative con gli istituti di credito, cui a breve il Tesoro Usa (attentissimo pure ai conti del Lingotto) presenterà una nuova offerta per il rimborso dei debiti Chrysler: e sarebbe a quel punto complicato per i banchieri, salvati dai fondi pubblici, rifiutare di fare la propria parte nel soccorso a un pezzo cruciale dell'industria americana. È prematuro dire che è fatta. Gli ostacoli non sono del tutto eliminati, e tutto può ancora incepparsi. Intanto però l'ultima fotografia sullo stato del negoziato vedrebbe la Uaw, il sindacato, pronto a convertire in azioni la metà dei 10,6 miliardi vantati come «obblighi sanitari» verso Chrysler. Significherebbe entrare nel capitale con una quota forse anche un po' superiore al 20% che, all'inizio, avrà Fiat. Naturalmente, con il placet di Marchionne. «Sono pronto a fare tutto il possibile», ha dichiarato solo l'altro ieri: l'accordo con il sindacato rientra nel quadro. Come non è escluso possa rientrarci, e non solo se continueranno le pressioni per una soluzione che coinvolga anche Gm, almeno qualche «pezzo» dell'altra grande malata Usa. La partita, però, potrebbe spostarsi in Europa. Accantonato il dossier Peugeot, il Lingotto starebbe guardando a Opel. Potrebbe trovare lì il partner continentale e, insieme, quadrare il cerchio della questione «aiuti anche a General Motors ». Vertici del Lingotto Sergio Marchionne e Luca di Montezemolo Raffaella Polato

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Treni, modello Europa per Obama Pronti 8 miliardi sull'alta velocità (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 17/04/2009 - pag: 3 Trasporti Nella recente visita aveva detto: ve li invidio Treni, modello Europa per Obama Pronti 8 miliardi sull'alta velocità WASHINGTON L'America di Obama, il paradiso dell'aereo e dell' auto, abbraccia la causa dei treni ad alta velocità, meno inquinanti e più democratici. Partendo per una visita di un giorno in Messico, tema l'antidroga, il presidente ha annunciato uno stanziamento di 13 miliardi di dollari per «un sistema di trasporti intelligente adatto ai bisogni del XXI secolo». Lo stato, che già sussidia ogni anno la rete ferroviaria nazionale dell' Amtrak, investirà 8 miliardi di dollari in due anni in treni ad alta velocità e verserà 5 miliardi di dollari in cinque anni agli stati che faranno altrettanto. Solleciterà poi investimenti privati. «È il primo passo di un lungo cammino» ha dichiarato Obama «e creerà migliaia di posti di lavoro ». La misura fa parte del piano di rivoluzione energetica del presidente, che vuole anche ridurre la dipendenza del Paese dal petrolio straniero e che vuole passare a poco a poco alle auto elettriche (ne ha appena ordinate a Detroit 2.500 per il governo federale). I fondi per i treni ad alta velocità, «che io invidio all'Europa », disse a inizio mese parlando agli studenti a Strasburgo, arriveranno dai 787 miliardi del piano di aiuti per la ripresa dell'economia. Obama ha tracciato dieci «corridoi» di mille chilometri in tutto dove i treni andranno a 250 all'ora. A partire dal 2012, salvo intoppi, i tre più importanti collegheranno San Francisco a San Diego in California, il New England alla Florida sulla costa Est e varie parti del Midwest. Con l'iniziativa, da lui stesso paragonata a quella del presidente Lincoln un secolo e mezzo fa, quando le ferrovie unificarono l'America, Obama conta di mettersi al passo con paesi europei come la Francia e la Spagna e asiatici come la Cina e il Giappone. «Siamo molto indietro», ha notato il presidente, presentando il progetto con il vicepresidente Joe Biden e il ministro dei trasporti Ray LaHood «e dobbiamo recuperare il terreno perduto». E ha assicurato che con la introduzione dei treni ad alta velocità «si ridurranno la congestione sulle autostrade e nei cieli, l'inquinamento atmosferico e gli sprechi d'energia». È un'innovazione, ha concluso, «che cambierà il modo con cui viaggiamo e gioverà al clima e all'ambiente». La Casa Bianca ha quindi puntualizzato che il progetto per l'alta velocità ferroviaria non incide sulla determinazione a salvare l'industria automobilistica americana. Come per i treni, così per le auto, ha dichiarato un portavoce, il presidente desidera che «rispondano alle future esigenze dei nostri figli». Obama vuole essere certo che General Motors e Chrysler sopravvivano, ma che producano auto a minore consumo di benzina, auto a carburanti alternativi (ne ha già ordinato alcune migliaia per il governo federale) e auto elettriche. La Casa Bianca ha inoltre confermato che il presidente mantiene l'appoggio al matrimonio tra la Chrysler e la Fiat. «Ha il consenso della maggioranza del Congresso» ha terminato il portavoce. Nessuna critica? Poche. Le più forti sinora si sono levate dall'industria petrolifera, che vede intaccata la sua posizione di monopolio. Il presidente Usa Barack Obama Ennio Caretto

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Il premier: case entro l'autunno Dallo Stato aiuti fino al 33% (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Primo Piano data: 17/04/2009 - pag: 8 Il premier: case entro l'autunno Dallo Stato aiuti fino al 33% Berlusconi inaugura una tenda-scuola e recita Palazzeschi Il Papa sarà in Abruzzo il primo maggio Sacconi: otto miliardi per gli ammortizzatori Morto un altro dei feriti DA UNO DEI NOSTRI INVIATI POGGIO PICENZE (L'Aquila) È un altro paesino addolorato, quello che trova Silvio Berlusconi entrando a Poggio Picenze nel primo giorno di scuola dopo il terremoto. La campanella suona sotto la tenda. Sulla lavagna, accanto a tre cuori colorati, ci sono i nomi dei bambini uccisi dai crolli: Loris e Alena di 11 anni e Valbona che ne aveva 13. È la sesta visita del premier in Abruzzo dal giorno del sisma e si capisce subito che il presidente del Consiglio ha voglia di infondere fiducia a questa gente: «Vi stupiremo », promette a una mamma. «Prima che ritorni il freddo dell'autunno, chiuderemo le tendopoli e troveremo un alloggio a tutti gli abruzzesi, le nuove case saranno supersicure», annuncia Berlusconi alla folla che lo applaude. Il governo non è qui per fare passerella ribadisce ma per dare risposte concrete. La più importante: «Chi vorrà ricostruire la propria casa, là dove era o nelle vicinanze o anche da un'altra parte, potrà contare sull'aiuto dello Stato», che garantirà un terzo della cifra, il 33 per cento. Il resto? «Un altro terzo lo metterete voi. E un terzo infine si pagherà attraverso mutui agevolati, con tassi massimi al 4 per cento». Risposte concrete, nessuna passerella, assicura. Oggi, così, verrà in Abruzzo Maurizio Sacconi, il titolare del Welfare, per firmare l'accordo definitivo con la Regione sulla ripartizione degli ammortizzatori sociali in deroga (8 miliardi nel biennio). Ieri, invece, c'è stato Sandro Bondi, il ministro dei Beni culturali, che ha parlato di un primo stanziamento (15 milioni di euro) per il recupero del-- l'arte ferita («Anche la comunità di Portorotondo adotterà un capolavoro», dà la notizia il premier). Urgono soldi per la ricostruzione e diverse sono le ipotesi per trovare i fondi. «Ne discuteremo domani...», taglia corto il Cavaliere nella tendopoli. Qualcuno allora gli fa notare che è venerdì 17. «Benissimo, allora ne discuteremo venerdì 17 alle 17, perché noi siamo più forti». Il presidente è di buonumore («Contro la fatica mi son fatto due iniezioni di cortisone»), ricasca nella battuta su Obama scherzando con un parroco di colore («Complimenti, lei è molto abbronzato ») ma soprattutto cerca di portare allegria tra i 30 bambini, a cui firma autografi («Non rivendeteli a meno di 10 euro, mi raccomando») e regala palloni e magliette della Juve e del Milan. Fa finta di offendersi quando vede che quelle della Juve vanno a ruba e offre un siparietto pure col ministro Mariastella Gelmini che l'accompagna: «Tu che maglia vuoi?». Lei: «Quella della Juve». E Berlusconi pronto: «Espulsa dal governo ». I bambini ridono e questo è l'importante («Dico cose senza senso? Ma allora hanno ragione gli oppositori della sinistra... »). Prima di salutarli, recita «Rio Bo» di Aldo Palazzeschi e invita le maestre a insegnar loro tante poesie. Il primo maggio in Abruzzo arriverà il Papa, ormai è quasi ufficiale. Ci sarà bisogno anche del suo conforto. Ieri, il bilancio delle vittime del terremoto è salito a 295: al Forlanini di Roma è morto un altro ragazzo, Tonino Colonna, di 19 anni. Contro i costruttori delle case crollate (che verranno convocati tutti dai magistrati) ora piovono le denunce. La sorella di un ragazzo ucciso dalle macerie della Casa dello studente ha presentato un esposto con molte foto per documentare il disastro. Insieme a lei ci sono decine di familiari dei morti. Nascerà un comitato e si costituirà parte civile, se e quando si farà un processo. Primo giorno Silvio Berlusconi e il ministro Gelmini con i bambini della prima scuola in tendopoli Fabrizio Caccia

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A Roma per il disarmo (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 17/04/2009 - pag: 14 Usa-Russia A Roma per il disarmo Start Un primo incontro russo-americano per il trattato Start sugli arsenali nucleari (scade a fine anno) avverrà a Roma il 24 aprile Erano stati Barack Obama e Dmitrij Medvedev a impegnarsi a definire un «nuovo accordo complessivo e vincolante» per il disarmo strategico

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Per rifondare l'Europa (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 17/04/2009 - pag: 38 SERVE UN NUOVO CHURCHILL Per rifondare l'Europa di ULRICH BECK SEGUE DALLA PRIMA Vent'anni fa, il Muro di Berlino crollava all'improvviso, seguito dal collasso dell'Unione Sovietica e dell'ordine mondiale bipolare imposto dalla Guerra fredda. Oggi il modello capitalistico l'idea che la soluzione a tutti i problemi sia il libero mercato il cui trionfo era stato celebrato all'epoca, rischia di fare la stessa fine e di trascinare con sé l'Unione Europea. Dove trovare ai nostri giorni l'appassionata ribellione di un Churchill, una voce profetica e visionaria per far capire agli europei che il provincialismo e il nazionalismo che proliferano nella crisi globale non solo mettono in pericolo il miracolo europeo l'aver saputo trasformare in buoni vicini gli antichi nemici ma minacciano di autodistruggersi? Nessuno mira a questo, ovviamente. Ma nessuno voleva nemmeno lo Stato sociale per i ricchi e il neoliberismo per i poveri che di colpo ci ritroviamo oggi. L'autunno scorso, il crac bancario ha finalmente dato uno scossone all'Unione Europea, risvegliandola dal suo torpore narcisistico. Ho pensato: caspita, che bella opportunità! Chi, se non l'Unione Europea, possiede l'esperienza necessaria per invocare un bene comune sovranazionale? Il modello europeo di cooperazione tra gli Stati, che punta a rafforzare l'autorità condivisa, sembrava finalmente aver conquistato una nuova dimensione storica. Malgrado i battibecchi tra il presidente Sarkozy, la cancelliera Merkel e il primo ministro Brown nelle settimane precedenti il G20, il pacchetto concordato al summit si è rivelato un piccolo miracolo. Ma è ancora largamente insufficiente. La settimana scorsa, la Banca centrale ha lanciato il suo monito: i segnali incalzanti di «ripiegamento all'interno dei confini nazionali» continuano a ostacolare l'integrazione europea. Se la Grande Depressione degli anni Trenta ci ha insegnato qualcosa, è stato precisamente che la ritirata verso l'ideale nazionalistico è fatale, perché trasforma la minaccia della catastrofe in realtà, ovvero il crollo dell'economia globale. La disoccupazione cresce in modo esponenziale in tutto il mondo. Ondate di agitazioni sociali e di risentimento contro gli immigrati s'infrangono già sui lidi europei. Ed ora, di colpo, lo spettro della bancarotta a livello nazionale bussa alle porte del paradiso europeo, ricco e sicuro. La crisi ha travolto la periferia dell'Unione Europea i nuovi Stati membri dell'Europa orientale. Dopo il tradimento del sistema comunista, i moderati di questi Paesi che hanno sostenuto le riforme europee oggi si sentono ancora una volta imbrogliati e respinti dal sistema capitalistico. Non molto tempo fa venivano sollecitati a seguire «l'esempio degli altri», che si è rivelato quello peggiore. Se non esistesse l'Unione Europea, sarebbe necessario inventarla oggi. Lungi dall'essere una minaccia alla sovranità nazionale, in questi inizi del XXI secolo è proprio l'Unione Europea a renderla possibile. Nella società di rischio mondiale, di fronte al pericoloso accavallarsi dei problemi globali che resistono alle soluzioni nazionali, le nazioni-Stato, abbandonate a se stesse, si rivelano impotenti e incapaci di esercitare la loro sovranità. La sovranità collettiva dell'Unione Europea rappresenta allora l'unica speranza, per ogni nazione e ogni cittadino, di una vita libera e pacifica. Coloro che danneggiano l'Unione danneggiano se stessi. Se i membri rinunciano alle loro responsabilità di solidarietà europea in una frenesia di riflessi nazionali, a perdere saranno tutti. Ciascuna nazione, da sola, è condannata all'insignificanza globale. Coloro che aspirano a riconquistare la propria sovranità nel nostro angolo di società di rischio mondiale sono costretti a volere l'Europa, a pensare l'Europa e a lavorare verso la sua realizzazione. La singola unità di azione politica nell'era cosmopolita non è più la nazione, bensì la regione. (...) L'Europa non ha bisogno di meno Europa, ma di più Europa. La crisi globale mostra che l'unione monetaria non può essere perfezionata se non tramite l'unione politica. Tuttavia, finora non si è vista nessuna politica finanziaria, industriale e sociale congiunta, la quale, tramite la sovranità dell'Ue, potrebbe intervenire per dare una risposta efficace alla crisi. Il politico che respinge la necessità storica di più Europa, mettendo così tutto e tutti in pericolo, è il cancelliere tedesco Merkel. I suoi modelli, i precedenti cancellieri tedeschi pro-europei Adenauer e Kohl, sarebbero stati capaci di trasformare l'attuale crisi in una grande occasione di rilancio dell'Europa. E con questa agenda avrebbero vinto le elezioni, perché investire nel futuro dell'Europa oggi, visti i costi inimmaginabili della sua disintegrazione, promette incredibili dividendi e significa speranza nei momenti più bui. Ciò che oggi paralizza l'Europa è l'illusione nazionalistica delle sue élite intellettuali. Esse lamentano la fredda burocrazia europea e la soppressione della democrazia, facendo leva tacitamente sul presupposto irreale di un ritorno al sogno nazionalistico. La fede nella nazione-Stato è cieca verso la propria storicità, ed è preda dell'ingenuità cocciuta e sconcertante che considera come eterne o naturali quelle stesse cose già reputate innaturali e assurde due o tre secoli fa. Il protezionismo intellettuale e l'illusione nostalgica non sono confinate alle frange becere dell'estrema destra europea, ma trovano seguaci addirittura nei circoli più istruiti e coltivati, da un capo all'altro dello spettro politico. Questa crisi chiede di trasformarsi in una rifondazione dell'Unione Europea. L'Europa allora saprebbe appoggiare una nuova realpolitik in un mondo a rischio. In una società interdipendente, alla massima circolare della realpolitik nazionale gli interessi nazionali vengono implementati a livello nazionale occorre sostituire la massima della realpolitik cosmopolita: più la nostra politica saprà diventare europea, e quindi cosmopolita, più riscuoterà successo a livello nazionale. La scelta oggi è tra più Europa o nessuna Europa. È un imperativo lanciato dal pericolo di fallimento e capace di ravvivare le speranze, malgrado i mercati in calo: solo un'Europa ringiovanita dalla crisi e accompagnata dalla nuova apertura dell'America al mondo, sotto Obama potrà costruire quella soluzione globale unificata, già abbozzata a grandi linee a inizio del mese. traduzione Rita Baldassarre © Guardian News & Media

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Sarkozy a ruota libera (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 17/04/2009 - pag: 17 Il caso Le frasi dette alla presenza di un gruppo di deputati. Smentita dell'Eliseo Sarkozy a ruota libera «Zapatero? Poco intelligente» Veleni anche per Obama e Merkel. Elogio di Berlusconi Perfido con Jospin: «Mi sono spesso battuto con rivali più colti di me che poi non arrivavano al secondo turno» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PARIGI Uno si immagina che le riunioni all'Eliseo, se non proprio segrete, si svolgano all'insegna della discrezione. Ma Nicolas Sarkozy è così aperto (o sicuro di sé) da parlare apertamente con deputati e ministri della sua maggioranza e con esponenti dell'opposizione. Poi succede che qualcuno spifferi frasi impertinenti e gustose a un giornale, facendo diventare pubblico ciò che Sarkozy pensa ad esempio di Obama, della Merkel, di Barroso, di Zapatero e di sé stesso, esaltando i suoi risultati. Battute che, in forma ufficiale, farebbero la felicità di ogni intervistatore, ma che hanno suscitato polemiche e smentite dell'Eliseo, in particolare per un giudizio poco lusinghiere sul premier spagnolo, considerato «non molto intelligente». Del presidente americano, Sarkozy dice che «non sempre è all'altezza delle decisioni e dell' efficacia», ma lo comprende: «E' stato eletto soltanto da due mesi e non ha mai guidato un ministero». Celebrando il rinnovato patto franco-tedesco, Sarkozy sostiene che la Merkel si è «allineata» alla posizione francese, «quando si è finalmente resa conto della situazione delle banche tedesche e dell'industria automobilistica». Caustico su Barroso: «totalmente assente al G20». Un elogio va anche a Zapatero, forse non molto intelligente, ma capace di prendere Sarkozy come esempio: «Anche il governo spagnolo ha deciso di sopprimere la pubblicità nelle televisioni pubbliche! ». L'intelligenza politica suggerisce un po' di irrisione nei confronti dell'ex premier socialista Jospin: «Ci sono persone intelligenti che però non sono arrivate al secondo turno delle presidenziali: nella mia carriera mi sono spesso battuto contro avversari considerati più intelligenti e più colti di me!». Poi un omaggio a Berlusconi: «La cosa più importante in una democrazia è essere rieletti. Guardate lui, ce l'ha fatta tre volte!». Il giornale che ha spifferato le battute è Libération, il che fa supporre che la «talpa» sia uno degli esponenti della sinistra convocati all' Eliseo per un'analisi bipartisan dei risultati del G20. Ma in un momento in cui si rincorrono voci e ambizioni in vista di un rimpasto di governo, non è escluso che i dispetti arrivino anche da destra. Sarkozy avrebbe ritenuto «ridicoli e fuori luogo agli occhi dei francesi » gli atteggiamenti di alcuni ministri sulla stampa. Il portavoce dell'Eliseo precisa: «Il presidente ha raccomandato sangue freddo, calma e autocontrollo. Lui, secondo la «talpa », era agitato più del solito, mandava sms in continuazione e dava del tu a tutti. Massimo Nava

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se riparte dal texas la guerra di secessione - washington (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina La storia Se riparte dal Texas la guerra di secessione WASHINGTON «Voi andate tutti all´inferno, io vado in Texas» gridò Davy Crockett al Tennessee che non lo aveva eletto deputato e partì per il Forte Alamo dove sarebbe morto, per conquistare agli Stati Uniti quello che oggi gli Stati Uniti potrebbero perdere. Il Texas. è per ora soltanto una sbruffonata molto texana la risoluzione dell´assemblea legislativa dello stato benedetta dal governatore Rick Perry che minaccia la secessione, un gesto magniloquente per montare dalla terra che ci ha dato due Bush e ci ha portato via un Kennedy la controffensiva dei Repubblicani contro Obama e la Washington «ladrona» dominata dai Democratici. La possibilità che il secondo stato americano per dimensione, dopo l´Alaska, immenso contenitore di campi, petrolio, tecnologie, silos, raffinerie, manzi dalle lunghe corna e uomini dalla testa calda dove l´Italia potrebbe essere contenuta tre volte, cominci una seconda guerra di secessione sono soltanto teoriche. Neppure il governatore Perry, oserebbe invitare all´uso della bandiera a stelle e striscie come carta igienica. Senza rischiare un proiettile in mezzo agli occhi. SEGUE A PAGINA 21

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"zapatero? non è molto intelligente" la gaffe di sarkozy fa infuriare madrid (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 19 - Esteri I giudizi "Libération": durante un pranzo al G20 il presidente trancia giudizi sui leader. L´Eliseo smentisce "Zapatero? Non è molto intelligente" la gaffe di Sarkozy fa infuriare Madrid Obama è carismatico ma governa da due mesi. Merkel mi ha seguito. Berlusconi è stato eletto tre volte DAL NOSTRO INVIATO PARIGI - Barack Obama? «Molto intelligente e carismatico, ma è eletto solo da due mesi e non ha mai gestito un ministero. Su un certo numero di cose non ha una posizione». Josè Manuel Barroso? «Totalmente assente dal G20». Angela Merkel? «Quando si è resa conto dello stato delle sue banche e della sua industria automobilistica si è unita alle mie posizioni». Infine, Josè Luis Zapatero? «Forse non è molto intelligente». Nicolas Sarkozy avrebbe dispensato questi giudizi taglienti sui suoi colleghi internazionali durante un pranzo all´Eliseo con un gruppo ristretto di parlamentari. Il capo dello Stato francese, riferendo degli incontri del G20, non avrebbe risparmiato ironie e battute sugli altri leader forse pensando che sarebbero rimaste riservate. Le confidenze sono invece apparse con dovizie di particolari in una cronaca di Libération che riportava persino il menù dell´incontro. Qualcuno dei presenti, probabilmente un deputato dell´opposizione, ha infatti spifferato tutto al giornale della gauche. «Era un Nicolas Sarkozy al 200%, cioè stranamente vicino alla sua caricatura», ha raccontato uno degli invitati. Tra una caprese e una mousse alla frutta e cioccolato, il presidente pare sia stato benevolo soltanto con Silvio Berlusconi. «L´importante in una democrazia - avrebbe detto agli astanti - è essere rieletto. Guardate Berlusconi, è stato rieletto tre volte». Ma è l´opinione espressa su Zapatero che ha provocato più polemiche, tanto da costringere l´Eliseo a diffondere una smentita. I siti spagnoli hanno ripreso largamente il commento poco lusinghiero per Zapatero. «Forse non è molto intelligente, ma io ne conosco di molto intelligenti e che non sono arrivati al secondo turno delle elezioni presidenziali» avrebbe detto Sarkozy alludendo al leader socialista Lionel Jospin, che nel 2002 non riuscì a disputare il ballottaggio con Jacques Chirac, battuto dal capo dell´estrema destra Le Pen. Il leader della destra francese avrebbe anche commentato la nuova legge spagnola che toglierà la pubblicità alla tv pubblica. «Zapatero mi ha copiato» avrebbe ironizzato. «Il presidente non ha mai fatto queste affermazioni» ha precisato l´Eliseo in un comunicato. Il prossimo 27 aprile Sarkozy è atteso a Madrid per una visita di Stato. Il governo spagnolo si è rifiutato di commentare. Libé ha però confermato il retroscena, chiosando su Sarkozy: «Si sente il padrone del mondo». (a. g.)

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la conferenza sul nucleare a roma - ferdinando salleo (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 36 - Commenti La Conferenza sul nucleare a Roma FERDINANDO SALLEO Le coincidenze casuali a volte prefigurano le vie della Storia. La cauta apertura iraniana sulla questione nucleare in risposta alla mano tesa da Obama "a chi disserra il pugno", comunicata significativamente dai mollah al plenipotenziario dell´Europa Javier Solana, precede di appena pochi giorni la conferenza che si terrà a Roma sul "superamento del pericolo nucleare". Tra ieri e oggi il Segretario di Stato di Reagan, George Shultz, e l´ultimo presidente sovietico, Mikhail Gorbachev, il ministro alla Difesa di Clinton, Bill Perry, Igor Ivanov che è stato ministro degli Esteri della Russia, i presidenti del Consiglio e i ministri degli Esteri europei e gli esponenti politici americani che hanno vissuto da protagonisti la stagione dell´incubo nucleare ne tentano il disinnesco assieme agli accademici ed agli specialisti della sicurezza. Le intese appena intercorse tra Obama e Medvedev e l´appello di Gordon Brown vanno nello stesso senso sottoscrivendo il disarmo nucleare e danno alla conferenza, convocata nell´ambito del G8 presieduto dall´Italia, un senso di realtà che fa uscire dall´utopia l´obiettivo lontano per trasferire la cooperazione internazionale nelle misure concrete di sicurezza. Partita nel 2007 da Kissinger e Shultz con una lettera al Wall Street Journal e da Gorbachev con un convegno a Harvard, l´iniziativa vuole creare la spinta politica necessaria per disegnare un percorso multilaterale in cui possa iscriversi l´anno venturo il rinnovo � e possibilmente l´adeguamento al nuovo tempo � del Trattato di Non Proliferazione. Quattro personalità politiche italiane � D´Alema, Fini, La Malfa e Parisi � vi si sono unite nel luglio scorso, assieme al fisico Calogero, per appoggiare l´iniziativa del nuovo ordine nucleare in una lettera aperta. Passato formalmente indenne attraverso i decenni, il trattato del 1968 ha mantenuto gli equivoci originari e le disuguaglianze che avevano creato due categorie di Stati. Mentre la produzione di energia nucleare era consentita, il limite invalicabile stabilito dal Tnp era quello della bomba atomica: gli Stati che non possedevano armi atomiche si obbligavano a rinunciarvi, mentre quelli militarmente nucleari si impegnavano a dismetterle. Senza però precisare i tempi del disarmo previsto. Non tutti gli Stati hanno firmato, non tutti hanno ratificato il Tnp, non tutti vi si attengono lealmente; anzi, in modo surrettizio o palese, parecchi Paesi hanno avviato programmi di armamento nucleare a cui alcuni hanno rinunciato sotto la pressione dei maggiori Paesi, mentre altri hanno proseguito fino a conseguire lo stato di potenze nucleari di fatto. Saddam Hussein non era riuscito ad avere ordigni atomici pur lasciandolo credere; Israele non ammette né smentisce di possedere armi atomiche; l´Egitto, alcuni Paesi latino-americani e da ultimo la Libia vi hanno rinunciato; l´India e il Pakistan sono ormai militarmente nucleari; la Corea del Nord ha fabbricato un ordigno, ha chiuso il reattore dopo una trattativa, ma minaccia di riaprirlo ed ha costruito un missile balistico primitivo; l´Iran ha sempre negato di volersi dotare della bomba pur avviando un vasto ed equivoco programma di arricchimento dell´uranio asseritamente mirato alla sola produzione di energia. La conferenza di Roma non mira direttamente al disarmo totale, obiettivo ideale e lontano, quanto a scongiurare la proliferazione che i programmi iraniani suggeriscono ai preoccupati Paesi vicini e il rischio sempre temuto che gruppi terroristi si impadroniscano di ordigni mal custoditi, o quello di errori nella gestione delle armi. Riduzione degli armamenti esistenti, rinnovo dei principali accordi della guerra fredda � Stati Uniti e Russia possiedono circa il 95% delle armi atomiche � misure verificabili internazionalmente per lo stabilimento della fiducia, sistemi multilaterali di early warning e di contrasto per i missili strategici, controllo dei materiali fissili e delle scorie, un processo credibile dei Paesi militarmente nucleari per attuare gli impegni presi con il Tnp che scoraggi la corsa alla bomba che si è profilata prepotentemente negli ultimi tempi: tutte decisioni che si impongono. Non possiamo poi dimenticare che l´aumento dei prezzi dell´energia, pur nelle ristrettezze della crisi, conduce inevitabilmente sempre più numerosi i Paesi verso il nucleare aumentando i pericoli della proliferazione disordinata. La gestione multilaterale del ciclo dell´uranio e una "banca del combustibile nucleare" affidata all´agenzia delle Nazioni Unite dovrebbero rassicurare i governi sulla concreta possibilità di creare un ordine internazionale efficace in un campo in cui la sicurezza energetica e quella militare confinano con quella dell´ambiente e dell´economia. L´adeguamento del regime del Tnp al nuovo assetto mondiale è urgente per la sicurezza e la stabilità internazionale e la conferenza di revisione si avvicina. La conferenza di Roma è alla cerniera degli sforzi della comunità internazionale per condurre un problema complesso ed urgente fuori dallo stallo dell´inerzia e degli equivoci.

