PRIVILEGIA
NE IRROGANTO di Mauro Novelli
Di Mauro Novelli (16-10-2006)
INDICE
A)
TUTTO NASCE DAI BILANCI DELL’INPS
B) LA
PELOSA CONFUSIONE TRA “VITA MEDIA “ E “SPERANZA DI VITA”
C) LE
PRESTAZIONI INPS E LE STATISTICHE UE SULLA SPESA SOCIALE NEI VARI PAESI
D)
UNA DEVIAZIONE OBBLIGATA: IL TFR E IL MECCANISMO DI RIVALUTAZIONE
E’ nostra intenzione analizzare la
problematica relativa alle pensioni, argomento sempre chiacchierato, mai
approfondito. Cercheremo di comprendere le dinamiche di un fenomeno
coinvolgente un numero crescente di cittadini (considerati “deboli” e, per questo,
oggetto delle attenzioni pelose di politici ed entità addirittura internazionali).
Attraverso i bilanci INPS, valuteremo le
incombenze crescenti, comunque poco o per nulla collegati alle pensioni, e
impropriamente imposte all’Istituto di Previdenza, costretto, negli ultimi 40
anni, a far fronte ad attività che hanno deciso di affidargli un
legislatore furbo ma poco intelligente e forze sociali che si sono accomodate
al desco.
BILANCIO CONSUNTIVO 2005
Il bilancio consuntivo 2005 dell’Istituto
(approvato nella riunione del19 luglio 2006) ci fornisce alcuni macrodati
molto interessanti:
- USCITE COMPLESSIVE: 176,807 miliardi di
euro di prestazioni istituzionali, con un incremento di 5,764 miliardi (+3,4%)
rispetto ai 171,042 miliardi del consuntivo 2004.
- ENTRATE CONTRIBUTIVE: 116,764 miliardi
di euro, con un incremento di 2,930 miliardi (+2,6%) rispetto a 113,834 miliardi dell’esercizio 2004.
Se facessimo l’errore di limitarci a
questi dati, la conclusione sarebbe scontata: oltre 60 miliardi di euro (quasi
117 mila miliardi di vecchie lire) di sbilancio sono
effettivamente insostenibili.
Scopriamo però che le uscite per il pagamento delle pensioni è di oltre 24,5 miliardi di euro più basso (quasi 48 mila miliardi di lire) rispetto alle
uscite definite pudicamente “istituzionali”. Infatti:
- SPESA PER PENSIONI: 152,230 miliardi di
euro (147,668 milioni nel 2004), con un incremento di 4,562 miliardi di euro
(+3,1%).
L’Inps informa
inoltre che “sono state eliminate
1.113.314 pensioni di importo medio mensile di 540 euro, mentre sono state
liquidate 1.165.264 nuove pensioni di importo medio 635 euro. Così a fronte di un aumento contenuto nel numero delle pensioni
vigenti (+51.950 rispetto al 2004 – pari a +0,3%) è corrisposto un aumento del 3,4% rispetto al 2004 della
spesa per prestazioni istituzionali, dovuto anche, tra l’altro, alla
perequazione pari a +1,9%. “ (Vedremo di che
si tratta).
Insomma, lo sbilancio “contributi previdenziali meno pensioni erogate” si riduce da oltre 60 miliardi di euro, utilizzati come
una clava per dimostrare che occorre “intervenire sulle pensioni”, a meno di 35,5 miliardi.
Chiediamoci: perché le prestazioni “istituzionali” dell’Inps sono state dilatate
fino a gravare sulle sue casse per quasi 25 miliardi di euro (2005) oltre la
spesa per pensioni ? Che cosa deve finanziare oltre le pensioni? E perché deve
farlo l’Inps?
Ma le sorprese da chiarire non sono
finite.
Il bilancio Inps
ci informa che:
DISAVANZO FINANZIARIO DI COMPETENZA:
431 milioni di euro;
APPORTI COMPLESSIVI NETTI DELLO STATO:
71,531 miliardi in termini finanziari di cassa, con un incremento di 8,252
miliardi di euro rispetto al consuntivo 2004 (miliardi 63,279).
Vien da chiedersi: perché, a fronte di uno sbilancio di poco oltre
60 miliardi, lo Stato finanzia le casse dell’Istituto di Previdenza con oltre
71,5 miliardi?
AVANZO ECONOMICO DI ESERCIZIO: 2,033
miliardi di euro.
