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  Ore 8-4-2008   Fmi: perdite di 1000 miliardi $dalla crisi dei mutui
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  crisi dei mutui ipotecari Usa, con tutte le sue implicazioni sul mercato
  immobiliare, sul credito al consumo e sulle società, potrebbe
  provocare perdite potenziali fino a 945 miliardi di dollari, quasi mille
  miliardi. E' l'astronomico bilancio dei danni che il Fondo Monetario
  Internazionale stima quale ricaduta per il settore della finanza a seguito
  della crisi innescata dai mutui subprime.
 Un dato freschissimo, visto che si tratta delle «perdite potenziali» stimate
  in base all'andamento dei contratti derivati a marzo 2008 e che l'Fmi compila in una specifica tabella del suo Global
  Financial Stability Report, pubblicato in vista
  dell'assemblea di primavera con la Banca Mondiale, il 12-13 aprile a
  Washington. Per il solo settore dei prestiti non garantiti negli Stati Uniti
  - epicentro della crisi - la stima dei danni potenziali è di 225
  miliardi di dollari. È ovviamente la prima voce investita dal ciclone
  scatenato dall'ondata di insolvenze sui mutui subprime, quelli che le banche
  americane negli anni scorsi hanno erogato a soggetti con garanzie di
  solvibilità basse o nulle, e poi riversato sul mercato mediante
  cartolarizzazione.
 
 Ma l'Fmi ha esteso le sue stime sui danni potenziali
  a vari altri titoli finanziari finiti sotto pressione con le turbolenze dei
  mercati. Sugli Abs (asset backed securities) i danni - sempre a marzo 2008 - ammontano a
  210 miliardi di dollari; sui Cdo (collateralized
  debt obligations) legati
  agli Abs a 240 miliardi; sui Cmbs (commercial mortgage backed securities) a 210 miliardi; sui bond delle imprese ad
  elevati rendimenti i danni potenziali sono 30 miliardi, sui Clo (collateralized loan obligation) altri 30 miliardi.
 
 I tecnici dell'Fmi hanno elaborato queste stime
  basandosi su dati diffusi da Goldaman Sachs, JPMorgan,
  Lehman Brothers, Merrill Lynch e Markit.com.
 
 Gli autori del Global
  Financial Stability Report, sostengono poi che
  la crisi è nata negli Usa ma si è ormai propagata tramite i
  rami della finanza a tutte le altre principali economie mondiali. «Gli Usa rimangono l'epicentro della crisi - si legge nel
  rapporto - perchè il suo mercato dei mutui subprime
  è stato all'origine dell'indebolimento degli standard creditizi ed
  è ora il primo a pagarne il prezzo. Ma anche le istituzioni
  finanziarie negli altri paesi ne sono state colpite a causa delle medesime
  condizioni eccessivamente benigne dei mercati finanziari in questi anni, e in
  varia misura, di un indebolimento dei sistemi di gestione del rischio e di
  supervisione interna». Sono particolarmente a rischio, scrivono gli autori
  del rapporto, i paesi industrializzati in cui i prezzi delle abitazioni hanno
  ormai raggiunto valori eccessivi rispetto ai fondamentali o dove i bilanci
  delle famiglie e delle aziende sono più tirati».
 
 La ricetta indicata alle banche dal global financial stability report. «È
  cruciale che le grandi banche su cui poggia il sistema finanziario continuino
  ad agire rapidamente per risanare i loro bilanci, raccogliendo nuovi capitali
  e finanziamenti a breve, anche se costa di più farlo ora, per ricreare
  fiducia ed evitare di danneggiare oltre il canale del credito». È
  questa la ricetta indicata alle banche dal global financial
  stability report. «Nuovi capitali sono già
  giunti da vari investitori, specie dai fondi sovrani - prosegue il rapporto -
  ma serviranno altre infusioni di equity per
  ricapitalizzare le istituzioni». Gli esperti del Fondo offrono numerose
  raccomandazioni agli istituti bancari coinvolti nella crisi. Nell'immediato,
  le banche devono aumentare i loro livelli di «disclosure»
  soprattutto «nel caso di strumenti finanziaristrutturati
  molto complessi». Il rapporto suggerisce inoltre di cambiare la struttura di
  compensi dei manager delle banche tradizionali in modo da indurli a prendere
  decisioni che migliorano la sostenibilità dell'azienda nel lungo
  periodo evitando la tentazione di correre rischi eccessivi.
 
 Quanto alle Banche centrali «devono
  cercare di ottenere continuo accesso alle informazioni dei singoli istituti
  in modo da poter giudicare indipendentemente lo stato di salute delle
  controparti potenziali». Le banche centrali e le altre autorità di
  vigilanza - prosegue il rapporto - «potrebbero beneficiare da rapporti
  più stretti e da una migliore condivisione delle informazioni in modo
  da poter prevedere meglio possibili problemi di liquidità e di
  solvibilità».
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