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Obama "assolve" gli agenti Cia e svela gli interrogatori con torture (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

CITTA' DEL MESSICO - Basta con la tortura. Basta con gli interrogatori in cui la dignità dei sospettati è calpestata. Anche se gli autori non subiranno conseguenze. Il presidente americano Barack Obama ha annunciato che gli uomini della Cia che ha condotto interrogatori usando vere e proprie tecniche di tortura come il waterboarding non saranno perseguiti. L'annuncio arriva con un comunicato che accompagna la pubblicazione di quattro memorandum dell'amministrazione Bush sui metodi di interrogatorio ammessi nella guerra al terrorismo, una rivelazione dei metodi duri utilizzati dall'intelligence americana. Un tasto dolente per gli Usa quello delle torture. Fu George W. Bush a dare il via libera a queste tecniche nel pieno della guerra al terrorismo. Dopo l'11 settembre, infatti, il presidente americano, diede ordine agli agenti della Cia di non usare alcun riguardo nei confronti dei sospettati di terrorismo. Aprendo una pagina nera nella storia degli stati Uniti. Oggi Obama afferma che le tecniche d'interrogatorio utilizzate dagli Stati Uniti in passato sono ''un capitolo nero e doloroso'' della storia del Paese, ma sottolinea che ha già fatto ''cessare le tecniche contenute nei memorandum''. ''Coloro che hanno fatto il loro dovere in buona fede basandosi sui consigli legali del dipartimento della Giustizia, non saranno perseguiti'', assicura Obama, osservando che questo è un momento di ''riflessione'', non di ''vendetta''. In pratica "assolvendo" gli agenti Cia con la motivazione che avrebbero soltanto eseguito degli ordini. OAS_RICH('Middle'); I memorandum descrivono minuziosamente le tecniche di interrogatorio usate dagli agenti nei cosidetti siti neri, quei luoghi tra Asia ed Europa dell'Est nei quali venivano rinchiusi i prigionieri. Si andava dall'annegamento simulato alla privazione del sonno. Proseguendo con l'esposizione al freddo o al caldo eccessivo. Fino all'utilizzo di insetti. Tecniche che avevano indignato il mondo e che adesso Obama cancella con un colpo di spugna. Liquidando l'ennesima eredità dell'era Bush. In questi giorni, inoltre, il New York Times sta pubblicando un'inchiesta che riguarda i casi di abusi della National security agency, l'agenzia statunitense di controspionaggio. Stando a quanto scrive il quotidiano ci sarebbero state intercettazioni ben oltre i limiti autorizzati dal Congresso. (17 aprile 2009

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Troppe tasse, il Texas minaccia la secessione dagli States (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Li hanno chiamati pomposamente "tea party", proprio come quello di Boston del 16 dicembre 1773 che - con i "patrioti" che gettarono in mare tonnellate di tè ammassate nelle navi inglesi - viene considerato l'inizio della rivoluzione americana. Le decine di migliaia di persone che il 15 aprile ("Tax Day", il giorno in cui negli States si pagano le tasse) hanno manifestato in America, non avevano però molto in comune con i loro antenati. Sorta di "girotondi" della destra repubblicana, promossi da gruppi conservatori, blog, radio e tv all'insegna del "Tax Day Tea Party", hanno avuto parole d'ordine e slogan di tipo "leghista" contro Obama e il governo federale - accusati di "socialismo", di rubare i soldi pubblici e attentare alla "libertà dei singoli Stati" - risuonati in oltre mille città americane, dalla California alla Florida, dal Kansas al Texas, comprese metropoli liberal come New York, Chicago e Washington. Dove si è assistito alla guerra mediatica tra i due principali network all-news, la Cnn e la FoxNews, con reciproche accuse di aver abbandonato ogni obiettività giornalistica per fare propaganda (la Fox a favore dei "tea party", la Cnn contro). Erano prevalentemente bianchi (e anziani), in maggioranza repubblicani, anche se il "Great Old Party" non aveva dato alcun avallo ufficiale alle manifestazioni. Così di politici di rango non se ne sono visti, fatta eccezione per Rick Perry, il Governatore del Texas, che - in vista di una possibile candidatura alla Casa Bianca 2012 - è stato l'unico che ha deciso di cavalcare pubblicamente il movimento di protesta. Perry con Obama ha un conto aperto. Per combattere il "pericolo immigrati" lungo i confini del Rio Grande aveva chiesto alla Casa Bianca di inviare mille soldati della Guardia Nazionale (e centinaia di milioni di dollari), ottenendo solo un parziale aiuto economico e qualche dozzina di agenti federali. Così, alla vigilia del viaggio in Messico di Obama (dove è arrivato ieri pomeriggio) ha alzato i toni arrivando a minacciare (vagamente) la "secessione" del Texas dagli Stati Uniti (chiesta da qualche voce tra la folla). Precisando poi ai giornalisti che si tratta di uno scenario al momento irrealistico: "Abbiamo una grande Unione e non c'è assolutamente bisogno di dissolverla". OAS_RICH('Middle'); Nel Tax Day ha partecipato a tre diversi "tea party", ha dato otto interviste televisive, si è autocandidato a leader della protesta antifiscale e antifederale: "Noi siamo i veri patrioti, i nostri Stati, come dice il decimo emendamento, hanno diritto alla loro sovranità. E' tempo di mandare un messaggio chiaro a Washington. Siamo una forza indipendente che ha tutto il diritto di far sentire la sua voce. Non vogliamo che il governo federale ipotechi il nostro futuro. Credo che si debba tornare alla lettera e allo spirito della Costituzione. Credo che il nostro governo federale sia diventato oppressivo per le dimensioni che va assumendo, credo che la sua sia un'intrusione nella vita dei nostri cittadini, un'interferenza con gli affari del nostro Stato". (17 aprile 2009

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L'orgoglio degli eroi di Fort Alamo e il mito americano della rivolta del tè (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON - "Voi andate tutti all'inferno, io vado in Texas" gridò Davy Crockett al Tennessee che non lo aveva eletto deputato e partì per il Forte Alamo dove sarebbe morto, per conquistare agli Stati Uniti quello che oggi gli Stati Uniti potrebbero perdere. Il Texas. È per ora soltanto una sbruffonata molto texana la risoluzione dell'assemblea legislativa dello stato benedetta dal governatore Rick Perry che minaccia la secessione, un gesto magniloquente per montare dalla terra che ci ha dato due Bush e ci ha portato via un Kennedy la controffensiva dei Repubblicani contro Obama e la Washington "ladrona" dominata dai Democratici. La possibilità che il secondo stato americano per dimensione, dopo l'Alaska, immenso contenitore di campi, petrolio, tecnologie, silos, raffinerie, manzi dalle lunghe corna e uomini dalla testa calda dove l'Italia potrebbe essere contenuta tre volte, cominci una seconda guerra di secessione sono soltanto teoriche. Neppure il governatore Perry, oserebbe invitare all'uso della bandiera a stelle e striscie come carta igienica. Senza rischiare un proiettile in mezzo agli occhi. Ma sarebbe un errore sottovalutare la capacità dei texani, dei "texians" come si chiamano, di formare il perno politico e umano di una ribellione del Sud e del Sud ovest americano contro il governo federale e i maledetti "democrats" che lo incarnano. Sulla crosta del più grande serbatoio di petrolio del continente a sud del Canada, il Bacino Permiano, punteggiato dalle superchiese dei predicatori di una Bibbia sulfurea, dalle superstrade di Houston soffocata dalle polveri delle massime raffinerie, cammina la gente più armata d'America, un esercito di cittadini che hanno sempre tollerato, mai davvero amato, il controllo del governo centrale. Se non fu un texano di nascita quell'Oswald che sparò a Kennedy, tutti, JFK per primo, e il suo vice texano, Johnson, sapevano che quella visita nello stato della stella solitaria sarebbe stata nel novembre del '63 un viaggio al fronte. OAS_RICH('Middle'); Questo, che va dalle montagne del nord alte oltre i duemila dove può nevicare, alle coste del Golfo, dove lo stesso giorno si può scoppiare di afa e di uragani, è il "Fort Alamo" della destra più destra, dove "il democratico più di sinistra sarebbe iscritto d'ufficio al partito repubblicano appena attraversasse la frontiera", come diceva James Carville, già cervello elettorale di un altro sudista, Bill Clinton. Qui, Hillary sconfisse facilmente Barack nelle primarie, votata da elettori repubblicani passati all'altro partito per fare lo sgambetto al ragazzo di colore. Qui, dove i bianchi "euro" sono appena il 51% assediato da immigrati messicani legali e dal massimo numero di illegali (due milioni), cento chilometri di distanza sono "vicinato" e il nuovo stadio dei Dallas Cowboys costato un miliardo e mezzo sembra un affare, il terrore della "reconquista" messicana e dei burocrati federales si riscaldano a vicenda. Il "federalismo" è in Texas una religione vera, costruita sulla diffidente adesione agli Stati Uniti che nel 1845 riservò comunque la possibilità di tornare indipendenti, soli a galleggiare fra il Rio Grande a Sud e le grandi praterie del Nord. Il principio scritto nel decimo emendamento della Costituzione americana, che riserva ai singoli stati tutti i diritti e i privilegi non espressamente concessi all'Unione, è preso sul serio e invocato oggi proprio dal governatore, che Bush lasciò in eredità volando a Washington nel 2001. "Noi siamo gente diversa, che pensa e agisce in maniera diversa" spiega Rick Perry, che fra un anno tenterà la storia impresa di farsi rieleggere per la terza volta. "Non provate a pestarci la coda" Ed è in perfetta sintonia con la storia nazionale il fatto che questa collera anti Obamiana sgorghi dalla fonte che generò gli Stati Uniti, le tasse. Non è aumentata per ora nessuna imposta, ma quando i resti sparsi e confusi del partito Repubblicano hanno deciso di agitarsi contro il governo e indire di "Tea Party", di rivolte del tè come i coloni di Boston contro re Giorgio di Inghilterra, il "Tehjas", oggi Texas, è stato il primo a rispondere. E ad agitare lo spettro della secessione, forte del fatto di essere la settima potenza economica del mondo, dimenticando che senza i soli degli altri, gli investimenti militari, la Nasa, le autostrade costruite dai "federales" non lo sarebbe. Inutile, per ora, convincerli che il Texas ha bisogno degli altri Stati come gli altri Stati hanno bisogno del Texas. Se gli avventurieri eroici arroccati a Fort Alamo fossero stati ragionevoli e realisti, questo sarebbe ancora Messico. E agli Stati Uniti sarebbero stati risparmiati otto anni di governo del texano George Bush il Giovane. (17 aprile 2009

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Obama in Messico, una battaglia comune stop al traffico d'armi per battere i 'narcos' (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - La lotta ai 'narcos' é una battaglia comune che Stati Uniti e Messico devono combattere insieme. Nella sua visita-lampo a Città del Messico, tappa di avvicinamento al vertice delle Americhe di Trinidad&Tobago (dove arriverà oggi) Barack Obama lancia la sua sfida ai 'signori della droga', chiamando il Senato Usa a ratificare il trattato interamericano contro il traffico delle armi e delle munizioni ("questa è una guerra che viene combattuta con armi comprate nel mio paese") e il grande vicino del sud "a sforzi coordinati e rafforzati". Per Felipe Calderon ha avuto parole di elogio: "Sta facendo un lavoro eroico nell'affrontare un problema enorme ai nostri confini. Non solo intercettando il traffico che sale al nord, ma anche bloccando il flusso di armi e di liquidi che scende a sud", ripetute prima nell'intervista al canale Cnn in lingua spagnola (molto seguito in America latina) poi nella conferenza stampa comune. E di fronte al presidente messicano ha ricordato come parte del problema sia rappresentato dalla domanda Usa di cocaina e di altre sostanze illecite, fattore senza il quale i cartelli messicani avrebbero "molte difficoltà" a sopravvivere. Nella lotta contro i narcotrafficanti i due paesi divisi dal Rio Grande devono essere come "due mani" che lavorano insieme, ha aggiunto, ricordando di "aver già preso impegni specifici" nella battaglia che insanguina quotidianamente la frontiera tra Usa e Messico, con investimenti che "si misurano in milioni di dollari". Se é fondamentale "eliminare il traffico di armi e del denaro illecito che dagli Usa viaggia verso sud" non é peró realistico pensare di eliminarlo del tutto, ha detto Obama, consapevole delle resistenze, quasi insuperabili che ci sono proprio in America. "Nessuno di noi si fa illusioni che rimettere il bando sia facile". OAS_RICH('Middle'); In coincidenza con l'arrivo di Obama in Messico la Casa Bianca ha annunciato che altri tre cartelli della droga (Sinaloa, Los Zetas e La Familia Michoachana) sono stati aggiunti alla lunga "lista nera" (78 gruppi) che permette al governo americano di mettere sotto sequestro i beni dei "narcos". Secondo i calcoli del Fbi ogni anno dai 19 ai 39 miliardi di dollari - tutti proventi del traffico di droga - passano il Rio Grande prendendo la strada del sud. Quella contro il narcotraffico é una vera e propria guerra (sia pure a bassa intensità) tanto che nello scorso dicembre un rapporto del Pentagono definiva il Messico un paese sull'orlo della disgregazione. E dopo le centinaia di morti degli ultimi mesi l'arrivo di Obama é stato salutato da un feroce scontro a fuoco nello Stato di Guerrero tra poliziotti e 'narcos': una battaglia di tre ore in cui sono rimaste uccise quindici persone. I due presidenti hanno anche parlato di immigrazione clandestina - l'altro grande problema con il Messico - con Calderon che preme perché venga posto un freno alle deportazioni e alle retate organizzate dai "border patrol" Usa. Su questo punto Obama ha rimandato alla nuva legge che intende varare nei prossimi mesi. Sul clima pieno accordo. Stati Uniti e Messico faranno uno sforzo congiunto in settori quali "energia rinnovabile, efficienza energetica, meccanismi di mercato, sfruttamento delle foreste e della terra, lavoro ecologico, sviluppo di tecnologie con basso uso di energia dal carbone, strategie contro l'effetto serra". L'ultimo presidente 'gringo' a visitare il Messico era stato Bill Clinton. Erano gli anni del Nafta, la guerra al terrorismo era di là da venire e l'America Latina sembrava dovesse diventare (insieme ai paesi del Pacifico) un partner privilegiato non solo per il commercio. Negli anni di Bush le cose sono radicalmente cambiate e l'America Latina si é politicamente radicalizzata, con governi (Chavez, ma non solo) che hanno fatto dell'antiamericanismo la loro nuova bandiera. Con il 'caudillo' del Venezuela Obama non avrà alcun incontro al vertice di Port of Spain. E la Casa Bianca ha anche raffreddato l'ipotesi di nuove aperture nei confronti di Cuba (che al vertice non sarà presente): "Siamo interssati a che Cuba cambi, ma ció non avverrà dall'oggi al domani". (17 aprile 2009

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Torture, Obama assolve la Cia (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK Gli agenti della Cia che hanno usato «in buona fede» maniere forti su detenuti usando tecniche di tortura come il waterboarding non passeranno guai con la giustizia. Lo ha assicurato il presidente Barack Obama in un comunicato che accompagna la pubblicazione di quattro memorandum dell’amministrazione Bush sui metodi di interrogatorio ammessi nella guerra al terrorismo. I cosiddetti ’siti nerì, in Asia e nell’Europa dell’Est, sono stati chiusi dall’amministrazione Obama che, denunciando l’uso della tortura, ha deciso la pubblicazione dei documenti per aiutare l’America «ad affrontare un capitolo buio e doloroso» della sua storia. I memorandum - quattro dal 2002 al 2005 - descrivono una serie di tecniche di interrogatorio aggressive e tuttavia all’epoca autorizzate che vanno dall’annegamento simulato alla privazione del sonno e all’esposizione al freddo o al caldo eccessivo. I documenti sono stati resi pubblici dopo un intenso dibattito interno e con alcune censure criticate dalle associazioni per i diritti umani. «Pubblicando questi documenti intendiamo assicurare gli agenti che hanno agito in buona fede basandosi sul consiglio legale del Dipartimento della Giustizia che non saranno messi sotto inchiesta», ha detto Obama spiegando che questo è un momento di «riflessione», non di «vendetta». Le nuove rivelazioni, sostanzialmente una conferma di quanto era già emerso nei mesi scorsi, coincidono con la pubblicazione di una inchiesta del New York Times dedicato altri casi di abusi della National Security Agency (Nsa), l’agenzia Usa di controspionaggio, nei confronti di cittadini americani negli Usa e all’estero intercettati senza mandato della magistratura negli ultimi mesi dell’amministrazione Bush. Secondo il quotidiano, la Nsa ha intercettato comunicazioni private tra americani su una scala che andava oltre gli ampi limiti autorizzati l’anno scorso dal Congresso. Tra i bersagli del ’grande orecchiò dell’agenzia ci sarebbe stato addirittura un membro del Congresso: il parlamentare, di cui non è stata determinata l’identità, sarebbe stato in contatto con un estremista già sotto sorveglianza per possibili rapporti con gruppi terroristici mentre si trovava in Medioriente con una delegazione parlamentare nel 2005 o 2006. Di torture ha parlato anche Richard Armitage, numero due al Dipartimento di Stato nella prima amministrazione Bush. L’ex vice di Colin Powell ha ammesso con la rete al Jazira che la Cia ha torturato alcuni sospetti terroristi con il benestare della Casa Bianca, ma che nè lui nè Powell ne sapevano nulla. Armitage ha spiegato che lui e Powell erano all’epoca convinti che la Convenzione di Ginevra venisse rispettata anche nei confronti dei cosiddetti ’combattenti nemicì, i prigionieri catturati Afghanistan dopo le stragi dell’11 settembre e trasferiti nel limbo giuridico di Guantanamo, la base prigione a Cuba di cui Barack Obama ha deciso la chiusura.

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Obama apre al dialogo con Cuba (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

CUMANA (VENEZUELA) Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha rilanciato oggi da Città del Messico i segnali di apertura nei confronti di Cuba, esprimendo l’auspicio che l'isola «sappia rispondere alla buona fede dei nostri sforzi» per arrivare ad una nuova fase delle relazioni tra i due Paesi. «Cinquant’anni di gelo non si risolvono dalla sera alla mattina - ha detto Obama nella conferenza stampa tenuta con il presidente del Messico, Felipe Calderon -. Noi abbiamo preso iniziative importanti. Ma si possono ottenere risultati solo se anche Cuba fa dei passi e si dimostra pronta a rispondere alla buona fede dei nostri sforzi». Il governo cubano secondo Obama «deve manifestare la volontà di fare passi che vanno al di là di questi ultimi 50 anni». Obama ha chiesto a Cuba di impegnarsi per quanto riguarda «i diritti umani, la libertà di stampa, la libertà di opinione, la libertà di movimento». «Spero che i segnali che abbiamo mandato siano chiari: vogliamo essere aperti nei confronti di Cuba e impegnarci per una nuova fase dei rapporti» ha concluso Obama. Il presidente Usa ha daltronde già allentato la morsa nei confronti dell'isola caraibica: lunedì infatti ha ordinato la revoca delle restrizioni ai viaggi e alle rimesse per il milione e mezzo di cubano-americani con parenti a Cuba; e ha spiegato che si tratta di un’iniziativa di «buona volontà» perchè migliorino non solo le relazioni cubano-statunitensi, ma si «mettano in moto la creatività e l’energia del popolo cubano». Ma il presidente Usa è per ora ancora contrario a levare l’embargo. Da parte sua il presidente cubano Raul Castro è disponibile a dialogare con gli Stati Uniti di democrazia, libertà e diritti umani e qualunque altro tema, compreso lo scambio di prigionieri, purchè a parità di condizioni. «Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che quando loro vorranno, potremo discutere tutto», ha detto Castro con un appassionato discorso al vertice dell’Alba (L’alternativa bolivariana per le Americhe), alla vigilia del VI summit delle Americhe, che comincia oggi alla presenza di Barack Obama. «Diritti umani, libertà di stampa, prigionieri politici, qualunque cosa, qualunque cosa di cui vogliano parlare», ha aggiunto Castro. Già nel dicembre scorso, durante una visita ufficiale in Brasile, il presidente cubano aveva lasciato capire che era disposto a scambiare con Barack Obama i prigionieri dissidenti rinchiusi nelle carceri dell’isola, in cambio dei «cinque eroi» dell’Avana, gli agenti cubani detenuti negli Stati Uniti. «Se vogliono i dissidenti, li mandiamo domani, con le famiglie e tutto, però devono restituirci i nostri cinque eroi», aveva detto alludendo a Gerardo Hernandez, Rene Gonzalez, Antonio Guerrero, Ramon Labañ±ino e Fernando Gonzalez,, arrestati in Florida il 12 settembre 1998. In Venezuela il presidente cubano ha aggiunto che il dialogo con gli Stati Uniti deve avvenire «in eguaglianza di condizioni»: «Senza la minima ombra sulla nostra sovranità e senza la benchè minima violazione al diritto all’autodeterminazione del popolo cubano». Nell’incontro in Venezuela, i rappresentati dei Paesi che compongono l’Alba -oltre al presidente cubano, i leader di Bolivia, Ecuador, Honduras, Nicaragua, Paraguay, Venezuela- hanno abbandonato i temi economici per elaborare una dichiarazione congiunta in cui si sottolinea la necessità di togliere l’embargo economico a Cuba (un tema su cui c’è praticamente l’unanimità in tutta l’America Latina). Evo Morales, presidente della Bolivia, ha annunciato che presenterà una proposta di risoluzione in cui si chiede di riconoscere la piena libertà di commercio dell’isola; esattamente come altri leader latino-americani, Morales ha anche criticato il fatto che Cuba rimanga ai margini dell’Organizzazione degli Stati Americani (l’Oea), perchè il suo governo si è dichiarato marxista-leninista. È probabile dunque che il vertice delle Americhe si svolga proprio all’ombra di Cuba, il Paese assente.

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rivoluzione lido, "salve" seicento cabine - marco preve (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina IV - Genova Rivoluzione Lido, "salve" seicento cabine A Tursi variante per la costruzione delle villette, ma restano gli abbonamenti Banche milanesi finanzieranno con 90 milioni la trasformazione dello stabilimento MARCO PREVE Con Mauro Pelaschier ex timoniere di Azzurra alla guida del centro velico, e un pool di banche milanesi a finanziare l´impresa, il progetto "rifondazione Lido" parrebbe marciare con il vento in poppa. In realtà, però, in questi giorni, il percorso imprenditoriale deve doppiare la boa più ardua. In Comune, infatti, la commissione e poi la giunta si apprestano a discutere la variante urbanistica che è conditio sine qua non per l´intera operazione. Se l´amministrazione Vincenzi e poi l´assemblea consigliare approveranno la realizzazione dei 23-25 appartamenti distribuiti in villette, allora davvero già in autunno lo stabilimento balneare più noto di Genova potrebbe trasformarsi in un cantiere. In questi giorni decisivi per l´iniziativa turistico immobiliare da 90 milioni di euro, si rincorrono voci e indiscrezioni su dettagli e retroscena del progetto, nonché sul futuro della clientela. Mario Corica, l´imprenditore di Sampierdarena che dopo un passato nelle multinazionali Philip Morris e British Tobacco e una parentesi istituzionale come vicepresidente della Fiera, ha presentato il progetto preliminare in Comune, per ora preferisce restare in silenzio, in attesa che l´iter procedurale si sblocchi. Ma, nel frattempo, qualcosa di più sulla rifondazione del Lido si è saputa. A cominciare dai finanziatori. Nessuna cordata genovese e tantomeno Carige (anche se c´era stato un contatto), bensì un pool di banche milanesi scelte fra i molti soggetti che avevano manifestato interesse - attirati dall´opportunità immobiliare - dall´advisor di Corica, lo studio milanese Caretti & Associati. Una volta ottenuta la variante l´attuale Value Services srl di Corica (vi ricoprono cariche anche i commercialisti Alessandro Picollo e Giovanni Cambiaso, oltre al vicepresidente del Genoa Gianni Blondet) potrebbe dar vita ad una nuova società, all´interno della quale potrebbe anche esserci qualche rappresentante della famiglia Rizzo, gli attuali proprietari del Lido che dopo molte proposte hanno sposato la filosofia di Corica. Un altro aspetto che oggi è possibile approfondire è il destino delle "cabine". Il migliaio e passa di monolocali oggi di cemento, verrà sostituito da strutture di legno, fibre vegetali e base di sughero progettate dagli architetti di Obr e dagli ingegneri dello studio londinese Buro Happold, e dovrebbero ridursi a circa 800 unità. Di queste, tra le 150 e le 200 verranno vendute (o meglio saranno date in concessione) a un prezzo che potrebbe oscillare tra i 70 mila e i 100 mila euro. Le circa 600 restanti continueranno invece ad essere affittate per la stagione. Anche se l´intenzione è quella di un Lido non solo estivo ma sempre più annuale, indirizzato su fitness e benessere, con grande palestra vista mare e talassoterapia da realizzarsi separando in due la maxi piscina prevista. Quanto al centro velico - dove ci sarà anche l´accesso pubblico alla battigia - l´idea di Corica è quella di creare non un club elitario, ma un polo per gli appassionati affidato ad un nome simbolo come Mauro Pelaschier, che ha già stretto alleanze con la Provincia e ha avviato contatti con Comune e Università per siglare convenzioni con le scuole cittadine per corsi base di vela. Il Comune ha anche chiesto che la foresteria (60 posti letto) oltreché i partecipanti alle regate possa eventualmente ospitare anche gli atleti delle gare di nuoto organizzate alle piscine di Albaro. Ultima questione, la più delicata, quella delle case. Nonostante il crescente movimento di opinione che da Obama al più piccolo dei comitati locali chiede di ridurre la pressione edilizia, anche questa operazione di qualità, che riaprirà la vista mare da corso Italia, formerà una generazione di velisti e alleggerirà il Lido di tonnellate di cemento, nasce e si sviluppa sotto il segno dell´ennesima variante urbanistica e del calcestruzzo. Seppur di lusso, visto che i 25 appartamenti - pezzatura minima 70 metri quadri - avranno un costo al metro di circa 10 mila euro.

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dai vecchi frigoriferi ai pannelli solari all'ex electrolux operai a scuola di ecologia - ilaria ciuti (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina VII - Firenze I corsi di formazione per il primo scaglione di lavoratori riassorbiti nella Sol Energes sono iniziati lunedì scorso Dai vecchi frigoriferi ai pannelli solari all´ex Electrolux operai a scuola di ecologia ILARIA CIUTI «L´ambiente? Le energie alternative? Neanche ci pensavo», confessa Antonella, capelli biondi, jeans e entusiasmo negli occhi. Adesso che l´ecologia è entrata nella sua vita e la paura di restare senza lavoro si è allontanata. «A fine mese montano la prima nuova linea di produzione. Finchè non vedo tutto finito non sarò tranquilla, ma se va bene è davvero bello», dice scuotendo i lunghi riccioli Barbara. Tutte e due, insieme a Umberto, Paola, Fabrizio, Leonardo, Massimo e gli altri, vanno a scuola di ecologia. Fanno parte dei primi 45 operai che dal 4 maggio produrranno pannelli solari per Sol Energes-Energia Futura (gruppo Mercatech). Nello stesso stabilimento di Scandicci dove per anni hanno sfornato frigoriferi Electrolux e che la multinazionale svedese abbandonerà entro giugno, dopo avere trovato il sostituto cui cedere lo stabilimento in cambio della riassunzione di almeno 370 dei 400 operai. Il 15 giugno Sol Energes ne assumerà altri 45. A scaglioni, entro il 2009, saranno ripresi tutti e 370, parola dell´ad Massimo Fojanesi. Dai frigoriferi ai pannelli solari. Il primo scaglione di operai studia di che si tratta, via via lo faranno tutti gli altri. I corsi di formazione sono organizzati da Sol Energes in collaborazione con Openup Consulting e TK Formazione. «Costituiscono il vero avvio alla nostra azienda», dice Fojanesi. Aggiunge il sindaco di Scandicci, Simone Gheri: «In piena crisi si apre un futuro di lavoro innovativo». Loro, gli operai, vanno a scuola, venti la mattina, altrettanti il pomeriggio, quatto ore seduti nella sala accanto alla mensa, davanti allo schermo con le pale eoliche, gli schemi grafici. «Parliamo di clima, dei cambiamenti prodotti dall´industrializzazione, dei problemi energetici e le fonti rinnovabili, di urbanistica, di architettura sostenibile», spiega l´insegnante, l´architetto Antonio Alessandro. «E´ bravo - approvano gli operai - Si mette al nostro livello che tanto istruiti non siamo». Terza media e l´ambiente: questo sconosciuto. «Veniamo a conoscenza di un sacco di cose interessanti», è contento Umberto. Entri in fabbrica che sei adolescente, resti per anni alla catena dei frigo, fai le lotte sindacali, hai sulle spalle la casa, i figli, il mutuo. L´ecologia è un lusso. Poi succede che finisci sull´orlo del baratro, sei licenziato, fuori è crisi, nessuno di dà un altro lavoro, intanto hai quarant´anni e famiglia. Ma lotti con quanto fiato hai in gola e alla fine il «lusso» ecologico ti salva. «Vedevamo le ruspe e chi se ne fregava - spiegano Vincenzo e Umberto - Ora sappiamo cosa è sostenibile e cosa no». Paola ha imparato: «Urbanizzazione primaria: i ponti, gli acquedotti, le fogne. Secondaria: le scuole, le case, le palestre». Aggiungono: «Non avevamo mai riflettuto su quanto tutti noi sporchiamo, consumiamo, inquiniamo, di quante risorse si sprechino, di quanta fetta del mondo si rovini». Ora sono lì che si chiedono a vicenda: «Ma te la spegni la tv o ti fa fatica? Lo sai che consuma?». Paola racconta che suo figlio «studia al Meucci e fa l´esame sul fotovoltaico, la sera quando torno a casa facciamo a chi ne sa di più, per ora lui». Massimo qualcosa al suo attivo lo vanta: «Io già dividevo la spazzatura, cercavo di andare a piedi». Paola: «Ci siamo rimessi in gioco a 40 anni». Umberto: «E´ curioso? Molto di più. Come se fossi costretto a misurarmi con me stesso, le mie possibilità, Mi stimola a voler continuare». Cambia la vita quotidiana: «Facciamo gli insegnanti in casa. Forse un giorno potremmo anche installarci i pannelli solari, purché diano gli incentivi». Massimo è orgoglioso: «Faremo un lavoro etico». Addio vecchio frigo: «Le energie alternative sono il futuro. Lo dice anche Obama». Un futuro anche per loro che si erano visti persi appena saputo che Electrolux chiudeva, ma che ne hanno fatte di tutte: i cortei, i volantini con le loro foto e quelle dei figli, il coinvolgimento delle istituzioni fino alle parrocchie. Ce l´hanno fatta: «E´ l´unico caso di reindustrializzazione in Toscana», dice, fiera, Barbara. «Speriamo sia di esempio, a noi è andata bene», spiega Fabrizio. Avranno successo, è convinto il direttore dello stabilimento, Giancarlo Boccaccini: «L´Italia è così indietro rispetto al resto d´Europa sul mercato del fotovoltaico che c´è spazio per fare». Quando i più fortunati escono dalla lezione, quelli che ancora finiscono i frigo di Electrolux e saranno chiamati più tardi, gli si accalcano intorno: «Come è andata?».

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la favola glocal di cirasola con il marchio di slow food - antonella gaeta (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XI - Bari Il film La favola glocal di Cirasola con il marchio di Slow food ANTONELLA GAETA Poco o niente può fermare Nico Cirasola. Alla vigilia dell´uscita del suo film (oggi a Roma e in Puglia) persegue il nuovo cimento. «Sto per incontrare la segretaria di Obama, stiamo trattando per far piantare i semi della Murgia nell´orto di Michelle». Molto probabilmente ci riuscirà, com´è riuscito a distribuire gratis focaccia di Altamura, complice l´irriducibile Onofrio Pepe, in un McDonald di Chicago. Perché il concetto di un film documentario come "Focaccia Blues" è proprio questo, il farsi paladini di un prodotto locale e, con fede assoluta nelle virtù del glocal, abbracciarne la causa fino alla vittoria. Accadde qualche anno fa ai panificatori Di Gesù che, prendendo in affitto un locale che il colosso americano dei fast-food non aveva ritenuto funzionale alla nuova apertura ad Altamura perché troppo nascosto, determinarono la chiusura dei concorrenti a lealissimi colpi di focaccia. Il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, (aspettando con impazienza di vedere "Focaccia Blues", nel programma nel "Slow Food on film" di Bologna) spiega quasi matematicamente quanto accaduto ad Altamura: «Se metti insieme un prodotto locale di qualità a un pezzo giusto e ci aggiungi elementi di socialità allora il gioco è fatto. Si è snob quando si crede che la cucina di qualità sia appannaggio di grandi gourmet, ricchi, benestanti e un po´ vecchiotti. Se sei in grado di offrire tutto questo, com´ha fatto il panificio altamurano, ma non c´è giovane al mondo che scelga il McDonald. Il resto son fanfalucche». E alla lode alla Puglia «territorio di grande identità gastronomica basata su tante eccellenze», Petrini accosta anche una riflessione per così dire economica: «Son felice che gli autori di quella focaccia siano dei giovani e non quattro anziani che pur fanno una grande tenerezza, perché vuol dire che proprio loro stanno presidiando i luoghi e che il Mezzogiorno ha pronte le risposte in questo momento di crisi attraverso un´economia reale». Teoria perfettamente dimostrata anche dal docufilm cirasoliano, prodotto dall´energico Alessandro Contessa per la "Bunker Lab" e interpretato da Dante Marmone, Tiziana Schiavarelli e Luca Cirasola per la storia di "fiction". Più una serie di pugliesi a denominazione d´origine come Michele Placido, Renzo Arbore e Lino Banfi, questi ultimi due impegnati in uno sketch che tiene in piedi l´intero film, ambientato in cucina a mò di programma tv culminante nella divertentissima improvvisazione di un blues della focaccia. La parola al produttore Contessa: «Abbiamo voluto realizzare un film indipendente proprio seguendo alla lettera l´insegnamento della focacceria, con una bella storia e una produzione giovane, ci siamo proposti sul mercato cinematografico. Considerata l´attenzione già avuta a livello nazionale, possiamo dire di aver già vinto anche noi. E´ tempo di semplicità e qualità, anche al cinema». Se ne parlerà anche oggi al "Fiorello Show" su Sky e il giro delle trasmissioni nazionali è appena cominciato. Anche Cirasola, del resto, ritiene di aver già vinto. «Personalmente giro film per girare il mondo, con la focaccia siamo andati in America e ci torneremo per far attecchire il fungo cardoncello nell´orto di Michelle. Se non ci riesce lei che è una first lady!».

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pesaro e caserta al paladozza, paghi una e prendi due (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina XV - Bologna Pesaro e Caserta al PalaDozza, paghi una e prendi due IL FERRO è finalmente diventato caldo e la Fortitudo continua a batterlo, anche perché il tempo è poco. Il pienone con Montegranaro ha convinto l´Aquila lanciare un´altra iniziativa. Chi acquisterà il biglietto per la partita di domenica alle 12 con Pesaro avrà diritto ad acquistare quello per la gara successiva con Caserta al prezzo di 1 euro, ovviamente presentando il tagliando usato. Le ultime due partite in casa, fondamentali per la corsa alla salvezza, si potranno quindi vedere al prezzo di una. La prevendita continuerà oggi e sabato al Fortitudo Point del PalaDozza (9.30-12.30 e 15.30-19.30). Una vera e propria chiamata alle armi, sulle ali dell´entusiasmo, rilanciato da uno degli eroi di mercoledì, Gordon: «Due in casa da vincere? A questo punto direi che si possono prendere tutte le quattro che mancano, siamo belli carichi. E soprattutto ci crediamo: parecchie volte c´è andata male, ma adesso we can». Jamont cita Obama, poi dice. «Non sono un leader, me ne manca anche l´esperienza, ma posso segnare fuori dagli schemi e so difendere. E ognuno dei miei compagni sa fare qualcosa di speciale. Vincere in quel modo ha davvero cambiato il nostro campionato». (f. fo.)

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obama dà l'immunità alla cia "niente processi per le torture" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 20 - Esteri Obama dà l´immunità alla Cia "Niente processi per le torture" Pubblici i memo di Bush sul "waterboarding" La Casa Bianca li ha divulgati per "affrontare un capitolo buio e doloroso" DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Gli agenti della Cia che hanno torturato non saranno processati. Arrivando a Città del Messico - prima tappa del viaggio in America Latina che lo porterà oggi al vertice delle Americhe di Trinidad&Tobago - Barack Obama ha garantito l´immunità agli agenti americani dell´Intelligence che durante l´amministrazione Bush hanno usato negli interrogatori tecniche d tortura come il waterboarding. Il presidente ha spiegato di voler «rassicurare» coloro che hanno compiuto il proprio dovere «seguendo in buona fede» i consigli legali del ministero della Giustizia (di Bush): «Non verranno perseguiti gli uomini e le donne della nostra intelligence che hanno coraggiosamente servito sulla linea del fronte di un mondo pericoloso. Dobbiamo proteggere le loro identità nello stesso vigile modo in cui loro hanno protetto la nostra sicurezza». La questione riguarda quattro memorandum (emessi dal 2002 al 2005), finora coperti dal segreto, con cui l´amministrazione Bush dettava alla Cia le linee-guida da seguire nella guerra al terrorismo e durante gli interrogatori dei militanti di Al Qaeda nelle prigioni segrete all´estero. Direttive che ora la Casa Bianca ha deciso di rendere pubbliche per «affrontare un capitolo buio e doloroso della nostra storia». Obama ha ribadito la sua totale contrarietà all´uso di «tecniche di interrogatorio aggressive» come il waterboarding (l´annegamento simulato), la privazione del sonno e l´esposizione al freddo o al caldo eccessivo. «In uno dei miei primi atti come presidente ho proibito l´uso di queste tecniche da parte degli Stati Uniti perché indeboliscono la nostra autorità morale e non ci rendono più sicuri. Riaffermare i nostri valori nella protezione dei nostri cittadini ci rende più forti e più sicuri. Una democrazia come la nostra deve respingere la falsa scelta tra la nostra sicurezza e i nostri ideali». La decisione di Obama era attesa, ma è destinata ad alimentare le critiche che una minoranza liberal del Partito democratico sta rivolgendo sempre più spesso al presidente. Come quelle riguardanti la questione dello spionaggio illegale, definita da alcuni giuristi democratici «simile, se non peggiore di quella di Bush» o di chi dopo aver applaudito le scelte della Casa Bianca su Guantanamo ha ricordato come restino in attività prigioni americane all´estero, del tutto simili al carcere sull´isola di Cuba. I «memorandum» resi pubblici dalla Casa Bianca confermano varie notizie che erano già state in parte anticipate dalla stampa Usa. In un´inchiesta, il New York Times aveva parlato di abusi della National Security Agency (Nsa), l´agenzia americana di controspionaggio, nei confronti di cittadini americani - residenti sia negli Usa che all´estero - intercettati senza mandato dei giudici negli ultimi mesi dell´amministrazione Bush. Alcune parti resteranno però secretate. Perché, ha detto Obama, «gli Stati Uniti hanno il dovere di mantenere il segreto su alcune attività ed informazioni legate alla nostra sicurezza». (a.f.d´a.)

