| Da La Repubblica 7-2-2007 Se il Dio di Ruini diventa
  di destra. Di Ezio MauroC'È UNA domanda
  cruciale per la politica italiana che nessuno fa a voce alta, assordati come
  siamo in questo inizio di secolo dal suono delle campane dei
  vescovi. Eppure è una domanda che, a seconda delle
  risposte, può cambiare il paesaggio politico del nostro Paese e
  può ridefinire alleanze e schieramenti. La questione è molto
  semplice e si può sintetizzare così: è ancora
  consentito, nell'Italia del 2007, credere in Dio e votare a sinistra?
 
 Nel silenzio della coscienza individuale è senz'altro possibile e anzi
  è comune, risponderebbero molti dei nostri lettori, che hanno in mano
  un giornale laico, sono in parte cattolici e votano
  abitualmente per lo schieramento di sinistra, magari talvolta turandosi il naso.
  E infatti, non è la libera testimonianza
  individuale che è in discussione: e ci mancherebbe. Ciò che
  invece mi sembra sotto attacco è l'organizzazione politica del
  pensiero cattolico di sinistra, la sua "forma" culturale, l'esperienza
  storica che ha avuto in questo Paese e infine e soprattutto la traduzione
  concreta di tutto ciò nella nostra vita di tutti i giorni e nel
  possibile futuro. Cioè l'alleanza tra i cattolici progressisti e gli
  ex comunisti che è al centro della storia dell'Ulivo, che oggi forma il baricentro riformista del governo Prodi e che domani
  dovrebbe essere la ragione sociale del nuovo partito democratico, risolvendo
  l'identità incerta della sinistra italiana.
 
 Se non fosse così, non si capirebbe tutto ciò che si muove in
  queste ore sotto il mantello dei vescovi. È come se per la gerarchia
  fosse iniziata la terza fase, nei rapporti con la politica italiana. Prima,
  nel Paese "naturalmente cristiano", la Chiesa poteva presumere di
  essere il tutto, affidando ad un unico soggetto politico - la Democrazia
  Cristiana - la traduzione nel codice statuale dei suoi precetti e la tutela
  dei suoi timori, sempre nell'ombra dei corridoi
  vaticani, perché l'impronta del Papato oscurava comunque in una surroga di
  potenza l'identità culturale dell'episcopato nazionale.
 
 
 Poi, a cavallo del giubileo e all'apogeo di un papato universale
  come quello di Wojtyla, ecco la coscienza per la
  Chiesa di essere finita in minoranza in un Paese cattolico per battesimo ma
  scristianizzato nei fatti, improvvisamente "terra di missione" per
  una riconquista che per compiersi ha bisogno di un disegno forte e autonomo
  dei vescovi, perché dopo secoli anche in Italia da "tutto" la
  Chiesa deve diventare "parte".
 
 L'uomo che gestisce il passaggio in minoranza della Chiesa - la seconda fase
  - e capisce le potenzialità politiche di questa nuova condizione,
  è il cardinal Ruini, presidente della Cei.
 
 
 Diventando parte, la Chiesa diventa reattiva, combattiva, entra in
  concorrenza con le altre grandi agenzie valoriali e le centrali culturali, si "lobbizza" agendo
  da gruppo di pressione sui centri di decisione della politica e soprattutto
  della legislazione. Ruini intuisce che la sfida della modernità, in
  questa fase, è soprattutto culturale, e capisce di trovarsi di fronte
  - dopo Tangentopoli e la caduta del Muro - partiti senza tradizione, senza
  bandiere, senza identità storica. Il pensiero debole della politica
  italiana può dunque essere attraversato facilmente dal pensiero forte
  del Papa guerriero, e nella breccia possono utilmente infilarsi i vescovi per
  una politica di scambio che abbia al centro i cinque
  temi della vita, della solidarietà, della gioventù e
  soprattutto della famiglia e della scuola.
 
 La terza fase comincia quando Ruini avverte che alla
  Chiesa è consentito, nei fatti, ciò che nella Repubblica non
  è permesso alle altre "parti". Ogni componente della
  società, ogni identità culturale,
  nella sua autonomia e nella sua libertà deve riconoscere un insieme in
  cui le parti si ricompongono: lo Stato. Ma è come se la Chiesa, mentre
  ammette di essere diventata minoranza, non accettasse di vedere in minoranza
  i suoi valori, faticasse a stare dentro la regola democratica della
  maggioranza, dubitasse del principio per cui in
  democrazia le verità sono tutte parziali, perché lo Stato non
  contempla l'assoluto. La Chiesa oggi in Italia è più debole di
  ieri nei numeri? Non importa, perché i numeri non contano visto che per Ruini
  il cristianesimo è avvertito nel nostro Paese come "senso
  comune", una sorta di substrato antropologico, una specie di natura
  italiana: alla quale si può trasgredire solo con leggi che diventano
  automaticamente contro natura, dunque sono contestabili alla radice.
 
 È un discorso che ha in sé l'obiettivo grandioso della terza e ultima
  fase del lungo regno ruiniano sull'episcopato
  italiano: la riconquista dell'egemonia, non più attraverso il partito
  dei cristiani ma direttamente da parte della Chiesa, che con la spada di
  questa egemonia rifonderà la politica, separando infine il grano dal
  loglio e costituendo un nuovo protettorato dei valori nell'esercizio di un
  potere non più temporale, ma culturale. Un
  progetto che può compiersi solo davanti ad un sistema politico
  gregario, senza autonomia, incapace di testimoniare un sentimento civile
  della Repubblica, svuotato di identità al punto da vedere nella Chiesa
  l'ultima agenzia di valori perenni e universali dopo la morte delle
  ideologie. Fonte ancora di mobilitazione, forse di legittimazione, almeno di
  benedizione, in un Paese in cui tutti i leader politici - o quasi - si sono
  convertiti se non altro mediaticamente, o comunque
  hanno dichiarato di essere pronti a farlo, e
  altrimenti sono in lista di attesa: o, come si dice, in ricerca.
 