AVANZO PATRIMONIALE NETTO DELL’INPS:
24,281 miliardi di euro, per effetto del positivo risultato economico di
esercizio (commenta l’Inps).
Ma come? L’Inps
non ce la fa più, ma vanta risultati positivi, tanto da portare
l’Istituto ad un avanzo economico di esercizio pari a 2 miliardi di euro ed un
avanzo patrimoniale di oltre 24 ?
Cercheremo di capirci di più.
BILANCIO PREVENTIVO 2006.
Intanto, il bilancio preventivo 2006 dell’Inps, rivisto ed aggiornato al 1° giugno 2006, conferma il trend dell’anno precedente,
con alcuni miglioramenti. Ecco i dati previsionali
rivisti:
USCITE COMPLESSIVE: 180,381 miliardi di
euro di prestazioni istituzionali, con un incremento di 191 milioni rispetto
alle previsioni iniziali;
ENTRATE CONTRIBUTIVE: 120,976 miliardi di
euro di, con un incremento di 754 milioni rispetto alle previsioni originarie;
SPESA PER PENSIONI: 155,653 miliardi, con
un incremento di 68 milioni rispetto alle previsioni originarie;
APPORTI COMPLESSIVI DELLO STATO: 74,929
miliardi di euro di, in termini finanziari di cassa, con un incremento di 2,244
miliardi rispetto alle previsioni iniziali.
AVANZO ECONOMICO: 1,394 miliardi di euro di con un miglioramento di 668 milioni di euro rispetto ai
726 milioni delle previsioni iniziali;
Per effetto del previsto risultato
economico di esercizio, il patrimonio netto dell’Inps
al 31 dicembre 2006 è aggiornato in 25,784
milioni di euro.
Se dovessero confermarsi i valori di
bilancio preventivati, il disavanzo complessivo, tra prestazioni “istituzionali” ed entrate contributive, sarebbe pari a 59,405 miliardi di
euro, ma se si considera solo l’uscita per il pagamento delle pensioni, il vero
disavanzo pensionistico (“contributi previdenziali meno pensioni erogate”) da 59,4 miliardi (drammatizzati – al solito - per convincere della ineluttabilità di drastici interventi sui meccanismi pensionistici) si
riduce a 34,677 miliardi. In calo rispetto ai 35,5 miliardi del
2005.
In conclusione, rispetto al 2005,
aumentano le Entrate contributive (+3,61 %) e
diminuisce la Spesa per erogazione di pensioni (- 1,06 %).
Da rimarcare, inoltre, l’apporto
finanziario dello Stato: in aumento di 3,4 miliardi di euro rispetto al 2005,
nonostante il 2006 lasci ipotizzare il miglioramento di fondamentali
poste di bilancio rispetto all’anno precedente.
RICAPITOLIAMO LE VARIAZIONI 2006/2005
Sintetizziamole voci più interessanti dei bilanci INPS con l’andamento 2005/2006,
nell’ipotesi che vengano confermati i valori di preventivo rivisti nel giugno
2006:
Bilanci INPS con l’andamento 2005/2006
1) Le ENTRATE
CONTRIBUTIVE crescono:
|
+ 3,61 % |
2) La SPESA PER
PENSIONI EROGATE cresce ma, come si vede, meno della crescita dei contributi
versati dai lavoratori.: |
+ 2,25 % |
3) Di conseguenza,
diminuisce Il PASSIVO del solo settore puramente pensionistico (CONTRIBUZIONI meno EROGAZIONI): |
- 2,23 % |
4) Le USCITE
COMPLESSIVE crescono: |
+ 2,02 % |
5) Il PASSIVO “ISTITUZIONALE” comunque diminuisce: |
- 1,06 % |
E’ doveroso – oltre che interessante - approfondire la questione.
Cercheremo di valutare le eventuali incombenze
improprie accollate all’Inps e di scoprire “perché e da quando” i contributi pagati dai lavoratori non sono più stati sufficienti al pagamento delle pensioni.
Anticipiamo un solo dato sulla Cassa
integrazione guadagni, il cui pagamento è stato
“assegnato” alle casse dell’INPS: dal 1° gennaio 1977 al 28 febbraio
Dice: “Ma paga lo Stato.. ripianando i bilanci dell’INPS …”.
Certo, ma poiché compare come deficit del
bilancio INPS, è passato il messaggio
che bisogna rivedere le pensioni…
Diciamola meglio: se il legislatore
dovesse assegnare all’INPS il pagamento quotidiano di cornetto, cappuccino e
giornale a tutti i posteggiatori d’Italia, il deficit dell’istituto
aumenterebbe: ve la sentite di suggerire
che bisognerebbe rivedere i parametri delle pensioni ?