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troppe tasse, il texas minaccia la secessione - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 21 - Esteri Troppe tasse, il Texas minaccia la secessione Provocazione del governatore che cavalca la protesta contro la stretta fiscale Il governo federale accusato di "socialismo" e di attentare alla libertà degli Stati ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato new york - Li hanno chiamati pomposamente «tea party», proprio come quello di Boston del 16 dicembre 1773 che - con i "patrioti" che gettarono in mare tonnellate di tè ammassate nelle navi inglesi - viene considerato l´inizio della rivoluzione americana. Le decine di migliaia di persone che il 15 aprile («Tax Day», il giorno in cui negli States si pagano le tasse) hanno manifestato in America, non avevano però molto in comune con i loro antenati. Sorta di "girotondi" della destra repubblicana, promossi da gruppi conservatori, blog, radio e tv all´insegna del «Tax Day Tea Party», hanno avuto parole d´ordine e slogan di tipo "leghista" contro Obama e il governo federale - accusati di «socialismo», di rubare i soldi pubblici e attentare alla«libertà dei singoli Stati - risuonati in oltre mille città americane, dalla California alla Florida, dal Kansas al Texas, comprese metropoli liberal come New York, Chicago e Washington. Dove si è assistito alla guerra mediatica tra i due principali network all-news, la Cnn e la FoxNews, con reciproche accuse di aver abbandonato ogni obiettività giornalistica per fare propaganda (la Fox a favore dei "tea party", la Cnn contro). Erano prevalentemente bianchi (e anziani), in maggioranza repubblicani, anche se il «Great Old Party» non aveva dato alcun avallo ufficiale alle manifestazioni. Così di politici di rango non se ne sono visti, fatta eccezione per Rick Perry, il Governatore del Texas, che - in vista di una possibile candidatura alla Casa Bianca 2012 - è stato l´unico che ha deciso di cavalcare pubblicamente il movimento di protesta. Perry con Obama ha un conto aperto. Per combattere il «pericolo immigrati» lungo i confini del Rio Grande aveva chiesto alla Casa Bianca di inviare mille soldati della Guardia Nazionale (e centinaia di milioni di dollari), ottenendo solo un parziale aiuto economico e qualche dozzina di agenti federali. Così, alla vigilia del viaggio in Messico di Obama (dove è arrivato ieri pomeriggio) ha alzato i toni arrivando a minacciare (vagamente) la «secessione» del Texas dagli Stati Uniti (chiesta da qualche voce tra la folla). Precisando poi ai giornalisti che si tratta di uno scenario al momento irrealistico: «Abbiamo una grande Unione e non c´è assolutamente bisogno di dissolverla». Nel Tax Day ha partecipato a tre diversi «tea party», ha dato otto interviste televisive, si è autocandidato a leader della protesta antifiscale e antifederale: «Noi siamo i veri patrioti, i nostri Stati, come dice il decimo emendamento, hanno diritto alla loro sovranità. E´ tempo di mandare un messaggio chiaro a Washington. Siamo una forza indipendente che ha tutto il diritto di far sentire la sua voce. Non vogliamo che il governo federale ipotechi il nostro futuro. Credo che si debba tornare alla lettera e allo spirito della Costituzione. Credo che il nostro governo federale sia diventato oppressivo per le dimensioni che va assumendo, credo che la sua sia un´intrusione nella vita dei nostri cittadini, un´interferenza con gli affari del nostro Stato».

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boom della fiat in europa: +14% si arresta la caduta delle vendite - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Economia Boom della Fiat in Europa: +14% si arresta la caduta delle vendite Montezemolo: un "piano B" se salta l´affare con Chrysler A marzo la crescita del Lingotto in Germania è stata del 218%. Bene anche Alfa e Lancia Cresce soprattutto la richiesta di vetture ecologiche e di piccole dimensioni SALVATORE TROPEA TORINO - Il mercato europeo dell´auto migliora spinto dagli incentivi e la Fiat fa meglio conquistando il quinto posto nella classifica Acea dei costruttori, il quarto se si considera il trimestre. Dopo le cadute del 27 e del 19% di gennaio e febbraio il 9% in meno dell´Ue27 più Efta autorizza a parlare di ricupero in generale e di successo per la Fiat che, in controtendenza, ha chiuso con un aumento del 14,3% e una quota di mercato del 9,1 poco meno di 2 punti in più dello scorso anno. E´ stata prevalentemente la Germania a spingere nelle vele del Lingotto che in questi giorni è impegnato sul fronte americano in un rush finale per l´alleanza con Chrysler rallentato dalle resistenze di sindacati e banche. E a proposito del quale ieri Luca di Montezemolo, confermando quanto detto da Marchionne sulle probabilità al 50% di concludere, ha aggiunto che in caso di insuccesso Fiat dispone di un "piano B". A tirare la volata di marzo è stata dunque la Germania con un balzo delle immatricolazioni che sfiora il 40%, seguita dalla Francia con un 8% in più e dall´Italia con poco meno dell´1%. E già questo, come osserva il Csp di Bologna, è la testimonianza della ricaduta positiva degli ecoincentivi e della loro diversa efficacia ed entrata in vigore. Restano ancora in una zona incerta o fortemente negativa Regno Unito e Spagna. Nel complesso a livello europeo le immatricolazioni sono state 1 milione 506 mila 249 con una flessione del 9,1(17,2 su base trimestrale). Ci sono rispetto a febbraio oltre 500 mila vetture in più. E c´è soprattutto una sempre crescente richiesta di auto di piccole dimensioni e a doppia alimentazione. Questo spiega i risultati della Fiat che allinea modelli come Panda, Grande Punto, 500 alimentati a Gpl e metano. In quella che è stata la undicesima contrazione consecutiva del mercato il gruppo del Lingotto ha visto crescere tutti i suoi marchi. Il brand Fiat ha immatricolato 108 mila 600 vetture con un incremento del 13,8 in netto miglioramento rispetto al 6,1 di febbraio (in Germania la crescita in termini di volumi è stata del 218%); con 11 mila immatricolazioni la Lancia è salita dello 0,8 in volumi e del 4,3 di quota; un balzo delle vendite del 41,2% per il brand Alfa Romeo con 10 mila 900 vetture immatricolate e una quota di mercato salita dallo 0,3 sale allo 0,8 (257,3% in più in Germania, 85,4 in Francia, 35 in Italia, 8,2 nel Regno Unito). Se si calcola che il mercato tedesco vale il 40% in più di quello italiano si capisce l´effetto degli incentivi che in questo paese sono stati cinque volte superiori a quelli italiani. Come ha commentato Montezemolo gli incentivi hanno movimentato il mercato e «la Fiat ne ha approfittato disponendo di modelli competitivi e a basso impatto ecologico». Un dato questo che trova conferma nei risultati delle altre case tutte in negativo tranne un 1,8% di aumento per Vw (effetto Skoda). Con questi risultati alle spalle il Lingotto può affrontare con più tranquillità le manovre tra Washington e Detroit dove Marchionne tornerà lunedì per rivedere i sindacati e convincerli ad accettare quelle che per lui sono le condizioni per un accordo con Chrysler. A Fiat e ai sindacati, scrive tra l´altro Automotive news, potrebbero andare le quote maggiori di Chrysler se la casa automobilistica riuscirà a ottenere le concessioni richieste dall´amministrazione Obama . Le quote degli attuali azionisti di Chrysler, Cerberus e Daimler, sarebbero infatti azzerate nell´ambito della ristrutturazione finanziaria. Se l´intesa non dovesse arrivare il Lingotto metterà in atto quel "Piano B" di cui parla Montezemolo e che l´ad della Fiat non ha mai abbandonato in questi mesi.

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ferrovie usa, 8 miliardi per l'alta velocità - luca iezzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 29 - Economia Ferrovie Usa, 8 miliardi per l´Alta velocità Piano straordinario voluto dal presidente. E Trenitalia bussa al mercato francese LUCA IEZZI ROMA - Gli Usa vogliono importare il modello europeo dei treni ad alta velocità e stanziano 8 miliardi di dollari (6 miliardi di euro) per i primi investimenti. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama ha annunciato ieri la volontà di colmare il ritardo in questo settore nei confronti di paesi europei come Francia e Spagna, orientali come Cina e Giappone. Solo un inizio che per ora vede tra gli itinerari da realizzare il collegamento San Francisco-San Diego in California e quello della costa est, dal New England alla Florida. Per Obama «è solo un primo passo sulla via di un trasporto intelligente che risponda ai bisogni del ventunesimo secolo». Il ritorno agli investimenti sui binari ha anche un valore simbolico: il presidente ha usato il treno per il suo primo viaggio verso Washington al momento dell´insediamento, quasi a segnare la fine del XX secolo in cui la politica dei trasporti ha spinto su automobili e aerei. Le ferrovie sono state protagoniste invece nell´800 della prima rivoluzione industriale americana e simbolo della "conquista del West". L´Europa invece pensa al passo successivo: la concorrenza tra i vecchi monopoli nazionali e così Trenitalia prova a sbarcare in Francia. Secondo le indiscrezioni del quotidiano Les Echos la società ferroviaria italiana è una delle due ad aver presentato la richiesta per operare su alcune tratte internazionali, a cominciare dalla Milano-Parigi, in vista della liberalizzazione del traffico ferroviario internazionale stabilita dalle autorità francesi a partire dal prossimo 13 dicembre. La società guidata da Mauro Moretti non conferma ma non ha mai nascosto di voler crescere in Europa. Inoltre Trenitalia, insieme alla tedesca Deutsche bahn, utilizza treni compatibili con il sistema transalpino. «Questo non significa necessariamente che i viaggiatori francesi potranno prendere dei Tgv italiani sin dal 2010», spiega les Echos riferendosi al fatto che prima di dare le autorizzazioni l´autorità pubblica che gestisce la rete (Rff) dovrà verificare requisiti giuridici e tecnici della domanda. «Al momento non ci è stata sottoposta nessuna domanda per un certificato di sicurezza nel campo del trasporto passeggeri», ha specificato il direttore dell´ente per la sicurezza ferroviaria. Primi segnali che lasciano intuire che la liberalizzazione in Francia procederà tra mille ostacoli, come è già successo per l´energia e il trasporto aereo, nonostante l´apertura sia imposta da Bruxelles e nonostante le ferrovie transalpine (Sncf) siano pronte ad entrare nella Tav italiana attraverso la partecipazione in Ntv.

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Sarkozy e le frasi sui leader mondiali La notizia sui giornali internazionali (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 17-04-2009)

Argomenti: Obama

ROMA «Barack Obama manca di esperienza, José Luis Zapatero non è forse molto intelligente e José Manuale Barroso brilla soprattutto per la sua assenza». Riportate dal quotidiano francese "Liberation", le spietate considerazioni di Nicolas Sarkozy sui suoi colleghi hanno già fatto il giro della stampa internazionale. Nonostante l’ Eliseo abbia però smentito «formalmente» le frasi incriminate, il quotidiano della sinistra francese le virgoletta attribuendole al capo dello Stato e ribadendo che provengono da «numerose fonti». Lo si conosceva "spaccone", "iperattivo" e "familiare", ma, questa volta, Nicolas Sarkozy "si è superato", nota il quotidiano britannico “The Guardian”. Nello spazio di una colazione, "il presidente francese è riuscito a ridicolizzare Barack Obama, trattare Angela Merkel con sufficienza ed insultare il primo ministro spagnolo. Si salvano solo i successi elettorali di Silvio Berlusconi". Il “New York Time” taglia corto e si limita ad un'esposizione acerba delle pretese francesi. "Nel mondo di Sarkò, il presidente Obama è debole, inesperto e malinformato sul cambiamento climatico. È la fine della corta luna di miele franco-americana", ironizza invece il "Times". Sul versante spagnolo la polemica è però divampata rapidamente. Secondo quanto scrive "El Pais", le smentite dell’Eliseo non sono state convincenti. In molti hanno espresso solidarietà al primo ministro socialista. Lo stesso segretario della comunicazione del PP (Partito popolare di destra), Esteban González Pons, si è detto imbarazzato: "Non mi rallegro affatto di queste dichiarazioni, anche se talvolta possono essere sensate. Zapatero è il nostro capo di stato, se viene attaccato, noi lo dobbiamo difendere".

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Gian Enrico Rusconi (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

LE IDEE Gian Enrico Rusconi Siete cagne dell'Occidente». Non dimentichiamo questo insulto rivolto alle giovani donne afghane. Protestavano contro un articolo della legge sul diritto di famiglia, da esse giustamente considerato una forma di legalizzazione dello stupro. Non declassiamo questo episodio a un deplorevole caso isolato di intolleranza, tra i giochi di potere del governo di Kabul in difficoltà e l'ottuso fanatismo religioso. È un segnale molto serio su come vada ripensata la presenza occidentale nelle aree di cultura islamica. Non basta più lo schermo ufficiale della lotta al terrorismo. Si tratta di ben altro. Non facciamo neppure gli ingenui, le anime belle convinte che basta rimanere imperterriti in Afghanistan - come rappresentati dell'Occidente - per promuovere, insieme con tutti i Grandi Valori Umanitari, anche e innanzitutto la dignità della donna. È una partita difficilissima. Siamo culturalmente disarmati, proprio nel momento in cui schieriamo migliaia di soldati in tenuta da combattimento che ogni sera vengono esibiti in televisione come guerrieri della civiltà contro il terrorismo. Soldati che erano stati mandati laggiù anche per togliere il burqa alle donne afghane, si diceva zelantemente da noi. Il risultato è sotto i nostri occhi. Naturalmente in Afghanistan ci sono anche medici, insegnanti, organizzazioni non governative, volontari di ogni tipologia e nazionalità. Ma - tragico paradosso - è proprio questo Occidente che, agli occhi di alcuni influenti gruppi religiosi e delle loro donne, rappresenta un pericolo per la cultura e per l'identità islamica. Non a motivo della loro attività professionale e di tecnici, ma per la loro tacita testimonianza. Esprimono una «cultura occidentale» assai più insidiosa dei caschi militari della Nato. I soldati prima o poi se ne andranno. Ma ci sono raggruppamenti politici e culturali (che semplicisticamente continuiamo a chiamare «fondamentalisti») che stanno ponendo le premesse per cacciare idealmente - se non fisicamente - l'altro Occidente, quello culturale; per neutralizzarlo come autentico partner di dialogo. È uno scenario di «scontro delle civiltà» che viene retoricamente scongiurato e negato da tutti, semplicemente perché è «raffreddato». Ma non si tratta di una replica della classica Guerra Fredda alla cui conclusione è nata l'attesa che il mondo fosse finalmente più libero, liberato, liberista e liberale. Il mondo invece è diventato più cattivo, le identità collettive (popoli, nazioni, gruppi sociali) si sono trasformate in ossessioni autoreferenziali, i propri valori sono dichiarati non negoziabili, cioè indifferenti alle conseguenze che ricadono su chi non li condivide. In questo contesto un ruolo decisivo è giocato dalle religioni, che si presentano come visioni della vita vincolanti e totalizzanti. Lo è in modo particolare l'Islam, che pure è un universo religioso e culturale molto differenziato e complicato al suo interno. Ma, a ben vedere, non esiste neppure un «Occidente» come entità compatta e coerente così come viene presentata dai suoi nemici e detrattori. A questo proposito vorrei mettere a fuoco un punto essenziale. L'ostilità verso l'Occidente non riguarda la sua tecnologia e le sue prestazioni materiali ed economiche, che al contrario vengono apprezzate, acquistate, imitate, metabolizzate. Basti pensare all'Iran di questi giorni, che identifica l'orgoglio islamico con il suo controllo della tecnologia nucleare. Come se questa tecnologia non fosse l'estremo prodotto di quella razionalità occidentale che viene sistematicamente denigrata dai religiosi al potere. L'accettazione, anzi l'interiorizzazione del valore della tecnologia da parte del mondo islamico è totalmente slegata dalla storia della scienza occidentale che la precede, la spiega, la motiva. Non solo la tecnologia è scissa dalla ragione scientifica che l'ha prodotta, ma questa stessa razionalità scientifica è scissa dalla ragione occidentale nel suo insieme. La ragione occidentale non si riduce affatto allo scientismo. È razionalità e ragione occidentale anche quella che enuncia i diritti, in particolare della donna - per rimanere in tema. L'insulto «cagne dell'Occidente» è una volgare ma significativa distorsione dell'idea dell'Occidente e della sua razionalità, distorsione che in modo più sofisticato è condivisa da molti intellettuali islamici. Discutere con loro, per farsi capire e per capire; instaurare un autentico scambio reciproco di argomenti e di ragioni è un lavoro ancora da fare in profondità. Mi chiedo se siamo davvero pronti. Nell'area della cultura islamica c'è la Turchia, un Paese che è agli antipodi dell'Afghanistan e ha ben poco in comune con l'Iran. A parte gli stretti rapporti storici con l'Europa, la Turchia ha avuto un'esperienza del tutto particolare, grazie all'energica modernizzazione, occidentalizzazione e secolarizzazione imposta dal regime kemalista sino dagli Anni 20. Ma negli ultimi decenni anche in Turchia si è assistito a un inatteso revival dell'Islam tradizionale che ha modificato il quadro delle forze politiche e rimesso in discussione alcune acquisizioni cosiddette «laiche» (come l'abolizione del velo nell'ambito pubblico). In realtà quello che accade in Turchia oggi non è molto dissimile da quello che si verifica in Italia: le istanze religiose rivendicano il diritto di influire e regolamentare - quando si offre l'occasione - l'etica pubblica e i codici della vita privata dei cittadini. Naturalmente affidandosi al Corano. Da anni nell'agenda europea c'è la questione dell'ingresso della Turchia nell'Ue. È riemersa settimane or sono in occasione del viaggio di Barack Obama in Europa. L'opinione pubblica ha preso atto della netta divergenza di prospettiva tra il presidente americano, favorevole alla sollecita accoglienza della Turchia nell'Ue, e l'opposizione di Francia e Germania. Il tema non è stato ulteriormente approfondito, anche perché sono in gioco aspetti di natura molto diversa. È evidente che la preoccupazione americana è per la stabilità strategica ai confini orientali dell'Europa. Gli europei invece (quelli che contano) sono sensibili ad altri aspetti: il troppo lento e incerto processo di democratizzazione delle strutture giuridiche, frenate ora anche dal revival islamico, e la difficile e irrisolta questione curda. In questo contesto il presidente del Consiglio italiano si è inserito con una proposta che a suo avviso sarebbe di mediazione. Avendo sott'occhio la crisi nel mercato del lavoro, suggerisce che l'entrata della Turchia nell'Ue sia accompagnata da una provvisoria regolamentazione che rallenti la forza lavoro turca nel mercato europeo. Per quanto sensata, questa proposta (di natura sociale ed economica) elude i punti-chiave che sono di altra natura, come si è detto: l'energica prosecuzione dei processi di democratizzazione, con il contenimento di una possibile islamizzazione del Paese, e la soluzione del problema curdo. Si tratta insomma di questioni di carattere politico e culturale in senso forte, che rilanciano i temi di fondo enunciati sopra. Non c'è dubbio che affrontarli insieme con un Paese e una cultura aperti all'Occidente, come la Turchia, sarebbe un decisivo contributo alla loro chiarificazione. CONTINUA A PAGINA 35

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[FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Fame, insetti e annegamenti simulati. Questi e molti altri ... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]FRANCESCO SEMPRINI NEW YORK Fame, insetti e annegamenti simulati. Questi e molti altri sono gli strumenti utilizzati dalla Cia per ottenere informazioni da presunti terroristi affiliati ad al Qaeda e dai nemici combattenti degli Stati Uniti. I particolari degli interrogatori al limite della tortura sono stati resi pubblici con la divulgazione di quattro memo che portano in calce la firma dei funzionari del governo di George W. Bush. Una decisione voluta da Barack Obama ma che lo ha spinto sotto il fuoco incrociato di destra e sinistra. Sono una decina le tecniche approvate nei memo, il primo dei quali risale all'agosto del 2002 ed è siglato dal vice ministro della giustizia Jay Baybee, con l'obiettivo di «terrorizzare» il detenuto, come spiega una nota a piè di pagina. In quel caso il documento si riferiva ad Abu Zubaydah, affiliato di al Qaeda per il quale la Cia puntava in particolare sulla pratica numero nove, ovvero infilarlo in una scatola liberando al suo interno uno o più insetti. «Innocui», dice il memo, ma Zubaydah che «ha una forte paura degli insetti», non doveva saperlo. Da allora gli ordini si sono ripetuti altre tre volte, l'ultima delle quali reca la data del 10 maggio 2005 e la firma di Steven G. Bradbury, capo dell'ufficio di consulenza legale della Giustizia, ma le tecniche sono le stesse. Per causare «sconforto psicologico nel terrorista», si poteva denudarlo oppure usare la manipolazione dietetica sostituendo i cibi solidi con alimenti liquidi. C'erano poi il Walling, ovvero lo sbattere il prigioniero contro un muro simulando una sorta di scossa sismica, gli schiaffi in faccia con le dita della mano leggermente divaricate, da alternare agli schiaffi addominali, usando il dorso della mano sulla pancia. Il Wall Standing era una delle tecniche più raffinate dal punto di vista psico-fisico: si forzava il detenuto a stare in piedi con i piedi allargati, le braccia stese, le dita posate su un muro, senza permettergli di muoversi fino a quando cede o il fisico o i nervi. C'erano poi la privazione del sonno e il Water Dousing, ovvero getti di aria fredda sul corpo. Un posto particolare infine lo occupava il Waterboarding - acqua sul volto coperto da un panno sul detenuto che veniva steso sulla schiena con la testa in basso - la tecnica più famigerata e più usata per la sua efficacia. Il «panico da annegamento», secondo il memorandum non infliggeva gravi dolori, sofferenze o danni fisici, ma «funzionava bene». Sono almeno quattordici i prigionieri sui quali sono state sperimentate queste tecniche, singolarmente o combinate, perché considerati più pericolosi e in possesso di informazioni cruciali. Obama tuttavia conferma l'immunità agli agenti della Cia, ma solo se non sono andati oltre le disposizioni previste nei memo. «Sei come Bush», è l'accusa che le associazioni liberal rivolgono al presidente considerato per questo un «complice» dei torturatori. Ma a far fuoco su Obama sono anche gli ex funzionari del governo repubblicano come l'ex capo della Cia, Michael Hayden, e l'ex segretario alla Giustizia, Michael Mukasey, che lo accusano di «aiutare i terroristi facendo conoscere le nostre tecniche» e «di creare un clima di sfiducia istituzionale simile a quello che indebolì l'intelligence prima dell'11 settembre».

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[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA A meno di cambiamenti dell'ultima ora nella bozza di risoluz... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]EMANUELE NOVAZIO ROMA A meno di cambiamenti dell'ultima ora nella bozza di risoluzione finale, sulla quale il comitato preparatorio ha trovato un'intesa ieri sera, l'Italia continuerà a boicottare la Conferenza Onu sul razzismo che si aprirà lunedì a Ginevra, la cosiddetta «Durban 2». Le condizioni per una nostra presenza «ancora non ci sono» - conferma Franco Frattini - nonostante i cambiamenti intervenuti grazie alla mediazione russa dopo un duro intervento italiano, il mese scorso. Secondo il ministro degli Esteri la bozza contiene troppi riferimenti al documento conclusivo di «Durban 1», la Conferenza svoltasi nella città sudafricana nel 2001: in particolare, Roma denuncia la presenza di «inaccettabili» elementi antisemiti e razzisti nella parte che riguarda l'Olocausto, la mancanza di «garanzie significative» alla libertà di espressione, e lo spazio all'incitamento all'odio interrazziale e religioso. Anche se - precisa Frattini - «siamo impegnati con i colleghi europei fino all'ultima ora», l'Italia mantiene dunque «un atteggiamento di disimpegno anche dal negoziato». Come Stati Uniti, Canada e Israele. A Roma si teme inoltre «il clima della Conferenza». In particolare, confidano fonti diplomatiche, «preoccupa» l'annunciata partecipazione di Ahmadinejad: il presidente iraniano potrebbe approfittare della tribuna Onu per lanciare nuovi proclami antisemiti e anti-israeliani. Secondo indiscrezioni non smentite da Berlino, anche la Germania non sarà presente. Forti dubbi hanno Gran Bretagna, Olanda e Danimarca, mentre le posizioni di Spagna e Francia sono più possibiliste. Parigi, in particolare, ieri sembrava orientata a un sì: «L'ho sempre pensato: partecipiamo per batterci in favore dei nostri valori, per difendere la lotta al razzismo, l'uguaglianza fra uomo e donna, contro le discriminazioni», ha dichiarato il segretario di Stato per i diritti umani Rama Yade. Finora, soltanto 40 Paesi su oltre 160 hanno confermato la loro presenza alla Conferenza, che si chiuderà il 24. Secondo un portavoce del Dipartimento di Stato americano, tuttavia, gli Stati Uniti potrebbero rivedere la propria posizione se i «timori restanti fossero cancellati» e ci si accordasse su un «testo sostenibile»: secondo il Washington Post, Obama deciderà solo all'ultimo momento. Altre fonti americane sottolineano l'importante operazione di lobby di numerose Ong, secondo le quali «gli Usa devono unirsi alla lotta globale contro il razzismo, una battaglia che l'amministrazione Bush ha abbandonato». Ieri l'Alto commissario Onu per i diritti umani, Navanethem Pillay, ha lanciato un appello ai Paesi membri perchè «superino le divergenze e trovino un consenso». Anche il Consiglio d'Europa ha invitato a un «approccio costruttivo» in nome della lotta al razzismo, alla xenofobia e all'intolleranza. Ma l'incertezza durerà fino all'ultimo.

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L'inefficienza pesa tra il 3% e il 7,5% del prodotto interno lordo (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

L'inefficienza pesa tra il 3% e il 7,5% del prodotto interno lordo [FIRMA]ROBERTO GIOVANNINI ROMA Tutti sappiamo quanto sia seccante vedere i «figli di» farsi strada nella vita e nel lavoro. Sappiamo anche che nonostante i fiumi di parole e di inchiostro sprecati per esaltare la meritocrazia e condannare il nepotismo, alla fine troppe volte quelli bravi ma sconosciuti arriveranno sempre dopo i portatori sani di un cognome eccellente. Del «costo del non merito» si è parlato ieri a un convegno organizzato dalla Luiss, l'università privata di Confindustria, dall'impegnativo titolo «Creare classe dirigente». Un costo che all'interno del Rapporto 2009 - anche se probabilmente molti economisti arricceranno il naso - si prova persino a quantificare in termini macroeconomici: secondo lo studio realizzato dall'Associazione Management Club (Amc), il «non merito» costa tra il 3% e il 7,5% del prodotto interno lordo. A questo risultato i ricercatori dell'Amc ci arrivano considerando le inefficienze presenti nel mondo dell'istruzione secondaria e universitaria e nella ricerca, e quindi assimilando il merito alla qualità degli esiti conseguiti in questi comparti. Prendendo per buono questo metodo di stimare l'impatto economico del «non merito», a leggere il Rapporto 2009 si può anche calcolare l'effetto sulla ricchezza dei singoli di questo malcostume: lo 0,43% del Pil pro-capite, ovvero 2.300 euro a testa in dieci anni di minor reddito personale. Che si voglia credere a questi numeri o meno, poco conta: in Italia le cose vanno così. E del resto - per fare un esempio eccellente - nessuno realisticamente scommetterebbe un soldo bucato sul ripetersi del fenomeno Barack Obama in Italia. Sconosciuto, nero, umili origini, bravissimo? Sicuramente il Barack di casa nostra verrebbe surclassato nel suo tentativo di guidare la politica italiana da concorrenti dotati di uno splendido cognome o di moltissimi soldi. O da ex-veline. O da ex partecipanti al Grande Fratello, chissà. L'esempio degli Stati Uniti e della grandiosa mobilità sociale che ha portato alla Casa Bianca Obama è stato ricordato anche da Luca Cordero di Montezemolo, che in qualità di presidente della Luiss ha concluso ieri il confronto al Parco della Musica a Roma. «Non voglio parlare della politica perché si rischia di cadere in uno sport tutto italiano - ha detto -. In nessun Paese del mondo c'è una politica così dibattuta e così parlata. Vedo un continuo proliferare dell'invadenza della politica», ha aggiunto. E così le nomine per molti posti di responsabilità rischiano di diventare «una discarica per politici trombati». Tra l'altro, se si vuole uscire con qualche speranza dalla crisi economica che ci attanaglia, ognuno «deve fare bene il proprio mestiere ed essere giudicato per quello che fa e come lo fa». Insomma, bisogna puntare sul merito e le capacità personali, come ha fatto la Fiat - ha spiegato il presidente del gruppo automobilistico - affidando il ruolo di amministratore delegato a Sergio Marchionne: «Non è certamente stato scelto perché era figlio di qualcuno o della zia di qualcuno».

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[FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK La Crain Communications di Detroit, che con 1.000 dipendenti e re... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK La Crain Communications di Detroit, che con 1.000 dipendenti e redazioni in 18 città nel mondo pubblica tra le tante riviste del suo portafoglio anche Automotive News, è leader negli Usa della stampa settoriale. Ora l'auto, tema paradossalmente caldissimo perché tante aziende sono in travagli prefallimentari, sbatte gli scoops di Automotive News in prima pagina. Fondato nel 1925, con 50 firme nel mondo (Luca Ciferri scrive dall'Italia), il settimanale tabloid ha una circolazione pagata di 75mila copie. L'amministratore delegato della casa editrice è Keith Crain, figlio di chi la fondò nel 1916. Dal 1971, quando aveva quattro titoli, la società è cresciuta fino alle 32 riviste attuali ed è rimasta proprietà di famiglia (il fratello Rance ne è presidente). Crain è anche direttore di Automotive e scrive commenti regolari sull'auto e su Detroit. In febbraio, nella sede della Crain a poche centinaia di metri da quella della GM, l'editore-direttore ha visto Sergio Marchionne: nei tre giorni del fine settimana passato in Michigan per studiare la fattibilità dell'operazione Chrysler, l'Ad della Fiat, che ancora non aveva avuto il placet pubblico di Obama, aveva trovato il tempo per un incontro con il guru di Detroit. Il quale gli dispensò questo consiglio: «L'unico modo per vendere l'affare Fiat-Chrysler e ottenere altri miliardi di dollari di prestiti è buttarla in politica, enfatizzando che si tratta di salvare 50 mila posti di lavoro americani». La dedizione nel seguire da vicino il settore dell'auto - prodotti, linee, strategie, management - ha dato nei decenni credibilità e contatti ad Automotive. E la linea editoriale-commerciale sta permettendo all'editore di stare a galla malgrado Internet. L'abbonamento costa 155 dollari all'anno.

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Lo zar dell'auto indagato per tangenti (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Lo zar dell'auto indagato per tangenti Ombre sinistre incombono sullo zar dell'auto. Steven Rattner, il capo della task force designato a supervisionare la ristrutturazione delle case automobilistiche americane, rischia di essere coinvolto in un giro di tangenti legate alla gestione del fondo pensione pubblico dello Stato di New York. A rivelarlo è il Wall Street Journal precisando che sulla vicenda è in corso da due anni un'indagine della procura dello Stato, e una parallela della Securities and Exchange Commission (la Consob Usa). Secondo il dossier in mano alla Sec, nel 2004 un «alto dirigente» di Quadrangle Group, la società di investimenti fondata da Rattner, avrebbe incontrato un consulente con legami molto stretti nel mondo della politica - il cui nome potrebbe rispondere a quello di Hank Morris - con l'obiettivo di entrare in alcuni affari allettanti. Poco più tardi la società avrebbe ricevuto un investimento dal fondo pensione dello Stato di New York, pagando in contropartita una commissione da 1,1 milioni di dollari. Secondo la Sec l'alto dirigente risponderebbe al nome di Rattner che alcuni mesi fa ha lasciato Quadrangle per entrare nello staff del governo in veste di zar dell'auto. Né Rattner né la società da lui fondata sono stati formalmente incriminati, mentre un portavoce del Tesoro spiega che era stato lo stesso dirigente «a informare del procedimento in corso l'esecutivo durante la transizione verso il dipartimento». La vicenda rientra in un più ampio filone di inchiesta aperto due anni fa dalla procura di New York, e attualmente gestito dal suo capo Andrew Cuomo, che indaga su una serie di società, almeno venti secondo gli inquirenti, sospettate di aver pagato tangenti per ricevere in gestione tranche del New York State Common Retirement Fund, il super fondo pubblico del valore di 122 miliardi di dollari. Nel mirino della Giustizia ci sono Carlyle, Odyssey Investment Partners, oltre a Quadrangle, e l'obiettivo è capire se le società fossero a conoscenza o meno sulla irregolarità delle somme pagate. Nel caso di Quadrangle, oltre alla concussione ci sarebbe un'altra ipotesi di reato: l'alto dirigente in questione si incontrò sempre nel 2004 con il fratello di un funzionario dello Stato di New York, David Loglisci, per un ulteriore accordo a margine, ovvero l'acquisizione dei diritti di distribuzione sul dvd del film «Chooch», prodotto dai fratelli Loglisci. Attraverso la GT Brands, Quadrangle acquisì i diritti per 88.841 dollari e tre settimane dopo la società ottenne in gestione una fetta da cento milioni del fondo pensionistico, pagando poco più tardi la «commissione» da 1,1 milioni di dollari alla Searle, una società vicina a Morris nelle tasche del quale fra l'altro finì il 95% della somma sborsata dal fondo di investimento. Hank Morris era il principale consigliere politico e il responsabile per la raccolta fondi di Alan Hevesi, capo revisore dei conti dello Stato di New York. Il vice di Hevesi era David Loglisci, il quale, secondo i documenti della sec, architettava questo genere di affari in accordo con Morris sfruttando la loro posizione privilegiati di funzionari pubblici. A cadere nella rete dei due corrotti sarebbero state anche altre società coinvolte non solo nelle «commissioni sospette», ma anche nell'affare «Chooch»: Riverstone Holdings ad esempio, oltre ad aver versato denaro a Searle tramite una joint-venture con Carlyle, ha contribuito ai diritti del dvd con una somma di 100 mila dollari. Sia Loglisci che Morris sono stati arrestati e incriminati con 123 capi di imputazione che vanno dal riciclaggio alla corruzione. Per Rattner, 56enne ex reporter del New York Times convertito alla finanza prima e alla politica dopo, il rischio dello scandalo pesa molto, specie per il suo ruolo nel processo di riordino del comparto auto per cui è stato chiamato direttamente da Barack Obama.

