|   La Stampa 20-3-2007 Un po’ di virtù tra guelfi e
  ghibellini     Quanto
  mancava al centro che faceva perno sulla dc manca anche al bipolarismo, che
  non funziona finché esclude posizioni mediane altrove protagoniste   
 Marco Follini*    Marcello Sorgi («Chi si rivede,
  il centro» su La Stampa di ieri) ha un torto e una ragione. Il problema dei
  centristi è quello di evitare di riprodurre un copione vecchio, non
  sempre e non tutto nobile. Dentro quel copione c’era una montagna di debito
  pubblico e anche qualche affare di troppo, lo sappiamo bene. Esprimere oggi
  una politica rigorosa, innovativa e per quanto è possibile anche
  limpida è per tutti noi che discendiamo dalla tradizione di quel
  centro un dovere non così ovvio e non così facile. Ma un dovere
  almeno per me molto sentito. Evitare di rimanere aggrappati al sentimento
  della nostalgia significa anche questo.
 Né
  con il papa né con l’imperatore
 Il problema di tutti gli altri è quello di considerare che questo
  sistema bipolare, tutto in bianco e nero, senza grigio, senza nessuna
  sfumatura, proprio non funziona. Per due fondamentali ragioni. La prima
  è che si tratta di un sistema che non rappresenta abbastanza. La
  seconda è che si tratta di un sistema che non decide abbastanza. Non
  rappresenta perché la riduzione a due del campo politico taglia fuori o
  riduce ai margini una grande quantità di posizioni mediane che in
  tanti altri sistemi sono protagoniste e che da noi invece sono messe
  politicamente al bando. La contrapposizione così rigida e dogmatica
  tra guelfi e ghibellini lascia senza dimora politica molti di noi che non si
  sentono seguaci né del papa né dell’imperatore. Inoltre non decide. E la
  lunga agenda delle riforme mancate e dei buoni propositi perennemente
  rinviati (pensioni, liberalizzazioni, promozione del merito, fine degli
  interventi a pioggia) sta lì a ricordarci quotidianamente che, in
  barba alla retorica proclamata dai cantori del bipolarismo, dieci anni e
  più vissuti all’ombra di questi due poli hanno fatto accumulare al
  sistema paese un ritardo perfino maggiore di quello che aveva sul finire
  della prima Repubblica.
 
 Protagonisti
  gli interessi particolari
 Il centro di allora, quello che faceva perno sulla Dc per intenderci,
  finì perché la gran parte del paese ritenne allora che fosse diventato
  carente nella virtù e nell’innovazione. Ma le due mezze mele che ne
  hanno preso il posto non mi pare che abbiano prodotto né l’innovazione, né la
  virtù di cui il paese aveva bisogno. Siamo ancora lì a
  cercarla, una volta di qua una volta di là, non trovandola fino in fondo
  né di qua né di là.
 L’eclissi del centro in tutti questi anni ha reso protagonisti gli interessi
  particolari. Dico di più, ha ridotto la politica a essere un po’
  custode e un po’ vittima di quegli interessi, complicando di molto la ricerca
  di qualcosa che somigli a un interesse generale. Non mi pare che si possa
  parlare di una mera coincidenza. Il fatto è che se il sistema politico
  è costruito per premiare il valore marginale diventa fatale che ognuno
  si attrezzi di conseguenza. E che chi è più attrezzato (anche
  economicamente, s’intende) abbia la meglio.
 Che il passato non torni lo credo, e perfino lo spero anch’io. Ma che il
  futuro possa essere il prolungamento di questo presente rigorosamente diviso
  a metà, lo credo ancora di meno. Se la discussione sul centro non
  fosse oziosa dovrebbe cominciare di qui.
 
 *
  leader dell’«Italia di mezzo»
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