(Fine prima puntata. Continua)
Prima ancora di analizzare la struttura
delle uscite e delle entrate dei bilanci INPS, ci corre l’obbligo di confutare
una delle argomentazioni principe portata avanti da
quanti sostengono che le pensioni devono essere riviste.
“Ormai la vita media si aggira sugli 80 anni. Se tizio va in
pensione a 60, vuol dire che ne campa
[
da www.rosanelpugno.it/rosanelpugno/node/10601].
In soldoni, il messaggio che si vuol far
passare è questo: mezzo secolo
fa si campava 60 anni, quindi un pensionato percepiva la pensione per non più di quattro cinque anni. Oggi si campa 80 anni (circa 77 i
maschi, circa 83 le femmine), quindi un pensionato verrà “pagato” per venti anni.
Non sappiamo se tale grossolano inganno
sia anche un autoinganno. Sta di fatto che il gioco
delle due carte tra “vita media” e “speranza di vita ad
una certa età”è fin troppo
grossolano. Vediamo perché.
La distinzione tra vita media e speranza
di vita è concettualmente
fondamentale.
La vita media è il numero di anni di vita che la statistica annette ad una
popolazione: se l’universo considerato è di due neonati di cui uno muore alla nascita e l’altro
vive 100 anni, la vita media sarà di 50 anni. E’ evidente che ciò non vuol dire che l’eventuale terzo nato debba morire
verso i 50 anni.
La speranza di vita è il numero medio di anni che (sempre statisticamente)
restano da vivere ai sopravviventi all’età X. Mentre quindi la speranza di vita alla nascita coincide
con la vita media, con l’andare avanti negli anni la speranza di vita
sommata alla età anagrafica va oltre la vita media. Ad esempio, nel
Ma attenzione: nel 1950, con una vita
media di 63,7 per gli uomini e di 67,2 per le donne, un 65enne aveva
speranza di vita pari a 12,6 anni se maschio, e di 13,7 anni
se femmina,
Per tornare all’esempio grossolano
di Tizio, dobbiamo paragonare la speranza di vita di 50 anni fa al momento del
pensionamento, e lo stesso parametro di oggi al momento del pensionamento.
La tabella è illuminante:
SPERANZA DI VITA (in anni)
-Fonte Istat - (dato 2002: fornito nel
giugno 2006)
|
Alla nascita (corrisponde alla vita media) |
A 65 anni |
||
|
M |
F |
M |
F |
1950-53 |
63,7 |
67,2 |
12,6 |
13,7 |
1960-62 |
67,2 |
72,3 |
13,2 |
15,2 |
1970-72 |
69,0 |
74,9 |
13,3 |
16,2 |
1979-83 |
71,0 |
77,3 |
13,4 |
17,2 |
1989-93 |
73,9 |
80,4 |
15,0 |
19,0 |
1999 |
76,0 |
82,1 |
16,2 |
20,2 |
2002 |
76,8 |
82,9 |
16,8 |
20,8 |
DIFFERENZA
2002/1950 |
+ 13,1 |
+ 15,7 |
+ 4,2 |
+7,1 |
Il dato è a 65 anni (ma chi opera nel Palazzo è in grado di perfezionare la rilevazione con età più congruenti
col pensionamento): Tizio, pensionato di oggi, non campa 20 anni in più del Tizio pensionato di mezzo secolo fa, ma poco più di 4 anni e, se compariamo la speranza di vita delle
signore Tizie, Tizia di oggi vive 7 anni in più rispetto alla Tizia degli anni ‘50.
Lasciamo questa argomentazione ai neodem (demagoghi di migliore caratura).
(Fine seconda puntata. Continua)
E’ opportuno approfondire l’argomento
attraverso dati quantitativi che ne definiscano ambiti
e dimensioni.
Le pensioni possono essere di tipo
previdenziale o assistenziale e sono classificate in quattro tipologie secondo
il criterio giuridico-amministrativo:
- pensioni di invalidità, vecchiaia
e superstiti (Ivs) del settore privato, erogate dall’Inps;
- pensioni di invalidità, vecchiaia
e superstiti (Ivs) del settore pubblico erogate dall’Inpdap e dagli enti di previdenza minori;
- pensioni indennitarie, erogate dall’Inail e da altri enti minori;
- pensioni assistenziali, erogate dall’Inps e dal Ministero dell’economia e delle finanze.