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Ombre sinistre incombono sullo zar dell'auto. Steven Rattner, il capo della task force designat... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Ombre sinistre incombono sullo zar dell'auto. Steven Rattner, il capo della task force designato a supervisionare la ristrutturazione delle case automobilistiche americane, rischia di essere coinvolto in un giro di tangenti legate alla gestione del fondo pensione pubblico dello Stato di New York. A rivelarlo è il Wall Street Journal precisando che sulla vicenda è in corso da due anni un'indagine della procura dello Stato, e una parallela della Securities and Exchange Commission (la Consob Usa). Secondo il dossier in mano alla Sec, nel 2004 un «alto dirigente» di Quadrangle Group, la società di investimenti fondata da Rattner, avrebbe incontrato un consulente con legami molto stretti nel mondo della politica - il cui nome potrebbe rispondere a quello di Hank Morris - con l'obiettivo di entrare in alcuni affari allettanti. Poco più tardi la società avrebbe ricevuto un investimento dal fondo pensione dello Stato di New York, pagando in contropartita una commissione da 1,1 milioni di dollari. Secondo la Sec l'alto dirigente risponderebbe al nome di Rattner che alcuni mesi fa ha lasciato Quadrangle per entrare nello staff del governo in veste di zar dell'auto. Né Rattner né la società da lui fondata sono stati formalmente incriminati, mentre un portavoce del Tesoro spiega che era stato lo stesso dirigente «a informare del procedimento in corso l'esecutivo durante la transizione verso il dipartimento». La vicenda rientra in un più ampio filone di inchiesta aperto due anni fa dalla procura di New York, e attualmente gestito dal suo capo Andrew Cuomo, che indaga su una serie di società, almeno venti secondo gli inquirenti, sospettate di aver pagato tangenti per ricevere in gestione tranche del New York State Common Retirement Fund, il super fondo pubblico del valore di 122 miliardi di dollari. Nel mirino della Giustizia ci sono Carlyle, Odyssey Investment Partners, oltre a Quadrangle, e l'obiettivo è capire se le società fossero a conoscenza o meno sulla irregolarità delle somme pagate. Nel caso di Quadrangle, oltre alla concussione ci sarebbe un'altra ipotesi di reato: l'alto dirigente in questione si incontrò sempre nel 2004 con il fratello di un funzionario dello Stato di New York, David Loglisci, per un ulteriore accordo a margine, ovvero l'acquisizione dei diritti di distribuzione sul dvd del film «Chooch», prodotto dai fratelli Loglisci. Attraverso la GT Brands, Quadrangle acquisì i diritti per 88.841 dollari e tre settimane dopo la società ottenne in gestione una fetta da cento milioni del fondo pensionistico, pagando poco più tardi la «commissione» da 1,1 milioni di dollari alla Searle, una società vicina a Morris nelle tasche del quale fra l'altro finì il 95% della somma sborsata dal fondo di investimento. Hank Morris era il principale consigliere politico e il responsabile per la raccolta fondi di Alan Hevesi, capo revisore dei conti dello Stato di New York. Il vice di Hevesi era David Loglisci, il quale, secondo i documenti della sec, architettava questo genere di affari in accordo con Morris sfruttando la loro posizione privilegiati di funzionari pubblici. A cadere nella rete dei due corrotti sarebbero state anche altre società coinvolte non solo nelle «commissioni sospette», ma anche nell'affare «Chooch»: Riverstone Holdings ad esempio, oltre ad aver versato denaro a Searle tramite una joint-venture con Carlyle, ha contribuito ai diritti del dvd con una somma di 100 mila dollari. Sia Loglisci che Morris sono stati arrestati e incriminati con 123 capi di imputazione che vanno dal riciclaggio alla corruzione. Per Rattner, 56enne ex reporter del New York Times convertito alla finanza prima e alla politica dopo, il rischio dello scandalo pesa molto, specie per il suo ruolo nel processo di riordino del comparto auto per cui è stato chiamato direttamente da Barack Obama.

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Una Rete per bloccare l'avversario (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

PROVINCIALI IL PDL SCALDA I MOTORI Una Rete per bloccare l'avversario [FIRMA]ALESSANDRO MONDO Se siete internauti scafati e propendete per il Pdl, la campagna elettorale di Claudia Porchietto, sfidante di Antonio Saitta alle prossime elezioni, vi permetterà di sbizzarrirvi con i più sofisticati canali informatici. Chi non ha familiarità con il «web», non ha mai pensato di iscriversi a «Facebook» e pensa che «Ning» abbia a che fare con la filosofia Zen, può solo augurarsi che per sostenere la sua beniamina gli mettano a disposizione un numero di telefono. Ovviamente è previsto anche quello. Ma par di capire che la novità più rilevante della campagna elettorale di Porchietto, illustrata in presenza di Enzo Ghigo e Agostino Ghiglia, sia il ricorso massiccio della Rete. «Stile Obama», si spingono a sostenere i collaboratori più entusiasti. «Progetto web 2.0»: cioè il Web applicato alla politica, lo strumento-cardine per interagire in tempo reale con la fascia più giovane e dinamica del potenziale elettorato. Ieri si è appreso che Porchietto ha aperto tramite il suo sito - www.claudiaporchietto.it - diversi canali per favorire la discussione sulla politica e sulla gestione della Provincia: tre social network - Facebook, Blog e Ning -, due piattaforme video e immagini - Flickr e YouTube -, più un quarto social network internazionale (Linkedin). Obiettivo: scambiare pensieri, opinioni e lanciare sondaggi «per avvicinare le persone alla politica» e scoprire «giovani talenti» attraverso un «porta a porta digitale» con i cittadini. Che a loro volta, tramite il sito, possono segnalare i vari problemi sul loro territorio. Il «Web» è solo il primo capitolo di una strategia che dovrà necessariamente studiare forme di comunicazione più tradizionali per intercettare la maggioranza degli elettori. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, si prospettano due campagne elettorali lontane anni-luce. Da una parte la tattica tradizionale prescelta da Saitta, che da mesi batte il territorio stringendo mani, incontrando gli amministratori e inaugurando infrastrutture. Il Pdl, furibondo per la distribuzione della mappa della provincia con i risultati del bilancio di mandato, lo accusa di farsi bello con i soldi dei contribuenti. Ghigo sente puzza di bruciato anche nella visita del presidente Napolitano a Palazzo Cisterna: l'appuntamento è previsto martedì, il giorno che precederà l'inaugurazione di «Biennale Democrazia». Dall'altra la tattica di Porchietto, per il momento tarata su un «target» diverso: certamente innovativo e per molti versi da esplorare. A giugno sapremo quale delle due carte ha pagato di più: il Web o le rotonde?

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Raul: pronti a parlare con Obama (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

CUBA-USA 60 anni di tensioni PROVE DI DIALOGO Chavez spiazzato Il venezuelano si preparava a uno show sui cubani discriminati, ma ora appare isolato Raul: pronti a parlare con Obama Il presidente Usa al vertice delle Americhe: «Con Castro cerco un nuovo inizio» Nei giorni scorsi Washington aveva allentato le restrizioni per i viaggi nell'isola [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Inizia il dialogo fra Barack Obama e Raul Castro. Il fratello di Fidel è l'unico capo di governo latino-americano a non essere presente a Trinidad e Tobago per il summit delle Americhe - l'Avana fu espulsa 1962 per timore del contagio comunista - ma i lavori si svolgono nel segno di uno scambio di aperture senza precedenti fra Stati Uniti e Cuba. Tutto è iniziato giovedì quando Obama, da Città del Messico, ha detto che toccava a Cuba «fare la prossima mossa» dopo l'apertura decisa dalla Casa Bianca concedendo agli esuli di viaggiare e spedire denaro nell'isola. Passate poche ore, Raul Castro ha replicato da Caracas, dove aveva appena incontrato Hugo Chavez. «Abbiamo detto al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che siamo pronti a discutere, ovunque desiderino, di tutto, di diritti umani, libertà di stampa, prigionieri politici, tutto ciò che vogliono affrontare» sono state le parole del leader cubano che il team della Casa Bianca ha esaminato fino a ieri mattina, per affidare poi la replica a Hillary Clinton. «Le parole di Raul Castro sono benvenute, rappresentano un'apertura, le consideriamo seriamente e stiamo esaminando come procedere» ha fatto sapere il Segretario di Stato dalla Repubblica Dominicana prima di partire per Port of Spain, dove il vertice delle Americhe ha accolto Obama nel segno di una schiarita politica attesa da quasi mezzo secolo. All'arrivo al summit Barack ha detto di «cercare un nuovo inizio con Cuba» e di essere pronto a «compiere dei passi decisivi da subito» affermando comunque di essere consapevole che servirà «un lungo percorso per lasciarsi alle spalle decenni di sfiducia». Dietro le parole del presidente si scorge la possibilità di un dialogo diretto a tappe accelerare anche perché, come osserva il portavoce Robert Gibbs, «nelle frasi pronunciate da Raul Castro c'è il riconoscimento di aver commesso degli errori». Per la Casa Bianca il passo di Raul conta doppio perché costituisce il primo risultato concreto delle molteplici aperture politiche fatte da Obama negli ultimi tre mesi ai leader di Paesi considerati avversari degli Stati Uniti. Fra i leader presenti al summit si è innescata quasi una gara a consolidare il dialogo a distanza fra Obama e Castro. Il Segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani, Josè Miguel Insulza, si è detto favorevole a riammettere Cuba preannunciando che lo proporrà alla riunione di maggio dell'Assemblea generale, in programma in Honduras. Il presidente brasiliano Lula si aspetta che Obama «nomini presto un inviato per Cuba» e il collega messicano Felipe Calderon ha ribadito la necessità che «il tema dei prigionieri politici» - che sarebbero almeno duecento - venga affrontato «al più presto fra i due Paesi». L'inatteso sviluppo ha fatto passare in secondo piano i previsti lavori del vertice su difesa del clima e lotta alla recessione e il leader che più ne ha pagato il prezzo è stato il venezuelano Hugo Chavez, apparso spiazzato dal corso degli eventi. Chavez infatti si era preparato a uno show personale imperniato sulla decisione di non firmare la dichiarazione finale del summit «a causa dell'assenza di Cuba dai lavori»: attorno a tale protesta stava coagulando alcuni Paesi a lui vicini - dalla Bolivia al Nicaragua - ma la svolta di Raul Castro sembra averlo colto di sorpresa, privandolo della bandiera della lotta all'embargo americano contro Cuba. Gibbs ha escluso l'ipotesi di un incontro bilaterale fra Obama e Chavez limitandosi a dire che «non è previsto ma potrebbe svolgersi in futuro». Ma Chavez si aspettava molto di più. Resta da vedere se, alla conclusione dei lavori, il Venezuela farà o meno rientrare un dissenso che impedirebbe di varare la dichiarazione finale in ragione della regola dell'unanimità fra i 34 Paesi membri. Embargo sulla rivoluzione Riconosciuto nel 1959 da Washington, il governo di Castro peggiora però le relazioni nazionalizzando aziende americane. Nel 1962 Kennedy ordina l'embargo totale.La Baia dei Porci Nell'aprile 1961 Kennedy ordina il tentativo di rovesciare Castro con lo sbarco di esuli cubani nella Baia dei Porci. I 1400 uomini vengono sconfitti dai cubani (foto).La crisi dei missili Castro accetta di ospitare i missili sovietici con testate nucleari a Cuba, scatenando nell'ottobre 1962 una crisi tra il leader russo Krusciov e Kennedy (foto).Il caso Elian Nel 2000 il piccolo clandestino Elian Gonzalez, ripescato nel mare della Florida, viene rivendicato dall'Avana. Il ragazzino alla fine viene reso al padre cubano (foto).

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raul castro e hillary clinton: sì al dialogo tra usa e cuba (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Raul Castro e Hillary Clinton: sì al dialogo tra Usa e Cuba NEW YORK - «Cuba è pronta a trattare con gli Stati Uniti su tutto». Alla vigilia del vertice delle Americhe Raul Castro apre a Obama. Ricevendo il plauso del segretario di Stato Usa Hillary Clinton, che aggiunge: «La vecchia politica di Washington verso Cuba ha fallito». ALBERTO FLORES D´ARCAIS ALLE PAGINE 16 E 17

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obama sott'accusa per aver perdonato le torture della cia (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina SERVIZI a Pagina 15 La sinistra: no all´amnistia Obama sott´accusa per aver perdonato le torture della Cia SEGUE A PAGINA 15

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provinciali, partenza con scintille - sara strippoli (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina VII - Torino Provinciali, partenza con scintille Ghigo a Saitta: propaganda con i soldi pubblici. La replica: falso Porchietto guarda allo stile Obama tra social network piattaforme video blog e forum SARA STRIPPOLI La candidata presidente Claudia Porchietto prende a prestito l´ Obama style e sceglie la via della politica web.2, il numero uno in caricadella Provincia continua imperterrito a battere il territorio e programmare incontri "reali". Ai direttivi unitari di Cgil, Cisl, Uil convocati per discutere della crisi economica, Antonio Saitta dichiara guerra al governo sul patto di stabilità: «Ci prepariamo alla disobbedienza civile se il governo non adotterà provvedimenti in grado di allentare i vincoli in modo da consentire all´ente di pagare le imprese». Alla presentazione della conferenza stampa della sua candidata il coordinatore regionale del Pdl Enzo Ghigo mostra opuscoli e inserti pubblicitari sul bilancio della Provincia accusando il presidente di avere speso circa due milioni di euro di fondi europei sulla comunicazione per farsi la campagna elettorale: «La vicenda era già stata sottolineata dalle interrogazioni dei consiglieri di minoranza che avevano evidenziato l´inopportunità della scelta in un periodo di crisi. Non hanno mai avuto risposta». Una dichiarazione cui Saitta replica in primo luogo ironizzando sul fatto che sia proprio Ghigo «l´uomo del marketing e della comunicazione, peraltro firmatario della proposta per abolire le province», a presentarsi in veste di moralizzatore. Incalza il presidente in carica:«E poi mi spieghino: il candidato per queste elezioni è Enzo Ghigo o Claudia Porchietto?». Quanto poi alle cifre, Saitta dà le sue e aggiunge che Ghigo e il Pdl (ieri è arrivato anche l´attacco della Lega) fanno una gran confusione. La comunicazione per il bilancio di mandato, prevista dalla legge «tutto compreso (cartina, ricerca, volumetto e inserzioni sui giornali) non è costata più di centomila euro. I fondi europei sono invece stati utilizzati per la comunicazione sui centri per l´impiego inviati a tutti i cittadini, una spesa complessiva che non supera i 15 mila euro». Botta e risposta serrata alla vigilia dell´avvio della campagna elettorale. Claudia Porchietto si prepara lanciando la sua campagna multimediale e presentando il sito www.claudiaporchietto.it dal quale si aprono diversi canali di discussione politica e sulla gestione della Provincia. Tre social netowork, facebook, Blog e Ning, due piattaforme video e immagini, Flikr e YouTube e un quarto network, Linkedin. «C´è molta voglia di partecipazione», dice la candidata snocciolando i risultati ottenuti in pochi giorni. Sul sito anche la caccia di un «talento in rete», una caccia a «belle teste» che possano entrare a far parte del suo staff o anche solo a utilizzare la vetrina per promuoversi. «Se sarò presidente questo sarà il mio modo per tenere un canale informativo sempre aperto con i cittadini», dice. Anche Antonio Saitta avrà il suo sito con alcune novità. «Però - dice con un sorriso divertito - continuerò a privilegiare il rapporto diretto con le persone».

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fondi alle staminali ma niente clonazione (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri La scelta Fondi alle staminali ma niente clonazione Dopo aver annunciato una svolta liberale sulla ricerca sulle cellule staminali, ieri l´amministrazione Obama ha emesso le linee guida su come saranno distribuiti i finanziamenti pubblici. I fondi andranno solo ai laboratori che usano embrioni in eccesso abbandonati nelle cliniche per la fecondazione assistita e non a chi pratica la clonazione.

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"la co2 inquina", svolta verde negli usa - valerio gualerzi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 14 - Esteri "La CO2 inquina", svolta verde negli Usa Il rapporto dell´Epa spiana la strada a regole più severe sulle emissioni Bush aveva sempre usato l´alibi della anidride carbonica come elemento vitale e innocuo VALERIO GUALERZI ERA una decisione attesa, ma non per questo avrà effetti meno eclatanti. L´Epa, l´Agenzia per l´ambiente degli Stati Uniti, ha stabilito ieri che l´anidride carbonica va considerata una sostanza inquinante, «pericolosa per la salute degli esseri umani e il benessere delle generazioni future». Si tratta di un passaggio storico che demolisce uno dei capisaldi attorno ai quali George W. Bush ha costruito la politica «negazionista» seguita sino al gennaio scorso dagli Usa in tema di cambiamenti climatici. In realtà la CO2 non è assolutamente dannosa, essendo uno degli elementi più presenti e necessari in natura. Come si fa infatti a definire nociva una sostanza indispensabile alla crescita di alberi e piante? La si può considerare pericolosa solo se si tiene conto di cosa ci spiegano da anni gli scienziati che si occupano di clima: il riscaldamento globale è una realtà dovuta in buona misura all´eccesso di emissioni di CO2 prodotta dalle attività umane. Per questo motivo, ci hanno spiegato ancora gli studi dei ricercatori raccolti dall´Ipcc, l´organismo dell´Onu che si occupa di cambiamenti climatici, non ridurre quanto prima la quantità di CO2 che industrie, abitazioni e mezzi di trasporto immettono quotidianamente in atmosfera significa mettere il Pianeta a rischio di gravi conseguenze. Ma Bush, legato a doppio filo all´industria del petrolio, questi avvisi li ha sempre voluti ignorare, nascondendosi anche dietro al fatto che non si può vietare l´immissione in atmosfera di qualcosa di innocuo come l´anidride carbonica. La decisione dell´Epa, rinnovata nel suo organigramma con l´insediamento alla Casa Bianca di Barack Obama, con il suo sigillo di scientificità, distrugge ora questo alibi, spianando la strada a regole severe per mettere sotto controllo le emissioni di CO2. Una notizia accolta con entusiasmo dagli ambientalisti americani, che pronosticano un primo giro di vite sugli standard dei consumi automobilistici, accelerando gli obiettivi già fissati dall´amministrazione. Poi sarà la volta probabilmente delle centrali elettriche a carbone. Molti progetti sono fermi infatti in seguito ai ricorsi di associazioni ecologiste e l´intervento dell´Epa dovrebbe rendere più facile una loro vittoria. Ma più in generale la decisione aiuterà Obama a far passare una legge sul controllo delle emissioni con la quale presentarsi a dicembre alla conferenza di Copenaghen per rafforzare e prolungare il Protocollo di Kyoto.

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"i responsabili devono pagare" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri "I responsabili devono pagare" Keith Olberman, commentatore della Msnbc e grande sostenitore di Obama, ha attaccato la decisione di non processare i responsabili delle torture: "Chi è responsabile deve rispondere delle proprie azioni".

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torture, polemiche sul "perdono" di obama (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Esteri Torture, polemiche sul "perdono" di Obama La destra: "Folle pubblicare le carte di Bush". E da sinistra: "No all´amnistia" Il capo della Cia, Leon Panetta, aveva cercato di dissuadere il presidente DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK - Critiche da destra e da sinistra, il plauso (con qualche distinguo) dei media, la richiesta di una commissione d´inchiesta del Senato. La decisione di Barack Obama di pubblicare i memo sulle "tecniche di tortura" usate dall´Intelligence Usa nella guerra al terrorismo e la scelta di garantire l´immunità agli agenti della Cia coinvolti negli interrogatori, ha provocato una pioggia di reazioni. Il nuovo capo della Cia Leon Panetta si era opposto fino all´ultimo alla decisione, e contro la scelta di Obama di rendere pubblici i documenti dell´amministrazione Bush si era schierato anche Dennis Blair, direttore dell´Intelligence. Di diverso avviso Patrick Leahy, il democratico che guida la commisisone Giustizia del Senato, che ha rinnovato la richiesta di una commissione d´inchiesta indipendente che possa garantire l´immunità a chi accetta di collaborare. Ricevendo dalla casa Bianca un altro no. Gli uomini di George Bush e i blog della destra conservatrice si ritrovano accomunati negli attacchi alla Casa Bianca con i leader dell´American Civil Liberties Union, loro nemici giurati, e con Amnesty International. Ovviamente con motivazioni molto diverse. Obama «si lega le mani nella guerra al terrorismo», scrivono sul Wall Street Journal Michael Hayden (capo della Cia dal 2006 al 2009) e Michael Mukasey (ministro della Giustizia dal 2007 al 2009): «La pubblicazione non era necessaria dal punto di vista legale ed è stata poco saggia dal punto di vista politico: il suo effetto sarà di evocare quella forma di paura istituzionale che indebolì le operazioni dell´Intelligence prima dell´11 settembre». Di tono opposto le critiche delle organizzazioni per i diritti umani, che contestano alla Casa Bianca l´assenza di azioni legali nei confronti di chi ha autorizzato le tecniche di tortura. L´Aclu, che aveva iniziato il procedimento legale per ottenere la pubblicazione dei documenti, chiede ora ad Obama di nominare un procuratore speciale che indaghi sui responsabili degli ordini dati all´Intelligence: «I memorandum forniscono la prova irrefutabile che responsabili dell´amministrazione Bush hanno autorizzato e dato la benedizione legale ad atti di tortura che violano le leggi internazionali e nazionali». Dello stesso tenore il Center for Constitutional Rights e Amnesty International: «Il ministero della Giustizia offre un lasciapassare gratis per la libertà a persone che secondo lo stesso ministro Eric Holder sono coinvolte in atti di tortura». (a.f.d´a.)

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raul tende la mano a obama "cuba pronta a trattare su tutto" - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 16 - Esteri Raul tende la mano a Obama "Cuba pronta a trattare su tutto" Oggi il vertice delle Americhe. Hillary: la nostra una politica fallimentare Anche senza i leader dell´Avana, i rapporti tra gli Stati Uniti e lo storico avversario saranno al centro del summit ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato NEW YORK - Raul Castro apre all´America - «Siamo disposti a parlare su tutto, anche sui diritti umani» - e la Casa Bianca risponde positivamente: «Prendiamo molto sul serio le sue parole». Poche ore prima dell´arrivo di Barack Obama a Port of Spain, la capitale di Trinidad & Tobago dove si svolge il vertice delle Americhe, il leader cubano - che al summit è il grande assente - è riuscito a mettere Cuba al primo posto dell´agenda. Lo ha fatto da Cumana, cittadina costiera del Venezuela, il Paese dell´amico Chavez, che si trova a poche decine di miglia da Trinidad e dove si è recato in concomitanza del vertice proprio per fare sentire il fiato sul collo ai capi di Stato latino-americani. «Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che quando loro vorranno potremo discutere tutto: diritti umani, libertà di stampa, prigionieri politici, qualunque cosa, qualunque cosa di cui vogliano parlare». Una risposta alle dichiarazioni che Obama aveva fatto giovedì in Messico («Prima di prendere nuove misure vediamo se anche Cuba è pronta a cambiare») manifestando qualche dubbio sulla possibilità che ciò possa avvenire in tempi stretti: «Non ci aspettiamo da parte loro che cambino dall´oggi al domani, non sarebbe realistico». Colta di sorpresa dal colpo di scena di Raul, la Casa Bianca ha affidato una pronta (e positiva) risposta al Segretario di Stato. Da Santo Domingo (anche per lei tappa di avvicinamento al vertice) Hillary Clinton ha «accolto positivamente» le parole del "sub lider maximo" ricodando come «il dialogo sia strumento per la pace, la prosperità e il progresso. Abbiamo visto i commenti del presidente Raul Castro e salutiamo le sue dichiarazioni e l´apertura che rappresentano. Stiamo studiando molto seriamente quella che sarà la nostra risposta». Non sarà facile. I fratelli Castro (Fidel ha una sorta di tutela "ideologica" nei confronti di Raul) sanno che Obama alla Casa Bianca può rappresentare lo sdoganamento di Cuba con il "comunismo caraibico" ancora in vita, un risultato che sarebbe propagandato (in questo caso con una certa ragione) come una vittoria del David latino-americano contro il Golia imperialista dopo cinquant´anni di guerra fredda e di embargo. In cambio, però, devono cedere sul terreno delle libertà fondamentali (diritti umani, stampa, prigionieri politici) dando una sterzata che potrebbe compromettere l´esistenza stessa dell´attuale regime. Sarà, almeno inizialmente, un dialogo di piccoli passi, ma il fatto stesso che Raul Castro abbia nominato i «prigionieri politici» (Cuba non ha mai ammesso di averne) è un segnale più che incoraggiante. Al centro del dialogo resta aperta la questione decisiva per i cubani, quella dell´embargo. Hillary Clinton ha ripetuto ieri - come aveva fatto anche Obama - le parole pronunciate ad inizio anno dal senatore repubblicano Richard Lugar («Dopo cinquanta anni possiamo dire che l´embargo è stato un fallimento») e ha detto che «continuiamo a cercare strade più produttive da seguire perché per il presidente Obama, per me e per la nostra amministrazione l´attuale politica su Cuba è fallimentare». A Port of Spain Obama non incontrerà Chavez, ma altri leader latino-americani si faranno carico di portare sul tavolo il dossier su Cuba. Alcuni paesi del gruppo Alba (Alternativa Bolivariana para America Latina y el Caribe), Venezuela, Nicaragua, Bolivia e Honduras hanno già fatto sapere che intendono bloccare la dichiarazione finale del vertice di Trinidad & Tobago («non dà risposte alla crisi globale ed esclude Cuba», ha detto Chavez) ed anche il presidente brasiliano Lula, pur con toni molto diversi, ha fatto sapere alla Casa Bianca che intende cogliere l´occasione offerta dal vertice delle Americhe per chiedere la fine dell´embargo.

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Batterie costruite coi virus (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 18-04-2009)

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Corriere della Sera sezione: Scienza data: 18/04/2009 - pag: 31 Al Mit di Boston Batterie costruite coi virus Per la prima volta scienziati del Mit di Boston (Usa) hanno realizzato un prototipo di batterie costruite dai virus. Hanno la stessa potenza delle batterie ricaricabili presenti nelle auto ibride e possono essere utilizzate per alimentare congegni elettronici. Sono poco costose e non inquinano l'ambiente: non contengono materiali tossici. I virus sono comuni batteriofagi che infettano i batteri ma sono innocui per l'uomo. Servono per costruire sia il polo positivo che quello negativo delle batterie. I virus prima si rivestono di uno strato di fosfato di ferro, poi si attaccano a nanotubi di carbonio per creare una rete di materiale ad alta conducibilità. Le batterie possono essere ricaricate un centinaio di volte. Il prototipo è stato presentato alla Casa Bianca al Presidente Barack Obama. Massimo Spampani

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Raul tende la mano a Obama "Cuba pronta a trattare su tutto" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Raul Castro apre all'America - "Siamo disposti a parlare su tutto, anche sui diritti umani" - e la Casa Bianca risponde positivamente: "Prendiamo molto sul serio le sue parole". Poche ore prima dell'arrivo di Barack Obama a Port of Spain, la capitale di Trinidad & Tobago dove si svolge il vertice delle Americhe, il leader cubano - che al summit è il grande assente - è riuscito a mettere Cuba al primo posto dell'agenda. Lo ha fatto da Cumana, cittadina costiera del Venezuela, il Paese dell'amico Chavez, che si trova a poche decine di miglia da Trinidad e dove si è recato in concomitanza del vertice proprio per fare sentire il fiato sul collo ai capi di Stato latino-americani. "Abbiamo mandato a dire al governo nordamericano, in privato e in pubblico, che quando loro vorranno potremo discutere tutto: diritti umani, libertà di stampa, prigionieri politici, qualunque cosa, qualunque cosa di cui vogliano parlare". Una risposta alle dichiarazioni che Obama aveva fatto giovedì in Messico ("Prima di prendere nuove misure vediamo se anche Cuba è pronta a cambiare") manifestando qualche dubbio sulla possibilità che ciò possa avvenire in tempi stretti: "Non ci aspettiamo da parte loro che cambino dall'oggi al domani, non sarebbe realistico". Colta di sorpresa dal colpo di scena di Raul, la Casa Bianca ha affidato una pronta (e positiva) risposta al Segretario di Stato. Da Santo Domingo (anche per lei tappa di avvicinamento al vertice) Hillary Clinton ha "accolto positivamente" le parole del "sub lider maximo" ricodando come "il dialogo sia strumento per la pace, la prosperità e il progresso. Abbiamo visto i commenti del presidente Raul Castro e salutiamo le sue dichiarazioni e l'apertura che rappresentano. Stiamo studiando molto seriamente quella che sarà la nostra risposta". OAS_RICH('Middle'); Non sarà facile. I fratelli Castro (Fidel ha una sorta di tutela "ideologica" nei confronti di Raul) sanno che Obama alla Casa Bianca può rappresentare lo sdoganamento di Cuba con il "comunismo caraibico" ancora in vita, un risultato che sarebbe propagandato (in questo caso con una certa ragione) come una vittoria del David latino-americano contro il Golia imperialista dopo cinquant'anni di guerra fredda e di embargo. In cambio, però, devono cedere sul terreno delle libertà fondamentali (diritti umani, stampa, prigionieri politici) dando una sterzata che potrebbe compromettere l'esistenza stessa dell'attuale regime. Sarà, almeno inizialmente, un dialogo di piccoli passi, ma il fatto stesso che Raul Castro abbia nominato i "prigionieri politici" (Cuba non ha mai ammesso di averne) è un segnale più che incoraggiante. Al centro del dialogo resta aperta la questione decisiva per i cubani, quella dell'embargo. Hillary Clinton ha ripetuto ieri - come aveva fatto anche Obama - le parole pronunciate ad inizio anno dal senatore repubblicano Richard Lugar ("Dopo cinquanta anni possiamo dire che l'embargo è stato un fallimento") e ha detto che "continuiamo a cercare strade più produttive da seguire perché per il presidente Obama, per me e per la nostra amministrazione l'attuale politica su Cuba è fallimentare". A Port of Spain Obama non incontrerà Chavez, ma altri leader latino-americani si faranno carico di portare sul tavolo il dossier su Cuba. Alcuni paesi del gruppo Alba (Alternativa Bolivariana para America Latina y el Caribe), Venezuela, Nicaragua, Bolivia e Honduras hanno già fatto sapere che intendono bloccare la dichiarazione finale del vertice di Trinidad & Tobago ("non dà risposte alla crisi globale ed esclude Cuba", ha detto Chavez) ed anche il presidente brasiliano Lula, pur con toni molto diversi, ha fatto sapere alla Casa Bianca che intende cogliere l'occasione offerta dal vertice delle Americhe per chiedere la fine dell'embargo. (18 aprile 2009

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Obama offre a Cuba un "nuovo inizio" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

PORT OF SPAIN (TRINIDAD TOBAGO) Il presidente americano Barack Obama ha detto che gli Stati Uniti cercano un «nuovo inizio» con Cuba e una «partnership da pari a pari» con tutte le nazioni delle Americhe nonostante decenni di diffidenza reciproca. Obama ha parlato ai leader latino-americani e caraibici presenti al Summit delle Americhe a Port-of-Spain, a Trinidad e Tobago. Il vertice segue uno storico disgelo nelle relazioni tra Washington e L’Avana. «So che dovrà essere percorso un lungo viaggio per superare decenni di diffidenza ma ci sono importanti passi che possiamo fare insieme verso un nuovo giorno», ha detto Obama. Ieri il Segretario di Stato Hillary Clinton, in visita nella Repubblica Dominicana, ha espresso apprezzamento per le aperture del presidente cubano Raul Castro e ha affermato che la politica seguita fino ad oggi dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba «è stata un fallimento». Il fratello di Fidel Castro giovedì si era detto disposto ad aprire un dialogo con Washington purché su un piano paritario. Raul Castro, alla guida dell’isola caraibica dal luglio del 2006 a causa delle precarie condizioni di salute del Lider maximo, è pronto a parlare di «tutto», compresi i diritti umani, la questione dei prigioni politici e la libertà di stampa. Lunedì Obama aveva fatto un primo passo in avanti nell’allentare le tensioni con Cuba, alleggerendo alcune restrizioni di natura finanziaria e sui viaggi verso il paese, imposte sugli abitanti originari dell’isola che vivono negli Stati Uniti. Cuba è stata tuttavia esclusa dal Summit delle Americhe, che comprende i 34 membri dell’Organizzazione degli Stati delle Americhe (Oas), nonostante i leader latino-americani avessero chiesto un suo reinserimento. Altro momento «storico» del summit è stata la calorosa stretta di mano tra Obama e il presidente venezuelano Hugo Chavez. «Sono qui per lanciare un nuovo capitolo che sosterrò attraverso la mia amministrazione», ha detto Chavez tra gli applausi dei delegati. Il leader venezuelano, tra i critici più fervidi dell’ex presidente Usa George W. Bush, avrebbe detto all’omonimo americano: «Con questa stessa mano ho salutato Bush otto anni fa; voglio essere tuo amico», secondo quanto riferito fonti vicino alla presidenza di Caracas. I dodici membri dell’Unione delle Nazioni sud-americane (Unasur), organizzazione economica e politica creata appena un anno fa, inconteranno oggi Obama alle 8 (le 14 in Italia).

