| IL SOLE 24 ORE 23 maggio 2007Bond Parmalat, così sono stati
  beffati i risparmiatoridi Giuseppe
  Oddo   Le obbligazioni Parmalat nel portafoglio delle banche
  Accadde nel 2003: cronaca del
  dissesto
  La rete dei processi
  Ragnatela
  di processi ma ancora nessuna verità
  Dal massimo al minimo
         Parmalat di proprietà delle maggiori banche, per
  un valore di circa 200 milioni di euro, furono "passate" ai
  risparmiatori nei dodici mesi che precedettero il crack del gruppo, dichiarato
  il 27 dicembre 2003. La verità sui "Collecchio
  bond" emerge oggi con dovizia di particolari da un documento, rimasto
  inedito, trasmesso dalla Banca d'Italia alla Procura di Parma il 17 novembre
  2005 (circa un mese prima delle dimissioni di Antonio Fazio da Governatore).L'istituto centrale passa in rassegna, nel documento,le
  posizioni di Citibank, Intesa, Bnl, Capitalia, SanpaoloImi, Banca Popolaredi
  Milano ( Bpm),Banca Popolare Italiana (Bpi),
  Deutsche Bank, Monte dei Paschi e Unicredito Italiano, alcuni dei gruppi
  bancari che erano più esposti verso Parmalat.
 Queste banche, il 31 gennaio 2000, avevano in portafoglio obbligazioni
  Parmalat (e altri prodotti finanziari di società del gruppo) per un
  totale di 179,6 milioni di euro, un importo che non aveva subito variazioni
  di rilievo nei mesi successivi, salvo superare il picco dei 200 milioni in
  due occasioni: il 31 ottobre 2000 e il 28 febbraio 2001.
 A cominciare dal 31 marzo 2001,il valore dei bond di proprietà delle
  banche era andato calando, e a parte il nuovo massimo di 239 milioni di euro
  battuto il 31 luglio2001 aveva continuato a registrare un andamento in
  discesa fino a raggiungere i 93,7 milioni il 31 maggio 2002.
 Le banche erano tornate a fare il pieno di obbligazioni a metà del 2002. A fine giugno di
  quell'anno erano presenti, nei loro portafogli di proprietà, 124
  milioni di euro di bond Parmalat.
 Al 30 novembre l'importo era già salito a 175 miloni.
  E al 31 dicembre aveva raggiunto i 229 milioni.
 A questo punto si entra nell'ultimo anno di vita della vecchia Parmalat: il
  2003. E da questo momento che le banche cominciano a sgonfiare i portafogli
  in modo sistematico, finoa svuotarli quasi del
  tutto.Analizziamo la successione dei dati di Banca
  d'Italia, affiancandoli agli eventi che scandirono gli ultimi drammatici mesi
  della Parmalat di Calisto Tanzi.
 Dal 31 gennaio 2003 le banche accelerano la vendita dei bond ai
  risparmiatori: l'ammontare dei titoli detenuti dai dieci istituti scende a
  180,5 milioni di euro. Il mese successivo il mercato assiste al crollo delle
  quotazioni della Parmalat in seguito all'annuncio di
  un nuovo bond che risulta sgradito agli investitori. È il primo
  segnale del dissesto. E le banche che fanno? Continuano, imperterrite, a
  scaricare sui risparmiatori le obbligazioni in loro possesso. Il 28 febbraio
  2003 queste si riducono a 126 milioni di euro.
 Le vendite proseguono ininterrottamente in marzo, aprile, maggio. La Consob,
  in marzo, ha cominciato a martellare la società con richieste di
  informazioni, e le banche,in aprile, hanno
  già fiutato il marcio lavorando al piano salvataggio di Parmatour, la società turistica della famiglia
  Tanzi. Non è dunque per caso che, al 30 giugno 2003,i
  loro portafogli di proprietà si sono ulteriormente alleggeriti di
  obbligazioni Parmalat, fino a raggiungere i 100 milioni di euro. Dimezzati.
 In settembre «Il Sole24 Ore» denuncia la storia del "bond
  fantasma", l'obbligazione annunciata da Deutsche Bank il 13 e ritirata
  dal mercato nello stesso giorno: una cosa mai vista. Da Collecchio
  arrivano scricchiolii sinistri. Ma le banche fanno finta di non sentirli e
  continuano a consigliare ai risparmiatori l'acquisto di nuove obbligazioni.
  Il 30 settembre 2003, nei loro portafogli, i bond si sono ridotti a 95
  milioni di euro.
 Tra ottobre e novembre il gruppo sta per franare. Nel fondo Epicurum delle isole Cayman
  dovrebbero essere stati investiti centinaia di milioni di euro di liquidità, ma del denaro non v'è traccia.
  Le banche, a rigor di logica, dovrebbero continuare a liberarsi dei bond.
