|     Da www.pane-rose.it  del  Bilancio
  della campagna contro lo scippo del TFR 15-9-2007 Cominciamo dai
  dati. 
 Alla fine del 2006 i lavoratori che aderivano ai Fondi Pensione Integrativi
  (FPI) erano il 14,9%.
 Al 30 giugno 2007, ovvero dopo i 6 mesi previsti dalla legge, erano il 19,8%.
 Questo significa che del 100% dei lavoratori che hanno il TFR (e che venivano quindi chiamati ad esprimersi in merito al suo
  conferimento ai FPI) solo il 3.9% lo ha fatto volontariamente.
 
 Si valuta che circa un 10% sia stato truffato attraverso il meccanismo del
  silenzio-assenso (creato “ad hoc” per superare la
  diffidenza dei lavoratori, giocando sulla mancanza di informazione che
  dilaga, purtroppo, nel mondo del lavoro) e si arriva a meno del 30%.
 Si può ipotizzare che una larghissima parte di questi lavoratori sia
  stata truffata (e non che abbia consapevolmente lasciato che il TFR andasse
  ai FPI) da una semplice considerazione: se i lavoratori fossero stati
  convinti dell’utilità del conferimento del proprio TFR ai FPI perché
  lasciar passare i 6 mesi e non farlo subito ? Quando
  una cosa è buona la si vuole subito. O no ?
 Non è un caso che l’adesione sia
  irreversibile (una pretesa veramente mostruosa che solo dei mascalzoni come
  quelli che governano oggi e governavano prima - ovvero tutti i partiti da
  “sinistra” a destra – potevano imporci).
 
 I 10 punti sotto le previsioni del ministro (ex-Fiom
  ed ex presidente di Cometa) Cesare Damiano - che contava su una adesione di almeno il 40% - costituiscono una
  risposta, a dir poco, deludente per gli sponsor dei FPI. I lavoratori hanno
  dunque posto oggettivamente un freno ad una operazione
  pericolosissima su ogni piano: economico, politico, sociale... E questo
  è un risultato oggettivamente positivo.
 
 Scomponendo i dati si osserva che l’adesione
  è notevolmente maggiore nelle imprese medio-grandi
  rispetto a quelle medio-piccole. Qual’è la spiegazione ?
  Da un lato, i “piccoli padroni” hanno incentivato i lavoratori a mantenere il
  TFR in azienda (per poterlo usare loro come fonte di auto-finanziamento “a
  tasso zero” invece che i gestori dei FPI); dall’altro, i lavoratori delle
  piccole imprese, sottoposti ad un livello di ricatto occupazionale - e quindi
  a condizioni salariali - notevolmente peggiori, hanno ritenuto,
  intelligentemente, che non fosse il caso di rischiare in borsa il proprio
  TFR, utile invece nei momenti di perdita del posto di
  lavoro, tanto più frequenti con le loro condizioni contrattuali.
 Spiegare la non adesione nelle piccole imprese è dunque abbastanza
  semplice.
 Ma come spiegare la maggiore adesione in quelle grandi ?
  Da un lato, certamente, gioca la forza di pressione del sindacato che nelle
  piccole e piccolissime imprese artigiane ha una influenza
  molto inferiore. Insomma, la relativamente ampia adesione (si dice circa 51%)
  dei lavoratori “garantiti” della grande impresa è anche un indice
  della loro subalternità al sindacato confederale che si erge di fronte
  a loro come una vera e propria istituzione mafiosa la cui offerta “non si
  può rifiutare”.
 Dall’altro, il tentativo da parte dei lavoratori di integrare l’assegno
  previdenziale futuro anche con investimenti finanziari (così come
  molto spesso integrano il bilancio corrente con il ricorso a piccoli e medi
  prestiti) ipotizzando di poterselo permettere grazie alla relativa stabilità
  del proprio posto di lavoro.
 Sui rischi politico-culturali di questa situazione
  abbiamo scritto un intero articolo in PM 10.
 Sui rischi materiali basterebbe conoscere il funzionamento delle borse per
  capire che affidare ad esse il proprio più
  lontano futuro significa affidarsi più che altro al destino che, come
  si sa, è spesso “cinico e baro”.
 
 Abbiamo detto che le aspettative del governo, dei sindacati e delle
  banche/assicurazioni/imprese sono andate in larga parte
  deluse. Possiamo cantare vittoria ? No di
  certo, perché ogni volta che verremo assunti in una
  nuova azienda scatterà il silenzio-assenso e in caso di mancata
  consegna del rifiuto esplicito, il TFR verrà destinato ai FPI.
 Cosa significhi questo, all’atto dell’assunzione nelle grandi imprese (dove
  è altissimo il livello di clientelismo mafioso-politico-sindacale all’atto
  dell’assunzione, specialmente dopo l’abolizione del collocamento pubblico
  avviata dal Pacchetto Treu) è evidente. Chi
  non firma per il sì non viene assunto o
  finisce immediatamente nella “lista nera” di “quelli che vogliono fare di
  testa propria” (caratteristica non certo amata dai padroni, anche
  aldilà della questione della destinazione del TFR).
 