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Michelle e l'America, è amore vero (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Michelle Obama può dire di avercela fatta. Alle prese con il difficile compito di ogni First Lady - sostenere il presidente senza oscurarlo, riuscendo nello stesso tempo a entrare nel cuore degli americani -, Michelle esce dalla sfida a testa più che alta: il 76% della popolazione ha di lei un’opinione favorevole, con un 46% che esprime un giudizio “molto positivo”. E’ soprattutto quest’ultimo dato, ricavato da un sondaggio Washington Post - Abc News pubblicato oggi, a consacrare Lady Obama come “la più amata dagli americani”: rispetto al periodo dell’insediamento alla Casa Bianca, la popolarità generale della First Lady è cresciuta relativamente poco - circa 4 punti percentuali -, ma il dato relativo ai giudizi “molto favorevoli” ha fatto un balzo in avanti di ben 8 punti, dimostrando che, alla prova dei fatti, Michelle non solo non ha deluso le già alte aspettative nei suoi confronti, ma ha anzi rafforzato un’impressione già positiva. Con un risultato del genere, la First Lady surclassa decisamente il dato relativo ai giudizi “molto negativi”, che sono solo il 7%: dieci mesi fa, al termine delle primarie, la forbice fra i due risultati era molto più stretta, con un 21% di opinioni “molto positive” a fronte di un 18% “molto negative”. Ridotto a un terzo, dal 23% all’8%, anche il numero di americani che non esprime alcun giudizio su di lei: una figura che un anno fa era complessivamente poco conosciuta, oggi è nota presso la quasi totalità della popolazione, che su di lei ha un’opinione precisa. Ottimi risultati di popolarità anche fra i repubblicani: oggi il 59% esprime un buon giudizio, contro il 47% del periodo dell’insediamento. Sono soprattutto i ranghi maschili dei conservatori a premiarla: ben il 63% la giudica positivamente, contro il 44% di gennaio e il 18% del giugno scorso. Fra le donne, sono quelle che hanno figli ad apprezzare maggiormente Michelle Obama: il 79% ha un’opinione “favorevole”, il 50% “molto favorevole”. Segno che la scelta della First Lady di presentarsi come “mamma in capo”, donna in carriera che non rinuncia ad avere un ruolo molto attivo e presente accanto alle figlie, è stata vincente. Un risultato confermato anche da un altro sondaggio, firmato Marist Poll: secondo il 41% degli americani, Lady Obama sta trasformando positivamente il giudizio sulle mamme che lavorano e che non vogliono sacrificare completamente le ambizioni professionali alla famiglia. Ma non è soltanto Michelle “cuore di mamma” a far capitolare gli americani: eleganza e bellezza, uniti a forza e intelligenza, sono i punti forti della First Lady. Il 36% degli americani e il 44% delle donne pensa addirittura che lo stile della signora Obama sarà in grado di influenzare in modo positivo e duraturo la moda negli anni a venire, rileva il sondaggio Marist. Per essere davvero perfetta, però, dovrebbe fare uno sforzo di imitazione: il 21% degli americani vorrebbe che Michelle camminasse nel solco di Jackie Kennedy, che dello stile è stata una maestra ineguagliabile. Almeno finora. + Finestra sull'America, di Maurizio Molinari commenti (0) scrivi

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Teheran, otto anni per spionaggio alla giornalista iraniana-americana (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

TEHERAN - E' stata condannata a otto anni di reclusione la giornalista iraniana-americana Roxana Saberi, accusata di spionaggio dal governo di Teheran e divenuta di fatto un caso dove si stanno testando i nuovi rapporti tra l'amministrazione Obama e il regime degli ayatollah. Roxana Saberi, in carcere a Teheran dal 31 gennaio scorso, "ha potuto parlare per difendersi" durante il processo, hanno spiegato fonti giudiziarie iraniane. Roxana Saberi, 31 anni, è nata negli Usa da padre iraniano e madre giapponese e da sei anni risiede in Iran con un passaporto iraniano. Teheran la considera quindi solo cittadina iraniana. Nella Repubblica islamica ha lavorato come free-lance per la National Public Radio, la Bbc e Fox News. Ma le autorità iraniane hanno detto che da due anni le era stato revocato l'accredito di giornalista, e quindi non era più autorizzata a svolgere questa attività. Prima dell'apertura del processo il segretario di Stato americana Hillary Clinton aveva chiesto il rilascio della Saberi e il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Wood, aveva affermato che le accuse della magistratura iraniana contro di lei sono "senza fondamento". Jamshidi ha risposto che "è strano che qualcuno faccia dei commenti senza nemmeno aver visto il dossier". Un dossier che tuttavia viene tenuto segreto. I genitori di Roxana Saberi, che sono a Teheran dal 6 aprile, hanno potuto vederla due volte e il padre ha detto che è in buone condizioni di salute. Anche un'altra donna, Silvia Harutunian, appartenente alla minoranza cristiana armena e, secondo fonti di stampa, anch'ella con doppia cittadinanza iraniana e americana, è stata condannata a tre anni di reclusione perché riconosciuta colpevole di avere preso parte ad un complotto per promuovere una "rivoluzione di velluto". La donna aveva promosso progetti di cooperazione in campo sanitario per un'organizzazione non governativa. OAS_RICH('Middle'); (18 aprile 2009

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Obama e Chavez, un libro e una stretta di mano per la svolta (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

Sorrisi, strette di mano e il regalo di un libro-simbolo di Eduardo Galeano, «Le vene aperte dell' America Latina», celebre saggio sui burrascosi e complessi rapporti, ieri e oggi, fra Stati Uniti e America Latina. Prove di amcizia fra il presidentissimo venezuelano Hugo Chavez e Barack Obama al V°vertice delle Americhe, in corso a Trinidad e Tobago Ha iniziato il leader della Casa Bianca, che si è avvicinato al presidente venezuelano nel salone Jade dell’hotel Hyatt Regency prima dell’apertura dei lavori del summit per presentarsi. Ha proseguito il capo di stato venezuelano, ricambiando con il dono del volume e lodando poi il collega. «Apprezzo il gesto di avvicinarsi direttamente, un gesto di grande delicatezza che certo non potevo respingere», ha detto Chavez, definendo Obama «un uomo intelligente» e sottolineando l’importanza delle parole pronunciate dal leader della Casa Bianca su un avvicinamento all’America Latina. «Ho approfittato dell’occasione - ha aggiunto - e gli ho detto la stessa cosa che dissi otto anni fa a George Bush stringendo anche a lui la mano sempre in occasione di un vertice delle Americhe: «Voglio essere tuo amico». Barack Obama ha poi avuto un incontro bilaterale a porte chiuse con i leader dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur). Il primo minivertice del presidente Usa a Port of Spain è stato con la comunità dei Caraibi non spagnola (Caricom); domani ci sarà l’ultima riunione, quella con i presidenti dell’America Centrale. Obama ha anche espresso il desiderio di colloqui con i colleghi di Colombia, Haiti e Perù, rispettivamente Alvaro Uribe, Renè Preval e Alan Garcia, che non ha ancora mai incontrato da quando si è insediato alla Casa Bianca. Appena arrivato ieri a Porto of Spain il presidente Usa aveva avuto un incontro bilaterale con il primo ministro di Trinidad e Tobago Patrick Manning.www.elpais.com/

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Obama tende la mano al Sudamerica (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

PORT OF SPAIN (TRINIDAD TOBAGO) Il presidente americano Barack Obama ha detto che gli Stati Uniti cercano un «nuovo inizio» con Cuba e una «partnership da pari a pari» con tutte le nazioni delle Americhe nonostante decenni di diffidenza reciproca. Obama ha parlato ai leader latino-americani e caraibici presenti al Summit delle Americhe a Port-of-Spain, a Trinidad e Tobago. Il vertice segue uno storico disgelo nelle relazioni tra Washington e L’Avana. «So che dovrà essere percorso un lungo viaggio per superare decenni di diffidenza ma ci sono importanti passi che possiamo fare insieme verso un nuovo giorno», ha detto Obama. Ieri il Segretario di Stato Hillary Clinton, in visita nella Repubblica Dominicana, ha espresso apprezzamento per le aperture del presidente cubano Raul Castro e ha affermato che la politica seguita fino ad oggi dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba «è stata un fallimento». Il fratello di Fidel Castro giovedì si era detto disposto ad aprire un dialogo con Washington purché su un piano paritario. Raul Castro, alla guida dell’isola caraibica dal luglio del 2006 a causa delle precarie condizioni di salute del Lider maximo, è pronto a parlare di «tutto», compresi i diritti umani, la questione dei prigioni politici e la libertà di stampa. Lunedì Obama aveva fatto un primo passo in avanti nell’allentare le tensioni con Cuba, alleggerendo alcune restrizioni di natura finanziaria e sui viaggi verso il paese, imposte sugli abitanti originari dell’isola che vivono negli Stati Uniti. Cuba è stata tuttavia esclusa dal Summit delle Americhe, che comprende i 34 membri dell’Organizzazione degli Stati delle Americhe (Oas), nonostante i leader latino-americani avessero chiesto un suo reinserimento. Altro momento «storico» del summit è stata la calorosa stretta di mano tra Obama e il presidente venezuelano Hugo Chavez. «Sono qui per lanciare un nuovo capitolo che sosterrò attraverso la mia amministrazione», ha detto Chavez tra gli applausi dei delegati. Il leader venezuelano, tra i critici più fervidi dell’ex presidente Usa George W. Bush, avrebbe detto all’omonimo americano: «Con questa stessa mano ho salutato Bush otto anni fa; voglio essere tuo amico», secondo quanto riferito fonti vicino alla presidenza di Caracas.

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Obama al Sudamerica: "Ho molto da imparare" e Chavez gli regala un libro di Galeano (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 18-04-2009)

Argomenti: Obama

PORT OF SPAIN - Barack Obama conferma la sua intenzione di voltare pagina nei rapporti con l'America Latina: "Ho molto da imparare e da ascoltare", ha detto rivolto ai colleghi riuniti al Quinto vertice delle Americhe. Al tavolo dove si svolge il dibattito con i colleghi dell'Unasur, Obama ha alla sua sinistra la presidente argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, e alla destra la collega cilena, Michelle Bachelet, che è inoltre presidente di turno dell'Unasur. Dopo l'incontro con i rappresentanti sudamericani, Obama parteciperà ad una serie di riunioni con tutti gli altri 33 presidenti del vertice delle Americhe, e avrà d'altra parte un colloquio con il presidente della Banca interamericana per lo sviluppo, Luis Alberto Moreno. Il vertice è soprattutto l'occasione per rimodulare i rapporti con i governi più controversi dell'area, da Cuba al Venezuela. E dopo i sorrisi e la stretta di mano di ieri, oggi si è rotto definitivamente il ghiaccio tra Barack Obama e Hugo Chavez. Il presidente venezuelano al Quinto vertice delle Americhe ha dichiarato di "non aver il benché minimo dubbio" che con la nuova amministrazione Usa i rapporti con gli Stati Uniti miglioreranno. A suggello della stretta di mano che ieri ha dominato i titoli di tutti i media al seguito del vertice, il presidente venezuelano ha anche regalato un libro a Obama, "Le vene aperte dell'America Latina", di Edoardo Galeano. Più duro il presidente boliviano Evo Morales, secondo cui non ci sono stati cambiamenti significativi nella politica estera americana da quando alla Casa Bianca è arrivato Barack Obama. OAS_RICH('Middle'); (18 aprile 2009

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Zaia: "Sì ai dazi se non si riscrivono le regole globali" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

NUTRIMENTO E REDDITO Reportage Primo vertice agroalimentare tra i «Grandi» Zaia: "Sì ai dazi se non si riscrivono le regole globali" «Va equilibrata la scelta tra coltivazioni destinate alla tavola o all'energia» VANNI CORNERO CISON DI VALMARINO(TREVISO) I dazi? «Non mi piacciono, sono liberista e credo nel mercato, ma se l'alternativa è chiudere migliaia di aziende non ho dubbi: mi batterò per mantenerli e salvare il lavoro dei nostri agricoltori». Il ministro Luca Zaia, padrone di casa al primo «G8» della storia dedicato all'agricoltura, fa chiaramente capire che le regole, in un mondo globalizzato, valgono per tutti. E l'Italia regole globali le chiede da tempo, ma non sempre è ascoltata: «Sappiamo, con tanto di dati ufficiali, che nove prodotti su dieci in giro per il mondo sono dichiarati italiani, ma non lo sono - dice Zaia - . Questo accade mentre per il nostro Paese il made in Italy rappresenta 24 miliardi di euro di esportazioni, in crescita del 13% in Europa e dell'11% fuori dalla Ue. Con un buon negoziato internazionale potremmo salire a 60 miliardi di euro, ma bisogna eliminare l'agropirateria. Abbiamo l'obbligo di difendere le nostre produzioni dai "falsari"- insiste il ministro - tutelando sia i nostri agricoltori e le nostre industrie, sia la sicurezza alimentare sui mercati internazionali». Linea, quella della sicurezza alimentare, su cui sta lavorando anche il presidente Usa, Barack Obama. Un discorso che non vale solo per quei prodotti un po'burocraticamente indicati come «eccellenze alimentari», le regole rigide servono anche a bloccare la speculazione sui generi di prima necessità «perchè - scandisce Zaia - non è ammissibile che ci si possa arricchire giocando sui "future" delle materie prime che compongono il cibo quotidiano». E poi gli Ogm, a cui, afferma il titolare delle Politiche agricole, sottolineando di parlare a titolo personale e non a nome del governo, «la maggioranza dei cittadini è contraria» e che «non è vero garantiscano maggiori guadagni agli agricoltori». Gli organismi geneticamente modificati, comunque, non erano nell'ordine del giorno della seduta, anche se, venerdì, una trentina di no-global ha compiuto un blitz in una tenuta agricola della zona, di proprietà della Fondazione Cassamarca, in cui si sperimentano tecniche di coltivazione innovative. Ieri, invece, militanti di Forza Nuova hanno manifestato, a Treviso, contro il G8 ed esponenti dell'area anarchica si sono radunati a Vittorio Veneto. I ministri dell'agricoltura di Canada, Russia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Usa, Cekia (in rappresentanza della presidenza Ue), il commissario europeo Mariann Fischer Boel, e i rappresentanti di Brasile, Cina, India, Messico, Sudafrica, Argentina, Australia, Egitto, Banca Mondiale ed altri organismi internazionali, dalla Fao all'Ocse, impegnati nel summit che si chiuderà domani, concordano su un punto: l'agricoltura deve ridiventare la grande protagonista sulla scena mondiale. Il perchè lo sintetizza ancora Luca Zaia: «Il settore rappresenta il motore dell'economia, producendo bioenergie, assicurando l'autosufficienza alle popolazioni ed equilibrando i danni dei cambiamenti climatici». Concetti a cui plaude una nota di Confagricoltura, chè però precisa: «Non esiste una ricetta unica valida per tutti, così come non esistono modelli di agricoltura da preferire ad altri» ed auspica un coordinamento agroalimentare globale, partendo dai lavori di questo G8 agricolo e dal successivo vertice della Maddalena. «Per nutrire sei miliardi di persone che rischiano la fame, occorre raddoppiare le produzioni - concorda il direttore generale della Fao, Jacques Diouf - ma proprio per questo le bioenergie devono trovare sviluppo senza toglierlo al cibo». E l'economista Jeremy Rifkin aggiunge: «Il 40% delle terre coltivate serve a produrre mangimi per animali e non alimenti per gli uomini». Mentre l'ambientalista indiana Vandana Shiva esorta: «Questa nuova rivoluzione agricola deve partire dalla presa di coscienza del fallimento di un sistema economico che ha dimenticato la terra».

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Fare la corte all'Iran mette a rischio le alleanze nel Golfo (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Analisi Il gioco d'azzardo degli ayatollah Fare la corte all'Iran mette a rischio le alleanze nel Golfo Effetti collaterali della politica della mano tesa VITTORIO EMANUELE PARSI A che gioco sta giocando l'Iran? È solo una coincidenza che le dichiarazioni concilianti del presidente Ahmadinejad circa la disponibilità ad accogliere le offerte di dialogo provenienti da Washington siano contemporanee alla condanna per spionaggio della giornalista americana di origine iraniana Roxana Saberi? In Medio Oriente, prendere qualche ostaggio prima di iniziare una trattativa è una tattica consolidata da secoli, ma l'incredibile condanna a 8 anni di reclusione di Saberi rischia di costituire un ostacolo forse insormontabile per un'amministrazione come quella di Obama, che è sì a caccia di qualche successo concreto, ma non a qualunque costo. È infatti imbarazzante, dopo tanta retorica benintenzionata nei confronti dei propri avversari e degli ex Stati-canaglia, far finta di niente e continuare su una linea conciliante mentre una cittadina americana viene condannata a una pena tanto severa per un'accusa molto verosimilmente inventata di sana pianta. Il presidente Ahmadinejad ha dato in questi anni ampie prove di un'abilità politica che va ben oltre il venerato concetto politico iraniano della «dissimulazione» estrema delle proprie reali intenzioni. Che sia spregiudicatezza portata al parossismo o che invece si tratti di una schizofrenia imputabile alle consuete lotte intestine al regime degli ayatollah (esacerbate dalle prossime elezioni presidenziali) lo scopriremo presto. Certo è che mentre si avvicina la scadenza dei «cento giorni», la politica estera non ha fin qui dato all'inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue soddisfazioni paragonabili agli sforzi intrapresi e agli azzardi accettati. «Vivere pericolosamente» non è il titolo di una ballade di Bruce Springsteen (o di Vasco Rossi), ma potrebbe ben essere lo slogan della politica estera obamiana. In particolar modo in Medio Oriente, Obama sta prendendo seri rischi di scontentare amici consolidati (Israele e i sauditi, innanzitutto,) a fronte di pochi segnali positivi concreti dagli Stati che fino a ieri rappresentavano la residua componente mediorientale dell'«asse del male» (la Siria e l'Iran). Certo, la partita sulla proliferazione nucleare e sull'equilibrio regionale che si gioca con l'Iran è importantissima. Il presidente americano sa bene che se gli riuscisse il duplice colpo di ottenere l'apertura di un dialogo effettivo ed efficace con l'Iran sulla questione del controverso programma atomico e di far stemperare i toni del virulento anti-sionismo del regime teocratico, potrebbe imporre una svolta storica alle prospettive di pace in tutta la regione. A Washington, nel frattempo - e non solo tra i repubblicani o al Congresso, ma probabilmente anche ai vertici del Dipartimento di Stato - in molti si chiedono quanto possa essere affidabile la sponda iraniana, a prescindere da chi la rappresenti. Ma la domanda cruciale è probabilmente diversa, e cioè come giocheranno le proprie carte gli altri attori regionali rilevanti e, tra questi, Israele e Arabia Saudita appunto. Che gli israeliani si fidino piuttosto poco del «nuovo corso» americano era noto ed evidente già durante la campagna elettorale, e le mosse successive del presidente Obama non hanno fatto che accrescere il nervosismo di Gerusalemme. Ma è Riad che teme particolarmente di essere lasciata col cerino in mano dagli americani, e di vedere rapidamente svalutata la carta più importante di quelle tradizionalmente a disposizione dai sauditi nella loro strategia mediorientale: ovvero il fatto che il sostegno americano al ruolo saudita nel Golfo non solo fosse indiscutibile (soprattutto da quando la monarchia meccana si era di fatto sfilata dal fronte anti-israeliano), ma venisse a essere oggettivamente e ulteriormente rafforzato dalla comune avversione all'Iran. L'unico modo per rassicurare Riad, e saggiare la sincerità dei buoni propositi iraniani, sarebbe quello, tutt'altro che semplice, di coinvolgere l'Arabia Saudita (magari insieme a Egitto e Giordania) come «parte terza» nel lungo, delicato e incerto processo di approccio tra Washington e Teheran (come suggerisce un recente paper pubblicato dalla Rand Corporation), così da farne una prima tappa per la costruzione di un sistema multilaterale di sicurezza collettiva nel Golfo, in grado successivamente di includere l'intero Levante, Israele, Libano, Siria e Palestina compresi.

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"La Saberi è una spia" Dovrà scontare 8 anni (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

"La Saberi è una spia" Dovrà scontare 8 anni La free lance 31enne stava completando le ricerche per un libro sul Paese di suo padre [FIRMA]GLAUCO MAGGI NEW YORK La giornalista Roxana Saberi è stata condannata ad otto anni per spionaggio a favore del governo Obama, dopo un solo giorno di processo segreto in una «corte rivoluzionaria» di Teheran. Di doppia nazionalità americana e iraniana, nata e cresciuta in Nord Dakota da papà emigrato dall'Iran e mamma giapponese, la giovane free lance, 31 anni e una corona da Miss del suo Stato vinta nel 1997, stava completando un libro sulla vita e i costumi del Paese paterno quando è stata arrestata dalla polizia politica, pochi giorni dopo il giuramento di Obama presidente. Da allora, sono filtrate solo vaghe notizie sui motivi della detenzione, mentre montava la protesta degli attivisti dei diritti umani che chiedevano il suo rilascio. Roxana, in un primo tempo, aveva fatto sapere al papà in America di essere finita in prigione per aver comprato una bottiglia di vino (che a Teheran è un crimine). Poi le autorità avevano lanciato un'accusa speciosa, e comunque non tale da meritare la galera: che Roxana stava facendo servizi radio-televisivi per la National Public Radio americana e la Bbc inglese senza avere le credenziali professionali. Erano già tre anni che alla giornalista, arrivata in Iran sei anni fa, non era stato più rilasciato il tesserino ufficiale per l'attività di free lance, ma era subentrato un permesso di fatto, poiché la giovane donna operava alla luce del sole e non le era stata mai mossa alcuna contestazione. Ora, anziché «l'imminente liberazione» che era stata annunciata da un portavoce del tribunale ai primi di marzo, è arrivata la tegola della condanna. Perché, secondo quanto comunicato da un giudice investigativo, ci sarebbero le prove che la donna ha raccolto e passato informazioni coperte dal segreto di stato ai servizi di Obama. «Inoltrerò sicuramente un appello», ha detto alla Associated Press l'avvocato Abdolsamad Khorramshahi, che non ha potuto nemmeno prendere la parola in tribunale. Ma è evidente che il caso è tutto politico e niente giudiziario. Appena eletto, il presidente Usa fece il discorso della «mano tesa» ai leader islamici, per voltare la pagina della politica di Bush. La settimana scorsa la sua diplomazia è andata oltre. Pur di riprendere i contatti diretti e intavolare discussioni sul futuro delle relazioni tra Washington e Teheran, funzionari del dipartimento di Stato della Clinton hanno fatto filtrare una disponibilità che Bush aveva sempre negato: avviare colloqui senza la precondizione che l'Iran sospenda l'attività di arricchimento dell'uranio. Non è una concessione da poco: tutti sanno, in America e in Europa, che dietro al programma delle centrali a fini civili c'è l'ambizione di Ahmadinejad di dotarsi di bombe nucleari. La mossa iraniana di gettare la chiave della cella in cui Roxana è rinchiusa da tre mesi, in questo contesto, è una sfida sfacciata al presidente Usa. Forse l'Iran punta a qualche scambio di prigionieri. Forse le elezioni imminenti nel Paese, che è in grave crisi economica e sociale, consigliano al leader in carica, minacciato da un concorrente «riformista» e meno anti-americano, di fare il duro provocando platealmente l'amministrazione del buonista Obama. Certo, come sprezzo del nuovo clima di dialogo proposto dagli Usa non c'è male. Peraltro, tutto si può dire meno che sia una novità nel modus operandi del regime di Teheran. I sequestri violenti in piena regola e i processi farsa con le incarcerazioni di giornalisti e intellettuali occidentali si sono susseguiti dopo l'instaurazione della Repubblica Islamica. Su tutti, ci sono stati i 444 giorni dell'assedio dell'ambasciata americana durante la presidenza di Jimmy Carter. Ma anche recentemente, ricordava il New York Times nell'editoriale di venerdì, prima della condanna, «l'Iran ha giocato questo assurdo gioco». E ha citato il corrispondente di Radio Free Europe/Radio Liberty e un attivista pro-democrazia americano ingiustamente detenuti. In precedenza, ci fu nel 2003 il caso di Zahra Kazemi, fotografa canadese nata in Iran, accusata di spionaggio come Roxana. Morì sotto le torture nella galera famigerata di Evin, dove si crede sia detenuto dal 2007 anche l'uomo d'affari Robert Levinson, ex agente Fbi. Ora che Guantanamo smobilita, gli attivisti dei diritti umani di buona volontà, e di buona fede, hanno una nuova causa. Chiudere Evin.

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Scrittore-bandiera contro il saccheggio dell'America Latina (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

EDOARDO GALEANO Scrittore-bandiera contro il saccheggio dell'America Latina L'uruguaiano Eduardo Galeano, giornalista e scrittore, è l'autore del libro «Le vene aperte dell'America Latina» che Chavez ha regalato a Obama. Galeano è uno dei big della letteratura sudamericana e il libro in questione, pubblicato nel 1971 ancora prima delle dittature di Pinochet e Videla, è tutt'ora uno dei testi di riferimento della sinistra sull'America Latina. Affronta il saccheggio delle risorse di questa regione dal XV al XX secolo. Prima degli Usa, scrive Galeano, furono le potenze coloniali, l'Inghilterra in testa, a tenere la regione nel suo sottosviluppo. Cambiano nomi e facce, ma alla fine nulla cambia; gli emissari del Fondo Monetario Internazionale impongono politiche liberistiche che aggravano la già drammatica situazione di questi Paesi.

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"La mossa vincente? Aprire all'Avana diffidare di Caracas" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Moises Naim "La mossa vincente? Aprire all'Avana diffidare di Caracas" DAL CORRISPONDENTE DA NEW YORK Gli Stati Uniti avranno presto rapporti con Cuba come li hanno con il Vietnam mentre rispetto a Chavez la situazione è più incerta». È questa la previsione di Moises Naim, direttore del magazine "Foreign Policy" e noto analista dell'America Latina. Dove può portare il dialogo fra Barack Obama e Raul Castro? «Molto lontano perché non si tratta di un processo che incomincia ora ma del frutto delle novità in corso da tempo a Cuba, in Florida e nel mondo. Vi saranno presto degli incontri diretti a livello di funzionari, poi di tipo più politico, forse vi sarà spazio per un ruolo del brasiliano Lula o dello spagnolo Zapatero e tutto finirà con una foto di Raul Castro alla Casa Bianca. La normalizzazione dei rapporti fra Washington e l'Avana è già da tempo in corso, adesso sta accelerando e il risultato sarà che gli Usa avranno con Cuba un legame simile a quello con il Vietnam, che è una nazione ex nemica, retta da un partito comunista e con la quale hanno ottimi rapporti economici». Peserà la questione del rispetto dei diritti umani a Cuba? «Certo, c'è da sciogliere il nodo dei prigionieri politici a Cuba, il cui numero peraltro è oggetto di costante discussione. Il rispetto dei diritti umani resta una debolezza dell'Avana ma è anche vero che gli Stati Uniti hanno solidi rapporti con la Cina, che è assai carente sotto questo profilo». Che impatto avrà il dialogo fra Usa e Cuba su Chavez? «Il presidente venezuelano è destinato ad essere molto più isolato. Due anni fa al summit delle Americhe che si svolse in Argentina Chavez fu una vera star, ebbe facile gioco a fare leva sull'ostilità alle politiche di Bush per consolidare un proprio ruolo di leadership regionale, facendo leva su Kirchner. Ma ora tutto è diverso. Alla Casa Bianca non c'è Bush ma Obama e Cuba sta parlando con Washington. Per Chavez sarà difficile continuare a giocare la carta dell'antiamericanismo». La stretta di mano fra Chavez e Obama cosa le suggerisce? «È difficile dire, perché Chavez che stringe la mano a Obama è la stessa persona che negli ultimi tempi lo ha spesso attaccato ed è anche lo stesso che sta inasprendo la repressione contro gli oppositori. Le intenzioni di Chavez nei confronti di Obama non sono chiare come quelle di Raul Castro». Perché Chavez ha regalato a Obama il libro di Eduardo Galeano? «È un classico della sinistra latinoamericana. La tesi di Galeano è che i problemi di sviluppo del Sudamerica dipendono dall'essere stato sfruttato dagli Stati Uniti, che sono diventati proprio in questa maniera un gigante mondiale». Insomma, regalarlo a Obama è quasi una provocazione... «Questo è Chavez». Che impressione si è fatto del summit di Trinidad e Tobago? «Il vero tema del vertice non sono i rapporti fra Usa e Cuba e tantomeno la stretta di mano fra Chavez e Obama bensì la dura contrapposizione fra due gruppi di Paesi portatori di politiche economiche molto differenti. Brasile, Cile, Messico, Perù, Colombia, Uruguay e Costa Rica fanno scelte simili a quelle degli Usa mentre sul fronte opposto vi sono Venezuela, Nicaragua, Ecuador e Bolivia. La divisione fra i due gruppi è netta e le tensioni alte». \

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[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Con un I want to introduce myself... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

[FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Con un «I want to introduce myself», mi voglio presentare, Barack Obama allunga la mano destra verso Hugo Chávez salutando il leader sudamericano più ostile a Washington, lo stesso che paragonò George W. Bush a Satana. Nella sala delle conferenze di Port of Spain, a Trinidad e Tobago, il grande tavolo a U attorno al quale siedono i 34 leader capi di governo dell'Emisfero Occidentale non si presta ai dialoghi ravvicinati, così è il Presidente americano che si alza e va verso il posto dove è seduto Chávez. Stanno assieme pochi attimi, ma disseminati di gesti e parole. I gesti sono quelli di Barack, che sorride e mette la mano sinistra sulla spalla del venezuelano, quasi a indicare un'atmosfera amichevole. Ma a parlare è soprattutto il Presidente del Venezuela. Auspica, in inglese, «relazioni migliori fra i nostri Paesi» e poi, quasi trattenendo Obama, gli dà una copia del libro «Las vienas abiertas de America Latina» dell'uruguaiano Eduardo Galeano, suggerendogli di «leggere» uno scritto del 1971 che accusa gli Stati Uniti di essersi arricchiti a scapito dell'America Latina. Barack prende il libro e ringrazia dicendo «Ho molto da imparare e voglio pensare a come possiamo lavorare più efficacemente assieme», ma neanche guarda il titolo e poco dopo dice a un reporter di aver ricevuto «uno dei libri di Chávez» e che «presto gliene darò uno dei miei». Per Obama ciò che conta non sono tanto le parole dette o ascoltate ma l'aver rotto il ghiaccio con il leader più antiyankee a Sud del Rio Bravo, dimostrando con i fatti di incarnare la strategia di «tendere la mano ai nostri nemici» promessa all'America nel giorno del giuramento e divenuta il timone della propria politica estera. Non a caso i portavoce e collaboratori del Presidente puntano a sottolineare più il fatto che l'incontro è avvenuto che non i suoi assai scarni contenuti. «Il presidente Obama si è alzato, ha sorriso, lo ha salutato e poi è tornato al proprio posto» ripetono all'unisono. Per Chávez invece a contare sono i contenuti più dei gesti. Pochi attimi dopo il fugace incontro è infatti lui a raccontare nei dettagli di aver vissuto «un buon momento», di aver confidato a Obama «il desiderio di cambiare le relazioni fra le nostre nazioni», di avergli stretto la mano «come feci con George W. Bush otto anni fa» e di aver colloquiato quanto necessario per comprendere che «questo presidente è un uomo intelligente soprattutto rispetto a quello che lo ha preceduto», al termine di una conversazione evidentemente vissuta come più ricca di significati di quella raccontata dallo staff della Casa Bianca. La Casa Bianca fa comunque di tutto per evitare di irritare il Presidente venezuelano. Bersagliati dalle domande dei reporter al seguito, i collaboratori di Obama evitano di pronunciarsi sulla repressione dell'opposizione a Caracas come sui recenti insulti che lo stesso Chávez ha riversato addosso a Obama. Anche l'annunciato veto di Chávez sulla dichiarazione finale del summit non viene messo troppo in risalto. Le differenze politiche sono «ereditate dal passato», dice Obama, e anche per questo ascolta in religioso silenzio il discorso-arringa di 50 minuti con cui il presidente nicaraguense Daniel Ortega, ex leader sandinista, imputa «agli Usa e al capitalismo» ogni male della regione, arrivando perfino a ricordare l'attacco della Baia dei Porci del 1961. Quando tocca a Obama la replica è sul filo dello humour anglosassone: «Ringrazio il presidente Ortega per non avermi imputato cose che sono avvenute quando avevo appena tre mesi». L'applauso e le risa con cui la maggioranza dei leader reagiscono è il risultato che Obama cerca per mettere in risalto la differenza fra «vecchia» e «nuova» politica, fra quanto lui eredita da decenni di incomprensioni e attriti nell'Emisfero Occidentale e cosa invece ha in mente di costruire, a cominciare dalla riconciliazione con la Cuba di Raul Castro in uno «spirito di partnership fra uguali dove non c'è nessuno Stato più importante degli altri». Ma quando a intervenire tocca a Chávez, torna a manifestarsi l'aggressività anti-Usa: «Le promesse di mutuo rispetto suonano a vuoto». Per Barack la riconquista dell'America Latina è appena all'inizio.

