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Report "Giustizia"  18-20 luglio 2009


Indice degli articoli

Sezione principale: Giustizia

Alla scuola pensa la Regione ( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: provvedimento che dà attuazione a una potestà riconosciuta dalle sentenze della Corte Costituzionale numero 13 del 2004 e numero 200 del 2009, e che, in questo modo, incardina sulla Regione la ripartizione delle cattedre all'interno delle quote stabilite dal ministero ma secondo criteri più coerenti con la distribuzione della popolazione e con le esigenze didattiche della Sardegna».

canoni depurazione, da ottobre i rimborsi ( da "Nuova Venezia, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: secondo una sentenza della Corte Costituzionale, perché le famiglie abitavano in zone prive di collegamento agli impianti di depurazione. «Agli utenti dell'Asi per i quali si è riscontrato che la via non è collegata a impianti di depurazione - spiega Teso - già con la fatturazione scaduta a maggio non è stata più applicata la quota riferita alla depurazione.

esposto al csm ( da "Centro, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Teramo ESPOSTO AL CSM ESPOSTO AL CSM Un legale: «Non lo sapevo» GIULIANOVA. «Sono del tutto all'oscuro dell'avvenuta presentazione dell'esposto al Csm che ho appreso essere stato depositato dai coniugi Fiorello Di Rocco e Clorinda Ciarelli. Difendo i due solo dal punto di vista giuridico»: così l'avvocato Gianfranco Iadecola interviene sull'

La Consulta boccia i magistrati che si trasformano in politici ( da "Tempo, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Csm in relazione alla norma dell'ordinamento giudiziario che vieta l'iscrizione nei partiti politici. Lo spunto per chiedere il pronunciamento della Consulta riguardava il caso di Luigi Bobbio,

cancellati i risarcimenti ai comuni "il governo scoraggia le parti civili" - gabriele isman ( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: e forse la Corte Costituzionale» risponde Cipriani. In parlamento il Pd aveva provato con un emendamento a correggere la norma, ma l´idea non è passata, e persino un ordine del giorno in questo senso è stato bocciato. «La decisione del parlamento di Roma di svuotare il peso delle costituzioni di parte civile degli enti locali nei processi di mafia,

La Corte Costituzionale: bastacon le toghe nei partiti politici ( da "Secolo XIX, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale: bastacon le toghe nei partiti politici il caso del magistrato (fuori ruolo) di an ROMA. Il magistrato, anche se fuori ruolo, non deve essere iscritto a partiti politici. Lo ribadisce la Consulta sottolineando che «nel disegno Costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare

Magistrati schierati, giro di vite ( da "Italia Oggi" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: di Vittorugo Mangiavillani e Roberto Ormanni * La Corte costituzionale ribadisce il divieto di iscriversi ai partiti e di assumere incarichi Magistrati schierati, giro di vite Monito della Consulta: nessuna partecipazione in politica I magistrati non possono iscriversi ai partiti politici, assumere incarichi ed apparire «organicamente schierati».

Cartelle, valida consegna al 1/6/08 ( da "Italia Oggi" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: È quanto stabilito dalla Corte costituzionale che, con l'ordinanza n. 221 di ieri ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questione sollevata dalla commissione tributaria regionale di Venezia in relazione all'articolo 36, comma 4-ter, del dl 248 del 2007 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria)

( da "Nazione, La (Pistoia)" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: LA SUPREMA CORTE Costituzionale rende noto l&#... «LA SUPREMA CORTE Costituzionale rende noto l'avvocato Marco Baldassarri, con la sentenza depositata lo scorso 9 febbraio, ha totalmente annullato il pronunciamento della Corte d'Appello di Firenze, a seguito della quale il Notaio Marco Regni era stato ritenuto responsabile dei fatti ascrittigli nell'

Difesa di Ignazio Marino dai graffi della Scaraffia ( da "Riformista, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: approvazione della legge 40 e smascherata nel suo cinismo dalla Corte costituzionale. È incredibile che persino il dibattito precongressuale del Pd debba diventare un espediente per riproporre scenari fantabioetici sulle minacce della tecnoscienza, con tanto di multinazionali del farmaco che complottano contro il benessere dell'umanità (a proposito, a chi li facciamo produrre i farmaci,

Corte costituzionale: la questione morale per i due giudici ( da "Libertà" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: dal Presidente della commissione Affari costituzionali del Senato e da un altro giudice della Consulta. Per questo motivo è forse opportuno ricordare che la Corte Costituzionale - che Luigi Mazzella e Paolo Napolitano hanno l'onore di rappresentare - è il principale organo di garanzia del sistema e deve essere quindi autonoma e indipendente.

Bonus famiglia, bando da riaprire ( da "Eco di Bergamo, L'" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: tenuto conto anche delle convezioni internazionali e delle disposizioni costituzionali. Inoltre, la giurisprudenza della Corte costituzionale ritiene illegittime, anche a livello legislativo, delle prescrizioni che irragionevolmente richiedono un livello minimo di reddito - presupposto necessario per ottenere la carta di soggiorno Ue - per accedere ad una provvidenza economica,

Teheran torna verde Rafsanjani sfida Khamenei: liberate gli arrestati ( da "Unita, L'" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: una sorta di Corte costituzionale, per avere troppo frettolosamente e superficialmente confermato la validità del voto. A NOME DEGLI ESPERTI Un passaggio fondamentale del discorso è quello in cui Rafsanjani definisce le proprie dichiarazioni frutto di consultazioni in seno ai due organismi da lui presieduti: il Consiglio per gli interessi dello Stato,

Bombe negli hotel in Indonesia: 8 morti e 50 feriti ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: pagina 14 Per i magistrati divieto di iscriversi ai partiti La Corte costituzionale ha giudicato legittima la previsione del divieto di iscrizione a partiti politici e di partecipazione alla loro attività posto a carico dei magistrati. u pagina 24, commento u pagina 12 Milano: vietato l'uso di alcol ai minori di 16 anni Da lunedì a Milano stop al consumo di alcol per gli under 16.

L'autonomia non ha tessere ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Un divieto che sul piano costituzionale non fa una piega. O almeno questo è stato il verdetto della Corte costituzionale chiamata in causa dal Csm. Troppo cruciale è la necessità di tutelare i valori di indipendenza e imparzialità della magistratura. Che deve apparire, non solo essere, autonoma.

Limite ammesso ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale, sentenza n. 224 del 2009 La Costituzione, quindi, se non impone, tuttavia consente che il legislatore ordinario introduca, a tutela e salvaguardia dell'imparzialitàe dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, il divieto di iscrizione ai partiti politici peri magistrati: quindi, per rafforzare la garanzia della loro soggezione soltanto alla Costituzione e alla

Per i magistrati divieto di iscrizione ai partiti ( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte costituzionale promuove la riforma Castelli Per i magistrati divieto di iscrizione ai partiti Vanno garantiti i valori di indipendenza e imparzialità Giovanni Negri MILANO Il magistrato non deve essere iscritto a partiti politici. Perché l'estraneità «alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'

No ai magistrati dirigenti di partito ( da "Manifesto, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: CORTE COSTITUZIONALE No ai magistrati dirigenti di partito I magistrati non possono iscriversi a partiti politici e tantomeno essere dirigenti in un partito. Possono invece candidarsi in parlamento (purché fuori ruolo) ed esprimersi come tutti i cittadini su questioni politiche.

La Consulta: no ai magistrati nei partiti ( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale (sentenza 224) che ha ritenuto infondata una questione di illegittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Il caso è quello dell'ex pm Luigi Bobbio già senatore di An, oggi capo di gabinetto del ministro Meloni sotto processo disciplinare al Csm perché dopo la fine del mandato parlamentare aveva ricoperto a Napoli

La sfida di Rafsanjani: ( da "EUROPA ON-LINE" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: avallo dello stesso da parte della corte costituzionale iraniana e di Khamenei. Come previsto alla vigilia, il capo dell'Assemblea degli esperti e del Consiglio per il discernimento per l'interesse dello stato ha toccato due temi-chiave dell' asproconfronto che ha avvolto il sistema politico di Teheran all'indomani del voto.

Guardie padane anche dalla Consulta ( da "Corriere del Veneto" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte costituzionale dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Verona nei confronti della Camera dei deputati». Un'attesa lunga qualcosa come otto mesi finché ieri, da parte della Consulta, è stata depositata l'ordinanza che scrive la parola «

Anche la Consulta le Guardie ( da "Corriere del Veneto" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corriere del Veneto sezione: PRIMAPAGINA data: 18/07/2009 - pag: 1 Corte costituzionale PROCESSO «CAMICIE VERDI» Anche la Consulta «assolve» le Guardie VERONA - Dopo otto mesi, ieri da parte della Consulta è stata depositata l'ordinanza che scrive la parola «fine» al famigerato caso Guardie Padane. A PAGINA

Nieri: è contrario al Vangelo proibire ai poveri di mendicare ( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, non di certo un pericoloso sovversivo, a proposito del primo pacchetto sicurezza (quello targato Veltroni-Amato) disse che il legislatore dovrebbe tacere per almeno settantadue ore dopo un efferato fatto di cronaca.

La Consulta: no ai magistrati nei partiti ( da "Corriere del Veneto" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale (sentenza 224) che ha ritenuto infondata una questione di illegittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Il caso è quello dell'ex pm Luigi Bobbio già senatore di An, oggi capo di gabinetto del ministro Meloni sotto processo disciplinare al Csm perché dopo la fine del mandato parlamentare aveva ricoperto a Napoli

E stavolta Di Pietro evoca persino le Br ( da "Giornale.it, Il" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: alle cenette del giudice della Corte costituzionale». Traduzione: Berlusconi è colpevole, Alfano è delegittimato, se la Corte costituzionale non boccerà il Lodo Alfano sarà perché anche la Consulta è corrotta. Poi, terzo delirio dipietresco: «Spero davvero che la magistratura possa, anche attraverso le dichiarazioni di Ciancimino junior,

( da "Avvenire" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: divieto anche ai fuori ruolo DA R OMA G IOVANNI G RASSO L a Corte Costituzionale boccia un ricorso del Csm, stabilendo che il divieto di iscrizione e partecipazione alla vita di partito vale per tutti gli appartenenti alla magistratura, anche se fuori ruolo. La vicenda era scaturita dall'azione disciplinare, intentata dal procuratore generale della Cassazione,

CORRADO CASTIGLIONE Basta toghe in politica: anche se fuori ruolo, il magistrato non deve essere ... ( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Alta Corte ha sottolineato che «nel disegno Costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente e imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato,

Partecipate: Ingenti risorse a non eletti . Addio quote nelle Fiere ( da "Gazzettino, Il (Udine)" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale, che tuttavia ha validato la legge in quanto difende la concorrenza. Non solo: la finanziaria 2008 ha rincarato la dose, con «l'obbligo per le amministrazioni pubbliche - afferma il procuratore - di dismettere le società o le partecipazioni in società che hanno per oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessarie al perseguimento delle finalità

Dirigenti, troppo spoil system ( da "Gazzettino, Il (Udine)" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ma assai importanti per i conti regionali, la Corte riserva alla sentenza 74 della Corte costituzionale, che quest'anno ha sancito il diritto delle Regioni a ottenere la compartecipazione all'Irpef dei propri pensionati, cosa che il Governo ha riconosciuto ma soltanto parzialmente liquidato: 20 milioni per il 2008.

Giustizia/ Castelli: Bene la Consulta, no a toghe in ( da "Virgilio Notizie" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: La sentenza della Corte Costituzionale che vieta l'iscrizione ai partiti politici dei magistrati, anche se fuori ruolo, fa giustizia di tutti gli strali che tanti saccenti magistrati di sinistra hanno lanciato contro di me quando ero Ministro della Giustizia, rivendicando la supposta garanzia costituzionale di poter esternare opinioni politiche"

GIUSTIZIA/ CASTELLI: BENE LA CONSULTA, NO A TOGHE IN POLITICA ( da "Wall Street Italia" del 18-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: no a toghe in politica -->"La sentenza della Corte Costituzionale che vieta l'iscrizione ai partiti politici dei magistrati, anche se fuori ruolo, fa giustizia di tutti gli strali che tanti saccenti magistrati di sinistra hanno lanciato contro di me quando ero Ministro della Giustizia, rivendicando la supposta garanzia.

Nel Museo a Mondovì duemila ceramiche di Levi ( da "Stampa, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ex giudice della Corte Costituzionale, nipote di Marco Levi -. A settembre, quando s'inizierà con l'allestimento museale affidato all'architetto Ferdinando Fagnola, non si partirà da zero perché si è creato un gruppo di consulenza per il percorso storico-artistico del Museo ed è stato predisposto il progetto di allestimento generale e gli impianti multimediali»

Sentenza fa "tremare" la Gori ( da "Citta' di Salerno, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Se tale tesi prevale, la Gori potrebbe restituire agli utenti milioni di euro con effetti dirompenti, ancor più della restituzione del canone di depurazione, proclamata dalla Corte costituzionale, ma evitata da una legge beffa. Gaetano Ferrentino

pescara, la città ( da "Centro, Il" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: unite della Corte di Cassazione (ordinanza numero 13894 del 15 giugno 2009) e rimessa alla Corte Costituzionale. In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, si può dire che l'istanza di rimborso della differenza tra Tia e Tarsu vada indirizzata al Comune ed in caso di rifiuto espresso o tacito, una eventuale controversia debba essere rimessa alle Commissioni Tributarie.

una democrazia malata che deve guarire - eugenio scalfari ( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Napolitano, com´è noto, ha promulgato la legge sulla sicurezza approvata dal Parlamento ma ha accompagnato la sua firma con una lunga lettera diretta al presidente del Consiglio, ai ministri proponenti (Maroni, Alfano), ai presidenti delle Camere e al presidente della Corte costituzionale. SEGUE A PAGINA 23

MARCIANA MARINA BOTTA E RISPOSTA tra il Pd e l'amministrazi... ( da "Nazione, La (Livorno)" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: a segnalare la posizione della giurisprudenza formatasi a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittime le procedure di progressioni verticali ove non rispettose del "bilanciamento" del 50% dei posti riservati rispetto all'accesso dall'esterno. La giunta, proprio in virtù del parere tecnico, ha apportato modifiche all'ipotesi in precedenza delineata».

Governo mondiale dei giudici? No grazie ( da "Riformista, Il" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: che attualmente è uno dei membri della Corte costituzionale del nostro Paese, pone problemi di grande rilievo per le democrazie. C'è, si chiede Romano, il rischio che esse si trasformino in "jurecrazie"? La questione non è affatto pellegrina, ed è stata già sollevata in modo autorevole da diversi studiosi.

Il caso arriva alla Consulta ( da "Nazione, La (Arezzo)" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: SALTA OGNI RETRIBUZIONE INDICE PUNTATO in direzione della corte costituzionale: per la prima volta in Italia, l'Inca aretina, il patronato della Cgil, solleva un caso che farà scalpore. La vicenda riguarda un lavoratore in dialisi, che non si è visto adeguatamente tutelato. Il patronato Cgil, assistito dall'avvocato Angelo Gargano, ha sollevato il problema davanti ai vertici dell'

I conservatori contro Rafsanjani Cento arresti al corteo di venerdì ( da "Unita, L'" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: una sorta di Corte costituzionale, ha ratificato la vittoria di Ahmadinejad, rifiutandosi di esaminare attentamente i ricorsi dei candidati Mousavi e Karroubi, che dicono di avere perso solo a causa di brogli massicci. Yazdi si chiede se nel dare credito ai sospetti di frode, Rafsanjani non contribuisca a «piantare i semi della discordia»

, stasera lo spoglio dei voti in piazza ( da "Gazzetta di Parma (abbonati)" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Noto giudice della Corte Costituzionale, Mazzella è anche autore di numerosi testi di saggistica. Oltre agli autori erano presenti il Presidente della Fondazione Città del Libro, Giuseppe Benelli e il sindaco Franco Gussoni. Al termine delle due presentazioni, inoltre, Benelli ha ricevuto il Premio alla Carriera: un dipinto dell'artista Arrighi,

Se però questo volesse dire arrivare a dopo l'approvazione definitiva del Trattato (rit... ( da "Messaggero, Il" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale tedesca. In buona sostanza in questa pronuncia, ampia e tecnicamente complessa, si fissa un principio: se si vuole davvero far fare alla UE il salto di qualità di una maggiore integrazione, bisognerà passare per una consultazione diretta della popolazione (referendum), perché la UE ha un deficit di democrazia che non può essere colmato solo dalla elezione popolare

MEGLIO non sottovalutare l'attuale momento dell'Unione Europea: siamo davanti ad un intrico di s... ( da "Messaggero, Il" del 19-07-2009) + 2 altre fonti
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte Costituzionale tedesca. In buona sostanza in questa pronuncia, ampia e tecnicamente complessa, si fissa un principio: se si vuole davvero far fare alla UE il salto di qualità di una maggiore integrazione, bisognerà passare per una consultazione diretta della popolazione (referendum), perché la UE ha un deficit di democrazia che non può essere colmato solo dalla elezione popolare

Perché la sentenza della Corte tedesca mette a rischio il Trattato di Lisbona ( da "Corriere del Veneto" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: responsabilità di proporre il trasferimento incondizionato e definitivo di poteri di obiettiva rilevanza costituzionale ad organi dell'Unione che la Corte Costituzionale ha già giudicato privi della legittimazione democratica necessaria. Ne originerebbero ragioni di perplessità in altri Paesi. La sentenza della Corte Costituzionale tedesca porta la data del 30 giugno di quest'anno.

Perché la sentenza della Corte tedesca mette a rischio il Trattato di Lisbona ( da "Corriere del Mezzogiorno" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: responsabilità di proporre il trasferimento incondizionato e definitivo di poteri di obiettiva rilevanza costituzionale ad organi dell'Unione che la Corte Costituzionale ha già giudicato privi della legittimazione democratica necessaria. Ne originerebbero ragioni di perplessità in altri Paesi. La sentenza della Corte Costituzionale tedesca porta la data del 30 giugno di quest'anno.

Una democrazia malata che deve guarire ( da "Repubblica.it" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ai presidenti delle Camere e al presidente della Corte costituzionale. OAS_RICH('Middle'); La lettera elenca i punti critici della legge che, secondo il presidente della Repubblica, rischiano di inceppare l'ordinamento penale vigente suscitando effetti contraddittori rispetto a quelli voluti e interpretazioni molteplici da parte di chi dovrà attuarne le norme.

Mauritania/ Presidenziali, opposizione denuncia "farsa ( da "Virgilio Notizie" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Boulkheir ha chiesto che le autorità competenti come la Corte Costituzionale e il Ministero degli Interni "non accettino di ratificare i risultati" e ha invitato la popolazione a mobilitarsi per "far fallire questo golpe elettorale". Secondo i dati diffusi dal Ministero dell'Interno, con un terzo dei voti scrutinati Abdel Aziz avrebbe raccolto il 51,6% delle preferenze,

Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola ( da "Blogosfere" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: CSM gli preferì Antonino Meli per la carica di procuratore capo di Palermo"). Nel secondo video sono racchiusi alcuni frammenti di un'intervista rilasciata da Borsellino a Lamberto Sposini dopo la morte di Giovanni Falcone, in cui la stanchezza e la delusione per la perdita del collega-amico si contrappone alla determinazione per portare in fondo la lotta alla criminalità organizzata

Mauritania;Presidenziali, opposizione denuncia "farsa elettorale" ( da "ApCOM" del 19-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Boulkheir ha chiesto che le autorità competenti come la Corte Costituzionale e il Ministero degli Interni "non accettino di ratificare i risultati" e ha invitato la popolazione a mobilitarsi per "far fallire questo golpe elettorale". Secondo i dati diffusi dal Ministero dell'Interno, con un terzo dei voti scrutinati Abdel Aziz avrebbe raccolto il 51,6% delle preferenze,

Sciopero contro referendum costituzionale di Tandja ( da "Manifesto, Il" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Tandja ha licenziato i giudici della Corte costituzionale che si erano opposti per tre volte alla convocazione del referendum. A chi lo accusava di aver compiuto un «colpo di stato», ha risposto organizzando in fretta e furia questo referendum con cui vorrebbe cambiare la costituzione per ricandidarsi.

Un mondo che simbolicamente ruota attorno al Petruzzelli ( da "Manifesto, Il" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: quindi la sentenza della Corte Costituzionale nel 2008 che ha dichiarato illegittimo tale esproprio. Una «class action» è attualmente in corso affinché il teatro venga dichiarato di proprietà pubblica e, ancora, negli ultimi mesi, molti sono stati i pronunciamenti autorevoli sulla inevitabilità e la giustezza dell'esproprio.

l'effetto della candidatura blair nell'incertezza dell'europa - ferdinando salleo ( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Alle assurde bizze degli euroscettici presidenti polacco e ceco si è aggiunta adesso la sorprendente sentenza della Corte Costituzionale tedesca che autorizza la ratifica assortendola di condizioni che innovano pericolosamente sulla storica posizione integrazionista della Germania e danno ampio spazio al rinascente sovranismo che si percepisce un po´ ovunque.

Napolitano, fiducia record Io faccio il Presidente ( da "Unita, L'" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Così si è proceduto finora. I lavoratori dello spettacolo che oggi manifestano si aspettano una parola dal presidente cui hanno rivolto un appello. Non va dimenticato che il 6 ottobre la Corte Costituzionale comincerà a discutere del Lodo Alfano. Il bilancio

'MAMA AFRICA MEETING', TUTTI I COLORI DELL'INTEGRAZIONE DAL 20 AL 26 LUGLIO NEL PARCO DEL DONATORE DI GAVEDO DI MULAZZO (MS) ( da "marketpress.info" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: impugnata dal governo davanti alla Corte Costituzionale con motivazioni ostili e polemiche nei confronti della Regione Toscana. Noi non abbiamo fatto una legge contro qualcuno, non appartiene al nostro modo di agire. Piuttosto, abbiamo fatto una legge in cui si riconosce a qualunque cittadino immigrato la possibilità di accedere ai servizi sanitari e di avere sostegno se è in difficoltà.

SARDEGNA: APPROVATO COLLEGATO IN COMMISSIONE ( da "marketpress.info" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: evitare un inutile contenzioso con la Corte dei Conti e la Corte Costituzionale e nello stesso tempo chiarire il livello effettivo del disavanzo regionale che si attesta sui 2 miliardi e 400 milioni. Il testo può essere ancora migliorato in Consiglio ma può essere ragionevolmente considerato come un insieme di provvedimenti necessari a contrastare i diversi problemi che incontra l?

Turchia/ Al via nuovo processo a organizzazione occulta ( da "Virgilio Notizie" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Ankara Sinan Aygun e la moglie del vice presidente della Corte Costituzionale, Ferda Paskut. Gli imputati dovranno rispondere dell'accusa di terrorismo e tentato colpo di Stato. Ereygur e Tolon sono considerati anche responsabili dell'attacco alla sede del Consiglio di Stato nel maggio 2006, che costò la vita al giudice Mustafa Ozbilgin e le bombe sotto il quotidiano Cumhuriyet.

, stasera lo spoglio dei voti in piazza ( da "Gazzetta di Parma Online, La" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Noto giudice della Corte Costituzionale, Mazzella è anche autore di numerosi testi di saggistica. Oltre agli autori erano presenti il Presidente della Fondazione Città del Libro, Giuseppe Benelli e il sindaco Franco Gussoni. Al termine delle due presentazioni, inoltre, Benelli ha ricevuto il Premio alla Carriera: un dipinto dell?

"Spiru Haret" a dat in judecata Ministerul Educatiei si Guvernul ( da "Romania Libera" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Lectorul a tinut sa precizeze ca ministrul a luat o hotarare abuziva si ilegala, motiv pentru care va actiona in instanta Ministerul Educatiei si Guvernul. Din aceeasi categorie: Cezar Preda: Cel putin patru ministere ar trebui desfiintatePrime pentru toti angajatii CSM, de Ziua JustitieiAlexandru Gussi, consilier prezidential in locul lui Cristian Preda Voteaza

Principio dell'affidamento: tra normativa tributaria e normativa comunitaria ( da "AltaLex" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario?21. In passato le leggi d?interpretazione autentica non erano frequenti e venivano alla luce con il preciso scopo di rendere più chiaro il significato di una legge precedente che poteva essere oscura. La finalità di tali strumenti, quindi, era proprio quella di fare chiarezza sul significato di una norma,

Integrazioni salariali e possibilità di svolgere contemporaneamente altre attività lavorative ( da "AltaLex" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n° 195 del 26.5.1995, «l?art. 8 co. 5 L. 160/88 non accomuna (?) due ipotesi diverse, quella del lavoratore collocato in Cassa integrazione guadagni, il quale trova un nuovo impiego a durata indeterminata e a tempo pieno e quella del lavoratore che trova soltanto offerte di lavori temporanei o saltuari.

Riduzione dei riti e riforma del processo tributario ( da "AltaLex" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: (Corte Costituzionale, sentenze n. 64 del 14 marzo 2008 e n. 130 del 14 maggio 2008; da ultimo, Corte di Cassazione, sentenza n. 5298 del 05 marzo 2009) e nella composizione (D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992), in modo da completare il ciclo di processualizzazione del contenzioso tributario.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141 del 2009, ha deliberato sul canone per la installazi... ( da "Mattino, Il (Circondario Sud2)" del 20-07-2009) + 1 altra fonte
Argomenti: Giustizia

Abstract: La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141 del 2009, ha deliberato sul canone per la installazione di mezzi pubblicitari. La decisione è stata questa: laCorte afferma che esso ha natura tributaria onde le relative controversie appartengono alla competenza del giudice tributario.

Al friulano quasi un'elemosina ( da "Gazzettino, Il (Udine)" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Tagliati drasticamente dal governo i fondi destinati alle minoranze linguistiche Lunedì 20 Luglio 2009, Dopo la batosta della Corte Costituzionale che aveva bocciato i punti più importanti della legge regionale per la tutela del friulano, la marilenghe deve fare i conti, letteralmente, con i finanziamenti della legge 482/99 erogati dal dipartimento per gli affari regionali nel 2009.

VENETO/CONSIGLIO: COMMISSIONE STATUTO, DISCO VERDE A NUOVO REGOLAMENTO. ( da "Asca" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: eventuale impugnativa da parte del Governo di fronte alla Corte Costituzionale e i tempi per un eventuale referendum popolare, se richiesto da 12 consiglieri o da almeno 80 mila cittadini. Ipotizzando che il testo venga iscritto all'ordine del giorno del Consiglio la settimana prossima e che ne inizi subito la discussione, ci vorranno almeno sei mesi per concluderne il percorso:

Cittadinanza europea: sopravvenuta acquisizione e punibilità di condotte pregresse ( da "AltaLex" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Corte costituzionale e disciplina dell?immigrazione, in Quest. Giust., n. 5, 2004, p. 1050, che rileva come tuttavia la Corte costituzionale, nella sentenza 15 luglio 2004, n. 223, ha sancito che i provvedimenti di polizia incidenti sulla libertà personale devono avere ?

Sul differimento dell'udienza per il procuratore della parte costituita ( da "AltaLex" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Nota di Adolfo Liarò) Corte Costituzionale Sentenza 14 luglio 2009, n. 217 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Francesco AMIRANTE Presidente - Ugo DE SIERVO Giudice - Paolo MADDALENA ? - Alfio FINOCCHIARO ?

Perseverare diabolicum ( da "AprileOnline.info" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: ma è una famosa sentenza Casavola della Corte Costituzionale che esplicita il concetto di laicità sul terreno giuridico-costituzionale, definendola principio supremo dell'ordinamento costituzionale. Infatti la sentenza della Corte Costituzionale n.203 del 12 aprile 1989 recita al punto 13: "i valori di libertà religiosa (art.

Gay/ Coppia omosessuale Venezia presenta memoria alla ( da "Virgilio Notizie" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: anche grazie alle sentenze della Corte costituzionale italiana e delle più alte Corti straniere, che un uomo non è superiore a una donna, una persona di colore non è inferiore a una persona bianca, un cristiano non è migliore di un ebreo, è arrivato il momento di affermare che una persona omosessuale non merita una dignità inferiore,

Raportul CE: Reforma in justitie, blocata in continuare de Parlament si judecatori ( da "Romania Libera" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Raportul mai cere Consiliului Superior al Magistraturii (CSM) sa-si mareasca transparenta si responsabilitatea, precum si sa publice "decizii motivate". Parlamentului, criticat pentru blocarea anchetelor de coruptie, i se cere sa adopte o lege care sa permita continuarea proceselor cand sunt invocate exceptii de neconstitutionalitate.

Judecatorii au castigat: PSD-PDL le dau sporurile ( da "Romania Libera" del 20-07-2009)
Argomenti: Giustizia

Abstract: Ministrul Predoiu asteapta insa in aceasta saptamana si medierea presedintelui, ceruta de Consiliul Superior al Magistraturii (CSM), care s-a plans, la randul sau, de subfinantarea cronica a sistemului si de umilirea judecatorilor si procurorilor. Presedintele Basescu ar urma sa se consulte atat cu reprezentantii Executivului – ministrii Pogea si Predoiu –


Articoli

Alla scuola pensa la Regione (sezione: Giustizia)

( da "Unione Sarda, L' (Nazionale)" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Primo Piano Pagina 105 Maninchedda: «Non sarà più il ministero a organizzare le cattedre» Alla scuola pensa la Regione Maninchedda: «Non sarà più il ministero a organizzare le cattedre» --> Inserite nella manovra bis le proposte sulla scuola del presidente della commissione Bilancio Paolo Maninchedda. La stessa commissione ha accolto due emendamenti, presentati dall'esponente sardista, che permettono alla Regione di appropriarsi del potere di organizzare le cattedre per garantire la didattica, a conferma di due sentenze della Consulta, risalenti al 2004 e a pochi giorni fa, ma mai applicate. Il primo emendamento riguarda l'utilizzo del personale precario della scuola nelle attività extracurricolari (allungamento del tempo scuola) finanziate dalla Regione. «In poche parole», spiega Maninchedda, «le somme destinate alla lotta alla dispersione scolastica e al tempo pieno, potranno essere utilizzate secondo programmi che utilizzino il precariato». Il secondo riguarda invece «la norma che attribuisce alla Regione il potere di provvedere, nell'ambito delle dotazioni organiche complessive definite in base alle vigenti disposizioni e tenuto conto delle peculiarità territoriali che possono condizionare negativamente l'attività didattica, a distribuire il personale docente tra le istituzioni scolastiche. È il primo provvedimento che dà attuazione a una potestà riconosciuta dalle sentenze della Corte Costituzionale numero 13 del 2004 e numero 200 del 2009, e che, in questo modo, incardina sulla Regione la ripartizione delle cattedre all'interno delle quote stabilite dal ministero ma secondo criteri più coerenti con la distribuzione della popolazione e con le esigenze didattiche della Sardegna». La Giunta regionale, «nell'ambito delle dotazioni organiche complessive definite in base alle disposizioni vigenti e tenuto conto delle peculiarità territoriali che possono condizionare negativamente l'attività didattica, provvederà a distribuire il personale docente tra le istituzioni scolastiche». All'attuazione della disposizione si provvederà con le risorse finanziarie, umane e strumentali della direzione generale dell'assessorato della Pubblica istruzione. Ieri questi emendamenti, sono stati approvati all'unanimità dalla commissione Bilancio.

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canoni depurazione, da ottobre i rimborsi (sezione: Giustizia)

( da "Nuova Venezia, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

DOPO I RICORSI A MUSILE Canoni depurazione, da ottobre i rimborsi MUSILE. Canoni di depurazione, dall'1 i rimborsi. Che però potranno essere erogati in forma rateizzata, fino a un massimo di cinque anni. A darne notizia è l'assessore all'ecologia, Alberto Teso. Somme ingiustamente pagate, secondo una sentenza della Corte Costituzionale, perché le famiglie abitavano in zone prive di collegamento agli impianti di depurazione. «Agli utenti dell'Asi per i quali si è riscontrato che la via non è collegata a impianti di depurazione - spiega Teso - già con la fatturazione scaduta a maggio non è stata più applicata la quota riferita alla depurazione. Per la restituzione delle tariffe arretrate, ci si deve attenere a quanto sarà disposto dal Comitato risorse idriche». (g.mo.)

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esposto al csm (sezione: Giustizia)

( da "Centro, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 8 - Teramo ESPOSTO AL CSM ESPOSTO AL CSM Un legale: «Non lo sapevo» GIULIANOVA. «Sono del tutto all'oscuro dell'avvenuta presentazione dell'esposto al Csm che ho appreso essere stato depositato dai coniugi Fiorello Di Rocco e Clorinda Ciarelli. Difendo i due solo dal punto di vista giuridico»: così l'avvocato Gianfranco Iadecola interviene sull'esposto firmato dai coniugi, rappresentati anche dall'avvocato Vincenzo Di Nanna, contro il pm David Mancini alla vigilia della sentenza sulla confisca di beni per un valore di oltre 10 milioni di euro. I Rom accusano di essere stati discriminati.

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La Consulta boccia i magistrati che si trasformano in politici (sezione: Giustizia)

( da "Tempo, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

stampa Il divieto di iscrizione ai partiti garantisce l'imparzialità del giudice La Consulta boccia i magistrati che si trasformano in politici Il magistrato, anche se fuori ruolo, non deve essere iscritto a partiti politici. Lo ribadisce la Consulta sottolineando che «nel disegno Costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica». La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Csm in relazione alla norma dell'ordinamento giudiziario che vieta l'iscrizione nei partiti politici. Lo spunto per chiedere il pronunciamento della Consulta riguardava il caso di Luigi Bobbio, magistrato fuori ruolo ed ex senatore di An, per il quale il Pg della Cassazione aveva avviato un procedimento disciplinare per aver assunto nel 2007 la carica di presidente della federazione provinciale di Napoli di Alleanza nazionale. Secondo la sezione disciplinare, il divieto di iscriversi a partiti politici contrasterebbe con gli articoli della Costituzione che riconoscono a ogni cittadino «senza distinzioni di sorta» di associarsi liberamente in partiti e la possibilità per un magistrato - purchè fuori ruolo - di candidarsi alle elezioni. «I magistrati - scrivono i giudici della Consulta nella sentenza 224 - debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e possono non solo condividere un'idea politica ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo. Ma le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale».

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cancellati i risarcimenti ai comuni "il governo scoraggia le parti civili" - gabriele isman (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina XIII - Palermo Cancellati i risarcimenti ai Comuni "Il governo scoraggia le parti civili" Cipriani: "Così si vanifica il lavoro di tanti anni" Contributi agli enti dalla Regione La norma inserita nel pacchetto sicurezza: agli enti locali solo le spese per il processo GABRIELE ISMAN «Nel decreto sicurezza voluto dal governo Berlusconi, è prevista chiaramente la fine dei risarcimenti che vadano oltre le spese processuali per gli enti locali». Pippo Cipriani, 48 anni, ex sindaco di Corleone e ora presidente dell´associazione Antiracket e antiusura di Bagheria, ha un sorriso amaro quando spiega l´articolo 37 del decreto approvato recentemente a Roma. Cipriani mostra le carte e spiega: «Tra non molto tempo, quando gli enti locali capiranno che nei processi non potranno andare oltre al riconoscimento delle spese processuali, anche la buona usanza delle costituzioni di parte civile verrà a cadere. E sembra quasi un paradosso che il Parlamento regionale abbia recentemente approvato l´obbligo della costituzione in tutti i processi di mafia: la Sicilia dovrà esserci, ma questo non servirà a nulla». Un allarme rilanciato da Calogero Speziale, presidente della commissione regionale Antimafia: «La decisione del Parlamento nazionale di svuotare la costituzione di parte civile degli enti locali nei processi di mafia - dice - indebolisce la scelta dell´Ars di obbligare la Regione a costituirsi parte civile in tutti i processi di mafia». La polemica scaturisce all´indomani della fine del primo troncone del processo agli estorsori del clan Lo Piccolo, dove la Provincia ha ottenuto una provvisionale di 320 mila euro e Addiopizzo 90 mila. «Nel processo Aiello il Comune di Bagheria - ricorda Cipriani - ottenne tre milioni di euro di risarcimento. Una cifra importante per un´amministrazione locale. Dopo il decreto sicurezza questo non potrà più accadere». Resterebbe la via del processo civile. «No, perché ai mafiosi i beni vengono confiscati e i tempi della giustizia civile sono molto molto lunghi. Le uniche speranze sono le modifiche chieste dal presidente della Repubblica, se verranno accolte dal governo, e forse la Corte Costituzionale» risponde Cipriani. In parlamento il Pd aveva provato con un emendamento a correggere la norma, ma l´idea non è passata, e persino un ordine del giorno in questo senso è stato bocciato. «La decisione del parlamento di Roma di svuotare il peso delle costituzioni di parte civile degli enti locali nei processi di mafia, è quindi un duro colpo alle amministrazioni che quotidianamente si battono contro ogni forma di condizionamento criminale» dice l´ex sindaco di Corleone. Ieri, intanto, l´assessorato regionale per Famiglia, Politiche sociali e Autonomie locali ha approvato la graduatoria delle 34 associazioni antiracket che otterranno fondi dalla Regione. «Un contributo che servirà per poter assistere, tutelare e informare quei soggetti che abbiano subito richieste o atti estorsivi o coloro che abbiano fatto ricorso a prestiti ad usura, le cui attività economiche o professionali versino, conseguentemente, in stato di difficoltà», ha spiegato l´assessore Caterina Chinnici. La somma dei fondi stanziati per il 2009 è di 300 mila euro. A Palermo e provincia, i soldi andranno a Libero Futuro e Solidaria Onlus; ad Agrigento requisiti validi per Lo Mastro Onlus, a Enna per l´associazione Falcone e Borsellino di Leonforte. A Messina e provincia sono undici le realtà antiracket che avranno fondi: l´Associazione operatori Comprensorio del Mela a Milazzo, l´associazione commercianti Valle dell´Alcantara a Giardini Naxos, l´Associazione dei commercianti e degli imprenditori Nebroidei a Sinagra, l´associazione commercianti e imprenditori antiracket Torresi di Torregrotta, l´associazione commercianti e imprenditori di Sant´Agata di Militello, e quelli di Patti, di Brolo e di Capo D´Orlando, oltre all´Associazione Messinese Antiusura Onlus, e la Fondazione Antiusura intitolata a Padre Pino Puglisi.

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La Corte Costituzionale: bastacon le toghe nei partiti politici (sezione: Giustizia)

( da "Secolo XIX, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

La Corte Costituzionale: bastacon le toghe nei partiti politici il caso del magistrato (fuori ruolo) di an ROMA. Il magistrato, anche se fuori ruolo, non deve essere iscritto a partiti politici. Lo ribadisce la Consulta sottolineando che «nel disegno Costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l' indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l' attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica». La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Csm in relazione alla norma dell' ordinamento giudiziario che vieta l' iscrizione nei partiti politici. Lo spunto per chiedere il pronunciamento della Consulta riguardava il caso di Luigi Bobbio, magistrato fuori ruolo ed ex senatore di An, per il quale il Pg della Cassazione aveva avviato un procedimento disciplinare per aver assunto nel 2007 la carica di presidente della federazione provinciale di Napoli di An. L'argomento riguarda anche casi analoghi, come ad esempio, il sindaco di Bari, Michele Emiliano.Secondo la sezione disciplinare, il divieto di iscriversi a partiti politici contrasterebbe con gli articoli della Costituzione che riconoscono a ogni cittadino «senza distinzioni di sorta» di associarsi liberamente in partiti e la possibilità per un magistrato - purchè fuori ruolo - di candidarsi alle elezioni. 18/07/2009

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Magistrati schierati, giro di vite (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: Primo Piano data: 18/07/2009 - pag: 3 autore: di Vittorugo Mangiavillani e Roberto Ormanni * La Corte costituzionale ribadisce il divieto di iscriversi ai partiti e di assumere incarichi Magistrati schierati, giro di vite Monito della Consulta: nessuna partecipazione in politica I magistrati non possono iscriversi ai partiti politici, assumere incarichi ed apparire «organicamente schierati». La Corte costituzionale nel riaffermare il principio sulla libertà anche dei magistrati di condividere «una idea politica», ribadisce che è vietata l'iscrizione ai movimenti e partiti politici, ma per la prima volta va oltre. Pone dei paletti insuperabili ed estende il divieto assoluto anche alla partecipazione sistematica alla vita dei partiti politici e, quindi, ad assumerne incarichi al loro interno o per loro conto ed in loro rappresentanza o ad apparire «organicamente schierato». La decisione della Corte depositata fa seguito alla richiesta della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura di dichiarare illegittima la norma dell'ordinamento giudiziario che non fa differenza fra il divieto di iscrizione ai partiti e le generica partecipazione alla vita politica. Vicenda assurta alle cronache del Csm quando alcuni consiglieri chiesero una azione disciplinare nei confronti del magistrato Luigi Bobbio, nominato presidente della federazione provinciale di Napoli di Alleanza Nazionale. Secondo la sentenza della Consulta, redattore il giudice Paolo Maddalena, «i magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità».Proprio in questa prospettiva, nel bilanciamento tra la libertà di associarsi in partiti, tutelata dall'art. 49 Cost., e l'esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati ed anche l'immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo, l'art. 98, terzo comma, Cost. ha demandato al legislatore ordinario la facoltà di stabilire «limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati» (nonché per le altre categorie di funzionari pubblici ivi contemplate: «i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero»). «La Costituzione, quindi, se non impone, tuttavia consente - si legge sempre nel dispositivo - che il legislatore ordinario introduca, a tutela e salvaguardia dell'imparzialità e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, il divieto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati: quindi, per rafforzare la garanzia della loro soggezione soltanto alla Costituzione e alla legge e per evitare che l'esercizio delle loro delicate funzioni sia offuscato dall'essere essi legati ad una struttura partitica che importa anche vincoli gerarchici interni».La norma impugnata dal Csm secondo la Consulta ha invece dato «attuazione alla previsione costituzionale stabilendo che costituisce illecito disciplinare non solo l'iscrizione, ma anche «la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici»: accanto al dato formale dell'iscrizione, pertanto, rileva, ed è parimenti precluso al magistrato, l'organico schieramento con una delle parti politiche in gioco, essendo anch'esso suscettibile, al pari dell'iscrizione, di condizionare l'esercizio indipendente ed imparziale delle funzioni e di comprometterne l'immagine. Non è ravvisabile, pertanto, alcuna violazione dei parametri costituzionali invocati dal giudice rimettente, perché, nel disegno costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica». Non solo, la Consulta per la prima volta chiarisce che il rispetto delle norme sull'imparzialità ecc. dei magistrati vale anche quando essi sono fuori ruolo: «In particolare, non contrasta con quei parametri l'assolutezza del divieto, ossia il fatto che esso si rivolga a tutti i magistrati, senza eccezioni, e quindi anche a coloro che, come nel caso sottoposto all'attenzione della Sezione disciplinare rimettente, non esercitano attualmente funzioni giudiziarie. Infatti, l'introduzione del divieto si correla ad un dovere di imparzialità e questo grava sul magistrato, coinvolgendo anche il suo operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua vita professionale, anche quando egli sia stato, temporaneamente, collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un compito tecnico». Per questi ed altri motivi la Corte ha stabilito che la richiesta del Csm «non è fondata». Questa sentenza darà sicuramente il via a polemiche e «ricorsi». Sono infatti molti i magistrati che seppure posti fuori ruolo dalla magistratura, si trovano (sindaci come quello di Bari Michele Emiliano, ministri e ministri «ombra» e sottosegretari come Alfredo Mantovano, Nitto Palma e Lanfranco Tenaglia, presidenti di regioni o province, responsabili dei partiti per i problemi della giustizia, vertici di gruppi parlamentari come Anna Finocchiaro, ecc...) in conflitto con l'interpretazione estensiva che la Consulta stabilisce in questa sentenza.* dal Velino.it

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Cartelle, valida consegna al 1/6/08 (sezione: Giustizia)

( da "Italia Oggi" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ItaliaOggi sezione: Giustizia e Società data: 18/07/2009 - pag: 34 autore: di Debora Alberici La Consulta ha dichiarato infondata la questione sui ruoli muti mandati entro il termine Cartelle, valida consegna al 1/6/08 Salve senza la firma del responsabile del procedimento Restano valide le cartelle di pagamento consegnate prima di giugno 2008 senza la firma del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo. È quanto stabilito dalla Corte costituzionale che, con l'ordinanza n. 221 di ieri ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questione sollevata dalla commissione tributaria regionale di Venezia in relazione all'articolo 36, comma 4-ter, del dl 248 del 2007 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria).La norma dispone che «la cartella di pagamento di cui all'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l'indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008; la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse». Il sospetto di incostituzionalità sollevato dai giudici veneti è stato bocciato dalla Corte costituzionale su tutta la linea: alcune questioni sono state rispedite al mittente con una inammissibilità. Quella concernente la paventata violazione del principio di uguaglianza fra contribuenti che hanno ricevuto la cartella prima del 2008 e quelli che l'hanno ricevuta dopo è stata l'unica ad aver avuto una, seppur laconica, motivazione da parte dei giudici di Palazzo della Consulta.Quindi, rispolverano una vecchia decisione del '99, la n. 58, il Collegio ha ricordato che va «negato il presupposto da cui muovono i giudici rimettenti nel presente giudizio costituzionale, e cioè che la disposizione censurata contenga una norma retroattiva o una sanatoria di atti già emanati». Infatti tale norma si limita semplicemente a «disporre per il futuro, comminando, per le cartelle prive dell'indicazione del responsabile del procedimento, la sanzione della nullità, la quale non era invece prevista in base al diritto anteriore». Di conseguenza, si legge nel passaggio successivo delle motivazioni, «già con la sentenza n. 58 del 2009, questa Corte aveva dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale della norma censurata con riferimento a tutti i parametri evocati dalle commissioni tributarie rimettenti».Il caso prende le mosse da una cartella di pagamento notificata a una società senza la firma del responsabile. L'atto era stato quindi impugnato di fronte alla commissione tributaria di Venezia. I giudici avevano sollevato d'ufficio la questione di legittimità preoccupati del diverso trattamento riservato ai contribuenti destinatari di cartelle di pagamento prima e dopo il 2008. In particolare nell'ordinanza di rimessione si legge «che ad avviso del giudice a quo la disposizione censurata, sanando retroattivamente la nullità per omessa indicazione del responsabile delle cartelle emesse anteriormente alla sua entrata in vigore, compresa, quindi, quella oggetto di impugnazione nel giudizio principale, «appare rilevante per una corretta definizione del giudizio». Ma non basta. Secondo i giudici veneti la disposizione è in contrasto con lo statuto del contribuente e con i principi costituzionali da questo richiamati: «in ordine alla non manifesta infondatezza», scrivono ancora i magistrati tributari, «la Commissione rimettente ritiene, innanzitutto, che la disposizione censurata si ponga in contrasto con i principi generali e con le norme costituzionali espressamente richiamate dalla legge 27 luglio del 2000, n. 212». E ancora, la disposizione impugnata, ecco il nodo della questione, «violerebbe il principio di uguaglianza dei cittadini di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione, penalizzando coloro che hanno ricevuto le cartelle esattoriali prima del 1° giugno 2008». Nessuno di questi motivi ha avuto successo e la norma resta in piedi.

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(sezione: Giustizia)

( da "Nazione, La (Pistoia)" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CRONACA PISTOIA pag. 4 «LA SUPREMA CORTE Costituzionale rende noto l&... «LA SUPREMA CORTE Costituzionale rende noto l'avvocato Marco Baldassarri, con la sentenza depositata lo scorso 9 febbraio, ha totalmente annullato il pronunciamento della Corte d'Appello di Firenze, a seguito della quale il Notaio Marco Regni era stato ritenuto responsabile dei fatti ascrittigli nell'ambito della vicenda che, nel 1995, aveva interessato la A.C. Pistoiese S.p.A. Nelle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione si legge, tra l'altro, che gli argomenti usati dalla Corte d'Appello di Firenze per riformare la pronuncia assolutoria di primo grado sono "considerazioni generiche e non coerenti che, innanzitutto, non sono in linea con i precetti di legge in tema di valutazione della sentenza irrevocabili acquisite. Inoltre, nel riformare la decisione del Tribunale, il Giudice del gravame non ha giustificato in alcun modo il suo convincimento () svalutando le dichiarazioni di soggetti ritenuti dal primo Giudice affidabili, senza adeguata spiegazione delle ragioni per le quali venivano, di contro, privilegiate opposte deposizioni, neppure sommariamente indicate"». «La parola, a questo punto, torna alla Corte di Appello di Firenze, la quale, alla luce di quanto deciso dalla Corte di Cassazione sulla valutazione delle prove, dovrà esprimersi nuovamente sul merito della vicenda». «La storia, lo ricordiamo prosegue Baldassarri , ha inizio nel 1995, all'indomani della promozione della Pistoiese in serie B, quanto i soci della A.C. Pistoiese S.p.a. furono convocati in assemblea per il ripianamento delle perdite della società, condizione imprescindibile per l'iscrizione della stessa al campionato di serie B». «La suddetta assemblea dei soci, svoltasi il 29.06.1995, doveva tenersi alla presenza di un notaio. All'ultimo istante fu richiesto l'intervento del notaio Marco Regni. Nel corso di tale assemblea, benché tra accese contestazioni, furono adottate quelle decisioni che consentirono alla A.C. Pistoiese S.p.a. di ripianare le perdite e di rispettare i requisiti per l'iscrizione in Lega della squadra neo-promossa, evitando così di vanificare, a causa di problemi economici, il risultato conseguito sul campo». «Successivamente prosegue l'avvocato Baldassarri , e tramite atti societari del tutto indipendenti, estranei e posteriori alle deliberazioni assunte all'assemblea del 29.6.1995, presieduta dal notaio Marco Regni, alcuni azionisti della società si trovarono fuori dalla compagine societaria; alcuni di loro, ritenendo si essere stati danneggiati, proposero una denuncia penale dalla quale scaturirono due differenti procedimenti, uno dei quali a carico del solo notaio Regni, accusato di aver fatto risultare sul verbale dell'assemblea del 29.06.1995 deliberazioni che, a dire dei denuncianti, non erano state adottate». «ALL'ESITO del processo di primo grado il Tribunale di Pistoia, con sentenza del 17.03.2005, aveva escluso qualsiasi responsabilità a carico del dott. Regni, mandandolo assolto da ogni imputazione. Successivamente, la Corte d'Appello di Firenze, adita dalle parti soccombenti, con sentenza dell'ottobre del 2007, aveva ribaltato l'esito del giudizio di primo grado». «Recentemente, la Corte di Cassazione ha annullato totalmente la sentenza della Corte d'Appello fiorentina con motivazioni chiare ed inequivocabili, che contengono una severa critica verso l'operato dei giudici fiorentini». «Il Notaio Regni conclude il legale , che mai si è sottratto alla difesa piena in giudizio, ha dato mandato ai suoi legali che lo assistono nel giudizio penale (gli avv.ti Mario Tonucci e Giorgio Altieri dello studio Tonucci & Partners ed al prof. Avv. Adolfo Scalfati), di accelerare in ogni modo l'iter della giustizia al fine di pervenire quanto prima ad una pronuncia definitiva che, dopo quasi quindici anni, metta fine alla vicenda processuale che lo ha coinvolto».

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Difesa di Ignazio Marino dai graffi della Scaraffia (sezione: Giustizia)

( da "Riformista, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Difesa di Ignazio Marino dai graffi della Scaraffia Dimenticate le candidature-ciarpame, i preliminari erotici con i filmini celebratori del grande leader, le orge di Palazzo Grazioli, le bugie del premier. Secondo Lucetta Scaraffia c'è un'altra anomalia italiana che merita la nostra attenzione: Ignazio Marino. Il suo camice bianco dovrebbe scandalizzarci più della bandana che ha messo in imbarazzo Tony Blair. Il suo lavoro di chirurgo destare più sospetti del conflitto di interessi. Scaraffia è bravissima ma questo suo ultimo intervento è un numero di prestidigitazione troppo ardito per poter riuscire bene. Nemmeno il grande Danton ce l'avrebbe fatta a ipnotizzare il pubblico al punto da far passare inosservate tutte le sue capriole logiche. Scaraffia non sopporta l'idea che la formazione medico-scientifica possa essere considerata un plusvalore per un uomo politico, perché vorrebbe che la scienza fosse la retroguardia e l'antiscienza il futuro. Sostiene che le conoscenze di Marino non sono utili in politica, anzi che sono dannose, perché lui ha fiducia nel progresso tecnologico, ragiona come uno scienziato e questo, secondo Scaraffia, lo rende vecchio, addirittura molto vecchio. Invece di perdere tempo a leggere riviste scientifiche di frontiera (che applicando il suggestivo teorema Scaraffia appaiono per loro stessa natura obsolete), dovrebbe fare qualcosa di più originale: rispolverare Marx oppure scoprire i pamphlet tecnofobici di una femminista francese più nota per essere la moglie di Jospin e l'ex compagna di Derrida che per i suoi contributi filosofici. Nel surreale dibattito politico sul destino del Pd di queste settimane se ne sono sentite di tutti i colori e anche l'analisi di Scaraffia è destinata a finire nell'archivio delle provocazioni. Ma vale la pena lo stesso di dire chiaramente che se c'è qualcosa di ammuffito è questa campagna contro la scienza, partita tra i fuochi d'artificio con l'approvazione della legge 40 e smascherata nel suo cinismo dalla Corte costituzionale. È incredibile che persino il dibattito precongressuale del Pd debba diventare un espediente per riproporre scenari fantabioetici sulle minacce della tecnoscienza, con tanto di multinazionali del farmaco che complottano contro il benessere dell'umanità (a proposito, a chi li facciamo produrre i farmaci, a Sylviane Agacinski?). Senza dimenticare i riferimenti pulp alla compravendita di pezzi del corpo umano. Un marziano in visita sul nostro pianeta, dopo aver letto certe critiche, sarebbe legittimato a pensare che Marino sia uscito fuori da un romanzo di Michael Crichton, che voglia sbarazzarsi dei malati terminali, coltivare chimere parlanti nei sotterranei delle sue sale operatorie e affiancare ai suoi macchinari di laboratorio una collezione di uteri in affitto. Chi ha le idee confuse al riguardo dovrebbe rileggersi il suo "Credere e curare" (Einaudi), i suoi interventi su ItalianiEuropei, il bel dialogo con il cardinal Martini pubblicato sull'Espresso. Scoprirà un Marino diversissimo da quello descritto da Scaraffia, prudentissimo e sempre dialogante. Solo in questo Paese e in questa fase politica in cui la bioetica è diventata materia di scambio per la politica è possibile schiacciare questo chirurgo profondamente credente e sinceramente laico su posizioni radicali. Mettendo in ordine cronologico i suoi scritti si può notare una qualità imprescindibile nel mondo della scienza: Marino è allenato a resistere alla tentazione di piegare i fatti alle convenienze ideologiche e quando, con il passare del tempo, è venuto a conoscenza di elementi nuovi non ha mai esitato a riconsiderare le proprie posizioni. Probabilmente non gli basterà questo per guidare il Pd fuori dalla palude. Ma la storia dimostra che la scienza è un motore di democratizzazione della società oltre che di progresso materiale e culturale. E saremmo fortunati se il futuro leader dei democratici - chiunque egli sia - avesse imparato qualcosa anche dal pensiero scientifico. di Anna Meldolesi 18/07/2009

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Corte costituzionale: la questione morale per i due giudici (sezione: Giustizia)

( da "Libertà" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corte costituzionale: la questione morale per i due giudici Alla luce dei nuovi fatti e accadimenti vorremmo fare alcune precisazioni e commenti ancora a proposito della cena fra il premier, il ministro Alfano, il sottosegretario Letta, l'onorevole e presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Vizzini e i due giudici costituzionali Paolo Napolitano e Luigi Mazzella in una sera di maggio. Per primo, è uscita una lettera firmata Luigi Mazzella, che ricordiamo dovrà pronunciarsi il 6 ottobre in Consulta sulla costituzionalità o meno del Lodo Alfano. Nella missiva il giudice si riferisce direttamente al "Caro Silvio", dichiarando di essere stato "oggetto di barbarie" e lo fa in maniera molto arrogante, dicendo inoltre che andare a cena con amici "non è certo un reato". Certo, non lo è, tuttavia dal punto di vista etico questo incontro doveva essere evitato perché i 2 giudici dovranno pronunciarsi sulla legittimità del Lodo Alfano, una legge che -di diritto e di fatto- è ostacolo a procedimenti giudiziari che riguardano praticamente solo e soltanto il presidente del Consiglio. Non è quindi - come lo è invece nella normalità dei casi - una legge astratta che riguarda tutti i cittadini della nostra Repubblica. Senza considerare poi che questa "cena tra amici" assomiglia troppo a una "cena di lavoro" proprio sul Lodo Alfano, in quanto il "caro Silvio" non era solo, ma era appunto accompagnato dal ministro della Giustizia, dal Presidente della commissione Affari costituzionali del Senato e da un altro giudice della Consulta. Per questo motivo è forse opportuno ricordare che la Corte Costituzionale - che Luigi Mazzella e Paolo Napolitano hanno l'onore di rappresentare - è il principale organo di garanzia del sistema e deve essere quindi autonoma e indipendente. Essa si contrappone al legislatore quando valuta se una legge è conforme o meno alla Costituzione. Da qui la necessità che nessun rapporto ci sia né appaia esserci fra i giudici e chi ha potere di formare la legge (premier e ministro in primis). Tornando alla lettera di Mazzella, i toni usati nella stessa sembrano presagire come i due giudici si schiereranno in Consulta. Anche per questo motivo il gesto delle dimissioni è atto dovuto, in quanto pare legittimo il dubbio che i due membri dell'organo costituzionale non possano più essere considerati "terzi fra le parti" ma, appunto, "parte schierata". Non è possibile lasciare una decisione del genere, che sarà crocevia del Governo Berlusconi, a chi si è detto suo amico e ha banchettato con lui vantandosi di voler invitarlo ancora quando lo riterrà opportuno. Da respingere al mittente sono anche i maldestri tentativi di Paolo Napolitano di ribaltare la realtà accusando indirettamente l'Italia dei Valori di intimidire la Consulta solo perché ha posto una questione morale. Questa difesa ricorda molto quelle solitamente poste in atto dal presidente del Consiglio che, fra le altre cose, ha sempre bollato la Corte come "un covo di comunisti" mentre sulla questione, per convenienza pura, non ha proferito parola. Anche il presidente della Corte Amirante, che finora ha fatto solo una dichiarazione in cui ha invitato tutti ad "abbassare i toni", dovrebbe quantomeno impedire a quei due di esserci quando si valuterà la costituzionalità del Lodo Alfano, salvaguardando in tal modo la credibilità dell'istituzione. Sabrina Freda Segretario provinciale dell'Italia dei Valori Andrea Fossati Coordinatore provinciale giovani dell'Italia dei Valori 18/07/2009

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Bonus famiglia, bando da riaprire (sezione: Giustizia)

( da "Eco di Bergamo, L'" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Bonus famiglia, bando da riaprire --> Sabato 18 Luglio 2009 CRONACA, pagina 17 e-mail print Il Tar della Lombardia ha stabilito che siano riaperti i termini per la presentazione delle domande per l'assegnazione del bonus famiglia, estendendola agli immigrati regolari senza carta di soggiorno, includendo tra i requisiti richiesti, «unitamente a quelli già indicati, anche il possesso del permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno». Il Tribunale amministrativo, con la decisione presa con sentenza della quarta commissione, ha così annullato un provvedimento della Regione che era stato impugnato lo scorso aprile da Cgil, Centro solidarietà integrazione, la onlus bergamasca Associazione nazionale Oltre le frontiere (Anolf), Studi giuridici sull'immigrazione e da alcuni immigrati. Con la sentenza, depositata il 16 luglio, il Tar impone alla Regione di riaprire i termini, scaduti il 13 marzo scorso, per ottenere il beneficio del bonus famiglia, fermo restando che chi ne fa richiesta deve avere anche una serie di requisiti, tra cui un determinato reddito e tre figli a carico. «Siamo soddisfatti - afferma Mimma Pelleriti della segreteria provinciale Cisl Bergamo - perché è stato confermato quanto sostenuto da tutte le associazioni che in questa vicenda rappresentano gli immigrati e cioè che quella era una delibera discriminatoria». Soddisfazione viene espressa anche da Adriano Allieri, copresidente della Associazione Oltre le frontiere, che ha presentato il ricorso: «È un atto di giustizia nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. La norma regionale era incostituzionale e ledeva i diritti fondamentali basati sulla eguaglianza delle persone. Non solo verranno riammesse delle pratiche prima scartate ma verranno anche riaperti i termini per la presentazione di eventuali altre pratiche». Sulla questione è intervenuto anche il segretario generale della Cisl Lombardia, Gigi Petteni: «Con la sentenza del Tar - ha commentato - si conferma il fatto che sulle politiche di welfare e le assistenze ai cittadini non si possono discriminare gli immigrati. Alla Regione chiediamo di applicare questa sentenza mentre siamo pronti a un confronto affinché le politiche sociali non si facciano passando dai tribunali. In una società ormai multietnica la strada non può che essere quella dell'accoglienza e dell'integrazione. Si tratta di una sentenza particolarmente importante - ha aggiunto Petteni - nel momento in cui entra in vigore una legge sulla sicurezza che discrimina i lavoratori stranieri, che non condividiamo e che la Cisl è impegnata a contrastare». Il 20 gennaio scorso la Giunta Regionale della Lombardia aveva escluso l'accesso ai benefici del bonus famiglia agli stranieri che non erano titolari di carta di soggiorno o permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. Il ricorso presentato al Tar regionale si è basato sulla stessa legge regionale n. 23 del 1999 e sullo Statuto regionale che non consentono distinzioni tra i nuclei familiari fondate sulla differente nazionalità degli stessi, tenuto conto anche delle convezioni internazionali e delle disposizioni costituzionali. Inoltre, la giurisprudenza della Corte costituzionale ritiene illegittime, anche a livello legislativo, delle prescrizioni che irragionevolmente richiedono un livello minimo di reddito - presupposto necessario per ottenere la carta di soggiorno Ue - per accedere ad una provvidenza economica, destinata proprio a soggetti indigenti. Inoltre la disposizione impugnata sarebbe discriminatoria anche con riferimento alla residenza continuativa sul territorio nazionale richiesta ai soli stranieri extracomunitari, visto che la carta di soggiorno viene rilasciata sul presupposto di una presenza continuata e regolare sul territorio nazionale da almeno cinque anni. Nel ricorso veniva posto l'accento anche sulla legislazione nazionale in tema di immigrazione. In effetti la deliberazione impugnata si pone in diretto contrasto con l'articolo 41 del Testo unico sull'immigrazione, che equipara ai cittadini italiani non solo gli stranieri titolari della carta di soggiorno, ma anche coloro che possiedono un permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno. Intanto dalla Regione l'assessore alla Famiglia e solidarietà sociale Giulio Boscagli, rassicura così quanti hanno già beneficiato del bonus: «La sentenza del Tar non tocca le famiglie alle quali la Regione Lombardia ha riconosciuto il diritto di ricevere il buono famiglia di 1.500 euro. Gli oltre 15.000 nuclei familiari in questione, anzi, hanno già ricevuto il contributo previsto o lo stanno ricevendo proprio in questi giorni, e non è in discussione il loro diritto». Roberto Vitali 18/07/2009 nascosto-->

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Teheran torna verde Rafsanjani sfida Khamenei: liberate gli arrestati (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Teheran torna verde Rafsanjani sfida Khamenei: liberate gli arrestati GABRIEL BERTINETTO Le strade di Teheran si tingono nuovamente di verde, il colore dell'opposizione. Migliaia di persone manifestano fuori dall'università e si scontrano con le forze di sicurezza, mentre all'interno una delle massime autorità dello Stato, l'ayatollah Hashemi Rafsanjani, prende posizione nello scontro politico e sociale in atto. Pur senza fare nomi, Rafsanjani lancia un chiaro attacco alla Guida suprema Khamenei ed al capo di Stato Ahmadinejad per avere provocato la «crisi» in cui versa la Repubblica islamica dopo le contestate presidenziali del mese scorso. MALMENATO KARROUBI Stando a notizie diffuse su Internet da vari blogger sfuggendo al bavaglio imposto alla stampa dal regime, almeno 15 persone sono state arrestate. Fra loro l'avvocata e paladina dei diritti umani Shadi Sadr. Uno dei leader riformatori, Mehdi Karroubi, è stato insultato e malmenato da sostenitori di Ahmadinejad mentre si recava ad ascoltare il discorso di Rafsanjani. Secondo alcune testimonianze, la polizia ha «scagliato gas lacrimogeni e picchiato seguaci di Mir Hossein Mousavi in boulevard Keshavarz». Mousavi è il candidato che secondo i conteggi ufficiali si sarebbe classificato al secondo posto nelle elezioni del 12 giugno. I dimostranti reclamavano a gran voce le dimissioni di Ahmadinejad, e in un singolare rovesciamento del solito ufficiale augurio di «morte all'America», scandivano ogni tanto lo slogan: «Morte alla Russia». Mosca è nel mirino polemico dell'opposizione per avere riconosciuto il successo elettorale di Ahmadinejad, che Mousavi ed i suoi sostengono conquistato con i brogli. Rafsanjani ha parlato nello stesso luogo in cui si rivolse alla folla Ali Khamenei una settimana dopo il voto. Allora la Guida suprema avallò la regolarità della vittoria di Ahmadinejad e minacciò di usare il pugno duro contro i contestatori. Fu il preludio alla repressione violenta delle proteste. Il giorno dopo rimasero uccise almeno dieci persone fra cui Neda Sultan, la ragazza diventata il simbolo della rivolta democratica di Teheran. Rafsanjani si è richiamato ai valori fondanti della Repubblica islamica per condannare l'uso della violenza contro i manifestanti: «L'imam Khomeini rifiutava il ricorso al terrore o alle armi persino nella lotta rivoluzionaria». Le persone imprigionate nelle scorse settimane, ha detto, devono tornare alle loro famiglie. Deve essere ripristinata «un'atmosfera di libertà in cui ognuno abbia il diritto di esprimere critiche». Ed è essenziale rivolgere «condoglianze alle persone che hanno subito delle perdite». Scuse alle vittime, rilascio dei detenuti, libertà di stampa, sono tre condizioni per il superamento della crisi e per «riguadagnare la fiducia perduta del popolo», suggerisce Rafsanjani. Il quale, diversamente dai capi dell'opposizione Mousavi e Karroubi, non chiede esplicitamente il ritorno alle urne, ma lascia capire di considerare lui stesso fraudolente le elezioni di giugno, quando critica il Consiglio dei guardiani, una sorta di Corte costituzionale, per avere troppo frettolosamente e superficialmente confermato la validità del voto. A NOME DEGLI ESPERTI Un passaggio fondamentale del discorso è quello in cui Rafsanjani definisce le proprie dichiarazioni frutto di consultazioni in seno ai due organismi da lui presieduti: il Consiglio per gli interessi dello Stato, e soprattutto l'Assemblea degli Esperti, che ha il potere di eleggere e in casi estremi destituire la Guida suprema. Proprio quest'ultimo, nella persona di Khamenei, è il destinatario dell'implicito avvertimento: attento, non hai contro solo la piazza, ma anche settori importanti degli apparati statali. In serata, quando la folla radunatasi per ascoltare Rafsanjani all'università e nelle strade limitrofe si erano ormai dispersi, da altre zone della capitale giungevano notizie di scontri. Presso l'ostello studentesco di Amirabad si sarebbero uditi degli spari. Due ragazze sarebbero state accoltellate dai Basiji nei pressi dell'ateneo. Vicino alla sede del ministero degli Interni, sono echeggiate grida ostili ad Ahmadinejad. Era già buio, mentre i dimostranti sempre più numerosi inneggiavano alle dimissioni del presidente e del ministro Sadeq Mahsouli. Oppositori di nuovo in piazza a Teheran. Scontri con la polizia e arresti. Rafsanjani attacca pubblicamente, senza nominarli, Khamenei e Ahmadinejad, chiede libertà di stampa e rilascio dei detenuti politici.

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Bombe negli hotel in Indonesia: 8 morti e 50 feriti (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: PRIMA data: 2009-07-18 - pag: 1 autore: PANORAMA Bombe negli hotel in Indonesia: 8 morti e 50 feriti Il terrorismo torna a fare vittime in Indonesia. Due alberghi di lusso di Giakarta, il Jw Marriott e il Ritz Carlton, sono stati colpiti ieri da un duplice attentato suicida, che ha fatto almeno otto morti e una cinquantina di feriti. Tra questi ultimi, secondo la polizia locale, ci sarebbero anche alcuni italiani, ma la Farnesina smentisce. Sospetti sul gruppo qaedista Jemaah Islamiyah. u pagina8 Il Papa scivola e si frattura un polso: operato ad Aosta Il Papa è caduto a Les Combes, dove si trova in vacanza, fratturandosi un polso. è stato subito operato ad Aosta: per il chirurgo «intervento riuscito». Il Vaticano: solo un incidente, nessun malore. u pagina 14 Per i magistrati divieto di iscriversi ai partiti La Corte costituzionale ha giudicato legittima la previsione del divieto di iscrizione a partiti politici e di partecipazione alla loro attività posto a carico dei magistrati. u pagina 24, commento u pagina 12 Milano: vietato l'uso di alcol ai minori di 16 anni Da lunedì a Milano stop al consumo di alcol per gli under 16. Sanzione di 450 euro per chi trasgredisce. Vietata anche la vendita, la somministrazione, la detenzione e la cessione gratuita. u pagina 21 L'Antitrust indaga su Mastercard e otto banche Il garante della concorrenza avvia un'inchiesta sulle commissioni delle carte di credito. L'istruttoria coinvolge otto banche fra cui Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps e Bnl. u pagina 28 Le plusvalenze spingono gli utili di BofA e Citigroup I grandi malati della finanza Usa hanno chiuso il secondo trimestre con utili miliardari. Quelli di Bank of America si sono attestati a 3,2 miliardi di dollari, mentre quelli di Citi hanno raggiunto i 4,3 miliardi. u pagina 29

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L'autonomia non ha tessere (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: COMMENTI E INCHIESTE data: 2009-07-18 - pag: 12 autore: ... MAGISTRATI E PARTITI L'autonomia non ha tessere I m agistrati non possono iscriversi a partiti politici. E neppure partecipare alla loro attività. Lo prevede la riforma del ordinamento giudiziario, voluta dal centrodestra due legislature fa. Un divieto che sul piano costituzionale non fa una piega. O almeno questo è stato il verdetto della Corte costituzionale chiamata in causa dal Csm. Troppo cruciale è la necessità di tutelare i valori di indipendenza e imparzialità della magistratura. Che deve apparire, non solo essere, autonoma. Tanto più che il diritto di candidarsi alle elezioni non ne esce comunque compromesso. Una sentenza, quella della Consulta, nello stesso tempo condivisibile e intempestiva. Condivisibile perchè la magistratura ha un ruolo cruciale nell'articolazione dei poteri dello Stato. E anche il solo sospetto sulla coloritura politica della sua attività va a screditare non solo lei ma lo Stato stesso. Intempestiva, perchè arriva quando ormai da tempo è passata in una larga parte dell'opinione pubblica la convinzione che l'azione giudiziaria costituisce una parte dell'azione politica. «Solo» condotta con altri mezzi.

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Limite ammesso (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-18 - pag: 24 autore: Limite ammesso • Corte costituzionale, sentenza n. 224 del 2009 La Costituzione, quindi, se non impone, tuttavia consente che il legislatore ordinario introduca, a tutela e salvaguardia dell'imparzialitàe dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, il divieto di iscrizione ai partiti politici peri magistrati: quindi, per rafforzare la garanzia della loro soggezione soltanto alla Costituzione e alla legge e per evitare che l'esercizio delle loro delicate funzioni sia offuscato dall'essere essi legati ad una struttura partitica che importa anche vincoli gerarchici interni. La norma impugnata ha dato attuazione alla previsione costituzionale. (...) Non è ravvisabile, pertanto, alcuna violazione dei parametri costituzionali invocati dal giudice rimettente, perché, nel disegno costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e miraa salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudiceo pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica.

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Per i magistrati divieto di iscrizione ai partiti (sezione: Giustizia)

( da "Sole 24 Ore, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Il Sole-24 Ore sezione: NORME E TRIBUTI data: 2009-07-18 - pag: 24 autore: Ordinamento giudiziario. La Corte costituzionale promuove la riforma Castelli Per i magistrati divieto di iscrizione ai partiti Vanno garantiti i valori di indipendenza e imparzialità Giovanni Negri MILANO Il magistrato non deve essere iscritto a partiti politici. Perché l'estraneità «alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente e imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica». La Consulta ha così promosso all'esame di costituzionalità una delle norme cardine della riforma degli illeciti disciplinari inserita nel nuovo ordinamento giudiziario voluto dall'allora ministro della Giustizia, era il 2006, Roberto Castelli. La Corte, con la sentenza n. 224 depositata ieri e scritta da Paolo Maddalena, ha così giudicato infondata la questione di legittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Csm che aveva invece sostenuto il contrasto con numerosi articoli della Costituzione. Per il Csm, infatti, la previsione di un divieto rafforzata da una sanzione per la violazione va oltre la semplice limitazione e, inoltre, assimila in un medesimo giudizio negativo l'appartenenza a partiti politici a centri di affari o di potere affaristico. Evidente poi, secondo il Csm, anche il conflitto con l'articolo 18 della Costituzione che vede nei partiti politici luoghi di democrazia e individua la partecipazione alla loro attività come un diritto della personalità. Tutte argomentazioni che non hanno fatto breccia nella Corte. Che sottolinea come i magistrati, sulla base della disciplina della Costituzione, devono essere imparziali e indipendenti, valori che vanno tutelati anche come regola deontologica per evitare che si possa dubitare della loro autonomia. Proprio per questo la Costituzione ammette, all'articolo 98, comma 3) che il legislatore possa stabilire per i magistrati limitazioni al diritto di iscriversi a partiti politici. Una conseguenza della delicatezza delle funzioni esercitate. La Costituzione, quindi, chiarisce la Consulta, se non impone, tuttavia permette che venga istituito per la magistratura (soggetta solo a Costituzione e legge) un divieto di iscrizione a organizzazioni caratterizzate anche dalla presenza di vincoli gerarchici interni. La norma dell'ordinamento giudiziario ha fatto un passo in più e ha anche previsto che costituisce illecito disciplinare per il magistrato, oltre che l'iscrizione, anche la partecipazione sistematica e continuativa all'attività di partito: «l'organico schieramento con una delle parti politiche in gioco, essendo anch'esso suscettibile, al pari dell'iscrizione, di condizionare l'esercizio indipendente ed imparziale delle funzioni e di comprometterne l'immagine». Ricordata la legittimità costituzionale del divieto anche nei confronti del magistrato che non esercita attualmente funzioni giudiziarie, la sentenza avverte che non è però in questione il diritto del magistrato a candidarsi, visto che anche questo è soggetto a limitazioni, e poi perché le situazioni a confronto sono diverse. Quanto poi all'assimilazione, sul fronte dell'illecito disciplinare, con la partecipazione a centri d'affare, la Corte spiega che, in questo caso, è stata spinta dall'esigenza di porre una tutela rafforzata dell'immagine di indipendenza del magistrato, che può essere compromessa tanto in un caso quanto nell'altro. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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No ai magistrati dirigenti di partito (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CORTE COSTITUZIONALE No ai magistrati dirigenti di partito I magistrati non possono iscriversi a partiti politici e tantomeno essere dirigenti in un partito. Possono invece candidarsi in parlamento (purché fuori ruolo) ed esprimersi come tutti i cittadini su questioni politiche. Lo ribadisce una sentenza della Corte costituzionale pubblicata ieri che ha respinto una questione di legittimità sollevata dal Csm su alcune norme della legge Castelli del 2006 sugli illeciti disciplinari. «I magistrati - si legge nella sentenza 224 - debbono godere degli stessi diritti di libertà di ogni altro cittadino e possono non solo condividere un'idea politica ma anche manifestare espressamente le proprie opzioni». Ma è illegittima la loro «partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici». La decisione è partita dal caso di Luigi Bobbio, ex senatore di An che nel 2007, dopo il mandato, è stato anche capo della federazione provinciale di Napoli del partito di Fini. In una condizione simile, tra gli altri, c'è oggi il coordinatore regionale del Pd in Puglia Michele Emiliano.