Ma quante sono le pensioni erogate in
Italia complessivamente?
Nel 2004, questa era la situazione (fonte
INPS-ISTAT):
Nel 2004, quindi, venivano
erogate 23.147.978 pensioni di cui:
-
-
-
Va rimarcata la differenza negli importi
medi delle pensioni per settori: la pensione media erogata dal settore privato è pari a 8.762 euro l’anno; quella erogata dal settore
pubblico è di 17.520 euro: esattamente il doppio.
Tale differenza spiega la premurosa cura
che i governanti hanno dimostrato nei confronti dell’INPDAP (pensioni
pubbliche) a danno dell’INPS: ogni iniziativa “sociale” è stata messa
a carico di quest’ultimo, anche se poco o nulla aveva a che fare con la
previdenza (si pensi alle cosiddette “pensioni assistenziali”), mentre solo oggi si comincia a parlare di un
accorpamento dei due enti.
Elenchiamo le incombenze aggiuntive a
carico dell’INPS, anche in assenza (allora) di contributi:
Coltivatori diretti, coloni e mezzadri
I coltivatori diretti e i coloni e
mezzadri con legge 22 novembre 1954 n. 1136 vengono
riconosciuti, sul piano giuridico come categoria autonoma e viene estesa ad
essi l’assistenza malattia. Successivamente, con la legge 26 ottobre 1957 n.
1047 viene estesa alla categoria l’assicurazione per
l’invalidità e la vecchiaia. Il riordino dell’intera normativa in
materia di previdenza dei lavoratori autonomi ha rimodulato il sistema
impositivo per l’invalidità e la vecchiaia ed ha introdotto quattro fasce di reddito
convenzionale individuate in base alla tabella "D" allegata alla
legge 233/1990.
Artigiani
L’assicurazione, nata nel 1956 contro la
malattia, dal 1959 è obbligatoria anche per la pensione. Dalla stessa
data è stata quindi istituita,
presso l’Inps, la gestione speciale per
l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti.
L’attività artigiana è stata regolamentata, da ultimo, con l’approvazione nel
1985 di una legge quadro sull’artigianato (legge 443 dell’8 agosto 1985).
Commercianti
L’assicurazione, nata nel 1960 contro la
malattia, dal 1965 è obbligatoria anche
per la pensione. Dalla stessa data è stata quindi istituita, presso l’Inps,
la gestione speciale per l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la
vecchiaia e i superstiti.
Nel 1968 (momentacci politici) si decise per la pensione
retributiva, cioè funzione delle ultime retribuzioni.
Nel 1969 si affidò all’INPS il pagamento delle pensioni (chiamiamole così) sociali.
Nel 1969 (continuando i momentacci
politici) si decise che l’INPS si sarebbe dovuto far carico del pagamento della
Cassa Integrazione Guadagni.
Nel 1980 venne
istituito il Sistema Sanitario Nazionale. Sono stati affidati all’INPS la
riscossione dei contributi di malattia e il pagamento delle relative
indennità, compiti assolti in precedenza da altri enti.
Certamente fu pianificata una sorta di
saccheggio dell’ Istituto: il serbatoio INPS aveva in
entrata il flusso dei contributi, ma al rubinetto in uscita delle pensioni
(propriamente dette) si affiancarono altre decine di rubinetti indebiti, che lo
avrebbero prosciugato. Tranquilli: al deficit avrebbe pensato lo Stato.
Quanto alla vicenda della Cassa
integrazione, la ponderata accettazione di Confindustria e la compita
soddisfazione dei sindacati avrebbero dovuto far riflettere i più accorti. Sta di fatto che quei radicali cambiamenti fecero
comodo a tutti: destra, centro e sinistra, partiti e sindacati, maggioranza e
opposizione, intellettuali e braccianti, lavoratori dipendenti e autonomi,
datori di lavoro e subordinati.
Ricordiamo che dal 1° gennaio 1977 al 28 febbraio
Come finanziare le uscite causate dall’apertura
dei nuovi rubinetti “sociali” imposti all’ Istituto e non solo? Semplice: con la
gestione del debito pubblico. Fu sufficiente stampare - non carta moneta, trito
sistema ottocentesco - ma BTP, CCT ecc., rinnovandoli di continuo alla
scadenza, con collocazioni a tassi altamente remunerativi. Il Ministero del
Tesoro divenne il più grande banchiere del
paese. E gli Italiani tra i più indebitati del pianeta. Ed oggi, col debito pubblico,
siamo nei guai. [Per i problemi relativi si veda: ☞ Il PuntO n° 75 e ☞ Il PuntO n° 77]
Dice: “E l’Inpdap? “. Non scherziamo: l’Inpdap è uno scrigno che deve mantenere il consenso dei pensionati
statali fino alla tomba, e non va guastato.