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Gm adotta il piano Chrysler (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

AUTO IN CRISI Gm adotta il piano Chrysler Così Detroit può ripartire Da Torino Kaufman: «Dai timori di una bancarotta nascono le concessioni fatte dai dipendenti» IL RISIKO MONDIALE Chrysler Una quota del 20% a Uaw in cambio di 10,6 miliardi di dollari di spesa sanitaria dovuta ai dipendenti [FIRMA]MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Chrysler sembra prossima all'accordo con i sindacati dell'auto sul piano di ristrutturazione e Gm per salvarsi progetta di applicare la stessa ricetta, ma su scala più vasta. I progressi nelle trattative dei due colossi di Detroit appaiono legati, anche se Chrysler sta facendo da battistrada essendo oramai arrivata ad appena 11 giorni dalla data limite fissata dal governo federale per siglare l'alleanza con Fiat e scongiurare così l'inizio della procedura della bancarotta che potrebbe costare il posto a oltre 180 mila dipendenti. Sono fonti della United Auto Workers (Uaw) a far trapelare che «l'accordo con Chrysler si sta avvicinando» in forza di un'intesa che prevede l'assegnazione a un trust del sindacato, denominato «Voluntary Emplyee Beneficiary Association», del 20 per cento delle quote dell'azienda in cambio dei 10,6 miliardi di obblighi sanitari che sono ad oggi dovuti ai dipendenti. In questa maniera il sindacato diventerà uno dei principali azionisti di Chrysler, assieme a Fiat ed alla task force del governo federale, inaugurando un nuovo modello di assetto societario. L'ipotesi di un tale accordo era già affiorata nei giorni scorsi ma adesso alla Uaw lo ritengono «prossimo alla conclusione», anche se resta da appurare quali saranno poi le scelte dei sindacati delle fabbriche canadesi (Caw). Lo scambio debiti-per-azioni è anche il perno del piano a cui sta lavorando General Motors, secondo indiscrezioni pubblicate dal sito di Automotive News che prevedono una conversione in quote di 48 miliardi di dollari che la casa aumobilistica deve ai sindacati ed ai titolari di obbligazioni. Il ministero del Tesoro da parte sua ha fatto sapere di essere disposto a convertire in azioni anche i 13,4 miliardi di prestiti versati con il denaro dei contribuenti. Si tratterebbe dunque di una complessiva trasformazione dei debiti in azioni. Quella che potrebbe essere la soluzione del rebus Gm arriva dunque sulle orme di quanto sta avvenendo a Chrysler al termine di settimane di incontri con la task force governativa guidata da Steve Rattner e con i sindacati della Uaw. «Quello di Gm è un piano che pevede importanti concessioni da parte dei sindacati, superiori a quelle di cui finora si era parlato e se ciò avviene - spiega Peter Kaufman, presidente della banca di investimento Gordian Group - è perché i lavoratori temono che senza intesa la situazione potrebbe diventare assai peggiore» portando all'inizio della procedura della bancarotta. Se tali indiscrezioni dovessero essere confermate significherebbe il superamento dello stallo dei negoziati fra Gm e sindacati dell'auto che risale alla metà di febbraio e Fritz Henderson, che ha sostituito Rick Wagoner alla guida di General Motors, potrebbe iniziare a mettere nero su bianco il piano di tagli destinato ad essere presentato al governo entro la prevista scadenza del 1 giugno. Se Henderson non forza i tempi è perché è consapevole che spetta a Chryler finire prima: «Abbiamo di fronte un sindacato che sta negoziando con due aziende, una delle quali ha la scadenza il primo maggio e l'altra il primo giugno». Avere più tempo a disposizione può risultare a Henderson per dedicarsi a sciogliere il nodo dei titolari di obbligazioni per un valore totale di 27,5 miliardi di dollari ai quali pensa di offrire in cambio una piattaforma iniziale di 9,2 miliardi, in debiti e in azioni, che potrebbe essere allargata su richiesta del governo. Ai progressi sul fronte della trattativa con i sindacati corrisponde il perdurante silenzio da parte delle banche creditrici. Anche in questo caso è Chrysler a fare da battistrada, aspettando la consegna da parte delle banche alla task force auto delle controproposte sul negoziato in corso per stabilire la sorte dei 7 miliardi di dollari di debiti. L'industria dell'auto americana, e di conseguenza mondiale, è alla vigilia di una rivoluzione. Quanto sta avvenendo a Detroit, dopo la relazione della task force nominata dal presidente Obama su quella che è stata un tempo l'industria Usa per eccellenza, è destinato a sconvolgere l'assetto di un settore che si è retto per un lungo tratto del Novecento su uno schema consolidato. Con la trasformazione radicale di General Motors e Chrysler, il sistema di Detroit cambia volto e dimensioni. La General Motors sta per subire uno smembramento, dettato dall'insostenibilità dell'indebitamento aziendale di fronte alla caduta del mercato, che scomporrà i suoi marchi e le sue attività, distinguendo le parti sane da quelle irrimediabilmente malate, in modo da sottoporle a una revisione completa e poi, probabilmente, a un riaccorpamento. Si affaccia la possibilità, presentata ieri da Automotive News, che i marchi Gm potranno rientrare in un negoziato da cui potrebbe uscire un nuovo grande gruppo, da realizzarsi con Fiat e Chrysler. Saranno i prossimi mesi a verificare il fondamento di questa prospettiva, in cui resta l'incognita costituita dalla Ford, l'unica superstite delle «Big Three» di una volta, che non potrà non reagire anch'essa alla riorganizzazione in atto. Per il momento, Sergio Marchonne deve chiudere la delicata partita che sta giocando in queste settimane su più fronti. Se l'operazione chirurgica più ardua è quella che deve compiersi sul corpo della Gm, con i suoi 250 mila dipendenti e un indotto di proporzioni ancora mastodontiche, è la trattativa in corso tra Fiat e Chrysler a mettere a nudo per intero i punti critici del sistema dell'auto americano, i nodi che deve sciogliere per la propria sopravvivenza. Marchionne si è finora dovuto muovere su due versanti contemporaneamente per definire le condizioni che renderanno possibile la stipula dell'alleanza con la Fiat. Da un lato, occorre fronteggiare la mobilitazione dei detentori dei corporate bonds di Chrysler, refrattari ad accettare a una caduta verticale dei titoli nelle loro mani. Su questo negoziato, che naturalmente chiama in causa il ruolo delle banche, il governo può far pesare la sua influenza. Dall'altro lato, negli ultimi giorni si è surriscaldato il confronto col sindacato: rivolgendosi alla federazione dei lavoratori dell'auto del Canada (dove sono ubicati impianti produttivi Chrysler), Marchionne ha detto che l'alleanza non andrà in porto, se tale organizzazione non accetterà una netta riduzione delle prerogative acquisite. Non è un caso che la presa di posizione dell'amministratore delegato Fiat abbia suscitato il plauso del senatore repubblicano Bob Corker del Tennessee, il critico più duro degli aiuti concessi dal parlamento americano alla fine dell'anno scorso. Lo stato del Tennesse ospita alcune delle aree dove si sono insediate le fabbriche d'auto di produttori giapponesi ed europei, in cui si applicano paghe e normative di lavoro imparagonabili a quelle in vigore a Detroit. Marchionne oggi domanda alla United Automobile Workers, il sindacato dell'automobile, di disporsi a un passo gravoso, riducendo le tutele e le garanzie introdotte nelle fabbriche di Detroit dal 1937 in avanti, da quando cioè si era imposto il metodo della contrattazione collettiva dopo uno dei più aspri e massicci conflitti del lavoro della storia Usa. Sarebbe la prima mossa verso il superamento del divario che separa in due il mondo dell'auto, opponendo i territori di vecchia industrializzazione come il Michigan agli stati dove l'industrializzazione è un fenomeno più recente, come appunto il Tennessee. La Uaw si trova così dinanzi al dilemma di scambiare livelli salariali, coperture assistenziali e pensionistiche con la speranza del mantenimento del posto di lavoro. È chiaro, tuttavia, che il sindacato ha bisogno per contraccambio anche di un riconoscimento simbolico, quale potrebbe essere una consistente partecipazione al capitale d'impresa. Se Marchionne otterrà le condizioni richieste, allora l'alleanza potrà decollare e si potrà mettere mano a quella riorganizzazione totale dell'automotive americano cui la Chrysler deve fare da apripista. L'intesa Fiat-Chrysler sta dunque diventando la chiave di volta per ridisegnare da cima a fondo il sistema dell'auto. Può darsi che il lavorìo concitato di queste settimane metta capo a un nuovo grande gruppo su scala globale, sull'onda della fusione e dell'ibridazione di due esperienze industriali, l'europea e l'americana. Un gruppo effettivamente multinazionale, radicato in Usa come in Europa e in America Latina, con una presenza di mercato vasta e integrata, forte di un'estesa gamma di prodotto. Se ciò si verificherà, si potrebbe davvero dire che di lì incomincia la nuova storia industriale del Ventunesimo secolo.

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Maurizio Zoccarato trova su Facebook oltre mille "amici" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

ELEZIONI/2 NUOVE FRONTIERE DI INTERNET Maurizio Zoccarato trova su Facebook oltre mille "amici" SANREMO La campagna elettorale 2009 permette di sbizzarrirsi con i più sofisticati canali informatici. La novità più rilevante è infatti il ricorso massiccio della Rete. «Stile Obama», con il Web applicato alla politica, lo strumento-cardine per interagire in tempo reale con la fascia più giovane e dinamica del potenziale elettorato. Obiettivo: scambiare pensieri, opinioni. Il Web è solo il primo capitolo di una strategia che dovrà necessariamente studiare forme di comunicazione più tradizionali per intercettare la maggioranza degli elettori. Nel Ponente c'è da registrare l'exploit del candidato del Pdl che, su Fb, ha attivato il gruppo «Maurizio Zoccarato sindaco». E' questo il nome della comunità virtuale creata da Antonello Catroppa, con la motivazione: «Stiamo allestendo un sogno». Ieri contava 1.058 adesioni, ma è in continua crescita, come gli altri gruppi collegati. Zoccarato ha quindi «doppiato» il suo collega imperiese, Paolo Strescino, ieri a quota 444 con il suo gruppo. Tornando a Sanremo, Claudio Borea ha raccolto l'adesione di 381 amici al «Progetto Borea», forti dello slogan «Noi ci siamo. Le persone che hanno creduto nell'attività del sindaco Borea e della sua amministrazione e che vogliono supportarlo affinchè venga nuovamente eletto». «Giovani per Borea», fondato da Andrea Zulberti, ha registrato 337 adesioni, «Onesti e trasparenti: noi votiamo Borea», fondato da Monica Lavazza, ne conta invece 170. Anche in questi casi, i contatti non si fermano mai. Zoccarato, quindi, svetta con oltre mille «amici» che ha trovato sulla Rete: «Sono rimasto piacevolmente colpito da quanti abbiano messo la loro faccia per sostenermi: tra questi, ex compagni di scuola, conoscenti e molti altri che non mi sarei aspettato, e che ora posso salutare per strada». Al millesimo iscritto, Zoccarato ha mandato un messaggio speciale. Insomma, sono in molti ad aver scelto la piazza di Facebook, il luogo virtuale per eccellenza.\

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obama: "pronti al confronto con cuba" iran, condannata la reporter: proteste usa - miami dal nostro inviato @fi firma editoriale sx:mario calabresi (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 1 - Prima Pagina Reportage La mossa di Barack divide Little Havana Obama: "Pronti al confronto con Cuba" Iran, condannata la reporter: proteste Usa MIAMI DAL NOSTRO INVIATO @FI FIRMA EDITORIALE SX:MARIO CALABRESI La stagione degli uragani è cominciata con sei settimane di anticipo quest´anno a Miami: la decisione di Barack Obama di togliere le restrizioni ai viaggi e all´invio di denaro a Cuba per chi ha parenti nell´isola, l´annuncio di un nuovo inizio nei rapporti con L´Avana, ha sgretolato un mondo che resisteva da quasi mezzo secolo. SEGUE A PAGINA 11 CIAI E FLORES D´ARCAIS A PAGINA 10

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"l'embargo usa va tolto per non dare più alibi per me la fiera del libro in italia resta un sogno" - omero ciai (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Esteri Parla Yoani Sanchez, la giovane filologa cubana che sfida il regime castrista sul suo blog in Internet "L´embargo Usa va tolto per non dare più alibi per me la Fiera del libro in Italia resta un sogno" OMERO CIAI «Chi detiene il potere oggi a Cuba, che sia Raul o che sia Fidel, vive in un grave dilemma - dice Yoani Sanchez, filologa, 33 anni, la ragazza divenuta famosa grazie al suo blog dalla capitale dell´isola - . Da una parte sa che bisogna cambiare, affrontare la catastrofe economica, rispettare i diritti umani; dall´altra teme che qualsiasi modificazione, anche la più piccola, possa compromettere il futuro della dittatura e il suo potere. Sono imprigionati nel dubbio: come cambiare senza cambiare? Una situazione gattopardesca». C´è comunque un´aria nuova a L´Avana? «C´è molta attesa e, tra la gente, ci sono molte speranze da quando il presidente Obama ha tolto i divieti sui viaggi dei cubano-americani e sull´invio di dollari a Cuba. Ma finora il regime ha risposto solo con belle parole. Ora bisogna che si siedano ad un tavolo e comincino a negoziare, noi ci attendiamo che il governo elimini a sua volta il divieto ai cubani di viaggiare all´estero e che liberi i prigionieri politici». La signora Clinton ha detto che cinquant´anni di politica americana contro Cuba sono stati fallimentari, lasciando capire che l´embargo unilaterale è stato del tutto inutile. Lei cosa ne pensa? «Sono d´accordo con lei. L´embargo è stato il miglior argomento che gli americani hanno regalato al governo cubano per giustificare la sua incompetenza economica e la mancanza di libertà all´interno dell´isola. Mi piacerebbe che l´embargo terminasse domattina, è stato davvero un fallimento. Sono convinta che la retorica politica del governo cubano non potrebbe sostenersi più tanto facilmente senza el bloqueo e non avrebbero più alibi per impedirmi di venire in Italia, alla Fiera del Libro di Torino». A Cuba è proibito avere in casa una connessione internet, come aggiorna il suo blog? «Solo i funzionari del governo e gli stranieri hanno accesso liberamente a Internet. Io scrivo sul mio computer a casa e poi con una memoria portatile vado nei business center dei grandi alberghi o negli Internet point pubblici e scarico il materiale ad amici che stanno fuori dall´isola. è un sistema lentissimo, costoso e pericoloso. Cambio spesso luogo perché sono vigilati. La mia pagina web è censurata, non è visibile nell´isola ma grazie al mio lavoro - faccio la guida illegale (underground) per i turisti tedeschi e guadagno qualcosa - posso pagarmi l´accesso al web due-tre volte alla settimana». Nel suo libro "Cuba Libre", lei dice che i corrispondenti stranieri all´Avana sono spesso reticenti quando raccontano l´isola. «I cubani non li chiamano corresponsables (corrispondenti) ma co-responsables (corresponsabili)». Le riforme di Raul? «Purtroppo sono stati solo interventi cosmetici. Le famiglie cubane sopravvivono solo grazie al denaro che arriva dai parenti all´estero o quello che riescono ad avere dai turisti».

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barack pronto al confronto "da voi ho molto da imparare" - alberto flores d'arcais (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 10 - Esteri Barack pronto al confronto "Da voi ho molto da imparare" Cuba al centro del vertice. E Chavez dona un libro al rivale Il presidente del Venezuela: "Una marachella, il prossimo summit all´Avana" ALBERTO FLORES D´ARCAIS dal nostro inviato new york - è rimasto un attimo perplesso, poi ha sorriso e ringraziato. A rompere il ghiaccio tra Obama e Chavez, il "caudillo" del Venezuela che non passa giorno senza attaccare «l´imperialismo yankee», è stato il libro che Chavez ha dato in regalo al presidente Usa. Le vene aperte dell´America latina di Eduardo Galeano, una bibbia della sinistra latino-americana (e un feroce atto d´accusa agli Stati Uniti) dei primi anni ‘70. Obama non lo sapeva (lo ammetterà tranquillamente) e scherzando con i giornalisti ha sorriso: «Pensavo lo avesse scritto Chavez e volevo regalargli uno dei miei». Nei vertici e in diplomazia anche piccoli gesti possono contare molto e quel breve incontro tra Obama e Chavez - seguito alla stretta di mano di venerdÍ sera - ha dato il timbro alla seconda giornata del summit delle Americhe più di tante discussioni. Qualche maligno ha visto nel regalo del "caudillo" una sottile presa in giro per la Casa Bianca e non vi è dubbio che la scelta del titolo sia stata un po´ provocatoria. «Dopo la riunione Obama ha salutato personalmente tutti i presenti ed anche con Chavez c´è stato un momento di interazione; quanto al libro la mia opinione personale è che abbia voluto essere al centro dell´attenzione e farsi riprendere ancora una volta in foto», ha spiegato in un briefing ai giornalisti un alto funzionario della Casa Bianca. Sta di fatto che anche il nemico Chavez ha abbandonato per un giorno la sua verve polemica dichiarandosi soddisfatto dell´incontro («è un uomo intelligente»), tanto da salutare Obama così: «Con queste mani otto anni fa diedi l´addio a Bush. Oggi voglio essere tuo amico». E a chi gli chiedeva se con Obama alla Casa Bianca miglioreranno i rapporti tra Usa e Venzuela, ha risposto: «Non ho il minimo dubbio, abbiamo iniziato a parlare e penso sia stata un´ottima partenza». Un dialogo che potrebbe iniziare subito con Hillary Clinton, nell´incontro che il Segretario di Stato Usa dovrebbe avere con Chavez durante i lavori del vertice per dare il via alla normalizzazione dei rapporti bilaterali (da settembre Usa e Venezuela hanno ritirato i propri ambasciatori). Anche se il consigliere della Casa Bianca Lawrence Summers ha messo in guardia da facili ottimismi: «Non bastano sorrisi e strette di mano». Chavez ha scherzato sul prossimo summit: «Per il prossimo vertice vi propongo una marachella: perché non lo facciamo a L´Avana?». Un clima disteso, come disteso era stata il primo plenum mattutino dei capi di Stato. «Penso che stiamo facendo progressi», ha detto il presidente Usa, «ho molto da apprendere, sono ansioso di ascoltare e di trovare un modo per lavorare insieme che sia più efficace», e Michelle Bachelet - presidente del Cile - ha confermato: «Con l´arrivo di Obama alla Casa Bianca siamo entrato in una nuova fase; di fiducia e di cambiamento nei rapporti». Tanto che Obama si e lasciato andare anche a qualche battuta umoristica tipo: «Sono grato al presidente (del Nicaragua, ndr) Ortega perchè non mi accusa di cose accadute quando avevo tre mesi di vita». Cuba, convitato di pietra del summit, è stato anche ieri l´argomento più trattato e quello che ha diviso di più la Casa Bianca dai paesi latino-americani che chiedono a gran voce la fine dell´embargo, come ha ammesso lo stesso governo Usa («sembra chiaro, almeno per quanto riguarda la riunione di questa mattina, che tutti i presidenti vogliono che ci muoviamo rapidamente»). A loro Obama ha risposto che in quella sala «tutti i presidenti sono stati eletti democraticamente e sanno, per averla vissuta, cosa significhi una dittatura», per cui ciascuno deve fare la propria parte per assicurare che democrazia e legalità siano «una priorità» a Cuba. Un dibattito in cui (lo ha fatto il presidente argentino Cristina Kirchner) ad Obama è stata rimproverata «l´ingerenza di alcuni funzionari Usa nella politica dei paesi latinoamericani» anche se ha riconosciuto «che sono solo tre mesi che ha assunto la presidenza e che quindi possiamo ancora fare molto». Il più critico è apparso il boliviano Evo Morales: «Sono già passati centro giorni e non si vede alcun cambiamento».

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"giusto", "no, è una resa" la mossa di obama spacca little havana - (segue dalla prima pagina) dal nostro inviato (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

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Pagina 11 - Esteri "Giusto", "No, è una resa" La mossa di Obama spacca Little Havana Joe Garcia, leader giovane ed emergente della comunità: "è un passaggio rivoluzionario" Partire oppure no, e se sì, quando e come Gli esuli di Miami reagiscono alla nuova politica verso l´isola Mario Diaz Balart, deputato e voce della destra anti-castrista è furioso: "Così si aiuta un tiranno" (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) DAL NOSTRO INVIATO mario calabresi Ha spaccato le famiglie, approfondito le divisioni tra le generazioni e reso inservibile l´ultimo armamentario ideologico della Guerra Fredda. Ha creato un´attesa incredibile e dato vita ad un nuovo gioco di società che gira attorno alla domanda: «Partire o non partire?». Da lì poi la discussione ha mille variabili che si ascoltano ovunque: «Bisogna andare subito»; «Mai, non si deve tornare finché i Castro non saranno morti»; «Meglio aspettare, almeno un anno»; «Solo chi va subito può vedere che opportunità ci saranno per fare business»; «Il modo giusto per tornare è l´aereo»; «No, bisogna arrivare in barca a Varadero». Non si discute d´altro in tutta la Florida del Sud, dove i cubano-americani sono più di un milione e lo fanno con speranza, rabbia, paura o gioia. «Non voglio andare, non voglio perdere i ricordi che conservo da 48 anni: la mia scuola, la casa dei nonni, le immagini di un Paese normale. Sono scappata da L´Avana che avevo 13 anni e se adesso ci tornassi la mia memoria sarebbe cancellata da qualcosa che non conosco. Preferisco restare qui». Teresita Gonzalez ha 61 anni ed è arrivata negli Stati Uniti nel 1961 con l´operazione "Peter Pan", quando la Chiesa cattolica portò via da Cuba 14.780 bambini. Sta mangiando da sola da David´s, a Miami Beach. è una cliente abituale e i camerieri la prendono in giro: «E adesso cosa farete voi repubblicani, continuerete a combattere una guerra senza senso?». Lei non gli da retta, si sistema i capelli e il colletto della giacchetta, e racconta: «Se sei cubano e hai più di quarant´anni sei automaticamente considerato repubblicano, ma io penso che Obama abbia fatto l´unica mossa intelligente: rompere il muro. Adesso Cuba verrà contaminata ogni giorno di più da chi arriverà dall´America, e per il regime sarà sempre più difficile tenere in piedi l´immagine del diavolo a stelle e strisce». Per la vecchia guardia della comunità cubana, quelli scappati subito dopo la rivoluzione castrista e arrivati fino al 1980, l´embargo, le restrizioni alla possibilità di viaggiare, mandare denaro e regali erano una religione, qualcosa che non si doveva discutere, il giusto castigo contro il regime e l´unico risarcimento al dolore e alla rabbia di aver perso tutto. Ai giovani, quelli che sono scappati da Cuba negli ultimi 25 anni e che hanno lasciato sull´isola amici e familiari, tutto questo sembrava invece un´ingiusta punizione verso chi non aveva avuto la fortuna di sbarcare in America. Cinque mesi fa l´uomo simbolo della vecchia guardia, Mario Diaz Balart, aveva vinto ancora una volta, battendo sul filo di lana (52 a 48) il democratico Joe Garcia e conservando quel seggio al Congresso con cui la sua famiglia da decenni condiziona la linea degli Stati Uniti nei confronti di Castro. Mario adesso ha perso la voce, non ha più voglia di parlare con i giornalisti e si è limitato ad uno stringato comunicato scritto: «Obama ha fatto il peggiore degli errori, così arriveranno più soldi ad un tiranno che li userà per reprimere il popolo». Lo sconfitto di novembre invece è raggiante: «Avevo perso una battaglia, ma adesso sto vincendo la guerra, i Diaz Balart e il loro mondo sono stati superati dalla storia e stanno perdendo il loro potere». Mentre Obama è a Trinidad a riscrivere i rapporti con l´America latina, Joe Garcia passeggia per Miami Beach, raccoglie strette di mano e saluti come fosse ancora in campagna elettorale. La linea del presidente era il suo programma, e molti sostengono che sia il consigliere ombra della Casa Bianca per le politiche con Cuba. Un ragazzo corre fuori da un caffè per "battergli il cinque": «Sono cinque anni che manco da L´Avana e non vedo l´ora di tornare dai miei amici, ma c´è la crisi e non so quando avrò i soldi per partire». Tutti guardano a L´Avana, alle mosse che farà adesso il regime: «Obama ha fatto la prima mossa, adesso la palla è nel loro campo - sottolinea Joe Garcia - e tutto dipenderà da come si muoveranno. Obama ha mandato un messaggio forte a tutti i cubani: potete viaggiare, comprare, spendere e fare regali, ma se non ve lo faranno fare allora dovrete prendervela con il regime non con l´America. è un passaggio rivoluzionario: se io adesso spedisco a mio fratello i soldi per comprarsi una casa o un antenna parabolica per guardare la tv satellitare e gli viene impedito, la colpa non è più degli Stati Uniti che affamano ma di Fidel e Raul Castro». «Sono arrivato che avevo 13 anni e ricordo il mio stupore uscendo dall´aeroporto nel vedere le macchine americane, e poi la solitudine perché non parlavo inglese». Andy Diaz, 27 anni, all´ultimo mese della scuola di legge, fa parte di quella generazione "americanizzata", che ha lasciato i quartieri storici dell´immigrazione, non fa più vita di comunità e ha votato per Obama: «Non sono mai più tornato a Cuba, ma ho altre priorità: prima voglio visitare l´Italia. Mia madre non sta nella pelle mentre mio padre ha paura, perché nessuno sa come si comporterà il regime: è chiaro che se aumenteranno i viaggi loro perderanno il controllo su chi arriva e vedranno svanire l´immagine di un nemico di cui hanno un bisogno immenso. Perché i cubani americani andranno a casa dei parenti, e smonteranno gli stereotipi, racconteranno che in America certo c´è anche il razzismo, la povertà e un sistema sanitario iniquo, ma puoi lavorare, comprarti casa, viaggiare, mangiare quello che vuoi e che non è così male. Per questo molti hanno timore che il regime cercherà un nuovo scontro, un incidente che congeli tutto come quando per frenare Clinton abbatterono due piccoli aerei che lanciavano volantini». Si avvicina il cameriere, sente che parliamo di Cuba, racconta che non vede l´ora di andarci per sentire la musica dell´isola ma poi rivela la nuova paura della città: «Se a L´Avana apriranno un paio di casinò, se ci saranno alberghi e ristoranti decenti, allora nessuno verrà più qui: Miami diventerà solo uno scalo per Cuba e perderemo tutti i turisti. Perché là il mare è un´altra cosa e c´è la vera atmosfera dei Caraibi. Anche a Cancun farebbero bene a cominciare a preoccuparsi». A Little Havana ci sono ancora i cartelli di McCain nei giardini delle case, e l´industria della nostalgia è sempre fiorente: la gente continua ad andare nei piccoli musei dove guarda le foto di com´era Cuba negli Anni Cinquanta, sfoglia i vecchi elenchi del telefono per ritrovare gli amici, prende in mano le riviste che ricordano un mondo perduto. Al ristorante Versailles, il cuore dell´opposizione al regime castrista - fuori c´è una targa che lo definisce «Centro culturale e patriottico dell´esilio» - l´atmosfera è mesta, quando Obama ha fatto il suo annuncio non c´era nessuno, non hanno trovato la forza per protestare. Quando si è saputo che Fidel stava per morire qui fuori la gente in festa riempiva sette isolati, ma adesso c´è la sensazione che il gioco sia cambiato: le regole non si dettano più da qui. Il vecchio Armando Perez Roura, l´ottantenne che dirige Radio Mambi, la voce della destra anticastrista a Miami, è scatenato: «Obama ha fatto una concessione unilaterale ad un dittatore, l´avevo sempre detto che era un comunista». Ma anche ai tavoli del Versailles tutto è più sfumato. «Io sono contraria - dice Ana Maria Alemany - così si aiuta il governo, gli si danno soldi per resistere». Ma l´embargo non ha fatto cadere Castro: «La colpa è stata degli europei che sono stati ciechi e accondiscendenti per troppi anni con Fidel. Mi manca molto Cuba, ma non ci tornerò mai, almeno finché ci sono i comunisti». Il marito Joaquim, avvocato benestante, è molto meno netto: «Nel lungo periodo si rivelerà una scelta saggia, perché chi è rimasto a Cuba si renderà conto che vive nel posto sbagliato e delle falsità che per anni gli ha raccontato il regime». Ma l´idea di un lungo disgelo è prostrante per chi aveva sperato di veder crollare Castro, e Joaquim sconsolato si avvia verso la macchina: «Nemmeno la festa per la morte di Castro siamo riusciti a fare, ma morirà mai? Ho smesso di sperare anche in questo». La loro figlia invece ha votato per Obama e appena può andrà a vedere che cos´è Cuba. Miami è divisa tra la curiosità dei giovani, la nostalgia degli adulti e la paura di restare delusi dei vecchi. Lo scrittore Norberto Fuentes, l´autore di "Hemingway a Cuba", il dissidente che uscì dalla galera solo grazie a Gabriel Garcia Marquez, alla domanda su cosa farà il giorno che rimetterà piede a L´Avana risponde malinconico: «Io non ho nessuna nostalgia di tornare: cosa ci vado a fare, a coltivare delusioni?».

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sindacati canadesi e banche doppio scoglio per fiat-chrysler - salvatore tropea (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 15 - Economia Sindacati canadesi e banche doppio scoglio per Fiat-Chrysler Resistenze su taglio dei salari e crediti. Giovedì cda a Torino L´obiettivo è di ridurre il costo del lavoro al livello dei dipendenti di Toyota SALVATORE TROPEA TORINO - «O trovate un accordo con Fiat o non ci saranno finanziamenti»: così Barack Obama alla Chrysler. E Sergio Marchionne: «O si trova un´intesa con i sindacati o salta tutto e ce ne torniamo a casa». La settimana decisiva per l´alleanza tra Torino e Detroit parte domani da questi due ultimatum. Lo scoglio sono i sindacati, in particolare quelli canadesi, che non ci stanno a rivedere il costo del lavoro e fanno difficoltà anche sulla richiesta del Tesoro americano a trasformare in azioni almeno una parte dei crediti del fondo assistenza sanitaria. Ma sulla strada dei negoziatori ci sono anche le banche che, sempre in materia di conversione dei loro crediti in azioni, si oppongono e promettono contro-offerte puntando di fatto allo «spezzatino» della Chrysler. A Torino, dove giovedì si terrà un cda sui conti del primo trimestre 2009 che per ammissione di Marchionne saranno i peggiori dell´anno, si fa sapere che le possibilità di successo della partita americana sono al 50 per cento. Il presidente, il vicepresidente e l´ad del Lingotto concordano su questa previsione anche se sperano di poter arrivare al cda con la firma dell´accordo. Mentre non c´è alcuna conferma da parte loro su un´ipotesi di ampliamento dell´alleanza alla Gm o parte di essa. Lo scontro è dunque tutto americano. A cominciare dalla riunione che domani si terrà a Toronto tra i vertici della Chrysler e i sindacati della Canadian Auto Workers (CAW) tra i cui dirigenti c´è l´italo-canadese, Sandra Dominato. Venerdì davanti alla Chrysler di Windsor gruppi di operai hanno bruciato le lettere con le quali Bob Nardelli e Tom Lasorda chiedevano di fare un passo indietro per consentire di assicurare un futuro all´azienda in Canada. La materia del contendere è la riduzione del costo del lavoro che ammonta a 76 dollari canadesi all´ora contro i 57 dei dipendenti Toyota. A sostegno della proposta di eliminazione di questo gap è sceso in campo anche il ministro dell´Industria di Ottawa Tony Clement il quale ha minacciato in caso contrario di non dare un cent di finanziamento. Il governo canadese ha promesso di dare un miliardo di dollari se si raggiungerà un accordo. Con i sindacati Crhrysler deve risolvere anche la questione dei crediti. L´azienda è esposta nei confronti del fondo sanitario del sindacato, per 10,6 miliardi di dollari. La richiesta è di convertirne una parte in azioni con la possibilità per il fondo di entrare con una quota compresa tra il 20 e il 24% nel capitale di cui Fiat avrebbe inizialmente un 20 per poi salire al 35. Su questo punto ci sono le resistenze sia dei canadesi che degli americani. Su fronte banche la richiesta è di convertire in azioni almeno 5 dei 6,9 miliardi di dollari di crediti che esse vantano nei confronti di Chrysler. La proposta del governo di accettare 15 cent per ogni dollaro investito è stata bocciata dalle banche che hanno annunciato una controfferta. Resta da vedere quale effetto avrà la pressione della task force di Obama sulle banche: i maggiori creditori di Chrysler ovvero JP Morgan, Citigroup, Morgan Stanley e Goldman Sachs hanno ottenuto dal 90 miliardi di dollari dal governo. Ma JP Morgan e Goldman Sachs sarebbero intenzionate a restituire quanto ottenuto dal governo per non dover sottostare a condizionamenti e controlli.

