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  maggio 2007L'intervento      Il testo completo
  dell'intervento introduttivo di Occhetto
  tenuto sabato scorso alla manifestazione del
  Cantiere dal titolo "Coprire un vuoto a sinistra"  Mi è capitato di dire,
  alla vigilia dei congressi che si sono proposti di dare vita al partito
  democratico, che gli uomini e le donne di sinistra stavano provando un
  profondo disagio prodotto dalla sensazione che la politica italiana che
  sembrava di precipitare in un buco nero. In sostanza abbiamo temuto che in
  quel buco nero potesse sparire la sinistra.Ma quella sensazione, se in me non è ancora del tutto scomparsa,
  perché ancora molte cose devono essere fatte e pensate, si è
  notevolmente attenuata sabato scorso assieme a Mussi, a Angius
  e a Giovanni Berlinguer al Palazzo dei congressi
  dove quel vuoto si è come d'incanto riempito della passione e della
  speranza di una nuova sinistra.
 E' stato detto, per la verità non con molta eleganza, che chi era
  lì non sarebbe andato da nessuna parte, e che chi non aderisce al
  partito democratico vuole difendere la vecchia politica e impedisce al nuovo
  di sorgere.
 Peccato però che molti di quelli che si azzardano in simili affermazioni
  sono stati e sono i più autentici rappresentanti della vecchia
  politica.
 Lo sono stati quando si trattava di cambiare il
  sistema politico italiano, lo sono stati dinnanzi alla prospettiva del
  bipolarismo e ai referendum sulla caccia e sul nucleare e su tante altre
  cose.
 E devo anche dire che ogni volta che si doveva fare qualcosa di nuovo, a
  torto o a ragione, il primo che vedevo accanto a me era sempre Fabio Mussi.
  Lo ricordo solo per sbarazzare il terreno dalla falsa caricatura che intende
  contrapporre il nuovo al vecchio.
 No, non è di questo che oggi si tratta: il problema è se debba
  o no continuare ad esistere una sinistra.
 Questa mia affermazione, come è del tutto evidente, non nasce da una
  sorta di nostalgia conservatrice per la vecchia sinistra.
 E ricordo anche bene che molti di coloro che oggi accusano
  Mussi di essere per la vecchia politica fecero le barricate contro gli
  "esterni", guardarono in cagnesco ogni ipotesi di riforma del modo
  di essere dei partiti, si presentarono come i paladini dei vecchi apparati,
  condannarono come una infamia l'ipotesi di partiti meno dipendenti da
  finanziamenti discutibili.
 Per non parlare dei lazzi verso l'ipotesi di una grande coalizione, una sorta
  di Carovana nella quale ogni convoglio mantenesse la propria identità
  di partenza, ma che fosse ispirata dalla identica tensione ideale e morale
  verso la nuova frontiera di una politica profondamente rinnovata.
 Il "Grande Ulivo" del 1996 incominciò ad incarnare questa
  idea. In quella occasione uomini e donne che il muro ideologico della guerra
  fredda aveva divisi si ritrovarono dalla stessa parte, dando vita ad un effettiva esperienza unitaria di base. Quella
  esperienza avrebbe dovuto, senza forzature burocratiche dall'alto, preparare
  il terreno di coltura di una fecondazione unitaria da realizzarsi nel vivo di
  una comune esperienza di vita politica e sociale.
 Purtroppo quell'idea, come sapete, è stata sacrificata sull'altare
  della vecchia politica. Ebbene di fronte allo scempio fatto proprio dai
  rappresentanti della vecchia politica, si poteva rimanere fermi? Bisognava di
  qui all'eternità mantenere gli stessi partiti e partitini?
  Certamente no.
 Non c'era dubbio pertanto che occorresse riprendere, in qualche modo, la via
  della unificazione a sinistra e della contaminazione tra i diversi riformismi
  di cui abbiamo tante volte parlato.
 Ma come farlo? Certamente non nel modo con il quale si è proposta la
  formazione del Pd.
 La mia risposta è: i processi di unificazione dovrebbero essere
  avviati in un modo totalmente opposto da quello tentato dal Pd.
 A mio avviso occorre prendere le mosse da un confronto culturale e
  programmatico aperto, in partenza, all'insieme del popolo di centrosinistra.
