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  il 31-7-2007 | |||
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  Corriere della Sera 31-7-2007 La proposta di Cesa L’ultima frontiera dei privilegi: un’indennità
  contro le tentazioni Onorevoli spesso
  lontani da casa? Le sedute sono in media 3 alla
  settimana 
 Gian
  Antonio Stella E l'«indennità
  tentazioni»? La pensata di Lorenzo Cesa spalanca ai già vezzeggiati politici nostrani
  nuovi orizzonti. Per evitare che un parlamentare in trasferta a Roma ceda ai pruriti e metta le corna alla moglie con una
  squillo, come Cosimo Mele, gli italiani si dovrebbero far carico di aumentare
  il suo stipendio per il «ricongiungimento familiare». Un’idea, diamogliene atto,
  fantastica. Che darebbe vita a un
  frizzante dibattito d’aula. Questo diritto al ricongiungimento, concetto in
  genere utilizzato per gli immigrati che dopo anni di lavoro in Italia
  vorrebbero essere raggiunti da moglie e figli rimasti in un’isola delle
  Filippine o sulla peruviana Cordillera Negra, vale
  per tutti o solo per chi ha la famiglia che abita oltre Viterbo e Frosinone? Vale per le mogli
  regolarmente sposate o anche per le compagne more uxorio? Possono
  bastare altri 4.190 euro (4.678 a Palazzo Madama) come quelli dati per
  stipendiare i portaborse o sono pochi? È dura, vivere a Roma! Chi
  potrebbe mai negare a queste spose e conviventi (per i parlamentari iDico ci sono già)
  deportate nella capitale un appartamento in cui vivere dignitosamente in
  centro storico? Mobili e lampadari su misura dei propri gusti? L’abbonamento
  a Sky per le lunghe giornate di seduta assembleare?
  I viaggi in treno o in aereo anche, eventualmente, per la diletta prole? Una
  domestica per dare una mano in casa, un reparto di pronto intervento
  elettro-idraulico per i guasti, una baby-sitter per i pargoletti, una tessera
  per andare al cinema gratis?  Direte: che razza di idea! Attenzione: c’è chi vi accuserebbe di
  qualunquismo. Preso atto che la capacità di resistere alla carenza di
  sesso di un deputato del suo partito cattolico è molto più
  ridotta di quella di Sharon Stone e non supera una
  manciata di giorni (l’ha detto il Mele in
  un’intervista: «Questa storia non c’entra niente coi valori della fami glia. Non posso essere un buon padre e un buon marito solo perché dopo cinque giorni fuori casa mi
  capita un’occasione?») Lorenzo Cesa ha detto
  proprio così. Testuale: «Si parla tanto di costi della politica, ma al
  parlamentare bisognerebbe dare di più e consentire il ricongiungimento
  familiare. Perché la vita del parlamentare è dura, la solitudine
  è una cosa molto seria». Certo, c’è chi dirà che, come
  denunciò Giulio Andreotti tre anni fa, «si lavora in aula solo tre
  giorni la settimana, dal martedì al giovedì».  Chi ricorderà che un
  mucchio di volte, in questi anni,
  è capitato che la maggioranza andasse sotto o che provvedimenti
  importanti saltassero per mancanza di numero legale solo perché, al giovedì sera o al venerdì, troppi
  deputati e senatori avevano già preso l’aereo per tornarsene a casa.
  Chi sottolineerà che nell’ultima legislatura, per fare un esempio, le
  sedute a Montecitorio sono state 749 in 1.735
  giorni: tre alla settimana. Chi calcherà la
  mano precisando che nei primi sei mesi del 2005, per prendere un periodo a
  campione, le sedute tenute di venerdì si contano sulle dita di una
  mano. Chi noterà infine, come dice un’inchiesta dei
  radicali diffusa ieri da Ugo Magri, che gli eletti alla Camera dell’Udc marcano mediamente visita a una votazione su quattro.
  Insomma: se l’irredentista irlandese Bobby Sands riuscì a resistere 66 giorni senza mangiare,
  prima di morire in carcere a Belfast, un deputato nostrano non può
  resistere in astinenza tre giorni la settimana?  Nella strepitosa sortita del
  segretario neo-democristiano, che deve
  essersi morso la lingua davanti alle reazioni sarcastiche non solo degli avversari ma perfino di qualche amico, c’è tuttavia
  da prendere atto di una novità. In altri tempi, altri
  democristiani avrebbero proposto all’incontinenza erotica soluzioni diverse.
  Il mitico Matteo Tonengo, un contadino piemontese
  eletto per lo scudocrociato, arrivò nei
  primi anni del dopoguerra a chiedere ai questori della Camera di usare il tesserino parlamentare anche per andare gratis
  al bordello. Altri tempi. Il caso «sex&coca»
  che vede oggi come protagonista Mele, tuttavia, non
  è affatto una novità di questa seconda repubblica.  Basti ricordare lo scandalo intorno
  alla morte di Wilma Montesi, la ragazza trovata senza vita nel 1953 sulla spiaggia
  di Capocotta, vittima (così si disse) di un
  festino a base appunto di sesso e di droga, scandalo che vide il
  coinvolgimento di Piero Piccioni (figlio di Attilio, allora vice-presidente
  del consiglio) e sul quale l’Unità arrivò a infierire con
  botta-risposta come questo: «A Capocotta poca coca cape». «Non poca coca cape a Capocotta». Ecome dimenticare
  Mary Fiore, la parrucchiera siciliana che, venuta a Romadecisa
  a far fortuna e diventata proprietaria d’un famoso salone di bellezza («Jeunesse», vicino a largo del Tritone) venne
  arrestata nel 1961 perché, come ha scritto Filippo Ceccarelli
  nel libro «Il letto e il potere », aveva «messo su un’agenzia di
  prostituzione d’alto bordo, frequentata da uomini ricchi e potenti», molti
  dei quali politici?  Per non dire dell’«affaire»
  che troncò la carriera di Ettore Santi, un deputato umbro che nel 1947 fu beccato dagli agenti
  in una pensione nel quartiere dietro la Fontana di Trevi
  con una signorina disponibile e un grammo di cocaina posato sul comodino. Non
  era democristiano ma apparteneva a un partito,
  quello repubblicano di Ugo La Malfa, che aveva un forte senso del decoro. Non
  cercò, lui, di scusarsi sbuffando polemicamente come il nostro
  onorevole di oggi «quanti parlamentari vanno a letto con le donnine?». Non
  invocò «ricongiungimenti familiari». E non si dimise dal partito: fu
  cacciato. E bollato col marchio di «on. Cocò».
  Un po’ di senso dell’onore, però, gli era rimasto. E nella convinzione
  di avere tradito chi lo aveva eletto si dimise da parlamentare. Dimissioni
  vere. Non da teatrino. 31 luglio 2007 |