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g8, albergatori sardi in rivolta "niente ospitalità ai diplomatici" - piergiorgio pinna (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 25 - Esteri Gli imprenditori: "Inaccettabili le condizioni del governo" G8, albergatori sardi in rivolta "Niente ospitalità ai diplomatici" "Lo Stato ci chiede di annullare le nostre prenotazioni Ma allora ci paghi tutte le camere" PIERGIORGIO PINNA SASSARI - Niente hotel di lusso per i politici e per i diplomatici impegnati nel G8 dal 9 al 12 luglio in uno dei paradisi del Mediterraneo, la Sardegna nord-orientale. Per loro le residenze in Costa Smeralda e a Porto Rotondo resteranno chiuse. Albergatori e imprenditori dell´industria sarda delle vacanze l´hanno detto chiaro e tondo allo staff di Guido Bertolaso, commissario per il summit alla Maddalena. «Le condizioni poste dal governo sono inaccettabili», sostengono. A spiegare i motivi del no sono i dirigenti di prestigiose catene, come la Starwood del multimiliardario Usa Tom Barrack, e altri proprietari dei regni che furono di Karim Aga Khan e dei conti Donà Dalle Rose. «Lo Stato italiano vorrebbe che annullassimo le altre prenotazioni per quel periodo e che riservassimo interamente tutti i nostri hotel a 5 stelle ai loro illustri ospiti». Ma in questo modo, affermano gli albergatori, da un lato verrebbe penalizzata l´abituale clientela, dall´altro lato si vorrebbero pagare solo le camere effettivamente utilizzate e nel frattempo pretendere l´uso in esclusiva di tutte le strutture. A rischiare un´ospitalità non impeccabile non sono i Grandi della Terra. Obama risiederà alla Maddalena in una stupenda residenza nell´ex arsenale militare. Gli altri capi di Stato verranno accolti a bordo di una supernave da crociera Msc che getterà l´ancora nelle splendide acque dell´arcipelago caro a Garibaldi. E per Gheddafi è già stata preparata la tenda appositamente richiesta dalla Libia. I problemi riguardano il seguito degli apparati diplomatici che parteciperanno al tour de force di tre giorni: un esercito di 16mila diplomatici, alti ufficiali, sherpa, traduttori, tecnici. Per martedì è stato fissato un incontro degli albergatori e dell´associazione industriali con il prefetto di Sassari. Non è improbabile che già in quella sede possa venire trovata una soluzione.

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zaia al g8 dell'agricoltura "sì ai dazi salva-imprese" - rodolfo sala (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 27 - Economia Zaia al G8 dell´agricoltura "Sì ai dazi salva-imprese" I Grandi: più qualità e sicurezza nel cibo RODOLFO SALA dal nostro inviato CISON DI VALMARINO (Treviso) - Un po´ no global, parecchio contro gli Ogm, sostenitore convinto della green economy di Obama, da lui citato in abbondanza. Però il leghista Luca Zaia, in questa prima giornata del summit con i suoi colleghi ministri dell´Agricoltura del G8, in un vecchio castello del Trevigiano, rilancia il vecchio tema dei dazi. «Non ho una posizione di protezionismo - dice - ma in una condizione di mercato libero occorre certamente trovare un punto di equilibrio: senza dazi sul riso prodotto in Tahilandia i nostri produttori di Vercelli verrebbero cancellati». Insomma: «E´ inevitabile che i costi di produzione siano diversi nei Paesi che noi rappresentiamo e in quelli in via di sviluppo, però negli scambi commerciali non ci devono essere handicap, anche perché c´è il rischio che la rincorsa sui prezzi porti all´appiattimento della qualità e della sicurezza alimentare». Per Zaia è quasi un´ossessione. Qualità e sicurezza diventano il punto centrale di questo vertice, che domani dovrebbe partorire un documento comune da presentare al G8 della Maddalena. Ci sono altre parole d´ordine ambiziose: lotta alla fame nel mondo, anche quella "nascosta", fatta di cibo "scadente e pericoloso, soprattutto per i bambini". Guerra alla contraffazione: «Su dieci prodotti dichiarati italiani, uno solo le è davvero». E uno stop deciso alla corsa verso il biocombustibile (secondo previsioni della Fao nel 2015 la produzione europea aumenterà del 47%). Mettere tutti d´accordo non sarà facile. Il ministro ne è consapevole, ma non rinuncia dire la sua. Intanto apre ai no global: «Io sono pronto a incontrare tutti, anche loro; anzi se fossero a questo vertice credo proprio che non ci sarebbero problemi: è difficile protestare con un ministro così…». Poi si dichiara contro gli ogm. Posizione "personale", e non del governo, ma lui tiene a precisarlo: «Su questo problema il mondo scientifico è spaccato a metà; e comunque chi rappresenta i cittadini deve tenere conto delle loro opinioni: quattro italiani su cinque sono contrari agli ogm, ne vogliamo parlare?». Su questo, Zaia ha già trovato una sponda nella collega tedesca Ilse Aigner, che ha appena decretato lo stop alla produzione di mais geneticamente modificato perché provoca la morte degli insetti. E naturalmente nella Francia, da sempre schierata sul no agli ogm. «Io no global? - sorride il ministro - Non faccio altro che portare anche nel settore dell´agricoltura le idee del mio partito: coerenza, difesa identitaria dei territori e dei contadini». Insomma: «La qualità alimentare non deve essere un lusso, ma uno standard per tutti, e quindi bisogna fare in modo che la triste logica del mercato non costringa i produttori a comprimere i costi necessari per garantire la sicurezza di quel che mangiamo». E Obama? «Sono anni che lo seguo, non da oggi: dice cose che noi diciamo da sempre, e la prima è che gli Stati uniti devono pensare ai loro agricoltori». Anche con l´imposizione dei dazi sui prodotti concorrenti, che hanno «costi bassi, ma anche bassissima qualità».

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volcker: "gli usa dovranno sgobbare a lungo" (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 27 - Economia La recessione Volcker: "Gli Usa dovranno sgobbare a lungo" Paul Volcker, ex presidente della Fed e ora consigliere economico di Barack Obama, sostiene che gli Usa per uscire dalla crisi dovranno "sgobbare a lungo".

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allison guiderà il salvataggio delle banche (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 27 - Economia La nomina Allison guiderà il salvataggio delle banche Herb Allison, numero uno di Fannie Mae, è stato scelto dall´amministrazione Obama come responsabile del piano di salvataggio delle banche da 700 miliardi di dollari.

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- dario olivero (sezione: Obama)

( da "Repubblica, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Pagina 38 - Spettacoli Michael Herr descrisse la "sporca guerra" in quel folgorante diario dal fronte che è "Dispacci". Più tardi, firmò le sceneggiature di due capolavori come "Apocalypse Now" di Coppola e "Full Metal Jacket" di Kubrick. Adesso, dopo anni di silenzio, si racconta in occasione della pubblicazione di un suo libro mai uscito prima in Italia. Ecco i ricordi dal set di chi ha trasformato l´orrore in grande cinema "Lavorare a quei film non fu questione di soldi, credevo molto nei progetti" "Mi piace guardare vecchi titoli in dvd, non penso di realizzare più copioni" DARIO OLIVERO «Andai laggiù per seguire la guerra, e fu la guerra a seguire me». è una delle frasi che colpirono gli americani quando si trovarono di fronte a Dispacci, quello che il New York Times nel 1977 definì il «miglior libro nato dalla guerra del Vietnam». Poteva diventare famoso il suo autore. Invece no. Michael Herr rimase semplicemente Michael Herr. A ventisette anni reporter di guerra e a ventinove già reduce. Con gli incubi che andavano a trovarlo «come un frammento di shrapnel che ci mette anni per farsi strada e uscire». Le notti calde di Saigon, i cadaveri accatastati nell´ospedale di Can Tho, lui che imbraccia una calibro trenta per coprire una pattuglia in ritirata, i colleghi morti. Dispacci fu la sua prima catarsi. Lo scrisse e si ritirò dalla scena, come avrebbe fatto o tentato di fare altre volte nella vita. Ma la guerra continuava a inseguirlo. Lo richiamò al fronte Francis Ford Coppola per fargli scrivere la narrazione di Apocalypse Now. Quando si sente la voce di Martin Sheen che dice: «Ognuno ottiene ciò che vuole. Io volevo una missione, e per scontare i miei peccati me ne hanno data una. Me l´hanno portata con il servizio in camera», c´è la mano di Herr. Finito il film si ritirò un po´ più lontano, a Londra, Kensington Gardens. Non bastò. La guerra lo raggiunse ancora. Passò meno di un anno e il suo amico David Cornwell, meglio noto come John Le Carré, lo presentò a Stanley Kubrick che stava lavorando a Full Metal Jacket. Per sei anni Herr scrisse la sceneggiatura del secondo capolavoro a cui contribuì. Restò vicino a Kubrick fino alla morte, scrisse un libro su di lui (Con Kubrick, minimum fax) poi si ritirò di nuovo. Ora vive sulle Catskill Mountains, Stato di New York. Scrivendo poco e parlando meno. Oggi Michael Herr, l´uomo che meglio di chiunque altro ha raccontato il Vietnam, rompe un silenzio di quasi vent´anni. «Full Metal Jacket fu in assoluto la fine della linea del fronte del Vietnam per me, la guerra smise di seguirmi dopo tanto tempo», dice. Comprese le attuali guerre in Iraq e Afghanistan. «Non credo alle nostre guerre e non le sostengo. Non seguo i reportage da quei fronti. In realtà non sono interessato alla guerra come soggetto e non seguo molto l´attualità. Niente tv, niente quotidiani, poche riviste e soprattutto su Internet». Esattamente trent´anni fa, a maggio del 1979, Apocalypse Now vinse la Palma d´oro al Festival di Cannes. Per Herr, due o tre vite fa. «Lavorai ad Apocalypse Now dopo averne visto un breve estratto che trovai fantastico. Ma la ragione principale era che volevo lavorare con Coppola che ammiravo e che mi piacque fin dal primo incontro. Era un progetto di cui volevo essere parte e non mi pentii neanche un secondo di averlo fatto». Le cose andarono allo stesso modo quando lo chiamò Kubrick. Ma stavolta fu qualcosa di più di un semplice sodalizio artistico. «Non fu mai una questione di soldi. Volevo lavorare con Stanley Kubrick, credevo molto nel progetto. Fin dal nostro primo incontro e per i sei anni che seguirono parlammo di Jung e dell´Ombra. Penso che sia una presenza molto attiva in quasi tutto quello che ho scritto, alla fonte di ogni violenza nel mondo. Rappresenta l´atto di repressione nel comportamento umano. La gente ha sempre una spiegazione razionale, "ragionevole", per la violenza che commette. Ma io penso che venga sempre dal lato oscuro...». In Italia sta per uscire un libro che Herr ha scritto nel 1990, Mr Winchell, la voce dell´America (Alet, 192 pagine, 17,50 euro). è la storia del primo cronista di gossip negli anni Trenta. La sua rubrica era pubblicata da tutti i quotidiani del gruppo Hearst e poi trasmessa per radio. Era uno degli uomini più influenti d´America, un suo giudizio poteva fare o disfare fortune o successi. Non fu secondaria la sua presa di posizione contro Hitler per l´entrata in guerra degli Stati Uniti. La televisione lo travolse. Non c´era più posto per lui nel nuovo mondo. Difficile trovare una biografia più distante da quella di Herr. Eppure un motivo c´è se l´uomo che è stato paragonato a Salinger per il suo isolamento volontario ha scelto questo personaggio per uno dei suoi rari libri. «Ci sono molte ragioni. Mi ricordo di Winchell nella mia infanzia, lo sentivo alla radio e lo leggevo sul giornale locale sei giorni a settimana. Sono cresciuto in una piccola città nello Stato di New York e Winchell rendeva New York City molto attraente agli occhi di un ragazzo. Amavo la sua storia, un uomo venuto da povertà e anonimato che raggiunge fama e potere inimmaginabili e poi cade di nuovo, al punto che quando muore pochi americani lo ricordano. Ero colpito anche dal suo essere un incrocio tra show business, politica e crimine. Personificava anche molte altre caratteristiche americane: sangue freddo, ambizione, energia, spirito di iniziativa. Era davvero una figura complessa, con tante sfaccettature, una vera canaglia ma anche affascinante, ammirevole a volte». Ma un uomo solo, condannato a essere solo, a non avere amici. E sempre sulla linea del fronte. Davvero nessuna affinità? «Siamo molto diversi come stile e come vita. Lui era un personaggio pubblico, io sono piuttosto riservato. E poi in effetti non ho mai pensato a me stesso come a un giornalista e neanche a un new journalist, ma come a uno scrittore. Ho sempre voluto scrivere sulla guerra e la guerra che scoppiò ai miei tempi era in Vietnam. Potevo affrontarla come soldato o come reporter. Scelsi di fare il reporter, una specie di gioco di ruolo che poi ho giocato in Dispacci». Per questo scrisse di non credere ai fatti senza il coinvolgimento in prima persona? «Credo nei fatti fino a un certo punto, ma non credo che i fatti siano necessariamente la verità o siano vicini alla verità. La prima persona fu assolutamente cruciale per scrivere quel libro». E la solitudine che lei sembra aver cercato tutta la vita? «Amo la solitudine, spesso la trovo necessaria, come molti scrittori. Ho passato molto tempo senza vedere nessuno a parte la mia famiglia e ne ho sempre avuto dei benefici». Ama ancora il cinema? «Tantissimo. Ma ora lo guardo in dvd e soprattutto vecchi film. Sto guardando quelli di Rossellini, girati molti anni fa ma sempre grandi. Non scrivo più per il cinema e non credo che lo farò ancora. Dopo aver lavorato con gente come Coppola e Kubrick mi sento spogliato. Studio e pratico il buddismo Vajrayana, è questo che mi interessa ora e occupa gran parte del mio tempo». Pensa che Barack Obama stia dando nuove speranze all´America? «Lo ammiro molto. Ha qualità che il suo predecessore non sapeva neanche esistessero. Per la prima volta negli ultimi otto anni non mi sento a disagio né provo vergogna per il mio Paese. In teoria l´uomo potrebbe vivere anche senza speranza e paura ma, fino a quando non riuscirà a farlo, sento qualche concreta speranza che il nuovo presidente possa cambiare il modo in cui l´America pensa se stessa». Così l´uomo che ha raccontato il Vietnam, dopo quasi quarant´anni, sembra tornato a casa. Non lo insegue più nessuno. La guerra è lontana, l´Ombra placata. Una moglie, due figlie grandi, foreste e montagne quando guarda dalla finestra. «è primavera qui sulle Catskills, fa ancora freddo e qualche volta nevica, ma maggio è dietro l´angolo, spero».

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A Obama diamo tempo, ma ascolti il nostro popolo (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

SPERANZA NERA NO AI BLITZ «A Obama diamo tempo, ma ascolti il nostro popolo» «Le sanzioni possono bastare: l'Europa ci creda fino in fondo»

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Caso politico L'ala dura del regime vuole arrestare il dialogo con Obama e sconfiggere i moderati alle elezioni (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Caso politico L'ala dura del regime vuole arrestare il dialogo con Obama e sconfiggere i moderati alle elezioni

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A che gioco sta giocando l'Iran? È solo una coincidenza che le dichiarazioni concilianti d... (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

A che gioco sta giocando l'Iran? È solo una coincidenza che le dichiarazioni concilianti del presidente Ahmadinejad circa la disponibilità ad accogliere le offerte di dialogo provenienti da Washington siano contemporanee alla condanna per spionaggio della giornalista americana di origine iraniana Roxana Saberi? In Medio Oriente, prendere qualche ostaggio prima di iniziare una trattativa è una tattica consolidata da secoli, ma l'incredibile condanna a 8 anni di reclusione di Saberi rischia di costituire un ostacolo forse insormontabile per un'amministrazione come quella di Obama, che è sì a caccia di qualche successo concreto, ma non a qualunque costo. È infatti imbarazzante, dopo tanta retorica benintenzionata nei confronti dei propri avversari e degli ex Stati-canaglia, far finta di niente e continuare su una linea conciliante mentre una cittadina americana viene condannata a una pena tanto severa per un'accusa molto verosimilmente inventata di sana pianta. Il presidente Ahmadinejad ha dato in questi anni ampie prove di un'abilità politica che va ben oltre il venerato concetto politico iraniano della «dissimulazione» estrema delle proprie reali intenzioni. Che sia spregiudicatezza portata al parossismo o che invece si tratti di una schizofrenia imputabile alle consuete lotte intestine al regime degli ayatollah (esacerbate dalle prossime elezioni presidenziali) lo scopriremo presto. Certo è che mentre si avvicina la scadenza dei «cento giorni», la politica estera non ha fin qui dato all'inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue soddisfazioni paragonabili agli sforzi intrapresi e agli azzardi accettati. «Vivere pericolosamente» non è il titolo di una ballade di Bruce Springsteen (o di Vasco Rossi), ma potrebbe ben essere lo slogan della politica estera obamiana. In particolar modo in Medio Oriente, Obama sta prendendo seri rischi di scontentare amici consolidati (Israele e i sauditi, innanzitutto,) a fronte di pochi segnali positivi concreti dagli Stati che fino a ieri rappresentavano la residua componente mediorientale dell'«asse del male» (la Siria e l'Iran). Certo, la partita sulla proliferazione nucleare e sull'equilibrio regionale che si gioca con l'Iran è importantissima. Il presidente americano sa bene che se gli riuscisse il duplice colpo di ottenere l'apertura di un dialogo effettivo ed efficace con l'Iran sulla questione del controverso programma atomico e di far stemperare i toni del virulento anti-sionismo del regime teocratico, potrebbe imporre una svolta storica alle prospettive di pace in tutta la regione. A Washington, nel frattempo - e non solo tra i repubblicani o al Congresso, ma probabilmente anche ai vertici del Dipartimento di Stato - in molti si chiedono quanto possa essere affidabile la sponda iraniana, a prescindere da chi la rappresenti. Ma la domanda cruciale è probabilmente diversa, e cioè come giocheranno le proprie carte gli altri attori regionali rilevanti e, tra questi, Israele e Arabia Saudita appunto. Che gli israeliani si fidino piuttosto poco del «nuovo corso» americano era noto ed evidente già durante la campagna elettorale, e le mosse successive del presidente Obama non hanno fatto che accrescere il nervosismo di Gerusalemme. Ma è Riad che teme particolarmente di essere lasciata col cerino in mano dagli americani, e di vedere rapidamente svalutata la carta più importante di quelle tradizionalmente a disposizione dai sauditi nella loro strategia mediorientale: ovvero il fatto che il sostegno americano al ruolo saudita nel Golfo non solo fosse indiscutibile (soprattutto da quando la monarchia meccana si era di fatto sfilata dal fronte anti-israeliano), ma venisse a essere oggettivamente e ulteriormente rafforzato dalla comune avversione all'Iran. L'unico modo per rassicurare Riad, e saggiare la sincerità dei buoni propositi iraniani, sarebbe quello, tutt'altro che semplice, di coinvolgere l'Arabia Saudita (magari insieme a Egitto e Giordania) come «parte terza» nel lungo, delicato e incerto processo di approccio tra Washington e Teheran (come suggerisce un recente paper pubblicato dalla Rand Corporation), così da farne una prima tappa per la costruzione di un sistema multilaterale di sicurezza collettiva nel Golfo, in grado successivamente di includere l'intero Levante, Israele, Libano, Siria e Palestina compresi.

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"Donne e blogger hanno più futuro di Ahmadinejad" (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Intervista Azar Nafisi FREDDEZZA E FANTASIA EROS RIVOLUZIONARIO "Donne e blogger hanno più futuro di Ahmadinejad" La scrittrice: il mio Paese ama la libertà Il consenso per il regime è al minimo FRANCESCA PACI «Sono figlia di due Iran una madre in carriera e un padre sognatore» «Il mio esempio è Simin la poetessa che a 82 anni continua a dar scandalo» Un best seller planetario CORRISPONDENTE DA LONDRA Le cose che Azar Nafisi ha taciuto dei suoi 18 anni nell'Iran khomeinista sono elencate nei diari che teneva quando, prima d'emigrare negli Stati Uniti, insegnava all'università Allameh Tabatabai: innamorarsi a Teheran, andare a una festa a Teheran, mangiare il gelato a Teheran, guardare i Fratelli Marx a Teheran. Bisogni privati negati dalla politica come leggere, «Leggere Lolita a Teheran», il libro che l'ha resa celebre in tutto il mondo. «Scrivo per tener vivo il Paese che la dittatura ha congelato», dice sprofondata nella poltrona chester di un caffè di South Kensington, il cuore opulento di Londra. Jeans, pullover azzurro, scarpe basse, ha appena presentato al festival «Free the World!» il suo secondo romanzo edito da Random House, «Things I've Been Silent About», le cose che ho taciuto, l'autobiografia cui lavora dal 2003, dalla morte della madre nell'ospedale a lei precluso di Teheran. In Italia sarà pubblicato da Adelphi. Sono passati cinque anni da «Leggere Lolita a Teheran». Perché ha taciuto tanto a lungo? «Raccontare la propria vita è difficile. La dittatura rende la sfera personale un tabù, il privato diventa politico. In Iran non potevo parlare della letteratura che amavo o degli amici arrestati e uccisi. Non riuscivo a parlare neppure del rapporto conflittuale con mia madre, verso cui nutrivo amore e risentimento, esattamente come verso il mio Paese. Ho cominciato a scrivere di lei quando è morta e non potevo tornare in patria a dirle addio, e ho scritto dell'Iran quando sono partita per Washington, nel 1997». Cos'è l'Iran per lei, sua madre, autoritaria e distante al limite dell'anaffettività, o suo padre, affascinante narratore di fiabe capace anche di mentire? «L'Iran è la somma dei due. Mia madre, nata da una famiglia benestante e moderna di Teheran, emancipata al punto da sposarsi due volte per amore e lavorare in banca rivendicando la propria indipendenza. E mio padre, nato nella conservatrice Isfahan, erede di una dinastia di studiosi religiosi, intellettuali e puritani. Lei voleva plasmarmi a sua immagine anche a costo di leggere di nascosto i miei diari, lui mi raccontava le storie de Il libro dei Re, che oggi insegno a mia figlia, ma mi rendeva anche complice dei suoi tradimenti con altre donne». Che Paese è oggi quello che ha lasciato? Da un lato il governo Ahmadinejad apre al dialogo con gli Stati Uniti, dall'altro incarcera con l'accusa di spionaggio la giornalista iraniano-americana Roxana Saberi e condanna a morte Delara Darabi che sarà impiccata lunedì per un reato commesso quando aveva 17 anni. «Non mi fido della politica. Il governo parla di aperture per calmare la gente e uccide nelle galere. L'Iran è una dittatura islamica ma, attenzione, è anche il Paese dove le donne hanno lanciato la «One Million Signatures Campaign», un milione di firme contro la repressione. È il Paese dei blogger, dei giornali democratici che non si scoraggiano se vengono chiusi, del Nobel Shirin Ebadi che, estromessa dalla carriera di giudice, si mette a fare l'avvocato dei diritti umani, della poetessa Simin Behbahani che a 82 anni non ha smesso di scrivere versi sulla libertà della donna e sul potere sovversivo dell'erotismo. Ahmadinejad lo sa: tempo fa ammise che a 30 anni dalla rivoluzione islamica le università continuano a fare resistenza. Credo nella società iraniana, la politica dovrà adeguarsi. L'Iran è diverso da altri Paesi, ad esempio il Venezuela, dove la dittatura è allo zenit. La nostra dittatura si è consumata come una candela. Vent'anni fa il giornalista Akbar Ganji credeva come me nella rivoluzione islamica, oggi è in esilio negli Usa e contesta il regime citando Hannah Arendt, Spinoza». Secondo una barzelletta raccontata a Gerusalemme, solo Obama può salvare l'Iran dalle bombe israeliane. Ha fiducia nel nuovo presidente americano? «Ho imparato a dubitare seguendo il proverbio inglese per cui prima di giudicare il pudding bisogna mangiarlo. Obama rappresenta la speranza, al punto che all'indomani della sua elezione una rivista iraniana è uscita titolando "Perché non possiamo avere uno come lui?" ed è stata chiusa. Ma aspetto. È giusto che provi a parlare con il governo, i governi parlano tra loro. Ma l'America del primo presidente afroamericano di nome Hussein deve ascoltare la gente, gli iraniani, quelli che vengono torturati, il popolo che dà legittimità al governo. Ahmadinejad ha vinto perché ha promesso ai poveri quello che non poteva mantenere, ma soprattutto perché non ci sono elezioni democratiche in Iran né osservatori internazionali, vedremo cosa accadrà la prossima volta». Europei e americani impazziscono per i suoi libri. Cosa si aspetta da loro, politicamente? «La comunità internazionale può piegare il regime iraniano con le sanzioni economiche, evitando prove di forza tipo raid aerei. Ma deve crederci. Mi sembra che il vero problema dell'Occidente oggi non sia l'economia quanto la mancanza di una visione. In Iran la gente muore per la libertà che i relativisti europei negoziano in cambio di un generico rispetto delle culture altre. I diritti sono universali, come il desiderio di leggere Lolita a Teheran, Roma, New York. Il regalo che il popolo iraniano può fare al mondo occidentale è l'immagine ideale che ne conserva discutendo in segreto di Calvino, Svevo, Hemingway, Nabokov». www.lastampa.it/paci

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No di Washington alla conferenza sul razzzismo (sezione: Obama)

( da "Stampa, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

No di Washington alla conferenza sul razzzismo NEW YORK Gli Stati Uniti non andranno alla conferenza dell'Onu contro il razzismo, in programma fra pochi giorni a Ginevra. La decisione è stata presa dall'Amministrazione Obama in ragione del testo della dichiarazione finale, che accusa Israele di «restringere la libertà di espressione». Gli Usa avevano già boicottato la prima conferenza sul razzismo, a Durban in Sudafrica nel 2001: per la forte ostilità degli organizzatori nei confronti dello Stato ebraico e perché anche in quell'occasione molti Paesi arabi e del Terzo Mondo avevano riproposto il paragone fra sionismo e razzismo. Dunque, il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Wood, ha fatto sapere «con rammarico» che «gli Stati Uniti non parteciperanno». Per evitare questa decisione le feluche di Washington nelle ultime settimane avevano profuso energie per emendare il testo dalle pesanti critiche a Israele e al sionismo ma le resistenze opposte da diversi Paesi musulmani l'hanno impedito. L'Amministrazione Obama voleva partecipare nell'ambito dei suoi sforzi per rilanciare il ruolo americano nelle organizzazioni internazionali, confermato dalla scelta di candidarsi al Consiglio per i Diritti Umani. Con questa decisione gli Stati Uniti si affiancano all'Italia e ad altri Paesi europei che, per non discriminare Israele, avevano già dato forfait. Sarà invece presente a Ginevra il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che in passato ha negato che la Shoà sia avvenuta e si è detto a favore della cancellazione di Israele dalla carta geografica. La scelta di Obama di non far partecipare gli Stati Uniti era stata auspicata da numerose associazioni ebraiche americane mentre a suggerire che sarebbe stato «comunque importante partecipare» era l'assemblea dei deputati afroamericani del Congresso e Human Rights Watch. \

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Teheran, otto anni alla giornalista arrestata (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Esteri data: 19/04/2009 - pag: 16 Diritti umani Roxana Saberi è rinchiusa nella prigione di Evin Teheran, otto anni alla giornalista arrestata Accusata di «spionaggio». Obama «deluso» Prevista domani l'esecuzione della pittrice Delara. Lettera dei genitori ai parenti della vittima: «Perdonatela» Da due mesi e 19 giorni Roxana Saberi, giornalista americanairaniana di 31 anni, è nella prigione di Evin a Teheran, un carcere dove vengono spesso rinchiusi i prigionieri politici, lo stesso in cui nel 2003 morì di emorragia celebrale la fotoreporter canadese Zahra Kazemi e lo scorso mese, in circostanze misteriose, il blogger iraniano Omidreza Mirsayafi. Ieri Teheran ha reso noto che Roxana è stata condannata a restare a Evin per 8 anni. In un processo a porte chiuse, lunedì, una Corte rivoluzionaria (che giudica le questioni di sicurezza nazionale) ha dichiarato la giornalista colpevole di spionaggio. Avrebbe usato la sua professione come copertura per trasmettere informazioni all'intelligence Usa. L'avvocato Abdolsamad Khorramshahi farà ricorso. In attesa del giudizio d'appello, le è stata negata la libertà su cauzione. E' la prima volta che una giornalista americana viene condannata per spionaggio in Iran. Il presidente Usa Barack Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton si sono detti «profondamente delusi». Dalla sua elezione, Obama ha dichiarato di voler scongelare i rapporti con Teheran, sospesi dopo la Rivoluzione Islamica nel 1979 e peggiorati per via delle ambizioni nucleari iraniane. Il caso di Saberi complica le cose. Roxana ha due passaporti, americano e iraniano. La mamma Akiko, giapponese, e il papà Reza, iraniano, vivono a Fargo, in North Dakota, dov'è cresciuta, diventando reginetta di bellezza nel 1998 e poi reporter tv, sognando di fare la corrispondente dall'estero. Nel 2002 l'agenzia «Feature Story News» che confeziona «storie » per le tv Usa l'ha scoperta e inviata in Iran. Tv, radio, online: sapeva fare tutto. E parlava il farsi. La Bbc inglese, la tv Fox e la radio Npr negli Usa l'hanno mandata in onda. Ma nel 2006 il ministero della «Cultura e della Guida Islamica» non le ha rinnovato l'accredito stampa. E' rimasta a Teheran. Scriveva un libro. Mandava ancora servizi a Npr (secondo la radio, col permesso alle autorità). Dal 31 gennaio non sono arrivate più telefonate né email a Fargo. Il 10 febbraio, una chiamata di 3-4 minuti da un luogo ignoto: «Mi hanno arrestata perché ho comprato una bottiglia di vino». Lo disse «con voce strana» al papà, raccomandò di non parlare alla stampa, perché sarebbe uscita presto. A marzo il ministero degli Esteri iraniano l'ha accusata di aver lavorato come giornalista senza autorizzazione. Reza e Akiko sono volati a Teheran, l'hanno vista una volta per 30 minuti, nel solo giorno della settimana concesso ai parenti: non era più in isolamento, stava abbastanza bene. L'8 aprile le autorità hanno cambiato versione: «Dicendo d'essere una reporter, conduceva attività di spionaggio». Il viceprocuratore della Corte ha detto che la ragazza si è dichiarata colpevole, il padre che l'hanno convinta a confessare in cambio della libertà, ignorando le successive dichiarazioni di innocenza. La condanna arriva in un momento delicatissimo. Alcuni esperti la leggono come un tentativo degli ultraconservatori in Iran di sabotare il dialogo con gli Usa: l'avversario del presidente Mahmoud Ahmadinejad alle elezioni di giugno, Mir Hossein Mousavi, vuole un avvicinamento. Altri osservano che Ahmadinejad si è recentemente mostrato più disponibile al dialogo. Negli ultimi anni ricercatori universitari con doppia nazionalità come Roxana sono stati incarcerati per mesi con l'accusa di spionaggio, ma poi liberati senza processo. Domani rischia di finire sul patibolo un'altra ragazza iraniana, la pittrice Delara Darabi, 23 anni, rinchiusa da 6 anni in un carcere di Rasht, nel nord del Paese. Delara è stata condannata a morte per l'omicidio di una cugina. Inizialmente si era detta colpevole, ritrattando in seguito. Il suo avvocato, Khorramshahi, lo stesso di Roxana Saberi, dichiara che le prove la scagionano ma i tribunali hanno rifiutato di esaminarle. Esaurite le vie legali, i genitori hanno inviato una lettera aperta a Hayedeh Amir-Eftekhari, una dei 5 figli della vittima, l'unica che finora ha rifiutato di concedere il perdono. Infatti i parenti della vittima possono salvare la vita della condannata. «Nostra figlia... ha fatto un errore», hanno ammesso i genitori della ragazza, ribadendo però la sua innocenza. Una manifestazione di artisti e attivisti è prevista per lei domani a Rasht. Ieri e oggi Roxana Saberi reginetta (Afp, sotto) e reporter (Afp, sopra) Viviana Mazza