 Grazie alla contraddizione interna tra grandi e piccoli capitalisti fino ad
  oggi i “piccoli” hanno in larga parte “remato contro” il trasferimento del
  TFR ai FPI. Se il governo riuscirà a compensare adeguatamente la loro
  disponibilità (ad esempio facendo arrivare loro gli effetti della
  riduzione del cuneo fiscale e predisponendo le condizioni per una riduzione
  significativa del costo del denaro per le piccole e piccolissime imprese)
  allora forse, con il tempo, questi piccoli padroncini si convinceranno a
  collaborare.
 
 Riassumendo. La battaglia contro lo scippo del TFR e per la difesa della
  previdenza pubblica non è finita il 30 giugno. E’ ancora in corso e lo
  sarà in modo permanente anche in futuro. Non dobbiamo abbassare la
  guardia.
 Possiamo però valutare positivamente il fatto che una grande parte dei
  lavoratori si sia dimostrata assai più indipendente di
  quanto politici, sindacalisti di regime e padroni ritenessero. E
  questo, aldilà della lotta specifica sul TFR è il risultato
  più interessante.
 I FPI continuano, per il momento, a non decollare e questo risultato è
  stato ottenuto, oltre che per effetto delle contraddizioni interne ai vari
  segmenti del capitalismo italiano, anche grazie all’istinto dei lavoratori e,
  aggiungiamo, anche grazie a quel poco (poco, a causa delle forze disponibili)
  che hanno messo in campo le realtà politiche e sindacali che hanno
  sviluppato la campagna per il no.
 
 Da questo piccolo passo si può andare avanti comprendendo che per
  vincere quella che è una vera e propria “guerra di lunga durata”
  è indispensabile avere ben chiari gli obbiettivi che si vogliono
  raggiungere e che non possono essere il “tamponare le falle”
  quando si aprono, ma costruire una visione del mondo alternativa a
  quella capitalistica. Con le “regole” di funzionamento del capitalismo i
  lavoratori non vinceranno mai perché queste regole sono truccate (ovviamente,
  a vantaggio dei capitalisti). I lavoratori potranno, di tanto in tanto,
  ottenere qualche risultato parziale ma le cose,
  complessivamente, continueranno a peggiorare giorno dopo giorno: pensioni,
  salario, diritti, ambiente, sicurezza... una erosione continua.
 Ma dalla storia ricaviamo sempre questo piccolo insegnamento: non è
  con il riformismo che si ottengono le riforme a favore dei lavoratori (specialmente quando “riformistiche” vengono definite leggi
  come il “pacchetto Treu” o la “Legge Biagi”, tanto per fare solo due esempi di “riforme”
  killer per i diritti e gli interessi dei lavoratori). Solo quando i
  lavoratori hanno fatto davvero tremare le gambe ai padroni minacciandoli
  concretamente di rovesciarli questi si sono resi disponibili a cedere
  qualcosa per non dover cedere tutto. E’ sempre
  così e non può essere che così. Se ai padroni chiediamo
  l’elemosina, quando va bene, otteniamo l’elemosina.
 Ecco, noi dobbiamo tornare a “volere tutto” e se va male, avremo solo
  qualcosa. Se continueremo a “tirare a campare”, a chinare la testa, a sperare
  in San Gennaro... verrà il giorno che davvero non ce la faremo
  più nemmeno a campare. E già oggi non lavoriamo forse solo per
  sopravvivere ? Che vita è quella dei
  lavoratori e specialmente di quelli più giovani, senza presente e -
  soprattutto - senza futuro ? Quando non ce la faremo
  più cosa faremo ? Ce la prenderemo con gli
  immigrati “che ci tolgono il lavoro” ? Italiani
  contro “stranieri” ? Nord contro sud ? Città contro campagna ?
  Centro storico contro periferia ? Primo contro
  secondo piano ? Una stanza contro l’altra ?
 Non è meglio capire subito che i nemici dei lavoratori non sono altri
  lavoratori ma i padroni, lo Stato, il capitalismo e che gli immigrati non
  sono qualcuno da combattere, ma qualcuno con cui combattere contro i padroni
  e i loro servi politici e sindacali ? Sì,
  è meglio.
 
 
 
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