  Nel caso del Pd la scelta non è stata
  questa; la società civile, nelle sue differenti espressioni, non
  è stata chiamata a raccolta, e tutta l'operazione politica si è
  ridotta all'incontro di due apparati molto ristretti, quello dei Ds e quello
  della Margherita.
 Mi sembra che ce ne sia abbastanza per affermare che
  si sta lasciando nella politica italiana un enorme spazio vuoto: quello di
  una sinistra moderna, capace di reinventare il
  senso di una attuale ispirazione socialista e democratica.
 Per questo è ormai compito ideale e morale di molti di noi di
  impegnarsi perché la sinistra in quanto tale non sparisca
  dal panorama politico italiano.
 Coprire un vuoto abbiamo detto. Ma come?
 Questo è quello che vogliamo discutere qui oggi in modo aperto, e
  vogliamo farlo tra compagni della sinistra che vengono da percorsi e tragitti
  diversi, che in alcuni momenti si sono fieramente combattuti, ma che nutrono
  la sensazione che oggi si possa riprendere un cammino interrotto.
 Molta acqua è passata sotto i ponti. Oggi ci muoviamo tutti oltre
  l'ottantanove, stiamo tutti cercando la strada che porta verso una nuova
  sinistra plurale, laica, moderna e unitaria. Le divisioni del passato si sono
  scolorite, e, soprattutto per i giovani, non hanno più senso.
 Ciò che invece ha ancora un senso è l'individuazione dei
  fondamenti ideali di una identità alternativa
  all'attuale modo di essere della politica e all'attuale modello di sviluppo.
 Questa precisazione è di fondamentale importanza perché noi, a
  differenza di quanto è avvenuto per il Pd,
  non possiamo accontentarci di mettere insieme alcuni apparati all'interno
  dell'attuale modo di essere della politica.
 Al contrario dobbiamo dare voce al grido di dolore che sale da tutta la
  penisola contro il degrado della politica.
 Abbiamo davanti a noi dei dati impressionanti che ci dicono che il 65% dei
  cittadini italiani non crede più alla politica.
 Per questo la riforma della politica e la stessa questione morale rimangono
  obiettivi centrali del nostro percorso.
 Così come centrale, nella nostra visione della politica, rimane il
  laicismo, che, lo vogliamo ricordare ad alcuni cattivi maestri, non va
  confuso con il vecchio anticlericalismo, che non ci appartiene.
 E lo vogliamo ricordare proprio oggi, in un giorno che con il pretesto della
  difesa della famiglia si rischia di calpestare, per
  le vie di Roma, non già i sampietrini, ma l'articolo 20 della
  Costituzione, di quella costituzione fatta da laici e cattolici usciti dalla
  Resistenza, di quella costituzione che tutti noi vogliamo continuare a
  difendere anche attraverso la richiesta dei 2/3 per la sua modifica.
 Ciò che invece va subito gettata al macero è quella
  costituzione materiale che ha buttato la politica in un pantano, da cui
  occorre risollevarsi anche attraverso la riforma dei partiti, la diminuzione
  dei costi della politica, e la realizzazione dell'art. 49 della costituzione.
 Ciò richiede la costituente di una nuova formazione politica. Il
  problema non è il se dar vita a una nuova formazione politica, ma il
  perché, il per che cosa e il come .
 Il perché ce lo dice lo stesso Touraine
  - in un suo recente scritto - quando afferma che è ancora sensato
  parlare contro il capitalismo e che l'opinione pubblica si aspetta dai
  dirigenti che mettano dei limiti all'onnipotenza dei mercati e delle imprese
  e chiede una "sterzata a sinistra". Mettendo, di nuovo, al centro
  il lavoro.
 Nel per che cosa si colloca a pieno titolo non
  già la negazione, ma la ridefinizione
  dell'obiettivo socialista, a partire dalla ridefinizione
  del rapporto tra libertà ed eguaglianza.
 La separazione tra libertà ed eguaglianza è alla radice di
  tutti gli errori e orrori della sinistra: ha costituito il dramma del secolo
  breve.
 Il socialismo del nuovo millennio dovrebbe porsi l'obiettivo di passare dalla
  libertà dei pochi alla libertà di
  tutti.