Ricordate? Gli statali andavano in
pensione con 15 anni+6 mesi+1 giorno di anzianità.
Ma il limite era nominale: ci fu una
dipendente pubblica che con scivoli, vantaggini e aiutini se ne andò in pensione con 7 anni di anzianità.
Più che uno scandalo, fu oggetto di invidia.
Una appena ventilata proposta di
accorpamento con l’INPS ha ricevuto la secca opposizione dei sindacati e non
solo.
Dice: “Ma se il legislatore (in un momentaccio politico) decide di
raddoppiare le pensioni sociali?”. Bene! Se ne dovrà far carico l’ INPS, e si dimostrerà una volta di più che, visto il deficit
dell’Istituto, il meccanismo pensionistico così com’è non è proprio più sostenibile.
Dice: “Forse occorrerebbe una istituzione specifica per
l’assistenza…”.
Bravo! Così poi come faremo a sostenere che i pensionati sono il
ventre obeso di questa società, che si sono abituati a vivere anche 20
anni alle spalle dello Stato, e che è doveroso metterli a dieta?
Intanto, una curiosità: la tabella
che segue riporta le definizioni di spesa pensionistica dei Paesi membri UE.
A differenza delle
più o meno ampie articolazioni degli altri membri, noi mettiamo
tutto nel calderone del minestrone della pensione (da: http://www.cermlab.it/):
Tale definizione di spesa pensionistica
dà luogo alle seguenti rilevazioni (Eurostat) circa la spesa sociale
nella UE dei 15 (anno 2000, ma il trend è in peggioramento):
Per l’Italia, tutto va a carico della
voce “pensioni”: 63,4 per cento della nostra spesa sociale, mentre per
nessuno degli altri Paesi supera il 50 per cento. Ma siamo terzultimi per la
spesa sanitaria; siamo quartultimi per i supporti all’handicap; siamo
penultimi per il sostegno alle famiglie ed all’infanzia – su questo fronte è ultima la Spagna che però risulta prima per i sussidi
alla disoccupazione; siamo ultimi (ultimi) per i contributi
alla disoccupazione; siamo ultimi (ultimi) per la
contribuzione per la casa e per l’esclusione sociale.
Desolante? Si ma
anche molto sottile.
Proviamo a scomporre gli ingredienti del
minestrone. Forse scopriremo che non è tutta colpa del coriaceo e testardo attaccamento alla vita
dei nostri pensionati.
Riportiamo l’elenco dei rubinetti in
uscita dal serbatoio INPS, (da www.inps.it):
1) LE PRESTAZIONI INPS A SOSTEGNO DEL REDDITO
L’assegno per il nucleo familiare
E’ una prestazione che è stata istituita per aiutare le famiglie dei lavoratori
dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente, i cui nuclei familiari siano
composti da più persone e i cui
redditi siano al di sotto delle fasce reddituali
stabilite di anno in anno dalla legge. Dal 1° gennaio 1998 spetta anche ai lavoratori parasubordinati
(collaboratori coordinati e continuativi e liberi professionisti iscritti alla
gestione separata dell’Inps) a particolari
condizioni.
L’assegno per il nucleo familiare per i
lavoratori parasubordinati
La disciplina dell’assegno per il nucleo
familiare prevista per i lavoratori dipendenti è stata estesa agli iscritti alla gestione separata dei
lavoratori autonomi (collaboratori coordinati e continuativi, venditori porta a
porta, liberi professionisti e coloro che a partire dal 24 ottobre 2003 sono
inquadrati in un progetto, programma o fasi di essi).
Gli assegni familiari spettano ad alcune
categorie di lavoratori escluse dalla normativa dell’assegno per il nucleo
familiare.
E’ una prestazione che spetta ai
lavoratori che sono stati collocati in mobilità dalla loro azienda a seguito di: esaurimento della cassa
integrazione straordinaria; licenziamento per riduzione di personale o
trasformazione di attività o di lavoro; licenziamento per cessazione dell’attività da parte dell’azienda.
La cassa integrazione guadagni ordinaria
La cassa integrazione guadagni ordinaria
è un intervento a sostegno delle imprese in difficoltà che
garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo della retribuzione.
