| HOME    PRIVILEGIA NE IRROGANTO    di Mauro Novelli     Documento d’interesse   Inserito il 25-2-2007 | |||
| 
 | |||
| Dal Corriere della Sera 25-2-2007 Voltagabbana tra fiori e letame Gian Antonio Stella Un
  excursus tra i tanti cambi di casacca della politica italiana e le polemiche
  relative. Bipartisan  
 Carrettate
  di letame, carrettate di fiori. Le reazioni alla
  scelta di Follini di passare al centrosinistra sono
  documenti storici straordinari. Perché mostrano con accecante chiarezza come la politica italiana sia vissuta ormai,
  salvo eccezioni, come una guerra per bande. Dove conta una cosa sola: chi
  è con te, chi è contro di te. Fine. E al diavolo tutto il
  resto. A partire dalla coerenza. Ma come: quelli che oggi sommergono di
  insulti l'ex segretario dell'Udc non sono gli
  stessi che mesi fa lodavano la nobile e tormentata decisione di Sergio De
  Gregorio di piantare in asso la sinistra che l’aveva eletto? E quelli che
  ieri marchiavano d’infamia il senatore dipietrista
  reo di aver tradito per fare il presidente della Commissione Difesa coi voti polaroli non sono gli stessi che oggi plaudono alla
  meditata e sofferta rottura dell’ «Harry Potter» neodemocristiano? Per carità, sempre
  successo. Basti ricordare la diversità dei cori, divisi tra lo sdegno
  e l’approvazione, che accompagnarono nel '94 la scelta di Luigi Grillo di
  consentire con il suo voto la nascita al Senato del primo governo Berlusconi,
  contro cui aveva fatto parte della campagna
  elettorale nelle file del Ppi di Mino Martinazzoli. Oppure, sul versante opposto, il sollievo
  sorridente della sinistra e la schifata rivolta delle destre contro la
  decisione di Clemente Mastella ed altri di rompere
  nel '98 col Polo per consentire la nascita del primo governo D'Alema. Ricordate, il debutto in Parlamento? Giuliano Urbani parlò di un «governo giuda».
  Gianfranco Micciché di un’accozzaglia di
  «saltimbanchi, truffatori, massoni, boiardi di
  Stato» capaci solo di «strisciare come vermi». Manlio Contento di una
  «compagine di viados della politica italiana». Gianfranco Fini di un esecutivo «di rigattieri».
  Ciò detto, rispolverò l'invettiva che Alberto Giovannini aveva
  usato per bollare i monarchici che avevano abbandonato Achille Lauro per
  arruolarsi nella Dc: «Puttani!
  ». E Silvestro Liotta detto Silvio arrivò a
  dire che a molti componenti del nuovo governo erano «andati trenta denari ».
  Parlava da un pulpito tutto suo: poche settimane prima, era stato lui,
  infatti, a far cadere Prodi tradendo la sinistra dopo aver tradito
  la destra con la quale era stato eletto. E incassando, al rientro, la
  benedizione di Gianfranco Micciché: «E' chiaro che
  quando gli abbiamo riaperto le porte del partito non c’è
  stato manco bisogno di dirgli che il suo collegio è lì
  che lo aspetta». Va da sé che, a seconda di «chi
  tradiva chi», sono
  sempre cambiate le opinioni. E se certi vecchi naviganti della politica ne
  ridacchiavano come Francesco Cossiga («Il primo
  voltagabbana della storia fu San Paolo sulla via di Damasco») o Claudio
  Martelli («Anche Lutero era cattolico, prima di
  diventare protestante»), ci sono stati momenti in cui la destra, per bocca di
  Francesco D'Onofrio, arrivò ad affermare la necessità
  d’inserire nella nuova Costituzione «una legge contro il salto della
  quaglia». E altri in cui la stessa proposta è partita da sinistra.
  Anzi, sbottò un giorno il senatore verde Athos
  De Luca, «per quelli che cambiano partito si dovrebbe adottare il sistema
  degli indios Paes, che in
  Colombia gettano i traditori nelle acque di un lago». Esagerati. Pronti comunque a spalancare le braccia ogni volta che il figliol
  prodigo di turno tornava a casa. E c'è chi, tirandosi dietro gli
  insulti degli alleati abbandonati, ha mangiato il vitello grasso sia per il
  ritorno a destra e sia per i ritorno a sinistra e
  magari poi di nuovo a destra. Come Rocco Buttiglione, Alessandro Meluzzi, l'Umberto Bossi e altri. O Totò Cuffaro, che in una sola legislatura di vitelli grassi,
  avanti e indré, è arrivato a mangiarne una
  quantità. Insomma: c'è voltagabbana e voltagabbana.
  Quello infame ti molla, quello buono ti soccorre. Mai però, a causa
  degli equilibri incerti del Senato, si è vista tanta ipocrita
  indignazione e tanta ipocrita soddisfazione quanto
  nell'incrociarsi delle scelte opposte di Sergio De Gregorio e di Marco Follini. Era commossa, la destra, quando il senatore
  eletto con la più antiberlusconiana delle
  liste, quella dipietrista, svol
  tò a destra. «La politica è anche
  assunzione di responsabilità», disse Gianfranco Fini,
  «il franco tiratore è un vile, chi invece si assume le proprie
  responsabilità merita rispetto». «E' un uomo di grande spessore»,
  spiegò Gianfranco Rotondi.  «Chi li conosce, quelli di sinistra, li evita », gongolò Roberto Calderoli. «Renato Schifani gli ha telefonato stanotte per chiedergli se
  fosse disponibile a diventare il nostro candidato in commissione Difesa... »,
  rivelò Paolo Guzzanti. E spiegò che
  per quelli come lui la Cdl era pronta a «offrire
  sponda». A sinistra, fulmini e saette. «Si è trattato di trasformismo
  e mercimonio», accusò Franco Giordano. «Una vera e propria
  compravendita», rincarò Gennaro Migliore. «Dopo essere stato eletto
  col centrosinistra, dovrebbe sentire il dovere di dimettersi», sibilò
  Vannino Chiti. «Giuda era e giuda rimane»,
  sbottò Antonio Di Pietro. Al che Giampiero Catone saltò su
  indignato: lui un giuda? Noooo! «Quella a De
  Gregorio è una vergognosa aggressione! » E assicurò: «Per lui
  le porte della Democrazia Cristiana per le Autonomie sono sempre aperte». Ieri, oplà, tutto rovesciato. Di qua Pierluigi Bersani diceva che lui Follini lo stimava «già prima» ed Enzo Carra dava «il benvenuto a Marco», di cui conosceva «la
  sofferenza personale che dura da anni », e Renzo Lusetti
  che si congratulava per l'arrivo di un «uomo di raffinato intuito politico,
  dalle ottime capacità propositive e di grande spessore morale». Di
  là, con l'eccezione di Giuliano Ferrara («chi lo aggredisce è
  un bischero») e rari altri, grandinavano insulti. Da Alessandra Mussolini («Scelte immorali») a Luigi Vitali
  («Compravendita di uomini»), da Sandra Monacelli («Un
  salto della quaglia») a Lorenzo Cesa («Fenomeni di
  trasformismo») a Piero Testoni: «L'Italia di mezzo è l'Italia dei
  mezzucci». E se domani il caro Marco tornasse di là? Vitello grasso!
  Vitello grasso! In fondo, per molti, è solo un gioco. O no? 25 febbraio 2007 |