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  Repubblica del 9
  gennaio 2008 Monnezza bipartisan di Sebastiano Messina Ah, gridano tutti, se Napoli avesse già un magnifico termovalorizzatore
  come quello di Brescia! A quest'ora, invece di essere prigioniera del fetore dei suoi rifiuti,
  ricaverebbe dalla monnezza acqua calda e corrente
  elettrica. Il termovalorizzatore, ecco quello che
  ci voleva per non ritrovarsi con i viali di spazzatura e i picchetti alle discariche. Mannaggia a
  chi non l'ha costruito.   Si dimetta immediatamente chi non ha saputo imporlo. Sia processato chi
  l'ha boicottato. Tutto vero, tutto giusto. Ma chi
  è che non l'ha voluto, questo benedetto termovalorizzatore?
  Chi ha marciato contro? Chi ha firmato le interrogazioni parlamentari? Chi
  si è scontrato con la polizia? L'elenco - ahi ahi - è più assortito del contenuto
  di un cassonetto. La destra e la sinistra. Il vescovo
  e i no global. Greenpeace
  e Beppe Grillo. Bertinotti
  e Alemanno. Padre Zanotelli e la
  comunista Katia Bellillo.
  Un sindaco della Cdl e uno dell'Unione. E poi i Verdi, i Disobbedienti, il Codacons,
  i pensionati, i costruttori, gli ex partigiani, i mutilati di guerra, gli ex
  combattenti...   E Di
  Pietro. Sì, lui: proprio il ministro che oggi reclama le dimissioni di Bassolino,
  imputandogli troppa lentezza nell'affrontare il più puzzolente dei
  problemi, una settimana dopo l'inizio della costruzione del termovalorizzatore di Acerra -
  era il 2004 - si domandava «i motivi della improvvisa, ingiustificata e non
  motivata accelerazione che ha portato ad avviare I lavori per il termovalorizzatore a Ferragosto», e invitava perentoriamente
  il commissario di governo «a sospendere immediatamente i lavori».   Una voce tra le tante, per carità. Perché accanto ai due sindaci di Acerra
  che marciavano alla testa dei cortei di protesta (prima uno di centro-destra,
  poi uno di centro-sinistra: staffetta bipartisan)
  nessuno ha mai fatto distinzioni di colore politico. C'era Fausto Bertinotti, che salutava soddisfatto «la grande mobilitazione popolare»
  (corteo di30rnilapersone, finito tra i lacrimogeni della polizia con 82
  feriti al pronto soccorso) e portava «solidarietà e sostegno». E c'era Franco Giordano,
  che avvertiva Bassolino: «Rifondazione comunista
  è assolutamente contraria alla realizzazione del termovalorizzatore
  di Acerra». Ma c'era anche
  Gianni Alemanno di An, allora ministro delle Politiche Agricole, che
  scandiva il suo slogan di lotta e di governo («Il Sud non può essere
  la pattumiera d'Italia!») e prometteva ai
  manifestanti: se avete ragione voi, «non ci possono essere dubbi sull'interruzione
  dei lavori».   C'era Alfonso Pecoraro Scanio, che a nome dei
  Verdi presentava interpellanze al governo per chiedere il blocco dell'«ecomostro» di Acerra. C'era un
  comitato di ex partigiani, mutilati di guerra ed ex
  combattenti che gridava: «Oggi facciamo qui la nostra Resistenza!». Ma e' era anche il sindaco Michelangelo Riemma (Cdl) che lanciava la sua sfida anche al di
  là del Tevere: «Nemmeno il Papa potrebbe
  farci recedere da questa battaglia di civiltà!».   Ipotesi remotissima, anche perché la Chiesa si era
  schierata subito contro il termovalorizzatore. Non solo con il solito don Vitaliano della
  Sala, subito arrivato con il leader dei
  Disobbedienti, Francesco Caruso, a dire che quella non era certo «la
  soluzione adeguata». Non solo con padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano
  controcorrente, che fece anche uno sciopero della fame:
  «Mi nutrirò con sola acqua e un po' di caffè,
  per dire no a tutti i termovalorizzatori». No,
  stavolta persino il vescovo di Acerra, monsignor Giovanni Rinaldi, aveva
  benedetto la protesta popolare, con un comunicato ufficiale che venne letto
  la domenica in tutte le chiese della diocesi. Dietro il termovalorizzatore
  c'era la coda del diavolo.   Poi venne Beppe Grillo, che non aveva ancora cominciato la stagione
  dei «vaffanculo» ma era già contrario a quella soluzione. «Tutti dicono che il termovalorizzatore
  serve per produrre energia, ma basterebbero 800 mila persone per produrre la
  stessa energia di un inceneritore» spiegò pazientemente il comico nel
  suo «spettacolo d'informazione» a Pomigliano
  d'Arco. Va bene, gli dissero dalla platea, mala spazzatura dove la mettiamo?
  Lui ebbe la risposta pronta: «Fate un bellissimo
  museo della monnezza. Portate
  tutta la spazzatura sotto una campana di vetro gigantesca, in modo che sia
  studiata dalla gente che arriva da tutto il mondo». Lui scherzava, ma
  è finita davvero così. Senza la campana, però.  |