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La Consulta: no ai magistrati nei partiti (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Politica data: 18/07/2009 - pag: 12 Sentenza All'origine la vicenda Bobbio (ex An). Il togato Berruti: possibili ricadute anche su altri. I casi Emiliano e Palma La Consulta: no ai magistrati «attivi» nei partiti Respinta la questione sollevata dal Csm: «Hanno doveri speciali di imparzialità» ROMA In nome di un dovere speciale di imparzialità, a tutti i magistrati, anche a quelli fuori ruolo, è fatto divieto di «iscriversi e di partecipare attivamente alla vita dei partiti politici». Il divieto assoluto introdotto dal Guardasigilli Claudio Martelli, divenuto illecito disciplinare con la riforma Castelli-Mastella è stato ora confermato dalla Corte Costituzionale (sentenza 224) che ha ritenuto infondata una questione di illegittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Il caso è quello dell'ex pm Luigi Bobbio già senatore di An, oggi capo di gabinetto del ministro Meloni sotto processo disciplinare al Csm perché dopo la fine del mandato parlamentare aveva ricoperto a Napoli la carica di presidente della federazione provinciale di An. Ma la norma contestata dal Csm proprio perché vieta allo stesso modo l'iscrizione ai partiti e il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico finanziario che possono condizionare o comunque compromettere l'immagine del magistrato è stata ritenuta conforme al dettato della Costituzione: tanto che il processo disciplinare contro Bobbio riprenderà quanto prima. Però adesso si apre un problema enorme, segnala Giuseppe Berruti, il «togato» del Csm che ha portato la questione davanti alla Consulta: «Il nostro era un dubbio sull'equiparazione tra i partiti, citati in Costituzione, e i centri di affari e in questo caso solo il giudice delle leggi poteva scioglierlo. Tuttavia, ora potrebbero sorgere problemi disciplinari, fino ad oggi non immaginati, a carico di altri magistrati che svolgono attività continuativa nella vita dei partiti». Come va considerata, infatti, la posizione delle toghe in aspettativa elettorale? Che tipo di attività svolgono nei partiti, per esempio, il sindaco di Bari, Emiliano (Pd), i parlamentari Nitto Palma e Centaro del Pdl o i colleghi Casson e Tenaglia del Pd? La Corte ha voluto specificare: «Un conto è l'iscrizione a un partito... altro è l'accesso alle cariche elettive». E infatti Lanfranco Tenaglia (Pd) condivide il divieto di iscrizione anche per i fuori ruolo ma conferma che la Corte «non ha certo voluto negare ai magistrati il diritto di elettorato passivo». Eppure, incalza Berruti, il varco è aperto: «Perché ora si dovrà individuare, con precisione, il confine tra l'attività politico-parlamentare e quella politico-partitica». Dino Martirano

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La sfida di Rafsanjani: (sezione: Giustizia)

( da "EUROPA ON-LINE" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Articolo Sei in Esteri 18 luglio 2009 Iran - L'ex presidente, sostenitore di Mousavi, auspica la riconciliazione ma chiede il rilascio delle persone arrestate durante le proteste del mese scorso La sfida di Rafsanjani: «Solo il consenso popolare legittima il governo islamico» È diventato il primo capo delle istituzioni ad ammettere che il paese sta vivendo un momento di "crisi". Ha criticato il Consiglio dei Guardiani per la sua condotta in seguito agli appelli presentati dai candidati riformisti dopo il voto del 12 giugno. Ha auspicato la liberazione delle diverse centinaia di personalità politiche arrestate dopo le controverse elezioni presidenziali. Hashemi Rafsanjani si è spinto sino al limite in uno dei discorsi più difficili, ma meglio eseguiti, della sua lunga carriera politica. Di fronte a una platea in maggioranza fedele alla Guida suprema, Ali Khamenei, e a diverse decine di migliaia di sostenitori di Mir-Hossein Mousavi che hanno sfidato il sole cocente di un venerdì di mezz'estate a Teheran per assieparsi lungo le strette vie che circondano il campus principale dell'università della capitale iraniana, l'ex presidente ha pronunciato un discorso determinante che mirava al reintegro dell'ala riformista all'interno del regime islamico e alla riaffermazione dell'importanza della sovranità popolare come elemento essenziale dell'ordinamento religioso di Teheran. L'atteso discorso di quello che viene considerato il mentore di Mousavi e della sua "Onda verde" si è incentrato sul racconto di ricordi orali dell'ayatollah Khomeini, il padre fondatore della Repubblica islamica a cui pressoché tutti i gerarchi di Teheran si rifanno tuttora nei momenti di difficoltà: «L'imam sosteneva che un governo islamico deve sempre godere dell'appoggio popolare ». Per questo, secondo Rafsanjani, il popolo elegge l'Assemblea degli esperti ente che sceglie la Guida il parlamento e il presidente. In mancanza del sostegno del popolo gli stessi sarebbero, secondo l'ex presidente e molti ayatollah di spicco di Qom che si erano espressi in termini simili nelle settimane scorse, privi di alcun connotato religioso. Dopo aver nuovamente definito «amara» e una «disfatta per tutti noi» la situazione in cui versa il paese, Rafsanjani ha sferrato un attacco sottile contro il Consiglio dei Guardiani, ritenendo che l'organo dotato del diritto di monitorare le elezioni non ha «sfruttato appieno» la proroga di cinque giorni concessagli dalla Guida suprema. Rafsanjani ha così implicitamente messo in dubbio l'esito delle presidenziali del 12 giugno e l'avallo dello stesso da parte della corte costituzionale iraniana e di Khamenei. Come previsto alla vigilia, il capo dell'Assemblea degli esperti e del Consiglio per il discernimento per l'interesse dello stato ha toccato due temi-chiave dell' asproconfronto che ha avvolto il sistema politico di Teheran all'indomani del voto. Rafsanjani si è appellato infatti «all'unità » del regime nel suo insieme contro i sempiterni «nemici» esterni, che vogliono impedire il progresso nazionale, soprattutto in campo atomico. A riprova della sua preoccupazione sulla sorte dei moderati interni al regime, Rafsanjani ha esortato le autorità a liberare le centinaia di attivisti politici, giornalisti, avvocati e semplici cittadini che sono stati tratti in arresto nel corso dell'ultimo mese e spesso tenuti in località sconosciute: «Non è necessario incarcerare la gente in situazioni come quella attuale. Permettete loro di ricongiungersi con i propri familiari. La libertà di criticare va tollerata». Rimane da vedere quale sarà la reazione degli aderenti all'Onda verde a tale discorso. Le decine di migliaia di sostenitori di Mousavi che si sono presentati nei dintorni dell'università per seguire il sermone hanno sfidato gli altrettanto numerosi fedelissimi conservatori che sono soliti presentarsi all'appuntamento settimanale scandendo slogan come "Morte al dittatore" e "Morte alla Russia", un'allusione ai legami stretti che intercorrerebbero, secondo i riformisti, tra Ahmadinejad e la leadership del Cremlino. Gli attivisti riformisti, che scenderanno nuovamente in strada lunedì, si sono inoltre ripetutamente scontrati con le forze dell'ordine in varie parti del centro cittadino. Dal canto suo Mousavi ha scelto un'apparizione di basso profilo, presentandosi tra la folla al padiglione della preghiera ed evitando di recarsi nella parte "vip", dove erano invece presenti gli altri due candidati sconfitti, Mohsen Rezai e Mehdi Karroubi. Quest'ultimo è stato pure oggetto di un tentativo di aggressione da parte di alcuni agenti in borghese, che secondo il resoconto fornito da suo figlio avrebbero aggredito il cosiddetto "sceicco" delle riforme nei pressi dell'ingresso principale dell'università, un segnale lampante che indica come quell'unità invocata da Rafsanjani sia ancora distante dall'avverarsi. Siavush Randjbar Daemi

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Guardie padane anche dalla Consulta (sezione: Giustizia)

( da "Corriere del Veneto" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere del Veneto sezione: PRIMOPIANO data: 18/07/2009 - pag: 2 Processo «Camice verdi» Guardie padane «assolte» anche dalla Consulta VERONA - «La Corte costituzionale dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Verona nei confronti della Camera dei deputati». Un'attesa lunga qualcosa come otto mesi finché ieri, da parte della Consulta, è stata depositata l'ordinanza che scrive la parola «fine» al famigerato caso Guardie Padane avvalorando, di fatto, l'orientamento della Camera e «scagionando» gli imputati una volta per tutte. Una decisione, quella appena giunta da Roma, che ha decretato infatti l'inammissibilità del conflitto di attribuzioni sollevato dal gup Rita Caccamo su sollecitazione dell'ex procuratore Guido Papalia in merito alla decisione della giunta delle autorizzazioni della Camera che nel 2007 aveva negato il nullaosta a procedere. Era il novembre 2008, quando la Corte Costituzionale venne investita dal giudice per l'udienza preliminare scaligero della spinosa contesa. Da una parte si poneva la tesi assolutoria sostenuta nel maggio 2007 dalla Camera dei deputati, secondo cui «i fatti per i quali è in corso il presente processo penale a carico di Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, deputati all'epoca dei fatti, concernono opinioni espresse da membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione». Sul fronte opposto, invece, contrattaccavano la Procura e il Tribunale di Verona, secondo cui «gli atti integranti il reato di partecipazione ad una associazione di tipo militare, svolgendo in essa compiti promozionali, direttivi e organizzativi, nonché sovrintendendo alle adesioni al gruppo da parte di terze persone, sono estranei al concetto di opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, ancorché letti nel contesto ideologico da cui si è mossa l'azione politica della Lega Nord ed il programma secessionista cui i parlamentari imputati hanno aderito». Ebbene, secondo la Consulta «l'esposizione dei fatti contenuta nel ricorso non consente di valutare quale sia l'effettiva condotta ascrivibile a ciascun parlamentare e in che termini la stessa si atteggi e venga a modularsi in relazione al complessivo tenore del capo di imputazione, impedendo così una delibazione in ordine alla sussistenza delle condizioni per l'operatività della prerogativa della insindacabilità di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione». Di qui il rigetto che «salva« definitivamente le Guardie. Laura Tedesco

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Anche la Consulta le Guardie (sezione: Giustizia)

( da "Corriere del Veneto" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere del Veneto sezione: PRIMAPAGINA data: 18/07/2009 - pag: 1 Corte costituzionale PROCESSO «CAMICIE VERDI» Anche la Consulta «assolve» le Guardie VERONA - Dopo otto mesi, ieri da parte della Consulta è stata depositata l'ordinanza che scrive la parola «fine» al famigerato caso Guardie Padane. A PAGINA 2

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Nieri: è contrario al Vangelo proibire ai poveri di mendicare (sezione: Giustizia)

( da "Corriere della Sera" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere della Sera sezione: Lettere data: 18/07/2009 - pag: 12 Interventi e lettere Nieri: è contrario al Vangelo proibire ai poveri di mendicare Una democrazia sempre in febbre elettorale è una democrazia in costante febbre demagogica, ha affermato il professor Sartori in un suo recente libro. Una frase che mai quanto ora mi sento di condividere. Il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, non di certo un pericoloso sovversivo, a proposito del primo pacchetto sicurezza (quello targato Veltroni-Amato) disse che il legislatore dovrebbe tacere per almeno settantadue ore dopo un efferato fatto di cronaca. Eravamo all'indomani del brutale assassinio della signora Giovanna Reggiani. Ora dopo un'aggressione effettuata da un lavavetri a piazza Gondar alcuni esponenti del Pdl, riprendendo la vecchia proposta del democratico fiorentino Graziano Cioni, hanno presentato una mozione per interdire il territorio romano a lavavetri e accattoni. Linguaggio di altri tempi, provvedimenti di altri tempi. Era il Settecento quando in Inghilterra il passaggio lento verso lo stato di diritto fu segnato proprio dal superamento della istituzionalizzazione dei poveri. Dopo le sciocchezze dette a Firenze dall'incauto ex assessore alla sicurezza Graziano Cioni, la magistratura ha dimostrato che non esiste un racket dei lavavetri. In periodi di crisi come quelli che stiamo vivendo un lavavetri può guadagnare al massimo 10-15 euro al giorno. Ancor meno chi fa la classica elemosina per strada. Possiamo noi temere quelli che fanno l'elemosina? O dobbiamo viceversa concentrare i nostri sforzi repressivi contro quelle organizzazioni criminali che gestiscono attività organizzate nel pieno centro di Roma, nella estrema periferia cittadina o al mercato ortofrutticolo di Fondi? La legalità, cari esponenti del Pdl, non è cattiveria. Se un lavavetri commette un crimine lo si deve sanzionare. Così come se a commetterlo è un macellaio, un avvocato, un politico. Roma è la città dove ha sede il Vaticano. Roma è stata la città di Don Luigi Di Liegro. Roma non può essere interdetta ai poveri. Roma deve restare una città aperta e solidale. Non sono queste affermazioni di un irresponsabile estremista, ma di un uomo esterrefatto dalla deriva che questo Paese e questa città stanno prendendo. Per questo mi opporrò in tutte le sedi istituzionali contro l'approvazione della mozione voluta dai consiglieri comunali. Auspico che l'opposizione faccia sentire la sua voce. Impedire ai poveri di mendicare è un atto che stride contro il Vangelo e contro lo stato costituzionale di diritto. Vorrei ricordare a Fabrizio Santori, Presidente della Commissione capitolina sulla sicurezza, e ai suoi colleghi Pdl Ludovico Todini, Domenico Naccari e Dario Rossin che nel Vangelo Gesù dichiara beati i poveri e afferma che dei poveri in spirito sarà il regno dei cieli. Speriamo che il Sindaco Gianni Alemanno non cada nella tentazione di mettersi dalla parte dei ricchi, dei già garantiti, degli inclusi. Non è questo il compito di un amministratore lungimirante. Luigi Nieri Assessore al Bilancio della Regione Lazio (Sinistra e Libertà) Pagina a cura di Ester Palma

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La Consulta: no ai magistrati nei partiti (sezione: Giustizia)

( da "Corriere del Veneto" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere del Veneto sezione: Politica data: 18/07/2009 - pag: 12 Sentenza All'origine la vicenda Bobbio (ex An). Il togato Berruti: possibili ricadute anche su altri. I casi Emiliano e Palma La Consulta: no ai magistrati «attivi» nei partiti Respinta la questione sollevata dal Csm: «Hanno doveri speciali di imparzialità» ROMA In nome di un dovere speciale di imparzialità, a tutti i magistrati, anche a quelli fuori ruolo, è fatto divieto di «iscriversi e di partecipare attivamente alla vita dei partiti politici». Il divieto assoluto introdotto dal Guardasigilli Claudio Martelli, divenuto illecito disciplinare con la riforma Castelli-Mastella è stato ora confermato dalla Corte Costituzionale (sentenza 224) che ha ritenuto infondata una questione di illegittimità sollevata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Il caso è quello dell'ex pm Luigi Bobbio già senatore di An, oggi capo di gabinetto del ministro Meloni sotto processo disciplinare al Csm perché dopo la fine del mandato parlamentare aveva ricoperto a Napoli la carica di presidente della federazione provinciale di An. Ma la norma contestata dal Csm proprio perché vieta allo stesso modo l'iscrizione ai partiti e il coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico finanziario che possono condizionare o comunque compromettere l'immagine del magistrato è stata ritenuta conforme al dettato della Costituzione: tanto che il processo disciplinare contro Bobbio riprenderà quanto prima. Però adesso si apre un problema enorme, segnala Giuseppe Berruti, il «togato» del Csm che ha portato la questione davanti alla Consulta: «Il nostro era un dubbio sull'equiparazione tra i partiti, citati in Costituzione, e i centri di affari e in questo caso solo il giudice delle leggi poteva scioglierlo. Tuttavia, ora potrebbero sorgere problemi disciplinari, fino ad oggi non immaginati, a carico di altri magistrati che svolgono attività continuativa nella vita dei partiti». Come va considerata, infatti, la posizione delle toghe in aspettativa elettorale? Che tipo di attività svolgono nei partiti, per esempio, il sindaco di Bari, Emiliano (Pd), i parlamentari Nitto Palma e Centaro del Pdl o i colleghi Casson e Tenaglia del Pd? La Corte ha voluto specificare: «Un conto è l'iscrizione a un partito... altro è l'accesso alle cariche elettive». E infatti Lanfranco Tenaglia (Pd) condivide il divieto di iscrizione anche per i fuori ruolo ma conferma che la Corte «non ha certo voluto negare ai magistrati il diritto di elettorato passivo». Eppure, incalza Berruti, il varco è aperto: «Perché ora si dovrà individuare, con precisione, il confine tra l'attività politico-parlamentare e quella politico-partitica». Dino Martirano

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E stavolta Di Pietro evoca persino le Br (sezione: Giustizia)

( da "Giornale.it, Il" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

articolo di sabato 18 luglio 2009 E stavolta Di Pietro evoca persino le Br di Filippo Facci di Filippo Facci La quantità di sciocchezze sparate ogni giorno da Antonio Di Pietro produce un effetto quasi narcotico, un ronzio di fondo, come per una zanzara cui si finge di abituarsi dimenticando che le peggiori pandemie della storia le hanno diffuse proprio i ditteri, i succhiatori di energie altrui. L'abitudine a un personaggio che ci ammorba quotidianamente con le sue tattiche da marciapiede fa dimenticare che una strategia di fondo Di Pietro tuttavia ce l'ha, anche se molti fingono di non vederla: i media danno risalto a ogni sua sparata come se esporla corrispondesse al tempo stesso a una sua relativizzazione, a una forma di controllo, come si fa con un cane che lasci abbaiare perché almeno sai che non ti morderà. Ma è un errore. E pure frequente, in Italia. Di Pietro è un personaggio che farebbe qualsiasi cosa e che infatti la sta facendo, pur mimetizzato dal suo sciocchezzaio di contorno e dal suo essere tutto e niente: grillino, politico, magistrato, ministro, reazionario di destra, movimentista di sinistra, spregiudicato compilatore di liste locali, tutto. Di Pietro, un passo alla volta e spalleggiato da una discreta compagnia di giro, punta allo sfascio di ogni baluardo di riferimento, all'inasprimento di ogni conflitto istituzionale, alla delegittimazione progressiva degli ultimi basamenti da noi ritenuti intoccabili come la presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale, per fermarsi alle tappe finali. Il resto, ossia le più elementari dinamiche democratiche, cerca di svuotarle di significato da anni: è lui a ergersi a personificazione e presidio del contrasto tra magistratura e politica, è lui ad accodarsi ai balordi che straparlano di dittatura e fine della democrazia (si accoda perché lui non inventa mai: copia, si impossessa, succhia appunto le energie altrui) ed è lui a spiegare che va tutto male, che il peggio è sempre alle porte, che c'è disinformazione e plagio delle coscienze. Gianni Baget Bozzo, uno dei pochi che comprese da subito, proprio un anno fa su questo giornale scrisse questo: «Che cos'è il partito giustizialista che Di Pietro sta costruendo? È un partito che tende a dimostrare che la democrazia è essenzialmente corrotta e il corpo elettorale sbaglia. Che ci vuole un altro potere per guidare il Paese sulla via della salvezza e che il voto degli elettori deve essere presidiato da un partito dell'ordine. Il tema che lo Stato non possa essere affidato alla democrazia è la tesi fondamentale del pensiero reazionario. Se un popolo sente frustrato il bisogno fondamentale di sicurezza, se non riesce a ottenere con il suo voto ciò che pensa gli sia dovuto, si ha la crisi della democrazia. E Di Pietro mira proprio a questo, a mostrare che un corpo elettorale capace di dare la maggioranza a Berlusconi è un popolo immaturo, il cui voto va corretto in modo adeguato. Bisogna dimostrare che il popolo ha torto e che Berlusconi deve andarsene». Come? In qualsiasi-modo-possibile. Ecco perché non gli importa niente di sputtanare il Paese con le sue balle puerili sparate sull'Herald Tribune (e pagate da noi) in coincidenza con un momento in cui la parte sana del Paese tifava appunto per il Paese, non per mezzo voto in più da guadagnare tra gli imbecilli. Ed ecco, scusandoci per la lunga premessa, come inquadrare le uscite che Antonio Di Pietro ha fatto anche ieri: dopo quelle dell'altro ieri e prima di quelle di oggi e di domani. Uno sciocchezzaio, cioè, misto a uscite più pericolose. Ha detto: «Credo che potrebbero tornare sia le Br pilotate che quelle non pilotate, entrambe criminali, che vanno combattute... l'Italia dei valori sarà nei consigli di fabbrica e nelle piazze in difesa dei cassintegrati e dei lavoratori... Saremo protagonisti dell'autunno caldo. Parteciperemo direttamente, anche informando laddove la legge in via di approvazione impedisce di informare i cittadini». Traduzione: io, Antonio Di Pietro, auspico un autunno caldo con tanto di Br da combattere o di cui incolpare il governo piduista, a seconda; sarò perciò nelle fabbriche e cercar di convincere gli astenuti della sinistra radicale che ancora non votano per me, e tutto quello che non quadrerà sarà perché non c'è informazione né democrazia. Poi, altra uscita di ieri: «Alfano ha trasformato il suo ruolo istituzionale in quello di ministro servente delle posizioni dell'imputato Berlusconi... (questo grazie) al Lodo Alfano, al lodo sulle intercettazioni, alle cenette del giudice della Corte costituzionale». Traduzione: Berlusconi è colpevole, Alfano è delegittimato, se la Corte costituzionale non boccerà il Lodo Alfano sarà perché anche la Consulta è corrotta. Poi, terzo delirio dipietresco: «Spero davvero che la magistratura possa, anche attraverso le dichiarazioni di Ciancimino junior, ricostruire una verità che finora è stata occultata anche grazie a esponenti delle istituzioni... Dall'inchiesta di Palermo mi aspetto molto... si potrebbe riscrivere la storia italiana per quanto riguarda i grandi omicidi di mafia, ma soprattutto per quanto riguarda la grande corruzione d'allora e il grande riciclaggio di persone di oggi». Traduzione: vediamo se da Palermo, al cinquecentesimo tentativo, stavolta riusciranno a sostenere che Forza Italia è stata co-fondata dalla mafia e che Berlusconi e Dell'Utri hanno fatto fuori Falcone e Borsellino: l'importante è che lo dicano, al resto ci penso io con la banda degli urlatori. © IL GIORNALE ON LINE S.R.L. - Via G. Negri 4 - 20123 Milano - P.IVA 05524110961

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(sezione: Giustizia)

( da "Avvenire" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CRONACA 18-07-2009 «Il magistrato non deve iscriversi ai partiti politici» Consulta: divieto anche ai fuori ruolo DA R OMA G IOVANNI G RASSO L a Corte Costituzionale boccia un ricorso del Csm, stabilendo che il divieto di iscrizione e partecipazione alla vita di partito vale per tutti gli appartenenti alla magistratura, anche se fuori ruolo. La vicenda era scaturita dall'azione disciplinare, intentata dal procuratore generale della Cassazione, nei confronti del magistrato Luigi Bobbio. Dopo essere stato senatore di An, allo scadere del mandato, non era rientrato nei ruoli della magistratura, ma era diventato consulente del Parlamento (quindi, aveva fatto presente, non doveva giudicare nessuno) e, contemporaneamente, aveva accettato la carica di segretario provinciale di quello stesso partito a Napoli. La sezione disciplinare del Csm, chiamata a giudicare Bobbio, aveva dunque chiesto ai giudici della Consulta se la legge Castelli, che rafforzava il divieto di iscrizione dei magistrati ai partiti, non era per caso in contrasto nel caso in questione con i diritti civili di tutti i cittadini, previsti dalla Costituzione. La Corte ha deciso di no, dichiarando infondato il sospetto di incostituzionalità e ribadendo alcuni principi generali di grande importanza nel rapporto tra magistratura e politica. La Corte premette «che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e che quindi possono, com'è ovvio, non solo condividere un'idea politica, ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo », ma nota che «la Costituzione riserva ai magistrati una disciplina del tutto particolare ». Essi «debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità». Per questo motivo, la Costituzione permette che vi siano leggi che introducano, «a tutela e salvaguardia dell'imparzialità e dell'indipendenza dell'ordine giudiziario, il divieto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati ». Non c'è dunque «alcuna violazione dei parametri costituzionali » , anzi conclude la Consulta «l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica». E questo vale per ogni magistrato, in qualsiasi «momento della sua vita professionale, anche quando egli sia stato, temporaneamente, collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un compito tecnico». Bocciato dalla Corte costituzionale un ricorso del Csm Il caso riguarda Luigi Bobbio, già parlamentare di Alleanza nazionale

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CORRADO CASTIGLIONE Basta toghe in politica: anche se fuori ruolo, il magistrato non deve essere ... (sezione: Giustizia)

( da "Mattino, Il (Nazionale)" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CORRADO CASTIGLIONE Basta toghe in politica: anche se fuori ruolo, il magistrato non deve essere iscritto in alcun partito. È quanto ribadisce la Consulta con una sentenza che è destinata a suscitare reazioni e polemiche, visto che i magistrati prestati alla politica non sono affatto pochi: da Antonio Di Pietro a Luciano Violante, da Luigi Bobbio fino a Luigi De Magistris e Michele Emiliano, solo per ricordare qualche nome.Di fronte alla questione di legittimità posta nel novembre 2008 dalla sezione disciplinare del Csm, guidata dal vice-presidente Nicola Mancino, l'Alta Corte ha sottolineato che «nel disegno Costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente e imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica». La Corte Costituzionale ha quindi dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata dal Csm in relazione ad alcune norme della legge del 2006 sugli illeciti disciplinari dei magistrati, le incompatibilità e le dispense dal servizio. Lo spunto per sottoporre la questione al vaglio della Consulta riguardava in particolare il caso di Luigi Bobbio, magistrato fuori ruolo ed ex senatore di An, al quale era stata contestata la violazione delle norme e del codice etico della magistratura per aver accettato e assunto nel 2007 la carica di presidente di una federazione provinciale di An. Circostanza per la quale la Procura generale della Cassazione ha avviato un procedimento. Secondo la sezione disciplinare, il divieto di iscriversi a partiti politici contrasterebbe con gli articoli della Costituzione che riconoscono a ogni cittadino «senza distinzioni di sorta» di associarsi liberamente in partiti e la possibilità per un magistrato - purché fuori ruolo - di candidarsi alle elezioni. L'Alta Corte ricorda che la Costituzione riserva ai magistrati una «disciplina del tutto particolare» che comporta «speciali doveri». La norma contestata prevede che costituisce illecito disciplinare non solo l'iscrizione ma anche la «partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici», perché anche lo «schieramento organico con una delle parti politiche in gioco» può «condizionare l'esercizio indipendente ed imparziale delle funzioni e comprometterne l'immagine». Il divieto riguarda tutti i magistrati, anche quelli fuori ruolo, perché il dovere di imparzialità - si sottolinea nella sentenza - coinvolge il magistrato anche nel suo «operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua vita professionale». Dal canto suo Bobbio replica con puntualità: «Ho rispetto per le istituzioni, ma ritengo che la consulta finga di non vedere. Di certo qualcosa andrà rivisto sotto il profilo normativo e bene ha fatto Mancino - persona che non mi è simpatica - a sollevare il problema: delle due l'una, o si vieta definitivamente ad un magistrato di candidarsi alle assemblee elettive - e questo sarebbe contrario ai principi sanciti dalla Costituzione -, oppure si stabilisce una volta per tutte quale debba essere il percorso di un magistrato dopo la carriera politica». Infine, Bobbio conclude: «Voglio ricordare che io, per coerenza, ho deciso di restare fuori ruolo. Mentre ci sono tanti magistrati che dopo la politica sono tranquillamente tornati nelle aule dei tribunali». Sulla sentenza interviene il sottosegretario all'Interno Nitto Palma: «La questione che rimane aperta è un'altra: alla fine della sua carriera politica il giudice o il Pm che fa? Nella 14a legislatura il parlamentare di Forza Italia Zanettin presentò una proposta di legge per prevedere che per i magistrati che avevano avuto un ruolo politico anche di parlamentare, si aprissero le porte dell'avvocatura che di fatto è organo di parte. Ma poi non se ne fece più nulla».

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Partecipate: Ingenti risorse a non eletti . Addio quote nelle Fiere (sezione: Giustizia)

( da "Gazzettino, Il (Udine)" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Partecipate: «Ingenti risorse a non eletti». Addio quote nelle Fiere Sabato 18 Luglio 2009, Trieste NOSTRO INVIATO Parla del progressivo spostamento del debito della Regione dai mutui (176 milioni di euro) alle 7 emissioni obbligazionarie di Buoni ordinari regionali per ben 1,339 miliardi di euro), constatando però con soddisfazione che nel 2008 non sono stati costituiti nuovi mutui e nemmeno emesse nuove obbligazioni. Tuttavia il cuore della requisitoria di Maurizio Zappatori, procuratore regionale della Corte dei conti, si richiama alle società partecipate da capitale pubblico. E la Regione potrebbe liberarsi presto delle quote nelle Fiere del Friuli Venezia Giulia. Quelle dove si trovino quote della Regione valgono un patrimonio globale di 731 milioni, ma queste partecipazioni «presentano dei rischi» in relazione ai «pericoli per gli equilibri della finanza pubblica derivanti dall'uso distorto delle medesime». Difatti il decreto Bersani (legge 284 del 2006) impone oggetti sociali definiti alle partecipate, obbligate a operare «soltanto nei confronti dei propri soci o degli enti affidanti con l'espresso divieto di svolgere prestazioni a favore di terzi e di partecipare ad altre società o enti». Varie Regioni, fra le quali il Friuli Venezia Giulia per la vicenda Insiel, hanno impugnato la norma alla Corte costituzionale, che tuttavia ha validato la legge in quanto difende la concorrenza. Non solo: la finanziaria 2008 ha rincarato la dose, con «l'obbligo per le amministrazioni pubbliche - afferma il procuratore - di dismettere le società o le partecipazioni in società che hanno per oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali». Questa la ragion pura della legge. Ma la ragion pratica, in una Regione speciale, non si traduce in termini direttamente imperativi, sebbene Insiel sia stata in effetti sdoppiata con la nascita e la procedura di vendita di Insiel Mercato. Il magistrato inquirente spiega che Friulia - finanziaria controllata dalla Regione che a sua volta controlla Autovie Venete e partecipa a oltre 100 compagini d'imprese private - non è coinvolta in questi obblighi, diversamente dal sistema delle autonomie locali: Province e Comuni in primis. Non a caso, il procuratore precisa che «il mancato avvio delle procedure finalizzate alla cessione delle quote pubbliche determina responsabilità erariale», sanzionabile in sede giurisdizionale con la condanna dei pubblici amministratori a risarcire i denari spesi. Zappatori dettaglia: nel solo 2008 il valore complessivo delle somme impegnate dalla Regione a favore delle società partecipate ammonta a 166 milioni di euro» eppure questa massa di risorse dei cittadini «risulta gestita da soggetti non responsabili nei confronti dell'elettorato». Di conseguenza, «l'espansione della spesa delle partecipate finisce per non essere riconducibile con certezza al perseguimento degli obiettivi pubblici». Ma cosa farà adesso la Regione? L'assessore al Bilancio Sandra Savino annuncia un monitoraggio delle partecipazioni proprie e degli enti locali e promette dismissioni per tutto ciò che non è strettamente legato agli scopi istituzionali. «Le quote negli enti fieristici, per cominciare», afferma senza l'obliquità del dubbio. M.B.

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Dirigenti, troppo spoil system (sezione: Giustizia)

( da "Gazzettino, Il (Udine)" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Dirigenti, troppo spoil system La Corte dei conti: «Deve riguardare solo posizioni di vertice». Tre assunzioni irregolari. Ma debito a -8,56% Sabato 18 Luglio 2009, Trieste NOSTRO INVIATO Il Comparto unico dell'impiego pubblico Regione-Enti locali continua a costare uno sbocco di sangue: oltre 253 milioni spesi in 11 anni soprattutto sul fronte degli adeguamenti retributivi. Eppure i benefici per l'amministrazione e soprattutto per i cittadini non si vedono, eccezion fatta per uno smilzo plotone di dipendenti che da Mamma Regione ha accettato di trasferirsi in altri enti. È questo uno dei principali rilievi che la Sezione di controllo della Corte dei conti, presieduta da Antonio De Troia, ha mosso ieri in forma solenne alla Regione, nell'aula del Consiglio, nel corso del giudizio che ha parificato il rendiconto generale 2008. Pesante il "rapporto" del giudice istruttore Fabrizio Picotti sulle consulenze, ma anche sui costi del personale, sulla eccessiva diffusione dello spoil system dei dirigenti e sul progressivo aumento della spesa sanitaria, pur nel perimetro di una gestione sana e rigorosamente attiva. Le virtuosità. Ma il diavolo non è tutto nero, anzi: se l'imperativo - come ha ribadito il presidente della Corte - è impegnare la massima attenzione per gestire «con prudenza e attenzione» le risorse, che saranno falcidiate dal crollo del gettito fiscale indotto dalla crisi, è però certificato che l'Amministrazione Tondo ha tenuto i conti in equilibrio e ha conseguito un taglio pari all'8,56 del debito pubblico. Ed è vero che lo Stato ha riconosciuto al Friuli Venezia Giulia l'aumento da 8 a 9,1 decimi di Iva in cambio della gestione delle strade e una quota di accisa sui carburanti in seguito all'eliminazione dei contingenti agevolati di frontiera. Ma del pari le entrate nette aumentano dal 2007 al 2008 del 12,68 per cento (più 553,4 milioni) e gli accertamenti netti del 10,88. Le entrate tributarie, che nel 2009 tuttavia subiscono cali importanti con la punta di meno 18,5 per cento a giugno, nel 2008 ha registrato un aumento dell'11,78 per cento, rispetto a un incremento della spesa del 7,5 per cento e degli impegni del 7,9. Avanzo 2008 da record. In discontinuità rispetto agli esercizi passati, il 2008 della Regione - sintesi di una coabitazione politica fra la gestione di Riccardo Illy (fino ad aprile) e quella di Renzo Tondo, segna un avanzo finanziario pari a 1,543 miliardi di euro (più 67,22 per cento rispetto al 2007), vale a dire un aumento pari a 620,5 milioni. Il nodo consulenze. Ribadendo quanto già espresso nei giorni scorsi con la Dichiarazione di affidabilità del rendiconto, la Corte imputa alla Regione di non aver speso poco in fatto di consulenze: 3,445 milioni pari all'1,93 per cento della spesa 2008 per tutto il personale. Tuttavia ha speso molto meno del 2006 (3,28 per cento della spesa del personale). E se ha peccato per mancanza di pubblicità e di procedure di comparazione delle opzioni prima di affidare alcuni incarichi (due martedì scorso sono stati dichiarati illegittimi dai giudici contabili), ha però introdotto per legge con l'assestamento estivo di bilancio nuove e più severe regole su questo fronte, meritandosi ieri dalla Corte dei conti un plauso per questa «recentissima e tempestiva» decisione. I furbetti locali. Due tirate d'orecchi della Corte riguardano gli Enti locali. Quanto al patto di stabilità con la Regione, in 17 casi non lo hanno rispettato. E quanto al contenimento della spesa del personale, hanno sforato i paletti ben 39 Comuni. Il fatto è che «tale condotta è stata sostenuta da molte Amministrazioni locali - scrive il giudice Picotti nella relazione - sulla base di direttive o pareri della Regione, cioè dell'autorità che avrebbe dovuto vigilare». La Corte dà, però, atto a una parte di questi Comuni di aver preso atto dei rilievi mossi dai magistrati e di essersi impegnati per rientrare nell'alveo della legittimità. Salute sana ma salata. Aziende ospedaliere e sanitarie tutte in attivo, certo, in un sistema che si autogestisce con fondi propri senza attingere alle tasche del Pantalone nazionale. Tuttavia la spesa è cresciuta mediamente del 10 per cento, valore ben lontano dalla riduzione dell'1,4 per cento prevista dalla legge finanziaria. La Corte ha ribadito la duplice necessità di rendere univoci i comportamenti contabili della sanità territoriale e di intervenire sulle eccessive differenze del costo del personale sanitario in realtà diverse: si spazia dal 12,23 al 59,19 per cento dei costi generali di produzione. Dirigenti. La Corte afferma il principio che lo spoil system, ovvero l'avvicendamento dei dirigenti in base a rapporti fiduciari mutati con il cambio di gestione politica in Regione, può riguardare soltanto le posizioni di vertice: direttori centrali, insomma, o al limite i vicedirettori centrali. Ma non tutti indistintamente, poiché gli altri "ufficiali" regionali vanno considerati nella logica del «modello di civil service proprio delle democrazie europee». Sul punto, l'assessore regionale al Bilancio Sandra Savino ribatte che «molti dirigenti se ne sono andati in pensione e in ogni caso nessuno è stato cacciato purché accettasse la riduzione retributiva del 10 per cento». Resta un neo: tre dirigenti (un direttore e due vicedirettori centrali) sono stati reclutati nell'esercizio 2008 senza rispettare le norme regolamentari, ossia tutti i requisiti previsti per i ruoli che sono andati a ricoprire. Comparto dei sospiri. Una spesa di oltre 253 milioni di euro dal 1999 al 2008, annata costata da sola 36,911 milioni. Sforzi che tuttavia «non paiono riequilibrati da un recupero di competitività del sistema - scrive la Corte - perché poco o nulla la Regione ha prodotto negli ultimi anni sul piano del trasferimento di funzioni e personale agli Enti locali, con conseguente semplificazione istituzionale». Di recente si è decisa la soppressione di «alcune sovrastrutture quali le Aster», ma ai giudici non basta: «Solo il riordino e l'auspicabile concentrazione delle amministrazioni consentirebbe di superare gli svantaggi della frammentazione dei centri di governo locale e quindi di spesa». La direzione giusta è quella del Testo unico del pubblico impiego nello spirito di una vera e propria funzione pubblica del Friuli Venezia Giulia. Una strada peraltro disseminata di resistenze oggettive e politiche, che l'assessore Elio De Anna aveva in effetti intrapreso e che ora il suo successore con questa funzione, Andrea Garlatti, è chiamato ad affrontare sotto i vessilli della riorganizzazione interna e dell'efficienza generale del Sistema regionale. Irpef dovuta sulle pensioni. Poche righe, ma assai importanti per i conti regionali, la Corte riserva alla sentenza 74 della Corte costituzionale, che quest'anno ha sancito il diritto delle Regioni a ottenere la compartecipazione all'Irpef dei propri pensionati, cosa che il Governo ha riconosciuto ma soltanto parzialmente liquidato: 20 milioni per il 2008. Maurizio Bait

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Giustizia/ Castelli: Bene la Consulta, no a toghe in (sezione: Giustizia)

( da "Virgilio Notizie" del 18-07-2009)

Argomenti: Giustizia

"La sentenza della Corte Costituzionale che vieta l'iscrizione ai partiti politici dei magistrati, anche se fuori ruolo, fa giustizia di tutti gli strali che tanti saccenti magistrati di sinistra hanno lanciato contro di me quando ero Ministro della Giustizia, rivendicando la supposta garanzia costituzionale di poter esternare opinioni politiche". Lo dichiara il senatore della Lega Nord Roberto Castelli, ex Ministro della Giustizia. "La stessa sentenza - prosegue Castelli - dimostra inoltre che fu legittima la tanto contestata norma della riforma dell'ordinamento giudiziario che porta il mio nome, che rendeva illecito disciplinare l'attività politica per i magistrati in ruolo.Se il dovere di imparzialità, secondo quanto stabilisce la Suprema Corte, coinvolge il magistrato anche nel suo 'operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua vita professionale', a maggior ragione questo deve valere quando il magistrato è in ruolo. Cade così - aggiunge - l'assurda motivazione addotta dai magistrati militanti secondo i quali è possibile militare e poi salire sullo scranno di giudice e giudicare imparzialmente, magistrati che non hanno mai capito che cervello e stati d'animo non si cambiano indossando o svestendo una toga.Forse non sentiremo più magistrati scrivere: "Signor ministro, lo confesso, ho militato. Ma non sono pentito, anzi¿lo ammetto, continuo a militare'. Speriamo - conclude Castelli - che ora i pasdaran della sinistra travestiti da magistrati diano retta, se non ad un ingegnere leghista ex Ministro della Giustizia, almeno alla Corte Costituzionale".

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GIUSTIZIA/ CASTELLI: BENE LA CONSULTA, NO A TOGHE IN POLITICA (sezione: Giustizia)

( da "Wall Street Italia" del 18-07-2009)

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Giustizia/ Castelli: Bene la Consulta, no a toghe in politica -->"La sentenza della Corte Costituzionale che vieta l'iscrizione ai partiti politici dei magistrati, anche se fuori ruolo, fa giustizia di tutti gli strali che tanti saccenti magistrati di sinistra hanno lanciato contro di me quando ero Ministro della Giustizia, rivendicando la supposta garanzia.

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Nel Museo a Mondovì duemila ceramiche di Levi (sezione: Giustizia)

( da "Stampa, La" del 19-07-2009)

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Nel Museo a Mondovì duemila ceramiche di Levi [FIRMA]GIANNI SCARPACE MONDOVI' Il banchiere, industriale e mecenate Marco Levi, ultimo rappresentante della comunità ebraica a Mondovì, prima della sua morte, nel 2001, pose una sola condizione. Che la collezione di ceramica di Carlo Baggioli composta da 2237 preziosi pezzi, acquistata nel corso di un'intera esistenza, uscisse dal caveau della Banca Alpi Marittime solo se si fosse realizzato il Museo della Ceramica. Quel sogno potrebbe avverarsi tra pochi mesi perché i lavori edili e di restauro del Palazzo Fauzone di Germagnano, che si affaccia sull'impianto medievale di piazza Maggiore, stanno per terminare. Nel 1999 l'allora sindaco Riccardo Vaschetti firmò il protocollo d'intesa con enti privati e pubblici per la costruzione, l'allestimento e la gestione del Museo. Sono trascorsi dieci anni e «il cantiere infinito» all'ex Sottoprefettura dovrebbe terminare quest'anno per un'inaugurazione ufficiale nella primavera 2010, al completamento degli allestimenti. «Siamo a buon punto, al massimo entro i primi giorni di settembre l'impresa Fantino dovrebbe terminare i restauri nei due piani interessati - spiega il professor Guido Neppi Modona, docente universitario, ex giudice della Corte Costituzionale, nipote di Marco Levi -. A settembre, quando s'inizierà con l'allestimento museale affidato all'architetto Ferdinando Fagnola, non si partirà da zero perché si è creato un gruppo di consulenza per il percorso storico-artistico del Museo ed è stato predisposto il progetto di allestimento generale e gli impianti multimediali». Il nucleo centrale sarà costituito dalla collezione Baggioli a cui se ne aggiungeranno altri della raccolta privata di Levi, che fu anche industriale della ceramica. Impulso costante è la Fondazione «Museo della Ceramica Vecchia Mondovì», onlus riconosciuta dalla Regione con lo «scopo primario della realizzazione e gestione artistica culturale e scientifica del Museo», in collaborazione con il Comune di Mondovì. Fa capo a Giorgio Maria Lombardi, presidente onorario, e allo stesso Neppi Modona, che aggiunge: «Il Museo è un esempio di come istituzioni pubbliche e private possano operare bene, eppure con tempi che si sono dilatati. Con l'amministrazione del sindaco Stefano Viglione stiamo lavorando in modo concreto e spedito». «Punteremo molto sull'interattività, sulla tecnologia visiva fatta di pannelli, video ad alta definizione», spiega l'assessore alla Cultura Marco Manfredi. Una storia travagliata, quella del Museo. Nel 1999 Vaschetti e Marco Levi ottennero la cifra di 600 milioni di lire dalla Compagnia San Paolo. Il primo lotto di lavori si attivò nel 2002, quando ci fu la conferma della partecipazione di alcuni enti al «Progetto Museo»: in primo piano l'impegno economico, oltre che della Compagnia di San Paolo, della Fondazione Crc (700 mila euro), ministero per i Beni Culturali (500 mila circa), Regione, Comune e Provincia. Nel 2002 venne affidato il primo lotto alla società campana «Recuperi e restauri», ma finì presto per vie legali: in ballo accordi su lavori non previsti nella gara d'appalto. Saltò il termine di fine lavori del 2004. Poi la ricerca di nuovi finanziamenti per il secondo lotto, fino ad arrivare all'inserimento, oggi, del Museo «nell'ambito di un polo culturale ampio - dice il sindaco Viglione - che comprende anche Museo della Stampa e del Tempo». Mondovì vive una contraddizione: ebbe una produzione industriale fiorente, oggi quasi scomparsa. E' «città della ceramica», ma la ceramica è poco visibile. C'è ancora la ditta «Besio 1842» che ha raccolto l'eredità industriale del marchio tradizionale del «galletto» (e non solo) e la bottega artigianale di Giuliana Barattero.

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Sentenza fa "tremare" la Gori (sezione: Giustizia)

( da "Citta' di Salerno, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

SARNO Sentenza fa "tremare" la Gori Manca la stipula del contratto: si dimezzano i costi delle bollette I possibili effetti dopo una decisione del giudice a Crotone " SARNO. Un passo avanti potrebbe arrivare nella battaglia tra gli utenti e la Gori, gestore del servizio idrico. " I cittadini lamentano il costo esorbitante dell'acqua e subiscono un monopolio di fatto che attribuisce alla Gori una posizione dominante che gli consente di dettare regole anche forzando i principi del codice civile. La novitá, però, arriva da una sentenza del Tribunale di Crotone, resa in appello ad una pronuncia di un giudice di pace. Il caso trattato dal foro calabrese è identico a quello che si presenta a Sarno, dove quasi nessun utente ha mai firmato un contratto con la Gori, che, a sua volta, è solo subentrata nel servizio prima reso dal comune. La Gori svolge un servizio di fatto, ma non ha mai stipulato con gli utenti un contratto che disciplinasse i reciproci rapporti e ciò potrebbe avere buone conseguenze per i cittadini. Dalla sentenza si evince che, in mancanza di un contratto scritto tra le parti, il servizio offerto si configura come indebito arricchimento per l'utente, che deve pagare, ma deve versare un indennizzo equo, non essendo pattuite tariffe di pagamento che aumentano in base al consumo effettuato. Nel caso nostro, non è in discussione che l'utente debba pagare, ma si discute della somma che viene chiamato a versare, che diventa carissima proprio per l'applicazione di un sistema di fasce che la Gori effettua nella fatturazione. Tra la prima fascia e le altre superiori, a seconda dei metri cubi rilevati, si arriva a pagare tantissimo un metro cubo. " Poiché la prima fascia prevede un consumo basso, quasi tutti gli utenti passano nelle fasce successive e arrivano a pagare bollette esorbitanti rispetto al passato. Il principio che si ricava dalla sentenza, invece, mette in discussione proprio il sistema delle fasce e tutti i metri cubi consumati dovrebbero pagarsi allo stesso modo, senza differenze in aumento. Poiché, nel nostro ordinamento, vige il principio di favore per il consumatore, l'indennizzo che dovrebbe essere versato sarebbe uguale sempre a quello della prima fascia, la meno costosa per tutti. L'esempio che segue potrebbe rendere l'idea. " Un utente medio, per uso domestico, dal 2004 al 2009, ha consumato circa mille metri cubi di acqua. Sulla base delle fatture pretese dalla Gori, che ha applicato le tariffe a seconda delle varie fasce, in cinque anni, il consumatore ha pagato oltre 900 euro. Il principio che si sta affermando, invece, con il calcolo secondo la tariffa unica, avrebbe portato a pagare circa la metá per lo stesso consumo. L'utente, quindi, potrebbe richiedere alla Gori la restituzione dei soldi pretesi in più, calcolati in base ad una distinzione che può derivare solo dall'accettazione espressa di precise clausole contrattuali. In mancanza, si paga la tariffa minima. Se tale tesi prevale, la Gori potrebbe restituire agli utenti milioni di euro con effetti dirompenti, ancor più della restituzione del canone di depurazione, proclamata dalla Corte costituzionale, ma evitata da una legge beffa. Gaetano Ferrentino

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pescara, la città (sezione: Giustizia)

( da "Centro, Il" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 36 - Pagina Aperta Pescara, la città Pescara, la città torna indietro Caro direttore, grazie per l'opportunità che dà a noi cittadini di esprimere un giudizio. Vorrei dire che con il nuovo sindaco di Pescara si sta tornando indietro. Parcheggiare sui marciapiedi (abitudine tribale oserei dire), riapertura della rampa, chiusura dei locali (e torniamo ai balneatori) alle quattro del mattino, cos'è civiltà? Maria Di Stefano Pescara La ricostruzione aquilana Sarà il pessimismo della ragione. Sarà una certa esperienza. Sarà quel che sarà, insomma, ma provo un certo scetticismo sulla cosiddetta «ricostruzione» aquilana. Quando per ottenere quel che dovrebbe essere normale, fisiologico (la ricostruzione, appunto) occorre che questa sia «pompata» attraverso una costante rincorsa dell'immagine, dei fatti mediatici, allora vuol dire che quella ricostruzione non è solo in forse, è persino aleatoria. Il problema della rinascita aquilana, infatti, non sta solo in una classe politico-istituzionale malata di protagonismo mediatico, ma nella stessa società cittadina. Quel che mette paura è la sua incondizionata indulgenza nei confronti di tutto ciò che piove dall'alto; un'indulgenza che rappresenta benissimo una società in crisi già prima del terremoto, figurarsi ora! La maggioranza di questa società accetta tutto. Ha accettato la disumanità delle tende; la diaspora degli alberghi; l'assurdità urbanistica del progetto «Case». E' questa maggioranza della società che impedirà una ricostruzione dignitosa e non sbandierata a scopo di propaganda politica. Certo, scriverlo, dirlo, non cambierà nulla; ma aiuterà ad analizzare la realtà. Per capire, a futura memoria, perché certe cose potevano andare nel verso giusto ed invece si incamminarono verso quello sbagliato. Ugo Centi L'Aquila Il rimborso tasse si chiede al Comune Signor direttore, da più parti sono stato interpellato ad esprimere un parere in ordine alle problematiche concernenti il rimborso del maggiore importo Tia rispetto alla Tarsu e dell'Iva 10 per cento versato sulla Tia. Preliminarmente giova osservare che la questione è complessa ed è in evoluzione. La giurisdizione sulla Tia è stata nuovamente riaperta dalle sezioni unite della Corte di Cassazione (ordinanza numero 13894 del 15 giugno 2009) e rimessa alla Corte Costituzionale. In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, si può dire che l'istanza di rimborso della differenza tra Tia e Tarsu vada indirizzata al Comune ed in caso di rifiuto espresso o tacito, una eventuale controversia debba essere rimessa alle Commissioni Tributarie. L'istanza di rimborso - non in senso tributario - del 10 per cento dell'Iva versata sulla Tia va anch'essa inoltrata all'ente, mentre l'azione deve essere conosciuta dal giudice civile, giacche la richiesta è avanzata dai consumatori finali - che non sono soggetti Iva - contro il prestatore dei servizi (pertanto si versa nel rapporto clienti/fornitori). Non è pacifico che alla Tia, essendo una tassa, non si possa applicare anche il 10% dell'Iva, nella considerazione che quest'ultima potrebbe essere statuita anche ad un corrispettivo di servizi pubblici che abbia natura tributaria. Nel merito si fa presente che l'Agenzia delle Entrate è per l'applicabilità dell'Iva al 10 per cento (confrontare la risoluzione numero 250/E del 17 giugno 2008, anche se le motivazioni ivi contenute non appaiono molto convincenti). Salvatore Valentino Già giudice tributario Teramo

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una democrazia malata che deve guarire - eugenio scalfari (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 1 - Prima Pagina UNA DEMOCRAZIA MALATA CHE DEVE GUARIRE EUGENIO SCALFARI TRE temi strettamente legati l´uno all´altro dominano il panorama della settimana che oggi si chiude: l´intervento del presidente della Repubblica sulla legge approvata dal Parlamento che riguarda alcuni aspetti della sicurezza pubblica; il dibattito in corso nel Partito democratico in vista del congresso che si concluderà il 25 ottobre; la presentazione del Dpef e del decreto anti-crisi che ha cominciato il suo iter parlamentare. Ma va aggiunto che su questi tre temi ne incombe un quarto che ha carattere preliminare e che può avere come titolo quello usato venerdì scorso da Gustavo Zagrebelsky per il suo articolo pubblicato dal nostro giornale: "Verità e menzogna". Si tratta di un tema capitale per ogni democrazia poiché investe il rapporto fiduciario dei cittadini con le istituzioni, la formazione della pubblica opinione e la sua possibile manipolazione culturale prima ancora che politica e infine il funzionamento dello stato di diritto. Inizierò con il primo tema e concluderò con il quarto: vi è infatti un nesso evidente tra gli interventi del Quirinale e la tutela dello stato di diritto, mai come oggi insidiato, indebolito e vulnerabile. Si è detto da parte di alcuni fondamentalisti del centrodestra che l´intervento di Napolitano sulla legge di sicurezza è stato irrituale. L´ha detto anche Di Pietro che pratica un altro tipo di fondamentalismo. Napolitano, com´è noto, ha promulgato la legge sulla sicurezza approvata dal Parlamento ma ha accompagnato la sua firma con una lunga lettera diretta al presidente del Consiglio, ai ministri proponenti (Maroni, Alfano), ai presidenti delle Camere e al presidente della Corte costituzionale. SEGUE A PAGINA 23

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MARCIANA MARINA BOTTA E RISPOSTA tra il Pd e l'amministrazi... (sezione: Giustizia)

( da "Nazione, La (Livorno)" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

ELBA ARCIPELAGO pag. 13 MARCIANA MARINA BOTTA E RISPOSTA tra il Pd e l'amministrazi... MARCIANA MARINA BOTTA E RISPOSTA tra il Pd e l'amministrazione Ciumei in merito alla rioganizzazione degli uffici comunali. «Non abbiamo niente in contrario quando si tratta di rivalorizzare le professionalità all'interno dell'Ente sostiene il Partito democratico marinese salvo sottolineare come il tutto debba realizzarsi nel pieno rispetto degli accordi sindacali e della normativa vigente. Ci sembra che questi ultimi aspetti non vengano tenuti in considerazione. In particolare la relativa delibera è stata approvata malgrado il parere contrario del responsabile del personale che motiva il suo dissenso con il fatto che l'operazione che si sta realizzando è in discordanza con il contratto nazionale di lavoro. Non riusciamo neanche a comprendere lo "spacchettamento" del servizio scuola-sociale-attività produttive da sempre esistente e che ha dato nel tempo buoni risultati nel merito dei servizi svolti». LA REPLICA dell'amministrazione comunale non si fa attendere. «Innanzitutto afferma il sindaco Andrea Ciumei (nella foto) la ricordata delibera costituisce la mera formalizzazione della procedura di concertazione, a norma dell'articolo 6 del Ccnl come si può leggere nelle premesse dell'atto. Entrando nel merito, nella parte narrativa della delibera sono esplicitati presupposti, motivi e scopi cui è preordinata la manovra di riordino, in gran parte riconducibili a pregresse programmazioni del fabbisogno del personale. L'obiettivo dell'Amministrazione è contenere le posizioni organizzative portandole a 4 rispetto alle attuali 6, per beneficiare, a garanzia dell'efficienza degli uffici, di risorse umane sufficienti in ognuno dei servizi in cui si articola la struttura. Infine, nel suo parere tecnico, il responsabile del personale, lungi dall'eccepire "discordanza al Contratto nazionale di lavoro" si limita a segnalare la posizione della giurisprudenza formatasi a seguito della sentenza della Corte Costituzionale che dichiara illegittime le procedure di progressioni verticali ove non rispettose del "bilanciamento" del 50% dei posti riservati rispetto all'accesso dall'esterno. La giunta, proprio in virtù del parere tecnico, ha apportato modifiche all'ipotesi in precedenza delineata».

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Governo mondiale dei giudici? No grazie (sezione: Giustizia)

( da "Riformista, Il" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Governo mondiale dei giudici? No grazie Nel concludere le sue osservazioni su un libro recente di Sabino Cassese che discute l'emersione e la crescente importanza delle giurisdizioni internazionali, Sergio Romano, sul Corriere della Sera, osserva che il fenomeno di cui si occupa lo studioso, che attualmente è uno dei membri della Corte costituzionale del nostro Paese, pone problemi di grande rilievo per le democrazie. C'è, si chiede Romano, il rischio che esse si trasformino in "jurecrazie"? La questione non è affatto pellegrina, ed è stata già sollevata in modo autorevole da diversi studiosi. Per fare solo l'esempio degli Stati Uniti, la domanda se la sono posta sia un giudice di orientamento conservatore come Robert Bork sia un costituzionalista progressista come Cass Sunstein. Pur con accenti diversi, entrambi hanno sottolineato che il problema della legittimità del diritto - che le democrazie tradizionalmente hanno risolto, almeno in linea di principio, attraverso i meccanismi della rappresentanza - è destinato a risorgere qualora si accettasse l'idea che ci sono giurisdizioni che applicano regole che non sono state deliberate da alcun Parlamento, e che talvolta sono soltanto il prodotto del ragionamento dei giudici a partire da standard formulati in maniera vaga e spesso niente affatto perspicua. Tra le righe dell'intervento di Romano si legge lo scetticismo di un conservatore che diffida di poteri che non rispondono a nessuno e a cui non corrispondono contrappesi istituzionali che siano in grado di moderarne gli eccessi. Si tratta di una perplessità condivisibile. Non è certo nostra intenzione negare che la ricostruzione proposta da Cassese sia persuasiva, e che il fenomeno che egli descrive sia destinato a segnare una genuina trasformazione nel nostro modo di pensare il diritto. Ciò che ci pare meriti l'attenzione di chi ha a cuore le sorti del liberalismo non è il fatto illustrato da Cassese, ma le conseguenze che ne traggono alcuni. Anche chi crede che ci sono standard morali non soggettivi per valutare la bontà del diritto positivo - e molti liberali ne sono convinti - ha un sussulto al pensiero che le proprie vicende personali siano decise da giudici che non rispondono a nessuno. Specie quando essi sono, come accade normalmente, persone che hanno una preparazione esclusivamente tecnica che li rende probabilmente del tutto inadatti a una funzione che richiederebbe oltre che sapere anche saggezza. Un grande giudice britannico del diciassettesimo secolo, sir Edward Coke, difendeva le prerogative della giurisdizione contro quelle del sovrano richiamando il carattere di "ragione artificiale" del diritto. Tuttavia, i giudici di cui Coke prendeva le parti contro la pretesa di Giacomo I di essere l'unica fonte del diritto positivo si alimentavano della grande tradizione filosofica del diritto naturale e cercavano di non perdere mai di vista "la natura delle cose". Oggi i sistemi con cui si selezionano i giudici non sono necessariamente i più adatti a coltivare l'equilibrio e la cultura che sarebbero necessarie per l'ideale che aveva in mente Coke. In tali circostanze, la prudenza suggerisce di tenersi leggi imperfette e giudici delle competenze limitate. Mario Ricciardi 19/07/2009

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Il caso arriva alla Consulta (sezione: Giustizia)

( da "Nazione, La (Arezzo)" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

CRONACA AREZZO pag. 5 «E' penalizzato dalla dialisi» Il caso arriva alla Consulta STORIA OLTRE 180 GIORNI DI MALATTIA SALTA OGNI RETRIBUZIONE INDICE PUNTATO in direzione della corte costituzionale: per la prima volta in Italia, l'Inca aretina, il patronato della Cgil, solleva un caso che farà scalpore. La vicenda riguarda un lavoratore in dialisi, che non si è visto adeguatamente tutelato. Il patronato Cgil, assistito dall'avvocato Angelo Gargano, ha sollevato il problema davanti ai vertici dell'Inps e quindi davanti al giudice del lavoro del tribunale di Arezzo. Ed è stato proprio quest'ultimo che ha chiesto alla corte costituzionale un pronunciamento sulla legittimità del primo comma dell'articolo 2110 del Codice Civile nella parte in cui «non annovera anche la dialisi tra le malattie atte ad escludere la decorrenza del periodo massimo indennizzabile». Il caso nasce dal contrasto tra il diritto alla salute del lavoratore e la norma che prevede, per un dipendente a tempo indeterminato, 180 giorni di malattia indennizzabili. «In altre parole spiega Giancarlo Gambineri, direttore del patronato aretino un lavoratore ha diritto di stare in malattia e di riscuotere lo stipendio fino a 180 giorni all'anno. Successivamente può mantenere il posto di lavoro ma non riscuote nemmeno un euro. Nel caso del lavoratore che si è rivolto al nostro patronato, lo «sconfinamento» oltre i 180 giorni era e rimane inevitabile. Deve infatti far ricorso al trattamento di dialisi per tre giorni alla settimana e l'azienda gli riconosce tre mezze giornate di malattia. E' evidente che, sommando anche altri giorni derivanti da ulteriori problemi di salute, il superamento dei 180 giorni diventa automatico». L'INCA HA dapprima chiesto ai vertici dell'istituto di previdenza di includere la malattia che impone il ricorso alla dialisi fra quelle definite «specifiche» e pertanto da scorporare dalle 180 giornate di malattia generica indennizzabile. Ma lo stesso istituto non ha potuto accogliere la richiesta in quanto mancavano i requisiti normativi, insomma la legge non lo prevedeva. «Non ci è restato che rivolgerci al giudice del lavoro conclude Gambineri E questo nella consapevolezza che siamo di fronte alla necessità di una modifica normativa. Oggi ci sono malattie e conseguenti trattamenti terapeutici che le vecchie norme non contemplavano per le più svariate ragioni. Malattia «specifica», che non rientra nei 180 giorni è ancora oggi, ad esempio, le tubercolosi. Non c'è dubbio che le norme devono essere cambiate affinché non si crei un conflitto tra due diritti fondamentali della persona: quello per la tutela della salute e quello per la tutela del posto di lavoro».

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I conservatori contro Rafsanjani Cento arresti al corteo di venerdì (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

I conservatori contro Rafsanjani Cento arresti al corteo di venerdì GABRIEL BERTINETTO I duri del regime accusano il colpo. Le critiche rivolte venerdì da Hashemi Rafsanjani ai massimi vertici dello Stato devono avere colpito nel segno, a giudicare dall'asprezza delle risposte arrivate ieri da una serie di personalità vicine alla Guida suprema Ali Khamenei ed al presidente Mahmoud Ahmadinejad. Hossein Shariatmadari, direttore del quotidiano Keyhan, ribatte a Rafsanjani, contestando il modo in cui quest'ultimo ha definito la situazione in cui versa oggi l'Iran. Nel sermone tenuto l'altro ieri all'Università di Teheran, l'ex-capo di Stato ha affermato che il Paese è precipitato in una «crisi» a causa del modo sbagliato in cui le autorità hanno affrontato le proteste popolari dopo il voto di giugno. LA VOCE DELLA GUIDA Secondo Shariatmadari, il cui giornale riflette il pensiero della Guida suprema, il termine che meglio descrive invece quanto sta accadendo oggi nel Paese non è «crisi», ma «cospirazione». Cospirazione è quella, che secondo gli integralisti, si rivela nelle proteste di piazza e nel rifiuto di accettare il successo di Ahmadinejad. Difendendo le ragioni dell'opposizione, Rafsanjani «protegge i sovversivi». Così si fa complice della cospirazione, è l'accusa implicitamente rivoltagli da Keyhan. Non meno duro contro Rafsanjani è l'ayatollah Mohammad Yazdi, che si sente chiamato direttamente in causa dall'ex-capo di Stato in quanto membro del Consiglio dei Guardiani. Rafsanjani infatti aveva denunciato il modo frettoloso con cui il Consiglio, una sorta di Corte costituzionale, ha ratificato la vittoria di Ahmadinejad, rifiutandosi di esaminare attentamente i ricorsi dei candidati Mousavi e Karroubi, che dicono di avere perso solo a causa di brogli massicci. Yazdi si chiede se nel dare credito ai sospetti di frode, Rafsanjani non contribuisca a «piantare i semi della discordia» nelle menti dei cittadini. IL CAPO DELL'INTELLIGENCE Ancora più esplicito e diretto l'attacco del ministro per l'Intelligence, Gholamhossein Mohseni-Ejei, secondo cui Rafsanjani ha sempre nutrito il disegno di prevenire «ad ogni costo» la rielezione di Ahmadinejad. La scelta di campo di Rafsanjani, che seppure in maniera prudente, si schiera a tutela del movimento popolare anti-Ahmadinejad, preoccupa gli ultraintegralisti. L'ex-presidente gode di largo seguito negli stessi ambienti conservatori, e presiede due importanti organismi istituzionali, uno dei quali, il Consiglio degli Esperti, nomina la Guida suprema e può persino deporla. Ieri a Teheran non venivano segnalate manifestazioni. Venerdì durante e dopo il discorso di Rafsanjani, migliaia di persone erano scese in piazza per protestare contro Ahmadinejad. Fonti dell'opposizione fanno sapere via Internet che sarebbero stati arrestati circa 100 dimostranti. Dalla Germania torna a parlare delle tensioni in Iran, Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace, che non è più tornata in patria dal giorno delle elezioni. Il movimento riformatore di queste settimane «è un evento storico non solo per l'Iran ma per tutto il mondo islamico», dice Ebadi, che apprezza anche la presa di posizione di Rafsanjani, «benché non sia stato abbastanza risoluto». L'ala dura del regime fa quadrato intorno alla coppia Khamenei-Ahmadinejad e si scaglia contro Rafsanjani, che venerdì aveva attaccato i massimi vertici dello Stato per la «crisi» in cui versa l'Iran.

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, stasera lo spoglio dei voti in piazza (sezione: Giustizia)

( da "Gazzetta di Parma (abbonati)" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

PROVINCIA 19-07-2009 Lunigiana PREMIO LETTERARIO IERI IL VIA ALLE INIZIATIVE COLLATERALI «Bancarella», stasera lo spoglio dei voti in piazza A Pontremoli 200 librai decreteranno il vincitore della 57» edizione. Incontri con Alain Elkann e la Gassman PONTREMOLI Valentina Galeotti II Si concluderà questa sera il 57° Premio Bancarella, il tradizionale appuntamento dell'estate lunigianese che, da sempre, premia scrittori di fama internazionale e porta a Pontremoli personaggi di spicco della cultura e dell'editoria. Le iniziative collaterali legate al Bancarella e dedicate agli appassionati dei libri hanno preso il via ieri pomeriggio. Nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Dosi si è svolta la presentazione del quarto libro di Giancarlo Perazzini «Il mistero del castello», edito dalla Albatros Editore. Perazzini lavora nel ramo delle costruzioni e vive a Bagnone. A seguire, è stato presentato «Il chiodo nella sabbia», l'ultimo libro di Luigi Mazzella, edito da Avagliano Editore. Noto giudice della Corte Costituzionale, Mazzella è anche autore di numerosi testi di saggistica. Oltre agli autori erano presenti il Presidente della Fondazione Città del Libro, Giuseppe Benelli e il sindaco Franco Gussoni. Al termine delle due presentazioni, inoltre, Benelli ha ricevuto il Premio alla Carriera: un dipinto dell'artista Arrighi, donato dall'onorevole Borea. Grande successo anche per il concerto «A Forza di Essere Vento», il tributo a Fabrizio De André che ieri sera ha animato piazza della Repubblica. Sul palco si sono esibiti i Four Steps Choir con Pietro Sinigaglia e Gloria Clemente. Questa mattina gli appuntamenti dedicati al libro riprenderanno alle 10 con la Messa dei Librai celebrata in Duomo. Alle 11, nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Dosi si svolgerà la presentazione di «Una grande famiglia dietro le spalle. Una straordinaria storia di tre generazioni di attori », il volume di Paola Gassman (Marsilio Editore). Alle 17.30 nel Convento della Ss. Annunziata sarà la volta di Alain Elkann con «L'invidia» (Bompiani). Alla presentazione seguirà l'inaugurazione della mostra «La luna e lo specchio » di Fabian Negrin, che ha illustrato la locandina di questa edizione del premio. Momento culminate della giornata la cerimonia di assegnazione del «bancarella », che prenderà il via alle 21 in Piazza della Repubblica. Anche quest'anno, il tradizionale spoglio pubblico delle schede coi voti dei 200 librai italiani si preannuncia seguitissimo. Ad animare la serata il presidente del Bancarella 2009 Romano Battaglia e la madrina Paola Gassman. Bancarella Da sinistra Perazzini, il sindaco Gussoni, Benelli e Mazzella.

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Se però questo volesse dire arrivare a dopo l'approvazione definitiva del Trattato (rit... (sezione: Giustizia)

( da "Messaggero, Il" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Domenica 19 Luglio 2009 Chiudi di PAOLO POMBENI Se però questo volesse dire arrivare a dopo l'approvazione definitiva del Trattato (ritardo improbabile, ma non escluso) vorrebbe dire votare con le nuove norme: non più la semplice maggioranza dei presenti in Aula al momento del voto, ma la maggioranza assoluta di tutti i 763 membri. Sarebbe una novità che renderebbe molto difficile il governo dell'assemblea da parte dei due partiti maggiori (Ppe e partito socialista e democratico) e darebbe un ruolo anche alle forze minori: cioè meno forza al diktat pro Barroso dei governi, che hanno un asse preferenziale coi grandi partiti, a favore di una impostazione più dinamica della Commissione. Potrà sembrare che tutto questo sia un gioco chiuso fra un gruppo di professionisti della politica europea e che abbia poche ricadute sulla vita della gente. Non è proprio così, non solo per le ragioni di sempre (c'è bisogno di Europa se vogliamo avere la dimensione sufficiente per contare nel mondo e per affrontare la crisi attuale), ma anche per una nuova più sottile ragione legata alla sentenza della Corte Costituzionale tedesca. In buona sostanza in questa pronuncia, ampia e tecnicamente complessa, si fissa un principio: se si vuole davvero far fare alla UE il salto di qualità di una maggiore integrazione, bisognerà passare per una consultazione diretta della popolazione (referendum), perché la UE ha un deficit di democrazia che non può essere colmato solo dalla elezione popolare e diretta del suo parlamento. Il principio è vincolante per la Germania, ma il giudizio pesa su tutti. Significa che il problema del coinvolgimento delle opinioni pubbliche deve essere affrontato, cosa che finora si è fatta solo con un po' di propaganda e nemmeno fatta bene. L'Europa più vicina ai cittadini, l'incremento della partecipazione, la ricezione delle problematiche europee come sale della vita pubblica di tutti i paesi, non sono più temi per cui ci si possa accontentare di un po' di retorica federalista o cose simili. Non sappiamo quanto la presidenza svedese di turno sia consapevole di questo specifico problema, ma certo la scelta dei suoi due temi forti indicherebbe qualche sensibilità in questa direzione. Il primo tema è quello dei cambiamenti climatici: fa audience ed è popolare, ma il suo tallone d'Achille è che è molto difficile tradurlo in vere decisioni soddisfacenti. Il secondo tema è la crisi finanziaria e qui, pur tra mille difficoltà, si potrebbero ottenere dei risultati ed anche raccogliere molto consenso. Ecco allora che entra in gioco un fattore molto importante e delicato per il nostro paese. C'è infatti da decidere la presidenza dell'Eurogruppo, cioè la riunione dei ministri finanziari dei 16 paesi della zona euro. È un club importante, che può influenzare molto non solo la politica della UE, ma la stessa politica internazionale, vista la debolezza del dollaro e la buona tenuta dell'euro. Per questa carica, finora detenuta dal lussemburghese Junker, si parla del nostro Tremonti e questa volta le possibilità di successo sono alte. Tremonti si è mosso bene nel governo della crisi ed ha avuto una presenza intellettuale vivace nell'analisi di quel che accadeva, il che non è esattamente frequente nei ministri economici. Anche al recente G8 ha consolidato la sua posizione nei rapporti internazionali. Per l'Italia la partita è decisiva. L'Unione europea nel 2010 si troverà per forza ad un bivio: o riuscirà ad entrare negli schemi del Trattato di Lisbona, oppure si ridimensionerà ad un livello di ritorno più o meno al livello di un'area di mercato comune. In entrambi i casi sarà una cosa nuova e questo scatenerà un confronto acceso fra i 27 ed una ridislocazione dei pesi e delle influenze. Per la nostra storia e per le nostre prospettive future l'Italia non può entrare in questa nuova fase in posizione di debolezza e per questo deve costruire, per tempo e con pazienza, una rinnovata autorevolezza come sistema nazionale.