  Invece, invertono la rotta: tornano ad acquistarli. Forse sperano di salvare
  Tanzi. Fatto sta che in ottobre, nei loro portafogli, i bond Parmalat
  arrivano a superare i 199 milioni di euro e in novembre registrano una
  flessione a 177 milioni. Ad acquistare a mani basse è, in particolare,
  la Bpi di Gianpiero Fiorani (la ex Popolare di Lodi)
  Nel dicembre 2003 la Parmalat entra in un tunnel senza uscita. Il 4 dicembre,Calisto e Stefano Tanzi vanno a Mediobanca nel tentativo
  di trovare una soluzione a un bond in scadenza l'8 al cui rimborso la
  società non è in grado di far fronte. Mediobanca lancia
  l'allarme e il 6, a
  Roma,si svolge una riunionea
  cui partecipano da una parte i due Tanzi, padre e figlio, e dall'altra SanpaoloImi, Intesa e Capitalia, i principali creditori.
  Tanzi avverte che in Parmalat c'è un ammanco di 9 miliardi. In
  realtà il buco risulterà di circa 15 miliardi. Eppure le banche
  non fanno una piega: continuano a vendere obbligazioni agli sportelli.Il 17 dicembre si assiste al tracollo: Bank of Amercia informa il revisore Grant
  Thornthon dell'inesistenza del conto intestato alla
  Bonlat, su cui dovrebbero esservi all'incirca 4
  miliardi di liquidità. È la fine per la combriccola di Collecchio. Ma la vendita dei bond non si arresta. Dal 30
  novembre al 31 dicembre ne vengono venduti, in
  totale,per altri 145 milioni di euro.
 Nei portafogli delle banche rimarranno obbligazioni Parmalat per 31 milioni
  di euro: un'inezia. La più svelta a vendere è la Popolare di
  Milano. Essa raggiunge il massimo dell'anno nel novembre 2003,con oltre 10 milioni di euro di bond in portafoglio. Un
  mese dopo s'è già liberata di tutto. Non meno lesto si rivela
  Fiorani, che sarà arrestato nel dicembre 2005 per la scalata ad
  Antonveneta. Nel novembre 2003 la "sua" Bpi ha obbligazioni
  Parmalat per 114,3 milioni di euro;in dicembre i
  bond vengono rovesciati sui risparmiatori; e alla fine dell'anno la banca se
  ne ritrova in portafoglio un quantitativo minimo: 18 milioni di euro.
 Non meno sorprendente è il percorso delle altri
  grandi banche: SanpaoloImi, Unicredito,
  Mente Paschi, Intesa, Capitalia. Fermiamoci ai dodici mesi prima del crack.
  Il gruppo Sanpaolo Imi arriva a possedere,il31 dicembre 2002, obbligazioni Parmalat per un valore
  massimo di quasi 102 milioni di euro. Da quel momento comincia apiazzare i titoli ai risparmiatori in modo forsennato. E
  al momento del crack non gli restano che 126mila euro di bond. Unicredito,
  alla stessa data,ha in casa obbligazioni Parmalat
  per oltre 83 milioni di euro, e dopo dodici mesi di vendite agli sportelli gliene
  restano in carico per 4 milioni di euro. Un po' meno "fortunato" il
  Monte dei Paschi:possiede 23,5 milioni di euro di
  bond a fine 2002 e prima del crack riesce a venderne per oltre 17 milioni di
  euro. Intesa, invece resta con 2 milioni di euro soltanto sui 28,5 del
  gennaio 2000. Dulcis in fundo,
  Capitalia, la banca considerata più vicina a Tanzi e alla Parmalat.
  Capitalia scarica sul mercato i titoli obbligazionari di Collecchio
  tra il 2000 e il 2001, in
  tempi non sospetti.E dei pochi che mantiene in portafoglio
  nel 2003 riesce a liberarsi quasi del tutto, tranne un piccolo importo
  residuo di 480mila euro.
 Le uniche consolazioni ai risparmiatori sono venute, finora, dalla nuova
  Parmalat. Coloro che avevano investito 5mila euro in bond della vecchia Parmalat
  — e hanno aderito alla conversione dei bond in azioni della nuova Parmalat —,
  con le quotazioni del titolo a 3 euro avrebbero recuperato, dalla vendita
  delle medesime azioni, il 60% del capitale iniziale. E le prospettive
  appaiono positive: ieri la società quotava in Borsa 3,34 euro.
 udienze e poi la sentenza attesa prima dell'estate. Ma a mettere il bastone
  tra le ruote ci hanno pensato i risparmiatori che hanno sollevato un
  polverone di fronte ai patteggiamenti e ai risarcimenti definiti «ridicoli».
 Uno sgambetto inaspettato per i pubblici ministeri Francesco Greco, Eugenio
  Fusco e Carlo Nocerino che dopo avere combattuto
  contro gli agguerriti avvocati degli indagati che volevano mandare a tutti i
  costi gli atti a Parma per via della competenza territoriale, alla fine sono
  scivolati sulla classica buccia di banana.I
  pubblici ministeri hanno parlato di «provocazioni» e di atteggiamenti
  «irrispettosi» delle parti civili.
 Ora la parola spetta al giudice Luisa Ponti che il 31 maggio dovrebbe
  sciogliere la riserva sui nove patteggiamenti chiesti dai legali degli
  imputati, mentre un altro giudice,Cesare Tacconi, il13 giugno dovrà decidere chi tra i
  manager bancari accusati di aggiotaggio rinviare a giudizio. Ma anche in
  questo caso le sorprese non mancheranno
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