 Qui sta la vera vitalità dell'idea socialista, che non è
  riducibile allo statalismo, ma al contrario si richiama ad un´ esigenza
  insopprimibile di socializzazione. I programmi di socializzazione
  possono essere vari e differenti, ma tutti devono avere come obbiettivi il
  superamento di ogni forma di oppressione dell'uomo
  sull'uomo, di una classe sulle altre, di una razza sull'altra, del sesso
  maschile su quello femminile, delle nazioni ricche su quelle povere,
  dell'uomo sulla natura.
 Ma ci sono anche la fine dell'alienazione, il pacifismo senza se e senza ma,
  contro le cosiddette guerre giuste e le guerre
  cosiddette sante, il superamento del divario tra governati e governanti, e la
  fine di ogni forma di esclusione dal sapere e dalla cultura. E sopra ogni
  cosa dall'informazione, trasformando alle radici questo orribile apparato
  della moderna dittatura di massa.
 Tuttavia anche nella definizione di questi che sono valori preliminari per
  avviare un processo di effettiva liberazione umana - che è cosa ben
  diversa dal liberismo, anche quello cosiddetto riformista - occorre avere ben
  chiaro che non si può affidare alla destra il compito
  dell'accumulazione e alla sinistra quello della redistribuzione.
 La sinistra non può limitare il suo messaggio al campo della
  distribuzione della ricchezza all'interno di un
  modello di sviluppo invariato. Il problema del mutamento del modello di sviluppo rimane una questione capitale.
 La sinistra del terzo millennio non può esimersi dal tentare
  l'impresa, sicuramente titanica, di definire, sia pure gradualisticamente
  e per approssimazioni successive, le linee di un nuovo modello di sviluppo,
  di un modo diverso di produrre e di consumare, a partire dal problema
  energetico, e nel contesto di una democrazia planetaria che si proponga di affrontare in modo radicale le grandi sfide
  della lotta al sottosviluppo e della difesa del pianeta dalla catastrofe
  ecologica.
 Il movimento reale che si batte per tutto questo è il socialismo.
 Rimane, tuttavia, il problema del come.
 Nessuno di noi si nasconde la difficoltà dell'impresa.
 Occorre sicuramente una profonda rivoluzione culturale, ma che non sia un modo per rinviare: che al contrario deve
  incominciare subito e dal basso, coinvolgendo direttamente i cittadini, i
  movimenti le associazioni, le personalità della cultura.
 Per questo abbiamo partecipato con commozione allo straordinario evento di
  sabato scorso con il quale si è dato vita al movimento della sinistra
  democratica, un movimento aperto che si pone
  l'obiettivo dell'unificazione della sinistra.
 E dico subito che noi del Cantiere intendiamo essere parte attiva di questo
  movimento.
 Con quale obiettivo?
 Quello di dar vita a qualcosa di nuovo, attraverso una effettiva
  ricerca aperta, scevra da vincoli e pregiudiziali rispetto alle appartenenze
  del passato.
 Infatti mi sembra che oggi non sia molto utile
  scegliere tra una federazione di comunisti e una federazione di socialisti,
  se per davvero vogliamo muoverci nella direzione della costruzione di una
  inedita sinistra democratica.
 Per questo ritengo che tutti dovrebbero fare uno sforzo per uscire dal
  proprio guscio.
 Personalmente penso che la nuova
  sinistra debba muoversi nell'alveo storico del socialismo europeo, con
  l'obiettivo di un suo rinnovamento nella direzione di un avvicinamento tra
  tutte le sinistre europee.Vedo bene che a questo proposito esistono ancora dei problemi, che tuttavia
  vanno risolti su due terreni diversi: quello immediatamente politico,
  attraverso immediati atti di unificazione che ci permettano da subito di
  affiancare la novità del partito democratico con una ancora più
  forte novità a sinistra, capace di dare una speranza a quel partito
  virtuale che oggi è senza rappresentanza; e quello di una ricerca e di
  un dibattito di più ampio respiro sulle questioni di fondo - sui
  fondamentali - sui quali dovrà basarsi la nuova sinistra unita.
 Mentre sul primo terreno saranno molto importanti le scelte politiche e
  parlamentari dei gruppi politici già
  organizzati, sul secondo terreno occorrerà allargare l'orizzonte di
  partecipazione alla società civile, ai movimenti, alle competenze e
  alle personalità della cultura.
 E qui arriviamo al come, a quel come che anche metodologicamente ci
  differenzia dal processo avviato nella formazione del Pd.