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MEGLIO non sottovalutare l'attuale momento dell'Unione Europea: siamo davanti ad un intrico di s... (sezione: Giustizia)

( da "Messaggero, Il" del 19-07-2009)
Pubblicato anche in: (Messaggero, Il (Metropolitana)) (Messaggero, Il (Ostia))

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Domenica 19 Luglio 2009 Chiudi di PAOLO POMBENI MEGLIO non sottovalutare l'attuale momento dell'Unione Europea: siamo davanti ad un intrico di scadenze che potranno avere ricadute anche molte importanti. Nei giorni scorsi si è avuto l'avvio ufficiale della nuova legislatura del Parlamento di Strasburgo e non si è trattato di un evento di routine. Vediamo di fare un po' di chiarezza su qualche punto. Prima questione: è stata fissata la data per il secondo referendum irlandese di ratifica del trattato di Lisbona. Si voterà il 2 ottobre e sembra ci siano buone possibilità per la vittoria dei sì, il che vuol dire una altrettanto buona possibilità che per fine anno si abbia la ratifica complessiva, mancando solo la firma dei presidenti (euroscettici) della Polonia e della Repubblica Ceca, i cui parlamenti però hanno già ratificato. Se ci sarà il sì irlandese difficile che possano dilazionare ancora. Però se entra in vigore il trattato di Lisbona cambiano un bel po' di cose. Non solo si apre davvero, come abbiamo più volte ricordato su queste colonne, la partita per il presidente stabile. Gli inglesi hanno fatto una mossa per Blair, ma non sembra una candidatura con molte chance. Pare invece che ci sia una più consistente manovra a favore di Felipe Gonzalez, per cui si schiererebbe anche Sarkozy. A fianco si dovrà scegliere l'Alto Commissario per la politica estera e qui le carte sono più coperte. Si è parlato anche di una candidatura del ministro Frattini, ma senza che si possa capire se è un nome buttato lì o una cosa seria. Per l'Italia il gioco è delicato. Nella distribuzione dei ruoli al Parlamento europeo non ci è andata molto bene. Per la presidenza hanno prevalso i giochi franco-tedeschi: l'ex premier polacco, membro del Ppe, per la prima metà della legislatura (un omaggio all'Est, ma anche un uomo molto cauto ed incline alla moderazione ad ogni costo), per passare poi ad un socialista, con ogni probabilità il tedesco Martin Schultz (certamente più. vivace). Nelle presidenze di commissione il duo ha fatto la parte del leone ed a noi è toccata solo l'agricoltura con De Castro. Il Parlamento però ha mostrato subito una volontà di protagonismo, sia pure ad un livello che sfugge alla opinione diffusa. Si è rifiutato di riconfermare Barroso alla presidenza della Commissione come chiedevano i governi rimandando la cosa a dopo l'estate. Se però questo volesse dire arrivare a dopo l'approvazione definitiva del Trattato (ritardo improbabile, ma non escluso) vorrebbe dire votare con le nuove norme: non più la semplice maggioranza dei presenti in Aula al momento del voto, ma la maggioranza assoluta di tutti i 763 membri. Sarebbe una novità che renderebbe molto difficile il governo dell'assemblea da parte dei due partiti maggiori (Ppe e partito socialista e democratico) e darebbe un ruolo anche alle forze minori: cioè meno forza al diktat pro Barroso dei governi, che hanno un asse preferenziale coi grandi partiti, a favore di una impostazione più dinamica della Commissione. Potrà sembrare che tutto questo sia un gioco chiuso fra un gruppo di professionisti della politica europea e che abbia poche ricadute sulla vita della gente. Non è proprio così, non solo per le ragioni di sempre (c'è bisogno di Europa se vogliamo avere la dimensione sufficiente per contare nel mondo e per affrontare la crisi attuale), ma anche per una nuova più sottile ragione legata alla sentenza della Corte Costituzionale tedesca. In buona sostanza in questa pronuncia, ampia e tecnicamente complessa, si fissa un principio: se si vuole davvero far fare alla UE il salto di qualità di una maggiore integrazione, bisognerà passare per una consultazione diretta della popolazione (referendum), perché la UE ha un deficit di democrazia che non può essere colmato solo dalla elezione popolare e diretta del suo parlamento. Il principio è vincolante per la Germania, ma il giudizio pesa su tutti. Significa che il problema del coinvolgimento delle opinioni pubbliche deve essere affrontato, cosa che finora si è fatta solo con un po' di propaganda e nemmeno fatta bene. L'Europa più vicina ai cittadini, l'incremento della partecipazione, la ricezione delle problematiche europee come sale della vita pubblica di tutti i paesi, non sono più temi per cui ci si possa accontentare di un po' di retorica federalista o cose simili. Non sappiamo quanto la presidenza svedese di turno sia consapevole di questo specifico problema, ma certo la scelta dei suoi due temi forti indicherebbe qualche sensibilità in questa direzione. Il primo tema è quello dei cambiamenti climatici: fa audience ed è popolare, ma il suo tallone d'Achille è che è molto difficile tradurlo in vere decisioni soddisfacenti. Il secondo tema è la crisi finanziaria e qui, pur tra mille difficoltà, si potrebbero ottenere dei risultati ed anche raccogliere molto consenso. Ecco allora che entra in gioco un fattore molto importante e delicato per il nostro paese. C'è infatti da decidere la presidenza dell'Eurogruppo, cioè la riunione dei ministri finanziari dei 16 paesi della zona euro. È un club importante, che può influenzare molto non solo la politica della UE, ma la stessa politica internazionale, vista la debolezza del dollaro e la buona tenuta dell'euro. Per questa carica, finora detenuta dal lussemburghese Junker, si parla del nostro Tremonti e questa volta le possibilità di successo sono alte. Tremonti si è mosso bene nel governo della crisi ed ha avuto una presenza intellettuale vivace nell'analisi di quel che accadeva, il che non è esattamente frequente nei ministri economici. Anche al recente G8 ha consolidato la sua posizione nei rapporti internazionali. Per l'Italia la partita è decisiva. L'Unione europea nel 2010 si troverà per forza ad un bivio: o riuscirà ad entrare negli schemi del Trattato di Lisbona, oppure si ridimensionerà ad un livello di ritorno più o meno al livello di un'area di mercato comune. In entrambi i casi sarà una cosa nuova e questo scatenerà un confronto acceso fra i 27 ed una ridislocazione dei pesi e delle influenze. Per la nostra storia e per le nostre prospettive future l'Italia non può entrare in questa nuova fase in posizione di debolezza e per questo deve costruire, per tempo e con pazienza, una rinnovata autorevolezza come sistema nazionale.

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Perché la sentenza della Corte tedesca mette a rischio il Trattato di Lisbona (sezione: Giustizia)

( da "Corriere del Veneto" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere del Veneto sezione: Opinioni data: 19/07/2009 - pag: 8 EUROPA E STATI MEMBRI Perché la sentenza della Corte tedesca mette a rischio il Trattato di Lisbona di GIUSEPPE GUARINO I l Trattato di Lisbona ha previsto che in determinati casi le sue norme possano essere modificate dagli organi dell'Unione senza il concorso degli Stati. Altra ipotesi è che gli organi dell'Unione amplino la sfera di competenza dell'Unione o anche modifichino il Trattato svolgendo un ruolo preminente. L'apporto degli Stati viene marginalizzato. In concreto le modifiche si intendono approvate se entro sei mesi dalla loro comunicazione il singolo Parlamento nazionale non abbia trasmesso una propria formale opposizione. La ratifica, quale disciplinata dalle norme costituzionali interne, viene dunque sostituita da una procedura di silenzio-assenso. Nei due gruppi di norme citate sta la vera novità del Trattato di Lisbona. Il rilievo della preminenza attribuita agli organi dell'Unione nella procedura di revisione del Trattato è facilmente comprensibile. Potrebbe sfuggire l'importanza delle modifiche del Trattato che gli organi dell'Unione possono introdurre in piena autonomia. Consistono nella sostituzione della procedura legislativa ordinaria a quella speciale e, nelle deliberazioni del Consiglio, nella sostituzione della maggioranza qualificata alla unanimità. Nella procedura legislativa speciale la Commissione non interviene. In quella ordinaria la Commissione interviene ed il suo ruolo è dominante. Parlamento e Consiglio non possono deliberare se e fino a quando la Commissione non abbia formulato una proposta. La sostituzione della maggioranza qualificata alla unanimità comporta che uno Stato possa essere vincolato ad una delibera alla quale il suo rappresentante non abbia partecipato. La Corte Costituzionale tedesca, chiamata da alcuni ricorsi a valutare la compatibilità di queste novità con il sistema costituzionale interno, è partita dalla premessa che, nell'attuale fase di integrazione, gli organi dell'Unione non raggiungono il livello di legittimazione democratica necessario per sostituire il Parlamento tedesco nell'esercizio di funzioni sovrane. Ha ritenuto la natura sovrana delle funzioni che formano oggetto delle norme esaminate. Ha dedotto come conseguenza l'incostituzionalità della legge che ha autorizzato la ratifica del Trattato di Lisbona nelle parti in cui, in virtù delle norme esaminate, gli organi dell'Unione si sostituiscono al Parlamento nazionale. Quando si esprimono giudizi su questioni attinenti alla Costituzione di altri Paesi il margine di errore è elevato. Purtuttavia gli effetti della sentenza non riguardano solo la Germania. Si estendono agli altri 26 membri dell'Unione, compresa l'Italia. La formulazione di ipotesi e la prospettazione di dubbi è quindi legittima, se non doverosa. Come la Germania reagirà alla sentenza della Corte Costituzionale? Una soluzione apparentemente semplice si avrebbe se una nuova legge del Parlamento autorizzasse la ratifica del Trattato alla espressa condizione che le decisioni adottate dagli organi dell'Unione sulla base delle norme del Trattato prese in considerazione dalla Corte Costituzionale ricevano attuazione in Germania solo dopo che il Parlamento, nel rispetto delle competenze del Bundestag e del Bundesrat, le abbia caso per caso approvate. Se così si provvedesse, le difficoltà della Germania verrebbero superate. Sarebbe dubbio, però, che il Trattato di Lisbona possa entrare in vigore. La Germania non accetterebbe l'attribuzione agli organi dell'Unione di funzioni esclusive o preminenti nell'esercizio di poteri sovrani. Le delibere di tali organi, in virtù delle condizioni poste per la ratifica, risulterebbero degradate al livello delle comuni proposte di revisione dei Trattati destinate ad entrare in vigore solo dopo la espressa approvazione del Parlamento nazionale. Il testo ratificato dalla Germania sarebbe quindi diverso da quello approvato dagli altri 26 Stati membri. L'identità del testo ratificato è viceversa essenziale perché un Trattato multilaterale, quale è quello di Lisbona, come tale espressamente qualificato dalla Corte Costituzionale tedesca, entri in vigore. Per l'Italia sorgerebbe una distinta difficoltà, perché l'art. 11 Cost. consente limitazioni di sovranità solo in condizioni di parità con gli altri Stati. Nel caso, l'Italia si troverebbe ad avere consentito ad una limitazione che la Germania non ha accettato. Potrebbe prospettarsi una soluzione più radicale, che la Germania accetti il Trattato di Lisbona così come è, autorizzandone la ratifica con legge costituzionale. Sembra tuttavia improbabile che in una fase politica incerta, quale è l'attuale, in un Paese come la Germania, sempre così attenta nella tutela della propria sfera di sovranità, una qualche forza politica si assuma la responsabilità di proporre il trasferimento incondizionato e definitivo di poteri di obiettiva rilevanza costituzionale ad organi dell'Unione che la Corte Costituzionale ha già giudicato privi della legittimazione democratica necessaria. Ne originerebbero ragioni di perplessità in altri Paesi. La sentenza della Corte Costituzionale tedesca porta la data del 30 giugno di quest'anno. Si compone di 421 commi. È frutto di un'elaborazione complessa ed attenta. Sinora se ne è parlato poco, anche per il rilievo mediatico del G8. La sentenza sarà al centro dell'attenzione nei prossimi mesi. Se ne è data una ristrettissima sintesi, che potrà aiutare a comprendere la dimensione del problema. Le soluzioni che verranno accolte per dare attuazione alla sentenza saranno decisive per le sorti comuni. Avranno riflessi anche nel resto del mondo. CONC

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Perché la sentenza della Corte tedesca mette a rischio il Trattato di Lisbona (sezione: Giustizia)

( da "Corriere del Mezzogiorno" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Corriere del Mezzogiorno sezione: Opinioni data: 19/07/2009 - pag: 8 EUROPA E STATI MEMBRI Perché la sentenza della Corte tedesca mette a rischio il Trattato di Lisbona di GIUSEPPE GUARINO I l Trattato di Lisbona ha previsto che in determinati casi le sue norme possano essere modificate dagli organi dell'Unione senza il concorso degli Stati. Altra ipotesi è che gli organi dell'Unione amplino la sfera di competenza dell'Unione o anche modifichino il Trattato svolgendo un ruolo preminente. L'apporto degli Stati viene marginalizzato. In concreto le modifiche si intendono approvate se entro sei mesi dalla loro comunicazione il singolo Parlamento nazionale non abbia trasmesso una propria formale opposizione. La ratifica, quale disciplinata dalle norme costituzionali interne, viene dunque sostituita da una procedura di silenzio-assenso. Nei due gruppi di norme citate sta la vera novità del Trattato di Lisbona. Il rilievo della preminenza attribuita agli organi dell'Unione nella procedura di revisione del Trattato è facilmente comprensibile. Potrebbe sfuggire l'importanza delle modifiche del Trattato che gli organi dell'Unione possono introdurre in piena autonomia. Consistono nella sostituzione della procedura legislativa ordinaria a quella speciale e, nelle deliberazioni del Consiglio, nella sostituzione della maggioranza qualificata alla unanimità. Nella procedura legislativa speciale la Commissione non interviene. In quella ordinaria la Commissione interviene ed il suo ruolo è dominante. Parlamento e Consiglio non possono deliberare se e fino a quando la Commissione non abbia formulato una proposta. La sostituzione della maggioranza qualificata alla unanimità comporta che uno Stato possa essere vincolato ad una delibera alla quale il suo rappresentante non abbia partecipato. La Corte Costituzionale tedesca, chiamata da alcuni ricorsi a valutare la compatibilità di queste novità con il sistema costituzionale interno, è partita dalla premessa che, nell'attuale fase di integrazione, gli organi dell'Unione non raggiungono il livello di legittimazione democratica necessario per sostituire il Parlamento tedesco nell'esercizio di funzioni sovrane. Ha ritenuto la natura sovrana delle funzioni che formano oggetto delle norme esaminate. Ha dedotto come conseguenza l'incostituzionalità della legge che ha autorizzato la ratifica del Trattato di Lisbona nelle parti in cui, in virtù delle norme esaminate, gli organi dell'Unione si sostituiscono al Parlamento nazionale. Quando si esprimono giudizi su questioni attinenti alla Costituzione di altri Paesi il margine di errore è elevato. Purtuttavia gli effetti della sentenza non riguardano solo la Germania. Si estendono agli altri 26 membri dell'Unione, compresa l'Italia. La formulazione di ipotesi e la prospettazione di dubbi è quindi legittima, se non doverosa. Come la Germania reagirà alla sentenza della Corte Costituzionale? Una soluzione apparentemente semplice si avrebbe se una nuova legge del Parlamento autorizzasse la ratifica del Trattato alla espressa condizione che le decisioni adottate dagli organi dell'Unione sulla base delle norme del Trattato prese in considerazione dalla Corte Costituzionale ricevano attuazione in Germania solo dopo che il Parlamento, nel rispetto delle competenze del Bundestag e del Bundesrat, le abbia caso per caso approvate. Se così si provvedesse, le difficoltà della Germania verrebbero superate. Sarebbe dubbio, però, che il Trattato di Lisbona possa entrare in vigore. La Germania non accetterebbe l'attribuzione agli organi dell'Unione di funzioni esclusive o preminenti nell'esercizio di poteri sovrani. Le delibere di tali organi, in virtù delle condizioni poste per la ratifica, risulterebbero degradate al livello delle comuni proposte di revisione dei Trattati destinate ad entrare in vigore solo dopo la espressa approvazione del Parlamento nazionale. Il testo ratificato dalla Germania sarebbe quindi diverso da quello approvato dagli altri 26 Stati membri. L'identità del testo ratificato è viceversa essenziale perché un Trattato multilaterale, quale è quello di Lisbona, come tale espressamente qualificato dalla Corte Costituzionale tedesca, entri in vigore. Per l'Italia sorgerebbe una distinta difficoltà, perché l'art. 11 Cost. consente limitazioni di sovranità solo in condizioni di parità con gli altri Stati. Nel caso, l'Italia si troverebbe ad avere consentito ad una limitazione che la Germania non ha accettato. Potrebbe prospettarsi una soluzione più radicale, che la Germania accetti il Trattato di Lisbona così come è, autorizzandone la ratifica con legge costituzionale. Sembra tuttavia improbabile che in una fase politica incerta, quale è l'attuale, in un Paese come la Germania, sempre così attenta nella tutela della propria sfera di sovranità, una qualche forza politica si assuma la responsabilità di proporre il trasferimento incondizionato e definitivo di poteri di obiettiva rilevanza costituzionale ad organi dell'Unione che la Corte Costituzionale ha già giudicato privi della legittimazione democratica necessaria. Ne originerebbero ragioni di perplessità in altri Paesi. La sentenza della Corte Costituzionale tedesca porta la data del 30 giugno di quest'anno. Si compone di 421 commi. È frutto di un'elaborazione complessa ed attenta. Sinora se ne è parlato poco, anche per il rilievo mediatico del G8. La sentenza sarà al centro dell'attenzione nei prossimi mesi. Se ne è data una ristrettissima sintesi, che potrà aiutare a comprendere la dimensione del problema. Le soluzioni che verranno accolte per dare attuazione alla sentenza saranno decisive per le sorti comuni. Avranno riflessi anche nel resto del mondo. CONC

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Una democrazia malata che deve guarire (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica.it" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

TRE temi strettamente legati l'uno all'altro dominano il panorama della settimana che oggi si chiude: l'intervento del presidente della Repubblica sulla legge approvata dal Parlamento che riguarda alcuni aspetti della sicurezza pubblica; il dibattito in corso nel Partito democratico in vista del congresso che si concluderà il 25 ottobre; la presentazione del Dpef e del decreto anti-crisi che ha cominciato il suo iter parlamentare. Ma va aggiunto che su questi tre temi ne incombe un quarto che ha carattere preliminare e che può avere come titolo quello usato venerdì scorso da Gustavo Zagrebelsky per il suo articolo pubblicato dal nostro giornale: "Verità e menzogna". Si tratta di un tema capitale per ogni democrazia poiché investe il rapporto fiduciario dei cittadini con le istituzioni, la formazione della pubblica opinione e la sua possibile manipolazione culturale prima ancora che politica e infine il funzionamento dello stato di diritto. Inizierò con il primo tema e concluderò con il quarto: vi è infatti un nesso evidente tra gli interventi del Quirinale e la tutela dello stato di diritto, mai come oggi insidiato, indebolito e vulnerabile. Si è detto da parte di alcuni fondamentalisti del centrodestra che l'intervento di Napolitano sulla legge di sicurezza è stato irrituale. L'ha detto anche Di Pietro che pratica un altro tipo di fondamentalismo. Napolitano, com'è noto, ha promulgato la legge sulla sicurezza approvata dal Parlamento ma ha accompagnato la sua firma con una lunga lettera diretta al presidente del Consiglio, ai ministri proponenti (Maroni, Alfano), ai presidenti delle Camere e al presidente della Corte costituzionale. OAS_RICH('Middle'); La lettera elenca i punti critici della legge che, secondo il presidente della Repubblica, rischiano di inceppare l'ordinamento penale vigente suscitando effetti contraddittori rispetto a quelli voluti e interpretazioni molteplici da parte di chi dovrà attuarne le norme. I critici di Napolitano si sono domandati perché il Capo dello Stato, avendo ravvisato molteplici difetti della legge, non l'abbia rinviata al Parlamento come la Costituzione gli consente di fare. Questo dire e non dire, questo promulgare criticando e criticare promulgando sarebbe segno di incertezza e configurerebbe l'irritualità rimproverata. Noi non pensiamo che le cose stiano così. Il potere di rinvio alle Camere d'una legge da esse approvata è previsto in caso di mancata copertura finanziaria (e non è questo il caso) e di altre palesi forme di incostituzionalità. Palesi, poiché se tali non fossero spetterebbe alla Corte - se e quando attivata - aprire un'indagine ed emettere la sua sentenza. Napolitano non ha ravvisato palesi incostituzionalità ma preoccupanti elementi di incoerenza rispetto all'ordinamento penale vigente ed ha allertato le competenti istituzioni (e innanzitutto la Corte) affinché vigilino e provvedano a evitare gli incidenti di percorso che quella legge malfatta potrebbe produrre. Non mi pare che ci siano obiezioni da opporre ma soltanto solidarietà da esprimere al Capo dello Stato che sta cercando con diuturna fatica di raddrizzare il timone d'una barca assai mal diretta dai nocchieri che dovrebbero assicurarne un'ordinata navigazione. * * * Il buon andamento della cosa pubblica riposa anche sull'esistenza d'una forte opposizione che abbia idee chiare sulla visione del paese e sui suoi problemi. Un'opinione molto diffusa, non soltanto nel centrodestra ma anche in ampi settori di centrosinistra, ritiene che il Partito democratico non abbia idee chiare sulla propria identità, non conosca né voglia conoscere i problemi del paese e sia percorso da una pulsione alla rissa interna alimentata soltanto da contrastanti ambizioni personali. Offra insomma al pubblico uno spettacolo miserando che qualcuno ha definito tragicomico e che avrebbe il solo effetto di accrescere l'irruente baldanza del potere berlusconiano. Noi non pensiamo che le cose stiano in questo modo anche se non mancano segnali di preoccupazione e forze centrifughe che spingono al peggio. I valori del partito riformista sono largamente condivisi al suo interno. Sono i valori di libertà, eguaglianza, solidarietà con i deboli, non violenza, difesa dell'ambiente. Ma poi questi valori che distinguono fortemente la sinistra dalla destra, vanno tradotti in una linea concreta e qui, come è naturale, le posizioni divergono. Quella di Bersani punta (sono parole sue) ad un partito di sinistra con forti connotati laici, evoca l'Ulivo, cioè una vasta alleanza di forze unite da un programma e da un comune avversario, si prefigge una legge elettorale alla tedesca e mira ad un'alleanza nazionale con il centro cattolico e moderato di Casini. Il programma di Franceschini fa perno invece sul definitivo superamento delle antiche identità ex Ds ed ex Margherita, esalta un programma riformatore che colga i bisogni e le speranze dei vari ceti sociali e dei territori di insediamento del partito, sottolinea il ruolo degli elettori che si iscrivono al partito per partecipare alle primarie, fissa nel conflitto di interessi e in una legge che lo impedisca un impegno prioritario, conferma la laicità come un connotato di fondo e infine pone il tema d'una classe dirigente nuova e della sua selezione. Marino mette in prima fila il laicismo e si riserva di convergere con i suoi delegati sul nome di quello dei due candidati principali che presenti spiccate affinità con il suo programma. Desidero esprimere un paio d'osservazioni strettamente personali su queste diverse posizioni che comunque denotano un dibattito serio e aperto. C'è in questo dibattito congressuale un'attenzione al laicismo, specie da parte di personalità post-comuniste, che rappresenta un'assoluta e per me positiva novità. È noto che il tema laico fu sempre subordinato nel Pci e lo è stato fino a poco tempo fa nelle successive incarnazioni della sinistra. Questo laicismo spinto si coniuga tuttavia con l'esplicita ipotesi di un'alleanza nazionale con l'Udc di Casini e di Buttiglione, quasi a prefigurare uno schema che ricorda il tacito duopolio Dc-Pci della prima Repubblica. Mi sembra uno schema alquanto "retrò" per un partito riformista, senza dire che l'Udc non farà mai alleanze nazionali con la sinistra e l'ha detto in modo esplicito più e più volte. Per concludere su questo punto: ho molto apprezzato la lettera che Virginio Rognoni ha inviato al "Corriere della Sera" di giovedì scorso e l'articolo di fondo di Sergio Romano in quello stesso numero del giornale. Entrambi hanno sottolineato l'importanza e la serietà del dibattito in corso nel Pd. Di Rognoni non dubitavo. Il Sergio Romano di giovedì è una mosca bianca in un gruppo di mosche nere e fa piacere averlo letto. * * * Uno degli elementi della partita politica è rappresentato dall'andamento della crisi economica, che il governo ha finora esorcizzato, prima disconoscendone l'esistenza e poi dandola già per conclusa. Posso dire che siamo il solo governo del mondo occidentale che abbia avuto questa posizione in due fasi entrambe caratterizzate da una consapevole dissimulazione della realtà. Qualche cifra servirà a chiarire, almeno per chi abbia capacità e voglia di capire, riportandoci coi piedi per terra. Il confronto tra i dati del primo quadrimestre del 2008 con il corrispondente periodo del 2009 registra una diminuzione della produzione industriale del 21 per cento e degli ordinativi di oltre il 30. Ancora più grave è il crollo delle esportazioni che rappresentano il principale elemento di sostegno della domanda: una diminuzione del 24 per cento. Quanto al nostro prodotto interno lordo, le previsioni del Dpef lo collocano al meno 5,1 ma altre attendibili fonti lo collocano addirittura al meno 6. Le altre cifre accolte nel Dpef concernenti il deficit, l'aumento delle spese, la diminuzione delle entrate, l'aumento del debito pubblico e della pressione fiscale confermano che erano giuste le previsioni della Banca d'Italia e sbagliate quelle del Tesoro di appena un mese fa, ma il peggio riguarda il settore dell'occupazione, destinata a una vera e propria discesa che avrà luogo dal prossimo settembre fino alla primavera 2010. Una discesa strutturale e non congiunturale poiché è accompagnata dalla distruzione di posti di lavoro che per molti anni non saranno compensati da un'estensione della base produttiva. Il nostro ministro dell'Economia ostenta ciononostante grande tranquillità. Mette insieme piccoli tasselli di sostegno fiscale, talmente minimali che neppure i diretti interessati ne percepiscono sollievo e tutti comunque postergati alla primavera-estate del 2010, cioè tra un anno da oggi. In questo (tardivo) recupero di frattaglie la sola bistecca è rappresentata dallo scudo fiscale dal quale Tremonti si aspetta un recupero di 3-4 miliardi di capitali e un beneficio per l'erario del 5 per cento sui guadagni che questi capitali hanno realizzato nel periodo in cui restarono imboscati nei vari paradisi fiscali. I giornali hanno cercato nei giorni scorsi di spiegare in che modo la materia imponibile sarà accertata ma, con la migliore buona volontà, non ci sono riusciti tali sono le complicazioni normative. Aspettiamo dunque di poter leggere i testi di legge e soprattutto i regolamenti, ma intanto alcune considerazioni possono essere fatte. 1. Sono stati esclusi dal condono (perché di vero e proprio condono si tratta) i reati di bancarotta e di falso in bilancio. Si tratta d'una giusta esclusione, richiesta dall'opposizione e accettata dal governo. 2. Tuttavia viene escluso da una norma successiva che le dichiarazioni riservate del proprietario dei capitali rientrati alla banca agente possano mai essere utilizzate in giudizio contro il contribuente interessato. Si cancellano cioè le prove che dovrebbero rendere concreta la punibilità prevista dalle norme, sia rispetto al giudice civile che a quello penale. È un rebus del quale il Parlamento dovrà in qualche modo venire a capo o abolendo la punibilità o abolendo il divieto di provarla. 3. La vasta platea dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, che paga le imposte per ritenuta alla fonte e quindi fino all'ultimo centesimo, assisterà allo sconcio spettacolo di evasori fiscali che ottengono sanatoria pagando una tassa "una tantum" del 5 per cento. Questo confronto sta già diffondendo rabbia e protesta tra i contribuenti che fanno il loro dovere. È facile capire che la sfiducia verso le istituzioni farà un altro passo avanti di fronte ad un condono che premia per l'ennesima volta i soliti noti e i soliti recidivi. * * * Mi resta da concludere con qualche parola sul tema "menzogna e verità". Su di esso sono state scritte intere biblioteche ma noi italiani abbiamo oggi il triste privilegio di vederne la messa in scena in presa diretta. Le democrazie vivono sul rapporto di fiducia che si instaura tra il popolo e le istituzioni. Ma poiché le istituzioni sono rappresentate da persone, quella fiducia si instaura tra il popolo e le persone istituzionali. Il rapporto fiduciario a sua volta si qualifica con due diverse modalità: la fiducia con partecipazione e quella con delega in bianco. Quest'ultima può essere revocata ma se dura troppo a lungo la revoca diventa difficile e sempre meno probabile anche perché l'area dalla partecipazione tende a restringersi mentre le istituzioni tendono ad assumere connotati sempre più autoritari. Noi stiamo vivendo questa fase con un'intensità che non è mai stata così accentuata in tutti i settant'anni di storia repubblicana. Le democrazie autoritarie derivano dunque da una torsione della democrazia partecipata verso una democrazia autoritaria con tratti di regime stabile e sempre più difficilmente revocabile. Il modello di democrazia autoritaria tende a raccontarsi in modo dissimile dal vero ed è a questo punto che la menzogna istituzionale diventa strumento primario di potere, deforma la realtà, indebolisce i poteri di garanzia, esercita la sua crescente influenza sui mezzi di informazione, dispensa favori e privilegi, viola diritti, narcotizza la pubblica opinione. La morale viene messa in soffitta, il teatro-spettacolo sostituisce la politica. Noi stiamo vivendo questa fase. Ad una tale deriva occorre resistere cercando di costruire il futuro. (19 luglio 2009

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Mauritania/ Presidenziali, opposizione denuncia "farsa (sezione: Giustizia)

( da "Virgilio Notizie" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

I quattro principali candidati dell'opposizione mauritana hanno denunciato le elezioni presidenziali definendole "una farsa elettorale", in una conferenza stampa tenuta poco dopo la diffusione dei primi dati parziali che danno in vantaggio il candidato governativo, il generale Mohammed Ould Abdel Aziz. Messaud Ould Boulkheir - che ha parlato a nome di tutti i candidati - ha affermato che "i risultati che iniziano a circolare dimostrano come si tratti di una farsa volta a legittimare il colpo di stato militare" dello scorso agosto, guidato da Aziz e nel quale venne deposto il Presidente eletto, Sidi Ould Abdallahi. Boulkheir ha chiesto che le autorità competenti come la Corte Costituzionale e il Ministero degli Interni "non accettino di ratificare i risultati" e ha invitato la popolazione a mobilitarsi per "far fallire questo golpe elettorale". Secondo i dati diffusi dal Ministero dell'Interno, con un terzo dei voti scrutinati Abdel Aziz avrebbe raccolto il 51,6% delle preferenze, il che gli permetterebbe di essere eletto direttamente al primo turno. Più di 1,2 milioni di elettori erano chiamati a scegliere tra nove candidati alla massima carica dello Stato. Per la prima volta hanno votato anche i mauritani che oggi vivono in 26 Paesi stranieri. La comunità internazionale ha inviato circa 250 osservatori, in particolare dell'Unione africana (Ua), dell'Unione Europea (Ue), dell'Organizzazione Internazionale della Francofonia e della Lega araba. Aziz si era dimesso lo scorso aprile dalla guida della giunta militare per potersi candidare: durante la campagna elettorale si è presentato come il "candidato dei poveri", pronto ad avviare "un cambiamento costruttivo". Altro favorito è il colonnello Ely Ould Mohamed Vall, già protagonista nel 2005 di un colpo di Stato e che due anni più tardi passò il potere ai civili al termine di una "transizione" spesso indicata come esemplare. Queste elezioni registrano per la prima la partecipazione di un candidato islamico moderato, Jemil Ould Mansour, leader dell'unico partito politico islamico del Paese, autorizzato nel 2008 e presente in Parlamento con cinque deputati. Tra i candidati figurano anche due uomini politici della minoranza nera (20% della popolazione che discende dagli schiavi): Kane Hamidou Baba, vicepresidente dell'Assemblea nazionale, e Ibrahima Moctar Sarr, che alle presidenziali del 2007 aveva ottenuto quasi l'8% dei voti.

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Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola (sezione: Giustizia)

( da "Blogosfere" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Lug 0919 Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola Pubblicato da Joshua Evangelista alle 13:58 in Cronaca giudiziaria, Current Affairs, Historia magistra vitae Oggi Paolo Borsellino è sulla bocca di tutti: nei telegiornali, nei social network, tra le conversazioni domenicali. Spesso a sproposito, riducendo, banalizzando o stravolgendo il suo pensiero e le sue azioni. Reporters dà il suo personale omaggio al giudice di Palermo, 17 anni dopo la strage via D'Amelio, con due delle ultime apparizioni pubbliche prima dell'attentato. Il primo video è relativo alla manifestazione del 25 giugno del 1992 organizzata dalla rivista Micromega durante la quale Borsellino denunciò in maniera veemente e senza fronzoli le barriere poste dalle istituzioni per ostacolare le indagini di Giovanni Falcone e del pool antimafia ("Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988 quando il CSM gli preferì Antonino Meli per la carica di procuratore capo di Palermo"). Nel secondo video sono racchiusi alcuni frammenti di un'intervista rilasciata da Borsellino a Lamberto Sposini dopo la morte di Giovanni Falcone, in cui la stanchezza e la delusione per la perdita del collega-amico si contrappone alla determinazione per portare in fondo la lotta alla criminalità organizzata ("ho ritrovato la rabbia per continuare il mio lavoro").

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Mauritania;Presidenziali, opposizione denuncia "farsa elettorale" (sezione: Giustizia)

( da "ApCOM" del 19-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Mauritania;Presidenziali, opposizione denuncia "farsa elettorale" 23:00 - ESTERI- 19 LUG 2009 Dati parziali danno generale Aziz in testa con il 51% dei voti Nouakchott, 19 lug. (Apcom) - I quattro principali candidati dell'opposizione mauritana hanno denunciato le elezioni presidenziali definendole "una farsa elettorale", in una conferenza stampa tenuta poco dopo la diffusione dei primi dati parziali che danno in vantaggio il candidato governativo, il generale Mohammed Ould Abdel Aziz. Messaud Ould Boulkheir - che ha parlato a nome di tutti i candidati - ha affermato che "i risultati che iniziano a circolare dimostrano come si tratti di una farsa volta a legittimare il colpo di stato militare" dello scorso agosto, guidato da Aziz e nel quale venne deposto il Presidente eletto, Sidi Ould Abdallahi. Boulkheir ha chiesto che le autorità competenti come la Corte Costituzionale e il Ministero degli Interni "non accettino di ratificare i risultati" e ha invitato la popolazione a mobilitarsi per "far fallire questo golpe elettorale". Secondo i dati diffusi dal Ministero dell'Interno, con un terzo dei voti scrutinati Abdel Aziz avrebbe raccolto il 51,6% delle preferenze, il che gli permetterebbe di essere eletto direttamente al primo turno. Più di 1,2 milioni di elettori erano chiamati a scegliere tra nove candidati alla massima carica dello Stato. Per la prima volta hanno votato anche i mauritani che oggi vivono in 26 Paesi stranieri. La comunità internazionale ha inviato circa 250 osservatori, in particolare dell'Unione africana (Ua), dell'Unione Europea (Ue), dell'Organizzazione Internazionale della Francofonia e della Lega araba. Aziz si era dimesso lo scorso aprile dalla guida della giunta militare per potersi candidare: durante la campagna elettorale si è presentato come il "candidato dei poveri", pronto ad avviare "un cambiamento costruttivo". Altro favorito è il colonnello Ely Ould Mohamed Vall, già protagonista nel 2005 di un colpo di Stato e che due anni più tardi passò il potere ai civili al termine di una "transizione" spesso indicata come esemplare. Queste elezioni registrano per la prima la partecipazione di un candidato islamico moderato, Jemil Ould Mansour, leader dell'unico partito politico islamico del Paese, autorizzato nel 2008 e presente in Parlamento con cinque deputati. Tra i candidati figurano anche due uomini politici della minoranza nera (20% della popolazione che discende dagli schiavi): Kane Hamidou Baba, vicepresidente dell'Assemblea nazionale, e Ibrahima Moctar Sarr, che alle presidenziali del 2007 aveva ottenuto quasi l'8% dei voti. Mgi

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Sciopero contro referendum costituzionale di Tandja (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

NIGER Sciopero contro referendum costituzionale di Tandja Si moltiplicano in Niger le iniziative per contrastare il referendum costituzionale indetto dal presidente Mamadou Tandja per il prossimo 4 Agosto. I quotidiani non legati al governo hanno indetto a partire da lunedì uno sciopero di una settimana per contestare le scelte di Tandja e reclamare l'abrogazione di un decreto presidenziale - approvato in settimana - sulla base del quale i media possono essere sanzionati senza preavviso, se segnalati per «servizi lesivi dell'onore del paese». Allo sciopero - indetto da sei organizzazioni sindacali che hanno denunciato i tentativi di «imbavagliare» la stampa riguardo l'attuale crisi politica - parteciperanno anche le radio e le televisioni locali che sospenderanno le trasmissioni per un giorno, il 26 luglio. Anche sul fronte politico non sembrano essersi placate le polemiche sulla consultazione popolare che mira a garantire a Tandja, alla guida del paese da 10 anni, la possibilità di candidarsi per un terzo mandato alle prossime elezioni previste a dicembre, poco dopo la scadenza del suo secondo mandato. Alcuni dei principali movimenti dell'opposizione si sono uniti in un «collettivo» e hanno chiesto al presidente di «avviare un dialogo con tutte le parti politiche» per evitare «derive che minano la stabilità del paese». Dopo aver sciolto il parlamento e il principale partito del paese, la Convention démocratique et sociale (Cds), Tandja ha licenziato i giudici della Corte costituzionale che si erano opposti per tre volte alla convocazione del referendum. A chi lo accusava di aver compiuto un «colpo di stato», ha risposto organizzando in fretta e furia questo referendum con cui vorrebbe cambiare la costituzione per ricandidarsi.

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Un mondo che simbolicamente ruota attorno al Petruzzelli (sezione: Giustizia)

( da "Manifesto, Il" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

VICENDE Un mondo che simbolicamente ruota attorno al Petruzzelli Con la rimozione delle ultime impalcature in autunno, si era reso pubblicamente visibile l'edificio che per troppi anni, dal suo incendio nel 1991, era stato il simbolo di una ferita aperta per la città di Bari e per la sua identità culturale. La vicenda del Petruzzelli è di una complicatezza giuridica e politica spaventosa, a cominciare dalla questione atipica del suo essere, sin dalla sua progettazione nel 1896, un teatro di proprietà privata gestito però in quanto bene pubblico, per passare alle sciagurate colpe relative all'incendio, fino a giungere alle vicende degli anni 2000. In questo decennio, le vicissitudini del Teatro Petruzzelli hanno visto susseguirsi, nell'ordine: un «protocollo d'intesa» nel 2002 tra Ministero dei Beni culturali (Governo Berlusconi), Regione Puglia, Provincia e Comune di Bari con i diversi eredi della famiglia proprietaria; poi l'esproprio collegato alla finanziaria del 2006 (Governo Prodi); quindi la sentenza della Corte Costituzionale nel 2008 che ha dichiarato illegittimo tale esproprio. Una «class action» è attualmente in corso affinché il teatro venga dichiarato di proprietà pubblica e, ancora, negli ultimi mesi, molti sono stati i pronunciamenti autorevoli sulla inevitabilità e la giustezza dell'esproprio.

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l'effetto della candidatura blair nell'incertezza dell'europa - ferdinando salleo (sezione: Giustizia)

( da "Repubblica, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Pagina 24 - Commenti L´EFFETTO DELLA CANDIDATURA BLAIR NELL´INCERTEZZA DELL´EUROPA FERDINANDO SALLEO Dopo le insistenti voci che duravano da mesi, la candidatura di Tony Blair alla presidenza "lunga" dell´Europa è stata ventilata scopertamente dal governo di Londra, dallo stesso ministro degli Affari Europei. Una mossa che coglie l´Europa in un momento di incertezza, gravido di polemiche che la crisi e la recessione hanno reso più evidenti e rilancia poi l´attenzione politica sugli equivoci che costellano lo stato del processo europeo. La contrapposizione tra i minimalisti che guardano al futuro dell´Europa come poco più di un mercato unico da completare e i fautori dell´integrazione sopranazionale sembra destinata ad acuirsi dopo i risultati delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo che hanno fatto uscire dalla marginalità gli euroscettici rafforzando i conservatori e riducendo fortemente il peso dei socialisti. Una candidatura certo prematura, anzitutto perché pende incerto in attesa delle ratifiche il destino del Trattato di Lisbona che istituisce la presidenza del Consiglio Europeo per due anni e mezzo rinnovabili, la presidenza "lunga" appunto. Alle assurde bizze degli euroscettici presidenti polacco e ceco si è aggiunta adesso la sorprendente sentenza della Corte Costituzionale tedesca che autorizza la ratifica assortendola di condizioni che innovano pericolosamente sulla storica posizione integrazionista della Germania e danno ampio spazio al rinascente sovranismo che si percepisce un po´ ovunque. Il secondo referendum irlandese, adempiute equivocamente le richieste di Dublino, è atteso per settembre con un certo ottimismo, sempre che le polemiche estive sulla presidenza "lunga" non creino nuovi intralci. Infine, se il processo di ratifica del trattato dovesse prolungarsi e Gordon Brown fosse costretto nelle more a gettare la spugna, Londra vedrebbe al governo David Cameron, fautore di un referendum dall´esito prevedibilmente negativo. Senza Lisbona non ci sarebbe più la presidenza cui aspira Blair e, peggio ancora, il marasma regnerebbe nell´Unione a Ventisette. è singolare che sia stata avanzata adesso una candidatura di alto profilo, come ha precisato il ministro britannico, per un incarico che il testo di Lisbona definisce ben poco nei compiti e nelle funzioni, a parte la presidenza del Consiglio Europeo e la generale rappresentanza esterna dell´Unione. Certo, ma il testo evita di definirne il rapporto con il "ministro degli Esteri" dell´Europa che pure Lisbona istituisce dotando di un servizio diplomatico proprio un vice presidente della Commissione che riunirà i compiti del commissario alle relazioni esterne con quelli dell´Alto Rappresentante, oggi ricoperto da Javier Solana, emanazione dell´assetto intergovernativo. Anche per quell´incarico non mancano candidature di buon livello. Appena comparso formalmente il nome di Blair, altri possibili candidati sono stati ventilati, da Felipe Gonzalez a Wolfgang Schuessel, anche se l´ex premier britannico aveva ricevuto espressioni di appoggio, pur se premature e non impegnative. Né le voci che si propalano veloci a Bruxelles escludono che un conservatore collaudato, di modesto profilo ma gradito a molti come Barroso, possa rivelarsi un compromesso accettabile malgrado il suo rinnovo alla presidenza della Commissione, deciso e approvato ma non ancora formalizzato. Tony Blair ha certo una personalità carismatica, senso dell´innovazione e visione politica internazionale, capacità di condurre un organismo politico caratterizzato da sovranità condivise in cui la sopranazionalità e le prerogative degli Stati membri convivono in un disegno evolutivo. Si è sempre dimostrato abile negoziatore, anche se il ruolo affidatogli per il Vicino Oriente è stato invisibile, tanto che Obama si è affrettato a risuscitare il paciere dell´Irlanda, Mitchell. è difficile valutare le possibilità di Blair, sempre che Lisbona giunga a buon porto, ancora più difficile giudicare se sia il più adatto a ricoprire un incarico complesso quanto generico e in fondo inafferrabile come è l´Europa di questa fase costituente. All´Europa Tony Blair ha sempre dedicato particolare attenzione e, nei limiti della politica britannica, un pregiudizio favorevole. Tuttavia, sul carattere di Blair, non meno che sul disegno europeo a cui potrebbe legare il suo nome in caso di successo, resta però un interrogativo su cui pesa la firma che ha apposto a Roma, solennemente, ma con tutte le riserve mentali dettate dal pragmatismo britannico o dalla disinvoltura della politica, sullo sfortunato Trattato Costituzionale la cui ratifica sapeva di non poter portare a compimento.

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Napolitano, fiducia record Io faccio il Presidente (sezione: Giustizia)

( da "Unita, L'" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Napolitano, fiducia record «Io faccio il Presidente» L'invito al dialogo tra maggioranza e opposizione, la «tregua», i tagli su tutto, la lettera per accompagnare la firma alla legge sulla sicurezza MARCELLA CIARNELLI La pausa estiva si avvicina. L'anno politico si chiude. Tempo di bilanci. Il presidente della Repubblica tirerà oggi le somme. Non ha mai mancato in questi mesi di far sentire la sua voce utilizzando più volte lo strumento della "moral suasion" con iniziative abbastanza originali e che hanno fatto discutere (vedi la lettera di accompagno alla firma sotto la legge sulla sicurezza) oppure nel solco tracciato dalla tradizione, come la mancata firma al decreto su Eluana Englaro. Certamente questo pomeriggio al Quirinale, incontrando i giornalisti parlamentari per la tradizionale cerimonia del Ventaglio, Giorgio Napolitano non mancherà di entrare nel merito degli apprezzamenti (molti) e delle polemiche che alcune sue iniziative hanno suscitato come ha preannunciato lunedì scorso a Milano. Forte del dato, ormai consolidato, di una stima e di una popolarità che va ben oltre l'appartenenza e gli schieramenti. Tant'è che ancora ieri l'ultimo sondaggio dell'Ispo di Mannheimer quantificava la fiducia che gli italiani hanno nel Colle al 79 per cento, seconda sola a quella per le forze dell'ordine, e superiore di decine di punti a tutte le altre. Questo sentimento di fiducia viene confermato anche dall'apprezzamento quasi totale per gli interventi che il Capo dello Stato non rinuncia a compiere nel rispetto delle istituzioni ma avendo ben chiaro innanzitutto l'interesse dei cittadini. Sommando coloro che ritengono lo faccia «con giusta misura» (61 per cento) e quanti vorrebbero che intervenisse di più (32 per cento) si arriva ben oltre il 90, che è davvero un segno di quel comune sentire che sembra ormai consolidato nel Paese e che dimostra come il Quirinale sia avvertito dai più come un punto di riferimento certo in un momento in cui, per i più diversi motivi, sembrano essercene sempre di meno. Le argomentate prese di posizione di Napolitano hanno suscitato un apprezzamento trasversale che va ben oltre il limite di coloro che contribuirono più di tre anni fa alla sua elezione. Da notare, oltre la reiterata «massima cordialità» ribadita da Berlusconi, l'apprezzamento ormai consolidato del presidente della Camera, ma anche la recente notazione di Bossi «Napolitano è un presidente equilibrato, attento alla democrazia e rispettoso del Parlamento» benché le puntualizzazioni del Colle siano arrivate sul pacchetto-sicurezza tanto caro alla Lega e il ministro Bondi che ha parlato di «lungimiranza nel sostenere l'elezione di Napolitano» dimenticandosi la posizione assunta dalla sua parte. Un «clima più civile» è stato più volte richiesto dal Presidente. Una «tregua». Il solo Di Pietro si è opposto a qualunque dialogo tra maggioranza e opposizione, neanche in nome dell'impegno a cercare una soluzione a quei problemi del Paese, primo fra tutti la devastante crisi economica, che rischiano di aggravarsi. A chi si è interrogato sulle iniziative che Napolitano ha preso in questi mesi il presidente si accinge a dare una risposta. A spiegare qual è il ruolo che a suo avviso il Capo dello Stato deve svolgere, senza interferenze ma senza timore d'intervenire. L'anno politico che comincerà a settembre si preannuncia denso di appuntamenti già fissati. La legge sulle intercettazioni su cui Napolitano ha già dovuto esercitare la tattica della persuasione ottenendo lo slittamento a dopo l'estate e, quindi, la possibilità di un maggiore confronto, tale da tener conto delle obbiezioni a cominciare da quelle dei magistrati e dei giornalisti. C'è poi la riforma della giustizia e gli strumenti per affrontare la crisi senza ricorrere solo ai tagli. Così si è proceduto finora. I lavoratori dello spettacolo che oggi manifestano si aspettano una parola dal presidente cui hanno rivolto un appello. Non va dimenticato che il 6 ottobre la Corte Costituzionale comincerà a discutere del Lodo Alfano. Il bilancio

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'MAMA AFRICA MEETING', TUTTI I COLORI DELL'INTEGRAZIONE DAL 20 AL 26 LUGLIO NEL PARCO DEL DONATORE DI GAVEDO DI MULAZZO (MS) (sezione: Giustizia)

( da "marketpress.info" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Lunedì 20 Luglio 2009 ‘MAMA AFRICA MEETING’, TUTTI I COLORI DELL’INTEGRAZIONE DAL 20 AL 26 LUGLIO NEL PARCO DEL DONATORE DI GAVEDO DI MULAZZO (MS) Firenze, 20 luglio 2009 - «Un festival dedicato all´Africa? Non è un cedimento alla moda, ma piuttosto un modo per non dimenticare le grandi sfide, anche nei momenti di vacanza e di relax. Per questo invito tutti, la prossima settimana, a trovare un po´ di tempo per andare a Mulazzo, vicino a Massa Carrara, e assistere al Mama Africa Meeting». Così l´assessore alla cooperazione internazionale della Regione Toscana ha presentato la quarta edizione del meeting dedicato alla cultura e all´arte africana, che si terrà nel Parco del Donatore di Gavedo di Mulazzo (Massa Carrara), dal 20 al 26 luglio. L´evento, organizzato dal Comitato Arci Carrara-lunigiana, con il patrocinio del Ministero della Gioventù e della Regione Toscana, si pone l´obiettivo di stimolare, soprattutto nei giovani, la conoscenza e la curiosità verso un continente in cui si manifestano le più profonde contraddizioni del nostro tempo. Sette giorni di concerti, esibizioni di danza, stage di tamburi, corsi di cucina, film, dibattiti, laboratori per adulti e bambini (il programma del Meeting si trova su www. Myspace. Com/mamaafricameeting, e su Facebook: Mama Africa Meeting). «Questo meeting - ha spiegato l´assessore Toschi - vuole sottolineare gli aspetti di cultura e di festa, sempre importanti per leggere un continente così complesso, attraversato da tante contraddizioni, grande povertà ma anche tanta ricchezza». L´assessore alla cooperazione internazionale ha voluto sottolineare i due eventi in cui si colloca il meeting: uno toscano, la legge sull´immigrazione, l´altro mondiale, il recente discorso di Obama in Africa. «La nostra legge sull´immigrazione proprio ieri è stata impugnata dal governo davanti alla Corte Costituzionale con motivazioni ostili e polemiche nei confronti della Regione Toscana. Noi non abbiamo fatto una legge contro qualcuno, non appartiene al nostro modo di agire. Piuttosto, abbiamo fatto una legge in cui si riconosce a qualunque cittadino immigrato la possibilità di accedere ai servizi sanitari e di avere sostegno se è in difficoltà. Non è una questione di polemica politica, ma di civiltà. Del resto, siamo in buona compagnia: lo stesso presidente della Repubblica in una lettera al governo ha posto qualche questione». Quanto al discorso che Obama ha tenuto ad Accra, in Ghana, Toschi ha sottolineato la «grandissima profondità di un discorso in cui Obama ha affrontato le quattro grandi sfide che attendono l´Africa: la democrazia, le opportunità di sviluppo economico, la salute, i conflitti. Il G8 - ha proseguito l´assessore - ha posto l´Africa come una delle grandi questioni. Ma i finanziamenti stanziati per l´Africa per l´anno prossimo si squagliano se confrontati ai 170 miliardi di dollari stanziati per salvare una sola delle grandi banche statunitensi dal tracollo economico-finanziario». In questo contesto la Regione Toscana è in prima linea nel campo delle politiche di collaborazione allo sviluppo dei paesi africani. A riguardo l´assessore ha ricordato l´impegno per le politiche di decentramento, «condizione necessaria anche se non sufficiente dello sviluppo», in Sud Africa. Il progetto è realizzato in collaborazione col Governo, «a riprova del fatto che il nostro obiettivo èlavorare insieme, non fare polemica». Tra le altre iniziative un cenno anche alla conferenza per la pace, che si terrà a Siena il prossimo anno, ed alla quale Toschi si augura di «accogliere come ospiti molti leader delle nazioni africane, per le quali la guerra rappresenta senza dubbio il primo ostacolo allo sviluppo». «Stiamo vivendo un momento di p aura e di poca attenzione per tutto quello che è diverso, altro da sé - ha detto Roberto Cassol, uno degli organizzatori del meeting - Esiste una cura, che però deve essere omeopatica, in piccole dosi e per lungo tempo: abbiamo necessità di convivenza, attenzione, ascolto. Siamo abituati a vedere l´Africa come un problema. Certo, ci sono problemi in Africa, ma oggi noi vogliamo vederla come un´opportunità». . <<BACK

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SARDEGNA: APPROVATO COLLEGATO IN COMMISSIONE (sezione: Giustizia)

( da "marketpress.info" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Lunedì 20 Luglio 2009 SARDEGNA: APPROVATO COLLEGATO IN COMMISSIONE Cagliari, 20 Luglio 2009 - Un grande ringraziamento a tutti consiglieri regionali delle diverse commissioni che si sono confrontati sul testo presentato dalla Giunta. L’approvazione della commissione è arrivata dopo un tempo di esame molto rapido ma comunque aperto al confronto. Il testo originario è stato arricchito da alcune disposizioni che completano una Finanziaria di contrasto alle emergenze sociali ed economiche». È quanto ha affermato l’assessore della Programmazione, Giorgio La Spisa, dopo l’approvazione del Collegato in Commissione. "Di particolare rilevanza - ha ripreso l’assessore - sono le disposizioni previste per favorire investimenti prioritari nelle aree soggette alla grave crisi di questi mesi. Lo strumento individuato è quello dei Pacchetti Integrati di Agevolazione (Pia) con una riserva di dotazione di 40 milioni di euro nell´arco di 4 anni. Altri interventi riguardano settori particolari dell’agricoltura, dell’industria, dell’artigianato, del turismo e servizi in genere. "Gli stanziamenti previsti - ha continuato La Spisa - integrano quelli già presenti nel bilancio approvato nel mese di maggio. Riguardo alle politiche del lavoro, l’approfondimento fatto in Commissione ha portato all’inserimento di alcune disposizioni che tendono a destinare significative quote del fondo sociale europeo ad interventi di sostegno al reinserimento e alla riqualificazione dei lavoratori espulsi dal processo produttivo il cui numero cresce giorno dopo giorno. La Regione dispone di una notevole quantità di risorse trasferite dallo Stato a seguito dell’accordo del 29 aprile 2009 e della successiva intesa specifica della Sardegna. La copertura degli ammortizzatori sociali è affidata allo Stato per il 70 per cento e alla Regione per il 30 per cento. Le risorse attualmente disponibili sono di circa 95 milioni di euro. E’ stata poi confermata la cifra di 10 milioni di euro di risorse esclusivamente regionali per venire incontro ai casi non supportati dagli ammortizzatori sociali previsti dallo Stato. "A questo –- ha sottolineato l’assessore della Programmazione - si aggiunge l’impegno che la Regione porterà avanti nei prossimi mesi per favorire la riqualificazione e l’inserimento nel mondo del lavoro: il testo che riguarda questo capitolo, votato all’unanimità, verrà ulteriormente migliorato per una maggiore efficacia nella grave situazione che stanno vivendo i lavoratori. Altri interventi previsti sono quelli relativi al precariato nelle pubbliche amministrazioni regionali e locali, per i quali è stato preso l’impegno di programmare una graduale stabilizzazione accorpato a non generare nuovo precariato. Complessivamente il disegno di legge consiste in una manovra di circa 120 milioni di euro senza un incremento del disavanzo ma con la razionalizzazione e riqualificazione delle disponibilità esistenti. Riguardo al disavanzo, infine, il testo approvato risolve definitivamente il problema delle entrate future che vengono cancellate anche riguardo agli anni 2007-2008. L’effetto più importante è quello di evitare un inutile contenzioso con la Corte dei Conti e la Corte Costituzionale e nello stesso tempo chiarire il livello effettivo del disavanzo regionale che si attesta sui 2 miliardi e 400 milioni. Il testo può essere ancora migliorato in Consiglio ma può essere ragionevolmente considerato come un insieme di provvedimenti necessari a contrastare i diversi problemi che incontra l’amministrazione regionale. Nel frattempo prosegue il confronto sui contenuti del Prs e sulla prossima Finanziaria 2010. La straordinaria difficoltà del momento chiede a tutti un forte senso di responsabilità e tutte le forze politiche presenti in Consiglio stanno dimostrando di averla". . <<BACK

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Turchia/ Al via nuovo processo a organizzazione occulta (sezione: Giustizia)

( da "Virgilio Notizie" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Parte oggi a Silivri, alle porte di Istanbul, la seconda parte del processo contro Ergenekon, l'organizzazione accusata di aver cercato di destabilizzare la vita politica e civile turca almeno negli ultimi dieci anni e di aver lavorato per sovvertire il governo islamico-moderato guidato da Recep Tayyip Erdogan. Un processo-specchio di profonde divisioni che attraversano la società turca, concretamente visibili anche stamattina, davanti alla sala sport trasformata in tribunale per l'occasione, a una cinquantina di chilometri dal centro di Istanbul. Circa 200 manifestanti pro-laici, infatti, si sono riuniti per dichiarare sostegno agli imputati, in particolare al giornalista Tuncay Ozkan, di linea marcatamente antigoverantiva. Armati di bandiere turche e di spille con l'effige del fondatore dello stato laico turco Kemal Ataturk, i convenuti hanno esortato gli imputati a non cedere e i giudici a non prestarsi al "processo-menzogna". Gli imputati di questa seconda puntata del caso Ergenekon sono 56. Fra questi ci sono alcuni nomi celebri: Sener Eruygur e Hursit Tolon, due generali in pensione, Adil Serdar Sacan, ex capo della polizia, il giornalista Mustafa Balbay oltre a Tuncay Ozkan, il presidente della Camera di Commercio di Ankara Sinan Aygun e la moglie del vice presidente della Corte Costituzionale, Ferda Paskut. Gli imputati dovranno rispondere dell'accusa di terrorismo e tentato colpo di Stato. Ereygur e Tolon sono considerati anche responsabili dell'attacco alla sede del Consiglio di Stato nel maggio 2006, che costò la vita al giudice Mustafa Ozbilgin e le bombe sotto il quotidiano Cumhuriyet. L'affare Ergenekon è scattato nel giugno 2007 con I primi arresti importanti. Nel luglio del 2008 è iniziato il primo processo contro l'organizzazione con quasi 100 persone alla sbarra. I generali Eruygur e Tolon rischiano rispettivamente 246 e 219 anni di carcere. Al momento sono quasi 300 le persone sospettate di fare parte dell'organizzazione. La magistratura turca sta preparando i capi di accusa per un terzo processo, che partirà nei prossimi mesi. Ergenekon è accusata di aver costituito un vero e proprio Stato nello Stato. Un'organizzazione che sarebbe stata composta da giornalisti, ex-politici, intellettuali, militari, giudici ed esponenti dei servizi segreti deviati, appartenenti alle schiere ultra nazionaliste e che lavorano per sovvertire l'ordine costituito. La maggior parte del Paese crede che con il processo contro i suoi dirigenti (fra cui sarebbero proprio numerosi militari e gente legata alla magistratura) si metterà la parola fine a una delle pagine più drammatiche nella storia recente del Paese, con l'eliminazione di questa eminenza grigia, che potrebbe essere anche il mandante dell'omicidio contro Don Andrea Santoro, freddato a Trebisonda nel febbraio 2006, apparentemente per mano di un giovane fanatico. Ma c'è anche chi crede che molte persone arrestate non abbiano nulla a che vedere con l'organizzazione e che siano state coinvolte per gettare discredito verso i militari e la magistratura, da sempre difensori dei principi laici su cui si basa la Turchia moderna, e spesso non in sintonia con il governo del premier Erdogan.

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, stasera lo spoglio dei voti in piazza (sezione: Giustizia)

( da "Gazzetta di Parma Online, La" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

«Bancarella», stasera lo spoglio dei voti in piazza di Valentina Galeotti Si concluderà questa sera il 57° Premio Bancarella, il tradizionale appuntamento dell’estate lunigianese che, da sempre, premia scrittori di fama internazionale e porta a Pontremoli personaggi di spicco della cultura e dell’editoria. Le iniziative collaterali legate al Bancarella e dedicate agli appassionati dei libri hanno preso il via ieri pomeriggio. Nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Dosi si è svolta la presentazione del quarto libro di Giancarlo Perazzini «Il mistero del castello», edito dalla Albatros Editore. Perazzini lavora nel ramo delle costruzioni e vive a Bagnone. A seguire, è stato presentato «Il chiodo nella sabbia», l’ultimo libro di Luigi Mazzella, edito da Avagliano Editore. Noto giudice della Corte Costituzionale, Mazzella è anche autore di numerosi testi di saggistica. Oltre agli autori erano presenti il Presidente della Fondazione Città del Libro, Giuseppe Benelli e il sindaco Franco Gussoni. Al termine delle due presentazioni, inoltre, Benelli ha ricevuto il Premio alla Carriera: un dipinto dell’artista Arrighi, donato dall’onorevole Borea. Grande successo anche per il concerto «A Forza di Essere Vento», il tributo a Fabrizio De André che ieri sera ha animato piazza della Repubblica. Sul palco si sono esibiti i Four Steps Choir con Pietro Sinigaglia e Gloria Clemente. Questa mattina gli appuntamenti dedicati al libro riprenderanno alle 10 con la Messa dei Librai celebrata in Duomo. Alle 11, nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Dosi si svolgerà la presentazione di «Una grande famiglia dietro le spalle. Una straordinaria storia di tre generazioni di attori», il volume di Paola Gassman (Marsilio Editore). Alle 17.30 nel Convento della Ss. Annunziata sarà la volta di Alain Elkann con «L'invidia» (Bompiani). Alla presentazione seguirà l’inaugurazione della mostra «La luna e lo specchio» di Fabian Negrin, che ha illustrato la locandina di questa edizione del premio. Momento culminate della giornata la cerimonia di assegnazione del «bancarella», che prenderà il via alle 21 in Piazza della Repubblica. Anche quest’anno, il tradizionale spoglio pubblico delle schede coi voti dei 200 librai italiani si preannuncia seguitissimo. Ad animare la serata il presidente del Bancarella 2009 Romano Battaglia e la madrina Paola Gassman.

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"Spiru Haret" a dat in judecata Ministerul Educatiei si Guvernul (sezione: Giustizia)

( da "Romania Libera" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

> Cititi online anunturile din ziarul “Romania libera”: "Spiru Haret" a dat in judecata Ministerul Educatiei si Guvernul Rl online Luni, 20 Iulie 2009 Conducerea Universitatii "Spiru Haret" a anuntat, luni, ca a dat in judecata Ministerul Educatiei si Guvernul pentru promovarea HG 749/2009 care elimina institutia de pe lista celor acreditate sau care pot functiona provizoriu si care interzice organizarea admiterii in anul universitar 2009-2010, anunta Mediafax. Actiunea a fost introdusa la Curtea de Apel Bucuresti. Rectorul institutiei de invatamant superior, Aurelian Bondrea, a spus ca Universitatea "Spiru Haret" functioneaza legal si ca, in consecinta, toate diplomele eliberate de programele si specializarile institutiei sunt legale, intrucat au acreditare sau autorizare provizorie de functionare. Bondrea a precizat ca decizia ministrului Ecaterina Andronescu este abuziva si ilegala, iar prin hotarea de Guvern, care este act administrativ, se incearca eliminarea universitatii din competitia cu institutiile de invatamant superior de stat. "Ministerul vede Universitatea «Spiru Haret» un adevarat competitor si de aceea, prin hotararea de Guvern promovata, a vrut sa elimine acest competitor lasand loc institutiilor private ale statului. Ma refer la faptul ca i nstitutiile de invatamant superior de stat organizeaza invatamant cu taxa ceea ce contravine legislatiei in vigoare", a precizat lectorul. Bondrea a spus, de asemenea, ca, potrivit legii invatamantului republicata, institutiile de invatamant superior care au cursuri de zi acreditate sau autorizate provizorii pot organiza cursuri la seral cu frecventa redusa sau la distanta. "Aceste conditii sunt indeplinite de catre Universitatea «Spiru Haret», care are cursuri de zi acreditate sau autorizate provizoriu in structura carora a creat si invatamant seral, fara frecventa sau la distanta. Totodata, centrele pentru invatamant la distanta incriminate de ministrul Educatiei nu sunt programe si specizalizari, ci sunt platforme tehnologice care permit tinerilor din diverse resedinte de judet si din mari capitale occidentale sa studieze on-line cu profesorii de la facultatile acreditate", a adaugat lectorul. El a precizat ca pentru aceste platforme tehnologice nu are nevoie de acreditare academica. Totodata, Bondrea a mentionat faptul ca institutia a inceput un proces de evaluare externa prin intermediul Asociatiei Universitatilor Europene (EUA) in 2008-2009, dar ca acesta a fost oprit de catre Ministerul Educatiei si ARACIS. Lectorul a tinut sa precizeze ca ministrul a luat o hotarare abuziva si ilegala, motiv pentru care va actiona in instanta Ministerul Educatiei si Guvernul. Din aceeasi categorie: Cezar Preda: Cel putin patru ministere ar trebui desfiintatePrime pentru toti angajatii CSM, de Ziua JustitieiAlexandru Gussi, consilier prezidential in locul lui Cristian Preda Voteaza