La cassa integrazione guadagni
straordinaria
La cassa integrazione guadagni
straordinaria è un intervento a sostegno delle imprese in
difficoltà che garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo della
retribuzione.
Le integrazioni salariali in agricoltura
E’ un intervento che vuole sostenere le aziende quando non sia possibile lo svolgimento dell’attività
lavorativa; e garantire al lavoratore un reddito sostitutivo della
retribuzione.
E’ un’indennità sostitutiva della retribuzione che è pagata ai lavoratori in caso di malattia, a partire dal 4° giorno. Non sono pagati i primi 3 giorni.
L’indennità di malattia dei lavoratori parasubordinati
La legge ha esteso l’indennità di malattia, in caso di ricovero ospedaliero, ai
lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi, venditori
porta a porta, liberi professionisti ecc.) a decorrere dal 1° gennaio 2000.
E’ un’indennità sostitutiva della retribuzione che viene pagata alle
lavoratrici assenti dal servizio per gravidanza e puerperio.
L’indennità di maternità dei lavoratori parasubordinati
Le lavoratrici iscritte alla gestione
separata versano all’Inps, dal 1° gennaio 2006, il contributo del 18,20% comprensivo dello
0,50%, quota utilizzata a finanziare la maternità, gli assegni per il
nucleo familiare e la malattia. Tali lavoratrici possono fruire dell’astensione
obbligatoria per maternità per la durata di due mesi prima della data
presunta del parto e tre mesi dopo la nascita del bambino.
Sono indennità sostitutive o integrative della retribuzione che vengono
pagate, a determinate condizioni, al lavoratore dipendente e ai suoi familiari
(coniuge, figli, fratelli, sorelle, genitori) malati di tubercolosi. Non è necessario che i familiari siano assicurati. L’Inps paga le indennità economiche, mentre
l’assistenza sanitaria è a carico del Servizio
Sanitario Nazionale.
E’ una prestazione che l’Inps può concedere per evitare, ritardare o
rimuovere uno stato di invalidità. Hanno diritto alle cure termali tutti
i lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’Inps.
La prestazione non spetta né ai familiari degli assicurati né ai titolari di pensione di qualsiasi tipo, a meno che non
siano titolari di assegno di invalidità.
L’indennità di richiamo alle armi
E’ un’indennità sostitutiva della
retribuzione che viene pagata ai lavoratori richiamati
alle armi, dopo il servizio di leva, per qualunque esigenza delle Forze Armate
(per esempio, per corsi di addestramento e aggiornamento).
L’assegno per il congedo matrimoniale
E’ un assegno che viene
concesso in occasione del matrimonio.
Il trattamento di fine rapporto
Il trattamento di fine rapporto è
una somma che spetta ai lavoratori che si siano dimessi o che siano stati
licenziati da un datore di lavoro nei confronti del quale siano state messe in
atto le seguenti procedure concorsuali: fallimento, liquidazione coatta
amministrativa, amministrazione straordinaria e concordato preventivo. Spetta
inoltre ai lavoratori ex dipendenti da datori di lavoro (privati, piccole
imprese) che non possono essere sottoposti ad una di tali procedure e nei cui
confronti sia stata attuata l’esecuzione forzata. Il trattamento di fine
rapporto e i crediti di lavoro (ultime tre mensilità) sono somme che vengono pagate dal datore di lavoro. Sono pagate dall’Inps solo quando il datore di
lavoro non può adempiere a questo obbligo.
2) LE PRESTAZIONI INPS A SOSTEGNO DELLA
DISOCCUPAZIONE
E’ un’indennità che spetta ai
lavoratori assicurati contro la disoccupazione involontaria, che siano stati
licenziati. Non è più riconosciuta
nei confronti di chi si dimette volontariamente (fanno eccezione le lavoratrici
in maternità).L’indennità è riconosciuta quando le
dimissioni derivano da giusta causa (mancato pagamento della retribuzione,
molestie sessuali, modifica delle mansioni, mobbing).
Dal 17 marzo 2005 spetta anche ai lavoratori che sono stati sospesi da aziende
colpite da eventi temporanei non causati né dai lavoratori né dal datore di lavoro.
L’indennità ordinaria con i requisiti ridotti
I lavoratori che non possono far valere 52
contributi settimanali negli ultimi due anni e hanno lavorato per almeno 78
giornate nell’anno precedente, hanno diritto all’indennità ordinaria di
disoccupazione con i requisiti ridotti. L’indennità non è
più riconosciuta nei confronti di chi si dimette volontariamente, ma
soltanto in caso di licenziamento (fanno eccezione le lavoratrici in
maternità).L’indennità è riconosciuta quando le dimissioni derivano da giusta causa
(mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali, modifica delle
mansioni, mobbing).