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Accordo Fiat-Chrysler al tavolo finale (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Economia data: 19/04/2009 - pag: 27 Auto Domani il confronto in Canada. Il pressing del Tesoro americano su Citibank e Jp Morgan per il via libera sui crediti Accordo Fiat-Chrysler al tavolo finale Dopo il «sì» della Uaw forse giovedì al consiglio del Lingotto l'intesa con i sindacati Trattative verso la svolta, la svalutazione degli istituti per 6 miliardi. Il gruppo di Detroit: siamo ottimisti MILANO Sergio Marchionne è a Torino. In stretto contatto telefonico, ovviamente, con Washington e Detroit. La trattativa per Chrysler è nelle fasi cruciali, e le chance di riuscita appaiono superiori al cauto 50% cui tutti ufficialmente si attengono, ma in queste ore la presenza fisica dell'amministratore delegato Fiat non è necessaria. Perché tutto è impostato. Negli Usa, viso ormai familiare nelle stanze del Tesoro, il numero uno del Lingotto ha comunque fisso il suo «ufficiale di collegamento » Alfredo Altavilla. Ma sta alla task force di Barack Obama, ora, sciogliere l'ostacolo principale alla chiusura dell'accordo: le banche. E sta agli uomini Chrysler qui con un ruolo evidentemente più attivo, benché sullo sfondo, degli italiani ottenere l'altro via libera cui Marchionne condiziona l'intesa: quello dei sindacati. Americani in primo luogo, ma anche canadesi. È quest'ultimo, l'okay delle potenti organizzazioni dei lavoratori, il negoziato che sembra più vicino a una svolta. E che porta molti a scommettere che giovedì, quando al Lingotto si riunirà il consiglio convocato per la trimestrale, le brutte notizie ampiamente previste sul fronte dei conti possano essere più che bilanciate da un annuncio sull'accordo almeno con i sindacati. Lo fa pensare l'accelerata degli ultimi giorni. Prima, giovedì, le indiscrezioni confermate sull'ingresso della statunitense United Auto Workers nel capitale Chrysler, con una conversione in azioni di parte dei crediti sanitari e insieme con l'apertura alla condizione posta da Torino: il gruppo si può salvare solo con lo sforzo di tutti, quindi anche «l'aristocrazia operaia» di Detroit dovrà allinearsi al costo del lavoro delle altre fabbriche Usa, quelle a proprietà giapponese e tedesca. Poi, sempre giovedì, l'invito del ministro dell'Economia canadese al loro, di sindacato: «Scegliete: preferite fallire? ». Intervento che ha avuto almeno un effetto. Sono i più rigidi, i canadesi. Ma, domani, pure la Caw tornerà al tavolo. E se non è una strada tutta in discesa, sono in molti a prevedere un ammorbidimento. Tanto più che con la Uaw pare proprio, nel frattempo, quasi fatta: ieri è stato uno dei negoziatori Chrysler, Ronald Kolka, ad ammettere «Siamo ottimisti ». Resta il fronte bancario. Lì è la task force a trattare direttamente. I creditori Jp Morgan, Citigroup, Morgan Stanley e Goldman Sachs i principali hanno rifiutato la prima proposta di rimborso: un miliardo di dollari su sette. Preferirebbero il fallimento, da uno «spezzatino Chrysler» calcolano di poter ricavare da tre a cinque volte tanto. Ma il pressing della Casa Bianca continua, forte delle decine di miliardi versati proprio per i salvataggi finanziari: possono ora, i già poco amati banchieri, passare per quelli che spediscono in bancarotta un pezzo essenziale di industria americana? La controfferta, attesa nei prossimi giorni, darà la risposta. Sergio Marchionne, amministratore delegato Fiat Ron Gettelfinger, leader del sindacato Uaw Raffaella Polato

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La ripresa? Nel secondo trimestre 2010 (sezione: Obama)

( da "Corriere della Sera" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

Corriere della Sera sezione: Opinioni data: 19/04/2009 - pag: 32 CRISI E PREVISIONI La ripresa? Nel secondo trimestre 2010 di ROBERT B. REICH M i sono fatto la reputazione di indovino dell'economia. Nel marzo scorso, ho previsto che l'economia sarebbe precipitata nel baratro di lì a sei mesi. E sei mesi dopo, così è stato. Come facevo a saperlo? Ve lo dirò più avanti. In questo momento, prevedo che l'economia sarà in via di guarigione nel secondo trimestre dell'anno prossimo. Innanzitutto, esaminiamo i fondamentali dell'economia, come i rapporti storici tra valore immobiliare, affitti e redditi, e tra costo dei titoli e profitti aziendali. Il prezzo di case e titoli in questo momento sta scendendo a tale velocità che saranno un vero affare verso la metà dell'anno prossimo. Nel frattempo, dato il calo vertiginoso delle giacenze commerciali, le aziende saranno presto costrette a emettere nuove ordinazioni. Se oggi gli investimenti delle imprese per impianti e macchinari si avvicinano allo zero, verso il terzo trimestre del prossimo anno le ditte avranno bisogno di sostituire molti pezzi usurati. Sul versante dei consumatori, il netto calo della spesa per i beni durevoli significa che automobili ed elettrodomestici dovranno essere rimpiazzati verso la metà del nuovo anno. Già cominciate a capire dove voglio arrivare. Esiste una spiegazione chiamata «ciclo commerciale». Contrariamente alla legge di gravità di Newton, quello che va giù prima o poi dovrà tornar su. Ma come faccio ad essere così sicuro che la ripresa dei consumi si farà sentire nel secondo trimestre del prossimo anno? E se le prospettive pessimistiche dovessero protrarsi così a lungo da costringere imprese e consumatori a rimandare nuove spese e investimenti ben oltre la data in cui normalmente avrebbero provveduto? È qui che subentra il ciclo politico. Il partito del presidente perde seggi, solitamente, nelle prime elezioni a medio termine, ma Obama sa che potrà tenersi strette le sue maggioranze con una gestione oculata dell'economia. Gli elettori reagiscono ai trend economici più che ai livelli correnti, vale a dire più alla direzione generale dell'economia che alla situazione in corso. A prescindere dallo stato dell'economia nei mesi antecedenti le elezioni a medio termine nel novembre 2010, gli elettori assicureranno ai Democratici la maggioranza alla Camera e al Senato se avranno già sentore dell'imminente ripresa economica. (..) L'incognita resta il mastodontico salvataggio di Wall Street e dell'industria automobilistica, avversato dalla maggioranza degli americani. I salvataggi richiedono altro denaro dai finanziatori stranieri, soprattutto Cina e Giappone, e questo fa aumentare il rischio di tassi di interesse più elevati nella seconda parte del 2010. Un aumento dei tassi di interesse minaccia di soffocare la ripresa. Ma conoscendo il ciclo politico, l'amministrazione propenderà per uno smistamento rapido, lasciando alle banche in buona salute il compito di vedersela da sole, chiudendo quelle in difficoltà, e reclamando la partecipazione azionaria nelle banche e nelle industrie automobilistiche salvate dal fallimento. Se Obama saprà agire celermente, gli elettori vedranno aumentare il valore dei loro investimenti involontari entro il secondo trimestre del 2010. Sono queste le mie previsioni per la ripresa. E ricordate con quanta esattezza ho annunciato il disastro. Ma devo ammetterlo: da cinque anni andavo ripetendo che l'economia sarebbe crollata nel giro di sei mesi. traduzione di Rita Baldassarre © IPS Columnist Service 2009

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Obama conquista il Sudamerica I leader: "Ora via l'embargo a Cuba" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

PORT OF SPAIN - "Per il prossimo vertice vi propongo una marachella: perché non lo facciamo a L'Avana?". Scherzava, il presidente venezuelano Hugo Chavez nel corso della riunione tra Barack Obama e gli altri 11 capi di Stato dell'Unasur, e ha suscitato una risata generale. Ma lo scherzo nasconde il punto sostanziale che ha dominato il vertice delle Americhe di Trinidad, dove il presidente democratico Barack Obama ha fatto il suo debutto nell'altra metà dell'America conquistando di fatto la stima e la fiducia di gran parte degli undici leader latinoamericani. Tutti hanno battuto sul punto che il prossimo passo atteso dagli Stati Uniti è la cancellazione dell'embargo a Cuba. "Le relazioni con Cuba - ha detto chiaramente il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva - saranno un segno importante della volontà degli Usa di relazionarsi alla regione. Nel nostro continente non c'è posto per le politiche di isolamento". Nel successivo incontro con i giornalisti, Chavez ha sottolineato seriamente che il presidente Usa "è una persona intelligente" e che si propone di diventare "un suo amico". A suo modo storico è stato il gesto dell'apertura del vertice, quella stretta di mano tra Chavez e Obama che ha segnato la chiusura della stagione di rapporti tesi dell'epoca Bush. Quattro anni fa, in Argentina, il vertice delle Americhe fu dominato da tutt'altro tono, con l'aperta contestazione di Chavez contro le politiche "imperialiste" di George W. Bush. Il presidente venezuelano ha anche assicurato di non avere "alcun dubbio", sulla possibilità che migliorino i rapporti tra i Paesi della regione. OAS_RICH('Middle'); Gli ha fatto eco la presidente cilena Michelle Bachelet, che ha definito il dialogo "molto franco" e ha detto che lei ed i suoi colleghi, dopo il discorso di Obama, hanno accettato il suo proposito di "promuovere rapporti di rispetto mutuo e di costruire un'agenda concreta, che permetta di soddisfare le nostre necessità". Dal canto suo, il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorim ha sottolineato che "il grande test era il tema Cuba" e che, a suo avviso, "è stato fatto un piccolo passo avanti nella giusta direzione" e che, ora, "dovrebbe arrivare il momento del dialogo diretto". Sul tavolo della discussione di Port of Spain c'era anche la questione dei paradisi fiscali, che si trovano in quantità nell'area latinoamericana. Obama ha esortato ad una maggiore trasparenza i paradisi dell'area dei Caraibi pur riconoscendo che per cambiare le cose ci vorrà del tempo. Larry Summers, il consigliere economico della Casa Bianca, ha detto che il tema affrontato al recente G20 di Londra è stato affrontato anche al Vertice delle Americhe. "Alcuni paesi che hanno tratto notevoli vantaggi da questo loro status hanno evidenziato come l'afflusso di capitali fosse importante per la loro economia", ha detto Summers. "Il presidente comprende benissimo questa situazione e si è detto disponibile a lavorare a meccanismi di transizione - ha aggiunto - ma ha detto anche che questioni come quella dell'evasione fiscale e del segreto bancario devono essere affrontate e risolte per dar vita a un sistema economico e finanziario globale come quello che lui vorrebbe instaurare". (19 aprile 2009

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La mossa di Barack divide Little Havana (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

La stagione degli uragani è cominciata con sei settimane di anticipo quest'anno a Miami: la decisione di Barack Obama di togliere le restrizioni ai viaggi e all'invio di denaro a Cuba per chi ha parenti nell'isola, l'annuncio di un nuovo inizio nei rapporti con L'Avana, ha sgretolato un mondo che resisteva da quasi mezzo secolo. Ha spaccato le famiglie, approfondito le divisioni tra le generazioni e reso inservibile l'ultimo armamentario ideologico della Guerra Fredda. Ha creato un'attesa incredibile e dato vita ad un nuovo gioco di società che gira attorno alla domanda: "Partire o non partire?". Da lì poi la discussione ha mille variabili che si ascoltano ovunque: "Bisogna andare subito"; "Mai, non si deve tornare finché i Castro non saranno morti"; "Meglio aspettare, almeno un anno"; "Solo chi va subito può vedere che opportunità ci saranno per fare business"; "Il modo giusto per tornare è l'aereo"; "No, bisogna arrivare in barca a Varadero". Non si discute d'altro in tutta la Florida del Sud, dove i cubano-americani sono più di un milione e lo fanno con speranza, rabbia, paura o gioia. "Non voglio andare, non voglio perdere i ricordi che conservo da 48 anni: la mia scuola, la casa dei nonni, le immagini di un Paese normale. Sono scappata da L'Avana che avevo 13 anni e se adesso ci tornassi la mia memoria sarebbe cancellata da qualcosa che non conosco. Preferisco restare qui". Teresita Gonzalez ha 61 anni ed è arrivata negli Stati Uniti nel 1961 con l'operazione "Peter Pan", quando la Chiesa cattolica portò via da Cuba 14.780 bambini. Sta mangiando da sola da David's, a Miami Beach. È una cliente abituale e i camerieri la prendono in giro: "E adesso cosa farete voi repubblicani, continuerete a combattere una guerra senza senso?". Lei non gli da retta, si sistema i capelli e il colletto della giacchetta, e racconta: "Se sei cubano e hai più di quarant'anni sei automaticamente considerato repubblicano, ma io penso che Obama abbia fatto l'unica mossa intelligente: rompere il muro. Adesso Cuba verrà contaminata ogni giorno di più da chi arriverà dall'America, e per il regime sarà sempre più difficile tenere in piedi l'immagine del diavolo a stelle e strisce". OAS_RICH('Middle'); Per la vecchia guardia della comunità cubana, quelli scappati subito dopo la rivoluzione castrista e arrivati fino al 1980, l'embargo, le restrizioni alla possibilità di viaggiare, mandare denaro e regali erano una religione, qualcosa che non si doveva discutere, il giusto castigo contro il regime e l'unico risarcimento al dolore e alla rabbia di aver perso tutto. Ai giovani, quelli che sono scappati da Cuba negli ultimi 25 anni e che hanno lasciato sull'isola amici e familiari, tutto questo sembrava invece un'ingiusta punizione verso chi non aveva avuto la fortuna di sbarcare in America. Cinque mesi fa l'uomo simbolo della vecchia guardia, Mario Diaz Balart, aveva vinto ancora una volta, battendo sul filo di lana (52 a 48) il democratico Joe Garcia e conservando quel seggio al Congresso con cui la sua famiglia da decenni condiziona la linea degli Stati Uniti nei confronti di Castro. Mario adesso ha perso la voce, non ha più voglia di parlare con i giornalisti e si è limitato ad uno stringato comunicato scritto: "Obama ha fatto il peggiore degli errori, così arriveranno più soldi ad un tiranno che li userà per reprimere il popolo". Lo sconfitto di novembre invece è raggiante: "Avevo perso una battaglia, ma adesso sto vincendo la guerra, i Diaz Balart e il loro mondo sono stati superati dalla storia e stanno perdendo il loro potere". Mentre Obama è a Trinidad a riscrivere i rapporti con l'America latina, Joe Garcia passeggia per Miami Beach, raccoglie strette di mano e saluti come fosse ancora in campagna elettorale. La linea del presidente era il suo programma, e molti sostengono che sia il consigliere ombra della Casa Bianca per le politiche con Cuba. Un ragazzo corre fuori da un caffè per "battergli il cinque": "Sono cinque anni che manco da L'Avana e non vedo l'ora di tornare dai miei amici, ma c'è la crisi e non so quando avrò i soldi per partire". Tutti guardano a L'Avana, alle mosse che farà adesso il regime: "Obama ha fatto la prima mossa, adesso la palla è nel loro campo - sottolinea Joe Garcia - e tutto dipenderà da come si muoveranno. Obama ha mandato un messaggio forte a tutti i cubani: potete viaggiare, comprare, spendere e fare regali, ma se non ve lo faranno fare allora dovrete prendervela con il regime non con l'America. È un passaggio rivoluzionario: se io adesso spedisco a mio fratello i soldi per comprarsi una casa o un antenna parabolica per guardare la tv satellitare e gli viene impedito, la colpa non è più degli Stati Uniti che affamano ma di Fidel e Raul Castro". "Sono arrivato che avevo 13 anni e ricordo il mio stupore uscendo dall'aeroporto nel vedere le macchine americane, e poi la solitudine perché non parlavo inglese". Andy Diaz, 27 anni, all'ultimo mese della scuola di legge, fa parte di quella generazione "americanizzata", che ha lasciato i quartieri storici dell'immigrazione, non fa più vita di comunità e ha votato per Obama: "Non sono mai più tornato a Cuba, ma ho altre priorità: prima voglio visitare l'Italia. Mia madre non sta nella pelle mentre mio padre ha paura, perché nessuno sa come si comporterà il regime: è chiaro che se aumenteranno i viaggi loro perderanno il controllo su chi arriva e vedranno svanire l'immagine di un nemico di cui hanno un bisogno immenso. Perché i cubani americani andranno a casa dei parenti, e smonteranno gli stereotipi, racconteranno che in America certo c'è anche il razzismo, la povertà e un sistema sanitario iniquo, ma puoi lavorare, comprarti casa, viaggiare, mangiare quello che vuoi e che non è così male. Per questo molti hanno timore che il regime cercherà un nuovo scontro, un incidente che congeli tutto come quando per frenare Clinton abbatterono due piccoli aerei che lanciavano volantini". Si avvicina il cameriere, sente che parliamo di Cuba, racconta che non vede l'ora di andarci per sentire la musica dell'isola ma poi rivela la nuova paura della città: "Se a L'Avana apriranno un paio di casinò, se ci saranno alberghi e ristoranti decenti, allora nessuno verrà più qui: Miami diventerà solo uno scalo per Cuba e perderemo tutti i turisti. Perché là il mare è un'altra cosa e c'è la vera atmosfera dei Caraibi. Anche a Cancun farebbero bene a cominciare a preoccuparsi". A Little Havana ci sono ancora i cartelli di McCain nei giardini delle case, e l'industria della nostalgia è sempre fiorente: la gente continua ad andare nei piccoli musei dove guarda le foto di com'era Cuba negli Anni Cinquanta, sfoglia i vecchi elenchi del telefono per ritrovare gli amici, prende in mano le riviste che ricordano un mondo perduto. Al ristorante Versailles, il cuore dell'opposizione al regime castrista - fuori c'è una targa che lo definisce "Centro culturale e patriottico dell'esilio" - l'atmosfera è mesta, quando Obama ha fatto il suo annuncio non c'era nessuno, non hanno trovato la forza per protestare. Quando si è saputo che Fidel stava per morire qui fuori la gente in festa riempiva sette isolati, ma adesso c'è la sensazione che il gioco sia cambiato: le regole non si dettano più da qui. Il vecchio Armando Perez Roura, l'ottantenne che dirige Radio Mambi, la voce della destra anticastrista a Miami, è scatenato: "Obama ha fatto una concessione unilaterale ad un dittatore, l'avevo sempre detto che era un comunista". Ma anche ai tavoli del Versailles tutto è più sfumato. "Io sono contraria - dice Ana Maria Alemany - così si aiuta il governo, gli si danno soldi per resistere". Ma l'embargo non ha fatto cadere Castro: "La colpa è stata degli europei che sono stati ciechi e accondiscendenti per troppi anni con Fidel. Mi manca molto Cuba, ma non ci tornerò mai, almeno finché ci sono i comunisti". Il marito Joaquim, avvocato benestante, è molto meno netto: "Nel lungo periodo si rivelerà una scelta saggia, perché chi è rimasto a Cuba si renderà conto che vive nel posto sbagliato e delle falsità che per anni gli ha raccontato il regime". Ma l'idea di un lungo disgelo è prostrante per chi aveva sperato di veder crollare Castro, e Joaquim sconsolato si avvia verso la macchina: "Nemmeno la festa per la morte di Castro siamo riusciti a fare, ma morirà mai? Ho smesso di sperare anche in questo". La loro figlia invece ha votato per Obama e appena può andrà a vedere che cos'è Cuba. Miami è divisa tra la curiosità dei giovani, la nostalgia degli adulti e la paura di restare delusi dei vecchi. Lo scrittore Norberto Fuentes, l'autore di "Hemingway a Cuba", il dissidente che uscì dalla galera solo grazie a Gabriel Garcia Marquez, alla domanda su cosa farà il giorno che rimetterà piede a L'Avana risponde malinconico: "Io non ho nessuna nostalgia di tornare: cosa ci vado a fare, a coltivare delusioni?". (19 aprile 2009

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"Donne e blogger hanno più futuro di Ahmadinejad" (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

CORRISPONDENTE DA LONDRA Le cose che Azar Nafisi ha taciuto dei suoi 18 anni nell’Iran khomeinista sono elencate nei diari che teneva quando, prima d’emigrare negli Stati Uniti, insegnava all’università Allameh Tabatabai: innamorarsi a Teheran, andare a una festa a Teheran, mangiare il gelato a Teheran, guardare i Fratelli Marx a Teheran. Bisogni privati negati dalla politica come leggere, «Leggere Lolita a Teheran», il libro che l’ha resa celebre in tutto il mondo. «Scrivo per tener vivo il Paese che la dittatura ha congelato», dice sprofondata nella poltrona chester di un caffè di South Kensington, il cuore opulento di Londra. Jeans, pullover azzurro, scarpe basse, ha appena presentato al festival «Free the World!» il suo secondo romanzo edito da Random House, «Things I’ve Been Silent About», le cose che ho taciuto, l’autobiografia cui lavora dal 2003, dalla morte della madre nell’ospedale a lei precluso di Teheran. In Italia sarà pubblicato da Adelphi. Sono passati cinque anni da «Leggere Lolita a Teheran». Perché ha taciuto tanto a lungo? «Raccontare la propria vita è difficile. La dittatura rende la sfera personale un tabù, il privato diventa politico. In Iran non potevo parlare della letteratura che amavo o degli amici arrestati e uccisi. Non riuscivo a parlare neppure del rapporto conflittuale con mia madre, verso cui nutrivo amore e risentimento, esattamente come verso il mio Paese. Ho cominciato a scrivere di lei quando è morta e non potevo tornare in patria a dirle addio, e ho scritto dell’Iran quando sono partita per Washington, nel 1997». Cos’è l'Iran per lei, sua madre, autoritaria e distante al limite dell’anaffettività, o suo padre, affascinante narratore di fiabe capace anche di mentire? «L’Iran è la somma dei due. Mia madre, nata da una famiglia benestante e moderna di Teheran, emancipata al punto da sposarsi due volte per amore e lavorare in banca rivendicando la propria indipendenza. E mio padre, nato nella conservatrice Isfahan, erede di una dinastia di studiosi religiosi, intellettuali e puritani. Lei voleva plasmarmi a sua immagine anche a costo di leggere di nascosto i miei diari, lui mi raccontava le storie de Il libro dei Re, che oggi insegno a mia figlia, ma mi rendeva anche complice dei suoi tradimenti con altre donne». Che Paese è oggi quello che ha lasciato? Da un lato il governo Ahmadinejad apre al dialogo con gli Stati Uniti, dall’altro incarcera con l’accusa di spionaggio la giornalista iraniano-americana Roxana Saberi e condanna a morte Delara Darabi che sarà impiccata lunedì per un reato commesso quando aveva 17 anni. «Non mi fido della politica. Il governo parla di aperture per calmare la gente e uccide nelle galere. L’Iran è una dittatura islamica ma, attenzione, è anche il Paese dove le donne hanno lanciato la «One Million Signatures Campaign», un milione di firme contro la repressione. È il Paese dei blogger, dei giornali democratici che non si scoraggiano se vengono chiusi, del Nobel Shirin Ebadi che, estromessa dalla carriera di giudice, si mette a fare l’avvocato dei diritti umani, della poetessa Simin Behbahani che a 82 anni non ha smesso di scrivere versi sulla libertà della donna e sul potere sovversivo dell’erotismo. Ahmadinejad lo sa: tempo fa ammise che a 30 anni dalla rivoluzione islamica le università continuano a fare resistenza. Credo nella società iraniana, la politica dovrà adeguarsi. L’Iran è diverso da altri Paesi, ad esempio il Venezuela, dove la dittatura è allo zenit. La nostra dittatura si è consumata come una candela. Vent’anni fa il giornalista Akbar Ganji credeva come me nella rivoluzione islamica, oggi è in esilio negli Usa e contesta il regime citando Hannah Arendt, Spinoza». Secondo una barzelletta raccontata a Gerusalemme, solo Obama può salvare l’Iran dalle bombe israeliane. Ha fiducia nel nuovo presidente americano? «Ho imparato a dubitare seguendo il proverbio inglese per cui prima di giudicare il pudding bisogna mangiarlo. Obama rappresenta la speranza, al punto che all’indomani della sua elezione una rivista iraniana è uscita titolando “Perché non possiamo avere uno come lui?" ed è stata chiusa. Ma aspetto. È giusto che provi a parlare con il governo, i governi parlano tra loro. Ma l’America del primo presidente afroamericano di nome Hussein deve ascoltare la gente, gli iraniani, quelli che vengono torturati, il popolo che dà legittimità al governo. Ahmadinejad ha vinto perché ha promesso ai poveri quello che non poteva mantenere, ma soprattutto perché non ci sono elezioni democratiche in Iran né osservatori internazionali, vedremo cosa accadrà la prossima volta». Europei e americani impazziscono per i suoi libri. Cosa si aspetta da loro, politicamente? «La comunità internazionale può piegare il regime iraniano con le sanzioni economiche, evitando prove di forza tipo raid aerei. Ma deve crederci. Mi sembra che il vero problema dell’Occidente oggi non sia l’economia quanto la mancanza di una visione. In Iran la gente muore per la libertà che i relativisti europei negoziano in cambio di un generico rispetto delle culture altre. I diritti sono universali, come il desiderio di leggere Lolita a Teheran, Roma, New York. Il regalo che il popolo iraniano può fare al mondo occidentale è l’immagine ideale che ne conserva discutendo in segreto di Calvino, Svevo, Hemingway, Nabokov». www.lastampa.it/paci

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Iran, Ahmadinejad sul caso Saberi "Rispettare i diritti alla difesa" (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

TEHERAN - Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha chiesto alla magistratura di assicurare che siano rispettati i diritti alla difesa di Roxana Saberi, la giornalista irano-americana accusata di spionaggio a favore degli Stati Uniti e condannata a otto anni di reclusione, e del blogger Hossein Derakhshan, con doppia cittadinanza iraniana e canadese, in carcere da alcuni mesi. L'ufficio della presidenza ha inviato una lettera al procuratore capo di Teheran, Said Mortazavi, con cui chiede di "prestare personalmente attenzione a che le persone accusate godano di tutte le libertà e dei diritti legali per difendersi e che i loro diritti non vengano violati". Ieri il presidente americano Barack Obama si era detto "deluso" per la condanna di Roxana Saberi, ma era sembrato rinunciare ad avviare una polemica troppo aspra sul caso con le autorità di Teheran. Lo stesso aveva fatto la segretaria di Stato, Hillary Clinton. "Attraverso la Svizzera (che rappresenta gli interessi americani in Iran) esprimeremo la nostra preoccupazione alle autorità iraniane", ha detto Robert Gibbs, portavoce della Casa Bianca, lasciando intendere che Washington preferisce la via di una cauta diplomazia a una reazione dura che potrebbe dare il via a una guerra di dichiarazioni. Roxana Saberi, 31 anni, è nata negli Stati Uniti da padre iraniano e madre giapponese e vi è cresciuta. Ha quindi la cittadinanza americana, ma da sei anni vive in Iran con passaporto iraniano. E' in carcere dal 31 gennaio scorso. OAS_RICH('Middle'); Hossein Derakhshan, che ha 33 anni, è considerato il "padre dei blog iraniani". Dal 2000 risiede a Toronto, in Canada, ma nel novembre del 2008 è stato arrestato durante una visita a Teheran. L'uomo non è ancora stato processato. (19 aprile 2009

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Obama frena: l'embargo a Cuba resta (sezione: Obama)

( da "Stampaweb, La" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

WASHINGTON La fine dell’embargo degli Stati Uniti contro Cuba non è in programma per «domani». Il principale consigliere economico di Obama, Lawrence Summers, in un’intervista alla televisione americana Nbc, frena dopo le aperture a L'Avana del presidente al vertice di Trinidad con i leader latinoamericani . La fine dell’embargo «non sarà per domani e comunque dipenderà da quello che farà Cuba d’ora in avanti», ha detto Summers. Ieri, nel corso del Vertice delle Americhe a Trinidad, Obama ha fatto sapere che gli Stati Uniti cercano «un nuovo inizio» nei rapporti con Cuba. Il capo della Casa Bianca si è detto fiducioso di poter avviare contatti diretti con il governo dell’Avana, superando così una lunga stagione di «diffidenza». Il presidente ha detto di voler parlare di diritti umani, riforme democratiche e questioni economiche. Le relazioni degli Usa con i Paesi sudamericani sono in evoluzione. A Trinidad Tobago Obama ha salutato con una stretta di mano con il presidente venezuelano Hugo Chavez, che gli si è rivolto sottolineando: «Voglio essere tuo amico». «Ci siamo stretti la mano come gentiluomini. Era ovvio che accadesse», ha detto Chavez dopo l’incontro con Obama. E ha aggiunto: «È un uomo intelligente, diverso dal suo predecessore». Durante il suo discorso, nell’auspicare un contatto diretto con L’Avana, il presidente Obama ha rinnovato l’invito al governo di Castro a compiere dei «passi» in avanti, ribadendo la disponibilità della Casa Bianca ad impegnarsi con il governo cubano «su una serie di questioni». Nel riconoscere quello che ha definito «gli storici sospetti» sull’interventismo di Washington nell’America Latina, Obama ha d’altra parte chiesto ai leader latinoamericani presenti - dal brasiliano Lula, al messicano Felipe Calderon e il venezuelano Chavez - di non incolpare gli Usa «per ogni problema sorto nell’emisfero». Non sono solo gli Stati Uniti «a dover cambiare, tutti noi abbiamo delle responsabilità rispetto al futuro» - ha osservato Obama, offrendo nel contempo alla regione latino-americana «un dialogo fondato sul rispetto reciproco di valori condivisi» in cui non ci siano «partner di prima o di seconda categoria». Ma il tema chiave del discorso di Obama, e dell’intero "summit" americano, è proprio il nodo Cuba, anche perchè da più parti nelle ultime ore è stata chiesta la fine dell’embargo commerciale.

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Un deposito di CO2 sott'acqua il sogno verde di Manhattan (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

NEW YORK - Per il momento è ancora una proposta, ma quella lanciata dalla società immobiliare americana Scs Energy potrebbe essere presto una soluzione reale al problema del cambiamento climatico. Immaginate un deposito all'interno del quale stivare tutte le emissioni di anidride carbonica di New York. Una sorta di discarica del CO2 che potrebbe ricalcare il progetto norvegese di Sleipner, unico al mondo nel suo genere, di deposito di emissioni di gas serra sottomarino. E' questo l'ambizioso progetto avanzato dalla società Scs Energy con sede a Concord, nel Massachusetts: un impianto per contenere le emissioni di anidride carbonica e limitare il riscaldamento del globo terrestre da costruire al largo di New York. Secondo il New York Times, l'impianto sarebbe in grado di catturare le emissioni di anidride carbonica della Grande Mela per poi spingerle a 120 chilometri lontano dalla costa. Il gas verrebbe quindi iniettato in una arenaria posta ad un miglio sotto l'oceano nella speranza che vi rimanga per miliardi di anni. Da tempo gli esperti sostengono che la cattura di emissioni dalle centrali elettriche è una tecnologia cruciale per limitare i cambiamenti climatici. Tuttavia, i costi elevati del progetto e l'incertezza scientifica hanno pesato su un eventuale progresso per quanto riguarda l'utilizzo delle tecniche anche se gli effetti del riscaldamento globale cominciano a farsi sentire in tutto il mondo. Adesso la Scs Senergy sostiene non solo che è in grado di costruire l'impianto, il primo del genere al mondo, e quindi di farlo funzionare, ma anche di renderlo vantaggioso nonostante i costi che potrebbero sfiorare i 5 miliardi di dollari. Se il progetto venisse realizzato potrebbe poi essere un modello da copiare in altri Paesi. La chiave della proposta, che potrebbe essere esaminata a Washington, dove il presidente Barack Obama ha creato un team con l'incarico di valutare i piani relativi all'energia pulita, è la collocazione: un vecchio sito industriale vicino la costa di Linden, nel New Jersey, dall'altro lato di Staten Island. OAS_RICH('Middle'); La produzione di energia elettrica in questo sito permetterebbe all'azienda di venderla sui mercati più cari del Paese e l'iniezione di gas sotto il suolo dell'oceano, dove la pressione lo comprimerebbe, eliminerebbe i dubbi relativi all'incertezza che un simile progetto possa essere realizzato sul terreno. I dati relativi alle emissioni di anidride carbonica a livello globale del 2006 sono aumentati del 33% rispetto a quelli registrati nel 1990. E sono i paesi industrializzati i principali responsabili delle emissioni di gas serra. Il primato è degli Stati Uniti con 7 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (più 14,4% rispetto al 1990), in seconda posizione, la Cina responsabile di circa il 20% della CO2 emessa a livello globale, i 15 membri storici dell'Unione europea sono in terza posizione, davanti alla Russia e al Giappone. (19 aprile 2009

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Napolitano elogia la UE e Obama per il loro impegno sull'ambiente (sezione: Obama)

( da "Repubblica.it" del 19-04-2009)

Argomenti: Obama

ROMA - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, riconosce che "oggi abbiamo la grande novità di un forte impegno del presidente Obama per la tutela del clima", ma sottolinea anche come "l'Unione europea abbia preso posizione all'avanguardia senza aspettare che tutti gli altri protagonisti dell'economia mondiale fossero pronti a dare il loro contributo e ha aperto una strada che ci auguriamo possa essere seguita con successo". Il capo dello Stato ha parlato a margine dell'assegnazione del premio Wwf, che si è svolta nella tenuta di Castel Porziano, in occasione della Giornata delle oasi, che ha visto protagonista anche la tenuta presidenziale, aperta eccezionalmente oggi al pubblico. "E' un anno importante per la lotta delle conseguenze del cambiamento climatico - ha detto Napolitano - e credo che dobbiamo tutti comprendere che proteggere la natura significa anche dare il principale contributo alla lotta su questo fronte". Secondo il presidente della Repubblica, dal G8 può uscire un impegno comune maggiore per la tutela dell'ambiente. "Anche perché - ha aggiunto - dopo il G8 della Maddalena ci sarà la conferenza di Copenhagen che dovrebbe essere il momento e il luogo di decisioni concertate in materia di tutela ambientale su scala mondiale". Il capo dello Stato ha sottolineato l'importanza delle "nuove condizioni, più favorevoli" che stanno maturando negli orientamenti di alcuni grandi paesi, ha citato la presa di posizione del presidente Barack Obama e si è detto fiducioso della concertazione che si sta facendo tra i paesi del G20, "i quali rappresentano la grande maggioranza delle potenzialità dell'economia mondiale". Da Napolitano, quindi, un "messaggio di speranza e di valorizzazione dell'esempio che ha dato finora l'Unione europea". OAS_RICH('Middle'); Il capo dello stato ha voluto elogiare il lavoro che svolge quotidianamente il Wwf nell'"Italia Paese straordinario per natura e storia" e "l'eccezionale contributo che l'associazionismo e la cultura danno alla tutela del nostro patrimonio paesaggistico e naturale". (19 aprile 2009

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