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Principio dell'affidamento: tra normativa tributaria e normativa comunitaria (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Principio dell’affidamento: tra normativa tributaria e normativa comunitaria Articolo di Maurizio Villani 20.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Principio dell’affidamento: tra normativa tributaria e normativa comunitaria di Maurizio Villani Prima di procedere ad illustrare l’argomento, occorre preliminarmente rendere chiaro, dal punto di vista definitorio, l’oggetto della presente trattazione. È opportuno, innanzitutto, operare una distinzione nell’ambito di due principi che si presentano in simbiosi: la buona fede e l’affidamento. Nonostante il loro tanto acclamato ingresso all’art. 10, L. 27 luglio 2000, n. 212, ''Disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente'', attraverso il quale è stato positivamente fissato il binomio buona fede-affidamento, si può dimostrare come i suddetti principi abbiano fondamento e applicazione coevi non solo allo Statuto stesso e alla L. 7 agosto 1990, n. 241 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”1, ma anche in epoca precedente alla Costituzione. La buona fede, principio storicamente collegabile alla bona fides romana, ha risentito, in ambito amministrativo e quindi tributario, della diffidenza della dottrina in ordine alla sua applicazione a materie che non prevedevano nei loro rapporti tipici, una parità tra le parti, portatrici di interessi contrapposti. Prima dell’avvento dello stato pluriclasse, infatti, si sosteneva che da un lato ci fossero gli interessi dei privati, retti dal principio dell’autonomia privata; mentre, dall’altro, vi fosse l’interesse pubblico, ossia l’interesse generale collettivo, che prevaleva sui primi. Tale scenario è ora in fase di mutamento, soprattutto per via della nuova veste data alla P.A. dalle modifiche del procedimento amministrativo, grazie alla quale gli amministrati sembra siano maggiormente tutelati2. La prevalente dottrina è concorde nell’affermare come la buona fede sia suddivisibile in due componenti, una soggettiva ed una oggettiva3, portatrici entrambe della convinzione della bontà del proprio comportamento. Sotto quest’ultimo profilo, la buona fede ben si distingue dall’affidamento in quanto quest’ultimo prevede una forma di fiducia circa la bontà del comportamento altrui. Infatti, pur sembrando un unico concetto autorevole, la dottrina sottolinea come “l’affidamento sia una situazione soggettiva preliminare e autonoma rispetto al principio di buona fede, la cui tutela è assicurata dall’esistenza di tale principio”4. Esso trova il suo antecedente logico in una situazione di apparenza caratterizzata da elementi oggettivi (comportamenti precedenti della P.A., atti a favore del cittadino, ma anche inerzia) che creano nell’amministrato (al quale corrisponderà una diligenza più o meno elevata) delle aspettative: egli si attende che la situazione con cui ha a che fare sia reale, consolidata, in altre parole certa5, e, quindi, non più unilateralmente mutabile ad opera dell’amministrazione stessa. Egli confida in tale situazione a tal punto che spesso si determina in scelte proprio in ragione di tale affidamento, cosicché la sua violazione comporterà non solo conseguenze sanzionatorie dirette, ma anche danni derivanti dalle scelte precedentemente fatte. Un grande giurista esperto sull’argomento, F. Merusi, definì la buona fede quale “norma verticale, un principio di integrazione dell'intera gerarchia delle fonti. La buona fede è norma di integrazione di ogni ordine di produzione codificata del diritto, costituzionale, legislativa, regolamentare e ora anche comunitaria”6, dal carattere universale e di importanza tale da poterlo qualificare principio costituzionale non scritto, travalicando il rapporto contribuente-fisco, allargandosi ad uno spettro di rapporti pressoché illimitato nell’ambito della comunità civile e abbracciando ogni branca dell’ordinamento. Esso è applicabile, infatti, in ambito civile, amministrativo, tributario, comunitario e internazionale. Forme di tutela quali il principio di correttezza dell’agire amministrativo, di tutela del legittimo affidamento del contribuente, nonché l’esimente delle obiettive condizioni di incertezza della norma tributaria, (introdotta nel sistema normativo già nel 19297), rappresentano tutte il tentativo di creare un clima collaborativo e di certezza dei rapporti giuridici, sinonimo di ordine e di sviluppo sociale. Ma mentre in ambito amministrativo ci si è avviati in un lento ma significativo processo di trasformazione dell’apparato improntato in ottica privatistica e paritaria sul piano dei rapporti, in ambito tributario permangono ancora difficoltà nell’accettare il superamento dell’ottica pro fisco8. Di difficile mutamento la posizione della Corte Costituzionale che, se si eccettuano quelle che possono essere definite clausole di stile, nelle sue sentenze non sembra offrire una tutela decisiva per le posizioni di aspettativa dei cittadini amministrati. Diversa posizione quella della Corte di Cassazione9, la quale, invece, tende ad avvalorare sia il ruolo dello Statuto del Contribuente che a sostenere le ragioni dei contribuenti in controversie in cui sia messa in dubbio la tutela del legittimo affidamento. L’attuale valore concreto dello Statuto del Contribuente: le due Corti a confronto La L. 27 luglio 2000, n. 212, all’articolo 10, comma 1, statuisce che “i rapporti tra contribuente ed Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. Stabilendo ai successivi commi che “Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa” e “Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta. Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”. Stando alla lettera della norma, verrebbe tutelato il contribuente in buona fede, non solo nel caso in cui egli agisca in conformità di un’indicazione preferenziale dell’Amministrazione finanziaria (e in tal caso non potranno essere richiesti interessi e irrogate sanzioni amministrative)10; bensì anche nel caso di affidamento prestato ad un atto dell’Amministrazione dal contenuto univocabilmente interpretabile, nel cui caso nulla sarà dovuto anche dal punto di vista impositivo11. La Corte di Cassazione avalla questa posizione pro-contribuente affermando che “il principio di tutela del legittimo affidamento del cittadino, reso esplicito in materia tributaria dall’art. 10, comma 1, L. n. 212 del 2000, e trovando origine negli articoli 3, 23, 53 e 97 Cost., è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l'attività legislativa e amministrativa”12. Ma se quanto detto aderisce agli orientamenti della Corte di Cassazione, ciò non è parimenti vero per la posizione assunta dalla Corte Costituzionale, la quale mostra di avere una netta posizione di contrasto con la filosofia dello Statuto del Contribuente, come si può dedurre dalla permissività circa le leggi retroattive in materia tributaria. Infatti, nonostante a norma dell’art. 1, comma 2, dello Statuto del Contribuente l'adozione di norme interpretative in materia tributaria possa essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica, e nonostante ancora all’art. 3, comma 1 dello stesso Statuto venga stabilito che salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo, la Corte non sembra mutare indirizzo affermando che “una legge tributaria retroattiva non comporta di per sé violazione del principio della capacità contributiva, occorrendo verificare, invece, di volta in volta, se la legge stessa, nell'assumere a presupposto della prestazione un fatto o una situazione passati, abbia spezzato il rapporto che deve sussistere tra imposizione e capacità stessa, violando così il precetto costituzionale sancito dall’art. 53” (Corte Cost., sent. 20 luglio 1994, n. 315; nello stesso senso vedi Corte Cost., sent. 10 novembre 1994 n. 385, e ancor più risalente Corte Cost., sent. 16 giugno 1964, n. 45; recentemente v. anche Corte Cost., sentt. 6 febbraio 2002, n. 16 e 4 agosto 2003, n. 291). La Corte Costituzionale, dopo aver affermato, in Corte Cost., ord. 6 luglio 2004, n. 216, che“le disposizioni della legge n. 212 del 2000, proprio in ragione della loro qualificazione in termini di principi generali dell’ordinamento, rappresentano (non già norme interposte ma) criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria, anche antecedente” chiarisce nella recentissima Corte Cost., sent. 27 febbraio 2009 sentenza n. 58 che non hanno “rango costituzionale - neppure come norme interposte - le previsioni della legge n. 212 del 2000 (ordinanze n. 41 del 2008, n. 180 del 2007 e n. 428 del 2006)”. Cassazione e Corte Costituzionale in tema di retroattività delle norme: problema dell’interpretazione autentica e delle norme innovative con effetto retroattivo Le leggi tributarie retroattive possono essere sia leggi di interpretazione autentica, sia leggi innovative con efficacia retroattiva in virtù di una specifica regolazione dello stesso legislatore13. In particolare, le leggi di interpretazione autentica (o leggi interpretative) possono essere definite come quelle “leggi che stabiliscono quale significato deve essere attribuito a un enunciato di altra precedente legge”14. L’effetto retroattivo di una norma può pregiudicare i cittadini incidendo in maniera diversa su situazioni giuridiche che li vedono coinvolti: essi potrebbero avere già maturato una posizione al verificarsi dell’effetto retroattivo e, quindi, richiedere una tutela dei diritti quesiti; ancora potrebbero essere in pendenza di procedimenti atti a ottenere, ad es., un determinato provvedimento e ciò potrebbe comportare degli effetti negativi; infine, potrebbero semplicemente nutrire un’aspettativa non avendo ancora intrapreso alcuna attività procedimentale. La Corte Costituzionale, sin dalla sua prima pronuncia15, ha preso posizione circa le norme d’interpretazione autentica, definendone, nelle sentenze successive, i criteri alla stregua dei quali possano essere emanate, sottolineando come nell’ordinamento italiano il divieto di retroattività, pur costituendo valore fondamentale di evoluzione giuridica e principio generale cui il legislatore in linea di principio si attiene16, non è stato elevato a rango costituzionale, fatta eccezione per la previsione dell’art. 25, Cost. relativo alla legge penale. Fuori da tale ambito, quindi, il legislatore in linea di massima può emanare norme con efficacia retroattiva17. Per identificare la legge interpretativa con Corte Cost. sent. 3 marzo 1988, n. 233, la Corte afferma preliminarmente che una legge che si autoqualifichi e sia formulata come legge interpretativa, non la esime “dal verificare, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, se la qualificazione e la formulazione siano veramente rispondenti al contenuto dispositivo della legge medesima”. In un successivo capo della sentenza, poi, la Corte passa a definire i caratteri identificativi di una legge interpretativa: “Siffatta qualificazione giuridica spetta, infatti, a quelle leggi o a quelle disposizioni che riferendosi e saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate), intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste ultime (senza, perciò, intaccarne o integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone il senso (ove considerato oscuro) ovvero escludendone o enucleandone uno dei sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre all’interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata”. Simili concetti sono espressi nelle sentenze 4 aprile 1990, n.15518 e 3 giugno 1992, n. 24619. In Corte Cost., sent. 12 luglio 1995, n. 311 si legge, a chiarimento: “La riconosciuta natura effettivamente interpretativa di una legge non è sufficiente ad escludere che la stessa determini violazioni costituzionali. Invero, la sovrana volontà del legislatore nell’emanare dette leggi incontra una serie di limiti20 che questa Corte ha da tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, oltre che di norme costituzionali, di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 424 e 283 del 1993; 440 del 1992 e 429 del 1993); la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto (sentenze nn. 397 e 6 del 1994; 429 del 1993; 822 del 1988); il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario”21. In passato le leggi d’interpretazione autentica non erano frequenti e venivano alla luce con il preciso scopo di rendere più chiaro il significato di una legge precedente che poteva essere oscura. La finalità di tali strumenti, quindi, era proprio quella di fare chiarezza sul significato di una norma, in modo tale da poterci fare affidamento, ma solo successivamente all’emanazione di tali norme22. Un affidamento che non poteva, quindi, esistere a monte basandosi su un significato incerto. Una posizione del genere mostra l’arretratezza della dottrina del tempo nel non comprendere come l’affidamento non può rimanere nel limbo del non consolidarsi, in presenza di leggi che, per quanto oscure, quantomeno determinano ipotesi interpretative nei suoi destinatari e quindi una situazione prodromica di affidamento che andrebbe comunque tutelata come diritto alla certezza23. Tale posizione potrebbe sembrare quasi sinonimo di mancanza di civiltà giuridica se si pensa che altri ordinamenti, come quello tedesco, hanno riconosciuto, sia a livello giurisprudenziale che dottrinale, la tutela dell’affidamento in relazione alle problematiche prodotte da leggi retroattive24. In un periodo di inflazione legislativa come il nostro, in cui, peraltro, le leggi di interpretazione autentica sono tutt’altro che rare25, quando la Corte si trova a vagliare se vi sia stata lesione del principio di legittimo affidamento, essa afferma l’esigenza di verificare se l’affidamento eventualmente violato possa ritenersi legittimato da interpretazioni costanti delle leggi poi oggetto di interpretazione autentica26. Si legge in Corte Cost., sent. 20 maggio 2008, n. 162, in materia tributaria: “proprio l'esistenza di tali divergenze interpretative escluderebbe dunque che si possa essere creato alcun affidamento in capo ai contribuenti”27. Quindi nelle sentenze più recenti della Corte, la legge di interpretazione autentica, in presenza di dubbi interpretativi circa disposizioni di legge, sembra non legittimare l’affidamento, con l’aggravio di una possibilità di interpretazione autentica anche in presenza di indirizzi interpretativi omogenei. La presenza di interpretazioni molteplici o controverse è fenomeno fisiologico del diritto, aggravato spesso da tecniche di redazione delle leggi criticabili od opportunistiche28 e dall’avvicendarsi di fazioni politiche29 nel ruolo di legislatore: in mancanza di una “certezza giuridica” sembrerebbe allora quasi impossibile trovare uno spazio per un affidamento legittimo. Sembra improponibile, in questi termini, il dover costringere un cittadino a rimanere in balìa di situazioni che, per fisiologica mancanza di certezza, non permettono il consolidarsi di un affidamento. Sotto tale profilo, l’affidamento andrebbe tutelato come “diritto all’affidamento”, come diritto alla certezza e alla stabilità di situazioni giuridiche. Si legge, poi, nella recente Corte Cost., sent. 28 marzo 2008, n. 74, a conferma della mancanza di concreta propensione da parte della Corte costituzionale per la tutela delle ragioni degli amministrati: “Questa Corte ha avuto modo di affermare, in più di un’occasione (da ultimo, sentenza n. 234 del 2007), che non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, trattandosi in entrambi i casi di accertare se la retroattività della legge, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo che per la materia penale, trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Sicché la norma censurata, ove considerata espressione di funzione di interpretazione autentica, non può considerarsi lesiva dei canoni costituzionali di ragionevolezza, e dei principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche, atteso che essa si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (si veda anche la sentenza n. 274 del 2006), senza, peraltro, che siffatta operazione debba essere necessariamente volta a comporre contrasti giurisprudenziali, ben potendo il legislatore precisare il significato di norme in presenza di indirizzi omogenei (sentenze n. 374 del 2002, n. 29 del 2002 e n. 525 del 2000)”30. Sarebbe così ampliato lo spazio per le correzioni di “tiro” del legislatore, che potrebbe modificare l’interpretazione di norme con portata retroattiva non solo in presenza di contrasti giurisprudenziali31, “ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore”32. Sembra che, a parte le formule stereotipate che decantano l’importanza del principio dell’affidamento e della certezza del diritto come principi di civiltà giuridica33, in realtà ci sia uno spazio estremamente ridotto per la tutela di tali situazioni, legato al labile filo della ragionevolezza34, a volte utilizzata in modo palesemente lato per non tacciare di incostituzionalità norme che sono utili alle casse dello Stato35. Se passiamo in rassegna le sentenze della Corte si può notare come nonostante le formule che decantino una tutela per il cittadino, in realtà chi lamenta lesione all’affidamento rimane la maggior parte delle volte deluso36, e nemmeno la mancanza di una qualificazione come legge interpretativa data dal suo disattento autore è sufficiente per contrastarne la subdola produzione. La posizione della Cassazione in relazione alle norme di interpretazione autentica e allabuso del loro impiego37 quale causa di lesione dell’affidamento, è decisamente più favorevole al contribuente. La giurisprudenza, anche recente, dimostra come la Suprema Corte sia generalmente contraria al fenomeno della retroattività di norme tributarie, che vengono spesso strumentalizzate per esigenze di cassa, a scapito dei contribuenti38, aderendo quindi alla linea tracciata dal legislatore con lo Statuto. La divergenza di posizioni delle due Corti circa la portata delle norme della L. 212/00 contribuisce a creare sconforto nei meccanismi posti a tutela del contribuente. Sarebbe quindi opportuno che le due Corti trovassero un punto di equilibrio per garantire massima espansione d’efficienza della L. 212/00, per creare un clima di certezza che possa permettere l’instaurarsi di un rapporto di fiducia tra contribuenti e Fisco, che rispecchia lettera e ratio dello Statuto del Contribuente. Tutela dell’affidamento nell’esperienza comunitaria Così come per l’ordinamento interno, anche per quello comunitario è molto importante la certezza del diritto: gli atti delle istituzioni europee non solo devono essere chiari ma devono anche essere portati a conoscenza del soggetto interessato con mezzi idonei, in modo tale da permettere a quest’ultimo di valutare gli effetti prodotti dall’emanazione dell’atto. Quello che si può definire principio della certezza del diritto39 è complementare a quello dell’affidamento (legitimate expectation)40. Occorre ricordare, inoltre, che tale tutela non opera soltanto a livello orizzontale, cioè tra singoli cittadini od operatori economici dell’Unione, ma anche tra cittadino e Stato membro e tra quest’ultimo e gli organi dell’Unione, e che la violazione del principio di legittimo affidamento riguarda non solo gli atti di tipo amministrativo ma anche quelli di tipo legislativo. Tutti gli ordinamenti giuridici non possono ignorare un problema a cui i sistemi giuridici vanno irrimediabilmente incontro: cioè il dover regolare situazioni in cui le pubbliche amministrazioni, talvolta, possano41 o meno poter tornare sulle proprie precedenti decisioni, anche eventualmente su quelle per mezzo delle quali si attribuivano vantaggi o si creavano situazioni favorevoli ai loro destinatari o a terzi, sia che ciò accada in conseguenza di una rivalutazione della legittimità o in virtù della modificazione dell’assetto d’interessi contemperati nell’ambito del precedente operato. In tutti gli ordinamenti dell’Unione si è reso necessario (ma tale esigenza è sentita anche a livello internazionale)42, fissare dei criteri di risoluzione del problema di come regolare il rapporto fra le decisioni dell’amministrazione, le situazioni create in capo ai cittadini e il decorso del tempo. Se non è ipotizzabile un’assoluta negazione della possibilità di dare all’amministrazione la possibilità di mutare posizione circa soluzioni e posizioni adottate, e dare ad essa il potere di adattare le soluzioni e di modificare gli assetti rispetto a nuove esigenze, a mutati indirizzi giurisprudenziali, alle evoluzioni tecniche, politiche ed economiche, se, insomma, è di evidente necessità garantire all’azione pubblica una certa flessibilità, sorge però la conseguente contropartita della necessaria determinazione della misura con cui si voglia attribuire tutela alle aspettative di chi, sulla base di precedenti o precise decisioni che gli avessero permesso specifiche possibilità di azione, avrebbe confidato nella continuità e nella stabilità della situazione a lui favorevole, e in base o in vista della quale ha posto in essere atti, determinando proprie scelte di tipo economico, che possono influire anche sulla propria intera prospettiva di vita, in base alle statuizioni o alle normative esistenti in un certo momento. Risulta ormai indispensabile fare riferimento al principio di tutela dellaffidamento elaborato in ambito comunitario43, esigenza resa ancor più forte, relativamente all’ordinamento italiano, per via dello specifico richiamo dato ai “principi dell’ordinamento comunitario”dal nuovo art. 1 della L. 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, applicabili anche in ambito tributario, e specificamente introdotti nel 2000 con lo Statuto del Contribuente. I limiti all’interno dei quali opera il legittimo affidamento Quello di affidamento è un principio ormai da tempo consolidato nella giurisprudenza comunitaria44, un principio non scritto, in quanto nulla sarebbe esplicitamente previsto a riguardo nei Trattati, che pare sia alquanto affine alla rule of law del sistema giuridico inglese45 secondo la quale l’amministrazione, soprattutto in sede di esercizio del potere di autotutela46, deve salvaguardare le situazioni soggettive che si sono consolidate per effetto di atti o comportamenti della stessa amministrazione, idonei ad ingenerare un ragionevole affidamento nel destinatario dell’atto. La presenza di tale principio è confermata dall’affermazione esplicita sul piano sostanziale in materia doganale, contenuta nel Regolamento (CEE) n. 1967/72 della Commissione, del 14 settembre 1972, e ribadita dal Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario 47. Si può cercare di seguire il percorso evolutivo giurisprudenziale seguito dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee per delineare i parametri in base ai quali è possibile determinare i confini entro in quali è tutelabile l’affidamento, definito da alcune pronunce come “parte dell’ordinamento giuridico comunitario”48. Punto di partenza di tale cammino evolutivo sembra essere una sentenza del 195749. In tale pronuncia, la Corte svolge, nelle sue motivazioni, un ragionamento che permette di delineare il comportamento che la stessa considera corretto nell’ambito della revoca di atti, dinanzi al sorgere di un affidamento sia nel caso in cui esso sorga in conseguenza di un atto legittimo e sia nel caso in cui trovi fonte in un atto illegittimo50. Si ritiene, infatti, che se il provvedimento è conforme alle norme che ne disciplinano l’emanazione ed ha determinato la produzione di effetti previsti dall’ordinamento, facendo sorgere diritti in capo ad un determinato soggetto, allora non possa essere revocato, in quanto quei diritti sarebbero irrimediabilmente lesi se si procedesse all’annullamento dell’atto che li ha posti in essere, in contrasto con il principio giuridico che impone di salvaguardare l’affidamento51; diverso è, invece, il caso di un provvedimento non conforme al diritto: esso potrebbe essere revocato ex tunc, ove non fosse d’ostacolo la notevole durata del tempo trascorso tra la sua emanazione e la revoca. La Corte fissò quindi, per la prima volta, un limite al potere di autotutela della PA.: la necessità di tener conto del lasso di tempo decorso dall’emanazione del provvedimento, la cui consistenza fosse tale da giustificare l’insorgere di un affidamento nella conservazione della situazione acquisita, talvolta precludendo persino l’esercizio della potestà amministrativa di ritiro dell’atto52. Ciò che consegue è che una situazione di vantaggio, assicurata al privato per mezzo di uno specifico atto dell’amministrazione, non può essere rimossa in un momento successivo, salvo indennizzo per la lesione derivante dalla rimozione della posizione acquisita. La tutela dell’affidamento risponde, anche in ambito comunitario, a ragioni di certezza e stabilità dei rapporti giuridici: essa, infatti, prevede il consolidamento della situazione di vantaggio nell’ambito della sfera del cittadino, in quanto quest’ultimo deve aver mantenuto il bene o la situazione giuridica per un certo lasso di tempo, determinando così lo stabilizzarsi del convincimento circa la spettanza del bene stesso o della situazione in questione. Si tratta di quelli che vengono denominati vested rights (diritti quesiti)53, che consistono in quei diritti che vengono costituiti dalla P.A. attraverso degli atti con la parvenza del carattere della legittimità: essi non possono essere successivamente sacrificati in quanto hanno determinato la convinzione di essere diritti “acquisiti” al patrimonio del cittadino beneficiario54. Tuttavia, occorre considerare che, nella stessa giurisprudenza della Corte, l’approccio che fissa nel decorso del tempo un fattore definitivamente stabilizzante dell’affidamento, e a precludere, di conseguenza, l’esercizio del potere di autotutela, non presenta carattere di continuità, poiché si ritiene che seppur tale fattore sia destinato a consolidare progressivamente l’affidamento, esso non osti inevitabilmente all’esercizio del potere di ritiro dell’atto, che sarebbe subordinato di fronte all’emersione di un interesse pubblico più consistente55. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia56, la rimozione di un atto illegittimo sarebbe ammissibile ma a condizione che risponda ad un interesse pubblico concreto e attuale da bilanciare con altri interessi dei quali si richiede tutela e che configgono con l’interesse pubblico in questione. Sono un esempio di tale ulteriore limite eventuale le pronunce con cui la Corte riconosce la legittimità dell’attività di recupero di aiuti di Stato che vengano concessi dallo Stato membro in difetto dei presupposti sostanziali e procedurali prescritti57. Si tratta di tipologie di fattispecie nelle quali la giurisprudenza comunitaria sottolinea non solo l’illegittimità del soggetto ad ottenere un aiuto percepito in violazione delle procedure previste dalla normativa europea, ma riconosce anche l’obbligo del recupero dell’aiuto concesso, anche nel caso in cui sussistano legittimate expectations58. L’interesse pubblico, quindi, emerge come secondo limite, anche se in realtà non si può sempre dire che ove l’atto venga revocato in presenza di un interesse pubblico superiore, l’affidamento non venga tutelato, poiché il soggetto danneggiato potrebbe essere ristorato adeguatamente tramite l’indennizzo o richiedere eventualmente il risarcimento del danno allo Stato se abbia in buona fede fatto affidamento nell’aiuto ripetuto59. Il potere di revoca attraverso l’autotutela dell’amministrazione viene talvolta indicato in maniera specifica nelle stesse norme comunitarie60; anche se, generalmente, tale potere di autotutela, nella giurisprudenza comunitaria, viene legittimato dallo stesso potere di porre in essere l’atto che poi verrà revocato61. Si aggiunga che nel bilanciamento degli interessi contrapposti viene considerato dalla Corte anche il comportamento del soggetto controinteressato alla eliminazione del provvedimento, poiché, giustamente, non merita tutela l’affidamento illegittimo di chi, cooperando con la propria condotta, ha determinato l’emanazione di un provvedimento anch’esso illegittimo fornendo, ad es., false o inesatte informazioni, tali da indurre in errore l’autorità emanante62. D’altra parte un affidamento, perché possa qualificarsi legittimo, non può consolidarsi quando il destinatario dell’atto sia ab origine consapevole dei difetti di legittimità dello stesso, per averli eventualmente prodotti con il suo comportamento di mala fede63; o quando l’illegittimità risulti in maniera evidente dal provvedimento stesso e, quindi, si presume una conoscenza dell’operatore; oppure quando l’amministrazione abbia tempestivamente informato il destinatario del provvedimento dei dubbi circa la legittimità dello stesso, producendo, attraverso tali informazioni o contestazioni, la conseguenza che l’affidamento venga “rapidamente scalzato”64; o quando l’amministrazione abbia espressamente avvisato il destinatario di volersi riservare la facoltà di revoca dell’atto, qualificando quest’ultimo come provvisorio65. La giurisprudenza comunitaria, quindi, ha dato spesso rilevanza al profilo soggettivo dell’affidamento: nelle pronunce, si è sottolineata l’imprescindibile presenza dell’elemento della diligenza dell’operatore nella valutazione delle circostanze che determinerebbero l’affidamento, in quanto l’assenza di quella determinerebbe la perdita della possibilità di tutela, trattandosi di affidamento non legittimo. Il legislatore comunitario, infatti, soprattutto per via delle materie in continua evoluzione che ricadono nella competenza dell’Unione, dispone di un ampio potere discrezionale, purché venga rispettato il Trattato, e purché le scelte, che possono essere modificate nel tempo, siano proporzionate agli obiettivi. Pertanto, l’operatore economico, in qualità di soggetto che per sua definizione sopporta un rischio che caratterizza la natura stessa dell’attività economica e produttiva66, deve essere prudente ed avveduto e prevedere che la normativa potrà essere modificata anche sopprimendo posizioni a suo vantaggio67. L’evoluzione giurisprudenziale comunitaria, in definitiva, ha portato a ritenere necessaria, ai fini della tutela delle legittime aspettative, la sussistenza di una pluralità di elementi: quello oggettivo, consistente nell’esistenza di un provvedimento amministrativo (se tale provvedimento è legittimo diviene più certa la tutela della situazione d’affidamento formatasi) o di un comportamento chiaro e univoco della PA; quello soggettivo della buona fede del destinatario del provvedimento o del comportamento, consistente nell’assenza di dolo o colpa in ordine al determinarsi dell’illegittimità del provvedimento o alla ignoranza non colpevole circa l’illegittimità, in modo che l’aspettativa del privato venga tutelata in coerenza con il principio della buona fede oggettiva; e il fattore temporale, tale da consentire la stabilizzazione del rapporto giuridico sotteso all’atto amministrativo che la P.A. intende rimuovere in via di autotutela, al quale la giurisprudenza comunitaria dà rilievo al fine di assicurare anche la tutela del principio di certezza del diritto, e che assume particolare rilevanza quando l’affidamento in buona fede del soggetto si protrae per un lungo lasso di tempo. Per tali caratteristiche, il principio dell’affidamento è applicabile a tutte le situazioni non espressamente disciplinate dalle regole, talvolta prescindendo dalle stesse, ed è tutelabile anche quando il privato assuma di essere stato leso da un comportamento del fisco che si è modificato rispetto alla precedente normativa, nonostante le restrittive interpretazioni della Corte Costituzionale, soprattutto in tema di credito d’imposta investimenti (ordinanze n. 124/06 e n. 180/07; articolo di Alessandro ed Amedeo Sacrestano in Il Sole 24-Ore di sabato 27 giugno 2009). ________________ 1 In Cass., sez. trib., 23 gennaio 2006, n. 1236, si afferma “i principi generali dell'attività amministrativa stabiliti dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, che si applicano, salva la specialità, anche per il procedimento amministrativo tributario”. Conforme indirizzo in Cass., Sez. 5, sent. 12 marzo 2008, n. 6591. 2 E. Giardino, Partecipazione al procedimento amministrativo, in La nuova disciplina dell'azione amministrativa - commento alla legge n. 241 del 1990 aggiornato alle leggi n. 15 e n. 80 del 2005, 2005. 3 Per un’interessante contributo sull’argomento si rimanda a G. M. Uda, “l'oggettività della buona fede nella esecuzione del contratto”, in www.dirittoestoria.it. 4 In F. Merusi, Buona fede ed affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni trenta all’alternanza, 2001, 10 e 35 ss.. 5 In G. Zagrebelsky, Manuale di Diritto costituzionale, I, 1987, 91, troviamo la definizione secondo cui per principio dell'affidamento si intende che "il singolo deve poter conoscere lo stato del diritto in base al quale opera e tale stato del diritto non deve poi essere modificato retroattivamente". 6 F. Merusi, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico, cit., 7. 7 V. art. 2 R.D. n. 360 del 1929. La norma è stata poi più volte oggetto di successive novellazioni: art. 15 R.D. n. 1608 del 1931, art. 248 D.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 46 e 55 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 48 D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 39 bis D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633. Più di recente, l’esimente ha trovato cittadinanza nell’art. 8 D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (recante le norme sul nuovo processo tributario), nell’art. 6 D.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 (recante la riforma del sistema sanzionatorio tributario non penale), nell’art. 15 D.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 (concernente la repressione dei reati fiscali) e, infine, nell’art. 10 della l. 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente). 8 Cass., SS.UU., 28 settembre 2006, n. 25506. 9 Cass., Sez. trib., sent. 21 aprile 2001, n. 5931, Cass. Sez. V, sent. 10 dicembre 2002, n. 17576, Cass. Sez. V, sent. 14 aprile 2004, n. 7080, Cass. Sez. V, 6 ottobre 2006, n. 21513, Cass. Sez. I., ord. 12 dicembre 2006, n. 26505. 10 Cass., Sez. trib., sent. 14 febbraio 2002, n. 2133. 11 Cass., Sez. trib., sent. 10 dicembre 2002, n. 17576. 12 Cass., Sez. trib., sent. 6 ottobre 2006, n. 21513; Cass., Sez. trib, sent. 14 aprile 2004, n. 7080, Cass., Sez. V trib., sent. 10 dicembre 2002, n. 17576 e la recente Cass., Sez. V trib., sent. 13 maggio 2009, n.10982. 13 I giudici hanno tuttavia limitato la rilevanza pratica della distinzione tra norme interpretative e norme innovative con efficacia retroattiva (per un’ equivalenza nei loro effetti vedi Corte Cost., sent. 8 luglio 1957, n. 118, sent. 13 febbraio 1985 n. 36 e sent. 2 febbraio 1988, n. 123). 14 G. Tarello, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, II, 1980, 241. 15 V. Corte Cost., sent. 8 luglio 1957, n. 118 ove si legge: “la Costituzione non esclude la possibilità di leggi interpretative, e, come tali, retroattive. Manca nella Carta costituzionale qualsiasi limitazione di ordine generale al riguardo. Si tratta, del resto, di un istituto comunemente ammesso da altri ordinamenti statali, che posseggono i caratteri di Stato di diritto e di Stato democratico” e “Anche se le si volesse, poi, riconoscere carattere innovativo, la legge non avrebbe violato nessun principio costituzionale, perché la Costituzione non vieta che le leggi civili possano essere retroattive e l'art. 11 delle disposizioni preliminari al Codice civile contiene solo un canone d'interpretazione”. Tale posizione è divenuta poi “granitica”, essendo poi stata portata avanti in tutte le successive pronunce a riguardo. 16 Secondo C. Mortati, Sull'eccesso di potere legislativo, in Giur. it., I, 1949, sarebbe un principio avente “carattere costituzionale, indipendentemente dalla sua inserzione nella carta fondamentale”; A. Pizzorusso, La responsabilità dello Stato per atti legislativi in Italia, in Foro it., V, 2003, propone invece l’utilità di operare una valorizzazione “così da ritenerla strumentalmente rivolta alla tutela di qualunque tipo di situazioni giuridiche soggettive che l'ordinamento giuridico tuteli” fino al punto che “non parrebbe pertanto incongruo uno sforzo interpretativo volto a costruire tale regola come espressione di un principio costituzionale non scritto, implicito in tutta una serie di disposizioni di rango costituzionale”. 17 Vivacemente contrariato all’uso di tali leggi R. Quadri, Applicazione della legge in generale, in A. Scialoja e G. Branca (a cura di), Commentario del Codice Civile, Disposizioni sulla legge in generale artt. 10-15, in Foro it., 1974, 153, il quale addita come un “grave errore il supporre che la potestas legiferandi comprenda, quasi a fortiori, anche nello Stato moderno, la potestas interpretandi” che “tanto varrebbe limitarsi a dire puramente e semplicemente che la “volontà” del legislatore è sovrana, sia o meno in contrasto con la “giurisprudenza concorde o quasi concorde” e che non si può ammettere un limite alla sua possibilità di disporre in modo retroattivo”. Nella stessa direzione anche G. Marzano, L’interpretazione della legge con particolare riguardo ai rapporti fra interpretazione autentica e giurisprudenziale, 1955, 156 ss., il quale afferma che l’interpretazione autentica appare, sul piano costituzionale, in uno stato come il nostro, organizzato democraticamente, “del tutto illegittima e inopportuna” e che “i redattori della Costituzione vigente, distaccandosi dai precedenti storici, vollero, col silenzio serbato, dimostrare che l’istituto deve considerarsi ignorato dal nostro sistema”. Il silenzio della Costituzione in tema di interpretazione autentica è richiamato per sottolineare la non ammissibilità al ricorso del legislatore a leggi interpretative anche da M. Zingales, Aspetti peculiari dell’attuale legislazione, in Foro amm., 1980, 1874 ss.. 18 Con Corte Cost., sent. 4 aprile 1990, n.155, si precisa nuovamente quali debbano essere le caratteristiche delle leggi interpretative, affermando che è tale solo quella legge che “fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo, ovvero privilegia una fra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo è espresso dalla coesistenza delle due norme le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente”. 19 L’uso impreciso del termine ‘norma’ verrà poi chiarito in una successiva sentenza, dove si precisa che la natura di legge interpretativa “va desunta da un rapporto tra norme e disposizioni” (Corte Cost., sent. 3 dicembre 1993, n. 424, richiamata successivamente da Corte Cost., sent. 23 novembre 1994, n. 397). 20 In Corte Cost., sent. 5 novembre 1996 n. 386, si legge: “si richiede, per attribuire il carattere di norma di interpretazione autentica, che la previsione sia diretta a chiarire il senso di disposizioni preesistenti, ovvero ad escludere o ad enucleare uno dei significati tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle statuizioni interpretate, occorrendo comunque che la scelta assunta dal precetto interpretativo rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato”. 21 Nonché in Corte Cost., sent. 26 luglio 1995, n. 390: “Questa Corte ha già avuto occasione di affermare (v. sentenze n. 573 del 1990, n. 822 del 1988 e n. 349 del 1985) che nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto”. 22 F. Cammeo, L’interpretazione autentica, in Giur. it., 1907, 310. Vedi argomento proposto da E. Libone, La fisionomia delle leggi di interpretazione autentica, in A. Anzon (a cura di), Le leggi di interpretazione autentica tra Corte costituzionale e legislatore - Atti del seminario di Roma del 5 ottobre 2000, 2001, 138. 23 A. Pizzorusso, Certezza del diritto. Profili applicativi, in Enc. giur., VI, 1988; l. Pegoraro, Linguaggio e certezza della legge nella giurisprudenza della Corte costituzionale, 1988; R. Guastini, La certezza del diritto come principio di diritto positivo? in Le Regioni, 1986. 24 F. Merusi, Buona fede e affidamento, cit., 22–23, sottolinea come l’esigenza di certezza del cittadino nei termini di tutela dell’affidamento ha portato la Corte costituzionale tedesca ad analizzare il problema della retroattività propria (che si verifica nell’ipotesi in cui la precettività della nuova disciplina si estende anche a fattispecie esauritesi prima della sua entrata in vigore) e quello della retroattività impropria (che comprende l’incidenza che la nuova legge può avere sulle fattispecie concluse). La Corte tedesca infatti, a differenza della posizione mutata solo in rare occasioni e di recente, muove da una visione del potere con discrezionalità più limitata. Vedi a tal proposito G. Di Gaspare, Il potere nel diritto pubblico, 1992; G. Sala, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, 1993. 25 A questo proposito vedi P. Giocolo Nacci, L’anti-Montesquieu, (tramonto del principio della distinzione delle funzioni),1989, 42 ss; l. Nogler, Sull’uso dell’interpretazione autentica e delle leggi retroattive in materia previdenziale, in Giur. it., 1993, I, 383; per Gardino Carli, Il legislatore interprete, 1997, 50, la legge interpretativa "da extrema ratio per ripristinare la certezza del diritto, è diventata ormai uno strumento di routine". In G. Verde, Alcune considerazioni sulle leggi interpretative nell'esperienza più recente, in U. De Siervo (a cura di) Osservatorio delle fonti, 1996, 31, vi è un conteggio che testimonia l’incremento dell’uso esponenziale delle leggi di interpretazione autentica: da 6 leggi approvate sotto la vigenza dello Statuto Albertino si è passati a 150 nei primi quarant'anni della Repubblica e 18 nel solo quadriennio 1991-1995, conteggio limitato alle sole leggi che recano nel titolo la dizione di "interpretazione autentica", quindi autoqualificatesi come tali. 26 Vedi ad es. Corte Cost., sent. 11 giugno 1999, n. 229, ove si parla di “obiettivo dubbio ermeneutico”, il quale non permetterebbe l’instaurarsi di un affidamento in quanto mancherebbe una costante interpretazione alla quale affidarsi. Vedi Corte Cost., sent. 10 dicembre 1981, n. 187 e ord. 26 gennaio 1988, n. 91 per pronunce più datate in proposito. Vedi anche Corte Cost., sentt. 23 luglio 2002, n. 374 e 25 febbraio 2002, n. 29. 27 L’affidamento non è invocabile in presenza di una giurisprudenza oscillante (come nella già citata Corte Cost., 11 giugno 1999, n. 229 o nella sent. 2 maggio 1991, n. 193) e in presenza di interpretazioni autentiche diverse da quelle affermatesi presso i giudici di merito purché ricavabili dal tenore letterale della disposizione interpretata (Corte Cost., sent. 3 dicembre 1993, n. 424 e sent. 19 maggio 1994, n.153). 28 La dottrina non ha mancato di sottolineare come l'oscurità della legge originaria sia in casi non infrequenti volutamente ricercata, con lo scopo di consentire l'approvazione della legge, per poi con un successivo intervento interpretativo effettuare la specificazione del contenuto precettivo o modificarla con una sostanza più gradita: così A. Gardino Carli Il legislatore interprete, 1997, 49 e ss. Per le scelte “politiche” di reinterpretazione M. Ainis La legge oscura, 1997, 60 e ss., o addirittura per come la chiarificazione della legge interpretativa sia assurdamente inutile o ancor più oscura della norma che si dovrebbe interpretare M. Fiorillo Il legislatore retroattivo in Rass. Parlam., 1997, 780 e ss.. 29 Per R. Quadri, Applicazione della legge in generale, cit, 115, l’obbligo di coerenza del legislatore varrebbe solo sul piano politico, poiché “non esiste una norma generale che tuteli i diritti acquisiti nel senso che le situazioni giuridiche costituite nel passato debbono continuare anche per l’avvenire. La legge nuova, salvo gli eventuali limiti stabiliti dalla Costituzione, ha a tal riguardo piena discrezione”. 30 Vedi anche Corte Cost., ord. 27 luglio 1992, n. 376 e sent. 12 luglio 1995, n. 311, per le quali non sarebbe necessario il contrasto giurisprudenziale per giustificare l’intervento di una legge d’interpretazione autentica. Si legge in Corte Cost.. sent. 18 novembre 1993, n. 402: "la volontà del legislatore è sovrana, sia o meno in contrasto con la giurisprudenza concorde o quasi concorde, e incontra soltanto il limite dei principi costituzionali". 31 Si legge in Corte Cost., sent. 11 giugno 1999, n. 229, “La rilevata sussistenza di un obiettivo contrasto interpretativo in sede giurisdizionale induce innanzitutto ad escludere la violazione del principio dell’affidamento. Nessun legittimo affidamento poteva infatti sorgere sulla base di una interpretazione della norma tutt’altro che pacifica e consolidata ed anzi fortemente contrastata nella giurisprudenza di merito”. La Corte costituzionale ravvisa come presupposto del ricorso alla legge interpretativa nell’esistenza di “gravi ed insuperabili anfibologie” (in Corte Cost., sent. 10 dicembre 1981, n. 187, con la quale viene dichiarata incostituzionale una legge regionale, ma che non tocca l’argomento del principio dell’affidamento), o quando l’intervento del legislatore è giustificato da “obiettivi dubbi ermeneutici” e “non é affatto decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo ovvero sia una norma innovativa con efficacia retroattiva. Questa Corte ha infatti ripetutamente precisato che il divieto di retroattività della legge - pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi - non é stato tuttavia elevato a dignità costituzionale, se si eccettua la previsione dell’art. 25 Cost., limitatamente alla legge penale (ex plurimis, sentenze n. 397 del 1994, n. 155 del 1990, n. 13 del 1977). Il legislatore ordinario, pertanto, nel rispetto del suddetto limite, può emanare norme con efficacia retroattiva, interpretative o innovative che esse siano, a condizione però che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (ancora, tra le tante, sentenze n. 432 del 1997, n. 376 del 1995, n. 153 del 1994). Ed é proprio sotto l'aspetto del controllo di ragionevolezza che può venire in considerazione la c.d. funzione di interpretazione autentica che una norma sia chiamata a svolgere con efficacia retroattiva”; o ancora, in Corte Cost., sent. 16 maggio 1997, n. 133, è diretto ad “di eliminare eventuali incertezze interpretative (sentenze n. 163 del 1991 e n. 413 del 1988), sia per rimediare ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti con la linea di politica del diritto perseguita dal legislatore (ex multis, n. 311 del 1995 e nn. 397 e 6 del 1994)”. 32 Corte Cost., sent. 22 novembre 2000, n. 525, in Rass. trib., 2000, 1889. 33 Per le definizioni del ruolo del principio dell’affidamento vedi Corte Cost., sent. 26 luglio 1995, n. 390 (“l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto” e “quell'affidamento da questa Corte ritenuto di valore costituzionalmente protetto”); Corte Cost., sent. 4 novembre 1999, n. 416, (“Al legislatore ordinario, pertanto, fuori della materia penale, non è inibito emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione però che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti. Tra questi la giurisprudenza costituzionale annovera, come è noto, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, quale essenziale elemento dello Stato di diritto, non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti (v. sentenze nn. 211 del 1997 e 390 del 1995)”. Vedi in Corte Cost., sent. 4 aprile 1990, n.155: “la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini”. 34 Si vedano, tra gli esempi di sentenze di leggi considerate ragionevolmente interpretative, Corte Cost., sentt. 15 maggio 1990, n. 240 e 31 luglio 1990, n. 380. 35 V. Corte Cost., 11 giugno 1999, n. 229 in G. Amoroso, T. Groppi, G. Parodi, Annuario di giurisprudenza costituzionale, 2000, 200 e ss.. 36 V. in proposito: Corte Cost., sent. 13 ottobre 2000, n. 419 (manifesta infondatezza della questione poiché la lesione è ragionevole in quanto dettata da una situazione di urgenza ), e ord. 24 luglio 2000, n. 341, ove la normativa (in specie di tipo tributario) non lede irragionevolmente gli interessi costituzionalmente protetti quali l’affidamento. Per la dottrina vedi A. Pugiotto, La labirintica giurisprudenza costituzionale in tema di leggi di interpretazione autentica, in Studium juris, 1997, 64; A. Pugiotto, La Legge interpretativa e i suoi giudici. Strategie argomentative e rimedi giurisdizionali, 267 ss. e 320 ss.; M. Gelmetti, Osservazioni sulla recente giurisprudenza costituzionale in tema di interpretazione autentica e retroattività delle leggi, in Giur. It., 1994, IV, 71; G. L. Soana, Legge di interpretazione autentica e principio dell'affidamento, nota a Corte Cost., sent. 2 maggio 1991, n. 193, in Giur. Cost., 1991, 1812. 37 Vedi Cass., 28 settembre 2006, n. 25506 e Sez. V trib., sent. 13 maggio 2009, n. 10982. 38 Vedi Cass., sent. 6 ottobre 2006, n. 21513. 39 J. Braithwaite, Rules and Principles: A Theory of legal certainty, in Australian Journal of legal Philosophy, XXVII, 47-82, 2002 . 40 F. Capelli, La tutela del legittimo affidamento nel diritto comunitario e nel diritto italiano (con particolare riferimento alla normativa Cee in materia agricola), in Dir. com. sc. int., 1989, 97; vedi S. Schonberg, Legittimate Expectations, in Administrative Law, 2000, e relativa recensione di D. De Pretis, in Dir. pubbl., 2001, 1191 ss. 41 La prima pronuncia della Corte di Giustizia in tema di revoca sembra essere la CGCE, sent.12 luglio 1957, Algera ed altri c. Assemblea Comune, cause congiunte 7/56 e 3-7/57, in Racc., 81. La pronuncia sottolineò che il principio generale della revocabilità degli atti amministrativi illegittimi era riconosciuto con varianti nella sua applicazione in tutti gli ordinamenti degli allora sei Stati membri. 42 Trib. I Grado Comunità Europee, 22 gennaio 1997, n.115, in Riv dir. int. 1997, 817 si legge: “Il principio di buona fede è una norma di diritto internazionale consuetudinario che vincola la Comunità” e “Il principio di buona fede è il corollario, nel diritto internazionale pubblico, del principio di tutela del legittimo affidamento che fa parte dell'ordinamento giuridico comunitario. In una situazione in cui le Comunità hanno depositato i loro strumenti di approvazione di un accordo internazionale e dove è nota la data di entrata in vigore dell'accordo stesso, gli operatori economici possono invocare il principio della tutela del legittimo affidamento per opporsi all'adozione da parte delle istituzioni, nel periodo precedente all'entrata in vigore di siffatto accordo, di qualsiasi atto contrario alle disposizioni di quest'ultimo che, dopo l'entrata in vigore dell'accordo, producano effetti diretti nei loro confronti”. 43 P. Mengozzi, Da un case by case balance of interest a un two step analysis approach nella giurisprudenza comunitaria in materia di legittimo affidamento?, in Scritti in onore di Giuseppe Federico Mancini, 1998, II, 633. 44Per una disamina accurata della giurisprudenza in materia di tutela dell’affidamento in ambito comunitario vedi H.J. Blanke, Vertrauensschutz im deutschen und europäischen Verwaltungsrecht, 2000; M.P Chiti, The Role of the European Courts of Justice in the Development of the General Principles and Their Possible Codification, in Riv. it. dir. pubbl. com. 1995, 661 ss; si può appurare come esso venga definito “principio fondamentale della comunità” con la pronuncia CGCE, 5 maggio 1981, Dürbeck/ Hauptzollamt Frankfurt am Main-Flughafen, C-112/80. 45Di questa opinione J. Schwarze, European Administrative Law, 1992, 872 ss; A.J. Mackenzie Stuart, The european communities and the rule of law, 1977; l. Antoniolli, Interpretazione e rule of law nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Riv. crit. dir. priv., 1997. II, 355-366. 46Per un’analisi dell’esercizio del potere di autotutela in ambito comunitario vedi A. Damato, Revoca di decisione illegittima e legittimo affidamento nel diritto comunitario, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2/1999, 299; J.Schwarze, European Administrative Law, cit, 979 ss; A. Ardito, Autotutela, affidamento e concorrenza nella giurisprudenza comunitaria, in Dir. amm., 2008, III, 631-690; P. Ferrari, Annullamento in autotutela di provvedimenti contrastanti con il diritto comunitario (con commento a Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 2 ottobre 2007, n. 2049), in Giur. it., 2008, IV, 1286-1292. 47 Il principio di affidamento dell’operatore è desumibile inoltre dall’art. 5, n. 2, del regolamento CEE n. 1697/7 del Consiglio, del 24 luglio 1979, e dall’art. 220, par. 2, lettera b), del regolamento CEE n. 2913/9 del Consiglio, del 12 ottobre 1993, che preclude all’Amministrazione il recupero dei diritti doganali non riscossi, purché il debitore abbia agito in buona fede ed osservato le disposizioni previste dalla regolamentazione vigente per la sua dichiarazione alla dogana. 48 CGCE, sent. 3 maggio 1978, Töpfer, C-112/77. 49 CGCE, sent. 12 luglio 1957, Algera ed altri c. Assemblea Comune, cause congiunte 7/56 e 3-7/57, in Racc., 1957, 81. 50 CGCE, sent. 13 luglio 1965, Lemmerz-Werke c. Alta Autorità, causa 111/63, in Racc. 1965, 972; sent. 3 marzo 1982, Alpha Steel c. Commissione, causa 14/81, in Racc. 1982, 749; sent. 26 febbraio 1987, Consorzio Cooperative. D’Abruzzo c. Commissione, causa 15/85, in Racc. 1987, 1005, punti 12-17; sent. 20 giugno 1991, Cargill c. Commissione, causa C-248/89, in Racc. 1991, I-2987, punto 20; sent. 17 aprile 1997, De Compte c. Parlamento, in causa C-90/95, in Racc. 1997, I-1999, punto 35; Trib. I grado, sent. 21 luglio 1998, Mellet c. CGCE, cause riunite T-66/96 e T-121/97, in Racc.1998, II-1305, punti 120-121. 51 In CGCE, sent. 30 novembre 1983, Ferriere San Carlo, causa 352/82 abbiamo invece un esempio in cui il principio della tutela dell’affidamento è stato applicato quale eccezione del principio della certezza del diritto: tale è, ad es., il caso dell’efficacia nel tempo degli atti, che non può essere retroattiva in ossequio al principio della certezza, ma che può essere oggetto di una deroga quando “lo esiga lo scopo da conseguire e purché sia fatto salvo il legittimo affidamento degli interessati”; per una recente analisi vedi M. Gigante, Mutamenti nella regolazione dei rapporti giuridici e legittimo affidamento. Tra diritto comunitario e diritto interno, 2008, che propone una riflessione sul principio di tutela del legittimo affidamento, come delineato nel diritto comunitario e recepito nell''ordinamento interno, analizzando, a tal scopo, la giurisprudenza comunitaria, articolandola in due diversi raggruppamenti, a seconda che l'affidamento si riconnetta ad un atto legittimo o ad un atto illegittimo. Manca una disciplina specifica che operi la distinzione tra figure di provvedimenti eliminatori di provvedimenti e atti comunitari anche se M..Airoldi, Lineamenti di diritto amministrativo comunitario, 1990 cit., osserva che nel corso della sua evoluzione la giurisprudenza ha dato spesso l’impressione appoggiarsi alla distinzione, operata dell’ordinamento francese, tra retrait, cioè la rimozione ex tunc di atti illegittimi, e abrogation, ossia l’eliminazione ex nunc dell’atto anche legittimo, fatti salvi i vested rights, i cd. diritti quesiti. 52 Per CGCE, sent. 26 febbraio 1987, Consorzio Cooperative d’Abruzzo/Commissione, C-15/85, “la revoca di un atto illegittimo è consentita solo entro un termine ragionevole e se l’istituzione da cui emana ha adeguatamente tenuto conto della misura in cui il destinatario dell’atto ha potuto eventualmente fare affidamento sulla legittimità dello stesso. Se queste condizioni non sono soddisfatte, la revoca lede i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento e deve essere annullata”; vedi anche CGCE 3 marzo 1982, Alpha Steel/Commissione, C-14/81 e Tribunale di I grado, 26 gennaio 1995, De Compte/Parlement T-90/91 e T-62/92 ). 53 Cfr. per la dottrina italiana V. Cerulli Irelli, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa, Un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante “modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, in Astrid Rassegna, IV, 2005, 25: “forti limitazioni sussistono alla rimozione (da intendersi comprensiva anche della revoca ex nunc) di precedenti provvedimenti che hanno costituito in capo a terzi situazioni di vantaggio (vested rights)”; G. Ubertazzi, La tutela dei diritti quesiti e del legittimo affidamento nel diritto comunitario, in Dir. com. sc. int., 1978, 425 ss. 54 Cfr. Reg. CE n. 17/62, art., 8, par. 3, in materia di intese restrittive della concorrenza. 55 CGCE, sent. 22 marzo 1961, in cause 42 e 39/59. 56 C. Contaldi La Grotteria, Diritti soggettivi ed interessi legittimi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia CE: spunti di riflessione alla luce della sentenza Cass. SS. UU., n. 500/99, in Riv. amm., 1999, I, 725 ss. 57 CGCE, sent. 18 luglio 2007 C-119/05; sempre CGCE, sez. I, 19.9.2006 cause C-392/04 e C-422/04, ha individuato nel riesame e nell’autotutela, poteri idonei e necessari da esercitare (art. 10 trattato CE) per le ipotesi in cui vi sia un contrasto tra atto amministrativo e diritto comunitario; vedi in proposito, per le conseguenza problematiche che ne derivano, G. Gruner, L’annullamento d’ufficio in bilico tra i principi di preminenza ed effettività del diritto comunitario, da un lato, ed i principi della certezza del diritto e l’autonomia procedurale degli Stati membri, dall’altro, in Dir. proc. amm., 2007, I, 240 ss.; C. Consolo, La sentenza “Lucchini” della Corte di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e in specie nel nostro?, in Riv. dir. proc., 2007, I, 225 ss., ipotizza, dopo la relativizzazione dell’art. 2909 c.c., ritenuto in contrasto con l’ordinamento comunitario, l’esigenza di una “revocazione straordinaria”. Nello stesso senso è Tar Palermo, II sez., 28 settembre 2007 n. 2049,che parla di autoannullamento doveroso per l’atto che si ponga in contrasto con la norma comunitaria o decisione di carattere vincolante della C.E.; M. Sinisi, La “doverosità” dell’esercizio del potere di autotutela in presenza di un atto amministrativo contrastante con i regolamenti comunitari, in Foro amm., – Tar, 2007, X, 3265 ss. che pone il problema del contemperamento tra affidamento ed autotutela. 58 In particolare, secondo i giudici della Corte di Giustizia, nella categoria vi rientrerebbe non soltanto il finanziamento diretto di determinati operatori ma anche l’intervento indiretto sotto forma di sgravi fiscali o altre simili agevolazioni che abbiano comunque l’effetto di alleviare gli oneri che di norma graverebbero sul bilancio delle imprese. Tra questi, indiscutibilmente, gli oneri tributari obbligatori. A tal proposito si può notare come di recente la Corte di Giustizia, con la sentenza 15 dicembre 2005 (causa C-148/04) ha bloccato in maniera perentoria le agevolazioni fiscali concesse in occasione della privatizzazione degli istituti bancari di diritto pubblico, per effetto della L. 30 luglio 1990, n. 218 (c.d. legge Amato), cammino culminato nella legge delega 23 dicembre 1998, n. 461 che con la creazione delle fondazioni bancarie private. In tal caso, infatti, non vi sarebbe, a parere della Corte di Giustizia, spazio per un legittimo affidamento da parte dei beneficiari in ordine al mantenimento dei benefici conseguiti. Sarebbe ostativo a riguardo il fatto che non è stato rispettato l’iter procedurale ex articolo 88 del Trattato, poiché vi sarebbe in ogni caso un onere minimo di diligenza in capo ai destinatari delle agevolazioni, in quanto: “un operatore economico diligente deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata”. In CGCE., VI sez., sent. 7 marzo 2002, causa C-310/99, Repubblica italiana/Commissione, “La possibilità, per il beneficiario di un aiuto illegittimamente affidamento circa la regolarità dell'aiuto e di opporsi, quindi, alla sua ripetizione non può certamente escludersi. In un caso siffatto spetta al giudice nazionale, eventualmente adito, valutare le circostanze del caso di specie, dopo aver proposto alla Corte, se necessario, questioni pregiudiziali di interpretazione (v. sentenza Commissione/Germania, già citata, punto 16)”. A tali principi, stabiliti dalla Corte di giustizia, si è uniformata anche la Corte di Cassazione (Sez. I, sent. 25 marzo 2003, n. 4353) che, proprio in tema d'aiuti di Stato, ha affermato che "E' principio giurisprudenziale stabilmente affermato dalla Corte del Lussemburgo che il legittimo affidamento è in realtà affidamento nella regolarità delle procedure che a loro volta sono destinate ad accertare la compatibilità della concreta concessione dell'aiuto comunitario con le norme comunitarie che lo prevedono e che ne regolano il regime. Ciò anzitutto in quanto l'obbligo di sopprimere un aiuto incompatibile con il trattato è assoluto”. Vedi Tar Sardegna, sent., 11 gennaio 2000, n. 424, ove viene stabilito l’obbligo di restituzione dell’aiuto, ma limitato alla somma capitale, esclusa la corresponsione ex tunc degli interessi legali. 59 G. Guarino, Costituzione italiana e integrazione europea: aiuti di stato, “distrazione” amministrativa e costi impropri per le imprese, consultabile sul sito www.giurCost.org; vedi anche la recente CGCE, I sez., sent. 4 ottobre 2007 (C-217/06) che ha condannato l'Italia per violazione della direttiva 71/305/Cee in materia di appalti pubblici. Tale sentenza ha stabilito che le convenzioni affidate direttamente senza gara sono in contrasto con le normative comunitarie in materia di appalti di lavori e non possono essere mantenute in vita sul presupposto di un affidamento in capo all’impresa affidataria. Nei confronti della difesa di parte italiana, per la quale ormai era sorto un «legittimo affidamento» in capo all’impresa, i giudici precisano che “un legittimo affidamento non può basarsi sul fatto di poter beneficiare di un trattamento in contrasto con il diritto comunitario, perché l`irregolarita` rispetto al diritto comunitario impedisce che possa sorgere un legittimo affidamento”. 60 Sono previsti poteri di revoca di atti soprattutto dalla normativa in materia di concorrenza, che attribuisce alla Commissione la possibilità di revocare esenzioni dal divieto di pratiche restrittive da essa stessa in precedenza accordate. In particolare, si richiamano del Tratt. CECA l’art. 65, par. 2, e del Reg. CE 17/62, l’art. 8, par. 3, adottato in base al Tratt. CE art. 81 (ex 85), par. 3. Norme espresse in materia sono contenute, inoltre, nello Statuto del Personale comunitario (cfr. gli artt. 50, 51, 86). Degna di nota è anche la previsione di cui all’articolo 4, n. 3 del reg. (CE, Euratom) n. 2988/95, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità, il quale dispone che “gli atti per i quali si stabilisce che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile nella fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano, a seconda dei casi, il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio stesso”. 61 Tale potere di revoca nel diritto comunitario ha caratteri particolari: per il diritto comunitario vedi J. Schwarze, European Administrative Law, cit., 979 ss.; A. Damato, Revoca di decisione illegittima e legittimo affidamento nel diritto comunitario, cit., 299. 62 Il legittimo affidamento non potrà mai essere invocato nel caso in cui l’operatore economico si rendesse autore di una violazione manifesta della normativa comunitaria, come si può leggere in Tribunale di I grado, sent. del 26/9/2002, causa T-199/99, Sgaravatti Mediterranea Srl,/Commissione, dove la Comunità si era vista costretta a sopprimere un contributo, inizialmente accordato ad un’azienda per sviluppare un progetto pilota d’ingegneria naturalistica, per accertata frode comunitaria. 63 In CGCE, sent. 20 marzo 1997, C-24/95, Alcan Deutschland, si statuisce che “tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. 93 del Trattato, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato articolo”. Nell’impostazione della giurisprudenza comunitaria, quindi, la consapevolezza della illegittimità è idonea ad impedire la nascita di un legittimo affidamento e può essere presunta in ragione della qualità professionale del soggetto che deve operare in modo diligente. Vedi CGCE, sent. 19 settebre 2002, n. 336, Republik Osterreich/Martin Huber, in Foro amm., Cds, 1003, 1933 ss, ove si spiega come il principio della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto sarebbero applicabili al fine di poter escludere la restituzione di aiuti di stato cofinanziati dalla Comunità ed indebitamente erogati, a condizione di tenere conto non solo dell’interesse della stessa Comunità, ma considerando che “l’applicazione della tutela del legittimo affidamento presuppone che venga accertata la buona fede del beneficiario”. 64 Tribunale I grado, sent. 26 gennaio 1995, T-90/91 e T-62/92, De Compte/Parlamento; la pronuncia citata è stata però poi capovolta da CGCE, sent. 17 aprile 1997, causa C-90/95 P, De Compte, con nota di A. Damato, in Il Diritto dell’Unione Europea, n. 2/99, 299 e ss., che ha statuito che “la revoca di un atto amministrativo favorevole è generalmente soggetta a condizioni molto rigorose. Quindi, pur se è innegabile che ogni istituzione comunitaria che accerta che un atto da essa appena emanato è viziato da illegittimità ha il diritto di revocarlo entro un termine ragionevole con effetto retroattivo, tale diritto può essere limitato dalla necessità di rispettare il legittimo affidamento del destinatario dell'atto che può aver fatto affidamento nella legittimità dello stesso. A questo proposito, il momento determinante per stabilire quando nasce il legittimo affidamento del destinatario di un atto amministrativo è la notifica dell'atto e non la data dell'adozione o della revoca dello stesso. Una volta acquisito, il legittimo affidamento nella legittimità di un atto amministrativo favorevole non può poi venir scalzato”. 65 In CGCE, sez. VI, sent. 7 marzo 2002, causa C-310/99, Repubblica italiana/Commissione si legge: “Per quanto riguarda il principio del rispetto del legittimo affidamento, si deve ricordare che, con comunicazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, la Commissione (GU 1983 C 318, pag. 3) ha informato i potenziali beneficiari di aiuti statali della precarietà degli aiuti che siano stati loro illegittimamente concessi, nel senso che essi potrebbero essere tenuti a restituirli (v. sentenza 20 settembre 1990, causa C-5/89, Commissione/Germania, Racc. pag. I-3437, punto 15)”. 66 E. Sharpstone, Legittimate expectations and Economic Reality, 15, in European Law Rev., 1990, 103, parla di tale interesse pubblico alla rimozione dell’atto come una sorta di “rischio normativo” di cui l’operatore diligente deve tenere debitamente conto nell’esercizio della sua attività economica. 67 Vedi in proposito CGCE, sent. 15 dicembre 2005 (causa C-148/04), secondo la quale“un operatore economico diligente deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata”. Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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Integrazioni salariali e possibilità di svolgere contemporaneamente altre attività lavorative (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Integrazioni salariali e possibilità di svolgere contemporaneamente altre attività lavorative Articolo di Marco Greco 20.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Le integrazioni salariali (cigo, cigs, cigs in deroga) e la possibilità di svolgere, contemporaneamente, altre attività lavorative – l’importanza della “comunicazione preventiva” di Marco Greco (Funzionario Direzione Generale INPS: le opinioni espresse sono personali e non riconducibili all’amministrazione di appartenenza) Il lavoratore “cassintegrato” non è un lavoratore “licenziato”: il rapporto di lavoro con l’azienda resta “sospeso”, per brevi (CIGO) o lunghi periodi (CIGS), in attesa di una ripresa dell’attività produttiva della ditta stessa o del licenziamento. Restano sospese le relative obbligazioni principali tra datore di lavoro e lavoratore: il primo non paga la retribuzione, sostituita appunto dalle integrazioni salariali, il secondo non deve prestare la sua attività lavorativa, salvo però essere comunque “a disposizione” per un’eventuale ripresa produttiva. Tale “disponibilità” del lavoratore nei confronti dell’azienda che lo pone in cassa integrazione è “in re ipsa” 1, è cioè, come detto, legata all’effettivo permanere del rapporto di lavoro; mentre, ulteriore e diverso tipo di “disponibilità”, è quella prevista dall’art. 19, comma 10, L. 28.1.2009, n. 2 ossia la dichiarazione di immediata disponibilità (DID) al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale cui è subordinato il diritto a percepire qualsiasi trattamento di sostegno al reddito ai sensi della legislazione vigente in materia di ammortizzatori sociali. Senza addentrarci su tutto quanto concerne le nuove politiche “attive” del lavoro, ciò che adesso si vuole analizzare e capire è come possa incidere un “nuovo” rapporto di lavoro con lo status di cassintegrato e i relativi aspetti economici. In generale, fulcro del sistema sono i commi 4 e 5 dell’art. 8 della L. 20.5.1988, n. 160: « 4. Il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate. 5. Il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede provinciale dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dello svolgimento della predetta attività.» La concreta applicazione di tali norme ha dato luogo a notevoli incertezze su cui spesso si è pronunciata la giurisprudenza. Anche l’INPS è intervenuto sull’argomento con le circolari n° 171 del 4.8.1988, n° 179 del 12.12.2002 e n° 75 del 12.4.2007 e n° 75 del 26.5.2009. La prima situazione da chiarire è quella di chi, durante il periodo di cassa integrazione, riesce ad occuparsi presso un altro datore di lavoro con contratto a tempo pieno ed indeterminato. In tal caso vuol dire che è avvenuta la sua ricollocazione definitiva nel mondo del lavoro e pertanto lo stesso non sarà più da considerarsi come sospeso dal lavoro e in cassa integrazione bensì come definitivamente rioccupato e non avente più diritto agli ammortizzatori sociali. Il contingente bisogno del lavoratore è infatti solo uno degli obiettivi della cassa integrazione, dovendosi questa considerare – in dipendenza delle sue "finalità primarie" - un vero e proprio strumento di politica economica tendente a recuperare la capacità produttiva e gestionale dell'impresa, a regolamentare la mobilità interaziendale dei lavoratori e a riqualificare questi ultimi. In quest’ottica, il divieto di cumulo tra integrazioni salariali e reddito, mira ad impedire il conseguimento di una doppia remunerazione ed un ingiustificato arricchimento a carico della collettività, siccome si verifica nell'ipotesi - che ricorre nella specie - di lavoratore che intrattenga una pluralità di rapporti di lavoro a tempo pieno e indeterminato. E infatti, come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n° 195 del 26.5.1995, «l’art. 8 co. 5 L. 160/88 non accomuna (…) due ipotesi diverse, quella del lavoratore collocato in Cassa integrazione guadagni, il quale trova un nuovo impiego a durata indeterminata e a tempo pieno e quella del lavoratore che trova soltanto offerte di lavori temporanei o saltuari. L'art. 8, co. 5, L. 160/88 si riferisce alla seconda ipotesi, la sola compatibile con la continuazione dello stato di sospensione dell'originario rapporto di lavoro, che è il presupposto del trattamento di integrazione salariale. Nella prima ipotesi il nuovo impiego a tempo pieno e senza prefissione di termine, alle dipendenze di un diverso datore di lavoro, comporta la risoluzione del rapporto precedente e, quindi, non già la sanzione della decadenza comminata dal comma 5, bensì la perdita del diritto al trattamento di integrazione salariale per cessazione del rapporto di lavoro che ne costituiva il fondamento. Al nuovo datore di lavoro incombe l'obbligo di comunicare l'assunzione del lavoratore all'INPS. » Unica parziale deroga a tale principio è quella recentemente introdotta dall’art. 2 della L. n° 166 del 27.10.2008 che al comma 5-quater così dispone: «nell'ambito temporale del quadriennio della cassa integrazione guadagni straordinaria concessa ai sensi dell'articolo 1-bis del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291, i lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria assunti a tempo indeterminato, licenziati per giustificato motivo oggettivo o a seguito delle procedure di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, hanno diritto a rientrare nel programma di cassa integrazione guadagni straordinaria e ad usufruire della relativa indennità per il periodo residuo del quadriennio.» La suddetta norma cioè consente al personale dei vettori aerei e società da questi derivate di poter rientrare nel loro più favorevole regime di tutele qualora perdano, “per giustificato motivo oggettivo o a seguito delle procedure di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223”, il nuovo lavoro. Anche in questo caso, il rapporto di lavoro da cui origina l’integrazione salariale non rimane in vita, ma è tuttavia destinato, nelle sole ipotesi previste dalla normativa, a “rinascere”, sia pure ai soli fini di consentire la fruizione dell’integrazione salariale nel residuo periodo inizialmente previsto. Pertanto, durante l’espletamento della nuova attività lavorativa non potrà darsi luogo a cumulabilità, neppure parziale, dell’integrazione salariale col nuovo reddito da lavoro. A ciò infatti conducono due ordini di motivi: da una parte l’osservazione che la reviviscenza del vecchio rapporto di lavoro avvenga solo in alcuni casi di cessazione dal nuovo contratto (licenziamento per giustificato motivo e procedure di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223); dall’altra il dato letterale riguardante l’effetto, che è quello di “rientrare nel programma di cassa integrazione guadagni straordinaria ed usufruire della relativa indennità” e non già quello di rientrare nel rapporto di lavoro precedente. Ma veniamo adesso agli altri casi di rioccupazione (non con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato) durante i periodi di cassa integrazione. Il combinato disposto dell’art. 3 del Decreto Legislativo Luogotenenziale 9 novembre 1945, n. 788 e dell’art. 8, 4° comma del D.L. 21 marzo 1988, n. 86 convertito nella legge 20 maggio 1988, n. 160, non sancisce l’assoluta incompatibilità delle prestazioni integrative del salario con il reddito ritraibile dallo svolgimento di una attività lavorativa sia essa autonoma oppure subordinata, sebbene vi sia un’incumulabilità tra i suddetti benefici e redditi, in misura variabile a seconda delle modalità e dell’ammontare degli stessi2. E’ stato cioè sancito il criterio dell’incumulabilità relativa delle integrazioni salariali con altri redditi derivanti da lavoro. Ciò vuol dire che, se un lavoratore in cassa interazione percepisce altri redditi da lavoro (ad es. 500 €) e questi sono inferiori a quanto spettantegli di integrazioni salariali (ad es. 900 €), avrà diritto a percepire la differenza tra queste ultime e quanto guadagnato (cioè 900-500 = 400 €). Analizziamo vari casi. Lavoro subordinato a tempo determinato: nell’ipotesi in cui il trattamento di integrazione salariale sia ragguagliato alla retribuzione perduta derivante da un rapporto di lavoro a tempo pieno ed il beneficiario svolga attività di lavoro dipendente, sia a tempo pieno sia a tempo parziale, l’incumulabilità è normalmente totale (e, quindi, si risolve di fatto in un’incompatibilità), perché deve presumersi che la retribuzione sia equivalente alla corrispondente misura dell’integrazione salariale rapportata alla durata della attività lavorativa. E’ tuttavia ammessa la prova di una retribuzione inferiore, sicché in tal caso può risultare dovuta una quota differenziale di integrazione salariale (circ. INPS n° 179 del 12.12.2002, punto 1). Due lavori part-time di cui uno sospeso per CIG/S: l’integrazione salariale, spettante in dipendenza della sospensione di un rapporto di lavoro part-time non è esclusa dalla percezione, nella medesima giornata, della retribuzione per altri rapporti di lavoro parimenti part-time, ove lo svolgersi di questi, per la collocazione temporale in altre ore della giornata, non dipenda dalla sospensione, con messa in cassa integrazione, dell’altro rapporto; tale interpretazione delle norme suindicate (ossia l’art. 3, co. 2, D.Lgs. Lgt. n. 788 del 1945 ed art. 8, co. 4, L. 160/88), che è coerente con la ratio legis, evita disparità di trattamento fra l’ipotesi di part-time c.d. orizzontale (con riduzione dell’orario ordinario giornaliero) e l’ipotesi del part-time c.d. verticale (con prestazione del lavoro per intere giornate in periodi predeterminati), atteso che in base ad una diversa interpretazione delle stesse norme l’integrazione salariale sarebbe esclusa solo nella prima di dette ipotesi3. Redditi da lavoro autonomo o simili: dalla “ratio” dell'art. 8, commi quarto e quinto, del d.l. n. 86 del 1988, convertito nella legge n. 160 del 1988, si desume l'incompatibilità del trattamento di integrazione guadagni con qualunque attività di lavoro autonomo (oltre che subordinato), ancorchè non rientrante nello schema “contrattuale” di cui agli artt. 2222 e ss. e 2230 e ss. c.civ. e ancorchè tale attività di lavoro autonomo non comporti una contestuale tutela previdenziale di natura obbligatoria4. Ciò significa che, a titolo esemplificativo, sottostanno alle regole del cumulo e dell’obbligo di comunicazione ex art. 8, commi 4 e 5, L. 160/88, anche i soci accomandanti di una società in accomandita semplice5 qualora prestino attività lavorativa per la società stessa, o chi ha un "rapporto di servizio onorario" con la Pubblica Amministrazione, il cui compenso è costituito da una indennità che non ha natura retributiva non essendo inserita in un rapporto di sinallagmaticità con le funzioni esercitate6. Si precisa inoltre che, nei casi di redditi il cui ammontare non sia agevolmente quantificabile o collocabile temporalmente, l’INPS deve comunque sospendere l’erogazione delle integrazioni salariali al momento della comunicazione preventiva. Spetterà al lavoratore interessato dimostrare e documentare l’effettivo ammontare dei guadagni e la loro collocazione temporale ai fini di consentire all’INPS l’erogazione dell’eventuale quota differenziale di CIG/S in base al suindicato criterio dell’incumulabilità relativa. In tale contesto normativo si è inserito l’art. 7-ter, comma 12, lettera b) che, nel modificare l’art. 70 del D.Lgs. 10.9.2003, n. 276 sul lavoro accessorio, aggiunge il comma 1-bis: «in via sperimentale per il 2009, prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi e nel limite massimo di 3.000 euro per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o con sostegno al reddito compatibilmente con quanto stabilito dall'articolo 19, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. L'INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio». La suddetta norma – con efficacia limitata al solo anno 2009 – ha una duplice portata: da una parte amplia l’ambito soggettivo di applicabilità del “lavoro accessorio”, che potrà quindi essere reso, in qualsiasi settore produttivo, da percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito; dall’altra consente di cumulare le prestazioni integrative del salario e le altre prestazioni di sostegno del reddito con i redditi derivanti da lavori accessori entro il limite di 3.000 euro per anno solare, Quindi la norma consente ai lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa ovvero di prestazioni di sostegno del reddito di effettuare lavoro accessorio, con il limite massimo di 3.000 euro per anno solare. Si è creata pertanto un’ipotesi, per il momento limitata in via sperimentale all’anno 2009, di integrale cumulabilità del reddito con le integrazioni salariali. Il limite dei 3.000 euro è riferito al singolo lavoratore, pertanto va computato in relazione alle remunerazioni da lavoro accessorio che lo stesso percepisce nel corso dell’anno solare, sebbene legate a prestazioni effettuate nei confronti di diversi datori di lavoro accessorio. Ovviamente la norma non esclude la possibilità dei lavoratori in questione di svolgere, a titolo di lavoro accessorio, ulteriori attività, qualora ricorra una delle fattispecie previste nel primo comma dell’articolo 70 del D.Lgs. 276/2003. Le remunerazioni che superino il limite dei 3.000 euro non danno luogo, tuttavia, a cumulabilità totale, bensì all’applicazione della disciplina ordinaria sulla compatibilità ed eventuale cumulabilità parziale di tali remunerazioni con le integrazioni salariali e le altre prestazioni di tutela del reddito.7 Destinatari della disposizione sono i percettori di prestazioni di integrazione salariale o sostegno al reddito. In tale seconda accezione, quindi, si fanno rientrare le indennità direttamente connesse con uno stato di disoccupazione, quali le prestazioni di disoccupazione ordinaria, di mobilità, nonché i trattamenti speciali di disoccupazione edili. Non rientrano invece le prestazioni pagate “a consuntivo” sulla base del numero di giornate lavorate nel corso dell’anno precedente (quali le indennità di disoccupazione in agricoltura e quella non agricola con requisiti ridotti), per le quali il problema di compatibilità e cumulabilità con remunerazione da attività di lavoro subordinato o autonomo non si pone. Per quanto concerne la cumulabilità, il lavoratore che percepisce emolumenti da lavoro accessorio nel limite dei 3.000 euro annui, potrà continuare a percepire l’integrazione salariale o l’altra prestazione a sostegno del reddito, per l’intero spettante, senza che questa venga sospesa o ridotta. Nel caso della mobilità, in particolare non si applicherà l’istituto della sospensione dell’indennità di cui all’articolo 8, comma 7, della legge n. 223/1991. Conseguentemente, per il solo caso di emolumenti da lavoro accessorio che rientrano nel limite dei 3.000 euro annui l’interessato non sarà obbligato a dare alcuna comunicazione all’Istituto. Laddove fosse superato il limite dei 3.000 euro ad anno solare, il lavoratore ha l’obbligo di presentare preventiva comunicazione all’istituto. Nel caso di più contratti di lavoro accessorio stipulati nel corso dell’anno 2009 e retribuiti singolarmente per meno di 3.000 euro per anno solare, la comunicazione andrà fatta, eventualmente, prima che il compenso determini eccedenza e superamento del predetto limite dei 3.000 euro se sommato ad altri redditi per lavoro accessorio.8 Per giovarsi delle predette regole del cumulo - salvo il caso da ultimo descritto di emolumenti da lavoro accessorio che rientrano nel limite dei 3.000 euro annui - e soprattutto per evitare la grave sanzione della decadenza dalle integrazioni salariali prevista dall’art. 8, co. 5, L. 160/88, il lavoratore cassintegrato deve comunicare all’INPS il “nuovo” lavoro prima ancora di iniziare l’attività lavorativa (“comunicazione preventiva”). Il soggetto tenuto a dare all’Inps la preventiva comunicazione dello svolgimento di attività lavorativa è direttamente il lavoratore medesimo, talché deve escludersi l’equipollenza di analoga comunicazione rivolta all’Inps dal datore di lavoro con finalità diverse da quelle sottostanti all’obbligo di comunicazione imposto al lavoratore o della notizia comunque e genericamente pervenuta all’istituto di previdenza al di fuori di detta comunicazione, la quale deve essere resa anche nell’ipotesi in cui l’occupazione sia compatibile con il trattamento di integrazione salariale9. Inoltre, il diritto al trattamento di integrazione salariale scaturisce dal provvedimento amministrativo di ammissione del datore di lavoro al beneficio, ma retroagisce fino al momento indicato nella relativa domanda; pertanto il lavoratore ha l’obbligo di comunicare all’Inps la prestazione di lavoro resa durante il periodo di sospensione anche se non è ancora intervenuto il provvedimento formale di concessione della cig; qualora ciò non sia adempiuto, è legittimo il rifiuto dell’Inps di corrispondere il trattamento di integrazione per l’intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 8, 5º comma, l. 160/1988. Infatti, l’interpretazione logico-letterale dell’art. 8, co. 5, L. 160/88, induce a ritenere che, ai fini della tempestività della prescritta comunicazione all’Inps da parte dei lavoratori ammessi al trattamento di integrazione salariale dello svolgimento di attività lavorativa, non è sufficiente che essa sia comunque effettuata prima della effettiva erogazione del trattamento dovendo, invece, l’obbligo comunicativo considerarsi attuale - e ancor più vincolante concorrendo all’emanazione di un provvedimento concessorio il più possibile rispondente all’effettivo bisogno di intervento del sistema previdenziale - anche prima dell’emanazione del provvedimento stesso; il concetto di prevenzione della notizia cui il legislatore ha fatto espresso riferimento deve essere rapportato non al momento di godimento del beneficio, ma a quello di sospensione del lavoro quale presupposto dell’integrazione salariale10. Il divieto di cumulo e l’obbligo di comunicazione si riferiscono, ovviamente, anche alle attività iniziate prima del collocamento del lavoratore in cassa integrazione11. Ma quali sono le prestazioni che si perdono quando non si è effettuata la “comunicazione preventiva” e si incorre nella decadenza di cui all’art. 8, co. 5, L. 160/88? Al riguardo la Corte Costituzionale, con l'ordinanza n. 190 del 1996, ha affermato che la norma in esame "si propone di garantire che le risorse disponibili per gli interventi di integrazione salariale siano effettivamente destinate ai disoccupati" e che "la natura della sanzione e del fatto sanzionato escludono la possibilità di graduazione secondo un criterio di proporzione", onde la suddetta decadenza non si limita alle giornate di lavoro effettuate o all'importo equivalente al reddito da lavoro percepito dal lavoratore posto in integrazione salariale. L'orientamento del Giudice delle leggi è stato recepito dalla Corte di Cassazione che con la sentenza n. 11679 del 1.6.2005, ha affermato che l'eventuale decadenza limitata al periodo concomitante all'attività lavorativa svolta condurrebbe alla "sostanziale e irragionevole equiparazione del lavoratore osservante l'obbligo di comunicazione (di cui all'art. 8, co. 5, L. 160/88) al lavoratore inadempiente". Tali principi sono stati ripresi e ulteriormente sviluppati dalla sent. Cass. n. 4004/07 la quale ha affrontato il caso di un lavoratore che aveva percepito la CIGS per più periodi consecutivi di concessione derivanti da altrettanti decreti. Per la Suprema Corte il lavoratore che non ha adempiuto l’obbligo di comunicazione di cui all’art. 8, co. 5, L. 160/88, decade dall’intero periodo di CIGS, anche se derivante da più di un provvedimento di concessione. Tale soluzione è basata sul principio di unicità del trattamento straordinario, che costituisce una prestazione assistenziale unitaria discendente da un unico decreto di concessione, la cui efficacia temporale quantunque prorogata perdura ininterrotta per l’intero periodo in cui si estende il beneficio12 (INPS. circ. 75 del 12.4.07). _____________ 1 Cass., sez. lav., 29-07-1992, n. 9076: Non costituisce né giusta causa né giustificato motivo di licenziamento il fatto che il lavoratore, sospeso perché posto in cassa integrazione, presti attività lavorativa presso terzi, atteso che di norma - anche nell’ipotesi di falsa dichiarazione di non svolgere alcuna attività remunerata - tale comportamento incide soltanto sul rapporto previdenziale tra l’Inps ed il lavoratore stesso determinando la riduzione, in proporzione, dell’integrazione salariale, a meno che non risulti in concreto la vulnerazione del vincolo fiduciario e la violazione dell’obbligo di correttezza, che permane a carico del lavoratore anche in periodo di sospensione del rapporto di lavoro. 2 Ex multis: Cass., sez. lav., 14.4.1993, n. 4419. 3 Cass., sez. lav., 13-10-1992, n. 11150; circ. INPS n. 179 del 12.12.2002 punto 2. 4 Cass. 26 febbraio 2001, n. 2788; 28 maggio 2003, n. 8490; 14 agosto 2004, n. 15890. 5 Cass., sez. lav., 01-06-2005, n. 11679. 6 Cass., sez. lav., 26-02-2001, n. 2788. 7 Per le integrazioni salariali si vedano le circolari INPS n. 171 del 4.8.1988, n. 179 del 12.12.2002 e n. 75 del 12.4.07; per la disoccupazione ordinaria la circ. n. 3-275 Prs del 03.10.1957, punto XI; per la mobilità la circ. n. 16 del 23 gennaio 1997. 8 Circ. INPS n. 75 del 26.5.2009. 9 Cass., sez. lav., 14-03-2001, n. 3690. 10 Cass., sez. lav., 04-05-2001, n. 6296. 11 Cass., sez. lav., 14-06-1995, n. 6712. 12 Cfr. in tali termini tra le numerose: Cass., Sez. Un., 5 maggio 1999 n.30, Cass. 10 marzo 2004 n.4922; Cass. 27 ottobre 2003 n.16117, per la riaffermazione del principio che le richieste di proroga sono dirette alla conferma del trattamento di integrazione salariale ed intervengono nell’ambito di un rapporto già costituito. Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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Riduzione dei riti e riforma del processo tributario (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Riduzione dei riti e riforma del processo tributario Articolo di Maurizio Villani 20.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi Riforma del processo civile Riduzione dei riti e riforma del processo tributario di Maurizio Villani Il Parlamento il 26 maggio 2009 ha definitivamente approvato la riforma del processo civile nonché la delega al Governo per la riduzione e la semplificazione dei procedimenti civili (Legge n. 69 del 18 giugno 2009, pubblicata in G.U. n. 140 S.O. n. 95/L del 19 giugno 2009, che entra in vigore il 04 luglio 2009). Attualmente, infatti, esistono ben 30 riti civili (tra cui il processo tributario) diversi tra loro per composizione giudicante e per procedura; era necessaria, quindi, una riforma generale di riduzione, riordino e semplificazione degli stessi per dare certezze a tutti gli operatori del diritto e per evitare ingiuste disparità di trattamento, in ossequio al principio del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione. Ogni processo, infatti, deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo ed imparziale; la legge, inoltre, ne deve assicurare la ragionevole durata, senza però pregiudicare il diritto di difesa, costituzionalmente garantito. L’art. 54 della nuova legge definitivamente approvata stabilisce che: il Governo è delegato ad adottare, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della suddetta legge, uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, come appunto quella tributaria (D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992 e successive modifiche ed integrazioni); la riforma deve, in ogni caso, realizzare il necessario ed equilibrato coordinamento con le altre disposizioni vigenti. In sostanza, la legge delega restituisce centralità ed importanza al codice di procedura civile e mira ad agevolare l’attività degli operatori del diritto, ponendo fine a numerose incertezze interpretative che sono state spesso causa di lungaggini processuali (un esempio è stato l’incertezza sulla competenza del giudice in tema di TIA, come da ordinanza n. 3274 del 15 febbraio 2006 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, oggi finalmente risolta a favore del giudice tributario con le ultime sentenze nn. 5297, 5298, 5299 del 05 marzo 2009 della Corte di Cassazione). La Corte di Cassazione (ultimamente, con la sentenza n. 28536 del 02 dicembre 2008) ha affermato che il difetto di giurisdizione non è più suscettibile di essere rilevato, né su eccezione di parte né d’ufficio, dopo una pronuncia sul merito o in rito la quale comporti una decisione implicitamente affermativa della giurisdizione, restando quindi confinata in questi casi la possibilità di far valere il difetto di giurisdizione solo nell’ambito del giudizio di primo grado, salva soltanto la facoltà per le parti di portare in appello ed in Cassazione la relativa questione attraverso il tempestivo e rituale esercizio di questi mezzi di impugnazione. In ogni caso, nelle controversie tra giudici di diverso ordine risulta applicabile la c.d. translatio iudicii, come statuito dall’innovativo orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sentenza n. 4109 del 22 febbraio 2007) e, successivamente, della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 77 del 2007), che si sono entrambe espresse a favore dell’operatività di detto principio anche tra giudici di diverso ordine (vedi anche Consiglio di Stato, decisione n. 3801 del 28 giugno 2007). Oltretutto, la eliminazione dei molteplici riti speciali produce economie nella programmazione e conduzione delle procedure, anche per fissare il calendario dei processi, in modo da rispettare una ragionevole durata (tre anni in primo grado, due anni in appello ed un anno in Cassazione, per un totale complessivo di sei anni; almeno è questa l’intenzione del futuro legislatore). Proprio alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo deve ritenersi valida (ed efficiente ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione nei confronti di tutte le parti rappresentate) la notifica della sentenza eseguita in unica copia al procuratore costituito che rappresenti una pluralità di parti (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 29290 del 15 dicembre 2008). Gli schemi dei nuovi decreti legislativi saranno adottati su proposta del Ministro della Giustizia e successivamente trasmessi al Parlamento, ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni competenti per materia. Le suddette Commissioni dovranno rendere i rispettivi pareri entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso inutilmente il quale i decreti saranno emanati anche in mancanza dei pareri. In ogni caso, qualora il suddetto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine dei 24 mesi sopracitati, o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni. Nell’esercizio della delega, il Governo deve attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi: restano fermi per il momento i criteri di competenza nonché i criteri di composizione dell’organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente; i procedimenti civili di natura contenziosa, autonomamente regolati dalla legislazione speciale, devono essere ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile: i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell’istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile (norme per le controversie in materia di lavoro); i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall’art. 51 della nuova legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario; tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito ordinario di cui al libro secondo, titolo I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile (del processo di cognizione). In ogni caso, la riconduzione ad uno dei riti di cui ai precedenti numeri 1), 2) e 3) non comporta l’abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile, come sarà chiarito meglio in seguito. Da ultimo, restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali in materia di: procedure concorsuali, in attesa della riforma del penale fallimentare; famiglia e minori; cambiali ed assegni (bancari e circolari); legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), in tema di repressione della condotta antisindacale; proprietà industriale (D.Lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005); codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del 06 settembre 2005). Sono state abrogate tutte le norme processuali in tema di processo societario e di quello per il risarcimento dei danni da incidente stradale. A questo punto, a seguito delle suddette modifiche legislative, il processo tributario, nei prossimi due anni, a partire dal 04 luglio 2009, dovrà essere totalmente rivisitato e modificato per adeguarlo ai principi e criteri direttivi sopra specificati, pur rimanendo le attuali Commissioni tributarie invariate nella competenza dei “tributi” (Corte Costituzionale, sentenze n. 64 del 14 marzo 2008 e n. 130 del 14 maggio 2008; da ultimo, Corte di Cassazione, sentenza n. 5298 del 05 marzo 2009) e nella composizione (D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992), in modo da completare il ciclo di processualizzazione del contenzioso tributario. In ogni caso, rientrano nella competenza del giudice tributario anche i dinieghi in tema di transazioni fiscali (art. 146 del D.Lgs. n. 5 del 09 gennaio 2006; art. 32 della Legge n. 2 del 28 gennaio 2009; circolare n. 14/E del 10 aprile 2009 dell’ Agenzia delle Entrate) perché trattasi di questioni di natura fiscale, che comportano necessariamente una verifica fondata sull’interpretazione e sull’applicazione di norme tributarie. Inoltre, rientrano nella giurisdizione tributaria anche le controversie in tema di iscrizioni nell’apposita anagrafe delle ONLUS (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 11986 del 21 aprile 2009, depositata il 25 maggio 2009; sentenza n. 24883 del 09 ottobre 2008). Infine, è impugnabile di fronte alle Commissioni Tributarie il diniego di autotutela in quanto l’attribuzione al giudice tributario di tutte le controversie in materia di tributi comporta che anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, incidendo sul rapporto obbligatorio tributario, sono devolute al giudice indipendentemente dall’atto impugnato e dalla natura discrezionale dell’esercizio dell’autotutela tributaria. Nel giudizio instaurato contro il rifiuto di esercizio di autotutela può esercitarsi, però, un sindacato solo sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 9669 del 23 aprile 2009; Commissione Tributaria Provinciale di Lecce – Sezione 5 – sentenza n. 89/5/08 del 22 febbraio 2008). Infatti, oggetto del processo tributario è, propriamente, una situazione di interesse legittimo a che il potere impositivo esercitato attraverso il provvedimento impugnato corrisponda al paradigma di riferimento, sia esso costituito, come di regola, dalle norme che disciplinano l’attività di prelievo, ma anche, laddove ciò sia previsto, ai criteri di opportunità che disciplinano l’attività discrezionale della Pubblica Amministrazione (C.Glendi). Per quanto riguarda, invece, il nuovo rito da applicare al processo tributario occorre, innanzitutto, controllare se nel contenzioso tributario, attualmente: sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale; ovvero caratteri di officiosità dell’istruzione; o se sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa. Secondo me, nell’attuale processo tributario, non sussistono le caratteristiche di cui sopra, anche se nella pratica il processo si conclude, il più delle volte, nell’unica udienza di merito, fatto spesso giustamente criticato e stigmatizzato. Infatti, nel processo tributario: non sussistono i caratteri della concentrazione processuale, in quanto la fase istruttoria (art. 7 D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992) è ben distinta dalla fase dibattimentale (titolo II D.Lgs. n. 546 cit.) ed inoltre è previsto uno specifico ed autonomo giudizio di ottemperanza (art. 70 D.Lgs. cit.), come precisato dalla Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 30058 del 23 dicembre 2008; non sussiste alcuna officiosità dell’istruzione, in quanto le Commissioni tributarie esercitano gli specifici poteri istruttori “nei limiti dei fatti dedotti dalle parti”, anche per quanto riguarda gli atti prodromici all’atto finale per accertare la c.d. “illegittimità derivata” (da ultimo, Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 6315 del 20 gennaio 2009). Infatti, la giurisdizione del giudice tributario non ha ad oggetto solo gli atti finali di imposizione (definiti come “impugnabili” dall’art. 19 D.Lgs. n. 546 cit.) ma investe tutte le fasi precedenti che hanno portato alla loro adozione e formazione. Inoltre, l’eventuale giudizio negativo sulla legittimità o regolarità formale e sostanziale di un atto istruttorio può determinare l’annullamento di quello finale impugnato (Consiglio di Stato, Sez. IV, decisione n. 5144 del 21 ottobre 2008). Tuttavia, i vizi riguardanti gli atti istruttori devono essere eccepiti solo con la contestazione della pretesa che pone fine all’iter del procedimento, su specifica richiesta del ricorrente. A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove in forza dei poteri istruttori ex art. 7 cit., perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parità delle parti nel processo, solo per sopperire all’impossibilità, sempre da dimostrare, di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra (Cassazione, Sezione Trib. sentenza n. 683 del 14 gennaio 2009). Infatti, in ragione del principio della parità delle armi, i poteri istruttori del giudice tributario non possono mai essere invocati per sopperire alla carenza dell’onere probatorio cui deve rispondere una delle due parti nel giudizio (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 13201 del 09 giugno 2009). In ogni caso, il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione – annullamento, bensì tra quelli di impugnazione – merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Amministrazione Finanziaria, sempre entro i limiti posti dal petitum delle parti (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 25104 del 19 giugno 2008, depositata il 13 ottobre 2008). Infine, nell’attuale processo tributario non sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, propri del giudice monocratico, in quanto le Commissioni tributarie hanno una composizione collegiale ed inoltre la complessità della materia fiscale e la rilevanza economica della posta in gioco non possono mai giustificare a priori un’istruzione sommaria o l’omissione di ogni formalità non essenziale al contraddittorio. Oltretutto, non può certo ammettersi che il nuovo processo tributario si concluda con un’ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande, ordinanza peraltro provvisoriamente esecutiva, valida come titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione (art. 51 della nuova legge processuale); né che sia impedita la conversione nel rito ordinario, che offre maggiori garanzie difensive al contribuente. Di conseguenza, il nuovo processo tributario deve essere ricondotto al rito ordinario di cui al novellato libro secondo, titoli I e III, del codice di procedura civile (del processo di cognizione ordinario), escluso logicamente il titolo II, che riguarda il procedimento davanti ai giudici di pace, peraltro già carichi di lavoro e con 1,4 milioni di liti arretrate. Oltretutto, chi inizierà un ricorso nelle materie già comprese nel rito societario, dopo l’entrata in vigore della riforma, applicherà il rito ordinario; a maggior ragione, quindi, il suddetto rito ordinario sarà applicabile al processo tributario. In definitiva, ed in modo schematico ed approssimativo, il nuovo processo tributario dovrà rispettare i principi e le regole in tema di (de iure condendo): citazione e costituzione delle parti, anche per quanto riguarda la contumacia (art. 171 c.p.c.) e la specificità della comparsa di risposta (art. 167 c.p.c.); comunicazioni e notificazioni on line, come avviene al Tribunale di Milano dal 1° giugno 2009; in ogni caso, oggi, nel processo tributario la nullità della notificazione del ricorso introduttivo (ovvero dell’atto di gravame) è sanata con efficacia retroattiva dalla costituzione della parte resistente od appellata, anche quando sia avvenuta al solo fine di eccepire la suddetta nullità (principio espresso dalla Cassazione, Sezione Trib., con sentenza n. 5508 del 06 marzo 2009, che secondo me dovrà essere rimeditato in sede di riforma processuale): rimessione in termini; infatti, il novellato art. 153 c.p.c. dispone che i termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti, ma assegna comunque ai litiganti la possibilità di essere rimessi in termini ove dimostrino di essere incorsi in decadenze per cause ad esse non imputabili (art. 294, commi 2 e 3, c.p.c.); da sottolineare come per ragioni sistematiche sia stato abrogato l’art. 184 bis c.p.c.; istruzione della causa, soprattutto per quanto riguarda il giuramento (artt. 233-243 c.p.c.) e la testimonianza (artt. 244-257 c.p.c.), anche in forma scritta (art. 257-bis c.p.c.); il giudice, quando ammette le prove, deve fissare il calendario del processo, che potrà essere variato solo in casi eccezionali; di conseguenza, le dichiarazioni rese da terzi, se non confermate in sede di testimonianza, non dovranno più essere considerate neppure indizi (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 6548 del 18 marzo 2009); analisi e vaglio di atti istruttori acquisiti legittimamente; sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato, anche in assenza della cartella esattoriale, soprattutto oggi con i maggiori e più invasivi poteri di recupero che hanno gli agenti della riscossione (Corte Costituzionale, ordinanza n. 393 del 28 novembre 2008); inoltre, è sufficiente che il danno sia grave, non certo irreparabile (che è un assurdo giuridico ed economico in campo fiscale); infine, la sospensione deve bloccare, automaticamente, anche la richiesta di pagamento delle fideiussioni (art. 30, comma 3, lett. c), D.P.R. n. 633/72; art. 8, comma 3-bis, D.Lgs. n. 219/97, come modificato dai commi 418, 422 e 423 della Legge n. 311/2004; artt. 1952 e 2943 del codice civile); confessione giudiziale ed interrogatorio formale (artt. 228-232 c.p.c.); intervento di terzi e riunione dei procedimenti (libro secondo, sezione IV, c.p.c.), anche alla luce della sentenza n. 11466 del 18 maggio 2009 della Corte di Cassazione – Sez. trib. – in tema di litisconsorzio ed intervento di terzi (vedi anche Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 5262 del 05 marzo 2009); decisione della causa (artt. 275-281 c.p.c.) con motivazioni “leggere”; rimangono tassative le ipotesi di inammissibilità degli atti processuali (Cassazione, Sez. trib., sentenza n. 5508 del 06 marzo 2009); sospensione, interruzione ed estinzione del processo (artt. 295-310 c.p.c.); per la querela di falso si rinvia all’interessante sentenza della Cassazione, Sezione Trib. n. 4003 del 19 febbraio 2009; il decesso di una parte, comunicato in udienza dal suo difensore, non può determinare l’interruzione del giudizio di legittimità, atteso che nel giudizio presso la Corte di Cassazione, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo (art. 299 e ss. c.p.c.), onde, una volta instauratosi il giudizio, il decesso di uno dei ricorrenti, pur comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del giudizio (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 12408 del 27 maggio 2009; Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 14385/07); impugnazioni (artt. 323-359 c.p.c.), sempre con l’obbligo dell’autorizzazione all’appello per gli uffici fiscali (circolare n. 65/E del 03 dicembre 2007 dell’Agenzia delle Entrate), che può essere prodotta, con effetti retroattivi, nel corso del relativo giudizio, fino all’udienza di discussione del ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Regionale (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 229 del 09 gennaio 2009); in tema di contenzioso tributario, deve ritenersi ammissibile l’atto di appello proposto dal competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate, recante in calce la firma illeggibile di un funzionario che sottoscrive in luogo del direttore titolare, finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza di primo grado (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 874 del 04 novembre 2008); nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono, tuttavia, domandarsi gli interessi (art. 1282 c.c.), i frutti (art. 820 c.c.) e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni (artt. 1223 e 2043 c.c.) sofferti dopo la sentenza stessa. In sede di appello, il giudice, su specifica istanza di parte, proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, quando ricorrono gravi motivi, può sospendere in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata (artt. 283 e 337 c.p.c.), anche se viene presentato ricorso per Cassazione (artt. 337 e 373 c.p.c.), pur in assenza della cartella esattoriale. Di conseguenza, sarà implicitamente abrogata l’assurda limitazione che oggi hanno le Commissioni Tributarie Regionali di poter sospendere solo le sanzioni (art. 19, secondo comma, D.Lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997). Al tempo stesso, però, se in sede di appello non è concessa la sospensiva, la sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva anche per quanto riguarda i rimborsi di imposta, che devono essere immediatamente eseguiti, senza dover attendere, come oggi, il giudicato, peraltro con i limiti degli artt. 68, comma 2, e 70 D.Lgs. n. 546 cit. (come stabilito dalla Cassazione, Sezioni Unite, con la sentenza n. 24774 dell’08 ottobre 2008, giustamente più volte criticata). Anche la condanna alle spese deve essere immediatamente esecutiva. In appello non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio. In appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio (artt. 356 e 437 c.p.c.). La produzione di documenti in copia fotostatica costituisce un mezzo idoneo per introdurre la prova nel processo tributario, incombendo sempre alla controparte l’onere di contestarne la conformità all’originale, come previsto dagli articoli 2712 e 2719 del codice civile ed avendo il giudice l’obbligo di disporre, in tal caso, la produzione del documento in originale (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 9773 del 24 aprile 2009). Il giudice di appello può sempre dare al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti ed i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione ed indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell’ambito delle questioni riproposte con il gravame e con il limite di lasciare inalterati il petitum e la causa petendi e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 6856 del 26 febbraio 2009, depositata il 20 marzo 2009). Per stabilire se sia ammissibile una impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l’impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notificazione è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume iuris tantum, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se, invece, la notificazione è nulla, si presume iuris tantum la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ultimo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell’atto (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 2817 del 05 febbraio 2009). Le Commissioni tributarie, in ogni caso, conserveranno la particolare e specifica prerogativa della disapplicazione di un regolamento o di un atto generale illegittimo, rilevante ai fini della decisione, come oggi previsto e disciplinato dall’art. 7, ultimo comma, D.Lgs. n. 546/92; questa norma, infatti, non potrà essere abrogata, neppure implicitamente, altrimenti non si otterrebbero gli stessi effetti con le attuali norme del processo civile. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria, o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo (art. 59 della nuova legge processuale). A seguito della prossima riforma, secondo me, sarà necessario gestire la fase processuale transitoria prevedendo, oltre la sospensione dei giudizi pendenti: - la facoltà di aderire ad un condono fiscale per tutte le liti pendenti, indicativamente sulla falsariga dell’art. 16 della Legge n. 289, del 27 dicembre 2002; oltretutto, in questi giorni, è in discussione il terzo scudo fiscale (dopo quello del 2001 e del 2003) per il rientro e la regolarizzazione dei capitali esportati clandestinamente, con conseguente condono; - oppure, in alternativa, per chi non volesse aderire al suddetto condono fiscale, la possibilità, entro il termine perentorio di sei mesi, di integrare la fase istruttoria con l’inserimento dei nuovi istituti processuali della testimonianza e del giuramento. Per completezza di esposizione, occorre rilevare che la nuova normativa sul processo civile ha modificato anche la procedura del ricorso per Cassazione (art. 47, Legge n. 69/2009 cit.) e ciò, logicamente, ha influenza sul processo tributario (artt. 62 e 63, D.Lgs. n. 546 cit.). Infatti, il ricorso per Cassazione è inammissibile (art. 360-bis novellato c.p.c.): quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa; quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo (art. 111 della Costituzione). È sempre inammissibile, per inesistenza assoluta della notificazione, il ricorso per Cassazione consegnato direttamente dal contribuente al front–office dell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate (Cassazione, Sez. Trib., ordinanza n. 11620 del 19 maggio 2009). Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c. sulla formulazione del quesito di diritto a pena di inammissibilità, finalmente e giustamente, è stato abrogato (per le relative problematiche si rinvia a Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 5926 del 12 marzo 2009). Le suddette disposizioni si applicano, però, alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per Cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della nuova normativa sul processo civile (art. 58, ultimo comma, Legge n. 69/2009 cit). In conclusione, nei prossimi due anni il legislatore dovrà adottare un decreto legislativo di modifica del processo tributario, che non sarà più un rito speciale, con le attuali limitazioni che pregiudicano seriamente il diritto di difesa, ma sarà, giustamente, incardinato nell’unico rito di cognizione ordinario con lo scopo principale di mettere il cittadino-contribuente ed il suo difensore, professionalmente e processualmente qualificato, sullo stesso piano giuridico e processuale dell’Amministrazione finanziaria e dell’Ente locale, soprattutto in vista del federalismo fiscale (Legge n. 42 del 05 maggio 2009). Infatti, il processo tributario, a differenza del processo amministrativo, si connota precisamente per la libertà dei motivi deducibili (non essendoci alcun limite normativo in proposito) e, di converso, si qualifica anche per la predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabili. In ogni caso, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta, oggi, nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 cit., pur dovendosi considerare tassativa, soggiace sempre all’interpretazione estensiva, anche in conseguenza dell’ampliamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge n. 448/01 (Cassazione, Sez. Trib., ordinanza n. 4965 del 29 gennaio 2009, depositata il 02 marzo 2009). Con la prospettiva e la speranza, inoltre, di modificare, nel breve tempo, anche la composizione delle attuali Commissioni tributarie, da inserire nella Costituzione: - con giudici professionali e specializzati, assunti a seguito di specifico concorso pubblico per titoli ed esami (come i concorsi per i giudici e procuratori, istituiti ultimamente con i due D.M. del 03 giugno 2009, in G.U. nn. 138 e 139 del 17 e 18 giugno 2009); - con specifica competenza in campo fiscale; - a tempo pieno, sino a 65 anni, con obbligo di frequentare corsi di aggiornamento (almeno due annuali) validi ai fini della carriera; - con pari dignità nei criteri di valutazione professionale e punteggio di carriera; - monocratici in primo grado e collegiali in secondo grado; - ben retribuiti (non come oggi a 25 euro nette a sentenza depositata!); - e, soprattutto, non più alle dipendenze del Ministero dell’Economia e delle Finanze (che è una delle parti in causa) ma inseriti in sezioni specializzate dei Tribunali e delle Corti di appello, come ho suggerito nel mio progetto di legge di riforma del processo tributario (www.studiotributariovillani.it), anche per quanto riguarda l’eventuale competenza sulle questioni penali – tributarie per evitare l’attuale ed assurdo doppio binario, con il rischio di contrasto di giudicati (Cassazione, sentenza n. 12022/09). Anche il personale amministrativo deve avere un ruolo autonomo, senza più dipendere dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Inoltre, deve essere istituita per legge, e non con atto amministrativo interno, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, che sta svolgendo un importante ruolo di nomofilachia nel settore fiscale. In questo modo, sarebbe definitivamente risolta l’annosa questione del divieto di istituzione di giudici speciali, previsto dall’art. 102, comma 2, e VI disposizione transitoria della Costituzione (ordinanza n. 144 del 23 aprile 1998 della Corte Costituzionale). Oltretutto, le modifiche al rito ed alla composizione delle Commissioni tributarie potranno giustificare un eventuale allargamento delle competenze anche in tema di contributi previdenziali ed assistenziali, nonché in tema di risarcimento danni, anche morali, per fatti ed atti illegittimi del fisco. Infine, per assicurare veramente che l’attività del giudice tributario si svolga in stretta conformità ai principi di imparzialità ed indipendenza che discendono dalla Costituzione, bisognerà precisare meglio i casi di incompatibilità, anche con riferimento ai familiari, per evitare posizioni di potenziale e pericoloso conflitto di interessi (da ultimo, Consiglio di Stato, decisione n. 3366/2009, depositata il 29 maggio 2009), pure per quanto riguarda il settore pubblico (per esempio, pubblici ministeri e dipendenti pubblici, anche pensionati, finanziari e finanzieri). Solo in questo modo potrà veramente realizzarsi, nel processo tributario, il principio del “giusto processo”, che deve svolgersi nel regolare e pieno contraddittorio delle parti, in condizioni di effettiva parità tra accusa e difesa, davanti ad un giudice terzo ed imparziale, anche all’apparenza, e senza alcuna limitazione del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), dando maggiore importanza alla fase istruttoria, oggi invece totalmente mortificata o annullata (rinvio al mio libro “Per un “giusto” processo tributario”- Congedo Editore – in www.studiotributariovillani.it). Infatti, soltanto lo sviluppo di una efficace, serena e senza pregiudizi fase istruttoria (con testimoni, giuramenti, consulenti tecnici d’ ufficio, ecc.) può far emergere la superficialità e l’illegittimità di molti processi verbali ed avvisi di accertamento, che non devono certo essere considerati “ a priori” validi ed efficaci perché scritti e notificati da pubblici ufficiali (ormai non esiste più il principio dell’esecutorietà dell’atto amministrativo con presunzione di legittimità). Oltretutto, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza n. 73053/2001 del 23 novembre 2006 ha stabilito che “nelle liti sulle sanzioni fiscali non può escludersi il contraddittorio orale sulle prove”. Così come l’ordinamento comunitario impone sempre il rispetto dei termini per l’esercizio dei diritti di difesa (Corte di Giustizia, Sez. II, sentenza 18 dicembre 2008, causa C- 349/07), che non devono mai essere limitati o mortificati. Infatti, soltanto con la testimonianza ed il giuramento può, per esempio, efficacemente dimostrarsi l’assenza di colpevolezza e la causa di non punibilità in tema di sanzioni amministrative (artt.5 e 6 D.Lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997) oppure la deducibilità di determinati e specifici costi (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 16932 del 31 luglio 2007 e sentenza n. 15395 dell’11 giugno 2008). Oltretutto, incombe al contribuente l’onere di dedurre e provare che i redditi effettivi frutto della sua attività (per esempio, agricola) sono sufficienti a giustificare il suo tenore di vita, ovvero che egli possiede altre fonti di reddito non tassabili, o separatamente tassate (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 12408 del 27 maggio 2009; Cassazione, sentenza n. 6952/06). Il principio dell’onere della prova riguarda soprattutto la prova dei fatti, non certo le questioni di diritto (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 24432 del 03 luglio 2008, depositata il 02 ottobre 2008). Conseguentemente, in caso di rinvenimento di contabilità non ufficiale, le situazioni di dubbio non si possono risolvere in danno dellUfficio, posto che l’onere della prova è a carico del contribuente (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 25104 del 19 giugno 2008, depositata il 13 ottobre 2008). E lo stesso discorso può farsi in tema di abuso del diritto, soprattutto dopo le recenti, rigide interpretazioni della Corte di Cassazione (sentenze n. 30055 del 23 dicembre 2008 e n. 11659 del 20 maggio 2009), in attesa peraltro di un intervento legislativo chiarificatore. Il fatto, poi, che il processo tributario potrà durare più a lungo non deve, secondo me, preoccupare i contribuenti ed i loro professionisti che, certamente, preferiranno avere un processo lungo e ben istruito piuttosto che un processo breve senza alcun approfondimento istruttorio, con il rischio di vedersi rigettare immotivatamente i propri ricorsi per incompetenza, superficialità o per la fretta di decidere (quando vengono poste in udienza persino quaranta cause). Inoltre, anche nell’attuale processo tributario ci sono giudizi che durano da oltre vent’anni, soprattutto quelli pendenti presso le sedi regionali della Commissione Tributaria Centrale (peraltro soppressa sin dall’ 01 aprile 1996), oppure appelli che si discutono dopo dieci anni. Oltretutto, il giudice tributario di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, può utilizzare anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche fra altre parti, e può quindi trarre elementi di convincimento ed anche attribuire valore di prova esclusiva ad una perizia disposta in sede penale, tanto più se essa sia stata predisposta in relazione ad un giudizio avente ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i processi (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 2904 del 06 febbraio 2009). Invece, le presunzioni tributarie non hanno valore di piena prova nel processo penale (Cassazione, Sez. III, penale, sentenza n. 5490 del 06 febbraio 2009). In ogni caso, se il fisco fornisce elementi indiziari sufficienti, è il contribuente che deve fornire la prova dell’esistenza delle operazioni contestate (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 12022 del 25 maggio 2009). Inoltre, proprio in vista della necessaria ed urgente riforma di cui sopra, il legislatore, in materia fiscale, deve smetterla di prevedere istituti premiali deflativi con riduzioni sensibili delle sanzioni per costringere il contribuente a pagare ad ogni costo per evitare l’alea del processo tributario (per esempio, in tema di studi di settore o di redditometro). Infatti, nelle situazioni di incongruenza ai fini degli studi di settore, una mano a rafforzare le presunzioni semplici (e non legali) di GERICO può arrivare persino dal tenore di vita dell’intera famiglia, a condizione che questo si riveli eccessivo rispetto ai redditi dei suoi componenti (A. Criscione, in Sole 24-Ore di venerdì 12 giugno 2009; F. De Magistris, in Italia Oggi 7 di lunedì 15 giugno 2009), nonché dal redditometro (nota del 04 giugno 2009 dell’Agenzia delle Entrate; circolare n. 29/E del 18 giugno 2009 dell’Agenzia delle Entrate). Così come il legislatore deve smetterla di introdurre norme fiscali con effetti retroattivi, perché il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino – contribuente (art. 10, comma 1, della Legge n. 212 del 27 luglio 2000, Statuto dei diritti del contribuente) è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa ed amministrativa (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 10982 del 16 aprile 2009, depositata il 13 maggio 2009). Ed un caso assurdo di retroattività della norma si è avuto, ultimamente, in tema di “cartelle mute” con il D.L. 31 dicembre 2007 n. 248 , convertito dalla Legge 28 febbraio 2008, n. 31 (art. 36, comma 4 – ter), salvate miracolosamente (!) dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 58 del 27 febbraio 2009, più volte giustamente criticata. Inoltre, incorre in errore scusabile il contribuente il cui atto di riassunzione della causa, rinviata dalla Corte di Cassazione al giudice di merito, sia stato rivolto e notificato ad un organo che è divenuto successivamente incompetente per effetto di un atto interno di organizzazione amministrativa. Per il principio di collaborazione tra contribuente e fisco, l’ufficio tributario deve sempre informare il contribuente delle variazioni organizzative che modificano il soggetto attivo del rapporto giuridico tributario oggetto di contenzioso (Cassazione, Sezione Trib., sentenza n. 3559 del 13 febbraio 2009). Oltretutto, l’ufficio non competente che riceve un’istanza di rimborso è tenuto a trasmettere l’istanza all’ufficio competente, in conformità alle regole di collaborazione (Cassazione, Sez. Trib., sentenza n. 4773 del 27 febbraio 2009). Una volta riequilibrata e potenziata la posizione processuale del contribuente, con l’aggiunta di ulteriori, più efficaci ed incisivi mezzi difensivi, lo stesso avrà finalmente la possibilità di decidere con maggiore serenità e responsabilità, evitando di dover pagare ciò che non è dovuto (art. 53, primo comma, della Costituzione), soprattutto quando deve difendersi in situazioni di inversione dell’onere della prova (per esempio, redditometro ed indagini bancarie, in Cassazione sentenza n. 19362 del 15 luglio 2008, n. 20268 del 23 luglio 2008 e n. 28795 del 04 dicembre 2008), persino in tema di finanza locale (da ultimo, Cassazione – Sezione Trib., ordinanza n. 12773 del 01 giugno 2009). Infine, tra le soluzioni alternative al contenzioso per gli eventuali arbitrati e conciliazioni anche in campo fiscale, è auspicabile prevedere l’istituzione di apposite ed autonome Camere di Conciliazioni Tributarie, composte da qualificati e competenti magistrati e professionisti, specializzati nel settore tributario, senza alcun collegamento funzionale con le Agenzie Fiscali che hanno notificato gli atti o le cartelle esattoriali impugnati, in modo da poter decidere senza pregiudizi, con assoluta serenità ed imparzialità (art. 60, primo comma, Legge n. 69/2009 cit.), anche in occasione dei giudizi pendenti in grado di appello e di Cassazione, logicamente stabilendo diverse percentuali di riduzioni delle sanzioni amministrative, con condanna della parte (pubblica o privata) nel caso di irragionevole rifiuto alla transazione proposta dalle suddette Camere di conciliazione. È inutile lasciare la situazione attuale, dove i giudici tributari, in sede di conciliazione giudiziale (art. 48 D.Lgs. n. 546 cit.), hanno un ruolo prettamente notarile, senza alcuna possibilità di iniziativa e di decisione nel merito. Infatti, nel nuovo processo civile, la mediazione avverrà davanti ad organismi autonomi e professionali riconosciuti, anche attraverso procedure telematiche. Per incentivare le forme alternative al ricorso alla giustizia le parti che utilizzano la mediazione avranno agevolazioni fiscali e si promettono tempi brevi. In un momento storico di grave crisi economica e finanziaria, come l’attuale, la riduzione del peso fiscale, per dare ossigeno alle attività produttive, passa anche dalla futura e necessaria riforma del processo tributario, che potrà dare maggiori garanzie difensive, senza la mortificazione e delusione di dover pagare a tutti i costi somme non dovute, che si potrebbero invece indirizzare proficuamente agli investimenti ed all’occupazione. È anche questo un tassello della “rivoluzione liberale” promessa più volte a cittadini ed imprese. Dimenticarlo, sarebbe un errore politico grave, soprattutto in vista della prossima Finanziaria 2010, con il rischio di una ripresa economica ripida e faticosa. Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141 del 2009, ha deliberato sul canone per la installazi... (sezione: Giustizia)