 Siamo davanti ad una sorta di neo-gentilonismo, con
  la religione che diventa materia di scambio, nella presunzione che sia vera la leggenda del voto cattolico di massa orientato
  dalla stanza del vescovo. Con l'intercapedine culturale dei partiti debole e
  fragile, la Chiesa scopre la tentazione di raggiungere direttamente il
  legislatore, si accorge che la precettistica può influenzare molto da
  vicino la legge, dimentica la distinzione suprema tra la legge del creatore e
  la legge delle creature. Se il disegno è
  egemonico, tutto è potenza. E se un testo legislativo diventa
  simbolico, qui si deve dare battaglia fino in fondo perché la bandiera
  trascende la norma e il valore ideologico supera il valore
  d'uso. Ecco la prima risposta alla domanda intelligente di Giuliano Ferrara
  ai vescovi: dove volete andare con questa battaglia intransigente, non più
  negoziale, sui Pacs, visto che si prepara "un
  risultato che collocherebbe l'Italia in un ambito di cautelosità
  e di disciplina morbida delle pretese nuove forme di famiglia"?
  Semplicemente, vogliono andare fino in fondo: non della battaglia sui Pacs, ma della battaglia per
  l'egemonia culturale, che è appena incominciata.
 
 Come accade in ogni battaglia, anche in questo caso il cardinal Ruini
  lascerà tra poco in eredità al suo successore non solo le
  truppe, le mappe e le strategie, ma anche le alleanze. Che sono tutte a
  destra, perché qui si compie, oggi, la lunga cavalcata di quello "strano
  cristiano" che avevamo visto muoversi sulla scena italiana per la prima
  volta sei anni fa. Incapace da più di un decennio di far nascere un
  nuovo sistema culturale che dia un codice moderno ed europeo a moderati e
  conservatori, la destra si accontenta della prassi di potere e di consenso berlusconiana e prende a prestito le idee forti, che non
  ha, nel deposito di tradizione della Chiesa italiana. La destra cerca un pensiero,
  la Chiesa cerca la forza e nell'incontro inedito il
  verbo si fa carne: e poco importa che sia carne pagana, con la mistica
  idolatra del berlusconismo che ha introdotto una
  nuova religione in politica, rendendo Dio strumento dell'unzione perenne al demiurgo,
  mentre nasce un nuovo "cristianismo", con
  la fede svalutata in ideologia.
 
 Se questo disegno si compie, la Chiesa corre il rischio mondano di diventare
  parte, se non addirittura un soggetto politico diretto, e si amputa a
  sinistra la cultura politica cattolica, per la prima volta nella storia della
  Repubblica. Escludendo quei cattolici democratici che hanno preso parte
  attiva alla nascita della costituzione e delle istituzioni repubblicane, e
  che soprattutto hanno saputo per decenni coniugare la fede con la
  laicità dello Stato. Forse per il cardinal vicario vale ancora la
  condanna di Augusto Del Noce contro i "progressisti cattolici":
  "Trasformano talmente il cristianesimo per non ledere l'avversario, che
  bisogna dubitare se effettivamente credano". Certo, per Sua Eminenza
  vale la profezia di Rocco Buttiglione: "Il cattolicesimo che si era
  lasciato ridurre nell'inglobante progressista oggi non ha più nulla da
  dire, torna attuale il pensiero cattolico che aveva rifiutato il progressismo".
 
 La partita ruiniana sembra puntare proprio qui, a
  far saltare l'alleanza tra i cattolici democratici e la sinistra ex
  comunista, in un disegno riformista che può diventare un partito. Ecco
  perché ieri sui Pacs - dove i vescovi intervengono
  ormai sugli articoli di un disegno di legge, non sui valori - è
  riecheggiato addirittura il solenne "non possumus"
  di Pio IX, con un monito preciso contro la sinistra e in particolare contro i
  cattolici democratici: quanto sta accadendo, ha scritto
  infatti con chiarezza il giornale dei vescovi con un linguaggio mai
  usato nei giorni più neri della Repubblica, è "uno
  spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica
  italiana".
 
 Il dado, a questo punto, sembra tratto. È vero che la presenza
  cristiana nel Paese, come dice Pietro Scoppola, non è riducibile a
  questo schema di comodo. Ma la Chiesa, con lo spartiacque benedetto di Ruini
  rischia di aprire per la prima volta un fronte religioso nella battaglia
  politica italiana, qualcosa che non abbiamo ancora conosciuto, una faglia
  inedita. In un terreno fragilissimo, dove troppi politici sono pronti a
  cambiare opinione a ogni rintocco di campana, sensibili nei confronti dei
  vescovi molto più al comando che ai
  comandamenti. Ecco perché bisogna chiedersi se è ancora consentito credere
  in Dio e votare a sinistra.
 
 Anche se bisognerebbe aggiungere un'ultima domanda: in quale
  Dio? Nella prima fase dell'era Ruini, era un Dio post-democristiano, comodo
  perché relativo, appagato dalla sua onnipotenza e affaticato dal suo declino. Nella seconda fase, quella della minoranza,
  è diventato un Dio italiano, in una sorta di via nazionale al
  cattolicesimo. Oggi, rischiano di farci incontrare un Dio di destra, e
  già solo dirlo sembra una bestemmia.
 
 (7
  febbraio 2007)
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