L’indennità ordinaria per gli operai agricoli
Sia gli operai iscritti negli elenchi
nominativi dei lavoratori agricoli sia coloro che hanno lavorato come operai
agricoli a tempo indeterminato per parte dell’anno, hanno diritto ad una
particolare indennità di disoccupazione. Tale indennità non è più riconosciuta nei confronti di chi
si dimette volontariamente, ma soltanto in caso di licenziamento (fanno
eccezione le lavoratrici in maternità). L’indennità è riconosciuta
quando le dimissioni derivano da giusta causa (mancato pagamento della
retribuzione, molestie sessuali e modifica delle mansioni).
Trattamenti speciali per gli operai
agricoli
E’ uno speciale trattamento che spetta ai
lavoratori iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori
agricoli. Tale trattamento non è più riconosciuto nei
confronti di chi si dimette volontariamente, ma soltanto in caso di
licenziamento (fanno eccezione le lavoratrici in maternità).
Trattamento speciale per l’edilizia
Il trattamento speciale di disoccupazione
per l’edilizia è una prestazione
riservata ai lavoratori del settore dell’edilizia che sono stati licenziati,
quando si verificano:
cessazione dell’attività aziendale; ultimazione del cantiere o delle singole fasi
lavorative; riduzione di personale.
Tale trattamento non è più riconosciuto nei
confronti di chi si dimette volontariamente, ma soltanto in caso di
licenziamento (fanno eccezione le lavoratrici in maternità).
Per concludere, facciamo notare che, vista
l’assoluta assenza di italici ammortizzatori sociali – come dimostra la precedente tabella – la “pensione del vecchio” è in molte famiglie diventata l’unica fonte certa
di reddito del nucleo familiare il quale, a sua volta e vista la totale
assenza di ammortizzatori, è il cardine sociale di sopravvivenza.
Nel giro di 20 anni, il ruolo del
pensionato è stato rivoluzionato: da emarginato a unica stampella
finanziaria di molte famiglie.
Attenzione quindi a politiche di revisione
settoriale (sempre miopi): potrebbero essere addirittura disarticolanti per una
società, come la nostra, dove il cardine di sopravvivenza fa perno
esclusivamente sulla famiglia e non sullo stato sociale. E’ il privato che
sopperisce all’assenza di accorte politiche di supporto da parte di chi ci “amministra” e, visto il momentaccio, oggi non consuma (soluzione di
breve periodo) e non fa più figli (soluzione di lungo periodo). Ecco le
soluzioni del privato, al quale la stitichezza della domanda interna proprio
non può interessare.
Da noi, lo “stato sociale” si confonde con “rendite di posizione”: è più comodo rivedere le pensioni che
smantellare quelle rendite.
(Fine terza puntata. Continua)
Questa quarta puntata ha il solo scopo di
evidenziare che il gran calderone del minestrone della pensione dell’INPS potrebbe acquisire un nuovo immissario: un pezzo
di TFR, circa 5 miliardi di euro. L’iniziativa, in questo momento di conti
fuori Europa, non
fa altro che utilizzare l’INPS per poter dimostrare che i debiti dello Stato
scendono di quell’importo. Successivamente, ci scommettiamo, servirà per
dimostrare che i meccanismi pensionistici si sono ulteriormente aggravati e che
l’INPS non ce la fa più.
Abbiamo visto che questa soluzione
dell’utilizzo del calderone del minestrone della
pensione è stato usato più volte nei decenni passati. Quindi, non
può neanche aspirare al blasone di finanza creativa.
Non brilla in originalità; tanto
meno in correttezza giuridica: è vero che le somme accantonate sono dei
lavoratori dipendenti e non delle aziende (ma neanche dell’INPS), che il monte
TFR pregresso rimane in azienda, ma è anche vero che, immettendo parte
dei flussi TFR verso l’INPS, i contenuti finanziari di un contratto privato
(dipendente/datore di lavoro) vengono promossi a
capitolo della contabilità dello Stato. Un mostro giuridico-contabile,
disgraziatamente non in via di estinzione.
La levata di scudi delle aziende, ci ha
costretto ad approfondire la questione.