( da "Mattino, Il (Circondario Sud2)" del 20-07-2009)
Pubblicato anche in: (Mattino, Il (Nazionale))

Argomenti: Giustizia

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141 del 2009, ha deliberato sul canone per la installazione di mezzi pubblicitari. La decisione è stata questa: laCorte afferma che esso ha natura tributaria onde le relative controversie appartengono alla competenza del giudice tributario.

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Al friulano quasi un'elemosina (sezione: Giustizia)

( da "Gazzettino, Il (Udine)" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Al friulano quasi un'elemosina Tagliati drasticamente dal governo i fondi destinati alle minoranze linguistiche Lunedì 20 Luglio 2009, Dopo la batosta della Corte Costituzionale che aveva bocciato i punti più importanti della legge regionale per la tutela del friulano, la marilenghe deve fare i conti, letteralmente, con i finanziamenti della legge 482/99 erogati dal dipartimento per gli affari regionali nel 2009. Passati i bei tempi in cui le minoranze linguistiche potevano contare su 10 milioni di euro per la tutela e la valorizzazione delle lingue minoritarie, oggi i fondi si fermano a quota 2.274.425 euro da suddividere tra le 12 minoranze presenti sul territorio nazionale. La Regione Friuli Venezia Giulia si porta a casa solamente 452 mila euro da spartire fra la lingua friulana, quella slovena e germanica. Ecco com'è suddiviso il finanziamento: 300.672 euro per il friulano, 16.227 per il tedesco e 135.703 per lo sloveno, fondi che entrano direttamente nelle casse della regione competente a erogare i contributi per i progetti presentati dagli enti locali. «La comunità di lingua friulana, composta da oltre 600 mila persone, avrà a disposizione appena 300.672 euro - si legge in una nota di Carlo Puppo portavoce del Comitato 482 - è difficile pensare che bastino 50 centesimi a persona per garantire i diritti linguistici che la legge 482/99 riconosce ai friulani». Facendo qualche proporzione in effetti lo sloveno avrà a disposizione poco meno della metà del finanziamento destinato al friulano, nonostante la minoranza slovena in regione sia di gran lunga inferiore alla metà di quella friulana. Le quote del fondo destinate alle minoranze presenti sul territorio regionale sono comunque calcolate in base al peso relativo al numero dei comuni del Fvg in cui risiede la singola minoranza, rispetto al numero complessivo di comuni interessati dalla presenza della stessa minoranza sul territorio nazionale. Per quanto riguarda la marilenghe, i comuni interessati in regione sono 177 su un totale nazionale di 184; per lo sloveno invece il finanziamento complessivo va interamente al Friuli Venezia Giulia, essendo la minoranza slovena presente solo nella nostra regione. A qualcuno va meglio, ad altri va peggio. Se il friulano deve accontentarsi di 300mila euro, le minoranze catalane e croate guadagnano un bottino veramente magro, rispettivamente di 31.550 euro e 47.923 e nella corsa ai finanziamenti la marilenghe viene battuta dalla minoranza sarda che si aggiudica oltre 430 mila euro. Ma i limiti imposti dal dipartimento ministeriale non si fermano qui: il taglio dei finanziamenti è accompagnato da una rigida serie di indicazioni per il loro utilizzo. Grande spazio quindi agli sportelli linguistici nelle cui attività sarà incanalato l'85% dei fondi; per gli sportelli della marilenghe saranno a disposizione 255.571 euro e quel po' che rimane, ovvero 45 mila euro, andranno suddivisi tra formazione linguistica, attività culturali e toponomastica: ognuna di queste voci potrà attingere solo al 5% dei fondi pari a 15 mila euro, il che equivale a rivedere tutti i progetti degli enti locali; basti pensare che solo il comune di Udine sta investendo oltre 55 mila euro per la cartellonistica stradale, una cifra che sarà ora impensabile da ottenere. Lisa Zancaner

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VENETO/CONSIGLIO: COMMISSIONE STATUTO, DISCO VERDE A NUOVO REGOLAMENTO. (sezione: Giustizia)

( da "Asca" del 20-07-2009)

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VENETO/CONSIGLIO: COMMISSIONE STATUTO, DISCO VERDE A NUOVO REGOLAMENTO (ASCA) - Venezia, 20 lug - La commissione per lo Statuto e il regolamento del Consiglio regionale del Veneto, presieduta da Francesco Piccolo, ha approvato oggi a maggioranza la nuova bozza statutaria. Hanno votato a favore i rappresentanti del centrodestra, non hanno partecipato al voto i rappresentanti del centrosinistra, assenti i tre rappresentanti della Sinistra e il consigliere di Progetto Nordest. Con l'approvazione odierna degli ultimi 11 articoli, dei 60 compresi nella bozza, rimasti in sospeso prima dell'interruzione per la pausa elettorale la commissione ha quindi concluso il lungo iter che l'ha impegnata per tre anni e mezzo. I 60 articoli della bozza statutaria passano ora all'esame dell'aula consiliare, che dovra' pronunciarsi a maggioranza assoluta per due volte, a distanza di almeno 60 giorni. L'iter di approvazione dello statuto regionale prevede inoltre un mese di attesa dalla sua pubblicazione per l'eventuale impugnativa da parte del Governo di fronte alla Corte Costituzionale e i tempi per un eventuale referendum popolare, se richiesto da 12 consiglieri o da almeno 80 mila cittadini. Ipotizzando che il testo venga iscritto all'ordine del giorno del Consiglio la settimana prossima e che ne inizi subito la discussione, ci vorranno almeno sei mesi per concluderne il percorso: un'autentica corsa contro il tempo per dare uno Statuto al Veneto entro febbraio 2010, termine della legislatura. res/mcc/rob (Asca)

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Cittadinanza europea: sopravvenuta acquisizione e punibilità di condotte pregresse (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 20-07-2009)

