| HOME    PRIVILEGIA NE IRROGANTO    di Mauro Novelli     Documento d’interesse   Inserito il 30-6-2007 | |||
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  Repubblica 28-6-2007 Assolta
  la professoressa che punì lo studente bullo  Francesco
  Merlo IL
  CASO Palermo, gli fece scrivere cento volte: "Sono un deficiente"
  Assolta la professoressa che punì lo studente bullo  E’
  una sentenza esemplare che sarebbe addirittura perfetta se, chiudendo con
  l'assoluzione il processo alla professoressa, ne avesse aperto un altro a
  carico del padre del bullo, educatore diseducativo che ha dato, a nessun
  titolo se non le sue nari, della "cogliona"
  all'encomiabile insegnante che aveva punito suo figlio: insegnante di
  lettere, di umanesimo e di buone maniere. è
  infatti il padre che andava e andrebbe processato, è lui il principale
  responsabile delle deficienze del figlio deficiente. Ed è facile
  immaginarlo a Palermo questo padre "masculu"
  che pretendeva un risarcimento di venticinquemila euro, un ovvio personaggio
  di quell'universo ridicolizzato da Brancati: " 'A ttia ti dissi deficiente? A
  me figghiu? Dammi il quaderno ché rispondo io alla
  tua maestra". E scrisse: "Non solo mio figlio non è un deficiente,
  ma lei è una cogliona". Attenzione
  però: non è Palermo che ha prodotto l'apparente
  eccezionalità del caso. In tutta Italia infatti
  le istanze familistiche ? la difesa del figlio
  nostro, u figghiu miu, a
  creatura, il piccinin, er
  pischello, il toso ? hanno ormai il sopravvento
  sulle prerogative istituzionali della scuola, sulla formazione del cittadino.
  Saggiamente infatti la sentenza di Palermo ricorda
  il terribile caso del ragazzo suicida a Torino perché trattato da
  omosessuale, maltrattato da un branco di deficienti che diventano, senza
  capirlo e senza volerlo, per ignoranza e per deficienza appunto, una banda di
  assassini, di istigatori al suicidio. Dunque, secondo il giudice, e anche
  secondo noi, il giovanissimo bullo che, nelle mille varianti del dialetto palermitano,
  ha dato del frocio al suo compagno e gli ha
  impedito di entrare nel bagno dei maschi, andava proprio punito ed è
  stato un atto educativo per tutta la classe oltre che per lui, un
  addestramento alla responsabilità, l'averlo costretto a riflettere sulle
  sue deficienze etico-categoriali, scrivendo cento
  volte "sono un deficiente". E tuttavia almeno quel bullo ha le
  attenuanti dell'età immatura. Non hanno invece attenuanti nella loro
  fosca responsabilità gli adulti: i genitori, innanzitutto, che si compiacciono
  del figlio "malandrino", e non capiscono che la scuola è
  un'opportunità formativa di gran lunga superiore
  a quella offerta dalla famiglia e dalla strada. Sono loro che, dinanzi alla
  punizione del figlio, reagiscono da superbulli fabbricatori di bulli. E
  invece dovrebbero arretrare, cedere il passo, consegnare il figlio
  all'insegnante. Un tempo era riconosciuto il diritto alla punizione dello
  scolaro, si aveva fiducia nella qualità dell'insegnante, e anche gli
  aristocratici mandavano i figli a scuola con la convinzione di trovarvi un
  assemblaggio di strumenti, uomini e opportunità educativi e formativi
  che in casa, nonostante l'agio, non c'erano. E la punizione di copiare cento
  volte una frase educativa sul quaderno scolastico si chiama "penso"
  ed è un'antica, cardinale istituzione della scuola,
  fatta non solo di bullismo, di parole in libertà, di gite, di
  baby parking, ma anche di compiti a casa, di interrogazioni, di rimproveri e
  di "penso". Ricordo di avere scritto per cento volte su un quaderno
  nero "non dirò mai più "piccolo babbeo" al mio
  compagno Gulizia". E ricordo anche che mio
  padre, convocato a scuola, si mise a dare fin troppo ragione all'insegnante,
  accusandomi più di quanto non avesse fatto il professore, il quale, a
  un certo punto, fu costretto a difendere me, il deficiente: "Non
  esageriamo, il ragazzo vale". Qui, al contrario, in un processo che non
  si doveva proprio celebrare con quell'imputata, si volevano far passare per
  categorie nobili, forti e civili la schiuma della sozzura e i preconcetti sul
  sesso. E' purtroppo vero che la responsabilità non è solo del
  padre che, comunque, andrebbe punito da un tribunale di Stato. C'è
  anche la responsabilità di altri adulti, parlamentari, uomini
  politici, altri professori, altri giudici e anche uomini
  di chiesa. Non solo il padre dunque, ma tutti quelli che nella
  diversità sessuale vedono crimini, depravazioni, abnormità
  e mostruosità naturali, vizi dell'anima, e magari anche l'assenza di
  Dio. Tanti in Italia dovrebbero scrivere, cento o mille volte, sul quaderno
  nero "sono un deficiente". E la parola giusta è proprio deficiente,
  che viene da deficio, indica un deficit, un buco di
  bilancio, un vuoto di testa, un conto in rosso, una vacanza di educazione
  sessuale e dunque di intelligenza della complessità della
  sessualità. Ecco perché questa sentenza è un'assoluzione con
  l'encomio per avere commesso un fatto che non solo non è un delitto,
  ma è il suo contrario: è una buona azione, una di quelle rare e
  sorprendenti in questo parcheggio sfasciato che è la scuola italiana.
  Nelle sue otto pagine dattiloscritte il giudice di Palermo scrive anche che
  l'ordinamento italiano non prevede adeguate punizioni per quel bullismo che
  offende la sfera sessuale. Più propriamente, la scuola italiana di
  oggi non è attrezzata a liberare i figli dal familismo,
  dal mammismo, dai padri malandrini che esclamano offesi: "a mme figghiu!".
  Perciò forse la sentenza si può riassumere così:
  lasciate che la scuola difenda i figli dai loro genitori. |