Due sono state le scoperte interessanti:
Le aziende hanno prestiti a tassi ridicoli
da parte dei dipendenti: curioso, per i fautori del mercato fare affari con
rendimenti fuori mercato. Ma forse pretendiamo troppo.
I sindacati non hanno mai premuto sul
legislatore perché rivedesse i termini della rivalutazione, quanto meno in
periodi di inflazione galoppante. Si poteva approfittare della innovazione del
1982 con la quale si introdusse la possibilità
di utilizzare parte del TFR per cure e per l’acquisto della prima casa. Ma
anche con l’inflazione quasi al 20 per cento, si preferì non affrontare
il problema.
La deviazione è d’obbligo.
Coefficienti di rivalutazione per il TFR
I coefficienti riportati nella tavola
seguente determinano la rivalutazione del trattamento di fine rapporto maturato
nel periodo indicato attraverso l’adeguamento della quota accantonata al 31
dicembre dell’anno precedente.
Il calcolo sottostante è previsto
dall’articolo 2120 del codice civile (comma 4° novellato - 1982): al tasso
fisso definito dal codice pari all’1,5% su base annua, si somma il 75% dell’aumento del costo della vita per
gli operai e gli impiegati accertato dall’ISTAT.
Al 31 dicembre di ogni anno, la somma
complessiva delle quote accantonate, con esclusione della quota relativa all’anno di calcolo, viene rivalutata mediante tale
meccanismo di indicizzazione a base composta (nel senso che non solo le quote,
ma anche gli interessi maturati e capitalizzati sono oggetto di rivalutazione).
Ribadiamo che le somme maturate nell’anno verranno rivalutate solo il 31/12 dell’anno successivo a
quello di maturazione.
In conclusione, oltre al regalo di un anno
e mezzo di rivalutazione alle aziende (infatti, la quota accantonata a gennaio
2003, verrà remunerata dopo due anni, al
dicembre 2004; quella del dicembre 2003 si rivaluterà dopo un anno,
sempre a dicembre
Abbiamo calcolato la differenza tra il
risultato del meccanismo di remunerazione come definito dall’
art. 2120 del c.c., e quello che sarebbe
accaduto se quelle somme fossero state investite dal proprietario in titoli di
Stato. Abbiamo preso, anno per anno, il rendimento dei
BOT a 12 mesi definito dall’asta di dicembre di ogni anno. La scelta di questo
titolo è derivata esclusivamente dalla disponibilità dei
rendimenti storici degli ultimi 25 anni. Il calcolo della rivalutazione con
tali rendimenti è in realtà nettamente inferiore a quello che si sarebbe ottenuto valutando i rendimenti di titoli più
idonei come i BTP, o prendendo come fattore la media dei rendimenti dei titoli
di Stato.
Partendo da 1.000 euro maturati a fine
1981, i risultati della rivalutazione con i due parametri, mostrano come il
risultato del calcolo ufficiale (art. 2120 - comma 4° del codice
civile) sia di quasi due volte e mezza inferiore a quello ottenuto rivalutando
con l’applicazione dei rendimenti lordi dei
BOT a 12 mesi (aste di fine dicembre). Nel caso ufficiale, il risultato
dal 1981 al 2005 si attesta a 3.234 euro; nel caso di un investimento in BOT,
il risultato giunge a 7.634 euro.
Non inferiamo colla proposta di prendere
come parametro di rivalutazione un tasso di mercato, ad esempio il tasso
bancario passivo medio applicato agli affidamenti bancari ottenuti dalla aziende. Ci limitiamo ad applicare il
Prime rate Abi quale parametro di rivalutazione. Il risultato è
pari a 12.139,13 euro, nonostante non sia stato possibile calcolare la
rivalutazione del 2005 poiché Abi ha cessato le
rilevazioni col dicembre 2005
periodo DI validita’ |
RIVALUTAZIONE UFFICIALE |
Rendimento sempl. lordo |
PRIME RATE ABI |
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RIVALUTAZIONE DI € 1.000 DEL 1981 |
€ 12.139,13 (*) |
Per concludere. E’ una aberrazione
applicare al calderone del minestrone della pensione dell’INPS l’ennesimo
immissario e il conseguente emissario, con la riserva mentale di possibili
ritocchini futuri “perché il sistema pensionistico non è proprio
più sostenibile”. Ma è altrettanto aberrante che a quelle somme,
prestate dai dipendenti alle loro aziende, siano applicati meccanismi di
rivalutazione a tassi manifestamente fuori mercato.
(Fine quarta puntata. Continua)