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Cittadinanza europea: sopravvenuta acquisizione e punibilità di condotte pregresse Articolo di Gwendoline Guccione 17.07.2009 Commenta | Stampa | Segnala | Condividi La sopravvenuta acquisizione della cittadinanza europea e l’attuale punibilità delle condotte pregresse integranti i reati d’immigrazione ex D. Lgs., 25 luglio 1998, n. 286: le Sezioni unite escludono l’abolitio criminis parziale in caso di successione c.d. mediata di norme penali di Gwendoline Guccione Sommario: 1. La questione interpretativa: considerazioni introduttive; 2. Quadro normativo in materia di immigrazione: cronologia; 3. Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: la fattispecie base; 3.1 Segue: le ipotesi aggravate ex art.12, commi 3, 3-bis e 3-ter, T.U. Imm.; 3.2 Segue: il delitto di favoreggiamento della permanenza illegale; 4. Delitto di indebito trattenimento dello straniero espulso, 5. Criteri interpretativi per distinguere l’ipotesi di abolitio criminis e abrogatio sine abolitione in caso di modifica immediata di fattispecie penale; 5.1 Segue: le posizioni dottrinali e giurisprudenziali; 6. La successione mediata di norme penali; 6.1 Segue: gli indirizzi dottrinali; 6.2 Segue: il panorama giurisprudenziale; 7. La qualità di straniero: “mero” presupposto od elemento integrativo dei reati in materia di immigrazione?; 7.1 Segue: l’impostazione “estensiva” della giurisprudenza di merito; 7.2 Segue: l’orientamento “restrittivo” della giurisprudenza di legittimità: la sentenza delle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione 27 settembre 2007 – 16 gennaio 2008, n. 2451; 8. Spunti critici per la corretta ricostruzione della vicenda successoria in esame; 8.1 Segue: conclusioni. 1. La questione interpretativa: considerazioni introduttive Originariamente costituita dai sei Stati fondatori, l’Unione europea è giunta ad includere, con l’ingresso di Romania e Bulgaria1 a decorrere dal primo gennaio 2007, ventisette Stati membri. Trattasi di un processo di allargamento ben lungi dall’essersi esaurito, avendo altri Paesi europei presentato domanda di adesione all’Unione. Tra gli effetti derivanti da tale ampliamento è da annoverare l’acquisizione della cittadinanza europea e dei diritti che ad essa afferiscono da parte dei cittadini dei nuovi Stati membri, nei cui confronti, pertanto, non trovano più applicazione le disposizioni del D.Lgs., 25 luglio 1998 n. 286 (Testo unico sull'immigrazione)2, bensì le norme europee sulle libertà di circolazione3 e stabilimento delle persone4, da intendersi la prima come il diritto di ogni cittadino comunitario di ricercare o di svolgere un'attività, retribuita o meno, in uno Stato membro dell'Unione diverso da quello di cui è cittadino, e la seconda come il diritto di fissare la propria residenza in uno dei Paesi aderenti5. In seguito a tale progressiva estensione, in giurisprudenza si è posto il problema dell’attuale punibilità del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina anteriormente commesso in danno di stranieri, a cui è ora riconosciuto lo status di cittadino comunitario6. Più in generale la questione della sopravvenuta irrilevanza delle condotte tenute in epoca anteriore alla ratifica del Trattato di adesione, abbraccia tutte le norme incriminatrici previste dal T.U. sull’immigrazione, il cui ambito applicativo è espressamente circoscritto dall’art.1, comma 1, “ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e agli apolidi, di seguito indicati come stranieri”. Tale interrogativo, che si inserisce nella più ampia tematica della successione mediata della fattispecie penale, ha, di recente, assunto un grande rilievo nel dibattito penalistico: si discute, in particolare, se la modifica della norma extrapenale, che definisce la nozione di straniero, determini esclusivamente una variazione della rilevanza penale del fatto, con decorrenza dalla emanazione della successiva ratifica, rimanendo immutato il disvalore penale del fatto anteriormente commesso, ovvero se essa, concorrendo a delineare il precetto penale, generi un’ipotesi di abolitio criminis parziale sottoposta al regime dell’art.2, comma 2, c.p., con conseguente e necessaria revoca delle sentenze di condanna già passate in giudicato (art. 673 c.p.p.). Per un’esatta soluzione delle varie problematiche implicate appare utile ripercorrere le tappe più significative della legislazione in tema di immigrazione, a cui seguirà un essenziale commento delle principali fattispecie incriminatrici rispetto alle quali emerge il problema di diritto intertemporale enunciato, nello specifico le ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di illegale permanenza sul territorio dello Stato, rispettivamente disciplinate agli artt. 12 e 14 commi 5-ter e 5-quater, T.U. Imm.7. Si ritiene, altresì, opportuno soffermarsi brevemente sul variegato panorama interpretativo formatosi in tema di successione di leggi penali nel tempo, la cui analisi permette di cogliere tutti gli aspetti giuridici sottesi alla questione in esame. Tale disamina, giova sottolinearlo, non ha pretese di esaustività e mira essenzialmente a soddisfare esigenze di chiarezza espositiva, fornendo all’interprete un quadro ricostruttivo degli istituti rilevanti per una corretta collocazione sistematica dell’oggetto specifico del presente lavoro. 2. Quadro normativo in materia di immigrazione: cronologia Negli ultimi anni l’Italia si è trasformata da Paese tradizionalmente di emigrazione a Paese di forte immigrazione, soprattutto a causa della sua posizione geografica, che la rende terra di transito obbligato per raggiungere altri Stati europei od extraeuropei8. L’art. 10 Cost. dispone che la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali9. Nel nostro ordinamento la nozione di straniero viene, pertanto, desunta da diverse discipline normative che consentono di distinguerne vari tipi: il cittadino comunitario, il cittadino extracomunitario, gli apolidi e i rifugiati politici. La posizione giuridica dello straniero era precedentemente regolata dal R. D., 18 giugno 1931, n. 773 (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza), che, stante la relativa esiguità della pressione migratoria nella realtà italiana dell’epoca, inquadrava il problema dell’immigrazione soltanto in termini di sicurezza e tutela dell’ordine pubblico nazionale. La prima legge che ha inteso regolamentare la condizione dello straniero in Italia è la L. n. 30 dicembre 1986, n. 943 (Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine), tesa principalmente a stabilire la parificazione sul piano lavorativo dello straniero al cittadino italiano. Successivamente viene adottata la L., 21 febbraio 1990, n. 39 (c.d. Legge Martelli), che rimane per lungo tempo il testo di riferimento in tema di immigrazione. Tale disciplina, pur rimanendo caratterizzata da interventi finalizzati a gestire l’immigrazione come un fenomeno di emergenza e di ordine pubblico, introduce per la prima volta la programmazione dei flussi migratori, nonché le norme relative a ingresso, soggiorno, espulsione ed asilo politico10. La materia de qua viene di seguito ridisciplinata dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), che riunisce e coordina le norme contenute nella L. 6 marzo 1998, n. 40 (c.d. Legge Turco-Napolitano), fissando gli obiettivi della politica italiana in materia di immigrazione: regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini stranieri, integrazione sociale dei soggetti regolarmente presenti nel territorio e contrasto all'attività criminale diretta a favorire l'immigrazione clandestina. Con riguardo a quest’ultimo punto, al pari di altri Paesi di destinazione, anche l’Italia cerca di fronteggiare il problema del sempre più massiccio ingresso abusivo di migranti attraverso l’adozione di politiche di contenimento, partendo dal presupposto che gli stranieri siano una minaccia alla sicurezza interna e non una risorsa sul piano sia economico che culturale11. A distanza di pochi anni dalla sua approvazione, il presente testo unico viene in parte modificato dalla L. 30 luglio 2002, n. 189 (c.d. Legge Bossi-Fini) e successive modifiche (L. 12 novembre 2004, n. 271, di conversione del D. L. 14 settembre, 2004, n. 241), avente come unica finalità la lotta all’immigrazione illegale perseguita attraverso l’inasprimento del regime delle espulsioni12 e la previsione di un rapporto più cogente tra lavoro e diritti degli immigrati, giustificando l’ingresso e la permanenza dello straniero per soggiorni duraturi solo a fronte dell’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa legale. Più nello specifico, al fine di garantire la collettività contro l’ingresso illegale, le ipotesi di reato già previste vengono delineate in maniera più dettagliata ed afflittiva: “le modificazioni apportate con la legge 189/02 hanno accentuato il carattere di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica … in parte capovolgendo la visione solidaristica in una esclusivamente repressiva”13. La legislazione in materia di immigrazione presenta, in sostanza, i caratteri tipici di un diritto penale del nemico14, quali, ad esempio, una sensibile anticipazione della soglia di criminalizzazione mediante fattispecie a pericolo astratto15, in cui il tentativo viene punito come delitto consumato; una netta sproporzione fra trattamento sanzionatorio e gravità ed idoneità lesiva del fatto; una progressiva soggettivizzazione e differenziazione dello statuto penale per tipi di autore; una strutturale indeterminatezza della norma, nonché una connotazione poliziesca dell’intera funzione giudiziaria ed un’accentuazione del contenuto segregativo ed affittivo, non già risocializzante, della pena16. Peraltro, sul piano dell’accertamento processuale, l’introduzione di fattispecie incriminatrici in assenza di un loro coordinamento organico e sistematico conduce ad una sovrapposizione di norme penali in relazione al medesimo oggetto, foriera di applicazioni giurisprudenziali difformi, che inevitabilmente incidono sulla qualità ed efficacia della risposta giudiziaria17. Le tensioni che segnano il fenomeno dell’immigrazione e la connessa stratificazione degli interventi legislativi sul tema, comportano la continua insorgenza di contrasti interpretativi, nonché di dubbi concernenti la legittimità costituzionale della disciplina. Si è rilevato che la normativa in questione si innesta in un meccanismo di involuzione del diritto penale, che passa da strumento di tutela di beni a strumento di tutela di funzioni18, con “l’asservimento del diritto e della procedura penale – dei loro principi e dei loro scopi - all’attività amministrativa funzionale all’allontanamento dello straniero irregolare”19. Ciò posto, si procederà ora all’esame delle fattispecie incriminatrici indicate in premessa, alla luce della travagliata elaborazione dottrinale e pretoria, che, nello sforzo, pregevole, di ricondurre ad unità le molte problematiche di ordine costituzionale emerse, ha cercato, comunque, di offrire un quadro sistematicamente coerente e completo della materia. 3. Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: la fattispecie base Tra le disposizioni dettate al fine di contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina, va annoverato l’art. 12, D.Lgs. n. 286 del 1998 (come sostituito dall'art. 11, comma 1, L. 189 del 2002 e modificato dalla L. n. 271 del 2004, di conversione del D. L. n. 241 del 2004, nonchè, da ultimo dalla L. n. 125 del 2008, di conversione del D.L. n. 92 del 2008), che criminalizza ogni attività di assistenza ai flussi irregolari20 in entrata, distinguendo fra una fattispecie base contemplata al comma 1 ed ipotesi aggravate previste nei commi successivi21. Tale articolo punisce il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (c.d. smuggling of migrants, letteralmente contrabbando di clandestini22), che deve essere tenuto distinto dalla tratta di esseri umani (c.d. trafficking of human beings23) finalizzato al successivo sfruttamento delle persone, che ne sono oggetto24. Il filo che separa lo smuggling dal trafficking è molto sottile, essendo assai frequenti i casi in cui il traffico di migranti si trasforma in vera e propria tratta25. Ciononostante, si è voluto tenere distinti le due ipotesi sia per ragioni di carattere investigativo che politico. Stante il rapporto di specialità fra le medesime intercorrente, il lavoro di ricostruzione degli elementi che compongono le diverse fattispecie ad esse riconducibili si presenta alquanto arduo. In estrema sintesi un primo elemento di differenziazione concettuale è dato dalla diversa dimensione temporale, che nel caso dello smuggling tendenzialmente coincide con la durata del viaggio, ove, nel trafficking, invece, il rapporto di sfruttamento, oltre a costituirne la finalità, si protrae anche nel Paese di destinazione. In tale ultimo caso, poi, non deve necessariamente trattarsi di trasferimento di una persona da uno Stato all’altro, potendosi verificare casi di c.d. tratta interna, nè, parimenti, di ingresso illegale, qualora il trafficato venga spostato da uno Paese all’altro; circa, poi, i metodi usati dai trafficanti, nel caso del trafficking essi sono spesso violenti, minacciosi, fraudolenti o abusivi di una situazione di vulnerabilità, intesa come qualsiasi situazione, in cui la persona non abbia una reale e accettabile alternativa che non sottomettersi all’abuso. Un ulteriore discrimine poggia, infine, sul diverso ruolo svolto dal migrante nei confronti dei trafficanti: nel caso di favoreggiamento all’immigrazione, è generalmente la persona trafficata a richiedere il servizio di ingresso migratorio illegale, investendo un capitale proprio, sicché viene a mancare il profilo di offesa alla libertà di autodeterminazione della vittima riscontrabile, invece, nella tratta. Tornando ora all’esame dell’art. 12 T.U. Immigrazione, il comma 1, dopo aver contemplato la clausola di salvezza, “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, punisce “chiunque in violazione delle disposizioni del presente testo unico compie atti diretti a procurare l'ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero ovvero atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”. A differenza della precedente previsione che, peraltro, puniva “le attività dirette a favorire” l’ingresso illegale in Italia, vengono ora sanzionate anche le condotte consistenti nel procurare l’immigrazione clandestina in un diverso Stato attraverso il transito su territorio italiano26. Il reato di favoreggiamento può essere compiuto da chiunque27, ma ha come specifico presupposto la condizione di straniero del soggetto passivo28. Il bene giuridico tutelato può essere individuato nella necessità di reprimere i flussi immigratori di stranieri privi dei prescritti requisiti di legge. Nell’oggetto della condotta sanzionata non rientra il comportamento tenuto dal migrante. Il semplice ingresso in forma clandestina o irregolare29 non è punito di per sé come reato dal nostro ordinamento avendo valenza di mero illecito amministrativo sanzionato con il respingimento e l’espulsione. La prima critica concerne proprio il fatto che venga criminalizzata un’attività di per sé penalmente irrilevante, ossia l’abusivo ingresso dello straniero30, riservando la sanzione penale solo all’ipotesi dello straniero già espulso e colpito da divieto di rientro, salva la speciale autorizzazione del Ministro dell’Interno di cui all’art.13, D. Lgs n. 286 del 1998. Appare, pertanto, evidente un’anomalia rispetto alle altre ipotesi di favoreggiamento previste dal codice penale agli artt. 378 e 379, in cui si presuppone che l’attività penalmente favorita sia a sua volta illecita31. Non è, inoltre, prevista la presenza di un’organizzazione quale presupposto materiale dell’illecito: la natura associativa è, infatti, contemplata come ipotesi aggravata, ampliandosi così enormemente le possibilità di concreta configurazione del delitto. Trattandosi di reato di mera condotta, esso si consuma con il compimento dell’attività che procura l’immigrazione clandestina, indipendentemente dall’effettivo ingresso dello straniero, purché la condotta realizzata, oltre che diretta a tale scopo32, sia anche idonea a realizzarlo. Occorre, poi, che la condotta sia avvenuta almeno in parte nel territorio italiano, non essendo punibili i comportamenti realizzati interamente all'estero. In ordine all’elemento soggettivo, il reato si perfeziona con il dolo, inteso quale coscienza e volontà di commettere atti di agevolazione dell’ingresso. Si tratta, poi, di un reato di pericolo, in quanto per la punibilità del fatto non è necessario che si verifichi in concreto alcun danno33. E’, dunque, evidente la sussumibilità della fattispecie di favoreggiamento dell’ingresso illegale, nella categoria dei delitti di attentato e nel più ampio genus dei reati a consumazione anticipata, con l’arretramento della soglia di punibilità al compimento di un fatto diretto alla realizzazione del risultato indicato, senza che occorra l’effettiva realizzazione. Stante l’assimilazione sul piano strutturale di attentato e tentativo, va da sé che il giudizio di idoneità della condotta al raggiungimento del risultato descritto deve essere eseguito in maniera alquanto rigorosa34, al fine di circoscrivere la criminalizzazione di una condotta agevolatrice di un’attività di per sé penalmente irrilevante, qual è l’ingresso illegale dello straniero. Ne deriva che l’illegalità dell’ingresso rilevante ai fini dell’applicazione della norma de qua deve essere stabilita sulla base delle disposizioni di cui al T.U. Immigrazione. Ciò significa che la fattispecie del favoreggiamento potrà dirsi perfezionata, solo quando l’ingresso dello straniero sia avvenuto in elusione delle prescrizioni ivi previste35. Anche l’identificazione dell’elemento di illiceità speciale costituito dalla illegalità dell’ingresso non è scevra da difficoltà ermeneutiche. Va, infatti, ricordato come parte della dottrina36 abbia, anche di recente, denunciato la preoccupante indeterminatezza e vaghezza della formula letterale contenuta nella prima parte delle fattispecie in parola, laddove si dà rilievo penale ad ogni tipo di violazione delle disposizioni del testo unico37. Tali critiche non hanno, però, trovato accoglimento nella giurisprudenza della Corte di Cassazione38, la quale proprio nel rigettare l’eccezione di legittimità costituzionale della fattispecie di cui all’art. 12, comma 1, per violazione del principio di tassatività e determinatezza, ha ritenuto la relativa questione manifestamente infondata in considerazione del fatto che tale norma, pur se omnicomprensiva, non sacrifica tali caratteri, potendo da essa derivare “solo una maggiore difficoltà di individuazione della fattispecie concreta, ma non anche della tipicità della fattispecie astratta, in sé compiutamente definita e comprendente ogni possibile combinazione della prevista attività diretta a favorire l'ingresso di stranieri in Italia con la violazione di ciascuna delle specifiche disposizioni del D.Lgs. in esame”39. Circa la questione se la fattispecie integri un reato di pericolo astratto o concreto, è da segnalare che la giurisprudenza40 non ha tenuto in debita considerazione il mutamento testuale della norma, in seguito al quale non dovrebbero assumere rilevanza penale quelle condotte, anche prodromiche e successive all’ingresso nel territorio nazionale, che non siano indirizzate a realizzare in via principale il valico illegale delle frontiere41, con la conseguenza che, ove emerga dagli atti uno scopo diverso, la punibilità ex art. 12, comma 1, dovrebbe escludersi. In particolare, il giudice di legittimità 42 ha precisato che al fine di stabilire la riconducibilità al reato di cui all’art.12, comma 1, anche della condotta agevolatrice successiva all’ingresso dello straniero, occorre verificare la sussistenza di un duplice presupposto: la rilevanza causale rispetto a tale ingresso, ossia il legale eziologico tra la condotta successiva ed il risultato individuato dalla norma incriminatrice, e la cointeressenza dell’attività di chi ha operato in Italia dopo l’ingresso irregolare e chi ha operato all’estero prima di tale ingresso. In realtà si è dell’avviso che un’analisi più articolata e soddisfacente degli elementi costitutivi della fattispecie in esame presupponga una lettura della norma de qua in combinato disposto con il successivo comma 5, che prevede il reato di agevolazione della permanenza illegale. Ciò significa che al fine di evitare una illegittima sovrapposizione di norme, al duplice criterio sopra richiamato sarebbe opportuno aggiungerne un terzo teso a valorizzare anche lo spazio temporale, in cui la condotta agevolatrice successiva all’ingresso dello straniero viene tenuta, potendosi ancora rientrare nell’ambito di applicazione del comma 1, solo ove il suddetto contributo si realizzi immediatamente dopo l’ingresso nel territorio dello Stato e nelle immediate adiacenze del luogo di ingresso43. Successivamente a tale momento, atti o comportamenti posteriori si porrebbero, per contro, al di fuori dell’attività di favoreggiamento strettamente intesa. 3.1 Segue: le ipotesi aggravate ex art.12, commi 3, 3-bis e 3-ter, T.U. Imm L’art. 12, comma 3, punisce “chiunque, al fine di trarre profitto anche indiretto, compie atti diretti a procurare l'ingresso di taluno nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente testo unico, ovvero a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”. Anche la fattispecie de qua rimane un’ipotesi residuale, per l’apposizione della clausola di salvezza “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato”44. A seguito delle modificazioni apportate dalla novella del 2004, la suddetta disposizione prevede esclusivamente una fattispecie incriminatrice in rapporto di specialità con il delitto di favoreggiamento dell’ingresso45. L’elemento specializzate rispetto alla figura base è rappresentato dal dolo specifico di trarre profitto anche indiretto dalla condotta46. La norma non prevede che il profitto debba essere ingiusto e che debba derivare dalla condizione di illegalità dello straniero, in ciò ulteriormente differenziandosi rispetto alla configurazione del dolo specifico offerto dal successivo comma 5 con riferimento al delitto di favoreggiamento della permanenza illegale47. Tale previsione è connotata dalle medesime ambiguità dell’illecito di procurare l’ingresso, per l’incidenza della condotta criminosa su di un fatto penalmente non rilevante, la cui strutturale indeterminatezza non risulta, del resto, compensata dal dolo specifico a cui non è attribuibile alcuna funzione selettiva. Si è, in altri termini, in presenza di un’ipotesi reato a dolo specifico differenziale, con funzione cioè differenziatrice della punibilità rispetto al fatto di favoreggiamento “semplice”, di pari offensività oggettiva. È insegnamento di autorevole manualistica, infatti, che un consimile impianto soggettivistico collida con il principio di offensività48, facendosi dipendere la diversità della sanzione da una mera intenzione offensiva, e ciò è tanto più grave ove un simile modello acceda ad uno schema di reato di attentato. L'unico correttivo per evitare “straripamenti” soggettivistici sembrerebbe consistere nell'apprezzamento dell'obiettiva idoneità della condotta a realizzare l'intenzione profittatrice, ovvero la “riconversione” ermeneutica del modello del dolo specifico differenziale in reato di pericolo concreto con dolo di danno. Anteriormente all’odierna novella, l’ipotesi criminosa in esame risultava integrata anche quando il favoreggiamento fosse realizzato da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti (art. 12, comma 3, secondo periodo, precedente formulazione). Oggi, per contro, a seguito della legge n. 271 del 2004, siffatte ipotesi comportamentali vengono espunte ed inserite nel corpo del comma 3-bis attraverso la previsione di una nuova lettera, la “c bis” e con ciò trasformate in elementi integratori di circostanze ad efficacia comune. Viene, inoltre, riformulato l’esordio del comma 3-bis al fine di estendere le circostanze ivi previste anche al delitto di favoreggiamento all’ingresso illegale di cui al comma 1. Tra le ipotesi aggravate del delitto di favoreggiamento dell’ingresso clandestino, accanto a quella contemplata dall’art. 12, comma 3, vanno annoverate quelle disciplinate, rispettivamente ai commi 3-bis e 3-ter, espressamente qualificate dalla giurisprudenza della Cassazione come circostanze aggravanti ad effetto speciale49, che in linea con il rigore repressivo che caratterizza l’intera normativa, vengono sottratte al giudizio di bilanciamento. Inoltre, al fine di rafforzare l’effetto deterrente delle norme in esame, l’art.12, comma 4, prevede, nei casi di cui ai commi 1 e 3, da un lato, l’obbligatorietà dell'arresto in flagranza50 e la confisca obbligatoria51 del mezzo utilizzato per il trasporto dei clandestini anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti contrariamente a quanto previsto dall’art. 444 c.p.p. in tema di sanzioni accessorie; dall’altro, quanto al rito, che si proceda “comunque con giudizio direttissimo”52, con l’eccezione dell’ipotesi in cui occorra svolgere speciali indagini. 3.2 Segue: il delitto di favoreggiamento della permanenza illegale La disposizione di cui all’art. 12, comma 5, integrato da ultimo dalla L. n. 125 del 2008, di conversione del D. L. n. 92 del 200853, ha anch’essa natura residuale per espressa previsione legislativa, ricorrendo fuori dei casi di favoreggiamento dell’ingresso illegale e salvo che il fatto non costituisca più grave reato. Essa prevede un’ipotesi di reato aggravata, che presenta elementi di connessione fra lo smuggling e il trafficking54, che rendono estremamente problematica la fissazione di confini chiari fra le diverse attività55. Più nello specifico tale norma punisce “chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico”. Sul piano descrittivo esistono tre importanti differenze fra la fattispecie de qua e l’ipotesi semplice di favoreggiamento. Innanzitutto la diversa formula usata “favorisce la permanenza” sancirebbe per il delitto in esame l’abbandono della tecnica della consumazione anticipata, rendendo qualificabile tale figura come reato di evento56. Ma l’indirizzo giurisprudenziale prevalente è nel senso di ritenere anche il delitto di agevolazione della permanenza illegale un reato di mera condotta, nonostante la diversità lessicale che lo connota rispetto al reato di favoreggiamento dell’ingresso clandestino. La permanenza dello straniero protrattasi per un certo periodo di tempo non assurge, infatti, ad elemento costitutivo della fattispecie, bastando il compimento di attività dirette a favorirla al fine di trarne ingiusto profitto57. In secondo luogo, un altro elemento di differenziazione riguarda l’atteggiamento soggettivo che deve qualificare le condotte interdette. Mentre, infatti, il delitto di favoreggiamento dell’ingresso clandestino è costruito come fattispecie a dolo generico, il reato di favoreggiamento della permanenza prevede la particolare configurazione del dolo specifico di profitto, che deve essere ingiusto e derivare dalla condizione di illegalità dello straniero: è richiesta una precisa correlazione tra la condizione di illegalità ed il profitto che da esso deriva, che si sviluppa non già solo sul piano oggettivo, ma su quello delle finalità assunte dall’agente. Il favorire la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato è punita, inoltre, quando l’agente abbia operato “nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo”. Difficile appare, invero, l’esegesi di questa disposizione. Si ritiene che quest’ultima precisazione induca il passaggio della fattispecie delittuosa dall’ambito del traffico di migranti a quello di tratta di persone a scopo di sfruttamento. La giurisprudenza ha ritenuto che la norma, per quanto ambigua e mal formulata, si riferisca alle condotte di agevolazione del soggiorno in Italia caratterizzate dall’intento di reclutare persone da destinare alla prostituzione o minori da sfruttare in attività illecite58. Tale esegesi è condivisibile e tiene in debita considerazione la natura residuale della norma. In altri termini, una corretta interpretazione della locuzione “nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo” comporta la rilevanza delle sole circostanze aggravanti del fine di prostituzione e di sfruttamento di minori, non anche di altre condotte, che concreterebbero più propriamente modalità di esecuzione del solo favoreggiamento dell’ingresso clandestino, sia esso a dolo generico o a dolo specifico59. 4. Delitto di indebito trattenimento dello straniero espulso Tra i reati previsti in collegamento all’espulsione60, l’ipotesi più frequente nelle aule di giustizia è quella contemplata all’art.14, comma 5-ter, T.U. Immigrazione, attraverso cui si è inteso incriminare il comportamento dello straniero che, senza un giustificato motivo61, ometta di lasciare il territorio italiano nel termine di legge. L’illecito, a seconda delle ragioni sottese all’espulsione, presenta natura di delitto (primo periodo della disposizione) o di contravvenzione (secondo periodo). Una volta accertato che l’interessato si è trattenuto indebitamente nel territorio dello Stato, l’amministrazione deve procedere “in ogni caso” all’adozione “di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica” (terzo periodo)62. Il successivo comma 5-quater stabilisce che debba rispondere di uno specifico reato, punito più o meno gravemente, lo straniero che venga trovato nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico dopo essere già stato espulso ai sensi del comma 5-ter “primo periodo” (reclusione fino a cinque anni) e del comma 5-ter “secondo periodo” (reclusione per un massimo di quattro anni”)63. Sul piano strutturale la fattispecie in esame rileva affinità con le figure di reato incentrate sull’osservanza di un provvedimento amministrativo64. L’ordine di allontanamento del questore ex art. 14, comma 5-bis65, la cui violazione integra l’ipotesi di indebito trattenimento di cui al primo periodo della norma in commento, costituisce una modalità di esecuzione dell’espulsione66, che presuppone l’impossibilità di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea o di accompagnarlo alla frontiera, con ciò riversandosi discutibilmente sullo straniero l’onere di eseguire l’espulsione, laddove lo Stato non riesca a farvi fronte con mezzi propri67. La legittimità dell’ordine del questore dipende, inoltre, dalla legittimità del provvedimento con cui, a monte, è stata disposta l’espulsione dello straniero alla cui esecuzione mira il provvedimento di allontanamento disatteso e che costituisce un “antecedente logico”68 del reato in esame; ciò assume ancor più rilevanza a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 271 del 2004, in base alle quali le pene edittali si differenziano a seconda del provvedimento espulsivo comminato in origine, che, dunque, diventa un “discrimen tra fattispecie delittuose e fattispecie contravvenzionale”69. Nella previsione originaria la fattispecie penale in esame era prevista come illecito contravvenzionale passibile di arresto obbligatorio. La Corte costituzionale con sentenza 15 luglio 2004, n. 223 dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies per violazione degli artt. 3 e 13 Cost. “nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo 14 è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto”, risultando priva di senso l’adozione di un provvedimento precautelare, laddove non possa essere validamente disposta, in sede di convalida, la misura cautelare in carcere né alcun altra misura coercitiva di tipo cautelare stante il disposto dell’art.380 c.p.p70. L’arresto, pertanto, non essendo finalizzato alla successiva adozione di un provvedimento cautelare, “si risolve in una limitazione “provvisoria” della libertà personale priva di qualsiasi funzione processuale ed è quindi, sotto questo aspetto, manifestamente irragionevole”. La novella del 2004 interviene a colmare il vuoto legislativo creato dalla declaratoria di incostituzionalità, attraverso una riformulazione della norma censurata, che disattende il contenuto garantistica dell’intervento della Consulta: il primo periodo dell’art.14, comma 5-ter prevede ora la violazione dell’ordine di allontanamento come delitto punibile con la reclusione da uno a quattro anni (ad eccezione del caso di espulsione motivato dall’essere scaduto il permesso di soggiorno, per cui viene ancora mantenuta la pena dell’arresto da sei mesi a un anno). L’inasprimento della pena è, infatti, precondizione per l’obbligatorietà dell’arresto prevista al successivo comma 5-quinquies71. Il testo novellato, come era prevedibile, viene nuovamente sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale. Un primo profilo di costituzionalità sorge in merito alla manifesta ed irragionevole sproporzione della pena prevista per l’inosservanza dell’ordine del questore rispetto non soltanto alla pena precedentemente comminata, non trovando tale inasprimento sanzionatorio giustificazione in significativi mutamenti del contesto sociale di riferimento, ma anche con riguardo alle pene previste per le ipotesi analoghe di cui agli artt. 650 c.p. e 2, L. 27 dicembre 1956, n. 142372. In particolare, si obietta che la condizione di straniero irregolare non può di per sé rappresentare un situazione di pericolosità sociale tale da giustificare una siffatta disparità di trattamento, soprattutto quando si pensi che del reato possono essere chiamati a rispondere soggetti non pericolosi, né mai processati o condannati per altri comportamenti criminosi73. Si ritiene, inoltre, che la pena prevista dall’art. 14 ,comma 5-ter non sembra avere alcun fine rieducativo, ma sia volta alla soddisfazione di mere esigenza processuali (quali quella di consentire l’immediato arresto obbligatorio in flagranza, il rito direttissimo immediato o nei 15 giorni74, e l’espulsione immediata), con ciò ripristinando in forma aggravata ciò che la Consulta aveva censurato con la sentenza n. 223 del 2004 richiamata75. La Corte costituzionale con sentenza 2 febbraio 2007, n. 22 dichiara questa volta inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14 commi 5-ter e 5-quinquies del D.Lgs. n. 286 del 1998, in riferimento agli artt. 2, 3 e 27 Cost., nella parte in cui la norma prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio italiano in violazione dell’ordine di espulsione del Questore, nonché l’arresto obbligatorio, sollevate dai Tribunali di Genova, Bologna, Ancona, Gorizia, Trieste, Milano, Trani76 e Verona, ma invita il legislatore a eliminare al più presto gli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie che caratterizzano il quadro normativo in materia di immigrazione77. A parere della Consulta il controllo dei flussi migratori rappresenta un grave problema sociale, umanitario ed economico, che implica valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e sicurezza pubblica né sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione. Il sindacato di costituzionalità può investire le pene scelte dal legislatore solo se sia evidente la violazione del principio di ragionevolezza, ossia solo nel caso in cui esistono fattispecie di reato sostanzialmente identiche, ma sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio. La Corte ritiene, in altri termini, che il caso di specie non integri una di quelle ipotesi in cui la stessa può legittimamente verificare l’uso della discrezionalità legislativa nella determinazione della qualità e quantità della sanzione penale, in quanto non si riscontra una sostanziale identità tra le fattispecie prese in considerazione. In realtà, tale lettura non convince, ritenendosi che le norme richiamate siano legate da un rapporto di affinità, che vede l’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, in buona sostanza, nient’altro che una specificazione dell’art. 650 c.p.. Peraltro, nelle ordinanze di rimessione de quibus l’art.3 Cost. si asserisce violato non solo in comparazione con altre norme penali che prevedono fattispecie simili, ma anche per intrinseca irragionevolezza, avuto riguardo al rapporto di proporzionalità necessaria tra gravità del disvalore sociale del fatto ed entità delle sanzioni. Va a tal proposito menzionata quell’evoluzione giurisprudenziale secondo cui il rispetto di tale principio nel diritto penale “equivale a negare legittimità alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalità statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all’individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla società sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest’ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni”78. In sintesi il suddetto orientamento ha portato il giudice delle leggi ad affermare che la finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, comma 3, Cost. non sia limitata alla sola fase dell’esecuzione, come precedentemente affermato79, ma costituisca “una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue”80, implicando, quindi, un costante “principio di proporzione” tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra81. Pertanto, ancorando il giudizio di ragionevolezza e proporzionalità ai suddetti parametri costituzionali così come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale più lungimirante82, la Consulta avrebbe dovuto pronunciare la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione in esame, nella convinzione della palese incongruenza della previsione sanzionatoria impugnata. Non vi è, infatti, dubbio che la norma, fortemente punitiva sotto il profilo sia sostanziale che processuale, introduca una forma di diritto speciale penale per l’immigrato clandestino, concepita nel segno della differenziazione tra cittadini e, appunto, non cittadini. Viene, infatti, conferita rilevanza alla mera condizione soggettiva di straniero irregolare inottemperante, a cui si ricollegano conseguenze giuridiche diverse, segnatamente assai più severe, senza che a tale qualifica sia possibile imputare una reale pericolosità sociale, tenuto, altresì, conto di altri casi di arresto obbligatorio, ove si rinvengono situazioni concrete di danno ad interessi protetti di rango costituzionale83. 5. Criteri interpretativi per distinguere l’ipotesi di abolitio criminis e abrogatio sine abolitione in caso di modifica immediata di fattispecie penale Nell’ambito della più ampia materia della successione di leggi penali nel tempo, si inserisce il fenomeno della c.d. abolitio criminis, che può verificarsi in due modi, o mediante abolizione84 di una fattispecie incriminatrice o sua sostituzione85. Sono, infatti, frequenti i casi di modifiche legislative articolate nell'abrogazione espressa di una precedente fattispecie e nella contestuale previsione, nell'ambito della stessa materia, di nuove incriminazioni, che rispetto alle previgenti possono risultare strutturalmente eterogenee, oppure presentare un’omogeneità logico-strutturale, al cui accertamento segue l’analisi del tipo di specialità (rapporto di genere a specie o viceversa) esistente fra le norme succedutesi nel tempo. In genere, la riformulazione del bene giuridico protetto o delle modalità di offesa determina una restrizione dell’ambito applicativo dell'incriminazione, così specializzando la tutela penale86. Ovviamente anche la degradazione di un reato ad illecito amministrativo (c.d. depenalizzazione) dà luogo ad abrogazione87. Con l’abrogazione di una norma viene meno il precedente giudizio di disvalore astratto, eliminandosi la qualificazione di illiceità penale di un determinato comportamento. Invero, tale fenomeno non si produce automaticamente, ossia in tutti i casi in cui si verifica l’espressa abrogazione di una disposizione88. L'interprete è, infatti, tenuto a verificare se tale abolizione89 o la modifica di un enunciato legislativo abbia effettivamente prodotto una abolitio criminis vera e propria oppure una c.d. abrogatio sine abolitione: nonostante l'espressa abrogazione da parte del legislatore di una disposizione incriminatrice, la fattispecie legalmente contemplata come reato (ovvero una o più delle sottofattispecie legali) continua ad essere penalmente rilevante90. In altri termini si è in presenza di un fenomeno di abolitio criminis parziale91, quando vi è stata successione soltanto modificativa fra le norme incriminatrici: la norma successiva toglie vigore a quelle condotte legali ricomprese nella norma previgente non più richiamate. Pertanto, la norma di riferimento sarà per la porzione di incriminazione eliminata l’art. 2, comma 2, c.p., per la parte, invece, che continua ad essere vigente, il successivo comma 4 della suddetta disposizione, alla cui stregua troverà applicazione la lex mitior, salvo il caso in cui sia già stata pronunciata una sentenza irrevocabile92. Più precisamente, l'ipotesi di abolizione parziale di una incriminazione ricorre in presenza di due norme incriminatrici che si avvicendano nel tempo, e che si pongono in rapporto di specialità tra loro. Come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità93, per stabilire se tra due norme sussista o meno continuità normativa, occorre innanzitutto valutare se vi è omogeneità strutturale tra fattispecie astratte, in caso di esito positivo, occorre, inoltre, individuare la relazione di specialità tra le stesse intercorrente. Tale rapporto di specialità può essere per specificazione o per aggiunta: ricorre la prima ipotesi quando venga a realizzarsi un rapporto di genere a specie fra uno o più elementi delle due fattispecie, nel secondo caso, invece, la norma speciale presenta alcuni elementi specializzanti, che si aggiungono a quelli costitutivi della norma generale, determinando un restringimento della sua sfera di applicazione. Di talché, mentre nella specialità per specificazione la fattispecie generale include sempre tutti gli elementi descrittivi della fattispecie speciale, nella specialità per aggiunta è, piuttosto, la fattispecie speciale a includere tutti gli elementi descrittivi di quella generale, oltre all'elemento aggiuntivo che la caratterizza94 . Tanto nel primo quanto nel secondo caso, quindi, “sarebbe riscontrabile una situazione di doppia punibilità in astratto, cui si ricollega una relazione di continuità” 95 normativa. Più nello specifico, nell’ipotesi di specialità per specificazione, il legislatore prevede con la nuova disciplina lo stesso reato, ma conferma la punibilità di solo una parte dei fatti prima sanzionati; ne segue che per quei fatti per cui permane l’illiceità, non c’è abolitio criminis, ma una vicenda modificativa di disciplina; per quelli per cui, all’opposto, l’illiceità penale non è confermata, non si può che sostenere la sussistenza del fenomeno abrogativo parziale. Nella seconda ipotesi di specialità, invece, la valutazione di continuità o meno non può prescindere dall’esame dell’elemento speciale introdotto: in tali casi, infatti, non si ha mai un fenomeno abrogativo parziale per le condotte di cui non è ribadita la penale rilevanza, in quanto se l’elemento specializzante ha una portata tale da esprimere la volontà del legislatore di punire un diverso disvalore, e quindi, di mutare la propria scelta punitiva, si verifica un’abolitio criminis totale; nel caso contrario, in cui non è ravvisabile tale mutamento, dato che la norma non riduce l’ambito di penale rilevanza dei fatti già puniti, ma, anzi, introduce un ulteriore elemento aggiuntivo, non si ha alcuna abolitio criminis, ma modificazione di disciplina ex art.2, comma 4, c.p.96. Il tema in esame è oggetto di un vasto dibattito sia giurisprudenziale che dottrinale, alimentato dalle numerose vicende legislative, che hanno recentemente apportato modifiche a vari settori dell’ordinamento e nel cui ambito non è sempre risultato agevole distinguere le ipotesi di abrogazione da quelle di successione di leggi penali meramente modificative. Ciò detto, per una corretta impostazione del problema si ritiene opportuno passare ora in rassegna, anche se non in modo compiuto, le varie impostazioni teoriche avanzate da dottrina e giurisprudenza, al fine di stabilire quando vi sia o meno continuità normativa fra due fattispecie penali97. 5.1 Segue: le posizioni dottrinali e giurisprudenziali Nonostante gli sforzi compiuti, la dottrina e la giurisprudenza non sono ancora giunte ad una posizione unitaria circa l’individuazione dei criteri e requisiti, alla stregua dei quali una legge o disposizione possa definirsi speciale rispetto ad un’altra; il problema centrale verte sull’estensione del principio di specialità non solo alle ipotesi di integrale sovrapposizione delle fattispecie astratte concorrenti, ma anche al caso in cui la sovrapposizione risulti solo parziale98. Diverse le teorie elaborate e variamente applicate, di cui darà ora breve lettura. Una prima impostazione, risalente nel tempo, ritiene che per verificare se si è in presenza di un rapporto di continuità normativa occorre accertare, se il fatto storico concreto rientri nell’ambito di applicazione tanto della norma precedente, quanto di quella riformulata (c.d. “teoria del fatto concreto”)99; in tale ipotesi, infatti, il giudizio di disvalore permarrà, essendosi verificata una mera successione nel tempo di norme modificatrici e non una vera e propria abrogazione. Nonostante la sua estrema facilità applicativa, il limite più evidente di tale teoria è che, focalizzando l’attenzione sulle condotte concrete, non permette di tracciare a priori i confini precisi fra lecito ed illecito, il che comporta il rischio di applicazioni retroattive della nuova incriminazione. Un secondo indirizzo elabora un criterio di natura sostanzialistico-valoriale, volto a delineare la continuità d’incriminazione, laddove alle norme poste in successione sia comune un nucleo di disvalore, determinato dal bene giuridico tutelato e dalle modalità dell’offesa, tipizzate dalle fattispecie poste a confronto100. Secondo la teoria della continuità del tipo di illecito, pertanto, si verifica un fenomeno successorio, allorquando, nonostante la novazione legislativa, nel passaggio dalla previgente alla nuova norma, tali parametri di valutazione permangono sostanzialmente invariati101. A tale impostazione si muovono, tuttavia, due critiche fondamentali: si è in primo luogo obiettato che a fronte di una verifica rigorosa circa l'identità del bene offeso e delle modalità aggressive, il criterio avrebbe un ambito di applicazione assai ristretto; se, invece, al contrario tale indagine si avvalesse di criteri di natura eminentemente valutativa, il principio interpretativo sarebbe suscettibile di apprezzamenti di valore labili ed incerti, alla stregua dei quali si finirebbe per conferire rilevanza a profili del fatto che non dovrebbero averne, col conseguente rischio di violazione del principio di irretroattività102. A tale teoria si contrappone, quindi, un terzo criterio, di natura formale, definito della piena continenza103, poi integrato e sostituto dalla teoria dei rapporti strutturali fra due fattispecie incriminatrici succedutesi nel tempo, che fonda il giudizio di continuità normativa sulla sostanziale omogeneità degli elementi costitutivi caratterizzanti la norma precedente e quella sopravvenuta. In base a quest'ultima impostazione, il fenomeno successorio è, quindi, riscontrabile, ogniqualvolta il legislatore, nel riformulare la fattispecie, abbia previsto una condotta caratterizzata da elementi pienamente sovrapponibili a quelli contemplati nella versione precedente, tale per cui possa tra le stesse instaurarsi una relazione di genere a specie. Naturalmente può rinvenirsi un rapporto di specialità reciproca, nel senso che sussisterebbe continuità di incriminazione tanto nel caso in cui la nuova norma sia speciale rispetto alla precedente (limitatamente all’area di illecito delineata dalla nuova norma), quanto nel caso inverso, in cui la precedente norma sia speciale rispetto alla nuova (limitatamente all’area di illecito delineata dalla vecchia norma)104. Fra le pronunce in cui si assiste ad un allontanamento dal criterio della continuità del tipo di illecito a favore di quello incentrato sul raffronto formale tra le fattispecie vale la pena annoverare, a titolo esemplificativo, una recente sentenza105 delle Sezioni Unite in materia di false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta impropria. Il Supremo Collegio, prendendo le mosse dalle vicende legislative rispettivamente concernenti gli artt. 2621 c.c. e 223, comma 2, L. Fall. (R. D., 16 marzo 1942, n. 267), ha precisato che, ai fini della distinzione tra abolitio criminis e successione di leggi penali nel tempo, il criterio da seguire è costituito dalla comparazione strutturale tra le fattispecie astratte, ulteriormente specificando che lo stesso si basa sulla ricerca di un’area di coincidenza tra gli elementi oggettivi e soggettivi, individuati dalle leggi succedutesi nel tempo, a prescindere dalle valutazioni concernenti i beni oggetto della tutela penalistica e le modalità dell’offesa, parametri che si sarebbero dimostrati, alla prova dei fatti, inidonei a “condurre ad approdi interpretativi sicuri”. La Corte stabilisce, inoltre, che il ricorso ad un controllo bifasico, che faccia seguire ad un verifica strutturale una verifica valutativa, “non sia di regola necessario e debba avvenire solo se vi sono elementi univocamente indicativi di una volontà legislativa totalmente abolitrice”, che, peraltro, nel caso di specie è già desumibile dall'esame logico-strutturale delle norme in successione. 6. La successione mediata di norme penali Come noto, il criterio di formulazione della norma penale consiste nella descrizione materiale di un determinato comportamento. Talora la legge, nell’indicazione degli elementi di una fattispecie incriminatrice, può fare ricorso anche ad elementi normativi106. Trattasi di dati rilevanti per l'ordinamento giuridico richiamati dalla norma incriminatrice e caratterizzati da un parametro valutativo variabile al mutare dei tempi e dei luoghi. Essi, per un corretto inquadramento, possono necessitare di eterointegrazione giuridica o extragiuridica107, che ne precisi la portata. L’interrogativo che si pone in questa sede è se la modifica di una norma giuridica richiamata da un elemento normativo108 dia luogo ad una vicenda successoria riconducibile nell’alveo di applicazione dell’art. 2 c.p.. Numerose sono le ipotesi prospettabili: da quella classica dell’abrogazione del reato rispetto al quale è stata presentata una denuncia di calunnia, ai casi in cui venga meno, a seguito di un provvedimento legislativo o amministrativo, la qualità di pubblico ufficiale. Trattatasi di un problema alquanto dibattuto e ricorrente, soprattutto a causa della necessità di adeguare le fattispecie di reato ad una realtà fattuale in continuo cambiamento, che comporta una crescente interdipendenza degli ordinamenti giuridici, nonché dei vari rami di cui gli stessi, singolarmente considerati, si compongono. 6.1 Segue: gli indirizzi dottrinali Anche nella materia de qua è, pertanto, ravvisabile una varietà di opinioni dottrinali109 più articolata rispetto alle draconiane decisioni della giurisprudenza, indirizzate bruscamente o verso l’assoluta irrilevanza o, viceversa, verso la piena rilevanza delle modifiche mediate della fattispecie penale. In via di estrema sintesi, l’orientamento tradizionale ritiene che l’art. 2 c.p. non trovi applicazione nell’ipotesi di successione di mere norme integratrici della legge penale, in quanto esse influirebbero sulla previsione incriminatrice senza, però, farne parte110. Si obietta, però, in chiave critica, che una siffatta interpretazione finirebbe per dare rilievo a fatti che in seguito alla sopravvenuta modifica hanno perso di rilevanza. L’interpretazione estensiva sarebbe, peraltro, suffragata dal dato testuale dell’art. 2 c.p., che, pur se intitolato “successione di leggi penali”, descrive, poi, il suddetto fenomeno in modo asettico, parlando genericamente di “legge”. Occorre, invero, stabilire, se in seguito all’abrogazione della norma integratrice della fattispecie penale111, sia venuto meno il disvalore penale del fatto criminoso anteriormente commesso e di conseguenza la ratio puniendi ad esso sottesa. Nell’ambito di tale ultima impostazione dottrinale sono enucleabili diversi indirizzi interpretativi112, che non permettono di pervenire ad una soluzione univoca. Basti dire che secondo alcuni interpreti, i parametri alla cui stregua deve essere compiuta l’indagine ermeneutica circa la coincidenza dell’area di illiceità, andrebbero individuati nella modalità di aggressione e nel bene giuridico tutelato, la persistenza dei quali, pur nella riscrittura della norma, escluderebbe il fenomeno abolitivo113. Altra parte della dottrina114, invece, utilizza un criterio rigorosamente normativo. Forti contrasti si registrano, ad esempio, in riferimento applicabilità dell’art. 2, comma 2, c.p. nel caso di abrogazione del reato presupposto nel delitto di calunnia. Ad avviso di alcuni, la calunnia, avendo natura di reato di pericolo, si consuma con l’insorgere della semplice possibilità che si instauri un processo penale e che, quindi, venga condannato un innocente115, senza che possa incidere sul disvalore del fatto la successiva depenalizzazione del delitto oggetto di falsa incolpazione. A parere d’altri, al contrario, la depenalizzazione del reato presupposto inciderebbe in modo decisivo sul disvalore penale del fatto commesso, con conseguente operatività della disciplina di cui all’art. 2, comma 2, c.p.116 Contrapposizioni si verificano, altresì, in relazione al mutamento che abbia ad oggetto norme integratrici extragiuridiche che rinviano, com’è noto, a criteri di tipo socio-culturale: si pensi, ad esempio, al caso in cui cambi il parametro sociale alla stregua del quale si valuta l’oscenità di una determinata condotta. A fronte di un orientamento dottrinale favorevole all’applicabilità anche a tali casi della disciplina di cui all’art.2 c.p.117, vi è un altro indirizzo che, invece, la nega recisamente118. Invero, in rapporto ai concetti normativi etico-sociali, non si potrebbe parlare propriamente di modifiche mediate della fattispecie, posto che il mutamento di una norma di costume non integrerebbe, a rigore, un fenomeno di successione di leggi nel tempo. In questo caso, si pone semmai, con ogni probabilità, un distinto, ma non per questo meno importante, problema di interpretazione evolutiva della fattispecie incriminatrice. In ordine, poi, alle c.d. norme penali in bianco, la posizione prevalente119 è quella secondo cui l’abrogazione della disposizione realmente integratrice, agendo in via non indiretta, ma diretta sulla norma, importa quella liceità del comportamento alla stregua del giudizio di valore astratto che è essenziale nell’art. 2, comma 2, c.p.120. 6.2 Segue: il panorama giurisprudenziale Negli ultimi anni la tematica della successione di elementi normativi della fattispecie è stata spesso oggetto di indagine giurisprudenziale; si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi concernenti la depenalizzazione del reato presupposto nella calunnia e nell’omessa denuncia, l’abolitio criminis del reato-scopo nei delitti associativi, la perdita della qualifica soggettiva ad opera di legge extrapenale nei c.d. reati propri, la punibilità del rifiuto di prestare il servizio militare in seguito all’abrogazione del servizio di leva obbligatorio e, più di recente, la nozione di imprenditore fallibile alla luce del nuovo assetto normativo ex D. Lgs., 9 gennaio 2006, n. 5, che ridisegna i criteri soggettivi rilevanti ai fini dell’assoggettabilità alla procedura fallimentare ed ai relativi illeciti penali. La questione ha trovato divergenti soluzioni e, nonostante la maturità e diffusione di alcune tesi, non è possibile risalire a criteri diagnostici sufficientemente stabili, mediante i quali sia consentito ai giudici di applicare nel caso concreto un istituto piuttosto che un altro. In questa sede, non potendosi procedere ad un’elencazione esaustiva della relativa casistica, attese le peculiarità che connotano ogni singola vicenda giudiziaria, maggior rilievo verrà dato soprattutto a quelle pronunce, in cui l’interprete ha optato per l’operatività dell’istituto successorio a norma dell’art. 2, comma 2, c.p. nell’ipotesi di modifica di norma extrapenale. Emblematico delle suddette difficoltà ermeneutiche può considerarsi il caso relativo alla trasformazione dell’ENEL in società per azioni ad opera della L. 8 agosto 1992, n. 359, in seguito a cui è sorto il problema se il novum legislativo avesse inciso sulla struttura della fattispecie sanzionata dall’art. 468 c.p., commessa anteriormente all’entrata in vigore della succitata legge di privatizzazione. Al riguardo si sono sostanzialmente registrati due diversi indirizzi interpretativi: secondo un primo orientamento l’intervenuto mutamento del regime giuridico dell’ENEL non “ha affatto modificato il contenuto delle norme incriminatrici e perciò rimane immutata la punibilità della contraffazione dei sigilli, strumentale alla sottrazione di energia elettrica commessa”121 in data anteriore, in base alla considerazione che la modifica mediata di una fattispecie incriminatrice, attraverso la modificazione o l’abrogazione di norme extrapenali che implicitamente ne determinano l’ambito applicativo, non è automaticamente ascrivibile al fenomeno della successione di leggi nel tempo. A conclusioni diverse giungono, invece, altre pronunce in cui si afferma che tale trasformazione “non rende più configurabile la fattispecie di contraffazione del sigillo di un ente pubblico, prevista dall’art. 468 c.p.”122. Tale norma, infatti, al fine di individuare un elemento essenziale del precetto penale (l’ente pubblico), fa rinvio alla norma (extrapenale) che specifica la natura dell’ente, la quale, pertanto, non può che qualificarsi come norma penale integrativa; né vale osservare che la legge n. 359 del 1982, essendo una tipica legge-provvedimento e, quindi, un atto sostanzialmente amministrativo, non è tale da modificare la norma incriminatrice, dato che anche la norma amministrativa può integrare o costituire il precetto penale123. Secondo tale, preferibile, impostazione, in altri termini, la ratio della diretta applicazione dell’art.2, comma 2, c.p., anche alle norme (extrapenali) integratrici della fattispecie penale, va individuata nel venir meno, con la modifica della disciplina, del disvalore sociale del fatto124, ossia il presupposto logico, ragionevole ed imprescindibile della sanzione penale. Analogamente, in applicazione dei criteri suddetti, la Corte di Cassazione, ha ritenuto non configurabili i reati di peculato e malversazione in capo ad operatori bancari, per fatti precedentemente compiuti, asserendo che la perdita della qualifica pubblicistica seguita al cambiamento della natura giuridica dell’ente di appartenenza125 possa considerarsi come una successione mediata abolitrice della norma penale. Alle stesse conclusioni la giurisprudenza è, altresì, pervenuta, nell’ipotesi della maggiore età, passata da 21 anni a 18 a partire dall’entrata in vigore della legge 8 marzo 1975, n. 39 126. Del medesimo avviso, inoltre, le pronunce, ove si afferma il venir meno del reato di violazione di domicilio, quando per legge extrapenale viene modificato il concetto di domicilio127, nonché del delitto di contrabbando, quando la normativa fiscale abolisce l’imposizione dei diritti di confine128. Lo stesso esito viene, parimenti, raggiunto con riguardo al delitto di esercizio abusivo della professione previsto dall’art. 348 c.p.: come noto tale previsione integra una norma penale in bianco, che, come già accennato, postula per la sua stessa natura l'esistenza di altre fonti normative destinate a stabilire le condizioni oggettive e soggettive integranti il contenuto precettivo della fattispecie incriminatrice129. Ergo, per accertare se un’attività sia stata esercitata in mancanza del titolo richiesto, ossia abusivamente, occorre avere preliminarmente chiari i limiti ed i contenuti delle varie normative di settore, a cui si deve fare di volta in volta rinvio. Circa, poi, la rilevanza di modifiche concernenti atti giuridici non normativi, come, ad esempio, il provvedimento di natura amministrativa richiamato dal reato di cui all’art. 650 c.p., parte della giurisprudenza130 ritiene l’emanazione di nuovi atti o il mutamento del loro contenuto irrilevante, poiché gli stessi sono da considerarsi elementi del fatto, o elementi occasionali, che devono sussistere solo al momento della commissione del reato. A parere di altro orientamento131, invece, la soluzione non può ritenersi automatica, dovendosi sempre effettuare una valutazione concreta del permanere del disvalore penale del fatto ai sensi dell’art. 49, comma 2, c.p., anche con riguardo alle integrazioni non normative. Relativamente agli effetti dello jus superveniens sulla punibilità del delitto di calunnia, il giudice di legittimità mostra, invece, di prediligere un orientamento rigoristico, nel senso di escludere tout court l’applicazione dell’art. 2 c.p., nel caso in cui il fatto oggetto di falsa incolpazione non costituisca più reato (o diventi procedibile a querela e questa non sia stata proposta)132. Va, altresì, segnalato il dibattito giurisprudenziale, che si è sviluppato con riguardo alla punibilità della condotta di rifiuto a prestare il servizio militare posta in essere prima dell’entrata in vigore della L., 14 novembre 2000, n. 331, che ha istituito il servizio militare professionale ed ha previsto la sostituzione dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa e con personale civile del Ministero della Difesa133. L’introduzione della suddetta normativa ha dato luogo ad un acceso contrasto interpretativo, anche a causa di un dettato legislativo caratterizzato da un certo pressappochismo linguistico: l’interrogativo è se tale riforma abbia o meno comportato l’abolizione del reato di cui all’art.151 c.p.m.p. (così come ogni altra norma incriminatrice di condotte di rifiuto del servizio militare), che punisce il mancato rispetto della chiamata c.d. obbligatoria alle armi, ovvero abbia dato luogo ad un mero fenomeno di successione di norme. A fronte di un indirizzo interpretativo favorevole alla tesi dell’intervenuta abolitio criminis del reato in esame in conseguenza della totale e generalizzata eliminazione del servizio militare obbligatorio134, si registrano sentenze di senso contrario135, che inquadrano il rapporto fra nuova e previgente disciplina in tema di servizio militare obbligatorio nell'ambito dell’art. 2, comma 4, anziché dell’art. 2, comma 2, c.p. Trattasi di un indirizzo prevalente, secondo cui, più nello specifico, la nuova disciplina avrebbe semplicemente fatto venir meno una norma integratrice del precetto penale, che riguarda esclusivamente i giovani nati prima del 1985, assoggettati all'obbligo di leva sino al 31 ottobre 2005 (data di cessazione dal servizio dell'ultimo contingente chiamato alle armi il 31 dicembre 2004 ex art. 1, L. 23 agosto 2004 n. 226), poiché fino a tale data permane la fattispecie incriminatrice. Successivamente al 31 ottobre 2005, l’abolizione del servizio di leva obbligatorio determina un’abolitio criminis e, quindi, la non punibilità del reo in applicazione dell’art. 2, comma 2, c.p.. Di poco successivo alla sentenza in commento è, poi, un altro importante arresto giurisprudenziale, anch’esso emesso a Sezioni unite, secondo cui la modifica della definizione legale di “piccolo imprenditore” prevista dall’art. 1, L. Fall., ad opera dell’art. 1, D.Lgs., 9 gennaio 2006, n. 5 e ss. modifiche, non ha dato luogo, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta (art. 216 L. Fall.), ad una successione di norme integratrici del precetto penale, rilevante a norma dell’art.2, comma 2, c.p., in quanto non incidente su un elemento strutturale della fattispecie penale. Ne consegue che permane la punibilità dell’imprenditore, dichiarato fallito sulla base della pregressa normativa, anche se in un momento successivo alla commissione del fatto non possa essergli più attribuita, in forza della nuova norma definitoria, la qualifica di “piccolo imprenditore”, come tale non soggetto alla disciplina del fallimento. La Corte, aderendo al più risalente indirizzo interpretativo, conclude, quindi, nel senso della vincolatività in sede penale dell’accertamento dello status di imprenditore contenuto nella declaratoria di fallimento pronunciata dal giudice civile136. Dalle sentenze passate in rassegna, si evince chiaramente che l’orientamento della prassi applicativa in subiecta materia non è affatto omogeneo e compatto. Ad aggravare la situazione, contribuisce, altresì, la circostanza che, in diverse pronunce, i passaggi argomentativi a supporto o meno della natura integrativa della fonte che subisce la modifica, sono alquanto scarni e apodittici, in quanto non enunciano in termini chiari e convincenti il criterio generale ed univoco in grado di determinare non soltanto l’incidenza della norma extrapenale sulla portata del precetto, ma anche l’ambito di estensione del meccanismo di successione di leggi penali nel tempo in tutte le sue configurazioni. 7. La qualità di straniero: “mero” presupposto od elemento integrativo dei reati in materia di immigrazione? Come si è si enunciato in premessa, un’ulteriore questione di diritto intertemporale, che ha, di recente, assunto grande rilievo nel dibattito penalistico, concerne le fattispecie criminose previste nel T.U. sull’immigrazione. L’interrogativo che si pone è se la ratifica dei trattati di adesione alla U.E., intervenendo su norme integratrici del precetto penale, incida o meno sull’antigiuridicità delle condotte commesse in epoca anteriore, dando luogo ad un fenomeno successorio riconducibile all’ambito di applicazione dell’art.2, comma 2, c.p.. Sull’argomento si registrano sostanzialmente due indirizzi interpretativi. Invero, è possibile rilevare sul punto una netta contrapposizione fra i giudici di legittimità e quelli di merito, la quale dà la misura di quanto la giurisprudenza si divarichi sul tema della successione mediata di leggi penali, ora affermando l’estraneità fra norma penale e fonte esterna di riferimento (sia essa legislativa, regolamentare od amministrativa), ora, per contro, riconoscendo a quest’ultima natura di norma integratrice. 7.1 Segue: l’impostazione “estensiva” della giurisprudenza di merito Secondo un primo orientamento, nell’individuare i limiti all'applicabilità della disciplina dell'art. 2 c.p. alle modifiche legislative “indirette o mediate”, non può prescindersi dall'ossequio ai principi costituzionali di uguaglianza e di garanzia che governano la materia della successione delle leggi nel tempo, laddove con essa si tenta di dirimere quelle sperequate differenziazioni nel trattamento punitivo penale, che si potrebbero creare tutte le volte in cui non si tenga conto dell'esistenza di situazioni omogenee, non più percepite e normativamente considerate quali reato, che per una mera questione temporale o di tempi della giustizia dovessero essere disciplinate da normative differenti, con conseguenti differenti trattamenti e ingiuste diversificazioni nella risposta sanzionatoria di natura repressiva penale incidente sui massimi valori della persona, quale la libertà personale. In quest'ottica si reputa più corretta e condivisibile l'adesione alla tesi favorevole137 a ricondurre anche tale modifica “mediata” della legge penale nel regime regolato dall'art. 2 c.p., sul presupposto che sul campo di applicazione della norma incriminatrice esplicano diretta incidenza tutte quelle fonti normative, che contribuiscono a concretare il contenuto del precetto penale, con la conseguenza che una modificazione di quelle fonti si riflette sulla ampiezza della fattispecie e sul disvalore del fatto138. Più nello specifico, secondo tale indirizzo l'art. 2 c.p. si applica anche nell'ipotesi in cui venga modificata una norma “definitoria”, ossia “una disposizione attraverso la quale il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni incriminatrici, concorrendo a individuare il contenuto del precetto penale”139, categoria in cui rientra la legge che individua i diversi Stati appartenenti all'Unione europea, che assume rilievo nell’individuazione dell’ambito di applicazione della disciplina sull’immigrazione, stante il rinvio alla nozione di cittadino extracomunitario operato dallo stesso art.1 del presente testo unico140. L’abrogazione o restrizione del significato di una norma extrapenale richiamata da un elemento normativo della fattispecie criminosa, concorre a configurare l’illecito penale, eliminando, con ciò, il disvalore sociale della condotta incriminata141. Ne segue che, verificandosi un mutamento dei precetto penale in relazione al variato ambito applicativo della norma, è consequenziale il riconoscimento dell'operatività della disciplina dell'art. 2, comma 2, c.p., tanto più che l'applicabilità di quest'ultima disposizione appare indubbia quando si consideri che l'entrata nell'Unione europea, comportando l'esercizio del diritto di libera circolazione sancito dal Trattato istitutivo della Comunità Europea, di riflesso integra una causa di giustificazione, che elimina l'antigiuridicità delle condotte criminose. Si può, pertanto, dire che le fattispecie incriminatrici in esame, richiamando la nozione di cittadino straniero al fine della loro configurabilità, sono qualificabili come norme penali in bianco142, ossia norme con sanzione determinata, ma con precetto di carattere generico che deve essere specificato da altri atti normativi anche di grado inferiore. Infatti, il fenomeno della successione di leggi penali nel tempo non può essere circoscritto ai soli casi di modificazione diretta della norma penale. Di conseguenza, tale modifica incidendo direttamente su tutta la normativa amministrativa che disciplina l’ingresso degli stranieri in Italia, incide, altresì, sugli illeciti penali applicabili. Il venir meno dello status di cittadino extracomunitario, contribuendo ad integrare il contenuto del precetto penale, finisce per incidere, eliminandolo, sul disvalore penale del fatto complessivamente considerato143. Questioni di ragionevolezza suggeriscono che la verifica della sussistenza della condizione di straniero rilevabile ai fini dell’applicazione della disciplina dell’immigrazione, debba essere compiuta dal giudice con riferimento alla legge del momento, e non alle precedenti, giacché le norme extrapenali si integrano in maniera indissolubile con le fattispecie criminose144, potendosene, anzi dovendosene, pertanto, ammettere l’assoggettabilità alla disciplina di cui all’art. 2 c.p.. Soccorre la predetta tesi non solo il dato formale della portata innovativa ed integratrice della ratifica sul senso ed il significato da attribuirsi, alla luce di tale modifica, all'art. 1, T.U. Immigrazione, bensì anche quello sostanziale del valore giuridico tutelato non più recepito o percepibile come tale a seguito dell'innovazione ordinamentale voluta dal legislatore. Per valutare con coerenza il grado ed i limiti di influenza della norma extrapenale su quella penale, l’interprete è tenuto a ricostruire i singoli tipi in conformità ai principi costituzionali, al fine di evitare, in primo luogo, qualsiasi disparità di trattamento che si possa tradurre in una violazione del principio di uguaglianza sancito all’art.3 Cost. ed in particolare del principio di necessaria offensività, sicché dovranno considerarsi non conformi alla lettera della legge i comportamenti non più offensivi del bene protetto. Il riferimento all’interesse tutelato dalle singole fattispecie incriminatrici è, quindi, indispensabile per affermare, o viceversa escludere, la rilevanza di un fenomeno di successione mediata di leggi penali. Secondo tale orientamento sarebbe allora necessario verificare, volta per volta, se la variazione legislativa che interessa la norma extrapenale richiamata influisca o meno sulla situazione che l’ordinamento intende proteggere, atteso, appunto, che la significatività di un elemento di fattispecie deve esser valutata in relazione all’offesa, quale nucleo centrale del reato. Lo imporrebbe, a prescindere da qualunque altra considerazione sulla “rilevanza normativa” della intervenuta modifica, la ratio di eguaglianza che ispira la norma dell’art. 2, comma 2, c.p., nonché lo stesso principio rieducativo che la riempie di contenuto. Tale confronto fra la rilevanza penale dello stesso fatto commesso prima e dopo la modifica, consente, infatti, di ipotizzare una violazione del suddetto principio nella persistente punibilità di condotte concrete pregresse, qualora le stesse non siano più idonee a ledere il bene giuridico protetto dalla norma penale di riferimento. Si tratta di una criterio opinabile, posto che a volte è difficile stabilire quale sia la situazione che il legislatore ha inteso tutelare, ma che nel caso di specie si crede possa fornire un utile parametro orientativo, stante la chiarezza della ratio puniendi della normativa in materia di immigrazione. Come già osservato, l’oggettività giuridica sottesa alla suddetta disciplina può essere senz’altro ricercata e fissata nella “difesa delle frontiere nazionali”, la cui tutela viene garantita sanzionando penalmente il compimento di tutti quegli atti, che realizzano l’ingresso e la permanenza di stranieri in violazione delle norme del presente testo unico (artt.4 e 10), in particolare mediante sottrazione ai controlli di frontiera. Conseguentemente, con l’allargamento dell’Unione europea tramite la ratifica dei trattati di adesione, il legislatore esprime la volontà statuale di non avvertire più tale necessità di difesa nei confronti dei cittadini dei nuovi Paesi aderenti145. 7.2 Segue: l’orientamento “restrittivo” della giurisprudenza di legittimità: la sentenza delle Sezioni unite penali della Corte di Cassazione 27 settembre 2007 – 16 gennaio 2008, n. 2451 L’orientamento prevalente della Corte di Cassazione146 mostra di prediligere un approccio rigoristico, che, affermando l’autonomia del diritto penale rispetto alle definizioni di altre branche del diritto, stabilisce tout court l’irrilevanza delle modifiche mediate della fattispecie, sulla base di un richiamo tralatizio al disvalore penale del fatto, non suscettibile di venire intaccato in seguito alla successione di norme extrapenali. Tale linea interpretativa riprende e sviluppa quell’indirizzo di legittimità, secondo il quale nell’ambito di operatività dell’istituto successorio non rientrano “le vicende successorie di norme extra-penali che non integrano la fattispecie incriminatrice né quelle di atti o fatti amministrativi che, pur influendo sulla punibilità o meno di determinate condotte, non implicano una modifica della disposizione sanzionatoria penale, che resta, pertanto, immutata e, quindi, in vigore. Ne consegue che, in tale ipotesi, non viene meno il disvalore penale del fatto anteriormente commesso”147. Stante il controverso indirizzo della giurisprudenza di merito, la Prima Sezione Penale, con ordinanza 16 aprile 2007, n. 17578, rimette alle Sezioni Unite la quaestio iuris “se la sopravvenuta circostanza che dal 1° gennaio 2007 la Romania è entrata a far parte dell'Unione Europea giustifichi l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 2 c.p. e debba, quindi, fare pronunciare l'assoluzione con la formula "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato", nel processo a carico di un cittadino rumeno imputato del reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998 per l'inosservanza dell'ordine di lasciare il territorio italiano anteriormente emesso dal questore a seguito del decreto prefettizio di espulsione”. La decisione 27 settembre 2007, n. 2451 delle Sezioni unite148 si inserisce nel solco interpretativo già tracciato, espressione, a detta della stessa Corte, di “una linea di fondo prevalente nella giurisprudenza di legittimità”, ove si ribadisce l’orientamento secondo cui l’entrata della Romania nel novero dei Paesi comunitari non ha determinato la depenalizzazione del reato di illegittima permanenza nel territorio dello Stato149 e, quindi, una situazione riconducibile alla figura dell'abolitio criminis, fosse pure parziale, come tale rilevante ai sensi dell'art. 2, comma 2, c.p.. Lo ius superveniens, in altri termini, pur agendo su elementi che certamente contribuiscono alla descrizione della fattispecie tipica, risulta su un piano strutturale del tutto inidoneo a fondare un giudizio di discontinuità normativa, dando esclusivamente luogo ad una variazione della rilevanza penale del fatto con decorrenza dalla emanazione del successivo provvedimento di adesione da parte del nuovo Paese alla U.E. In definitiva il Supremo Collegio, sulla base di una ricognizione degli orientamenti in materia di successione di leggi del tempo150, afferma che le modifiche normative sopravvenute non incidono sul contenuto di disvalore del fatto costituente il fondamento della sua incriminazione, che, anzi, resta immutato dal punto di vista sostanziale151. “Perciò non può ritenersi che i cittadini rumeni, ai fini penali, vadano trattati come se fossero sempre stati cittadini dell'Unione e che i reati commessi quando essi erano stranieri siano divenuti non punibili in forza dell’art. 2, comma 2, c.p.. La situazione di fatto e di diritto antecedente all’adesione e quella successiva sono diverse e richiedono quindi logicamente trattamenti anche penali, diversi”. La Corte di Cassazione ha sottolineato che un'interpretazione diversa dei disposti normativi potrebbe indurre lo straniero, il cui paese di origine è prossimo all'ingresso nell'Unione Europea, a commettere senza alcun timore uno dei reati di cui al T.U., “confidando poi nella successiva abolitio criminis”152. Il percorso motivazionale seguito dalla Corte non appare convincente; vediamolo più nel dettaglio. La Corte precisa opportunamente che nel caso di specie viene in rilievo l’applicazione del solo art. 2, comma 2, c.p. e non anche del successivo comma 4, dovendosi stabilire se la modifica della qualità di straniero abbia determinato un’abrogazione parziale della fattispecie astratta, oppure abbia comportato una nuova e diversa situazione di fatto. Si enuncia, poi, che l’indagine sugli effetti penali della successione mediata va condotta con riguardo alla fattispecie in astratto e non in concreto, nel senso che occorre accertare se la fattispecie risultante dal collegamento fra la disposizione incriminatrice, rimasta letteralmente invariata, e la norma extrapenale modificata sia cambiata o meno. Sulla base di tali premesse il Supremo Collegio afferma che l’ingresso di uno Stato nell’Unione costituisce un “mero dato di fatto”, che ha lasciato sostanzialmente invariata l’ipotesi criminosa in argomento. Più precisamente la ratifica del Trattato di adesione non può considerarsi norma integratrice del precetto penale sottoposta al regime di cui all’art. 2, comma 2, c.p., né, tantomeno, elemento esterno che ridisegna la fattispecie penale, che tale resta in relazione a tutti i soggetti, a cui sia attribuibile la qualifica di cittadini di stati non appartenenti alla Unione europea ai sensi dell’art. 1, T.U. Immigrazione. Alle medesime conclusioni si giunge anche adottando quella diversa impostazione dottrinale, secondo cui il concetto di “fatto costituente reato” preso in considerazione dall’art. 2 c.p. debba assumere il medesimo significato tanto nel primo, quanto nel secondo comma, e vada inteso come fatto “storicamente determinato in tutti i suoi aspetti rilevanti ai fini dell’applicazione della disposizione incriminatrice, ivi compresi quelli disciplinati dalle norme extrapenali”. Tale corrispondenza è, invero, riscontrabile solo se ed in quanto la legge extrapenale integri il divieto penale153. La modifica di una norma extrapenale, che non concorre in modo essenziale alla formazione della fattispecie incriminatrice, non può, infatti, avere effetto retroattivo, così come non può far venire meno la punibilità di fatti precedentemente commessi. A titolo esemplificativo, la Corte instaura un parallelismo tra il caso di specie e la modifica, che abbia ad oggetto un provvedimento adottato dal pubblico dipendente od incaricato di pubblico servizio in violazione di legge ex art. 323 c.p.: al fine della configurazione dell’abuso d’ufficio la conformità dell’atto alla legge deve sussistere al momento della commissione del fatto, a nulla rilevando le modifiche legislative successivamente intervenute, in seguito alle quali tale conformità venga meno. Parimenti, la vicenda successoria de qua, non avendo ad oggetto norme extrapenali integratrici della fattispecie penale, non incide sulla lesività del fatto, ma costituisce un mero dato di fatto, anche se frutto di attività normativa. A sostegno di tale approdo ermeneutico la Corte richiama brevemente l’art. 47, comma 3, c.p., stabilendo che la previsione di una disciplina diversa dell’errore su “legge diversa da quella penale”, giustifichi un trattamento differenziato delle norme extrapenali anche agli effetti dell’art. 2 c.p.. Ad opposta conclusione sarebbe corretto pervenire se a cambiare fosse la definizione di straniero contenuta all’art. 1 del presente testo unico, così da escludere dalla sua sfera di applicazione il cittadino di uno Stato in attesa di adesione. In tal caso “sarebbe la stessa fattispecie penale a risultare diversa” e la modifica darebbe luogo ad un fenomeno successorio di abolitio criminis parziale, riconducibile all’art. 2, comma 2, c.p.. A conclusione del suo iter argomentativo la Corte afferma che nessun argomento decisivo per sostenere la rilevanza delle modifiche mediate può desumersi dal precedente in senso diverso delle stesse Sezioni unite (sentenza 23 maggio 1987, Tuzet, cit.), in cui si afferma che per legge incriminatrice deve intendersi “il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto: tra questi elementi, nei reati propri, è indubbiamente compresa la qualità del soggetto attivo” 154. La Corte, nel tentativo di screditare il valore ermeneutico di suddetta pronuncia, sottolinea come alle Sezioni unite di allora non fosse stata sottoposta specificamente la questione relativa alla rilevanza delle modifiche mediate della norma penale e come la soluzione adottata non fosse rimasta, comunque, immune da critiche, non avendo di fatto impedito alla giurisprudenza successiva di riaffermare il più rigoroso orientamento precedente. In altri termini, nella sentenza Tuzet, la “diversa qualificazione data ai dipendenti bancari, più che una modificazione normativa, era stata il frutto di una diversa interpretazione”, a cui le Sezioni unite hanno voluto riconoscere effetto retroattivo. 8. Spunti critici per la corretta ricostruzione della vicenda successoria in esame Si è visto che la Suprema Corte sancisce in modo perentorio l’irrilevanza delle c.d. “modifiche mediate” della fattispecie incriminatrice con riguardo ai reati esaminati, in quanto il novum legislativo, non intaccando la configurazione tipica della norma incriminatrice, non fa venir meno il disvalore penale del fatto anteriormente commesso. Il punto di partenza, assolutamente condivisibile, del ragionamento della Corte è rappresentato dalla pacifica constatazione che non è intervenuta alcuna legge, che abbia modificato direttamente le fattispecie criminose de quibus, scriminando o depenalizzando le disposizioni sanzionatorie ivi previste. A ben vedere, la modifica delle legge extrapenale ha modificato il contenuto del precetto sanzionato penalmente, non già cambiando la configurazione astratta della norma incriminatrice, ma il suo effettivo ambito di operatività. Dato, questo, che non induce affatto, in sé e per sé, ad escludere a priori una rilevanza “mediata” delle norme extrapenali nella materia della successione di leggi. In realtà, per capire se siffatto fenomeno successorio esuli dall’ambito di applicazione dell’art. 2 c.p., e, quindi, se l’orientamento del giudice di legittimità sia condivisibile oppure sia piuttosto il frutto di una presa di posizione del tutto aprioristica, bisogna risolvere alcune questioni logicamente preliminari. È, innanzitutto, necessario accertare il tipo di rapporto esistente tra norme extrapenali e norme penali. Trattasi di argomento, come si è visto, assai complesso, stante l’eterogeneità dei contesti in cui le modifiche mediate della fattispecie incriminatrice possono, in concreto, rilevare. In secondo luogo, occorre stabilire se il nucleo attorno a cui ruotano le previsioni in tema di successione di leggi penali sia la fattispecie astratta ovvero il fatto concreto costituente reato. Questa puntualizzazione appare, in effetti, essenziale tanto in rapporto ai casi di modifica immediata, quanto in relazione alle ipotesi di successione di norme extrapenali richiamate da un elemento normativo della fattispecie: proprio da essa dipende, anzi, l’intera portata applicativa dell’art. 2, c.p.. Con riguardo al primo quesito, occorre valutare quale sia il ruolo svolto dall’elemento normativo nella struttura della fattispecie, richiamando quella giurisprudenza formatasi in materia di errore su legge extrapenale, in cui si riconosce, attraverso una sostanziale interpretatio abrogans dell’art. 47, comma 3, c.p., un rapporto di necessaria integrazione fra norma penale ed extrapenale, sul presupposto, che la norma extrapenale integri sempre la norma penale, contribuendo addirittura a definire il senso del divieto. A tal proposito vale la pena ricordare, in via esemplificativa, quell’elaborazione pretoria, che afferma la rilevanza dell’errore su legge extrapenale, nell’ipotesi in cui l’imprenditore dimostri di aver errato sulla propria qualifica soggettiva, ovvero di essersi considerato quale piccolo imprenditore ai sensi dell’art. 2083 c.c. e, di conseguenza, di non essere obbligato a tenere le scritture contabili. La Corte di Cassazione, rifacendosi al criterio dell’efficacia integratrice della norma extrapenale rispetto al precetto penalistico, sostiene che, avendo le norme di diritto civile disciplinanti lo status di imprenditore carattere integrativo della disposizione, che incrimina la bancarotta semplice, l’errore ricadente su suddetta qualifica si risolve in ignoranza della norma penale, che scusa nei limiti dell’art. 5 c.p.155 . La dottrina assolutamente dominante è orientata nel ritenere che l’erroneo convincimento di essere piccolo imprenditore, esclude il dolo a norma dell’art. 47, comma 3, c.p., trattandosi di un errore su una legge diversa da quella penale, che si risolve in un errore sul fatto che costituisce il reato, id est sulla qualità personale richiesta per l’esistenza dell’obbligo156. Opportunamente si precisa che l’opinione va intesa nel senso che l’erronea convinzione del soggetto deve cadere sugli elementi di fatto, da cui deriverebbe la qualifica di piccolo imprenditore (quali, ad esempio, le dimensioni dell’azienda e la natura dell’attività esercitata), poiché l’articolo 47, comma 3, c.p., nell’attribuire rilievo all’errore su legge extrapenale, esige pur sempre che esso si risolva in un errore sul fatto che costituisce il reato157: il dolo viene escluso perché il soggetto si è rappresentato ed ha voluto un “fatto” diverso da quello tipico. In conclusione, la concezione dolosa del reato in esame rende maggiormente rilevante l’errore su legge extrapenale, in quanto ha determinato un errore sulla qualità personale richiesta per la sussistenza dell’obbligo158. Ciò posto, appare, ora, contraddittorio affermare che la norma extrapenale integra la fattispecie penale sul solo versante applicativo dell’art. 47 c.p. e non anche su quello dell’art. 2 c.p.: il ruolo svolto dagli elementi normativi della fattispecie penale, dovrebbe, in altri termini, essere il medesimo tanto nella delicata materia dell’errore, quanto nell’insidioso territorio delle modifiche mediate della fattispecie incriminatrice. L’efficacia integratrice della legge extrapenale, come evidenziato in precedenza, viene pervicacemente ribadita sul territorio dell’art. 47, comma 3 c.p., onde rendere praticamente nullo l’effetto esclusivo del dolo derivante da errore su legge diversa da quella penale, che incida su di un elemento normativo della fattispecie. Viceversa, nella prospettiva della successione di leggi nel tempo, legge penale e legge extrapenale tornano a rappresentare, per l’interprete, due entità distinte ed inidonee, come tali, ad “integrarsi” a vicenda, con conseguente irrilevanza di ogni ipotesi di successione “mediata”. Occorre, poi, in secondo luogo stabilire cosa debba intendersi per “fatto costituente reato” ai sensi dell’art. 2 c.p. e, di conseguenza, individuare se le previsioni ivi previste pongono a base della successione di leggi un fatto costituente (o non più costituente) reato, assumendo come ulteriore punto di riferimento il tempo in cui fu commesso: fatto concreto e fattispecie astratta sono, dunque, due dati logicamente distinti, su cui, in momenti diversi, si valuta l’abolitio criminis eventualmente intervenuta159. Un orientamento particolarmente meritevole di apprezzamento evidenzia come sia proprio il fatto costituente reato, e non la fattispecie astratta, il nucleo essenziale da cui bisogna partire per risolvere tutte le vicende applicative dell’art. 2 c.p.. Sulla base di tale rilievo, quindi, il fatto che la norma incriminatrice tipizzata dal legislatore non subisca, nel caso di specie, alcuna modifica formale non esclude, che la (diversa) delimitazione della portata concettuale di uno dei suoi elementi essenziali incida in modo rilevante sul suo ambito di effettiva operatività: il concetto di “fatto” a risultare decisivo nella risoluzione della questione, comprende, appunto, l’insieme di tutti i presupposti rilevanti in concreto ai fini dell’applicazione della fattispecie incriminatrice160. In questa prospettiva, le norme extrapenali richiamate dall’art. 1 del presente testo unico sono chiaramente norme giuridiche integratrici dell’elemento normativo, in quanto incidono in modo assai significativo sull’operatività delle fattispecie penali ivi previste, circoscrivendone, in modo determinante per il caso concreto, l’ambito di estensione161. Sulla base delle brevi considerazioni svolte non può, pertanto, trovare accoglimento la tesi espressa dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la condizione di cittadino extracomunitario non rientra nel novero di quelle situazioni integratrici della fattispecie criminosa e che, pertanto, la sua modifica non si riflette sulla struttura stessa del precetto penale, con la conseguente inoperatività dell’art. 2, comma 2, c.p.. Il Supremo Collegio, come si è visto, per stabilire se la normativa extrapenale contribuisca a definire il “precetto penale” nella sua astratta dimensione, opera un distinguo all'interno del fatto di reato tra gli elementi che compongono il presupposto e quelli che riguardano la condotta tipica, ritenendo la riconducibilità solo dei secondi alla dimensione precettiva della norma penale. A ben vedere, il percorso motivazionale non chiarisce quale sia il discrimine fra elemento del fatto che contribuisce a definire il precetto penale, delimitandone la portata e ciò che, invece, andrebbe qualificato in termini di mero presupposto della condotta, il quale, pur conferendo significato al precetto (contribuendo ad individuarne il contenuto offensivo), è posto, nondimeno, al di fuori di esso162. Invero, si deve preliminarmente osservare che l’affermazione dell'estraneità del presupposto al precetto penale non è di per sé idonea ad escluderne una qualsivoglia rilevanza, ai fini della configurabilità del reato, in quanto l’art. 2, comma 2, c.p. riguarda tutte le norme che definiscono la natura sostanziale o circostanziale del reato, comprese non solo le norme extrapenali richiamate espressamente ad integrazione della fattispecie incriminatrice, bensì anche quelle fonti normative extrapenali primarie costituenti indispensabile presupposto o, comunque, concorrenti ad individuare il contenuto sostanziale del precetto. Per poter affermare o viceversa escludere la rilevanza della successione indiretta, occorre in primo luogo accertare se la variazione legislativa, che interessa la norma extrapenale richiamata influisca o meno sulla situazione che l’ordinamento intende tutelare. Lo spirito della legge sull’immigrazione, nel suo complesso, è quello di punire il compimento di tutti gli atti, che, come già evidenziato, realizzano l’ingresso e la permanenza di stranieri in violazione delle norme del presente testo unico. Ne segue che la situazione di illegalità perdura fino a quando il soggetto, che entra o permane contra ius nel territorio nazionale, resti uno straniero nel senso inteso dal suddetto art. 1, mentre la stessa cesserà una volta che questi abbia acquisito la cittadinanza di un Paese appartenente alla U.E.. Il richiamo alla ratio legis, operato anche dalla stessa Corte, sembrerebbe implicitamente confortare lopinione, secondo cui il mutamento successivo della qualificazione soggettiva faccia venir meno l’antigiuridicità di quelle condotte criminose tenute anche in epoca anteriore, posto che esso dà luogo ad una restrizione del penalmente rilevante limitatamente a quegli stranieri, che nelle more del giudizio o successivamente ad esso siano divenuti cittadini comunitari, con conseguente applicazione dell’art. 129 c.p.p., nonché eliminazione di tutte le sentenze di condanna pronunciate nel periodo della sua vigenza. Sarebbe proprio lo “spirito” della legge ad avvalorare la correttezza giuridica di tale ultima conclusione. In altri termini, essendo le ipotesi delittuose de quibus delimitate soggettivamente, la ratifica del Trattato di adesione alla U.E., al pari delle ratifiche di altri analoghi trattati, che hanno negli anni recenti sancito l’ingresso di numerosi nuovi Stati163, si incorporano nel precetto, in quanto lo completano di dati senza i quali il tipo di illecito non risulta definito164, nel senso che la norma extrapenale individua il contenuto precettivo, concorrendo a contrassegnarne il disvalore165, per cui potrà parlarsi di abolito criminis, se pure “in via mediata”. L’intera architettura delle disposizioni concernenti l’immigrazione ruota, in sostanza, sul già più volte criticato discrimine fra cittadino comunitario e straniero, e non v’è dubbio alcuno, in ragione del richiamo testuale, che tale distinguo incida sulla punibilità attuale della condotte criminose commesse anteriormente alla modifica della nozione di straniero. Il concetto di immigrazione clandestina è un concetto unitario dal punto di vista tecnico-giuridico, concernente sia i cittadini di Stati terzi, che entrano in uno Stato membro senza rispettare i requisiti giuridici per l'ingresso, come il visto o i documenti validi di viaggio, sia coloro che restano in uno Stato membro nonostante sia scaduto il proprio permesso di soggiorno, senza aver diritto ad una proroga o un rinnovo di tale titolo. Il carattere di illiceità dell’ingresso o della permanenza è, quindi, un elemento tipizzante, da ricavarsi tenendo conto della normativa extrapenale, che fornisce la nozione di straniero: solo tale illegalità renderebbe antigiuridica una condotta che, altrimenti, si risolverebbe nella mera agevolazione dell'esercizio di un diritto della persona, ossia quello di emigrare da uno Stato membro all’altro. La norma di cui all’art. 1, stabilendo l’inapplicabilità dell’intero D.Lgs. n. 286 del 1998, dunque anche delle norme penali, al cittadino comunitario, non fa altro che prevedere uno speciale criterio di applicazione delle norme nel tempo, il quale risulta indubbiamente fondato sul presupposto del previsto allargamento dell’Unione europea, ed adottato nell’evidente intento di favorire l’integrazione e di evitare il protrarsi di conseguenze dannose per i cittadini di Stati, in procinto di entrare a far parte della U.E. Diversamente opinando, si determinerebbe una palese e illegittima disparità di trattamento tra i cittadini. Ne segue che si appalesa ultronea la necessità, evidenziata dalla Corte, di individuare espressamente “i cittadini di uno Stato in attesa di adesione”, quale ulteriore categoria di soggetti da sottrarre dall’ambito di applicazione della normativa contenuta nel T.U. Immigrazione, dal momento che allo stesso risultato si perviene attraverso un’interpretazione adeguatrice della nozione di straniero. La non appartenenza o appartenenza di un cittadino alle U.E. costituisce il discrimine tra l’applicazione o meno della disciplina contenuta nel suddetto decreto legislativo, che deve essere accertata dal giudice alla stregua di un elemento costitutivo della fattispecie, venendo a partecipare della sua natura. Il rapporto di integrazione fra norma penale ed extrapenale non deve, infatti, essere inteso in senso stretto, risultando la norma extrapenale richiamata del tutto autonoma dalla ratio sottesa al precetto penale. Il criterio discretivo che consente di distinguere i casi di novazione legislativa, che comportano una abolitio criminis da quelli che, invece, la escludono, poggia, in realtà, sulla circostanza che la norma extrapenale contribuisca o meno alla compiuta definizione della fattispecie penale. Va, poi, ribadito che la disposizione di cui all’art. 2 c.p. non allude ad un fenomeno successorio di natura diretta o mediata, ma richiama l’eventualità che un fatto non integri più gli estremi di un reato in rapporto ad una legge, anche extrapenale, posteriore al momento della sua commissione: come si è già evidenziato, il fatto costituente reato altro non è che il “fatto storicamente determinato in tutti gli aspetti rilevanti ai fini dell’applicazione di una disposizione incriminatrice”. Pertanto, il principio di retroattività della legge più favorevole ivi stabilito può trovare applicazione, anche se la fattispecie astratta sia rimasta virtualmente immutata. Come noto, il principio del favor rei enunciato all’art. 2 c.p. corrisponde a due diverse rationes: mentre il principio di irretroattività costituzionalizzato all’art. 25 Cost.166 tende a garantire i cittadini dagli abusi del potere legislativo, la retroattività in bonam partem, pur non trovando espresso riconoscimento a livello costituzionale, è strettamente collegata al principio di uguaglianza sancito all’art. 3 Cost. Come affermato anche dalla Corte Costituzionale, tale legame poggia sulla concezione oggettivistica del diritto penale, accolta “dal complessivo tessuto dei precetti costituzionali” e dal principio di offensività, per cui la pena deve essere posta a presidio di interessi che il legislatore, in quanto “interprete della coscienza sociale”167, si prefigge di tutelare con la sanzione penale. Pertanto, una volta che la legge e, presumibilmente, la coscienza sociale sono mutate, non ha senso punire ancora con la legge più severa in vigore al momento del fatto: la distinzione, pur sussistente, tra rimproverabilità dei fatti commessi nel vigore della precedente norma più severa e rimproverabilità dei medesimi fatti commessi nel vigore della successiva norma più mite, non deve influire, quindi, sul trattamento sanzionatorio. In quadro normativo del genere, può ben dirsi che sulla configurazione del soggetto attivo dei reati propri in tema di espulsione – ossia sulla qualificazione di un soggetto come “non appartenente all’Unione Europea” - si concentra il disvalore penale del fatto criminoso, il che impone, di fronte alla vicenda normativa relativa all’ingresso di un nuovo Stato nell’Unione, l’applicazione della disciplina ex art. 2 c.p. e, segnatamente, di quella relativa all’abolitio criminis168, in linea con quanto affermato anche dalla sentenza Tuzet, che fornisce alcune importanti coordinate metodologiche per orientare l'interprete in materia di successione mediata169. Orbene, facendo applicazione di detti principi al caso di specie, non vi è dubbio che la novatio legis incidente sulla qualità di straniero170 non possa non rilevare in favore dei nuovi cittadini comunitari, in virtù del principio di retroattività della legge più favorevole affermato dall’art. 2, comma 2, c.p., la cui formulazione letterale è chiara nell’escludere la punibilità per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più reato171. E’ appena il caso di notare che in alcune sentenze, sulla base del diverso ruolo giocato, nelle varie fattispecie, dallo status di straniero quale elemento normativo, si afferma che il successivo venir meno della suddetta qualificazione incida in modo diverso sull’antigiuridicità delle condotte criminose pregresse, a seconda che la speciale condizione connoti l’autore del fatto oppure la persona offesa dal reato. Essa, infatti, inciderebbe solo in merito alla fattispecie di cui all’art.14, comma 5-ter, che delinea un reato proprio, la cui configurazione ha come necessario presupposto, in capo al soggetto attivo, la qualifica di straniero ai sensi e per gli effetti dell'art. 1, comma 1, T.U. Immigrazione, laddove nei delitti di cui agli artt. 12 e 22, essa costituirebbe il mero presupposto di un reato comune, riguardando, in entrambi i casi, la sola persona offesa dal reato (di cui le norme incriminatrici intendono vietare lo sfruttamento, anche a fini lavorativi), di talché ben se ne può sostenere l’ultrattività dopo che i favoreggiati sono divenuti cittadini dell’Unione. Invero, tale trattamento differenziato non è auspicabile: non è, infatti, ragionevole ammettere l’avvenuta depenalizzazione dei soli reati propri commessi da cittadini neocomunitari, ma non già di quelli che postulano la qualifica di straniero in capo alle vittime dell'altrui condotta criminosa. Si è del parere che un siffatto modo di ragionare, oltre a porsi in palese contrasto con il principio di uguaglianza, non è, parimenti, corretto dal punto di vista dogmatico, perché o la norma modificata fa corpo con il precetto penale e allora la sua abrogazione fa venir meno anche questo, o essa rappresenta un semplice elemento di concretizzazione del precetto penale e allora la modifica nel frattempo intervenuta è irrilevante per la qualificazione giuridica dei fatti in precedenza commessi, senza che possa essere di rilievo la circostanza che in alcuni casi la nozione di straniero afferisca al soggetto agente, mentre in altri a coloro in danno dei quali il reato viene posto in essere. L'aspetto importante sta, dunque, nella precisazione che, in entrambe le ipotesi, si tratta di un elemento costitutivo del fatto, il cui venir meno implica la mancata integrazione della fattispecie. In sostanza, la tesi preferibile è che si tratti di mutamento dall’indubbia portata generale, estendibile in via di principio, a tutte le fattispecie penali d’immigrazione coinvolgenti, a diverso titolo, cittadini “neocomunitari”. 8.1 Segue: conclusioni Sulla base delle argomentazioni esposte, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità appare fin troppo severo e contraddittorio sul ruolo svolto dagli elementi normativi all’interno della fattispecie penale. La decisione delle Sezioni unite in commento presta il fianco a critiche significative, la più rilevante delle quali è che la Corte non individua il discrimine, dogmaticamente fondato, tra mutamento di valore e mutamento fattuale della fattispecie incriminatrice, che si traduca in un criterio seriamente verificabile, alla cui stregua sindacare la correttezza del percorso logico seguito dall’interprete per sostenere o negare l’applicazione dell’art. 2, comma 2, c.p.172. La Corte riconosce sì che la materia è di quelle assai discusse, tanto da rendere difficile una pur sintetica indicazione delle varie posizioni emerse nel dibattito, ma anziché procedere ad una loro puntuale disamina, offre una panoramica degli orientamenti giurisprudenziali non tutti, peraltro, direttamente incidenti sulla fattispecie oggetto di giudizio. Il richiamo alla natura integrativa o meno della norma extrapenale è l'unica indicazione che le Sezioni unite forniscono, ma si tratta appunto di una indicazione generica e tautologica, che non si sostanzia in un criterio logico-giuridico in forza del quale poter accertare in concreto la ricorrenza dell’una o dell’altra ipotesi. La soluzione ermeneutica adottata dal Supremo Collegio determina conseguenze non condivisibili, nella misura in cui afferma l’irretroattività di una modifica in bonam partem e sottrae al giudice il compito istituzionale di ricostruire il bene protetto dalla fattispecie penale, anche alla luce della normativa sopraggiunta. Fortemente criticabile è, peraltro, l’affermazione secondo cui l’adozione di un’interpretazione “estensiva” è inammissibile in quanto creerebbe larghe sacche di impunità, incoraggiando comportamenti opportunistici173. A tal proposito giova ricordare che le stesse esigenze di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico salvaguardate dal presente testo unico, possono venire altrimenti soddisfatte, senza che sia necessario il ricorso a letture costituzionalmente censurabili dell’art.2 c.p.: può ricordarsi, in via esemplificativa, la recente emanazione del fortemente contestato “decreto-espulsioni” 174, che, a parziale modifica del D.Lgs. n. 30 del 2007, anticipava alcune disposizioni del disegno di legge in materia di sicurezza urbana, facilitando, in sostanza, le espulsioni dei cittadini comunitari175. Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni unite, non mancano altri casi di interpretazione opinabili. A differenza di altri sistemi, nel nostro ordinamento il precedente non è mai vincolante e l’effettività della funzione nomofilattica176 non è affidata solo all’autorevolezza dell'organo decidente177, ma anche, anzi soprattutto, alla forza della argomentazione logico-razionale della decisione. Laddove quest'ultima manchi o sia insufficiente non solo è difficile che venga assicurata un’uniforme interpretazione del diritto, ma rischia di risultarne inficiata anche l'autorevolezza della istituzione cui quel compito è affidato. In questo caso non può non rilevarsi come la capacità persuasiva della decisione delle Sezioni unite sia alquanto debole. Tuttavia, il percorso di affrancamento da tale sentenza, che l’elaborazione pretoria successiva vorrà eventualmente intraprendere, non potrà non tener conto dell'intero corpo di precedenti ora ricondotti a sistema dalla pronuncia in questione. Si è consapevoli che siffatto arresto giurisprudenziale avrà ricadute incisive sulla giurisprudenza di merito, che difficilmente si discosterà da esso nella consapevolezza che una eventuale decisione difforme verrà cassata in sede di legittimità; id est il giudice di merito, al fine di evitare una probabile censura da parte della Suprema Corte, è facile che segua pedissequamente e senza alcun spirito critico i precedenti delle Sezioni unite, limitando notevolmente l’evoluzione giuridica (e giurisprudenziale, in particolare). Ciononostante, si auspica che la giurisprudenza successiva dia luogo a tale processo di affrancamento, che, valorizzando la funzione di “elemento respiratore” connessa agli elementi normativi della fattispecie, insista per la sicura rilevanza della successione extrapenale, almeno quando essa riguardi norme giuridiche non regolamentari. Giova ricordare che la posizione favorevole all'applicazione dell'art. 2 c.p. in caso di modifiche “mediate” della legge penale, conseguenti alla successione di norme integrative del precetto penale, costituiva, peraltro, una linea di fondo prevalente nella stessa giurisprudenza di legittimità178 anche recente, secondo cui “l’istituto della successione delle leggi penali nel tempo riguarda le norme che definiscono la struttura essenziale e circostanziata del reato e, conseguentemente, ai fini dell'applicabilità dell'articolo 2, c.p., si deve tenere conto anche di quelle fonti normative che, pur non comprese nel precetto penale, ne integrano tuttavia il contenuto”179. Decisivo appare, in particolare, il riferimento alle costanti e ripetute applicazioni del principio del disvalore sociale del fatto, quale criterio attuativo del principio di necessaria offensività (art. 49, comma 2, c.p.), in cui si afferma che la modifica di una norma extrapenale può essere sussunta nell’ipotesi di abolitio criminis, ogniqualvolta essa incida sul predetto disvalore, privando la condotta concreta in tutto o in parte del suo necessario contenuto lesivo, avuto riguardo alla ratio puniendi sottesa all’ipotesi di reato contestata; circostanza, questa, puntualmente verificatasi nel caso di specie. Ciò posto, sembra corretto concludere, che, a seguito della ratifica del trattato di adesione alla U.E., le condotte poste in essere da chi o nei confronti di chi, oggi, non rivesta più la qualifica di straniero, abbiano perso il loro necessario carattere offensivo, essendo venuto meno un elemento essenziale delle fattispecie penali in oggetto, con conseguente operatività dell’istituto successorio di cui all’art. 2, comma 2, c.p.. ______________ 1 Lo Stato Italiano con L. 9 gennaio 2006, n. 16, (in G. U., 25 gennaio 2006, n. 20) ha ratificato il Trattato di adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania all’Unione europea, sottoscritto a Lussemburgo il 25 aprile 2005 (in G. U. dell’Unione europea del 21 giugno 2005). 2 L'art.1, comma 2, D. Lgs. n. 286 del 1998 precisa che “il presente testo unico non si applica ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, se non in quanto si tratti di norme più favorevoli, e salvo il disposto dell'articolo 45 della legge 6 marzo 1998, n. 40”. 3 Il Trattato istitutivo dell’Unione europea agli artt.39-42 ha, peraltro, previsto che, per un periodo transitorio minimo di due anni successivi all’allargamento, ognuno degli Stati membri potrà non applicare nei confronti dei neocittadini comunitari le norme europee sulla libera circolazione dei lavoratori ed applicarne invece di nazionali eventualmente (ma non necessariamente) più restrittive, al fine di scongiurare l’eventualità di un esodo in massa dai nuovi Stati dell'Unione. Relativamente alla situazione italiana, si rende noto che con circolare del 31 luglio 2006, n. 21 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha deciso di porre fine al regime transitorio restrittivo, imposto dal precedente governo con D.P.C.M. 20 aprile 2004 (Programmazione dei flussi di ingresso dei lavoratori cittadini dei nuovi Stati membri della UE nel territorio dello Stato per l'anno 2004, in G.U., 3 maggio 2004, n. 102), dando in tal modo piena applicazione al libero ingresso di tutti i cittadini neocomunitari al mercato del lavoro italiano. 4 Cfr. artt. 43 e ss. Trattato CE. 5 Cfr. D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 (da ultimo modificato dal D. Lgs., 28 febbraio 2008, n. 32), recante disposizioni sulla libera circolazione ed il soggiorno dei cittadini dell’Unione e i loro familiari nel territorio degli Stati membri, che dà attuazione alla Direttiva comunitaria 2004/38/CE del 29 aprile 2004. 6 Il problema interpretativo ha riguardato non solo la fattispecie delittuosa di cui all’art.12, D. Lgs. n. 286 del 1998, ma anche quella, più ricorrente nelle aule di giustizia, prevista dal successivo art.14, commi 5-ter e 5-quater. 7 Esula dalla presente trattazione l’esame delle ipotesi di violazione del divieto di reingresso (art.13, commi 13 e 13-bis, T.U. Imm.), nonché di assunzione del lavoratore straniero privo del permesso di soggiorno (art.22, comma 12, T.U. Imm.); alcune delle problematiche ad esse relative verranno, nondimeno, accennate in nota. 8 Ultimamente si registra una aumento della pressione migratoria alle frontiere esterne dell’area esterna a Schengen, in particolare, focolaio dell’immigrazione clandestina sono le coste dell’Italia meridionale, ove si intercetta un numero consistente di persone provenienti dal Corno d'Africa, compresi Sudan, Egitto, Sierra Leone, Costa d'Avorio e Liberia (zone in cui sono spesso in atto guerre civili). 9 Cfr. A. Cassese, Art. 10, in Commentario della Costituzione (a cura di G. Branca), Bologna – Roma, 1975, p. 510, secondo cui la ratio della riserva di legge rinforzata ivi prevista, è insita nella volontà di “sottrarre alla regolamentazione della pubblica amministrazione un campo nel quale l’autorità pubblica del passato regime fascista si era ispirata a bieche ideologie nazionalistiche e xenofobe”, ossia di evitare nella materia “l’arbitrio dell’esecutivo”. 10 Tale legge ha avuto il merito di aver abolito, in materia di asilo politico, la riserva geografica alla Convenzione di Ginevra del 1951, che limitava il riconoscimento dello status ai rifugiati provenienti dall'Europa. Tra i vari punti deboli della normativa l’inefficacia del sistema delle espulsione: cfr., sul punto, A. Caputo, Espulsione e detenzione amministrativa degli stranieri, in Quest. Giust., 1999, p. 426. 11 Cfr. B. Nascimbene, Nuove norme in materia di immigrazione. La legge Bossi - Fini: perplessità e critiche, in Corr. Giur., n. 4, 2003, p. 532-540 e bibliografia ivi citata; Id., Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Il commento, in Dir. Pen. Proc., 1998, p. 421 ss. 12 Tra le misure di contrasto all’immigrazione clandestina si segnalano i nuovi poteri riconosciuti alle forze di polizia in tema di controlli alla frontiera e l’impiego di navi della marina militare in ausilio e supplemento rispetto a quelle in normale servizio di polizia, al fine di fermare e ispezionare le imbarcazioni sospettate di trasportare clandestini. Si prevedono, inoltre, tre ipotesi di espulsione: l’art.13 disciplina la c.d. espulsione amministrativa disposta dal Ministro dell’interno o, su sua delega, dal prefetto, che in seguito all’abrogazione dell’art.13, comma 3-sexies ad opera dell’art.3, comma 7, L., 31 luglio 2005, n. 155, può essere disposta, oltre che nelle ipotesi generali ed in quelle richiamate dal suddetto art.3, L. n. 155 del 2005 (ossia nei casi in cui vi siano fondati motivi di ritenere che la permanenza dello straniero nel territorio nazionale possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali), anche in relazione allo straniero nei cui confronti si proceda per uno dei delitti di cui agli artt.407, comma 2, c.p.p. e 12, T.U. Imm.; l’art.15 prevede la c.d. espulsione a titolo di misura di sicurezza; l’art.16, infine, regola la c.d. espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, le cui eccezioni di illegittimità costituzionale per violazione dell’art.27, comma 3, Cost. sono state respinte dalla Corte Costituzionale con ordd. 15 luglio 2004, n. 226 e 23 dicembre 2004, n. 422, in ragione della ritenuta natura esclusivamente amministrativa della misura. 13 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. III, 23 gennaio 2003, n. 3162, in Giur. It. 2004, p. 1122. Sul piano processuale si ricorda che la legge Bossi-Fini ha previsto il ricorso al giudizio direttissimo anche nei confronti di persone colpevoli di essere rientrate nel territorio dopo essere state colpite da provvedimento di espulsione amministrativa o di non avere ottemperato all’ordine di allontanamento del questore, oltre alla parziale inoperatività della legge sull’ordinamento penitenziario (L., 26 luglio 1975, n. 354) nei confronti degli stranieri, con conseguente estensione agli stessi del regime carcerario previsto per i reati di maggiore gravità. Si segnala, peraltro, in materia di esecuzione della pena detentiva, una recente sentenza delle Sezioni Unite (Corte Cass. Pen., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 14500, in Guida Dir., 2006, n. 22, p. 50), ove si stabilisce che le misure alternative alla detenzione in carcere (nella specie, affidamento in prova al servizio sociale) possono essere applicate anche al cittadino extracomunitario, qualora ricorrano le condizioni stabilite dall’ordinamento penitenziario. 