 Un processo curioso, se si può leggere, in una intervista
  di Bersani, -badate bene, dopo che i due congressi hanno approvato un documento
  fondativo, per la verità molto effimero -,
  che sarebbe importante prima del congresso di fondazione del Pd, dalla data ballerina, "avere una discussione su
  valori e programma fondamentale", e che prima di parlare del leader
  "occorre definire il profilo del Pd,
  tratteggiare un tratto del suo volto".
 Come si vede si tratta di una confessione clamorosa, dell'espressione di una
  sincera inquietudine, che tuttavia conferma tutti i nostri dubbi e sospetti;
  ma si tratta anche di un monito per il nostro stesso futuro.
 E il monito è questo: occorre partire prima dai contenuti che dal
  contenitore.
 Il come richiama, dunque, l'esigenza - ecco la proposta - di una vera
  costituente delle idee, presieduta da un comitato di saggi che siano
  espressione dei grandi filoni riformatori, aperta alla società civile
  e ai movimenti e che trascenda - senza annullarli -
  gli attuali apparati partitici.
 Questa costituente dovrebbe aprire in tutto il paese, attorno ad alcuni
  nuclei programmatici fondamentali, un confronto reale, un processo di
  avvicinamento e di reciproca comprensione, una effettiva
  unificazione delle idee capace anche di prevedere i fisiologici elementi di
  diversità, legati alle differenti radici politiche, culturali e
  religiose.
 Solo così si può dar vita ad una sinistra plurale, moderna e
  democratica.
 Per questo vi invito a non chiudere nel passato il discorso che si deve
  ancora aprire.
 La stessa sconfitta di Segolene Royal
  sta a dimostrare che la sinistra deve reinventarsi,
  ma non, come pretendono alcuni, sovrapponendo in coppa a una casta politica
  di sinistra, chiusa e per nulla nuova, lo zucchero a velo dei moderati.
 La Francia ci dice ancora una volta che il vero
  segreto è quello di sapere parlare al centro democratico senza perdere
  la sinistra, e non mi sembra, me lo permetta Prodi, che questo segreto sia
  stato scoperto dal Pd.
 Oggi, se guardiamo al passato, ci serve, al governo, molto di più di
  tante chiacchiere vuote sulla modernità, la lezione di un riformismo
  forte, come quello che fu di Riccardo Lombardi.
 Ed allora dico: se il partito democratico fosse stato per davvero il partito
  di tutto l'Ulivo, in quel caso la sinistra avrebbe trovato il proprio posto
  al suo interno.
 Ma così come sono andate
  le cose occorre, paradossalmente per il bene degli stessi moderati del Pd, se vogliono tornare al governo, dare voce e
  rappresentanza a milioni di cittadini che potrebbero rifugiarsi nell'apatia e
  persino nell'astensione.E così perderemmo tutti assieme, appassionatamente, le prossime
  elezioni: altro che dichiaraci più avanti della sinistra francese!
 Cerchiamo dunque, tutti assieme, di uscire dal falso dilemma tra sinistre identitarie, ciascuna avvolta nella propria bandiera, e
  sinistra tecnocratica. Tra sinistra di governo e sinistra
  radicale. La sinistra è di governo se sa portare al governo
  non una casta separata ma i cittadini, il proprio popolo.
 Sta al governo solo se sa stare nel paese; ed
  è democratica solo se ricerca le nuove vie di scorrimento tra partiti
  e movimenti, tra rappresentanza e partecipazione.
 Siamo riuniti qui, in questa sala, comunisti, socialisti, ambientalisti,
  laici e cattolici, che non intendono dimenticare le loro radici, ma vogliono,
  questo sì, essere qualcosa di nuovo con un cuore antico. Vogliono
  essere sinistra. E lo vogliono soprattutto per i più giovani.
 Guardate alle beghe che già dividono il nascituro Pd!
 Lasciano nel paese un grande spazio vuoto. Ma questo non basta.
 Bisogna coltivarlo, questo spazio, fargli crescere dentro una nuova speranza;
  bisogna sapere piantare, nella diversità, il seme dell'unità.
 Se non sapremo fare questo crescerà solo l'erbaccia del disincanto e
  della disillusione, verso tutti, moderati o radicali che siano, verso la
  politica, verso la democrazia.
 Ma allora avrà per davvero vinto la destra; dobbiamo impedirlo,
  facendo rivivere la sinistra!
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