| HOME    PRIVILEGIA NE IRROGANTO    di Mauro Novelli     Documento d’interesse   Inserito il 17-2-2007 | |||
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| Dal Corriere della Sera 17-2-2007  
  Le idee del Partito democratico.
  Quel manifesto resta a metà di  Francesco Giavazzi | |||
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 C’e molto più Tony Blair
  che Ségolène Royal
  nel
  Manifesto del Partito democratico. E questo è un ottimo inizio.
  C’è anche un po’ di retorica, come è normale in un documento di
  questo tipo. Ma l’aver posto merito e concorrenza al centro del manifesto
  è una novità importante. «Noi democratici vogliamo che l’Italia
  dia a ogni persona uguali opportunità di affermarsi grazie alle
  proprie capacità, al proprio merito. (...) Alla questione salariale che è aperta nel
  nostro Paese, vogliamo ricercare risposte che premino il merito. (...) Siamo convinti che l’Italia abbia bisogno di una
  cura straordinaria di concorrenza nei mercati e di efficienza nel settore
  pubblico. Una cura necessaria (...) per promuovere un maggior riconoscimento
  del merito, una più forte mobilità sociale, una più avanzata uguaglianza delle opportunità.
  Più concorrenza, anzitutto ».  Merito e concorrenza, le bandiere del
  liberismo, sono sempre state in minoranza in Italia. I pochi che nella
  destra vi credono davvero — come Benedetto Della Vedova e Antonio Martino —
  in cinque anni di governo non sono mai stati capaci di far sentire la loro
  voce. E la sinistra ha sempre faticato a comprendere che una società,
  in cui c’è scarsa concorrenza, in cui nella scuola e
  nell’università si fa carriera per anzianità
  (quando va bene) e non per merito, è una società in cui
  il futuro dei giovani finisce per essere determinato dal censo. Aver posto
  questi temi al centro del proprio manifesto è quindi una svolta
  notevole. Concorrenza e merito furono i temi della relazione che Nicola Rossi
  svolse in ottobre al convegno di Glocus, il think tank della Margherita:
  evidentemente quella relazione ha lasciato un segno. E tuttavia, affermato il
  principio, il Manifesto è reticente nel declinarne le implicazioni e
  nel riconoscere che alcuni obiettivi sono difficilmente compatibili l’uno con
  l’altro. «Intendiamo partecipare allo sviluppo del modello sociale europeo,
  rilanciandone i due principi di fondo: la valorizzazione dell’iniziativa e
  dei meriti; la promozione di un tessuto sociale solidale, attento al
  benessere di tutti, in cui nessuno si perda o resti
  indietro».  Ideali certamente condivisibili, ma come ci si deve
  comportare quando per valorizzare il merito si
  finisce per lasciar indietro qualcuno? «Il primario ospedaliero incapace, il
  dirigente pubblico inefficiente, l’imprenditore che non è in grado di
  stare correttamente sul mercato, il lavoratore dipendente inoperoso devono
  essere adeguatamente sanzionati e fare un passo indietro, a vantaggio di
  persone più meritevoli e capaci». Significa liberalizzare le norme sui
  licenziamenti, intervenire sulla discrezionalità dei giudici di
  reintegrare un lavoratore licenziato da un ente pubblico o da un’azienda
  privata? «Riteniamo importante promuovere tutti i lavori, anche nelle forme
  nuove, flessibili e autonome; ma vogliamo che la flessibilità non sia
  pagata con la precarietà». Significa che si è d’accordo con
  Pietro Ichino quando scrive che «la cancellazione della legge Biagi è del tutto irrilevante, o addirittura
  controproducente, rispetto all’obiettivo sbandierato di combattere il
  precariato»? Perché il rischio, come ha scritto Ichino martedì 13 su
  queste pagine, è che «gli slogan facili, le scorciatoie concettuali
  finiscono col demonizzare chi non si rassegna a omologarsi con il
  "pensiero corazzato" dell’un campo
  politico o dell’altro e rischia così di trovarsi isolato e schiacciato
  tra le opposte faziosità».  «Nel campo dell’istruzione superiore vogliamo dare un
  sostegno effettivo ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi».
  Significa che le università saranno libere di far pagare tasse di
  iscrizione adeguate e tali da consentire loro di dare borse di studio vere ai
  capaci e meritevoli? «L’industria culturale e della comunicazione è
  oggi più di altri ingessata a causa di una limitata concorrenza, e in
  particolare a causa del carattere oligopolistico del mercato pubblicitario e
  televisivo che va a nostro avviso superato». Significa che si è favore
  della vendita ai privati di due delle tre reti Rai?
  «Vogliamo un giornalismo della carta stampata libero da condizionamenti e interessi
  di impresa estranei all’attività editoriale ». Obiettivo certamente
  condivisibile, ma in che modo? Ponendo dei vincoli alla proprietà dei
  giornali? Sull’Europa il Manifesto dà come acquisito il mercato comune
  e si pone obiettivi ambiziosi: «Un’Europa capace di parlare con una voce sola
  sulla scena internazionale e di dare alla imprescindibile solidarietà
  transatlantica con gli Stati Uniti d’America un carattere paritario».  E che fare quando gli europei, come nel caso
  dell’Iraq, hanno opinioni tra loro diverse? E se queste poi fossero anche
  diverse dalle opinioni dell’amministrazione americana? Il mercato unico non
  è un successo acquisito, tutt’altro. La direttiva europea sulle
  offerte pubbliche di acquisto è un passo indietro r i s p e t t o a l - l’obiettivo di un
  mercato dei capitali unico e aperto. Nel campo d e l - l’energia e delle
  telecomunicazioni Francia e Germania continuano a opporsi alla separazione
  delle reti da chi gestisce i servizi. Dare il mercato unico per acquisito
  significa, anche in questo caso, evitare le questioni più difficili.
  Insomma, ilManifesto
  è una svolta importante,maperché non divenga
  rapidamente irrilevante è necessario che il dibattito che
  porterà al nuovo Partito democratico non eviti di affrontare le
  implicazioni di ciò che sta scritto in quelle pagine.  17 febbraio 2007 |