14 Cfr. F. Resta, Nemici e criminali. Le logiche del controllo, in Ind. Pen., n. 1, 2006, p. 181 ss.; Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Milano, 1999; A. Caputo, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, in Quest. Giust., numero monografico La libertà delle persone, n. 2-3, 2004, p. 379 ss., a cui si deve l’efficace definizione di “diritto della segregazione”. Sugli effetti negativi ascrivibili alle normative restrittive dei flussi migratori in entrata cfr. il Rapporto del Gruppo di esperti sulla tratta degli esseri umani nominato dalla Commissione Europea, Roma, 2005, consultabile all’indirizzo www.ontheroadonlus.it\pubblicazioni.html. In particolare, è proprio alla mancata adozione di politiche di regolarizzazione e integrazione sociale dei migranti, che si riconduce il coinvolgimento della criminalità organizzata nella attività di gestione illegale dei flussi migratori, caratterizzata da un’alta redditività. In altri termini, è la stessa condizione di clandestinità del migrante, che finisce per costituire un importante fattore criminogeno. 15 Cfr. M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, Milano, 2004, p. 53 ss. 16 Anche il sistema di sanzioni amministrative presenta un grado di afflittività talmente alto da avere carattere sostanzialmente penale, apparendo la subordinazione al regime amministrativo meramente funzionale ad eludere le garanzie dello statuto penalistico. In particolare, la misura del trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea (ora denominati “centri di identificazione ed espulsione” dall’art.9, D. L., 23 maggio 2008, n. 92 (meglio noto come “pacchetto sicurezza”, convertito nella L., 24 luglio 2008, n. 125), definita da alcuni magistrati “detenzione amministrativa”, si caratterizza per il suo contenuto afflittivo riconosciuto anche dalla Corte Cost., 10 aprile 2001, n. 105 (in Giur. Cost., 2001, p. 2), che, pur rigettando l’eccezione di costituzionalità stante la limitazione del trattenimento al tempo strettamente necessario all’esecuzione dell’espulsione, ha precisato che tale provvedimento al pari dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, deve considerarsi misura incidente sulla libertà personale ai sensi dell’art.13 Cost., il cui carattere di coercitività vale a differenziarlo da misure incidenti unicamente sulla libertà di circolazione. Cfr. C. Longobardo, La disciplina delle espulsioni dei cittadini extracomunitari: presidi penali ed amministrativi al fenomeno dell’immigrazione, in S. Moccia (a cura di), Diritti dell’uomo e sistema penale, II, Napoli, 2002, p. 260. 17 Contro la dilatazione degli strumenti repressivi cfr. F. Favara Relazione sull’amministrazione delle giustizia nell’anno 2004, Bozze di stampa, Roma, 11 gennaio 2005, p. 49-50: “L’efficacia del processo penale è minata alla radice dall’inefficacia della legge penale. In un ordinamento fondato sulla obbligatorietà della legge penale è pertanto contro ogni logica di efficacia l’espansione del diritto penale.” 18 Cfr. Moccia, Dalla tutela dei beni alla tutela delle funzioni: tra illusioni postmoderne e riflussi illiberali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., n. 2, 1995, p. 373 ss.; cfr. A. Caputo, Prime applicazioni delle norme penali della legge Bossi-Fini, in Quest. Giust., n. 1, 2003, p. 126, in base al quale: “I principi e gli scopi dell’ordinamento penale – del diritto e della procedura penale - vengono piegati, asserviti all’attività amministrativa preordinata all’allontanamento del nemico della società, lo straniero”. 19 Cfr. A. Caputo, La libertà personale è uguale per tutti. Corte costituzionale e disciplina dell’immigrazione, in Quest. Giust., n. 5, 2004, p. 1050, che rileva come tuttavia la Corte costituzionale, nella sentenza 15 luglio 2004, n. 223, ha sancito che i provvedimenti di polizia incidenti sulla libertà personale devono avere “natura servente rispetto alla tutela di esigenze previste dalla Costituzione”. 20 Occorre fare una precisazione terminologia con riguardo al significato di clandestino ed irregolare: il clandestino è propriamente colui che entra nel territorio dello Stato senza la documentazione richiesta, l’irregolare è colui che, entrato in Italia secondo le prescrizioni di legge, ha in seguito perso i titoli di legittimazione. Nella prassi, come nel presente lavoro, i due termini vengono sovente usati come sinonimi. 21 Cfr. A. Mangiaracina, Brevi note in tema di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, in Giur. Mer., 2005, n. 5, p. 1163; A. Caputo, Favoreggiamento all'emigrazione: questioni interpretative e dubbi di costituzionalità, in Quest. Giust., 2003, p. 1243 ss.; L. Gizzi, Sulla natura giuridica del delitto di agevolazione dell'immigrazione clandestina, in Giur. It., 2003, p. 1012; Pace, I flussi migratori illegali: disciplina penalistica della materia e tecnica delle indagini, anche nella loro dimensione sovranazionale, relazione tenuta al Primo corso di formazione “Falcone e Borsellino”, Frascati, 26-30 aprile 1999, p. 3 (Doc. n. 1830); E. Lanza, La repressione penale dell’immigrazione clandestina, in Dir. Dir., consultabile all’indirizzo http://www.diritto.it/materiali/penale/lanza.html. 22 In realtà non si ha una perfetta corrispondenza con ciò che a livello internazionale si indica col termine smuggling. Nel Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Air and Sea, Supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime, all’art.2, ne è data la seguente definizione: “smuggling of migrants shall mean the procurement, in order to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit, of the illegal entry of a person into a State Party of which the person is not a national or a permanent resident”. In ambito europeo un’analoga definizione è prevista all’art.27 dell’Accordo di Schengen del 19 giugno 1990, contenente l’impegno per le Parti contraenti a “stabilire sanzioni appropriate nei confronti di chiunque aiuti o tenti di aiutare, a scopo di lucro, uno straniero a entrare o soggiornare nel territorio di una Parte contraente in violazione della legislazione di detta Parte contraente relativa all’ingresso e al soggiorno degli stranieri”. Per un quadro d’insieme in Italia, alla luce della recente legge 16 marzo 2006, n. 146, di ratifica della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 e il 31 maggio 2001, cfr. G. De Amicis, O. Villoni, La ratifica della Convenzione ONU sulla criminalità organizzata transnazionale e dei suoi protocolli addizionali, in Giur. Mer., 2006, doc. 323, p. 1626 ss.; A. Di Martino, Criminalità organizzata e reato transnazionale, diritto penale nazionale: l’attuazione in Italia della cd. Convenzione di Palermo, in Dir. Proc. Pen, n. 1, 2007, p. 11 e ss. 23 Cfr. il Protocol to prevent, suppress and punish trafficking in persons, especially women and children, che si occupa della tratta a scopo di sfruttamento. 24 Come già evidenziato, il traffico di migranti è un’attività criminale spesso gestita dal crimine organizzato. La normativa penale previgente è stato rinnovata e adeguata agli standards internazionali ed europei con la L., 11 agosto 2003, n. 228 (in G.U., 23 agosto 2003, n. 195), che ha apportato importanti modifiche sul piano sostanziale e processuale, nonché sull’organizzazione delle competenze e degli uffici responsabili in questo settore, riformulando le fattispecie penali di cui agli artt.600, 601, 602 c.p., aventi ad oggetto la tratta e la riduzione in schiavitù, alla luce delle nuove esigenze emerse in questi ultimi anni. In epoca anteriore all’adozione della nuova legge, la giurisprudenza aveva preferito punire i comportamenti legati a tale fenomeno criminale facendo applicazione di reati, quali il reato di sfruttamento della prostituzione di cui alla L., 20 febbraio 1958, n. 75 (c.d. legge Merlin), il sequestro di persona, la violenza sessuale, la minaccia e la violenza privata, nonché di associazione a delinquere, anche di tipo mafioso. Un aspetto, però, merita di essere segnalato: l’art.12, T.U. Imm. prevede (in specie quella indicata al comma 3-ter) ipotesi di traffico di persone, in parte non dissimili da quelle di tratta (come definita nel Protocollo contro il trafficking), e di norma riconducibili ai medesimi ambienti di criminalità organizzata transnazionale, a cui, però, non sono applicabili le menzionate innovazioni legislative (come, ad esempio, l’attribuzione della “competenza” alle Direzioni distrettuali antimafia e la disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia), benché l’Italia abbia sottoscritto l’impegno ad adottarle in quanto previste dalla citata Convenzione della Nazioni Unite e dai Protocolli addizionali. In particolare, l’art.12 cit. non viene ricompreso nell’ambito di applicazione degli artt.51, comma 3-bis, c.p.p. e 416, comma 6, c.p. Tra le prime applicazioni giurisprudenziali in materia di riduzione in schiavitù cfr. Corte Cass., Sez. VI, 4 gennaio 2005, n. 82, ove il Supremo Collegio stabilisce che la nuova formulazione dell’art.600 c.p. non ha apportato alcuna significativa innovazione alla descrizione del fatto tipico, sia che si fondi l’accertamento sulla continuità del tipo di illecito o sul criterio dei rapporti strutturali (cfr. infra), dando così luogo ad un fenomeno di mera modificazione di norme penali ex art.2, comma 4, c.p., e non ad un fenomeno di abrogazione della precedente incriminazione rilevante ai sensi dell’art.2, comma 2, c.p. 25 La necessità di distinguere i due fenomeni nasce soprattutto dal fatto che le due attività sono affidate a diverse agenzie di law enforcement, diversi organismi di polizia o diverse branche operative all’interno dello stesso organismo. In Italia, la competenza per il coordinamento delle attività investigative in materia di traffico finalizzato allo sfruttamento è esercitata, a livello centrale, dalla Direzione centrale della polizia criminale, presso il Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, mentre le analoghe funzioni riferite alle attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono svolte, invece, dal Servizio stranieri, collocato all’interno dello stesso Dipartimento di pubblica sicurezza. Questa ripartizione delle funzioni e delle competenze trae origine da considerazioni di ordine storico (l’immigrazione clandestina nasce come problema di ordine pubblico) e burocratico-organizzativo (la lotta alle organizzazioni criminali dedite al trafficking richiede spesso risorse investigative e tecnologiche superiori). In alcuni casi, tuttavia, da tale suddivisione deriva un grado insufficiente di coordinamento tra le due strutture, sia sul versante dell’analisi strategica, sia su quello operativo, che sembra essere di ostacolo ad una comprensione corretta e organica delle dinamiche criminali collegate al traffico. 26 Trattasi di innovazione che in parte si adegua al contenuto del Protocollo addizionale della Convenzione della Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria già citata. Sul tema, cfr. E. Rosi, La tratta di persone ed il traffico di migranti. Gli strumenti internazionali, in Cass. Pen., 2001, n. 6, p. 731 ss.; Id., Le misure internazionali per la lotta contro le forme di criminalità connesse al fenomeno migratorio, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 2002, n. 2, p. 178 ss. 27 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. III, 28 novembre 2002 – 23 gennaio 2003, n. 3162, cit. 28 Sono, pertanto, da escludere ipotesi di imputazione a titolo di concorso nel delitto di favoreggiamento dello straniero favorito, anche qualora sia riscontrabile una partecipazione consensuale e volontaria: in questo senso cfr. M. Cerase, Riformata la disciplina dell’immigrazione: le novità della “Legge Bossi-Fini”, in Dir. Pen. Proc., n. 11, 2002, p. 1347. 29 A tal proposito appare opportuno segnalare che l’art.21 del d.d.l. (A.C. 2180), approvato dal Senato il 5 febbraio 2009 (A.S. 733), contenente (le ennesime) disposizioni in materia di pubblica sicurezza, prevede il nuovo reato di ingresso illegale, punibile con l’ammenda (il testo è consultabile all’indirizzo http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?PDL=2180). Ma progetti di legge volti alla criminalizzazione di tale condotta non sono mancati anche in periodo anteriore: già in sede di conversione del D. L. n. 241 del 2004, Luigi Bobbio, relatore del provvedimento, aveva presentato e poi ritirato un emendamento che prevedeva l’introduzione del reato di ingresso clandestino; nello stesso senso cfr. il d.d.l. n. 3911, presentato al Senato il 20 aprile 1999 dal sen. Mantica; il p.d.l. n. 5392, presentato alla Camera dei Deputati in data 11 novembre 1998 dall’on. Carlesi, nonchè la proposta di legge n. 5808, d’iniziativa dell’on. Fini ed altri, presentata alla Camera dei Deputati il 15 marzo 1999. 30 Interessante segnalare Corte Cass. Pen., Sez. Un., 27 novembre 2003, n. 45801, la quale ha chiarito che lo stato di clandestinità dello straniero non costituisce giustificato motivo per la mancata esibizione dei documenti, chiarendo così un contrasto interpretativo sorto in riferimento all’art.3, comma 6, D. Lgs. n. 286 del 1998, essendo il destinatario della norma lo straniero in genere, quindi anche quello che sia entrato illegalmente nel territorio dello Stato. 31 Stesse perplessità suscita la previsione di cui all’art.3, n. 8, L. 20 febbraio 1958, n. 75 (c.d. Legge Merlin), che disciplina il delitto di favoreggiamento della prostituzione, che, al pari dell’ingresso clandestino, non costituisce reato. Per una rassegna di condotte rientranti nella fattispecie e per la definizione del contributo minimo ai fini della consumazione del reato, cfr. S. Ardita, Il favoreggiamento della prostituzione tra ambiguità del sistema ed ampiezza della lettera della legge: l'ipotesi dell'accompagnamento sul luogo dell'adescamento, in Cass. Pen., 2002, n. 2, p. 509; più di recente, cfr., per tutte, Corte Cass., Sez. III, 21 gennaio 2005, n. 1716, che ribadisce come non commette favoreggiamento della prostituzione il cliente che riaccompagni la prostituta nel luogo dell’iniziale adescamento o almeno, aggiungono i giudici di legittimità, “non la favorisce più di quanto non faccia la consumazione stessa del congresso carnale, che tuttavia nessuno (ancora) è arrivato a imputare al cliente come favoreggiamento della prostituzione”. 32 A titolo esemplificativo si ricorda che l’art.12, comma 2, sancisce che non sono punite le attività di soccorso ed assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato, con ciò indicano alcuni casi di esclusione dell’antigiuridicità del fatto. Anche la norma de qua ha suscitato qualche dubbio. Innanzitutto ne è stata lamentata l’ultroneità, per essere i fatti scriminabili ai sensi dell’art.12, comma 2, già comunque esenti da reazione penale in virtù dell’esimente generale di cui all’art.54 c.p. Invero, tale previsione è più elastica di quella di cui al richiamato art.54 c.p. e consente di scriminare anche quelle condotte occasionate da esigenze umanitarie, quand’anche non siano realizzati i parametri della “costrizione”, “necessità” e “inevitabilità altrimenti del pericolo” previsti dalla esimente generale per delimitare il proprio ambito di operatività. Ma ciò che ha destato maggior perplessità è la stessa collocazione della disposizione, atteso che essa non pare introdurre un’eccezione alla regola di cui all’art.12, comma 1, bensì dell’ipotesi di cui al successivo comma 5, presupponendo la causa di giustificazione de qua la presenza nel territorio. Vi è da dire, d’altro canto, che il dolo specifico del fine di trarre profitto caratterizzante il delitto di agevolazione della permanenza sia già di per sé idoneo ad escludere lo scopo umanitario di cui al comma 2, come anche le diverse attività punite nello stesso articolo (cfr. E. Lanza, La repressione, cit.). 33 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 16 gennaio 2008, n. 4123, ove si stabilisce che il delitto di cui all’art.12, comma 1, T.U. Imm. è reato di pericolo che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a favorire l’ingresso in altro Stato, senza che abbia alcuna rilevanza la durata della permanenza o la destinazione finale, a meno che non risulti provato che lo straniero clandestino sia diretto al proprio paese di origine. Tale prova non può consistere nelle sole dichiarazioni dei trasportati, sorpresi in transito nel territorio italiano, bensì deve essere valutata in relazione ad elementi che dimostrino la finalità ed i motivi del viaggio (ad esempio, i titoli di viaggio per il successivo percorso), con conseguente onere di allegazione per l’imputato (conformi Id., 20 giugno 2007, n. 29728; Id., 15 giugno 2007, n. 33232, in Cass. Pen., 2008, n. 6, p. 2598; Id., 26 ottobre 2006, n. 42117; Id., 24 gennaio 2006, n. 14545). Contra cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 3 ottobre 2008, n. 38936, secondo cui il delitto in argomento ha natura di reato di pericolo o a consumazione anticipata, che si perfeziona per il solo fatto che siano compiuti atti diretti a favorire l'ingresso, a prescindere dall'effettività, durata e finalità dell'ingresso medesimo, in quest'ultima incluso il mero transito con destinazione finale il Paese di origine della persona stessa (in senso adesivo Id., 23 settembre 2008, n. 38159; Id., 28 febbraio 2008, n. 11702; Id., 28 febbraio 2008, n. 10716; Id., 31 gennaio 2008, n. 6398; Id., 6 ottobre 2006, n. 34053; Id., 25 gennaio 2005, n. 4201). 34 Il giudice dovrà accertare, caso per caso, l’idoneità della condotta al raggiungimento dello scopo e, dunque, la sussistenza o meno di quella esposizione al pericolo per il bene protetto, che fonda la rilevanza penale della condotta (cfr. A. Caputo, Diritto e Procedura Penale dell’immigrazione, Giappichelli, 2006). 35 A tale riguardo è possibile registrare orientamenti giurisprudenziali difformi. Secondo una prima tesi, modalità “formalmente regolari” dell’ingresso non sono di ostacolo al perfezionamento del delitto di favoreggiamento dell’ingresso illegale (cfr. Corte Cass. Pen., Sez. VI, 16 dicembre 2004 – 9 marzo 2005, n. 9233); secondo un più condivisibile orientamento, invece, “la condotta penalmente rilevante prevista dalla norma in esame è esclusivamente quella tesa a favorire l’ingresso dello straniero in violazione delle norme del testo unico, cioè in assenza di valido documento legittimante l’ingresso o in presenza di documento ottenuto con artifici o in modo illecito (e non anche quella di chi favorisce l’ingresso dello Stato di persona munita di regolare visto, a nulla rilevando i progetti, le intenzioni o le speranze di quest’ultima in ipotesi difformi da quanto consentito dal visto)”: così Corte Cass., Sez. I, 21 ottobre 2004 – 22 dicembre 2004, n. 49258. 36 Cfr. A. Callaioli, M. Cerase, Il Testo Unico delle disposizioni sull’immigrazione, in Leg. Pen., n. 1-2, 1999; A. Caputo, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, cit., p. 368 ss. 37 Cfr. Trib. Torino, ord. 17 marzo 2004, con cui il giudice dell’udienza preliminare solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art.12, comma 1, nella parte in cui punisce chi compie atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, in relazione ai principi di determinatezza e riserva di legge in materia penale di cui all’art.25, comma 2, Cost., nonché di libera immigrazione ex art.35, comma 4, Cost. Trattasi per il giudice a quo di una norma penale in bianco, non precisando, infatti, il parametro normativo, alla cui stregua condurre il giudizio di illegalità dell’ingresso stesso. Dovendosi escludere la possibilità di identificarlo con la disciplina dell’ordinamento italiano (non potendo essa dettare le condizioni di legalità dell’ingresso in altro Paese), il parametro di illegalità dell’ingresso nel territorio dello Stato estero (di cui la persona ‘‘non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”), sembra doversi identificare con la disciplina dello Stato di destinazione, che regoli la materia, con integrale assorbimento del precetto, quindi, nella normativa estera di riferimento, e con la conseguente denazionalizzazione dell’offesa, parallela all’internazionalizzazione dell’oggettività giuridica sottesa alla norma. La Consulta non entra nel merito della questione sottopostagli, osservando che, successivamente all’ordinanza, il quadro legislativo di riferimento è stato ulteriormente modificato ad opera della legge n. 271 del 2004, di conversione del D. L. n. 241 del 2004. Con ordinanza 29 dicembre 2004, n. 445 (con nota di Natalini, Clandestini e favoreggiamento, si cambia - Previste due fattispecie e tante aggravanti, in Dir. Giust., 2005, n. 4, p. 36), pertanto, restituisce gli atti al giudice de quo al fine di una rivalutazione ex novo della sussistenza della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione con riferimento anche allo ius superveniens. La novella non ha inciso sull’elemento specializzante dell’illegalità contenuto nella sottospecie di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in esame, lasciando così insuperati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dall’ordinanza di rimessione. 38 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 8 maggio 2002 – 5 giugno 2002, n. 22741, Galgano, in Riv. Pen., 2002, p. 669, che, nel respingere la questione di legittimità costituzionale sollevata sul punto, precisa come per ingresso illegale debba intendersi quello avvenuto in violazione delle norme del T.U., nonché nelle ipotesi “in cui il visto di ingresso sia richiesto ed eventualmente ottenuto fraudolentemente e mediante simulazione dei prescritti requisiti”. 39 Così Corte Cass. Pen., Sez. I, 8 maggio - 5 giugno 2002, n. 22741, cit. 40 La giurisprudenza delinea la figura in esame come reato istantaneo e di pericolo astratto, che si perfeziona nel momento in cui vengono posti in essere atti e attività che in qualsiasi modo agevolino l'ingresso irregolare dei clandestini nel territorio nazionale non essendo necessaria l'esistenza di una violenza fisica o psichica (cfr. Corte Cass. Pen., 28 novembre 2002 – 23 gennaio 2003, n. 3162, Hoxha, in Cass. Pen., 2003, p. 1876). 41 Cfr. L. Gizzi , Sulla natura giuridica del delitto, cit., p. 1016. Osserva l'Autore che il soggetto agente deve porre in essere condizioni concretamente favorevoli, che appaiano cioè effettivamente capaci di consentire tale ingresso clandestino di stranieri in territorio italiano. Nel senso che la nuova formulazione abbia determinato una restrizione delle condotte punibili, Trib. Marsala, 12 gennaio 2004, in Giur. It., 2004, II, p. 719. 42 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 8 marzo 2000 – 9 giugno 2000, n. 1744, in Cass. Pen., 2001, 1925. 43 In tal senso, Trib. Gorizia, 19 giugno 1999, in Dir. Imm. Citt., 1999, n. 3, p. 179 ss. 44 Giova ricordare che tale disposizione è stata elevata a fattispecie autonoma con la novella del 2002, l’originaria formulazione prevedendo solo una mera circostanza aggravante ad effetto speciale rispetto all’ipotesi del favoreggiamento di cui al comma 1 (cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 4 dicembre 2000, n. 5360, Vishe, in Cass. Pen., 2001, 3180). 45 La L. n. 271 del 2004, varata all'indomani della bocciatura da parte della Consulta (sentenze 15 luglio 2004, nn. 222 e 223) di alcune norme della Legge Bossi-Fini, relativamente alle mancate garanzie difensive nel procedimento amministrativo di convalida delle espulsioni e all'illegittimità dell'arresto obbligatorio in flagranza per le ipotesi contravvenzionali di trattenimento clandestino, inasprisce le sanzioni previste per le figure di favoreggiamento e sfruttamento dell'ingresso clandestino di stranieri in Italia o in altri Paesi dei quali la persona non sia cittadina. La ratio ispiratrice sembra essere quella di riequilibrare verso l'alto le pene previste per queste fattispecie, anche in conseguenza degli aumenti di pena compiuti sulle ipotesi di trattenimento senza giustificato motivo (art.14, commi 5-ter e 5-quater), elevate da contravvenzioni (come tali inidonee all'applicazione di misure custodiali) a delitti. 46 Il concetto di profitto quale aspettativa di arricchimento futuro al termine di un azione economica è più ampio di quello di lucro previsto nella precedente formulazione. 47 Da ultimo modificato dal D. L. n. 92 del 2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 125 del 2005. Per la nuova ipotesi di reato prevista dal successivo comma 5-bis (anch’esso introdotto dal “pacchetto sicurezza” in argomento) cfr. infra nt. n. 59. 48 Cfr. Caputo, Diritto e procedura, cit., p. 78; Bricola, voce Teoria Generale del Reato, in Noviss. Dig. It., Vol. XIX, Utet, Torino, 1973, p. 87. 49 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 4 dicembre 2000, n. 5360. 50 Il concetto di flagranza dovrebbe essere individuato ai sensi dell’art.382 c.p.p. 51 Si amplia così il novero delle ipotesi in cui ai sensi dell’art.240, comma 2, c.p. la confisca è sempre obbligatoria, andando a colpire in maniera più diretta l’attività svolta dalle organizzazioni criminali dedite al traffico degli stranieri sia in Italia che all’estero. Un’ulteriore ipotesi di confisca obbligatoria è, peraltro, prevista al successivo comma 5-bis (nella specie dell’immobile). 52 Cfr. G. Della Monica, Il giudizio direttissimo dinanzi al tribunale ordinario in composizione monocratica, in Aa.Vv., Le recenti modifiche al codice di procedura penale, Vol. III, in Le innovazioni in tema di riti alternativi, a cura di R. Normando, Milano, 2000, p. 207, che auspica una “riorganizzazione sistematica dell'intera disciplina”. Nel senso che la soluzione normativa di prevedere l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza e del rito direttissimo appare inspirata più “da contingenti preoccupazioni di efficienza che dallo sforzo di individuare risposte conformi ai principi generali”, non giustificate in una materia di portata sopranazionale, quale quella della lotta contro l'immigrazione clandestina. Cfr., altresì, A. Casadonte , Capitolo III, Ingresso, soggiorno e allontanamento, Sezione II, Profili penalistici, in Aa.Vv., Il diritto degli stranieri, a cura di B. Nascimbene, Cedam, 2004, p. 672. 53 Che ha introdotto un’ipotesi aggravata di favoreggiamento, qualificabile come circostanza aggravante ad effetto speciale analogamente a quanto previamente osservato con riguardo all’art.12, commi 3-bis e 3-ter, “quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone, ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone”. 54 Sulla distinzione già tratteggiata fra i due concetti di trafficking of human beings e smuggling of migrants, cfr. anche l’analisi comparativa in EUROPOL (ed.), Legislation on Trafficking in Human Beings and Illegal Immigrant Smuggling, Bruxelles 2005, in specie 8 ss. (www.europol.eu.int). 55 Dal confluire di più norme incriminatrici nei confronti di un medesimo fatto emerge, come noto, la necessità di individuare i criteri (specialità, sussidiarietà, assorbimento), che consentano di accertare la realtà o l'apparenza di un concorso di reati. Nel caso di specie, lo stesso legislatore ha espressamente previsto il criterio della sussidiarietà come canone ermeneutico per la risoluzione del concorso apparente tra l'art.12, comma 5, T.U. Imm. e l'art.600 c.p. Dati i confini abbastanza fluidi delle due attività, vi è da dire, comunque, che la prima ipotesi delittuosa trova generalmente applicazione, qualora risulti difficile provare il delitto di tratta di persone a scopo di sfruttamento. 56 Cfr. D. Pulitanò, Il favoreggiamento personale fra diritto e processo penale, Giuffrè, Milano, 1984. 57 Cfr., in tal senso, Trib. Monza, 6 - 13 dicembre 1999, in Dir. Imm. Citt., 2000, n. 3, p. 156-157. Sul piano interpretativo si è posto altresì il problema di distinguere l’ipotesi in esame con la previsione di cui all’art.22, comma 12, che punisce “il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato”, con l’arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato (pene ora sostituite con la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa di 5.000 euro dal D.L. n. 92 del 2008, che trovano applicazione anche nell’ipotesi di lavoro stagionale in virtù del rinvio operato dall’art.24, comma 6, alla suddetta norma. La novella, ha, quindi determinato la trasformazione delle due fattispecie contravvenzionali in delitti). L’impiego di manovalanza clandestina è assai frequente, il datore di lavoro che sfrutta il lavoratore irregolare sottopagandolo e non versando i contributi pone in essere una condotta agevolatrice della sua permanenza. In realtà, le due fattispecie non sono coincidenti, nel reato di cui all’art.22, comma 12, non si richiede il dolo specifico, assenza che dà ragione della maggior pericolosità della condotta di chi agevola la permanenza di stranieri irregolari per approfittarne ingiustamente rispetto all’ipotesi contravvenzionale del datore di lavoro, (sempre) che non persegua tale finalità. 58 Cfr. Trib. Gorizia, sentenza 19 giugno 1999, cit. 59 Secondo alcuni interpreti l’ambito di operatività della norma dovrebbe venire circoscritto ai soli casi in cui, in presenza del dolo specifico, la condotta di agevolazione abbia riguardato la permanenza di chi, entrato regolarmente in Italia, abbia, poi, perso i titoli di legittimazione. Essendo il presupposto del reato l’ingresso irregolare dello straniero, la norma si colloca a completamento della tutela del bene tutelato, quando la sua lesione derivi da condotte ulteriori rispetto alla mera agevolazione dell’ingresso: cfr. E. Lanza, La repressione, cit.; P. Zaccaria, Il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina alla luce delle modifiche apportate al T.U. 286/1998 dalla L. 189/2002, in Rass. Arma Carab., 2003, n. 2, p. 170 ss.; A. Caputo, Diritto e procedura, cit. Tale lettura riceve, peraltro, conferma dal nuovo illecito delittuoso di cui all’art.12, comma 5-bis, introdotto dal più volte menzionato “pacchetto sicurezza”, che punisce “chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ad uno straniero, privo di titolo di soggiorno in un immobile di cui abbia disponibilità, ovvero lo cede allo stesso, anche in locazione”. La norma, infatti, sembrerebbe dettare un’ipotesi specifica di favoreggiamento alla permanenza non solo dell’immigrato clandestino, espulso od allontanato, ma anche di colui, cui venga annullato o revocato, per qualsiasi motivo, il permesso di soggiorno. Si ritiene, invero, che tale previsione sia del tutto superflua, in quanto la condotta ivi descritta può essere agevolmente ascritta, in via interpretativa, al generico favoreggiamento di cui al comma 5 in commento. A diversa conclusione si sarebbe potuti pervenire, se in sede di conversione del suddetto decreto fosse stato mantenuto il testo originario della fattispecie incriminatrice, che richiedeva il solo dolo generico: per i fatti rientranti nell’odierna previsione, la giurisprudenza escludeva la generalizzata ricorrenza del delitto di cui all’art.12, comma 5 proprio per mancanza del richiesto dolo specifico, consistente nella finalità di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero clandestino (cfr., sul punto, Corte Cass. Pen., Sez. I, 29 novembre 2006, n. 40398, secondo cui la condotta di chi fornisce alloggio o cede un immobile a cittadini extracomunitari irregolari integra l’ipotesi criminosa ex art.12, comma 5, solo se “dalla stipula del contratto l’imputato intenda trarre un indebito vantaggio dalla condizione di illegalità in cui si trova lo straniero, sempre in relazione a quel particolare rapporto sinallagmatico”). 60 Le fattispecie in questione muniscono di sanzione penale la disciplina dell’allontanamento e della riammissione dello straniero, nonché i relativi provvedimenti espulsivi ed autorizzativi. 61 Cfr. Corte Cost., 13 gennaio 2004, n. 5, con cui viene dichiarata l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.14, comma 5-ter, sollevata in ragione della scarsa determinatezza della formula “senza giustificato motivo”. La Corte ritiene che la manifesta indigenza dello straniero (cfr., da ultimo, Trib. Rovereto, 1 ottobre 2008), ovvero il ricovero ospedaliero in atto di un prossimo congiunto possano costituire causa di giustificazione all’inosservanza dell’ordine di espulsione. In merito alla ripartizione dell’onus probandi circa la sussistenza del giustificato motivo si stabilisce, poi, che sullo straniero grava un mero onere di allegazione dei motivi non conosciuti o conoscibili dal giudice, “fermo restando il potere-dovere del giudice di rilevare direttamente, quando possibile, l'esistenza di ragioni legittimanti l'inosservanza del precetto penale”; si ritiene, inoltre, che sia compito del giudice verificare caso per caso se l’atto sia stato effettivamente tradotto in una lingua comprensibile all’intimato, e se il significato dell’ordine e le conseguenze della sua violazione siano stati comprese dallo straniero. Nell’ipotesi della non intellegibilità dell’ordine da parte di chi ignori la lingua in cui l’atto è tradotto, va escluso l’elemento psicologico del reato (cfr. Trib. Bologna, 27 settembre 2002, giud. Betti, in cui si accerta la violazione della disciplina legislativa in materia di traduzione degli atti ex art.13, comma 7, T.U. Imm.). Va, altresì, rilevato che la Consulta, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla questione di compatibilità costituzionale della suddetta locuzione, l’ha dichiarata manifestamente inammissibile con ord. 17 dicembre 2008, n. 417, in quanto “non risultano essere stati addotti nuovi profili di censura, diversi da quelli già scrutinati” con la citata sent. n. 5 del 2004. Con riguardo, poi, alla compatibilità di tale onere di allegazione e la presunzione di non colpevolezza dell’imputato sancita all’art.27, comma 2, Cost., vi è da dire, che anche se apparentemente l’accollo di oneri probatori in capo all’imputato circa gli elementi a lui favorevoli sembra contrastare con tale presunzione, in realtà esso non è che la naturale conseguenza della partecipazione della difesa in punto di prova ex art.24, comma 2, Cost. Incombe sulle parti, dunque, l’onere di provare i fatti favorevoli e di falsificare gli elementi sfavorevoli addotti dalla controparte in dibattimento, sede in cui si forma la prova (cfr. Illuminati, La presunzione d’innocenza dell’imputato, Zanichelli, 1979, p. 136; Paulesu, Presunzione di non colpevolezza, in Dig. Disc. Pen., Vol. IX, Utet, 1995; Siracusano, Diritto processuale penale, Giuffrè, 2004). 62 Si segnala a tale riguardo Corte Cass. Pen., Sez. I, 15 marzo 2006, n. 9120, secondo cui l'accompagnamento dello straniero alla frontiera è l'unica forma di esecuzione di un nuovo provvedimento di espulsione adottato nei confronti dello straniero clandestino, che sia stato già condannato per non avere volontariamente ottemperato all'ordine di allontanamento del questore; ne deriva che nei confronti dello straniero sottoposto a giudizio con rito direttissimo, in stato di arresto o libero, il questore deve disporre il trattenimento presso un centro di permanenza temporanea, in vista dell'esecuzione dell'espulsione a mezzo della forza pubblica. 63 Tale ultima disposizione è stata interpretata nel senso di considerare integrata l’ipotesi delittuosa del reingresso illegale nel territorio dello Stato, solo qualora si sia già avuta l’effettiva esecuzione di un precedente provvedimento di espulsione coattiva e non anche nel caso di inottemperanza di un ordine di espulsione reiterato, e cioè adottato a mente dell’ultima parte dell’art.14, comma 5-ter (cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 30 ottobre 2003, n. 41304, Dudic, in Riv. Pen., 2004, p. 28). 64 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez I, 18 dicembre 2007, n. 1479, secondo cui non integra il reato in esame la condotta dello straniero, che si sia trattenuto in Italia successivamente all'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, emesso a seguito di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno, atteso che tale provvedimento di diniego non può essere equiparato a quello di revoca o di annullamento del medesimo, a ciò ostando il divieto di applicazione analogica in materia penale (conformi Id., 7 dicembre 2008, n. 244; Id., 11 maggio 2006 n. 31426). In senso difforme, cfr. Id., 16 novembre 2007, n. 45517. 65 Tale ordine ha quale suo antecedente logico il decreto di espulsione emesso da Prefetto, che dichiara l'irregolarità della permanenza dello straniero nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art.13, comma 2; cfr. però, Corte Cass. Pen., Sez. I, 19 gennaio 2007, 9826, in Cass. Pen., 2008, n. 6, p. 2598, secondo cui integra il reato in esame “l'ingiustificata inosservanza dell'ordine di allontanamento del Questore che trovi il suo presupposto nel respingimento di cui all'art. 10 del citato” T.U. Imm. 66 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 28 marzo 2006, n. 13314, con nota di Abukar Hayo, La motivazione dell'ordine di allontanamento del questore, in Cass. Pen., 2007, 1, 249. Le tre opzioni esecutive (accompagnamento immediato alla frontiera, soggiorno in un C.P.T. (ora C.I.E.), ordine di allontanamento entro cinque giorni) si inseriscono in un ordine di priorità, prefissato dal legislatore. Ergo ogni passaggio della sequenza deve essere motivato. Deve essere chiaro perché non è stata possibile la prima opzione, se si fa luogo alla seconda; e perché non sono state possibili la prima e la seconda, se si fa luogo alla terza. Solo in questo modo l'autorità amministrativa rispetta la voluntas legis e rende possibile il controllo di legittimità dei suoi atti. In tema di legittimità del provvedimento del Questore che intima allo straniero di allontanarsi ex art.14, comma 5-bis, la giurisprudenza di legittimità più recente (cfr. Corte Cass. Pen. Sez. I, 10 dicembre 2008, n. 394; Id., 28 febbraio 2008, n. 11714, cit.; Id., 11 gennaio 2007, n. 11489; Id., Sez. Un., 27 settembre 2007, n. 2451; Id., Sez. I, 28 settembre 2007, n. 38679; Id., 12 aprile 2006, n. 15259), sembrerebbe aver operato un renvirement di quell’orientamento più risalente, secondo cui sia fini della convalida dell'arresto obbligatorio in flagranza, sia ai fini della configurabilità del reati di cui all'art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, non è necessario che siffatto ordine espliciti le dettagliate ragioni che, ad esempio, hanno impedito il suo trattenimento presso un centro di permanenza temporanea (ora di identificazione ed espulsione) più vicino, nè rileva che la motivazione del provvedimento costituisca, in parte, la ripetizione della formula normativa, se non vi è necessità di specificazioni concrete (cfr., per tutte, Corte Cass. Pen., 23 novembre 2003 n. 40299), stabilendosi, ora, che “gli ordini di allontanamento a carattere intimatorio devono fare espresso riferimento alle ragioni specifiche che rendono impossibile la permanenza dello straniero nei centri di permanenza temporanea, chiarendo se il motivo è proprio il sovraffollamento delle strutture, ...non bastando ... che il decreto si limiti a riprodurre letteralmente la formula della legge”. L’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale costituisce per lo straniero modalità meno gravosa ed afflittiva rispetto al suo immediato accompagnamento coattivo alla frontiera a mezzo della forza pubblica o al suo trattenimento presso un centro di accoglienza in vista del suo successivo accompagnamento coattivo, anche se indicati in via preferenziale dalla legge come modalità esecutive (in questo senso cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 22 luglio 2005 n. 27429, Belbettah, in Cass. Pen., 2006, n. 10, p. 3336; Corte Cost., 10 aprile 2001, n. 105, cit.). 67 M. Pavone, Note in tema di illecito trattenimento del cittadino straniero espulso, consultabile all’indirizzo www.filodiritto.com. 68 Cfr. A. Caputo, nota a Corte Cass. Pen., 2 agosto 2005, n. 29221, in Dir. Iimm. Citt., 2006, 2, p. 194. 69 Cfr A. Caputo, op. loc. cit. In dottrina cfr., altresì, M. Gambardella, I reati in materia di immigrazione dopo la legge Bossi-Fini, in Aa.Vv. La condizione giuridica dell’immigrato. Normativa, dottrina, giurisprudenza, in Giur. Merito, suppl. al n. 7-8, 2004, p. 106; A. Casadonte, Profili penalistici, in Aa.Vv. (a cura di B. Nascimbene), Diritto degli stranieri, cit., p. 683. In giurisprudenza, sul potere del giudice di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, che costituiscono il presupposto di condotte penalmente sanzionate (da ravvisare, in primis, nell'ordine del questore ex art. 14, comma 5-bis, poi, nel preventivo decreto di espulsione prefettizio) e, di conseguenza, assolvere il soggetto incriminato per insussistenza del fatto, cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, Sez. I, 26 maggio 2006, Hu Li, Guida Dir., 2006, n. 35, p. 84; Id., 4 maggio 2006, Nefzi, ivi, 2006, n. 31, p. 82; Trib. Bologna 21 giugno 2004, n. 972, ivi, 2004, n. 39, p. 92. In senso contrario cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 23 ottobre 2003, Fedi, in Riv. Pen., 2004, p. 192; Sez. I, 25 ottobre 2004, Vera Contreras, in Guida Dir., 2004, n. 47, p. 91, ove si esclude che possano essere sollevati in sede penale presunti vizi dell’atto amministrativo presupposto. Con precipuo riferimento al provvedimento prefettizio, si assiste ad un’ulteriore divaricazione giurisprudenziale: a fronte, infatti, di un orientamento che ne ammette la sindacabilità, in quanto contribuisce a descrivere sul piano oggettivo la tipicità dell'illecito (cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 8 ottobre 2004, n. 47677, in Foro It., 2005, II, p. 409; Trib. Roma, 2 gennaio 2003, in Giur. merito, 2003, p. 1198), si registra un opposto indirizzo che opera un distinguo fra l’ordine di allontanamento emesso dal questore, la cui legittimità può essere valutata in sede penale, ed il decreto del prefetto, la cui cognizione è, invece, riservata al giudice di pace civile, salvo i casi di sua inesistenza (Corte Cass. Pen., Sez I, 3 novembre 2007 n. 2907, in Cass. Pen., 2008, n. 9, p. 3412; Id., 30 marzo 2005, in Riv. pen., 2005, p. 970; Id., 30 marzo 2005, Angheluta, in Foro It., 2006, II, p. 10). 70 Cfr. Corte Cost., 15 luglio, 2004, n. 223, in Giur. Cost., 2004, 4, o in Cass. Pen. 2004, 3990, con nota di Gallucci, Illegittima la previsione dell'arresto da parte della polizia giudiziaria dell'autore di contravvenzioni. 71 L’arresto obbligatorio è esteso anche all’ipotesi di cui al comma 5-quater, che prevede il delitto di reingresso nel territorio dello Stato dello straniero già espulso. 72 Cfr. A. Caputo, Prime note sulle modifiche alle norme penali del testo unico sull’immigrazione, in Quest. Giust., 2005, 252 ss., 73 Va al riguardo segnalato che, proprio sulla base dell’assunto secondo cui la condizione personale di “clandestino” sarebbe di per sè sintomatica di pericolosità sociale, l’art.1, lett. f) del summenzionato “pacchetto sicurezza” (D. L. n. 92 del 2008) ha introdotto, all’art.61, comma 1, c.p., il n. 11-bis, che disciplina una nuova circostanza aggravante comune nel caso in cui il fatto sia “commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale”. Una simile aggravante fa, quindi, conseguire ad una status di mera irregolarità amministrativa una risposta sanzionatoria più severa, con ciò determinando una disparità di trattamento fra soggetti, che pone seri dubbi di legittimità costituzionale. 74 Cfr. Corte Cass. Pen, Sez. VI, 25 ottobre 2006, n. 35828, con nota di A. Natalini, Rito direttissimo atipico: ecco i limiti, in Dir. Giust., 2006, 44, p. 71, in cui il Supremo Collegio stabilisce, in contrasto con il proprio orientamento maggioritario, la perentorietà della previsione temporale di cui all'art.449 c.p.p. in materia di instaurazione del rito direttissimo extra codicem, statuendo l'obbligo per il pubblico ministero di non oltrepassare, ai fini di una regolare vocatio in ius, il quindicesimo giorno dall'inserimento nominativo della notitia criminis nell’apposito registro. 75 In particolare si censura la parificazione esistente fra la pena prevista dalla disposizione in esame e quella fissata dall’art.13, comma 13-bis, nella parte in cui punisce lo straniero che, già colpito da provvedimento giudiziale di espulsione, faccia rientro indebitamente nel territorio dello Stato, che prevede una fattispecie ben più grave di quella del mancato allontanamento dello straniero colpito da un provvedimento di espulsione. Tale articolo introduce un’ipotesi specifica di reato di violazione del divieto di reingresso, in riferimento al quale il provvedimento di espulsione gioca un doppio ruolo, atteggiandosi sia a presupposto positivo della condotta, sia ad elemento che concorre a specificare la condotta materiale del reato. La fattispecie generale è prevista dal precedente comma 13, che punisce il reingresso dello straniero in mancanza dell’autorizzazione del Ministro dell’Interno. L’art.13, comma 13-bis, in particolare, disciplina due figure delittuose relative la prima al già ricordato reingresso illegale dello straniero allontanato sulla base di un’espulsione disposta dal giudice, la seconda al reingresso illegale dello straniero già denunciato per il reato ex art.13, comma 13 ed espulso. Tale ultima ipotesi è stata dichiarata illegittimità dalla Corte Cost. con sentenza 14 – 28 dicembre 2005, n. 466 (con nota di Mantovani, Corte costituzionale e reingresso abusivo dello straniero: un self-restraint davvero opportuno?, in Giur. Cost., n. 1, 2006, p. 674 ss.), nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art.12, L. 30 luglio 2002, n. 189. Non è chiaro se tutti i profili di incostituzionalità siano stati travolti dalla novella del 2004, intervenuta nelle more del giudizio costituzionale. Nella ultima parte della motivazione, infatti, la Corte ambiguamente precisa che nessun rilievo può avere la circostanza che alla denuncia era collegata anche l’espulsione perché, nel regime antecedente la sentenza della Consulta n. 222 del 2004 (declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.13, comma 13-bis, “nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa”), l’espulsione con accompagnamento alla frontiera era eseguita anche prima dell’eventuale convalida, sicché neppure sotto tale profilo la denuncia era soggetta ad alcuna delibazione processuale. Ottemperando specificatamente ai dettami della suddetta sentenza, la L. n. 241 del 2004 ora dispone che l’esecuzione del provvedimento del Questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. Secondo alcuni interpreti l’introduzione del meccanismo di convalida ad opera del giudice di pace, precedente all’esecuzione dell’espulsione, renderebbe la norma immune dalle censure della Corte, dal momento che la denuncia appare ora assistita in astratto da un minimo di garanzie. Altra parte della dottrina, invece, ritiene che quest’ultima precisazione dimostri come la denuncia “è atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il denunciante riferisce” (cfr. Corte Cost., sentt. 18 febbraio 2005, n. 78 e 13 giugno 1997, n. 173), soprattutto quando non venga sottoposta ad alcuna delibazione processuale, potendosi, pertanto, concludere che la pronuncia di illegittimità costituzionale ha rilievo anche in riferimento al novellato art.13, comma 13-bis (cfr. M. Centini, Automatismi sanzionatori tra principio di non colpevolezza e principio di ragionevolezza, in Giur. Cost., 2006, n. 3, p. 2649). Si ricorda, infine, che la novella del 2004 ha, peraltro, previsto per i suddetti reati l’arresto obbligatorio anche fuori dei casi di flagranza, in aperto contrasto con quanto dispone l’art.13 Cost. in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale da parte della polizia giudiziaria, che dovrebbero venire adottati solo in situazioni di necessità ed urgenza, che in assenza di una flagranza sembrano presunte iuris et de iure. 76 Cfr., per tutte, Trib. Trani, ord. 30 maggio 2005. 77 Cfr., da ultimo, Corte Cost., ordd., 16 gennaio 2009, n. 7, 27 febbraio 2008, n. 52 e 15 luglio 2008, n. 273, che hanno dichiarato manifestamente inammissibili questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente identiche a quelle testè enunciate. 78 Cfr. Corte Cost., 18 luglio 1989, n. 409, in Foro It., 1990, I, p. 36 ss., e, più di recente, Id., 3 dicembre 1993, n. 422, ivi, 1994, I, p. 341. 79 Cfr. G. Fiandaca, Commento all’art.27, 3° comma, Cost., in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca e Pizzorusso, Bologna, 1991, p. 330. 80 Cfr. Corte Cost., 3 luglio 1990, n. 313, in Giur. Cost., 1990, p. 1981 e ss.; Id., 28 luglio 1993, n. 343, in Foro It., 1994, Bologna, I, p. 342; Id., 3 dicembre 1993, n. 422, cit. 81 Cfr. Corte Cost., 25 luglio 1994, n. 341, in Foro It., 1994, I, p. 2585, che dichiara l’illegittimità dell’art.341 c.p., nella parte in cui prevede per il delitto di oltraggio a un pubblico ufficiale la pena minima di sei mesi di reclusione, per violazione non solo dell’art.3 Cost., per la rilevante ed ingiustificata differenza rispetto al trattamento sanzionatorio previsto per il reato di ingiuria di cui all’art.594 c.p., ma anche del successivo art.27, comma 3, poiché la sproporzione della pena rispetto all’effettivo disvalore del fatto-reato in questione vanifica la finalità rieducativa della pena stessa. 82 A supporto di tale opzione ermeneutica, si segnala la recente giurisprudenza di legittimità formatasi in ordine ai rapporti fra le norme dell’ordinamento penitenziario che regolano la materia delle misure alternative alla detenzione e quelle del testo unico sull’immigrazione, secondo cui la condizione dello straniero clandestino, pur se soggetto ad espulsione amministrativa da eseguire dopo l’espiazione della pena, non sia di per sé ostativa alla concessione di misure extramurarie. Tale linea interpretativa, poi condivisa dalle Sezioni Unite (Corte Cass. Pen., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 14500, già richiamata), considerati i preminenti valori costituzionali dell’uguale dignità delle persone e della funzione rieducativa della pena (artt.2, 3 e 27, comma 3, Cost.), che costituiscono la chiave di lettura delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario sulle misure alternative, stabilisce che dette misure devono essere applicate senza distinzioni di nazionalità, essendo dirette a favorire il reinserimento del condannato nella società, posto che, in un’ottica transnazionale, la risocializzazione non può assumere connotati nazionalistici, ma va rapportata alla collaborazione fra gli Stati nel settore della giurisdizione penale. 83 Cfr. A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali - Parte generale, Padova 2003, p. 315 ss., in cui l’Autore non manca di chiarire come la disciplina legislativa della condizione dello straniero extracomunitario, in ogni caso, incontri il limite posto dal principio di razionalità/ragionevolezza. 84 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 11 settembre 2001, n. 33539, Donatelli, in Dir. Prat. Lav., 40, 2001, p. 2747, che, ponendo fine alla querelle interpretativa scaturita dall’abrogazione dell’art.12, comma 2, L. 30 dicembre 1986, n. 943, che incriminava l’assunzione di lavoratori extracomunitari privi dell’autorizzazione al lavoro rilasciata dalle direzioni provinciali del lavoro, e dalla contestuale introduzione dell’art.22, comma 12, T.U. Imm., nega la sussistenza di una continuità normativa fra le due fattispecie incriminatrici, precisando che non è ravvisabile un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, in quanto il proprium delle stesse è assolutamente diverso, poiché del tutto eterogenei sono gli elementi, che concorrono a disegnarne la tipicità: l’atto amministrativo che si inserisce nell'area della rilevanza penale, i procedimenti autorizzatori e organi ai quali spetta il rilascio dei provvedimenti amministrativi e la ratio dell'intervento del legislatore penale. 85 Sul piano processuale, se il fenomeno dell’abolitio criminis si verifica nel corso di un procedimento penale, troverà applicazione l’art.129 c.p.p., che impone al giudice, in ogni stato e grado del processo, di prosciogliere l'imputato quando il fatto non costituisce più reato. In particolare la Corte di Cassazione, ex artt. 129 e 620 lett. a), c.p.p., deve pronunciare sentenza di annullamento senza rinvio se, invece, si realizza quando è già intervenuta una sentenza di condanna irrevocabile, il giudice dell’esecuzione, a norma dell’art.673 c.p.p, deve revocare la sentenza di condanna o il decreto penale, dichiarando che il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Cfr. per la dottrina Gambardella, Abolitio criminis: casi e regole processuali, in Cass. Pen., 2005, 5, 1739. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sez. Un., 6 febbraio 2006, n. 4687) ha stabilito che tra gli effetti giuridici pregiudizievoli scaturiti dal giudicato di condanna da eliminare in applicazione della suddetta disposizione, sono da annoverare anche quelli preclusivi alla concessione della sospensione condizionale (“previa formulazione del favorevole giudizio prognostico richiesto dall’art. 164, comma primo, cod. pen., sulla base non solo della situazione esistente al momento in cui era stata pronunciata la condanna in questione, ma anche degli elementi sopravvenuti”), così dirimendo il contrasto precedentemente insorto. 86 Un’ipotesi di continuità normativa può rinvenirsi anche quando ad una norma speciale succeda una norma generale, “poiché è quest'ultima a contenere pienamente la previsione precedente, ed a riprodurne integralmente la tipicità, per quanto stemperata nel più ampio contesto della nuova incriminazione” (così Bisori, L'abrogazione dell'oltraggio tra abolitio criminis e successione di leggi incriminatrici, in Cass. Pen., 2000, n. 11, p. 3025). 87 Cfr. Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2006, Milano, p. 61. 88 Cfr. Donini, Discontinuità del tipo di illecito e amnistia. Profili costituzionali, in Cass. Pen., 2003, n. 9, p. 2857. Segnala l'esigenza che la nuova legge disponga sempre per le situazioni pregresse attraverso una espressa disciplina di diritto transitorio Romano, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 2004, p. 61. 89 Si ricorda, altresì, che danno luogo al fenomeno di successione di leggi sia l’innesto di una nuova fattispecie interferente con l’ambito d’applicazione di altre pregresse, che l’abrogazione di una norma e contestuale riespansione di una formula incriminatrice previgente. In tale ultimo caso, la circostanza che all'abrogazione di un reato non abbia fatto seguito l'introduzione di nuove o diverse figure di reato non esclude la possibilità che la condotta già tipica del delitto abrogato possa integrare altra fattispecie criminosa tuttora prevista e punita dalla legge penale. Emblematica a questo riguardo la vicenda processuale scaturita dall’abrogazione del delitto di oltraggio (art.341 c.p.) e alla possibile applicazione del delitto di ingiuria aggravata (artt.594 e 671, n. 10 c.p.). Non sembra condivisibile quanto affermato dalle Sezioni Unite (Corte Cass. Pen., Sez. Un., 27 giugno 2001, n. 29023, Avitabile, in Cass. Pen.., 2002, p. 482, con nota di Lazzari, L'abrogazione del reato di oltraggio: la parola delle Sezioni unite), secondo cui la vicenda legislativa in questione “non configura una ipotesi di successione intertemporale di leggi penali, di cui al comma 3 [ora 4] dell'art. 2 c.p. Infatti quest'ultima disposizione ha per presupposto una diversità di norme incriminatrici, di cui una cronologicamente precedente all'altra”. Secondo parte della dottrina, infatti nel concetto di “legge successiva”, rientra anche quella che, pur preesistente, non risulti però applicabile in una certa epoca: come nel caso in cui la norma generale diventi applicabile ad un dato tipo di fatto storico soltanto in seguito all'abrogazione della norma speciale derogatoria. È sufficiente, invero, per la sussistenza di una “successione di leggi penali” ai sensi dell'art.2 c.p., che cambi la disciplina giuridica applicabile al caso concreto per qualsivoglia mutamento normativo intervenuto dopo la realizzazione del fatto. In questo senso cfr. Pulitanò, Legalità discontinua? Paradigmi e problemi di diritto intertemporale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2002, p. 1274 ss.; Frosali, Concorso di norme e concorso di reati, 1971, p. 530, per il quale nel caso di una successiva abrogazione della norma speciale si ha successione di leggi penali ex art. 2 c.p. 90 Cfr. Pulitanò, Legalità discontinua?, cit., p. 1271; Padovani, Tipicità e successione di leggi penali. La modificazione legislativa degli elementi della fattispecie penale incriminatrice o della sua sfera di applicazione nell’ambito dell’art. 2, commi 2 e 3, c.p., in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1982, p. 1369 ss.; più di recente Micheletti, I nessi tra politica criminale e diritto intertemporale nello specchio della riforma dei reati societari, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2003, p. 1113 ss. 91 Riguardo alle conseguenze della abolizione parziale del reato sui procedimenti penali ancora non terminati, si può osservare, in linea generale, che il pubblico ministero, di regola, deve modificare l'imputazione e contestarla all'imputato, in modo che la descrizione del fatto addebitato rientri nelle condotte punite alla stregua della nuova disposizione incriminatrice. Cfr. Padovani, Il cammello e la cruna dell'ago, I problemi della successione di leggi penali relativa alle nuove fattispecie di false comunicazioni sociali, in Cass. Pen., 2002, p. 1607 ss.; Avenati Bassi, L'attività di accertamento degli illeciti societari, Incontro di studio sul tema La riforma del diritto societario, Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 6-8 febbraio 2003, p. 6 ss. (dattiloscritto). 92 Anche se entrambe le disposizioni sono ispirate al favor rei, la revoca delle sentenze di condanna passate in giudicato è interdetta nell’ipotesi di mera successione di norme penali, in quanto l’art 673 c.p.p. prevede tale possibilità soltanto in caso di abolitio criminis vera e propria. 93 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. V, 16 ottobre 2002, n. 34622. 94 Le ipotesi fin qui descritte rientrano nella c.d. specialità “unilaterale”, mentre una parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono che il congegno predisposto dall'art.15 c.p. sarebbe applicabile anche quando un fatto concreto risulti sussumibile in più fattispecie astratte, che presentino alcuni elementi comuni tra loro ed altri, generici o tipizzanti, diversi, fenomeno questo meglio descritto come specialità “bilaterale” o “reciproca”. Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. V, 21 novembre 1999 in Riv. Pen., 2001, 559, secondo cui “le fattispecie criminose previste, rispettivamente, dall'art. 648 c.p. e dall'art. 12 d.l. 3 maggio 1991 n. 143, convertito con modificazioni in l. 5 luglio 1991 n. 197 sono tra loro in relazione di specialità reciproca. Tra le due, quindi, deve trovare applicazione quella caratterizzata da maggiore specialità rispetto all'altra”. In dottrina cfr. Padovani, Diritto penale, Milano, 2006, p. 378; Caraccioli, Manuale di diritto penale. Parte generale, Padova, 2005, p. 190 (che fa rientrare anche la specialità in concreto nella specialità reciproca o bilaterale). Si oppongono alla tesi che riconduce la specialità reciproca alla previsione dell'art.15 c.p. Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale, cit., p. 385. 95 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 16 giugno 2003, n. 25887, Giordano, in Cass. Pen., 2003, p. 3310, con nota di Padovani, Bancarotta fraudolenta impropria e successione di leggi: il bandolo della legalità nelle mani delle Sezioni unite. 96 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. V, 16 ottobre 2002, in Dir. Pen. Proc., 2003, n. 6, p. 712, con nota di D. Micheletti, La continuità intertemporale della bancarotta fraudolenta “cagionata” tramite reati societari. L’avvicendamento di due fattispecie incriminatrici comporta sempre un’abolitio criminis totale, e dunque la costante applicazione dell’art.2, comma 2, c.p., qualora intercorra tra le stesse un rapporto di specialità per aggiunta e l’elemento costitutivo speciale abbia un “peso” tale da ascrivere al fatto di reato un significato lesivo diverso da quello sottostante alla fattispecie generale. Secondo tale ricostruzione, se tra falso in comunicazioni sociali vecchia e nuova ipotesi sussiste un’omogeneità strutturale, nel senso di una specialità per specificazione, tra bancarotta impropria vecchia e nuova formula esiste un rapporto di specialità per aggiunta, in cui l’elemento nuovo (nesso di causalità tra reato presupposto e dissesto dell’impresa) ha quel peso e quella rilevanza che esprimono una mutata volontà legis e determinano la sussistenza di una abrogazione totale della norma precedente. Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 26 marzo 2003, Giordano, cit., secondo cui in tema di diritto intertemporale sussiste la punibilità della condotte di falsità e delle omissioni previste dagli artt.2621 e ss. c.c., poste in essere prima della riforma introdotta con il D. Lgs., 11 aprile 2002, n. 61, solo quando siano state superate le soglie di punibilità previste dalla nuova disciplina. Nel stesso senso sembra orientata Corte Cass. Pen., Sez. V, 23 aprile 2003, Ruocco, in Dir. Pen. Proc., 2003, p. 3747, o in Impr., 2004, n. 7/8, p. 1278 ss., ove si stabilisce che la Corte deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata, qualora dalla stessa non risulta possibile stabilire se le soglie di punibilità siano state superate o meno. Ancora così (almeno in parte) Corte Cass. Pen., Sez. V, 3 ottobre 2003, Fodde, in C.E.D. Cass., n. 226918, secondo cui al fine di verificare se i fatti commessi prima dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 61 del 2002 siano sussumibili nell'attuale fattispecie criminosa di cui all'art.2622 c.c., occorre che tutti gli elementi richiesti dalla nuova disciplina (quali ad esempio il superamento delle soglie di punibilità) siano stati contestati e abbiano formato oggetto di accertamento in contraddittorio. Ne consegue che nel giudizio di cassazione, nel quale la Corte è chiamata a decidere sulla base di un accertamento già compiuto dal giudice di merito, se i nuovi elementi non hanno formato oggetto di valutazione nella decisione impugnata, il fatto-reato rientra nell'ambito dell'abolitio criminis. 97 In argomento cfr. l'approfondito studio di Ambrosetti, Abolitio criminis e modifica della fattispecie, Cedam, 2004, p. 37. 98 Nella manualistica penale, cfr. C. Fiore-S. Fiore, Diritto penale. Parte generale, Utet, 2004, p. 86 ss., secondo cui per stabilire quando una norma penale abbia cessato di essere in vigore è necessario fare riferimento alla disciplina posta dall'art.15, disp. prel. c.c. 99 Per un'applicazione giurisprudenziale della teoria, in riferimento alla soluzione del problema, seguito alla riforma avvenuta con L., 26 aprile 1990, n. 86, della continuità normativa fra alcuni dei reati dei pubblici ufficiali commessi in danno dell'Amministrazione, cfr. Trib. Genova, 13 giugno 1990, Giuffrè, in Foro it., 1990, II, p. 639 ss. 100 Cfr. Musco, La riformulazione dei reati. Profili di diritto intertemporale, Giuffrè, 2000, p. 109 ss. 101 Cfr. Padovani, Diritto Penale, cit. Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 20 giugno 1990, n. 10893, in Giust. Pen., 1990, II, p. 513 ss., con nota di Fiandaca, Questioni di diritto transitorio in seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di ufficio. 102 Cfr. Bisori, L'abrogazione dell'oltraggio, cit., p. 3025. In alcune sentenze si è cercato di superare i suddetti limiti, da più parti denunciati, attraverso il richiamo alla teoria della persistente modalità d'offesa del medesimo bene giuridico: cfr. Corte Cass., Sez. Un., 13 dicembre 2000, n. 35, in Cass. Pen., 2001, p. 2643, con nota di Micheletti, La riformulazione del reato tributario di omessa dichiarazione. A proposito della distinzione tra abolitio criminis e abrogatio sine abolitione; in argomento cfr., altresì, l’ampio lavoro monografico di Musco, op. loc. cit. 103 Più nello specifico sussiste continuità d’incriminazione quando la fattispecie successiva è “contenuta”, appunto, in quella precedente: cioè quando la norma abrogatrice è speciale rispetto alla norma abrogata. Si è, però, obiettato che tale interpretazione restringerebbe troppo l’ambito applicativo del fenomeno della successione, che, invero, andrebbe esteso “anche nel caso in cui la norma successiva ampli il contenuto di una precedente più specifica” (cfr. Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2008, p. 89). 104 Cfr. Padovani, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1354. 105 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 26 marzo 2003, n. 25887, cit.; Id., Sez. Un. 13 dicembre 2000, n. 35, cit., che richiama i criteri ermeneutici elaborati dalla precedente sentenza Corte Cass. Pen., Sez. Un., 25 ottobre 2000, n. 27, Di Mauro, in Cass. Pen., n. 2, 2001, p. 448 ss., con nota di Musco, La riformulazione dei reati tributari e gli incerti confini dell’abolitio criminis, che nel valutare se vi sia o meno una continuità normativa tra il reato di cui all'art.4, comma 1, lett. d), L. n. 516 del 1982 (utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti) e la nuova fattispecie di cui all'art.2, D. Lgs. n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta nella quale ci si avvalga di fatture per operazioni inesistenti), opera un’ampia disamina dei criteri utilizzabili al fine di stabilire se sussista nel caso di specie abolitio criminis o abrogatio sine abolitione, pervenendo, poi, all'esclusione di detta continuità sulla base della teoria dei rapporti strutturali tra le fattispecie (in realtà la sentenza utilizza tale criterio ad adiuvandum, ossia per dimostrare come il risultato interpretativo resti invariato sia che si consideri il rapporto strutturale tra le fattispecie a confronto, sia che si fondi l'accertamento sulla continuità del tipo di illecito, come anche sulla base del teoria dell’applicazione in concreto. Per un recente impiego “combinato” dei suddetti parametri cfr. Corte Cass. Pen., Sez. VI, 23 novembre 2004, n. 81, in tema di riduzione in schiavitù). Diversamente cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 15 gennaio 2001, Sagone, in Dir. Pen. Proc., 2001, p. 878 ss., con nota di Dovere, L’omessa dichiarazione dei redditi: una nuova ipotesi di abolitio criminis, che accoglie, invece, il canone sostanzialistico-valoriale della c.d. “continuità del tipo di illecito”, anche se con argomentazioni “prudenziali”, a dimostrazione delle difficoltà di rintracciare un criterio univoco valido in tutti i casi. 106 Cfr. Palazzo, L'errore su legge extrapenale, 1974, Milano, p. 17: “Si denomina elemento normativo della fattispecie penale ogni elemento per la cui determinazione ... l'interprete deve servirsi di una norma diversa da quella incriminatrice, richiamata appunto dall'elemento normativo, già esistente nell'ambito di un ordinamento giuridico od extragiuridico”. 107 Nei delitti contro l’onore ed il pudore sessuale, ad esempio, l’oscenità è elemento normativo extragiuridico variabile al mutare dei tempi e dei luoghi. Cfr. Fiandaca-Musco, Diritto Penale, cit., p. 83, secondo cui, nel caso di elementi normativi rinvianti a norme sociali e di costume, “il parametro di riferimento diventa inevitabilmente incerto e sorgono forti dubbi circa il limite discretivo tra rispetto di un sufficiente livello di determinatezza e carattere indefinito dell'elemento del fatto di reato”. 108 Cfr., per tutti, Padovani, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1356; Petrone, L’abolitio criminis, Milano, 1985, p. 25; Del Corso, Successione di leggi penali, in Dig. Disc. Pen., Vol. XIV, Torino, 1999, p. 98; Musco, La riformulazione dei reati. Profili di, cit., p. 47 ss. Circa la questione altrettanto complessa dell’errore su legge extrapenale, che abbia cagionato un errore sul fatto che costituisce reato (art.47, comma 3, c.p.) cfr., ex pluribus, Pagliaro, Dolo ed errore: problemi in giurisprudenza, in Cass. Pen., 2000, p. 9, 2493; Montagni, La divergenza tra rappresentazione e volontà, in Giur. Mer., 2004, n. 9, p. 1905. 109 Le stesse, peraltro, già enunciate in riferimento al fenomeno successorio conseguenza di modificazioni immediate della fattispecie penale. Per un quadro delle posizioni dottrinali italiane si rinvia alla recente monografia di Micheletti, Legge penale e successione di norme integratrici, Torino, 2006, e per quelle tedesche al volume di Dannecker., Das intertemporale Strafrecht, , Tübingen, 1993, p. 495 ss. 110 Sul punto, cfr., fra gli altri, Grosso, Successione di norme integratrici di legge penale e successione di leggi penali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1960, 1206 ss.; Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, 314. Cfr., per la giurisprudenza, Trib. di Perugia 12 febbraio 2005, in Rass. Giur. Umbra, 2006, p. 213, con nota di Bisacci, L’abolitio del delitto presupposto nel quadro delle coordinate di diritto intertemporale. 111 In tal senso, Marinucci-Dolcini, Corso di diritto penale, Milano, 2001, p. 273; Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2007, p. 83-84; Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, p. 132 ss. 112 È questa la posizione, fra gli altri, di Padovani, Diritto penale, cit., p. 43-44; Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit., p. 94 ss.; Iori, Abrogazione di norma extrapenale integratrice, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1976, p. 349 ss. 113 Cfr. Mantovani, Diritto penale, cit. 114 Cfr. Fiandaca-Musco, Diritto penale, cit. 115 Così, Mantovani, Diritto penale, cit., p. 84 (ma si veda, contra, lo stesso autore, ivi, p. 90, con riferimento al delitto di associazione costituita per la realizzazione di fatti delittuosi divenuti successivamente leciti); Marinucci-Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 273. 116 In questo senso cfr. Pagliaro, Il delitto di calunnia, Palermo 1961, p. 37, secondo il quale, invece, qualora successivamente alla falsa incolpazione il legislatore sancisca l’irrilevanza penale del fatto falsamente addebitato, viene meno di riflesso anche il reato di calunnia per effetto dell’art.2 c.p. 117 Cfr. Fiandaca-Musco, Diritto penale, p. 96. 118 Cfr. Pagliaro, Principi di diritto penale, cit., p. 127. 119 Cfr., per tutti, Romano, Commentario sistematico, cit., p. 59; Petrone, L’abolitio criminis, cit., 26; Marinucci-Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 276. 120 L’ipotesi di scuola è rappresentata dall’annullamento o modifica dell’atto amministrativo richiamato dall’art.650 c.p. Cfr. Mantovani, Diritto penale, cit., p. 90, secondo cui l’abolizione del provvedimento ex art.650 c.p. ricade sotto il disposto dell’art.2 c.p., poiché, in tal caso, viene a cessare la tutela penale dell’interesse prima protetto. 121 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 11 dicembre 1997, Prestigiacomo, in Cass. Pen., 1999, p. 858. In termini analoghi, si è pronunciata la Corte di Cassazione con riferimento anche al delitto di truffa, stabilendo il principio che la modifica del regime giuridico dell’Enel non ha configurato una successione di leggi penali e che, pertanto, si può escludere una efficacia retroattiva della legge più favorevole; Id., Sez. V, 25 febbraio 1997, n. 4114: “L'art. 2 c.p., che regola la successione nel tempo della legge penale, riguarda quelle norme che definiscono la natura sostanziale e circostanziale del reato, comprese quelle norme extrapenali richiamate espressamente ad integrazione della fattispecie incriminatrice, nonché le leggi costituenti indispensabile presupposto o comunque concorrenti ad individuare il contenuto sostanziale del precetto. Esula da tale normativa la successione di atti o fatti amministrativi che, senza modificare la norma incriminatrice o comunque su di essa influire, agiscano sugli elementi di fatto - modificandoli - sì da non renderli più sussumibili sotto l'astratta fattispecie normativa. (Fattispecie in tema di rigetto di eccepita inapplicabilità dell'art.468 c.p., alla contraffazione dei sigilli posti sulla calotta del contatore elettrico per non essere più l’Enel, a seguito della l. n. 359 del 1992, ente pubblico economico)”; Id., Sez. II, 21 settembre 1993, Cusimano, in Cass. Pen., 1994, 3010; Id., Sez. III, 28 aprile 1993, Azzarito, in Cass. Pen., 1994, 3010). 122 Cfr. Corte Cass. Pen, Sez. V, 18 marzo 1998, Gambino, in Cass. Pen., 1999, p. 3127. 123 Va ricordato che è rimesso, comunque, all’interprete il compito di accertate la natura giuridica della privatizzazione di cui è causa: se, cioè, la stessa possa essere ricondotta ad una privatizzazione debole, o formale, nella quale il cambiamento ontologico non incide affatto sul servizio prestato, che conserva i suoi canoni di pubblicità e di essenzialità; oppure ad una privatizzazione sostanziale, o forte, nella quale, invece, si evinca senza ombra di dubbio il passaggio dell’ente pubblico alla forma societaria, il mutamento della qualifica soggettiva rilevando, infatti, soltanto in tale ultima ipotesi. 124 Cfr., in tal senso, Corte Cass. Pen., 4 febbraio 2005, n. 8045: “Nel novero delle norme integratrici della legge penale, cui è applicabile il principio di retroattività della legge più favorevole, ai sensi dell’art. 2, comma terzo, cod. pen., debbono ricomprendersi tutte quelle che intervengano nell’area di rilevanza penale di un fatto umano, escludendola, riducendola o comunque modificandola in senso migliorativo per l’agente; e ciò quand’anche la nuova norma non rechi testuale statuizione in tal senso ma, comunque, regoli significativamente il fatto in termini incompatibili con la precedente disciplina penalistica ovvero incidenti, per il nuovo caso regolato, nella struttura della norma incriminatrice o, quanto meno, sul giudizio di disvalore in essa espresso. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che potesse valere ad escludere la configurabilità del reato di violazione di domicilio – addebitato ad un esponente di un’associazione per la tutela degli animali per essersi egli introdotto e trattenuto, per dichiarate finalità ispettive, contro la volontà del proprietario, in un locale privato adibito a canile – la sopravvenuta emanazione di una norma regionale che imponeva ai gestori di strutture di ricovero per animali di consentire l’accesso, senza bisogno di speciali procedure o autorizzazioni, ai responsabili locali delle associazioni protezionistiche o animalistiche)”. 125 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 23 maggio 1987, n. 8342, Tuzet, in CED Cass., rv. 176406: “Qualora un fatto perda il carattere di illecito penale a seguito di una modifica legislativa intervenuta successivamente che concerna la disciplina normativa extra-penale di riferimento per attribuire la qualità di soggetto attivo di un reato proprio si applica il principio di retroattività della legge più favorevole affermato dall’art. 2 cod. pen. Perché per legge incriminatrice deve intendersi il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto tra cui, nei reati propri è indubbiamente compresa la qualità del soggetto attivo (nella fattispecie è stata ritenuta non più ravvisabile l’ipotesi del reato di peculato nella condotta di un dipendente di una cassa di risparmio perché è stata esclusa, a seguito di novatio legis, l’attribuibilità allo stesso della qualifica di pubblico ufficiale)”. 126 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. II, 4 febbraio 2004, n. 4296, trattasi di una modifica concernente una norma “definitoria”, ossia una disposizione attraverso la quale il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più incriminazioni, concorrendo a individuare il contenuto del precetto penale; Id., 8 aprile 1975, n. 7422. 127 Cfr. Corte Cass. Pen., 4 febbraio 2005, n. 8045, cit. 128 Cfr. Corte Cass. Pen., 4 febbraio 2003, n. 14329: “Sussiste l’abolitio criminis del reato di contrabbando doganale (art. 282 DPR n. 43 del 1973) consistente nell’omissione del pagamento del dazio ad valorem del 6% gravante sull’alluminio in pani proveniente dalla Repubblica Federale Yugoslavia in virtù della sopravvenienza del regolamento comunitario n. 2007 del 2000, integrato e modificato dal regolamento n. 2563 del 2000 che ha sottratto tale merce ai diritti di confine sulla stessa gravanti, in quanto le norme impositive del dazio costituiscono norme extrapenali integratrici del precetto penale ed, in quanto tali, rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 2 cod. pen.”; Id., 26 giugno 2002 n. 33934. 129 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. VI 9 dicembre 2002 - 16 gennaio 2003, n. 1751, Di Campli Finore, rv. 223341: “Non integra il reato di esercizio abusivo di una professione la condotta del praticante avvocato, abilitato al patrocinio, il quale abbia assunto la difesa di un minore nell’udienza di convalida dell’arresto tenuta dal GIP del tribunale per i minorenni, in quanto, nei limiti in cui tale attività difensionale è consentita dalla norma sopravvenuta di cui all’art. 7 1.16 dicembre 1999, n. 47, la modifica della norma extrapenale si riflette sulla struttura stessa del precetto penale ed opera, dunque, il principio di retroattività della legge più favorevole (art. 2, cpv. cod. pen)”; relativamente al delitto di associazione per delinquere cfr. Id., 9 marzo 2005, n. 13382, in Cass. Pen., 2006, n. 6, p. 2070, con nota di Restignoli, Esclusa la configurabilità del reato di associazione per delinquere per la sopravvenuta depenalizzazione del reato fine, secondo cui lo stesso viene meno, qualora venga depenalizzata la fattispecie dei reati fine, perché vi è la “perdita della rilevanza criminale del fatto, non già dalla data della modifica legislativa, ma ex tunc”. 130 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. III, 24 settembre 1996, n. 9163, secondo cui “quando la legge punisce condotte contrarie a prescrizioni poste con atto amministrativo, che influisce su singoli casi, l'emanazione di nuovi atti, o il mutamento del loro contenuto, non costituiscono novazione legislativa rilevante ex art.2, comma 2, c.p., in quanto non si prospetta alcuna modificazione di regole generali di condotta. Invero tale atto amministrativo ... integra il precetto penale in un elemento normativo della fattispecie; cioè l'atto amministrativo è il presupposto di fatto della legge penale incriminatrice, la quale ne sanziona la trasgressione. Ne deriva che il mutamento dell'atto amministrativo non comporta una differente valutazione della fattispecie legale astratta, bensì determina la modifica del precetto e l'instaurazione di una nuova fattispecie incriminatrice, sicché regolando le due norme fatti storicamente diversi, non sorge problema di successione di leggi”; Id., 8 maggio 1978, in Foro It., 1979, II, 577; Id., Sez., VI, 4 giugno 1986, n. 9530, ivi, 1987, II, p. 156. 131 Cfr. Corte Cass. Pen., 1 febbraio 2005 n. 9482: “L’istituto della successione delle leggi penali nel tempo riguarda le norme che definiscono la struttura essenziale e circostanziata del reato; pertanto, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2 cod. pen. si deve tenere conto anche di quelle fonti normative subprimarie che, pur non ricompresse nel precetto penale, ne integrano tuttavia il contenuto. (Nel caso di specie, relativo al reato di esercizio di attività venatoria nei parchi, la Corte ha ritenuto che la riperimetrazione della riserva naturale ad opera di un provvedimento amministrativo della Regione Sicilia avesse eliminato il disvalore penale del fatto commesso, in quanto era venuta successivamente a mancare la qualifica di parco dell’area di svolgimento dell’attività venatoria, elemento costitutivo della condotta punibile)”. 132 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. VI, 21 novembre 1988, Caronna, in Cass. Pen., 1990, p. 28; Id., 26 settembre 1986, Dotto, ivi, 1988, p. 254; Id., 5 novembre 2003, n. 48525; Id., 11 giungo 2003, n. 34481. Si è quindi ritenuto che nella calunnia la falsa attribuzione di un fatto costituente reato è un elemento materiale della fattispecie, e la sua esistenza va valutata nel momento della falsa attribuzione ad altri del fatto stesso, senza che sulla configurabilità del delitto di di cui all’art.368 c.p. possano influire modifiche legislative incidenti sulla definizione del reato falsamente attribuito, che nulla hanno a che vedere con il principio stabilito dall’art.2 c.p. Per la casistica giurisprudenziale contraria a ritenere applicabile la disciplina di cui all’art.2 c.p. nel caso di abrogazione del reato presupposto nell’ipotesi di ricettazione, calunnia e omessa denuncia, nonché di caducazione di un atto amministrativo, la cui emissione costituiva una condotta abusiva ai sensi dell'art.323 c.p., cfr. Piergallini, Sub art. 2 c.p., in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Lattanzi-Lupo, Vol. I, Giuffrè, 2000, p. 65 ss. 133 Per un quadro delle diverse posizioni giurisprudenziali si rinvia a Natalini, La leva volontaria è un’abolitio criminis - La corte aggiusta il tiro: non rileva la gradualità della riforma, in Dir. Giust., 2006, n. 15, p. 74. 134 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 25 maggio 2006, n. 20382; Id., 10 febbraio 2005 n. 12316; Id., Sez. I, 24 gennaio 2006, n. 7628, Bova: “Tra il sistema di coscrizione volontaria introdotto dalla l. 331/00 ed il preesistente sistema di coscrizione obbligatoria sussiste una netta soluzione di continuità, con la conseguenza che l'abolizione del servizio militare obbligatorio ha comportato l'abrogazione del delitto di rifiuto di prestare detto servizio da parte dei cittadini ad esso tenuti per chiamata di leva e ha determinato - ex art. 2, comma 2, c.p. - la non punibilità della condotta di chi in precedenza, allorché detto servizio era obbligatorio, ha rifiutato di prestarlo ovvero la cessazione dell'esecuzione e degli effetti penali della condanna eventualmente intervenuta”. 135 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 4 luglio 2007, n. 25812; Id., 13 luglio 2006, n. 24270; Id., Sez. I, 24 maggio 2006, n. 7852; Id., 28 agosto 2006 n. 19168; in senso conforme Brunelli, Rilevanza penale dell’abolizione del servizio militare o obbligatorio: tra successione di norme e "scomparsa" del fatto tipico, in Cass. Pen., 2006, 5, 1680. 136 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 28 febbraio 2008, n. 19601, in Fall., n. 10, p. 1187, con nota di Tetto, Il nuovo statuto dell'impresa fallibile ed i riflessi nei giudizi di bancarotta; contra Id., Sez. V, 18 ottobre 2007, n. 43076; Trib. Trieste, Sez. Pen., 9 gennaio 2007 e Trib. Pordenone, Sez. Pen., 10 ottobre 2007, ivi, n. 4, p. 451 ss., con nota di Id., Il concetto di imprenditore “fallibile” penalmente rilevante e vicende successorie di norme extrapenali ex art. 2 c.p.; dello stesso avviso in dottrina Socci, Gli effetti delle riforme del fallimento e del diritto societario sui reati fallimentari e societari. Successione di leggi non penali e conseguenze sulle fattispecie penali, in Giur. Mer., n. 11, 2007, p. 3054, secondo cui gli imprenditori dichiarati falliti in base alla legge previgente, che, in seguito al mutamento di disciplina, non rientrano più nell’area dei soggetti sottoponibili al fallimento, devono essere assolti dai reati fallimentari con la formula perché il fatto non sussiste (manca l’elemento oggettivo del reato), o perché il “il fatto non è - più – previsto dalla legge (penale, così come integrata dalla successione di norme non penali) come reato”, giacché il disvalore sociale del fatto è venuto meno; Cò, Applicabilità della nuova legge più favorevole tra vecchi e nuovi contrasti sullo status di imprenditore nei reati di bancarotta, in Fall., n. 3, 2008, p. 278 ss.; Ambrosetti, I riflessi penalistici derivanti dalla modifica della nozione di piccolo imprenditore nella legge fallimentare al vaglio delle Sezioni unite, in Cass. Pen., 2008, n. 10, p. 3602. 137 A favore dell’abolitio criminis cfr Trib. Reggio Calabria, 23 gennaio 2007, n. 76, che assolve l’imputato cittadino rumeno in riferimento al reato di cui all’art.14, comma 5-ter, D. Lgs. 286 del 1998, perché il fatto non costituisce più reato in seguito all’adesione della Romania alla U.E., la cui la ratifica, ha infatti, determinato non un mero caso di successione di leggi nel tempo, ma un’abolitio criminis, con conseguente applicabilità del disposto dell'art.2, comma 2, c.p. e non del successivo comma 3 (ora 4); Trib. Catanzaro, 14 marzo 2007, n. 174; Trib. Milano, Sez. III Penale, 17 febbraio 2007, n. 816 ; Trib. Viterbo, 11 gennaio 2007, n. 15 (Est. Centaro, Imp. Dottori); Trib. Roma, 25 novembre 2005 (Est. Iulia, Imp. Yarga), in Cass. Pen., 2006, p. 2270 ss. Anche nell’imminenza dell’adesione alla U.E. di Romani e Bulgaria la giurisprudenza di merito si era, peraltro, orientata nel senso dell’inapplicabilità del T.U. Imm.: cfr. Trib. Livorno, 15 ottobre 2004, n. 1122 che, riportandosi al principio affermato dalla sentenza Corte Cass. Pen., Sez III, 27 gennaio 2000, n. 439 (in Riv. Pen., 2001, p. 181), ha affermato che l’inapplicabilità delle norme del presente testo unico ai cittadini degli Stati membri dell’Unione, si estende in via analogica, anche ai cittadini degli Stati candidati a data certa ad entrare a farne parte; diversamente opinando, si creerebbe una disparità di trattamento difficilmente giustificabile; Giudice di pace Messina, 19 luglio 2005; Trib. Catanzaro, 2 luglio 2006, n. 396. Per completezza espositiva, occorre rilevare che in alcune pronunce si sottolinea come, secondo un indirizzo presente nella stessa giurisprudenza di legittimità, l'ingresso della Romania nell'U.E. potrebbe corrispondere ad una vicenda successoria di leggi penali nel tempo riconducibile non già nella situazione di abolitio criminis prefigurata nell’art.2, 2 comma, c.p., ma nella particolare previsione del successivo comma 4, di cui è stata fatta applicazione nella materia dei reati di rifiuto del servizio militare. Va, poi, aggiunto, che la questione di diritto intertemporale è emersa anche in riferimento all’art.22, comma 12, T.U. Imm., che punisce l’assunzione di cittadini extracomunitari senza permesso di soggiorno. Dal punto di vista strutturale le fattispecie incriminatrici di cui agli artt.12 e 22 presentano un’affinità, dal momento che in entrambe le ipotesi la qualifica soggettiva connota la persona offesa dal reato, non già il soggetto agente. 138 La giurisprudenza, afferma che tale posizione interpretativa è, peraltro, il linea con quanto affermato più volte dal Supremo Collegio circa la rilevanza delle modifiche "mediate” della legge penale, la cui principale espressione è rintracciabile nella sentenza delle Sezioni unite già richiamata (Corte Cass. Pen., Sez. Un., 23 maggio 1987, Tuzet), riguardante la disciplina introdotta dal D.P.R., 27 giugno 1985, n. 350, che, nel recepire la Direttiva comunitaria 77/780/CEE, riconobbe natura privatistica all'attività bancaria, ritenendo, pertanto, sussistente un'ipotesi di abolitio criminis con riguardo ai delitti di malversazione e di peculato precedentemente commessi dagli operatori bancari, per effetto del mutamento di disciplina extrapenale, a cui il precetto faceva riferimento. In tale sentenza, seppur risalente, la Corte enuncia in termini chiari e convincenti un principio di immutato valore logico-sistematico, ossia che per legge incriminatrice deve intendersi il complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto. Tra questi elementi, nei reati propri, è indubbiamente compresa la qualità del soggetto attivo. Se ne deve dedurre che, se la novatio legis riguarda la qualità del soggetto attivo, nel senso che, come nella specie, fa venire meno al dipendente bancario la qualità di incaricato di pubblico servizio, necessaria per integrare il reato di peculato, non può non applicarsi in favore di quel dipendente il principio di retroattività della legge più favorevole affermato dall'art.2 c.p. 139 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. II, 4 febbraio 2004, n. 4296, cit. 140 Conformi, peraltro, seppur in ambiti diversi, Corte Cass. Pen., Sez. V del 2 marzo 2005, n. 8045, cit.; Id., Sez. I, 24 gennaio 2006, n. 7628, cit., in materia di rifiuto di prestare il servizio militare e l'abolizione del servizio militare obbligatorio a seguito dell'introduzione di forze armate esclusivamente professionali, realizzata con l'art.1, comma 6, L. 14 novembre 2000, n. 331, che secondo la Corte avrebbe ridisegnato la fattispecie penale del rifiuto della relativa prestazione “eliminando il disvalore sociale della condotta incriminata (ancorché antecedentemente commessa)”, con la conseguente applicazione dell'art.2, comma 2, c.p. Medesimo principio di diritto viene ribadito, questa volta in materia di contrabbando, dalla Corte Cass. Pen., Sez. III, 4 febbraio 2003 n. 172 in fattispecie attinente al mancato versamento di un dazio che, successivamente alla commissione del fatto, era stato abrogato da una norma che doveva ritenersi integratrice del precetto penale, con conseguente abolitio criminis. 141 Cfr., nello stesso senso, Trib. Trieste, Sez. Pen., 9 gennaio 2007; Trib. Pordenone, Sez. Pen., 10 ottobre 2007, cit. 142 Circa i problemi di costituzionalità delle norme penali in bianco con riferimento ai principi di tassatività e tipicità dell’illecito penale, nonché alla riserva di legge in materia penale cfr. Corte Cost., 9 giugno 1986, n. 132, in Cass. Pen., 1987, p. 3, secondo cui le stesse sono da ritenersi rispettose dell’art.25 Cost., purché la fattispecie penale sia descritta nei suoi elementi costitutivi. 143Il disvalore penale della fattispecie di cui all’art.14, comma 5-ter, T.U. Imm. non si incentra sulla mera inosservanza ad un ordine dell’autorità, ma sulla qualifica di straniero del soggetto inottemperante (cfr. Trib. Roma, 25 novembre 2005, cit.). Analogamente il delitto di favoreggiamento dell'ingresso illegale di cui all’art.12 T.U. Imm. contemplerebbe solamente la condotta di ingresso clandestino sicché, potendo i cittadini di nazionalità polacca, rumena e bulgara oggi entrare legalmente in Italia in quanto comunitari, il fatto non costituirebbe più reato, ai sensi dell'art.2, comma 2, c.p. 144 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. V, 25 febbraio 1997, n. 4141, De Lisi, cit. 145 A questo proposito depone anche la scelta amministrativa seguita dai responsabili dell'esecutivo, allorché con la circolare congiunta del Ministro dell'Interno e del Ministro della Solidarietà Sociale, 28 dicembre 2006, n. 2, si chiarisce che ai cittadini rumeni e bulgari non si applicano più le disposizioni del testo unico sull’immigrazione, ma quelle del D.P.R., 18 gennaio 2002, n. 54 ed, in particolare l'art.7, che prevede che i cittadini comunitari non possono essere espulsi (nel caso di specie a decorrere dal 1 gennaio 2007), ma solo allontanati per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Ciò significa che laddove il bene tutelato dall'ordine amministrativo, la cui violazione è penalmente rilevante, sia esclusivamente il rispetto del confine nazionale (stranieri espulsi perché irregolarmente entrati o soggiornanti in Italia), il medesimo atto amministrativo presupposto di quella condotta illecita non possa più trovare efficacia, trattandosi di decreto emesso a tutela di valori non più riferibili ai suddetti cittadini comunitari, nei cui confronti le barriere nazionali interne non sono oramai opponibili per scelta legislativa, quindi astratta ed impersonale, ed esecutiva dello Stato italiano. 146 Contrarie all’abolitio criminis, con riferimento all’art.12 T.U. Imm., Corte Cass. Pen., Sez. I, 22 gennaio 2007 n. 1815, con cui viene respinto il ricorso di un imputato condannato a tre anni e due mesi di reclusione per aver favorito, a fini di lucro, l’ingresso illegale in Italia e comunque la permanenza di due cittadine polacche poi avviate al lavoro di “badanti”, dal dicembre del 2000 all’aprile del 2001, in epoca cioè anteriore all’ingresso della Polonia nell’Unione europea (avvenuto a far data dal 2004). La circostanza che la Polonia sia entrata a far parte dell’U.E. dal 2004, con la conseguente libera circolazione (così come ribadita, da ultimo, dalla circolare ministeriale n. 2 del 2006, cit.) dei cittadini polacchi nell’ambito dei Paesi aderenti, non ha alcuna influenza sulle condotte criminose commesse in data antecedente alla ratifica del Trattato di adesione, poiché la qualifica di cittadino di Stato non appartenente alla U.E. è un presupposto della condotta, che però non concorre a delineare il precetto penale previsto dall’art.12, D. Lgs. n. 286 del 1998. Ne consegue che, qualora il Paese di appartenenza dell’imputato venga a far parte della U.E. in epoca successiva alla commissione del reato, si verifica una successione di norme extrapenali, che non integrano la fattispecie incriminatrice, sì che non è consentita l’applicazione della disciplina prevista dall’art.2, commi 2 e 4, c.p. Sempre in materia di favoreggiamento dell’ingresso illegale dello straniero la medesima posizione è stata da ultimo affermata da Corte Cass. Pen., 20 luglio 2007, n. 29728, in cui si afferma che l’adesione successiva alla U.E. determina una variazione della rilevanza penale del fatto per le violazioni commesse successivamente a tale evento, con la conseguente inapplicabilità dell’art.2 c.p. al caso di specie. Già nel 2004 il Supremo Collegio (Corte Cass. Pen., Sez. VI, 16 dicembre 2004, n. 9233, Buglione ed altro, in CED Cass., rv. 23095) aveva negato, rispetto all’analogo caso della Lettonia, l’efficacia diretta di una modifica (di favore) della norma comunitaria di riferimento, “non vertendosi evidentemente in un caso di abolitio criminis”, pur precisando incidentalmente che l’applicazione del testo unico è limitata ai (soli) cittadini di Stati non appartenenti all’U.E. (art.1). Il giudice di legittimità “liquidò” la questione in queste pochissime righe, senza fornire alcuna giustificazione a supporto della tesi della irrilevanza dell’adesione; Id., 7 aprile 2004, n. 17973; Id., Sez. I, 12 maggio 2004, Deinita, RV. 228254; Id., Sez. I, 27 ottobre 2004, Passaro, RV. 229823; Id., Sez. II, 2 dicembre 2003, n. 4296, Stellaccio, rv. 228152. 147 Così ad esempio Corte Cass. Pen., 1 febbraio 2005, n. 9482, cit.; Id., Sez. III, 19 marzo 1999, n. 5457, Arlati, in CED Cass., rv. 213465. 148 Per un’analisi critica alla impostazione adottata dal Supremo Collegio cfr. Risicato, La restaurata ostilità delle Sezioni unite nei confronti delle modifiche mediate della fattispecie penale, in Dir. Pen. Proc., n. 3, 2008, p. 307 ss., Gambardella, Nuovi cittadini dell’Unione europea ed abolitio criminis parziale dei reati in materia di immigrazione, in Cass. Pen., n. 3, 2008, p. 909 ss.; Gargani, Il controverso tema della modifiche mediate della fattispecie incriminatrice al vaglio delle Sezioni unite, ivi, n. 6, 2008, p. 2694 ss.; in senso adesivo cfr., invece, Natalini, Le norme del Trattato comunitario non integrano il precetto penale, in Guida Dir., n. 9, 2008, p. 50 ss. 149 Cfr. Corte Cass. Pen., 20 luglio 2007, n. 29728, cit., che richiama i principi ermeneutici enunciati da Corte Cass. Pen., Sez. Un., 26 marzo 2003 n. 25887, Giordano, cit. 150 Fra cui, in particolare, Corte Cass. Pen, Sez. Un., 26 marzo 2003 n. 25887, Giordano, cit. 151 Cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 20 luglio 2007, n. 29728, cit. 152 È evidente che la Corte, nel dare soluzione alla questione di diritto intertemporale sottoposta al suo esame, abbia voluto scongiurare il rischio di un indebolimento della tenuta del sistema punitivo, che sarebbe seguito all’eventuale riconoscimento di un fenomeno di abolitio criminis parziale. E ciò in deroga al principio dell’applicazione retroattiva della lex mitior o abrogatrice, a cui, peraltro, viene ormai pacificamente assegnato rango costituzionale in base al superiore principio dell’eguaglianza di trattamento (art.3 Cost.); nello stesso senso cfr. Gambardella, Nuovi cittadini, cit., p. 922 ss., secondo cui la decisione vuole soddisfare ragioni di “politica criminale”, al fine di contenere gli effetti dell’“amnistia occulta” (cfr. Donini, Discontinuità del tipo di illecito e amnistia, cit., p. 2857 ss.), riconducibili alla novatio legis in argomento (come anche a molti dei recenti provvedimenti di riforma del sistema penale), anche se ciò comporta una sostanziale abdicazione di quei canoni ermeneutici, rispettosi del principio del favor rei, di cui è stata fatta, invece, applicazione in altre pronunce. 153 A parere della Corte rientrano nella categoria delle norme extrapenali integratrici della fattispecie sia le disposizioni definitorie sia le norme penali in bianco, che “possono addirittura costituire il precetto, anche se in questo caso, vista la funzione che svolgono, si parla forse impropriamente di norme extrapenali”. Più in generale, “l'art. 2 c.p. può trovare applicazione rispetto a norme extrapenali che siano esse stesse, esplicitamente o implicitamente, retroattive, quando nella fattispecie penale non rilevano solo per la qualificazione di un elemento ma per l'assetto giuridico che realizzano, come può accadere per le norme penali richiamate dalla norma incriminatrice (e da considerare perciò alla stregua di norme extrapenali, nel senso di norme esterne a quella penale descrittiva del reato)”. 154 Cfr. Corte Cass. Pen, Sez. Un. 23 maggio – 16 luglio 1987, Tuzet, cit. Come già ricordato, la vicenda riguardava la sussistenza e permanenza del reato di peculato ai sensi dell’originario testo dell’art.314 c.p., in capo agli operatori di un istituto bancario di diritto pubblico, costantemente considerati dalla giurisprudenza incaricati di pubblico servizio anche dopo l’intervenuta privatizzazione del settore. La Corte, attraverso il riferimento al fatto concreto, ritiene applicabile l’art. 2, comma 2, c.p. sulla base della considerazione che la novatio legis ha fatto venire meno, in capo al dipendente bancario, la qualità di incaricato di pubblico servizio necessaria ai fini dell’integrazione del reato di peculato (nella specie per distrazione): “Quel fatto storico, illecito nel momento in cui fu commesso, non corrisponde più alla fattispecie astratta di reato”. 155 Perfettamente in linea con l’orientamento della Corte Costituzionale sancito nella nota sentenza 23 marzo 1988, n. 364, sull’ignoranza della legge penale inevitabile (“E' costituzionalmente illegittimo l'art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile”), la decisione assolutoria del Pretore di Reggio Emilia, 13 giugno 1988, n. 458, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 1988, p. 998, con la quale, in applicazione dell’art.5 c.p., si è deciso che “è inevitabile l’ignoranza della legge penale dell’artigiano il quale in base a un’informazione avuta dalla CNA, ritiene di essere piccolo imprenditore e dunque non tiene i libri e le scritture contabili prescritti dalla legge. Egli va dunque assolto dall’imputazione di bancarotta semplice documentale perché il fatto non costituisce reato”. Alcuni Autori sottolineano, però, giustamente la necessità di affermare in ipotesi simili la sussistenza di un errore su legge extrapenale, che determina un errore sul fatto del reato. Diversamente si corre il rischio di ridurre ulteriormente, con una indiscriminata applicazione dell’art.5 c.p., il già ristretto ambito di operatività dell’articolo 47, comma, 3 c.p. (cfr. Patrono, Problematiche attuali dell’errore nel diritto penale dell’economia, ivi, 1988, p. 117 ss.). In giurisprudenza aderisce alla tesi della dottrina dominante secondo cui in materia si avrebbe un errore sul fatto, Corte Cass. Pen., 31 maggio 1952, in Dir. Fall., 1953, II, p. 40, ove, in applicazione dell’art.47, comma 1, c.p., si afferma che quando si ha errore determinato da colpa, la punibilità della bancarotta semplice documentale non è esclusa, perché trattasi di fatto previsto dalla legge anche come delitto colposo. 156 Cfr. Ghidini, Imputabilità e punibilità per bancarotta semplice, in Dir. Fall., 1953, p. 40; Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari. Reati fallimentari, Milano, 2001, p. 117; Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle procedure concorsuali, Milano, 1955, p. 91; La Monica, I reati fallimentari, Milano, 1999, p. 424; Antonioni, La bancarotta semplice, Napoli, 1952, p. 237; Lugnano, Aspetti problematici nell'elaborazione giurisprudenziale dei reati di bancarotta, in Dir. Fall., I, 1983, p. 415; Tencati, La tenuta dei documenti contabili nel delitto di bancarotta, in Riv. Pen., 1986, p. 234; Contra, Santoriello, I reati di bancarotta, Torino, 2000, p. 248; Pagliaro, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, p. 139, che ritiene trattarsi di errore sul fatto derivante da errore di fatto. 157 Cfr. Conti, I reati fallimentari, Torino, 1991, p. 274. 158 Cfr. Antonioni, La bancarotta semplice, cit., p. 238, individua anche altre situazioni di rilevanza dell’errore, ad esempio il caso dell’amministratore che ignora il fatto dell’avvenuta nomina e, pertanto, non ritiene di essere obbligato a tenere i libri e le scritture contabili; qui l’errore ricade nell’ambito dell’ipotesi i cui all’art.47, comma 1, c.p.: errore sul fatto derivante da errore di fatto. 159 A tal proposito occorre precisare che il legislatore, formulando l'art.2 c.p. non parla di leggi che debbano essere necessariamente penali, sicché è, ormai, convinzione unanime che l'abolizione di una disposizione incriminatrice ben possa essere cagionata da successiva legge “non penale”, che contribuisca ad integrarne il precetto. 160 L’individuazione del fatto concreto come fulcro dell’efficacia della legge penale nel tempo si rivela, in realtà, importante anche per la definizione delle ipotesi di successione diretta di norme penali. Cfr. per la dottrina, Delitala, Il fatto nella teoria generale del reato, Milano 1976, p. 145: “L'espressione "legge penale", contenuta nell'art. 2 comma terzo cod. Pen., deve ritenersi comprensiva non solo delle leggi extrapenali espressamente richiamate dalla norma penale, e integranti il precetto, ma anche di quelle leggi che ne costituiscono l'indispensabile presupposto o che concorrono a determinarne, anche parzialmente e implicitamente, il sostanziale contenuto o dalle quali comunque non può prescindersi nel valutare gli elementi penalmente rilevanti della condotta”. 161 Cfr. Corte Cass. Pen., 16 aprile 1984, n. 3478, ove si afferma che la legge notarile deve ritenersi integratrice dell'art.479 c.p. sulla base dell'art. 2 c.p. (nella specie era stato ritenuto che, ai fini dell'indagine sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di falso ideologico commesso da notaio nell'autenticazione di firma, il disposto dell'art.72 della legge notarile, il quale prevede che il notaio stesso nell'autenticare sottoscrizioni apposte su scritture private deve dichiarare che le medesime sono state apposte “in sua presenza”, non ha subito modifiche per effetto dell'art.1, L. 10 maggio 1976, n. 333, che ha soltanto previsto la possibilità per il notaio di formare il suo convincimento, al momento della attestazione, circa la identità personale delle parti mediante la valutazione di ogni elemento utile; analogamente cfr. Corte Cass. Pen., 20 ottobre 1981, n. 9219, in Giust. Pen., 1983, II, p. 25). Per la dottrina cfr. Casu, Sull'acquisizione da parte del notaio della certezza dell'identità del sottoscrittore, in Riv. Notariato, 2005, n. 2, p. 320. 162 La Corte opera un richiamo a quella giurisprudenza, già citata, formatasi in materia di contrabbando e di esercizio abusivo della professione, la quale ha riconosciuto che la norma amministrativa sopravvenuta, consentendo ora di importare le merci dalla Jugoslavia o di assumere la difesa penale anche al praticante avvocato, incide sul precetto, facendolo venir meno. Nel caso di specie, infatti, il valore normativo del fatto è dato dalla combinazione della norma penale che pone il divieto, apprestando la relativa sanzione in caso di sua violazione e la norma amministrativa che ha funzione di completamento del precetto; ciò succede quando la norma extrapenale qualifica l'oggetto o le modalità della condotta, ponendo, quindi, concorrere a delineare il precetto penale già nella sua dimensione astratta; per contro, ciò non potrebbe mai accadere quando essa definisce un presupposto della condotta, potendosi unicamente riflettere sulla rilevanza penale del fatto concreto. Non sarebbe, peraltro, ravvisabile alcun divieto di applicazione retroattiva di tale norma, che, secondo la corrente opinione si ritiene operi solo per la condotta e non anche per gli estremi materiali che fungono da presupposto, i quali pertanto possono anche venire ad esistenza prima dell'entrata in vigore della norme incriminatrice. Alcuni interpreti ritengono questa distinzione insufficiente a tratteggiare compiutamente il fenomeno e sostengono, invece, che occorra indagare volta per volta il bene giuridico tutelato dalle norme passata e presente, al fine di stabilire se l’innovazione legislativa influisca o meno sulla situazione sottoposta alla tutela della legge penale (cfr. in materia di rilevanza penale dell'omessa bonifica dei siti inquinati ex art.51-bis, D. Lgs., 5 febbraio 1997, n. 22 (sostituito dall’art.257, D. Lgs., 3 aprile 2006, n. 152), cfr. Corte Cass. Pen., Sez. III, 28 aprile 2000, Pizzuti, 2002, in Cass. Pen., 2001, p. 2479, ove si stabilisce che fra i soggetti tenuti alla bonifica vanno inclusi anche coloro che hanno inquinato prima dell'entrata in vigore delle norme, che impongono penalmente tale obbligo; in senso critico, Micheletti, Il reato di contaminazione ambientale, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2004, p. 145 ss. La circostanza che ai fini della sussistenza del reato, i presupposti devono sussistere, preesistere od essere concomitanti alla condotta, oltre che conosciuti o conoscibili da parte dell’agente, e che, nella specie, il legislatore abbia configurato un fatto-presupposto “atipico”, che dipende dalla condotta dello stesso soggetto, tenuto poi all’adempimento dell’obbligo di decontaminazione del sito, non può condurre a ritenere irrilevante il momento causativo del fatto di inquinamento, da cui origina l’obbligo di bonifica, il cui inadempimento è penalmente sanzionato dall’art.51-bis, cit. Pertanto, se non si vuol violare il precetto di cui all’art.11, disp. prel. c.c., e conseguentemente stravolgere la portata dell’art.51-bis, occorre ritenere che il nuovo regime sulla bonifica dei siti contaminati sia operante esclusivamente con riferimento ai fatti di inquinamento “cagionati” dopo l’entrata in vigore del nuovo regime ed, in specie, dopo il 16 dicembre 1999, data in cui sono entrati in vigore i limiti di accettabilità previsti dall’art.17, comma 2). 163 Leggi in forza delle quali, come noto, i cittadini dei nuovi Stati membri, presenti sul territorio italiano, sono destinati a perdere la qualifica di clandestini e ad acquisire i diritti di libera circolazione e di libero stabilimento spettanti ai cittadini comunitari. 164 La normativa che individua i diversi Stati appartenenti all’Unione europea fornisce la definizione della nozione di straniero, la cui sostanziale modifica incide in modo essenziale sulla portata del precetto, rendendo, pertanto, applicabile la disciplina di cui all’art.2 c.p. Da ciò discende che gli imputati di reati commessi sulla base di una qualificazione soggettiva non più esistente debbano essere assolti con la formula “perché il fatto non è previsto (più) dalla legge come reato” ai sensi dell’art. 129 c.p.p.. 165 Tale precisazione è vieppiù doverosa con riguardo a quelle previsioni, come ad esempio quelle contemplata dall’art.14 comma 5-ter, D. Lgs. n. 286 del 1988, che configurano non già un reato comune, bensì un reato proprio dello straniero. In secondo luogo, risulta del tutto evidente come il fulcro del disvalore del fatto si incentra sull’elemento normativo sopra indicato, tanto che l’intera normativa di cui al D. Lgs. n. 286 del 1998 concerne “la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, inapplicabile, per espressa disposizione di legge, a chi straniero non sia. 166 Cfr. Pulitanò, Principio di uguaglianza e norme penali di favore, in Corr. Mer., n. 2, 2007, p. 212. 167 Cfr. Corte Cost., 23 novembre 2006, n. 394. In dottrina Marinucci, Irretroattività e retroattività nella materia penale: gli orientamenti della Corte costituzionale, in Dir. Pen. Giur. Cost., Napoli, 2006, p. 89. 168 Cfr. Romano, Commentario sistematico, cit., p. 66: “Quando una nuova legge modificatrice restringe l’area di illiceità della precedente, continuano bensì ad essere illeciti i tipi di condotte che, reati secondo la legge abrogata, lo siano anche per la nuova, ma cessano di esserlo, invece, i tipi di condotte mancanti di elementi da essa richiesta. Per questi si ha un’abolitio criminis parziale”. Nella giurisprudenza di merito, a favore dell’applicabilità dell’art.2, comma 2, c.p., cfr., per tutte, Trib. Roma, 25 novembre 2005, cit. 169 Nella valutazione complessiva della fattispecie criminosa devono ricomprendersi tutti gli elementi rilevanti ai fini della integrazione del fatto-reato, e tra questi elementi significativi, che incidono sulla dimensione lesiva del fatto, sono indubbiamente ricomprese le qualifiche soggettive. 170 Il fenomeno successorio coinvolgente la qualifica di straniero è avvenuto, più nello specifico, mediante l’emanazione di Trattati ed Atti comunitari, ossia mediante fonti normative “super primarie”, che l’Italia, in base al Trattato istitutivo dell’Unione europea, si è impegnata a rispettare. 171 In questo senso cfr. Corte Cass. Pen., Sez. Un., 23 maggio 1987, Tuzet, cit.; Id., Sez. III, 29 gennaio 1998, n. 4176, Sciacchiano, in CED Cass., rv. 210696. Così, per tutti, Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale, Torino, 2005, p. 156: tale tesi, in ossequio ai principi costituzionali di uguaglianza e di garanzia che governano la materia della successione di leggi nel tempo, tiene conto della differenza di trattamento giuridico-penale derivante, per lo stesso fatto, dalla modifica legislativa sia pure “mediata”, cosicchè, di fronte alla diversità di disciplina giuridica, tra quella vigente al momento del fatto e quella vigente al momento del giudizio, il principio generale sovraordinato all’intera materia esige che trovi applicazione quella normativa, da cui discende il trattamento più favorevole per il reo. 172 Cfr. Micheletti, Legge penale e successione di norme integratrici, cit. 173 “La consapevolezza dell’agente che di lì a breve il proprio Stato entrerà nella CE lo indurrebbe a trasgredire senza alcun timore l’art. 14, comma 5-ter, d. lgs. 286 del 1998, confidando poi nella successiva abolitio criminis”; per una recente applicazione giurisprudenziale della sentenza in commento cfr. Corte Cass. Pen., Sez. I, 23 aprile 2008, n. 16786, che annulla con rinvio la pronuncia assolutoria adottata nei confronti di un imputato di nazionalità rumena per il reato ex art.14, comma 5-ter, T.U. Imm., “in quanto - come recentemente stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte - è da escludere che l'ingresso della Romania nell'Unione Europea dia origine ad un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo a norma dell’art.2 c.p. e che, quindi, per le precedenti violazioni delle norme in materia di immigrazione clandestina sia giustificato il proscioglimento dell'imputato perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. 174 Ci si riferisce al D. L., 1 novembre 2007, n. 181 (in G.U. 2 novembre 2007, n. 255), contenente Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza, decaduto per mancata conversione, le cui disposizioni sono poi state inserite nel D. L., 29 Dicembre 2007, n. 249, anch’esso decaduto. La relativa normativa è, infine, confluita in larga misura nel D. Lgs., 28 febbraio 2008, n. 32. 175 Fra le novità più significative introdotte dal già citato “pacchetto sicurezza” (D. L. n. 92 del 2008), va, altresì, menzionata la riformulazione degli artt.235 e 312 c.p., (adesso rubricati Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato), che ora prevedono, accanto alla misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero, anche l’allontanamento del cittadino “appartenente ad uno Stato membro dell'Unione europea”. Tale aggiunta è da ritenersi superflua, in quanto la nozione codicistica di straniero di cui all’art.4 c.p. è già comprensiva del cittadino comunitario, differendo da quella recepita dall’art.1 T.U. Imm. di cui si è già dato conto. 176 Come noto, l’art.65, R. D., 30 gennaio 1941, n. 12, attribuisce alla Corte di Cassazione il delicato compito di assicurare la uniforme interpretazione del diritto, definito nella prassi funzione nomofilattica. L'interpretazione data dalla Corte non ha, comunque, alcun valore vincolante, stante i principi sanciti a livello costituzione di soggezione del giudice solo alla legge (art.101, comma 2, Cost.) e di uguaglianza tra magistrati, che si distinguono tra loro “solo per diversità di funzioni” (art.107, comma 3, Cost.), nonché del principio del libero convincimento dettato in materia di valutazione della prova. Infatti, interpretazioni difformi sono ammissibili, purché il giudice dia conto dell’iter che ha portato alla formazione del proprio convincimento, iter che deve connotarsi per la sua logicità e corrispondenza a canoni di completezza e razionalità, onde evitare che tale libertà si trasformi in puro arbitrio interpretativo. Ne consegue che nel nostro ordinamento, pur non potendosi configurare un dovere di conformità alla interpretazione resa dalla Corte, nondimeno il giudice che decida di discostarsi dal principio interpretativo enunciato sarà tenuto alla soddisfazione di un obbligo motivazionale più stringente ex art.111 Cost. In altri termini, lo stesso dovrà esercitare un convincimento “libero”, ma “ponderato”, soprattutto tenuto conto della posizione di vertice che l'organo dotato di tale funzione ricopre nel sistema delle impugnazioni. Circa la funzione nomofilattica delle Sezioni unite civili, cfr., invece il D. Lgs., 2 febbraio 2006, n. 40, di attuazione della legge delega per la competitività del 14 maggio 2005, n. 80: al fine di ridefinire l’assetto giuridico relativo al rapporto tra Sezioni unite e Sezioni semplici della Cassazione, con la novella in esame è stato stabilito che “se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso”, imponendo all’interprete di tener presente l’esistenza di un nuovo principio giuridico, in base al quale la decisione della Suprema Corte, presa a Sezioni unite, è vincolante (seppur non in modo assoluto) per le Sezioni semplici, nel senso che, queste ultime, non potranno discostarsene e decidere la quaestio iuris in modo difforme. 177 Quella che gli anglosassoni definirebbero persuasive authority. 178 Nelle sentenze passate in rassegna, nonché nei precedenti ivi citati, si è visto che la normativa extrapenale può venire in considerazione ai fini dell'applicazione della norma penale essendo richiamata da uno qualsiasi degli elementi del fatto di reato: nel caso del contrabbando doganale serve per individuare l'oggetto della condotta (merci sottoposte ai diritti di confine), nel caso dell'esercizio abusivo della professione serve per individuare il carattere abusivo della condotta. 179 Cfr., per tutte, Corte Cass. Pen., Sez. III, 1 febbraio - 10 marzo 2005, Pitrella, rv. 231228; Id., Sez. III, 12 marzo - 14 maggio 2002, Pata, rv. 221943; Id., Sez. Un. n. 8342 del 1987, cit. Commenta | Stampa | Segnala | Condividi |

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Sul differimento dell'udienza per il procuratore della parte costituita (sezione: Giustizia)

( da "AltaLex" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Sul differimento dell'udienza per il procuratore della parte costituita Corte Costituzionale , sentenza 14.07.2009 n° 217 (Adolfo Liarò) Stampa | Segnala | Condividi Si deve ritenere non fondata la questione di legittimità Costituzionale degli artt. 420-ter, comma 5, e dell'art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale, in quanto non lesiva dei principi di cui agli artt. 3, 24, comma 1 e 2, e 111, comma 2 Cost. nella parte in cui non consente, al giudice del dibattimento, di rinviare ad una nuova udienza in caso di assenza del difensore della costituita parte civile dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato”. Disposizioni sottoposte al vaglio di costituzionalità 420-ter c.p.p. Impedimento a comparire dell'imputato o del difensore Comma 5: «Il giudice provvede a norma del comma 1 (rinvia ad una nuova udienza e dispone che sia rinnovato l'avviso all'imputato, a norma dell'articolo 419, comma 1) nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l'assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato. Tale disposizione non si applica se l'imputato è assistito da due difensori e l'impedimento riguarda uno dei medesimi ovvero quando il difensore impedito ha designato un sostituto o quando l'imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito ». 484 c.p.p. Costituzione delle parti Comma 2-bis: «Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 420-bis, 420-ter, 420-quater e 420-quinquies » Dubbio costituzionale Se le disposizioni citate, s pongono in contrasto con la Costituzione nella parte in cui non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l'assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato. Principi assunti violati Art. 3 Cost. = sotto il profilo del principio di uguaglianza, stante l'irragionevole discriminazione operata tra il difensore dell'imputato ed il difensore della parte civile che vengono a trovarsi nella medesima situazione incolpevole; Art. 24. comma 1 e 2 = sotto il principio della inviolabilità della difesa, sicuramente applicabile anche alla persona offesa dal reato in relazione alle sue pretese civilistiche: diritto la cui effettività sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l'imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa in assenza della parte civile e del suo difensore impossibilitato a presenziare per forza maggiore; Art. 111 comma 2 Cost. = con riguardo al principio della parità delle parti nel processo, stante l'attribuzione del diritto al differimento dell'udienza al difensore di una delle parti del processo penale e la negazione di tale identico diritto al difensore della parte civile che si trova nella medesima situazione; Il caso Con ordinanza del 2 ottobre 2008, il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 420-ter, comma 5, e dell'art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l'assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato. Al giudice a quo veniva avanzata richiesta di differimento di udienza in ragione dell’impossibilità di comparire da parte del procuratore costituito della parte civile a causa del legittimo impedimento occorsogli in quella data. Il rimettente non accoglieva detta istanza in ossequio al combinato disposto degli artt. 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, cod. proc. pen., in quanto dette norme riservano il diritto di differimento dell'udienza in caso di legittimo impedimento, prontamente comunicato, soltanto al difensore dell'imputato. Il legale civilista eccepiva, ai sensi dell'art. 180 cod. proc. pen., la nullità dell'ordinanza con la quale il giudicante ha respinto la richiesta di rinvio dell'udienza e del provvedimento di ammissione delle nuove prove richieste dall'imputato, per violazione dell'art. 178, lett. c), cod. proc. pen., ovvero per inosservanza delle disposizioni concernenti l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza della parte civile costituita; in particolare, il difensore della parte civile osservava che l'ordinanza di ammissione delle prove richieste dall'imputato, a seguito della contestazione suppletiva, era stata pronunziata nonostante la sua assenza, dovuta ad impedimento assoluto, prontamente comunicato e, quindi, senza alcun contraddittorio con una delle parti del processo. Il giudice rimettente ritenendo, in punto di rilevanza della questione, che l'eccezione di nullità e, quindi, il giudizio non potevano essere definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità in esame, giacché l'incostituzionalità degli artt. 420-ter, comma 5 e 484, comma 2-bis, avrebbe imposto al decidente di accogliere l'eccezione di nullità nei termini prospettati dal difensore della parte civile, sollevava questione di legittimità costituzionale prospettando la violazione degli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Costituzione. Inquadramento della problematica Ai sensi dell’ordinanza con la quale veniva adita la Consulta, il rimettente sollevava dubbio di legittimità costituzionale in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 420-ter, comma 5, e dell'art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l'assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato. L'omessa previsione contrasterebbe, secondo il rimettente, con il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., “stante l'irragionevole discriminazione operata tra il difensore dell'imputato ed il difensore della parte civile che vengono a trovarsi nella medesima situazione incolpevole”; con il principio della parità delle parti nel processo ex art. 24. comma 1 e 2 Cost. , “stante l'attribuzione del diritto al differimento dell'udienza al difensore di una delle parti del processo penale e la negazione di tale identico diritto al difensore della parte civile che si trova nella medesima situazione”; da ultimo con il principio della inviolabilità della difesa ex art. 111 comma 2 Cost., “sicuramente applicabile anche alla persona offesa dal reato in relazione alle sue pretese civilistiche: diritto la cui effettività sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l'imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa in assenza della parte civile e del suo difensore impossibilitato a presenziare per forza maggiore” La risposta della Consulta Il Giudice delle leggi, nell’esaminare la vexata quaestio, coglie l’occasione per enucleare e ribadire il fondamentale principio di distinzione tra azione civile ed azione penale, già affermato in precedenti sentenze divenuto saldo in capo alle pronunce della Consulta. L’esame prende il via da un excursus storico che affonda le radici nella sentenza n. 187 risalente al 1972, con la quale già sotto la vigenza del codice di procedura penale del 1930, veniva giudicata non discriminatoria la portata dell'art. 175 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva, in tema di notificazioni, l'obbligo di disporre le ricerche del danneggiato nei luoghi di nascita e di ultima dimora, così come era previsto per l'imputato. Lo snodo viene assunto attraverso la citazione del codice di procedura penale del 1988, il quale ha fortemente cambiato il tipo di processo, transitando dal previgente sistema di tipo inquisitorio, ove vigeva la prevalenza del processo penale su quello civile e amministrativo, a quello accusatorio caratterizzato dalla separazione dei giudizi ed alla indipendenza del giudizio civile e amministrativo da quello penale. Ora l'intero corpo normativo processuale risulta, infatti, strutturato sulla diversità delle posizioni processuali della parte civile e dell'imputato, in particolare, sul carattere accessorio, subordinato ed eventuale dell'azione civile rispetto al processo penale; si tratta di disposizioni che delineano una netta diversificazione dei diritti e dei poteri processuali attribuiti alla parte civile ed all'imputato, costituenti, dunque, situazioni soggettive non omologabili. Difatti, la Corte, tutte le volte in cui è stata chiamata a decidere sui rapporti tra azione civile e azione penale, ha costantemente affermato il principio per cui “imputato e parte civile esprimono due entità soggettive fortemente diversificate, non solo sul piano del differente risalto degli interessi coinvolti, ma anche e soprattutto per l'impossibilità di configurare in capo ad essi un paradigma di par condicio valido come regola generale su cui conformare i relativi diritti e poteri processuali. Pertanto le differenze di trattamento processuale tra le parti sono legittime, sempre che abbiano una loro ragionevole base all'interno del sistema processuale. Se ciò vale per le parti necessarie del processo, a fortiori è possibile tracciare un ragionevole discrimen in riferimento alle parti eventuali: specie nelle ipotesi in cui – come nel caso della parte civile nel processo penale – sia assicurato un diretto ed incondizionato ristoro dei propri diritti attraverso l'azione sempre esercitabile in sede propria” (sentenza n. 168 del 2006). L’appena citata non equiparabilità delle posizioni soggettive in questione e il favor separationis tra azione civile ed azione penale sta proprio alla base dalla valutazione di “non irragionevolezza” della scelta del legislatore nei casi in cui non ha esteso anche alla parte civile facoltà e diritti attribuiti in via esclusiva all'imputato ed in quelli in cui non ha riconosciuto autonomi diritti e facoltà alla parte civile. Tale tesi trova ulteriori avalli grazie ai precedenti giurisprudenziali della stessa Consulta e, precisamente, avendo riguardo alla sentenza n. 168 del 2006 con la quale “non ha ritenuto discriminatoria la scelta del legislatore di consentire soltanto all'imputato ed al pubblico ministero di formulare la richiesta di rimessione del processo”, né ha ritenuto irragionevole il mancato riconoscimento alla parte civile del diritto di impugnare il provvedimento con il quale la sua istanza di sequestro conservativo sia stata respinta (ordinanza n. 424 del 1998); anzi, ha affermato “la ragionevolezza del comma 2 dell'art. 495 cod. proc. pen., nella parte in cui attribuisce soltanto all'imputato ed al pubblico ministero, e non anche alla parte civile, il diritto alla prova contraria” (sentenza n. 532 del 1995). Ad abundantiam la Corte osserva come “si deve ribadire che l'eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul diritto di difesa e sulla parità delle parti, data la possibilità di esercitare l'azione di risarcimento del danno nella sede civile ed anche, atteso il carattere accessorio e subordinato dell'azione civile, in considerazione della facoltà del danneggiato dal reato di scegliere di far valere i propri diritti nella sede propria oppure in quella penale dopo aver effettuato una valutazione comparativa dei relativi vantaggi “ (sentenza n. 168 del 2006; ordinanza n. 124 del 1999). Sulla scorta delle argomentazioni appena svolte la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sulla scorta dei motivi che seguono. In ordine alla presunta violazione dell’art. 3 Cost. osserva, come sin’ora precisato, la legittimità della disparità di trattamento fra parte civile e imputato, quindi conseguentemente con ripercussioni sui rispettivi difensori (vd. mancata comparizione del difensore). Con riferimento alla violazione dell'art. 24 Cost., “sotto il profilo per cui l'effettività del diritto di difesa della parte civile sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l'imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa, in assenza della parte civile e del suo difensore, si deve rilevare che tale lesione non è sussistente. Ciò non solo perché ben può il difensore legittimamente impedito nominare un sostituto, il quale esercita i diritti e assume i doveri del difensore ai sensi dell'art. 102 cod. proc. pen., ma anche perché, come più volte affermato da questa Corte, l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno nel processo penale non rappresenta l'unico strumento di tutela giudiziaria a disposizione della parte civile «per l'esistenza di validi e praticabili percorsi giudiziari alternativi nella piena disponibilità del danneggiato” (azione risarcitoria davanti al giudice civile)» (ordinanze n. 562 del 2000 e n. 424 del 1998). Da ultimo non risulta violato neanche l’art. 11, secondo comma in quanto le considerazioni di cui sopra, non comporterebbero una violazione del principio della parità delle parti “atteso che la previsione della facoltà prevista in capo alla parte civile di trasferire, in qualsiasi momento, l'azione per il risarcimento del danno derivante dal reato nella sede civile, esclude di regola pregiudizi agli interessi di cui è portatrice”. In conclusione, ai sensi dei suesposti rilievi, la Consulta ritiene non fondata la questione de qua. (Altalex, 20 luglio 2009. Nota di Adolfo Liarò) Corte Costituzionale Sentenza 14 luglio 2009, n. 217 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Francesco AMIRANTE Presidente - Ugo DE SIERVO Giudice - Paolo MADDALENA “ - Alfio FINOCCHIARO “ - Alfonso QUARANTA “ - Franco GALLO “ - Luigi MAZZELLA “ - Gaetano SILVESTRI “ - Sabino CASSESE “ - Maria Rita SAULLE “ - Giuseppe TESAURO “ - Paolo Maria NAPOLITANO “ - Giuseppe FRIGO “ - Alessandro CRISCUOLO “ - Paolo GROSSI “ ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale promosso dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, nel procedimento penale a carico di S. M., con ordinanza del 2 ottobre 2008, iscritta al n. 24 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2009. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 10 giugno 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo. Ritenuto in fatto 1.— Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con ordinanza del 2 ottobre 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 420-ter, comma 5, e dell’art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui «non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l’assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato». Il rimettente premette di essere chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di S. M., imputato del delitto di cui all’art. 570 codice penale (violazione degli obblighi di assistenza familiare), in relazione al quale, in data 5 giugno 2007, il difensore della costituita parte civile P. M. ha depositato in cancelleria un certificato medico, datato 4 giugno 2007, attestante condizioni di salute incompatibili con la sua comparizione per l’udienza del 7 giugno 2007. Il giudice a quo riferisce che all’udienza del 7 giugno 2007 non ha accolto la richiesta di differimento dell’udienza, in forza del combinato disposto degli artt. 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, cod. proc. pen., in quanto dette norme riservano il diritto di differimento dell’udienza in caso di legittimo impedimento, prontamente comunicato, soltanto al difensore dell’imputato, sicché, nella medesima udienza, ai sensi dell’art. 519 cod. proc. pen., ha provveduto all’ammissione di prove testimoniali richieste dall’imputato a seguito di contestazione suppletiva. Precisa, inoltre, che all’udienza dell’8 maggio 2008 il difensore della parte civile ha eccepito, ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen., la nullità dell’ordinanza con la quale il giudicante ha respinto la richiesta di rinvio dell’udienza del 7 giugno 2007 e del provvedimento di ammissione delle nuove prove richieste dall’imputato, per violazione dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., ovvero per inosservanza delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza della parte civile costituita; in particolare, il difensore della parte civile ha eccepito che l’ordinanza di ammissione delle prove richieste dall’imputato, a seguito della contestazione suppletiva, è stata pronunziata nonostante la sua assenza, dovuta ad impedimento assoluto, prontamente comunicato e, quindi, senza alcun contraddittorio con una delle parti del processo. Il giudice rimettente prospetta la violazione degli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. ritenendo, in punto di rilevanza della questione, che l’eccezione di nullità e, quindi, il giudizio non possono essere definiti indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità in esame, giacché l’incostituzionalità degli artt. 420-ter, comma 5 e 484, comma 2-bis, «nei termini prospettati dal difensore della parte civile imporrebbe al decidente di accogliere l’eccezione di nullità». Pone in evidenza il rimettente che la questione appare non manifestamente infondata, in quanto «la mancata estensione da parte del combinato disposto degli articoli 420-ter comma 5, e 484 comma 2-bis, cod. proc. pen. al difensore della parte civile dell’istituto del rinvio dell’udienza in caso di mancata comparizione, quanto meno quando la stessa sia dovuta, come nel caso in esame, ad impossibilità assoluta per forza maggiore sembra contrastare» con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., con quello della parità delle parti nel processo di cui al secondo comma dell’art. 111 Cost. e con il principio di inviolabilità della difesa di cui ai commi primo e secondo dell’art. 24 Cost. L’omessa previsione contrasterebbe, secondo il rimettente, con il principio di uguaglianza, «stante l’irragionevole discriminazione operata tra il difensore dell’imputato ed il difensore della parte civile che vengono a trovarsi nella medesima situazione incolpevole»; con il principio della parità delle parti nel processo, «stante l’attribuzione del diritto al differimento dell’udienza al difensore di una delle parti del processo penale e la negazione di tale identico diritto al difensore della parte civile che si trova nella medesima situazione»; inoltre, con il principio della inviolabilità della difesa, «sicuramente applicabile anche alla persona offesa dal reato in relazione alle sue pretese civilistiche: diritto la cui effettività sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l’imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa in assenza della parte civile e del suo difensore impossibilitato a presenziare per forza maggiore». 2. — Con atto depositato in data 3 marzo 2009, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito la manifesta irrilevanza della questione. La difesa erariale ha evidenziato che la questione sollevata dal rimettente, «al fine di operare una corretta disamina del caso oggetto di cognizione», deve essere affrontata nella «appropriata e diversa sede normativa dell’art. 519 cod. proc. pen., con particolare riguardo al comma 3 della norma medesima». Osserva che la citata disposizione, in caso di contestazione suppletiva, effettuata ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen., nelle previsioni di cui ai commi 1 e 2, impone al giudice di concedere termini per la difesa e di sospendere il dibattimento, se l’imputato ne faccia richiesta; inoltre, il comma 3 prevede che il presidente dispone la citazione della persona offesa osservando un termine non inferiore a cinque giorni. L’Avvocatura ritiene che «secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma processuale in esame, una volta che lo stesso ordinamento processuale contempla la possibilità che dopo l’apertura del dibattimento i fatti di reato per cui si procede vengano integrati e ridefiniti e, dunque, che il processo conosca nuovi sviluppi, sarebbe illogico e contraddittorio – rispetto a questi ultimi – impedire ai soggetti coinvolti l’esercizio dei loro fondamentali diritti di ordine processuale». La difesa pubblica indica alcune decisioni della Corte costituzionale con cui è stata riconosciuta la facoltà dell’imputato di richiedere il “patteggiamento” (sentenza n. 265 del 1994) e di proporre domanda di oblazione (sentenza n. 530 del 1995), ma anche la facoltà del pubblico ministero e delle parti private diverse dall’imputato di chiedere l’ammissione di nuove prove in relazione alle contestazioni introdotte in via suppletiva (sentenze n. 50 del 1995 e n. 241 del 1992); inoltre, evidenzia che la possibilità di chiedere l’ammissione di nuove prove sussiste a prescindere dalla circostanza che la contestazione suppletiva abbia ad oggetto un fatto – reato già risultante dagli atti prima dell’inizio del dibattimento o al momento dell’esercizio dell’azione penale o, ancora, un fatto emerso successivamente nel corso dell’istruzione dibattimentale. L’interveniente indica, altresì, la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui, in caso di contestazioni suppletive formulate ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen., la parte offesa, ancorché presente, ha diritto anch’essa, come l’imputato, alla sospensione del dibattimento, onde potersi costituire parte civile per la nuova udienza. Analogo diritto spetta anche alla parte civile già costituita, in vista della possibile modifica, sotto il profilo tanto della causa petendi, quanto del petitum dei già costituiti rapporti processuali (Cass., sentenze n. 12732 del 2000 e n. 10660 del 1995). L’Avvocatura sostiene, dunque, che nel caso di specie difetta il nesso di pregiudizialità che deve necessariamente sussistere tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale, e ciò in quanto «l’eccezione di nullità sollevata nel giudizio a quo», essendo «riconducibile esclusivamente alla mera inosservanza della disposizione di cui all’art. 519, comma 3, cod. proc. pen. è suscettibile di essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo». Considerato in diritto 1.— Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 420-ter, comma 5, e dell’art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui «non consentono al giudice del dibattimento di rinviare ad una nuova udienza nel caso in cui l’assenza del difensore della costituita parte civile sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento prontamente comunicato». Il rimettente, chiamato a decidere in un procedimento penale a carico di S. M., imputato del delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, in relazione al quale, in data 5 giugno 2007, il difensore della costituita parte civile P. M. ha prodotto un certificato medico, datato 4 giugno 2007, attestante condizioni di salute incompatibili con la sua comparizione per l’udienza del 7 giugno 2007, osserva che all’udienza indicata ha respinto la richiesta di differimento in forza del combinato disposto degli articoli 420-ter, comma 5, e 484, comma 2-bis, cod. proc. pen., che riserva il diritto di differimento dell’udienza, in caso di legittimo impedimento prontamente comunicato, soltanto al difensore dell’imputato; pertanto, all’udienza del 7 giugno 2007, ai sensi dell’art. 519 cod. proc. pen., ha provveduto all’ammissione delle prove testimoniali richieste dall’imputato a seguito di contestazione suppletiva. Sussisterebbe, secondo il giudice a quo, la violazione degli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., in quanto l’omessa previsione del diritto del difensore della parte civile al differimento dell’udienza, in caso di impedimento legittimo, prontamente comunicato, violerebbe il principio di uguaglianza, «stante l’irragionevole discriminazione operata tra il difensore dell’imputato ed il difensore della parte civile che vengono a trovarsi nella medesima situazione incolpevole»; il principio della inviolabilità della difesa, «sicuramente applicabile anche alla persona offesa dal reato in relazione alle sue pretese civilistiche: diritto la cui effettività sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l’imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa in assenza della parte civile e del suo difensore impossibilitato a presenziare per forza maggiore»; inoltre, sarebbe in contrasto con il principio della parità delle parti nel processo, «stante l’attribuzione del diritto al differimento dell’udienza al difensore di una delle parti del processo penale e la negazione di tale identico diritto al difensore della parte civile che si trova nella medesima situazione». E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito la manifesta irrilevanza della questione in considerazione del difetto del nesso di pregiudizialità che deve sussistere tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale. 2.— L’eccezione di inammissibilità per manifesta irrilevanza, sollevata dall’Avvocatura dello Stato, non è fondata. Essa si richiama ad una situazione processuale diversa da quella descritta nell’ordinanza di rimessione, ossia alla situazione in cui, a seguito di nuove contestazioni (artt. 516 e seguenti, cod. proc. pen.), il presidente debba disporre la citazione della persona offesa (art. 178, lett. c, cod. proc. pen.), osservando un termine non inferiore a cinque giorni (art. 519, comma 3, cod. proc. pen.). Ma il difensore della parte civile non fa valere, a quanto risulta dall’ordinanza di rimessione, la violazione di diritti processuali inerenti alla contestazione suppletiva. Si duole, invece, di una diversa (presunta) violazione, correlata al mancato rinvio dell’udienza per il dedotto suo impedimento a parteciparvi. Pertanto, non è ravvisabile la carenza del nesso di pregiudizialità tra la soluzione della questione e la decisione del giudizio principale, nei termini prospettati dall’Avvocatura dello Stato. La difesa erariale omette, inoltre, di adempiere all’onere di indicare circostanze a riscontro di ciò che sostiene, in quanto non fornisce elementi idonei a dimostrare che l’udienza nella quale il pubblico ministero ha formulato la contestazione suppletiva sia stata la stessa cui il difensore di parte civile non ha potuto partecipare, per impedimento legittimo. Posto, infatti, che l’obbligo per il giudice, sanzionato a pena di nullità dal comma 3 dell’art. 519 cod. proc. pen., di concedere il termine in caso di contestazione suppletiva, anche in favore della persona offesa e della parte civile, è immediatamente collegato alla formulazione della contestazione stessa, soltanto qualora la nuova contestazione fosse stata formulata all’udienza alla quale il difensore della parte civile è stato nella impossibilità di partecipare, il giudice a quo avrebbe potuto decidere l’eccezione di nullità ricorrendo alla disposizione menzionata (art. 519, comma 3, cod. proc. pen.). 3.— Nel merito, la questione non è fondata. Si deve premettere che il codice di procedura penale del 1988, introducendo nell’ordinamento il processo penale di tipo accusatorio, ha comportato significativi riflessi sui rapporti tra processo penale ed azione civile, ispirati non più – come accadeva nel previgente sistema processuale penale di tipo inquisitorio – alla prevalenza del processo penale su quello civile e amministrativo, quanto, piuttosto, alla separazione dei giudizi ed alla indipendenza del giudizio civile e amministrativo da quello penale. L’intero corpo normativo processuale risulta, infatti, strutturato sulla diversità delle posizioni processuali della parte civile e dell’imputato, in particolare, sul carattere accessorio, subordinato ed eventuale dell’azione civile rispetto al processo penale; si tratta di disposizioni che delineano una netta diversificazione dei diritti e dei poteri processuali attribuiti alla parte civile ed all’imputato, costituenti, dunque, situazioni soggettive non omologabili. La non equiparabilità delle posizioni soggettive in questione e il favor separationis tra azione civile ed azione penale è alla base della più volte affermata non irragionevolezza della scelta del legislatore, nei casi in cui non ha esteso anche alla parte civile facoltà e diritti attribuiti in via esclusiva all’imputato ed in quelli in cui non ha riconosciuto autonomi diritti e facoltà alla parte civile. Questa Corte, infatti, non ha ritenuto discriminatoria la scelta del legislatore di consentire soltanto all’imputato ed al pubblico ministero di formulare la richiesta di rimessione del processo (sentenza n. 168 del 2006); né ha ritenuto irragionevole il mancato riconoscimento alla parte civile del diritto di impugnare il provvedimento con il quale la sua istanza di sequestro conservativo sia stata respinta (ordinanza n. 424 del 1998); anzi, ha affermato la ragionevolezza del comma 2 dell’art. 495 cod. proc. pen., nella parte in cui attribuisce soltanto all’imputato ed al pubblico ministero, e non anche alla parte civile, il diritto alla prova contraria (sentenza n. 532 del 1995). Inoltre, la Corte, già sotto la vigenza del codice di procedura penale del 1930, ha ritenuto la portata non discriminatoria dell’art.175 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedeva, in tema di notificazioni, l’obbligo di disporre le ricerche del danneggiato nei luoghi di nascita e di ultima dimora, così come era previsto per l’imputato (sentenza n. 187 del 1972). La Corte, dunque, tutte le volte in cui è stata chiamata a decidere sui rapporti tra azione civile e azione penale, ha costantemente affermato il principio per cui «imputato e parte civile esprimono due entità soggettive fortemente diversificate, non solo sul piano del differente risalto degli interessi coinvolti, ma anche e soprattutto per l’impossibilità di configurare in capo ad essi un paradigma di par condicio valido come regola generale su cui conformare i relativi diritti e poteri processuali. Questa Corte, d’altra parte, ha costantemente avuto modo di affermare che le differenze di “trattamento processuale” tra le parti sono legittime, sempre che abbiano una loro ragionevole base all’interno del sistema processuale. Se ciò vale per le parti necessarie del processo, a fortiori è possibile tracciare un ragionevole discrimen in riferimento alle parti eventuali: specie nelle ipotesi in cui – come nel caso della parte civile nel processo penale – sia assicurato un diretto ed incondizionato ristoro dei propri diritti attraverso l’azione sempre esercitabile in sede propria» (sentenza n. 168 del 2006). Si deve, inoltre, ribadire che la Corte, nel legittimare la differenza del trattamento processuale, nei termini indicati, ha, al contempo, affermato che l’eventuale impossibilità per il danneggiato di partecipare al processo penale non incide in modo apprezzabile sul diritto di difesa e sulla parità delle parti, data la possibilità di esercitare l’azione di risarcimento del danno nella sede civile ed anche, atteso il carattere accessorio e subordinato dell’azione civile, in considerazione della facoltà del danneggiato dal reato di scegliere di far valere i propri diritti nella sede propria oppure in quella penale dopo aver effettuato una valutazione comparativa dei relativi vantaggi (sentenza n. 168 del 2006; ordinanza n. 124 del 1999). Ciò premesso, le argomentazioni del rimettente in ordine all’omessa estensione del diritto del differimento dell’udienza anche al difensore della parte civile, non sono idonee a superare le considerazioni sopra richiamate, che debbono essere qui ribadite, con la conseguenza che le norme denunziate si sottraggono alle censure mosse con riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. Anche con riferimento alla diversità della disciplina concernente l’impedimento del difensore dell’imputato e di quello di parte civile, non può non venire in rilievo, ancora una volta, la eterogeneità delle posizioni processuali nel cui interesse il difensore compie e riceve tutti gli atti del procedimento. La scelta del legislatore di non estendere anche al difensore della parte civile il diritto al differimento dell’udienza non è, dunque, irragionevole, e ciò in quanto il differente rilievo degli interessi di cui l’imputato e la parte civile sono portatori, e la diversa natura degli scopi perseguiti, si riflettono anche sulla disciplina prevista in relazione al diritto di partecipazione al processo e, quindi, alla presenza del difensore. La non irragionevolezza della disposizione censurata deve essere affermata anche in considerazione di altri interessi da tutelare, quale quello della speditezza del processo penale, interesse che, evidentemente, il legislatore non ha inteso compromettere attraverso la previsione del diritto al rinvio anche per il difensore della parte civile, dovendo attribuirsi precipuo rilievo al dato che nel processo penale l’imputato è soggetto direttamente coinvolto, mentre la parte civile sceglie, liberamente, di far valere le proprie pretese civili in esso, anziché in sede civile. In tal senso è significativa la sentenza n. 39369 del 2 ottobre 2008 della Corte di cassazione che, nell’escludere la possibilità di estendere l’applicazione dell’articolo 420-ter cod. proc. pen. al difensore della parte civile, ha affermato che la diversità di disciplina non appare irragionevole, in considerazione dei plurimi strumenti presenti nell’ordinamento per chi chiede la tutela dei propri interessi civili in una valutazione comparativa con l’interesse alla speditezza processuale. Con tale pronunzia la Corte di cassazione ha ribadito quanto già espresso da questa Corte nella sentenza n. 433 del 1977, secondo cui «la separazione dell’azione civile dal processo penale non può essere considerata come evoluzione o menomazione del diritto di tutela giurisdizionale, costituendone una modalità che generalmente è alternativa, ma che il legislatore, nell’ambito del suo potere discrezionale, può scegliere come esclusiva in vista di altri interessi da tutelare come quello della speditezza del processo penale e che l’autonomo esercizio dell’azione di restituzione o risarcitoria nel processo civile non comprime il diritto di difesa, il quale potrà essere esercitato secondo le regole generali del codice di procedura civile». Con riferimento alla violazione dell’art. 24 Cost., sotto il profilo per cui l’effettività del diritto di difesa della parte civile sarebbe vulnerata dallo svolgimento di attività processuale nella quale l’imputato ed il suo difensore possono svolgere la loro difesa, in assenza della parte civile e del suo difensore, si deve rilevare che tale lesione non sussiste. Ciò non solo perché ben può il difensore legittimamente impedito nominare un sostituto, il quale esercita i diritti e assume i doveri del difensore ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen., ma anche perché, come più volte affermato da questa Corte, l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno nel processo penale non rappresenta l’unico strumento di tutela giudiziaria a disposizione della parte civile «per l’esistenza di validi e praticabili percorsi giudiziari alternativi nella piena disponibilità del danneggiato (azione risarcitoria davanti al giudice civile)» (ordinanze n. 562 del 2000 e n. 424 del 1998). Le considerazioni esposte conducono, altresì, ad escludere la violazione del secondo comma dell’articolo 111 Cost., in particolare, del principio della parità delle parti, atteso che la previsione della facoltà prevista in capo alla parte civile di trasferire, in qualsiasi momento, l’azione per il risarcimento del danno derivante dal reato nella sede civile, esclude di regola pregiudizi agli interessi di cui è portatrice. In conclusione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata con l’ordinanza indicata in epigrafe, deve essere dichiarata non fondata. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 420-ter, comma 5, e dell’art. 484, comma 2-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2009. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Alessandro CRISCUOLO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2009. Stampa | Segnala | Condividi |

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Perseverare diabolicum (sezione: Giustizia)

( da "AprileOnline.info" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Perseverare diabolicum Grazia Paoletti*, 20 luglio 2009, 16:43 Dibattito L'on Beppe Fioroni ha dichiarato, in più occasioni, che "la laicità è un metodo". Ma la corte Costituzionale, con una sentenza, ha sancito che essa è "un principio a cui il politico, credente o non credente che sia, deve attenersi in uno stato democratico". Fioroni ne è al corrente? La Repubblica del 4 luglio riportava una frase dell'On. Giuseppe Fioroni: "La laicità è un metodo...." Sullo stesso quotidiano del 8 luglio appariva nella pagina di Corrado Augias una lettera di Valdo Spini, che ricordava, facendo riferimento ad una sentenza della Corte Costituzionale, che la laicità "è un principio a cui il politico, credente o non credente che sia, deve attenersi in uno stato democratico." Errare humanum est. Ma l'On. Fioroni persevera. Infatti Su La Repubblica del 19 luglio ripete che "La laicità è un metodo garantito dalla Costituzione." Dunque è necessario approfondire la questione della laicità. Anzitutto a partire dal Dizionario della lingua Italiana (Devoto e Oli), poiché il corretto uso dei termini della lingua italiana, già molto bistrattata al giorno d'oggi, dovrebbe essere al primo posto di chi ha ruoli pubblici. Ebbene, metodo è:"procedimento atto a garantire ... il soddisfacente risultato di un lavoro o di un comportamento - regolarità ... nell'operare - particolare struttura logica e mentale con cui un problema viene impostato e risolto - modo d'agire o di comportarsi". Nessuna di tali definizioni si attaglia alla laicità. Principio è, oltre altre definizioni: "Norma di comportamento in quanto rispecchia l'accettazione di una morale che sta alla base delle convinzioni più profonde." Il termine laicità nella Costituzione non appare, ma è una famosa sentenza Casavola della Corte Costituzionale che esplicita il concetto di laicità sul terreno giuridico-costituzionale, definendola principio supremo dell'ordinamento costituzionale. Infatti la sentenza della Corte Costituzionale n.203 del 12 aprile 1989 recita al punto 13: "i valori di libertà religiosa (art. 2,3,19 Cost.) concorrono con altri (art. 7,8,20 Cost) a strutturare il principio supremo della laicità dello Stato, che è uno dei profili delineati nella Carta Costituzionale della Repubblica. Il principio di laicità che emerge dagli art. 2,3,7,8,19,20 della Costituzione implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale." Le connotazioni del principio di laicità espresse dalla Carta Costituzionale si sono concretizzate nel tempo in vari filoni e svolgimenti. La laicità rende possibile sul piano culturale e politico l'unità nella pluralità. Ed è importante che Padre Sorge in una intervista del 18 giugno 2009 riportata da Chicco di senape (gruppo di credenti di Torino) affermi che "la laicità è un valore cristiano e va intesa come unità nel rispetto della diversità." Invitiamo dunque l'On. Fioroni a esprimersi su questa sentenza. *Sinistra per la Costituzione-Spini per Firenze

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Gay/ Coppia omosessuale Venezia presenta memoria alla (sezione: Giustizia)

( da "Virgilio Notizie" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

Prosegue la contesa sul riconoscimento delle coppie gay in Italia. E' stata oggi depositata alla Corte costituzionale una memoria da parte della coppia di Venezia che aveva chiesto al Comune le pubblicazioni di matrimonio. Di fronte al rifiuto dell'uffciale dello stato civile, loro avevano fatto ricorso al tribunale del capoluogo veneto. Il quale a sua volta ha rimesso la questione alla Corte costituzionale, della quale si attende ora la sentenza. "Realizzarsi pienamente come persona - si legge nel documento - significa poter vivere fino in fondo il proprio orientamento sessuale, scegliendo come partner di vita, all'interno di una relazione giuridica qualificata, qual è il matrimonio, una persona del proprio sesso. Solo così si potrebbe garantire l'effettivo godimento in ambito famigliare per le persone omosessuali del diritto a realizzarsi come persona". "Così come abbiamo imparato - prosegue il testo curato da un collegio di avvocati - anche grazie alle sentenze della Corte costituzionale italiana e delle più alte Corti straniere, che un uomo non è superiore a una donna, una persona di colore non è inferiore a una persona bianca, un cristiano non è migliore di un ebreo, è arrivato il momento di affermare che una persona omosessuale non merita una dignità inferiore, sul piano giuridico, rispetto a una persona eterosessuale anche quando decide di contrarre matrimonio". La mossa giuridica rientra all'interno della campagna 'Affermazione civile', promossa in tutta Italia dall'associazione radicale Certi diritti, in collaborazione con l'Associazione Avvocatura per i diritti Lgbt-Rete Lenford.

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Raportul CE: Reforma in justitie, blocata in continuare de Parlament si judecatori (sezione: Giustizia)

( da "Romania Libera" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

> Cititi online anunturile din ziarul “Romania libera”: Raportul CE: Reforma in justitie, blocata in continuare de Parlament si judecatori Rl online Luni, 20 Iulie 2009 Aderarea Romaniei la zona Schengen va depinde de reforma sistemului judiciar, in continuare blocata de Parlament, judecatori si unii acuzati care "abuzeaza" de dreptul lor la aparare, tergiversand procesele la nesfarsit, se arata in proiectul raportului pe justitie al Comisiei Europene, potrivit NewsIn. Concluziile acestuia arata ca "jurisprudenta sistemului judiciar din Romania este contradictorie", iar "acuzatii par sa aiba posibilitatea sa abuzeze de dreptul lor la aparare, cauzand intarzieri", care apoi sunt "remediate printr-o serie de ordonante de urgenta, practici si reguli de implementare". "Procesul e politizat, iar angajamentul neechivoc al partidelor politice pentru reforma lipseste deocamdata in Romania", spune proiectul de raport, care explica, de altfel, ca mecanismul de cooperare si verificare a intrat in al treilea an de existenta, dar va continua pana cand toate obiectivele de referinta (benchmarks) vor fi indeplinite. Raportul critica lipsa unui consens si lipsa unui angajament neechivoc pentru reforma al intregii clase politice, astfel incat "progresul real in interesul poporului roman" nu are inca loc. "Exista un risc real ca hatisul legislativ, regulile de implementare si practicile care rezulta din permanenta lupta dintre partide sa-i faca pe cei interesati sa piarda din vedere principalul obiectiv - acela de a ajunge la un stat de drept stabil", avertizeaza expertii Comisiei Europene. "Progresele legate de calitatea sistemului judiciar si de lupta anticoruptie vor contribui in mod pozitiv la aderarea Romaniei la zona Schengen, deoarece ridicarea controalelor la frontiera depinde de increderea reciproca", se mai arata in raport, fiind pentru prima data cand executivul european coreleaza cele doua procese. Raportul mai cere Consiliului Superior al Magistraturii (CSM) sa-si mareasca transparenta si responsabilitatea, precum si sa publice "decizii motivate". Parlamentului, criticat pentru blocarea anchetelor de coruptie, i se cere sa adopte o lege care sa permita continuarea proceselor cand sunt invocate exceptii de neconstitutionalitate. Initial, partidele cazusera de acord sa voteze pentru, dar in final legea a cazut, iar apoi fostul premier Adrian Nastase a invocat-o intr-unul din dosarele sale, acum acel dosar fiind suspendat. "Parlamentul inca pare sa ezite si nu ia deciziile necesare pentru a sprijini eforturile executivului si justitiei in reformarea sistemului judiciar si eradicarea coruptiei", se arata in raport. Raportul mai cere Parlamentului sa "asigure aplicarea uniforma si rapida a procedurii ce permite desfasurarea de anchete penale in cazul parlamentarilor care sunt sau au fost membri ai guvernului" si sa asigure "stabilitatea cadrului legislativ pentru lupta anticoruptie la nivel inalt, inclusiv in contextul noilor coduri". Adoptarea celor doua Coduri - penal si civil - este un progres, dar monitorizarea impactului lor se va putea face doar dupa adoptarea codurilor de procedura si a legii de implementare, care nu trebuie sa modifice legea 78 ce sta la baza Directiei Nationale Anticoruptie (DNA). "Legea 78 este actualul cadru legal pentru investigatiile antcoruptie la nivel inalt si baza de lucru pentru DNA. In pregatirea adoptarii finale a codurilor va fi important sa se asigure ca acest cadru legal crucial nu este restrictionat", avertizeaza expertii CE. "Romania a facut o serie de pasi bineveniti de la raportul Comisiei Europene din 2008 pentru a relansa procesul de reforma: a fost dat un nou avant care s-a materializat intr-o serie de pasi pozitivi. Totusi, Romania inca se lupta cu mostenirea unei Constitutii uneori ambigue si cu faptul ca cele doua coduri, Civil si Penal, nu au fost revizuite pe deplin, ci luate din trecutul comunist", remarca raportul Comisiei Europene. Documentul mai noteaza ca "noul Cod Penal adoptat, in mod paradoxal, scade pedepsele pentru coruptie, ceea ce e in contradictie cu eforturile de combatere a coruptiei de pana acum". DNA este din nou apreciat ca avand un parcurs pozitiv de "investigatii non-partinice", CE respingand acuzatiile cum ca DNA ar avea o agenda politica. Renumirea lui Daniel Morar in fruntea DNA in februarie 2009 "a marcat un pas important in lupta anticoruptie", se mai arata in partea politica a raportului. Consiliul Superior al Magistraturii (CSM) este criticat cu moderatie, fiind incurajat sa coopereze mai mult cu Ministerul Public si sa-si intensifice activitatea, contribuind la reformarea reala a sisteumului. Inalta Curte de Casatie si Justitie este aspru criticata pentru procedurile sale alambicate si se trage un semnal de alarma privind persoana care va fi numita in toamna in fruntea acestei institutii. "Numirea noului presedinte ICCJ in toamna va prezenta o ocazie pentru a demonstra angajamentul pentru reformarea, modernizarea si transparentizarea sistemului judiciar", se arata in proiectul de raport. In ce priveste Agentia Nationala de Integritate, CE apreciaza faptul ca aceasta si-a inceput activitatea, precizand insa ca nu poate fi evaluata, deoarece e inca la inceput. Astfel, CE invita autoritatile romane sa aplice recomandarile facute si spune ca o sa monitorizeze progresele facute in 2010. "E nevoie de presiune continua pentru a obtine rezultate, iar CE invita si celelalte state membre sa continue asistenta oferita Romaniei si sa ajute la obtinerea de rezultate", se spune in raport. Din aceeasi categorie: Basescu: Eliminarea preconditiilor, esentiala pentru pace in Orientul MijlociuAlte 2 cazuri de infectare cu gripa porcinaCum poti castiga un salariu de 3.000 de euro pe luna Voteaza

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Judecatorii au castigat: PSD-PDL le dau sporurile (sezione: Giustizia)

( da "Romania Libera" del 20-07-2009)

Argomenti: Giustizia

> Cititi online anunturile din ziarul “Romania libera”: Presedintele Basescu va media conflictul dintre ministri si magistrati Judecatorii au castigat: PSD-PDL le dau sporurile Marti, 21 Iulie 2009 Liderii PSD si PDL le-au cerut ieri ministrilor Justitiei si Finantelor sa gaseasca solutii pentru a-i multumi financiar pe magistrati, in asa fel incat sedintele instantelor sa nu mai fie intrerupte de protestele judecatorilor, asa cum s-a intamplat in ultimele doua saptamani. Ministrul Predoiu a spus, dupa intalnirea de ieri cu fruntasii PSD si PDL, ca acestia au luat decizia de a suplimenta fondurile pentru sistemul judiciar si de "mentinerea angajamentului de a achita hotararile judecatoresti care constata drepturi pentru trecut in cadrul legal existent in vigoare". In acest fel sporurile uriase pe care judecatorii si le-au acordat singuri vor fi date in continuare. Ministrul Justitiei explicase in ultima vreme ca fondurile alocate acestui domeniu prin Bugetul de stat pe 2009 au fost epuizate in primele luni ale anului. Ministrul Justitiei, Catalin Predoiu, a participat ieri pentru prima data la sedinta saptamanala a liderilor coalitiei de guvernamant, unde a primit ca tema rezolvarea revendicarilor magistratilor. Ministrul Predoiu sustine ca fruntasii PSD si PDL au luat decizia de a suplimenta fondurile pentru sistemul judiciar si de "mentinerea angajamentului de a achita hotararile judecatoresti care constata drepturi pentru trecut in cadrul legal existent in vigoare". In acest fel, ministrul Justitiei, care a explicat consecvent in ultima vreme ca fondurile alocate acestui domeniu prin bugetul de stat pe 2009 au fost epuizate in cateva luni, va fi nevoit sa-si retraga declaratia. Ministerul Justitiei a incercat sa le explice magistratilor care au inceput inca din 7 iulie proteste spontane ca in aceasta perioada de criza atat judecatorii, cat si procurorii ar trebui sa-si amane revendicarile salariale. Judecatorii au fost insa nemultumiti ca incepand de luna trecuta nu au mai primit sporul de stres, care inseamna 50 la suta din leafa magistratului. Coalitia de guvernamant a hotarat sa le dea magistratilor sporurile pe care acestia le-au castigat in instanta, dupa ce Inalta Curte de Casatie si Justitie, care este instanta suprema in Romania, a dat in judecata Ministerul Finantelor din cauza ca acesta a refuzat sa plateasca sporurile judecatorilor. In prima instanta, atat ministrul de Finante, Gheorghe Pogea, cat si institutia pe care o conduce au pierdut procesul in fata magistratilor. Judecatorii devin astfel o breasla de care se tem politicienii, breasla care obtine drepturi salariale prin procese pe care le judeca intotdeauna in favoarea lor. Ministrul Predoiu asteapta insa in aceasta saptamana si medierea presedintelui, ceruta de Consiliul Superior al Magistraturii (CSM), care s-a plans, la randul sau, de subfinantarea cronica a sistemului si de umilirea judecatorilor si procurorilor. Presedintele Basescu ar urma sa se consulte atat cu reprezentantii Executivului – ministrii Pogea si Predoiu –, cat si cu magistratii CSM pentru a prezenta opiniei publice o concluzie. Traian Basescu a formulat deja un punct de vedere acum cateva saptamani, cand a spus ca nu e normal ca magistratii sa-si dea singuri salarii mari prin procesele in care au cerut sporuri si pe care le-au castigat, fiindca ei erau si petenti, si judecatori. Din aceeasi categorie: Predoiu da raportul coalitieiFMI: economia romaneasca va scadea cu 8%Soarta Grindului Chituc, nedecisa Voteaza

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